Tribunale di Firenze trasfusioni

www.lucabenci.it articolo del 18 agosto 2014
Per procedere per il reato di lesioni personali da errata trasfusione è necessaria
una valida querela
Nota a sentenza Tribunale di Firenze, I sezione, 7 maggio 2014
Luca Benci
Il fatto.
Vengono tratti in giudizio un medico specializzando e due infermiere per avere cagionato a un paziente lesioni personali colpose per avere trasfuso
una sacca sbagliata cagionandogli “lesioni personali consistite in “una compromissione significativa
della funzione cardiorespiratoria, lesioni che mettevano in pericolo la vita dello stesso, dalle quali derivava una malattia nel corpo della durata di gg.5”.
Il Tribunale ha dichiarato di non doversi procedere
per mancanza di una valida querela, quindi un motivo meramente procedurale. Ci interessa comunque
il livello di contestazione e il fatto.
Gli imputati erano, come abbiamo visto, un medico specializzando, un’infermiera “responsabile del
settore della degenza” e un’altra infermiera in servizio sempre in quel “settore”.
La contestazione al medico specializzando è
stata quella di avere omesso di seguire i controlli
previsti dalla raccomandazione ministeriale e dalla
procedura aziendale che imponevano di:
- effettuare tutti i controlli ivi previsti pretrasfusionali al letto del paziente (verifica di alterazioni
macroscopiche sulla sacca, verificare insieme ad
un infermiere i relativi documenti di accompagnamento, la correttezza dei dati anagrafici del paziente riportati sui documenti forniti dal SIMT, la
corrispondenza del gruppo sanguigno registrato sui
documenti rispetto a quello presente in cartella, la
presenza del consenso informato scritto, corrispondenza delle unità ricevute rispetto a quante richieste, la compatibilità dell’ABO delle unità ricevute
rispetto a quelle richieste, registra in cartella le tra-
sfusioni da fare);
- avere effettuato tali controlli da sola nella stanza delle infermiere senza farlo congiuntamente con
un’infermiera stessa (doppio controllo);
- seguire il punto della procedure aziendale che
imponeva di “somministrare lentamente la trasfusione nei primi minuti e durante l’infusione osservare costantemente il paziente”
- assistere all’ effettuazione della trasfusione insieme all’infermiera che vi avrebbe provveduto e/o
senza controllare che tale infermiera si trovasse con
una seconda infermiera durante la trasfusione (sempre il principio del doppio controllo).
La contestazione nei confronti di una delle infermiere era relativa a:
- non avere effettuato tutte le azioni previste nella
procedura e in particolare per non avere assistito ai
controlli di competenza del medico ai piedi del letto del paziente (sopra-indicati);
- per avere prelevato la sacca da infondere al paziente R.D.L. e controllata solo dalla dott.ssa L.,
presso la sala delle infermiere;
- per avere omesso di informare “l’infermiera responsabile di turno” con lei R.C. di quanto si accingeva a fare;
- per essersi recata presso la stanza del paziente “omettendo ogni procedura diretta a verificare
l’identità del paziente al quale si accingeva a trasfondere la sacca” senza quindi rivolgere alcuna
domanda al paziente stesso “dato che tra l’altro stava parlando al suo telefono cellulare e continuava a
farlo durante tutte le operazioni, somministrava al
paziente sbagliato D.M. la sacca contenente sangue
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del gruppo A positivo, mentre il M. aveva il gruppo O, e usciva dalla stanza immediatamente, omettendo di seguire” la parte della procedura aziendale che imponeva di “somministrare lentamente la
trasfusione nei primi minuti e durante l’infusione
osservare costantemente il paziente”.
La contestazione nei confronti dell’altra infermiera (“responsabile del turno”) era relativa a:
- non avere seguito la parte della procedura aziendale che impone di ricontrollare i dati sull’ unità
da trasfondere con i dati registrati in cartella, di
chiedere al paziente se cosciente i dati anagrafici,
di ricontrollare i dati del paziente con il nominativo riportato sui documenti che accompagnano le
unità da trasfondere, registra PA, frequenza cardiaca, temperatura del paziente sulla cartella clinica,
di attaccare la trasfusione, registrare sulla cartella
clinica l’ora di inizio e di fine della trasfusione e
di lasciare in cartella il documento di accompagnamento dell’unità trasfusa.
Le questioni non sono state affrontate per la mancanza di una valida querela. I punti di contestazione
sono però interessanti. Si vincola tutto il personale
alla procedura aziendale di sicurezza, non vi sono
state contestazioni in merito a medici strutturati assenti (ne avrebbe fatto le spese solo lo specializzando), si contesta all’infermiera che ha proceduto alla
trasfusione di non essere stata presente durante il
controllo del medico, si contesta al medico di avere proceduto i controlli in solitudine, si individua
un’infermiera “responsabile del turno” (di difficile
inquadramento giuridico).
Ultimo, ma non ultimo, sarebbe stato interessante approfondire il livello di colpa dovuto all’avere
operato durante tutta la procedura di identificazione
e di trasfusione da parte dell’infermiera di averlo
fatto “parlando al suo telefono cellulare” e continuando a farlo durante tutte le operazioni. Comportamenti che oggi appaiono diffusi a buona parte del
personale sanitario.
Del tutto inapplicabile appare, comunque, nel
caso di specie la scriminante della responsabilità
prevista dalla recente legge Balduzzi per avere agito con colpa lieve osservando linee guida e buone
pratiche validate dalla comunità scientifica che appaiono lontanissime da come si sono svolti i fatti.
.
TRIBUNALE DI FIRENZE
PRIMA SEZIONE PENALE COMPOSIZIONE MONOCRATICA
SENTENZA
nei confronti di
IMPUTATI
del delitto di cui all’ art. 590 I e II comma e 583 n. 1)
c.p. perché, C.L. nella qualità medico specializzando presso
l’ospedale di Careggi in servizio il 9.7.2012 presso la SOD
(Struttura Operativa Dipartimentale) reparto di C.V., R.C. in
servizio il 9.7.2012 quale infermiera presso la SOD reparto
di C.V. in qualità di infermiera responsabile del settore della
degenza (A), L.M. quale infermiera in servizio il 9.7.2012
presso l’ ospedale di Firenze Careggi presso la SOD reparto di C.V. settore della degenza (A), per colpa consistita in
imperizia, imprudenza e negligenza, e inoltre per colpa specifica consistita nella violazione della procedura aziendale
dell’Ospedale di Careggi P/903/73 “Procedura per la prevenzione dell’incompatibilità ABO: richiesta e trasfusione
di emocomponenti” (introdotta sulla base della “Raccomandazione n.5 del marzo 2008 del Ministero della Salute) in
particolare:
avendo il medico C.L. omesso di seguire quanto previsto
dalla sopraindicata procedura al punto 5.2.1 e cioè di effettuare tutti i controlli ivi previsti pretrasfusionali al letto del
paziente (verifica di alterazioni macroscopiche sulla sacca,
verificare insieme ad un infermiere i relativi documenti di
accompagnamento, la correttezza dei dati anagrafici del paziente riportati sui documenti forniti dal SIMT, la corrispondenza del gruppo sanguigno registrato sui documenti rispetto
a quello presente in cartella, la presenza del consenso informato scritto, corrispondenza delle unità ricevute rispetto a
quante richieste, la compatibilità dell’ABO delle unità ricevute rispetto a quelle richieste, registra in cartella le trasfusioni da fare) avendo effettuato tali controlli da sola nella
stanza delle infermiere; e ometteva anche di seguire quanto
previsto al punto 5.1.2 laddove si prevede che si debba “somministrare lentamente la trasfusione nei primi minuti e durante l’infusione osservare costantemente il paziente”- dato
che la dott.ssa L. dopo il controllo sulla sacca e sulla cartella
del paziente al quale era diretta, R.D.L., si allontanava dal
reparto avendo terminato il suo turno, senza assistere all’
effettuazione della trasfusione insieme all’infermiera che vi
avrebbe provveduto e/o senza controllare che tale infermiera
si trovasse con una seconda infermiera durante la trasfusione;
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avendo R.C. omesso di effettuare tutte le azioni previste nella
sopra indicata procedura al punto 5.2.2 (che prevede che l’infermiere che ha in carico il paziente al quale deve essere fatta
una trasfusione ricontrolla i dati sull’ unità da trasfondere con
i dati registrati -in cartella, chiede al paziente se cosciente i
dati anagrafici, ricontrolla i dati del paziente con il nominativo riportato sui documenti che accompagnano le unità da
trasfondere, registra PA, frequenza cardiaca, temperatura del
paziente sulla cartella clinica, attacca la trasfusione, registra
sulla cartella clinica l’ora di inizio e di fine della trasfusione,
lascia in cartella il documento di accompagnamento dell’unità trasfusa) in quanto nel pomeriggio del 9.7.2012 essendo
di turno quale responsabile del settore di degenza con l’infermiera L.M., avendo quindi l’obbligo reciproco di scambiarsi
informazioni sui pazienti e l’obbligo di effettuare insieme la
procedura sopra descritta per trasfondere l’unità al paziente
D.M. (ove l’infermiera L.M. non fosse stata coadiuvata dalla
dott.ssa L.), non si informava dello stato della richiesta della
sacca di sangue effettuata per il paziente R.D.L., né in ordine
alla trasfusione che doveva essere effettuata sul D.L. quando
la sacca giungeva in reparto, e non accompagnava l’infermiera L.M. che andava nella stanza dove era ricoverato il D.L. da
sola; non si occupava quindi di seguire la procedura necessaria ad effettuare la trasfusione di sangue al D.L. che veniva quindi eseguita con le modalità sotto indicate al paziente
sbagliato D.M. dalla sola infermiera L.M., accorgendosi la
COMANDE’ che vi era un errore di persona solo quando era
stata trasfusa metà della sacca al M.;
avendo L.M. omesso di effettuare tutte le azioni previste
nella sopra indicata procedura al punto 5.2.1 e 5.2.2, dato che
non assisteva ai controlli di competenza del medico L. ai piedi del letto del paziente (sopra-indicati), prelevava la sacca
da infondere al paziente R.D.L. e controllata solo dalla dott.
ssa L., presso la sala delle infermiere, ometteva di informare
l’infermiera responsabile di turno con lei R.C. di quanto si
accingeva a fare ,si recava presso la stanza ove sì trovava
il paziente D.L. al letto 3 (e al quale lei stessa nel pomeriggio aveva fatto il prelievo di sangue obbligatorio prima di
ogni trasfusione volta a verificare quale fosse il suo gruppo
sanguigno) insieme ad altri, omettendo ogni procedura diretta a verificare l’identità del paziente al quale si accingeva a
trasfondere la sacca e che si trovava al letto 2, senza quindi
rivolgere alcuna domanda a D.M. dato che tra l’altro stava
parlando al suo telefono cellulare e continuava a farlo durante
tutte le operazioni, somministrava al paziente sbagliato D.M.
la sacca contenente sangue del gruppo A positivo, mentre il
M. aveva il gruppo O, e usciva dalla stanza immediatamen-
te, omettendo di seguire quanto previsto al punto 5.1.2 laddove si prevede che si debba “somministrare lentamente la
trasfusione nei primi minuti e durante l’infusione osservare
costantemente il paziente”; cagionavano a D.M. che a metà
della trasfusione cominciava a sentirsi male, lesioni personali
consistite in una compromissione significativa della funzione
cardiorespiratoria, lesioni che mettevano in pericolo la vita
dello stesso, dalle quali derivava una malattia nel corpo della
durata di gg.5; in Firenze, il 9.7.2012.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
M.L., L.C. e C.R. venivano tratte a giudizio con citazione
diretta dinanzi a questo Tribunale per rispondere del delitto
di lesioni colpose in danno di M.D., sottoposto a trasfusione ematica all’ interno del reparto di C.V. dell’ ospedale di
Careggi, eseguita mediante somministrazione di sacca contenente sangue del gruppo A positivo anziché del gruppo 0.
Alle tre imputate, così come analiticamente riportato nel capo
di imputazione, erano stati contestati profili di colpa generica
e specifica. Quattro giorni dopo i fatti portati all’ attenzione
del Tribunale le odierne parti civili presentavano denuncia
querela negli uffici della Polizia Giudiziaria della Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Firenze chiedendo il
sequestro delle cartelle cliniche. Ad undici giorni di distanza
dai fatti sopra indicati il paziente M.D. decedeva all’ interno
della struttura ospedaliera in cui era stato ricoverato per cause diverse ed assolutamente non riconducibili all’ ipotizzato
errore nel quale sarebbero incorse le odierne imputate. La verifica dell’ inesistenza di alcun nesso causale tra la morte del
M. e la pregressa trasfusione ematica emergeva a distanza di
alcuni mesi dai fatti, a seguito del deposito della relazione
autoptica redatta dai medici incaricati dal Pubblico Ministero
di chiarire la vicenda.
A seguito dell’ avvenuto esercizio dell’ azione penale si
costituivano, come già precisato, parte civile i prossimi congiunti di M.D.. Veniva altresì chiesta ed autorizzata la citazione del responsabile civile, ovvero il legale rappresentante
dell’ azienda ospedaliera alle dipendenze della quale prestavano servizio al momento del fatto le odierne imputate (cfr.
verbali del 7 e del 14.10.013). All’ udienza del 3.3.014, essendo già stata dichiarata alla precedente udienza del 7.10.013
la contumacia delle imputate, si costituiva ex art. 84 c.p.p. il
responsabile civile ritualmente citato.
In assenza di questioni preliminari e verificata la regolare
costituzione delle parti, veniva dichiarato aperto il dibattimento ed ammesse le prove indicate dalle parti.
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All’ udienza del 7.4.014 e prima dell’ avvio effettivo dell’
istruttoria, il Pubblico Ministero invitava il Tribunale a valutare l’eventuale improcedibilità dell’ azione penale per mancanza di una valida querela idonea a rimuovere l’ostacolo
all’ esercizio dell’ azione penale previsto in relazione al reato contestato alle prevenute. La Difesa delle parti civili non
condivideva la prospettazione del pubblico Ministero, diversamente dalle Difese del responsabile civile e delle imputate
che invece si associavano alla richiesta. Il giudice si ritirava
in camera di consiglio, all’ esito della quale pronunciava il
dispositivo letto in pubblica udienza.
Deve in effetti essere dichiarata l’ improcedibilità dell’
azione penale per mancanza di una valida querela.
Devono al riguardo essere formulate alcune osservazioni.
Appare in primo luogo pacifica la circostanza dell’ inesistenza di un nesso causale tra la condotta contestata alle prevenute e l’evento morte. L’ipotizzata negligenza costituisce quindi
la premessa per l’ insorgenza di lesioni personali colpose che,
come tali, impongono la presenza - ai fini del corretto esercizio dell’ azione penale- di una querela presentata dal soggetto
titolare del diritto di rimuovere l’ostacolo all’ esercizio dell’
azione penale. Nel caso di specie il titolare del diritto era il
paziente M.D., venutosi a trovare in una condizione di totale incoscienza (cfr. pag. 17 della relazione dei medici legali
che, sul punto, hanno ripreso le dichiarazioni rese dal medico
dr.ssa S.V., totalmente estranea ai fatti), momentaneamente
superata - nonostante la gravità del quadro patologico - fino al
decesso avvenuto, come già evidenziato, il 20.7.012.
Nel caso di specie, quindi, il soggetto titolare del diritto di
presentare querela non era in condizioni di potere nemmeno
valutare (almeno nei primi giorni) tale ipotesi.
Il legislatore ha, come noto, disciplinato le ipotesi di infermità mentale (art. 121 c.p. assimilabile alle ipotesi di incoscienza) prevedendo che in tali casi il giudice per le indagini
preliminari - richiesto in tal senso dal P..M., naturalmente informato dell’ accaduto - nomini un curatore speciale cui sono
attribuite le facoltà proprie del titolare del diritto di querela
(art. 338 c.p.p.).
Nel caso di specie la querela è stata presentata non dal curatore speciale bensì dai prossimi congiunti della persona offesa.
Si deve quindi prendere atto di un vizio procedurale che
rende improcedibile l’azione penale, esercitata in assenza
delle condizioni indicate dalla legge.
E’ doveroso evidenziare in questa sede (l’argomento è stato prospettato dal P.M. a c. 5 della trascrizione del verbale
di udienza del 7.4.014) che secondo un orientamento giuri-
sprudenziale piuttosto consolidato (sul punto si rinvia a Cass.
Sez. II n. 32873 del 14.6.07) “ il curatore speciale nominato
per l’esercizio del diritto di querela, di cui è titolare la persona offesa minore degli anni quattordici o inferma di mente,
non può proporre querela una volta che il relativo diritto si è
estinto per morte del titolare”. Si legge nella citata sentenza
che “l’esercizio del diritto di querela presuppone la esistenza
del diritto di querela in quanto chi esercita il diritto di querela non esercita un diritto proprio, bensì un diritto personale,
quale il diritto di querela, della persona offesa dal reato. Ne
consegue che l’estinzione del diritto di querela a seguito della morte della persona offesa di cui all’art. 126 c.p. fa venir
meno la possibilità del suo esercizio da parte di un soggetto
diverso dal titolare del diritto, atteso che tale soggetto non
esercita un diritto proprio ma un diritto altrui”.
Appare pertanto dubbia - ma si tratta di argomento che non
può essere definito da questo giudice - l’ipotesi di una richiesta di nomina di un curatore speciale affinchè oggi valuti se
presentare la querela non correttamente proposta dagli stretti
congiunti della persona deceduta. Si tratta in ogni caso di un’
ipotesi che non può prescindere dall’ odierna declaratoria di
improcedibilità dell’ azione penale
P.Q.M.
Letti gli artt. 129 e 529 c.p.p.
Dichiara non doversi procedere nei confronti di M.L., L.C.
e C.R. in relazione al reato loro ascritto in quanto l’azione
penale non poteva essere iniziata per mancanza di valida querela.
Indica in giorni trenta il termine per il deposito delle motivazioni
–4–
Così deciso in Firenze, il 7 aprile 2014.
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2014.