Telecom Italia ci riprova con il monopolio

Rassegna Stampa
dell’11 ottobre 2014
Telecom Italia ci riprova con il monopolio
OFFERTA PER COMPRARSI LA FIBRA DI METROWEB, QUELLA CON CUI ERA STATA CABLATA MILANO
PROPRIO PER FARLE CONCORRENZA
di Giorgio Meletti
Nel 2001 il comune di Milano dette le canaline telefoniche interrate dalla municipalizzata elettrica Aem (oggi
A2A) alla eBiscom (oggi Fastweb) fondata da Silvio Scaglia, che le usò per cablare con la fibra ottica i palazzi di
Milano. Oggi sono 200 mila le famiglie del capoluogo lombardo con la fibra ottica in casa. All’origine
quell’operazione rappresentò il più innovativo attacco al monopolio di Telecom Italia.
OGGI QUELLA STESSA rete è il punto di partenza del tentativo della stessa Telecom di recuperare i ritardi
accumulati in quindici anni, durante i quali ogni euro di guadagno è stato usato per ripagare i debiti degli
scalatori che si sono succeduti alla guida del colosso telefonico (Roberto Colaninno, Marco Tronchetti Provera,
la cordata Mediobanca-Intesa-Telefonica). Ora che l’ottimismo nuovista renziano deve fare i conti con la rete
telefonica peggiore d’Europa, il vertice di Telecom Italia risponde con un’offerta per comprare Metroweb,
società in cui quella rete è confluita. La lettera con cui l’amministratore delegato Marco Patuano ha manifestato il
suo interesse ai vertici di F2i, il fondo para-pubblico che detiene il 54 per cento di Metroweb, rappresenta la
presa d’atto che la concorrenza non è la soluzione ottimale per un grave deficit strutturale del Paese. E mette fine
a una telenovela estenuante. Il 46 per cento di Metroweb è della Cassa Depositi e Prestiti, cassaforte pubblica
guidata da Franco Bassa-nini, che è anche socio decisivo di F2i. E infatti per anni intorno a Metroweb si è
giocato il dialogo tra sordi attraverso cui Cdp avrebbe dovuto definire il sostegno pubblico agli investimenti di
Telecom per la modernizzazione della rete Internet.
L’ESITO È QUESTO. Cdp non ci mette un euro perché in realtà non è in grado, ma il governo ha promesso a
Telecom Italia uno sgravio fiscale del 50 per cento sugli investimenti per la banda larga. Patuano da parte sua fa il
gesto di buona volontà più immediatamente riconoscibile, investendo 4-500 milioni di euro per portarsi a casa la
fibra di Milano, che sarà la base di ulteriori investimenti sulla rete a banda ultra-larga. La mossa su Metroweb,
confermata ieri dal consiglio d’amministrazione di Telecom, risponde al primo problema strategico dell’ex
monopolista, il progressivo cedimento dei risultati e delle prospettive sul mercato italiano. Il Brasile è il secondo
nodo, quello su cui il consiglio di ieri ha autorizzando Patuano e il presidente Giuseppe Recchi ad aprire la
trattativa per la fusione con Oi, leader della telefonia fissa e quarto operatore mobile nel paese sudamericano.
Qui lo scenario è ancora più complesso. Per anni Tim Brasil ha cercato di comprare la rete fissa di Gvt, molto
estesa in Brasile, che consente di portare la banda larga alla base delle antenne per la telefonia mobile, e quindi
agli smartphone. E per anni il primo azionista di Telecom Italia, la spagnola Telefonica, concorrente in Brasile
con la sua Vivo, si è messa di traverso. L’estate scorsa Telefonica è riuscita a prendersi lei la Gvt, conquistando
un vantaggio notevole. A questo punto Telecom Italia aveva due strade. O ritirarsi dal Brasile vendendo Tim
Brasil e chiudersi nei confini nazionali investendo sulla rete italiana i miliardi di euro ricavati dalla cessione.
Oppure tenersi la presenza in Sudamerica, che è ormai l’unica attività che porta guadagni e prospettive di
crescita , investendo per reggere la competizione con Vivo.
UN ANNO FA l’azionista dominante, Telefonica appunto, spingeva per la vendita rapida di Tim Brasil. Adesso
che gli spagnoli non contano più il cda ha invertito la rotta. Affrontando però un cammino difficile. Per
mantenere il controllo delle operazioni dopo la fusione, Telecom Italia dovrà probabilmente tirare fuori un bel
po’ di soldi, il che significherebbe verosimilmente chiedere al mercato quell’aumento di capitale che finora gli
azionisti dominanti, non solo Telefonica ma anche Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, hanno bloccato per
mantenere il controllo delle operazioni senza dover tirare fuori altri euro. Adesso che Telecom si dichiara una
vera public company, cioè senza soci di controllo, il gioco è più aperto. C’è solo da vedere come andrà a finire.