Ritardi mentali

Il ritardo mentale
Mappa unità 8
Ritardo mentale
primi strument
diagnostci
Scala Binet-Simon
deficit nello sviluppo
intellettivo e nel
comportamento adattivo
Scala
Stanford-Binet
(EM/EC) x 100
biologiche
metodologia
cognitvo-comportamentale
task-analysis
classificazione
cause
ambientali
intervento educatvo
borderline
RM Lieve
RM Medio
RM Grave
RM Gravissimo
RM Organico
RM Ambientale
RM Indifferenziato
valutazione
descrittiva; di sede; di natura; funzionale
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Definizione di intelligenza (Luckasson et al., 2002)
L’intelligenza è una capacità mentale generale che
include ragionamento, pianificazione, “problem
solving”, pensiero astratto riguardante idee
complesse, apprendimento dall’esperienza
L’intelligenza non è semplicemente apprendimento
dai libri, una pura abilità accademica o abilità appresa
dai testi, essa riflette una capacità più ampia e
profonda di comprendere il nostro ambiente
circostante, afferrare, dare un senso alle cose o
dedurre cosa fare
Definizione
L’espressione ritardo mentale non fa riferimento ad una
precisa entità clinica, ma racchiude in sé una sintomatologia
predominante quanto comune a differenti stati patologici, che
comunque tra loro differiscono per eziologia, gravità e
peculiarità.
Il ritardo mentale (da ora RM) è nella sua essenza una grave
alterazione della mente che si manifesta come una sindrome
psichiatrica globale legata al difetto di sviluppo delle funzioni
astrattive della conoscenza e dell’adattamento.
Questo aspetto psicopatologico è basale e centrale ma non
unico, perché ad esso si possono associare disturbi della
personalità, della condotta, del linguaggio, delle funzioni
percettive e motorie nonché piccole o grandi malformazioni
somatiche, sintomi concomitanti con esso ma dovuti a fattori
distinti, genetici, lesionali o ambientali (Pfanner e Marcheschi, 4
2005).
Criteri per la diagnosi
Per diagnosticare il RM vengono adottati i criteri stabiliti dai sistemi di
classificazione internazionali: il sistema europeo a cura
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), International
Classification of Diseases, e quello a cura dell’American Psychiatric
Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders.
Secondo l’International Classification of Diseases, pubblicato per la
prima volta nel 1893 ed ora disponibile nella sua decima revisione
ICD-10, il RM rappresenta una «condizione di interrotto o
incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da
compromissione delle abilità che si manifestano durante il
periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di
intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie,
affettive e sociali» (ICD-10, 1992).
I livelli di RM sono valutati da test intellettivi standardizzati che
possono essere integrate da scale di valutazione dell’adattamento
sociale in un determinato ambiente (Kemali e Mai, 2003) .
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Primi strumenti per la diagnosi
Il primo strumento per la misurazione dell’intelligenza umana
nacque nel 1905 per merito del francese Binet e del suo
collaboratore Simon. La scala Binet-Simon era basata su una
serie di domande e prove legate all’esperienza quotidiana di
bambini di diversa età.
I risultati ottenuti dai test permettevano di stabilire
approssimativamente un’età mentale (EM), cioè l’età equivalente
a quella dei bambini con sviluppo tipico di cui il soggetto aveva
eguagliato il rendimento. Binet costruì la sua scala partendo dal
presupposto che certe abilità vengono acquisite solo dopo una
certa evoluzione, e quindi alcune prestazioni sono caratteristiche
di alcune età, poiché rappresentano compiti cognitivi (memoria,
ragionamento, giudizio) padroneggiati a quell’età (es. la richiesta
di contare fino a 10 viene disattesa a 3 anni, ma è
completamente soddisfatta a 5 o 6 anni).
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In questo strumento gli item erano ordinati per età
(misura della loro complessità cognitiva), ciascun item
assumeva un valore in termini di mesi (es. ogni item
= 3 mesi), l’insieme degli item superati dava la misura
dell’età mentale, l’evoluzione o il ritardo dello sviluppo
intellettivo erano misurati dallo scarto tra età
cronologica e età “attesa” e la stima dello sviluppo
cognitivo era rappresentata dal confronto fra la
prestazione di un soggetto con quella di un campione
rappresentativo di soggetti appartenenti a classi di età
diverse (es. b. di 7 anni ha un’età mentale di 9 se
risolve compiti risolti generalmente a 9 anni).
Scala Stanford-Binet per la misurazione del QI
La scala subì svariate modifiche; l’attuale versione è la
cosiddetta Stanford-Binet che permette di individuare il
Quoziente Intellettivo (QI), cioè il rapporto tra età
mentale (EM), misurata col test, ed età cronologica
(EC), ovvero l’effettiva età del soggetto, moltiplicato per
cento (per evitare i decimali) (De Luca, 1974).
(EM/EC) x 100.
Esempi:
e.m. 12 – e.c. 10 QI=(12/10)x100=120
e.m. 10 – e.c. 12 QI=( 10/12)x100=83
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Definizione secondo il DSM IV (1996)
La caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo
generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è
accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno
due delle seguenti aree delle capacità di prestazione:
comunicazione,
cura della persona,
vita in famiglia,
capacità sociali/interpersonali,
uso delle risorse della comunità,
autodeterminazione,
capacità di funzionamento scolastico,
lavoro,
tempo libero,
salute,
Sicurezza (Criterio B).
L’esordio deve avvenire prima dei 18 anni (Criterio C). Il Ritardo Mentale ha molte
diverse eziologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi
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patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale.
Definizione di ritardo mentale (Luckasson et al., 2002)
Il ritardo mentale è una disabilità caratterizzata da significative limitazioni nel
funzionamento intellettivo e nel comportamento adattivo, espresso attraverso
abilità concettuali, sociali e pratiche.
Questa disabilità insorge prima dei 18 anni.
Il comportamento adattivo è un insieme di abilità concettuali, pratiche e
sociali che la gente ha appreso per affrontare la quotidianità
ad es.:
Abilità concettuali
lettura, scrittura, uso del denaro, autodeterminazione
Abilità sociali
interpersonale, responsabilità, autostima, regole da seguire, leggi da
rispettare
Abilità pratiche
mangiare, muoversi, pulirsi, vestirsi, prepararsi i pasti, abilità lavorative,
gestione ambientale
Definizione dell’American Association of Mental Deficiency
Secondo l’opinione dei più autorevoli studiosi del RM, la
definizione più accreditata è quella proposta dall’American
Association of Mental Deficiency (AAMD), secondo cui si
può parlare di RM quando «è presente un deficit nello
sviluppo intellettivo e contemporaneamente una ridotta
capacità di far fronte alle richieste adattive del contesto
ambientale e sociale, manifestatasi in età evolutiva»
(AAMD, 1992).
La definizione dell’AAMD ha un rilievo fondamentale
nell’ottica di un intervento psicopedagogico, poiché
introducendo il concetto di comportamento adattivo, pone
maggiore attenzione, rispetto al passato, alle difficoltà di
adattamento sociale che le persone con deficit intellettivo
possono incontrare nei contesti di vita.
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Comportamento adattivo
«Il comportamento adattivo o maturità sociale è un
concetto strettamente legato alla cultura in cui è inserito
l’individuo e indica la capacità del soggetto di adeguarsi
ai ruoli socialmente condivisi propri della sua fascia di
età e dell’ambiente socio-culturale cui egli appartiene.
Il funzionamento adattivo fa, quindi, riferimento
all’efficacia con cui la persona fa fronte alle esigenze
comuni della vita e al grado di adeguamento agli
standard di autonomia personale previsti per la fascia di
età, il livello socioculturale e il contesto ambientale. […]
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I problemi di adattamento sono più suscettibili di
miglioramento con tentativi di riabilitazione di quanto
non sia il quoziente intellettivo che, al contrario, tende a
rimanere una caratteristica globalmente più stabile»
(Rossi e coll., 2003).
Dunque secondo quest’ultima definizione, una persona
che presenta un deficit intellettivo, ma allo stesso tempo,
è in grado di inserirsi nel suo ambiente di vita in modo
adeguato, non può essere classificata come globalmente
ritardata. L’importanza di questa definizione sta perciò
nel porre l’accento anche sulle competenze sociali ed
affettive, fornendo così una visione globale delle difficoltà
dell’individuo (Soresi, 1998)
“[…] non è qualcosa che si ha, come gli occhi azzurri o un
cuore malato. Non è neppure qualche cosa che si è, come
essere piccoli o magri. Non è un disturbo medico, benché
possa essere codificato in una classificazione medica di
malattie; né è un disturbo mentale, benché possa essere
definito all’interno di una classificazione di disturbi
psichiatrici.
Il termine ritardo mentale si riferisce a uno stato particolare
di funzionamento che esordisce nell’infanzia, è
multidimensionale ed è influenzato positivamente da
sostegni individualizzati”
(AAMR, 2002- decima revisione)
Questa concezione è specificata dai seguenti cinque assunti:
– Assunto 1: «Le limitazioni del funzionamento presente devono
essere considerate all’interno del contesto degli ambienti
comunitari tipici per età e cultura del soggetto».
– Assunto 2: «Una valutazione efficace deve considerare sia le
diversità culturali e linguistiche, sia le differenze nella
comunicazione e nei fattori sensoriali, motori e comportamentali».
– Assunto 3: «In una stessa persona, le limitazioni spesso
coesistono con i punti di forza». Questo significa che le persone con
ritardo mentale sono esseri umani complessi che possono avere
capacità e risorse che sono indipendenti dal loro ritardo mentale.
– Assunto 4: «Un obiettivo fondamentale nella descrizione delle
limitazioni è quello di sviluppare un profilo di sostegni necessari».
– Assunto 5: «Con un adeguato sistema individualizzato di
sostegni, forniti per un certo periodo di tempo, il funzionamento
della persona con ritardo mentale tende a migliorare».
I sintomi
I sintomi del ritardo mentale sono molti per gli aspetti cognitivi, affettivi e adattivi.
Sono sintomi frequenti ma non sempre costanti e possono avere diversa
importanza e gravità (Fava Vizziello, 2003):
difetto di assimilazione delle esperienze, cioè di informazione e di
elaborazione percettiva;
insufficienza dell’organizzazione psicomotoria: compromette la capacità di
programmare il movimento nello spazio e nel tempo, rendendo la persona goffa,
impacciata, rigida, maldestra e disarmonica;
difetti del linguaggio, nella forma di disturbi di pronuncia, di articolazione, di
ritmo, ma più costantemente questi difetti riguardano lo sviluppo delle attitudini di
base che guidano la formazione del linguaggio;
impossibilità di accedere al pensiero astratto;
disomogeneità cognitiva: esistono aree di funzionamento più o meno
sviluppate, ma è molto raro trovare aree di funzionamento del tutto integre;
difetto di autocoscienza, intendendo con questa espressione una difficoltà
particolare nella gestione consapevole dei propri strumenti mentali e delle proprie
conoscenze, che porta a un difetto nei meccanismi di autoregolazione;
apprendimento lento e difficile;
disarmonie della personalità;
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disturbi della condotta.
La classificazione
Dalle Scale psicosometriche si deduce la cosiddetta “età mentale”, ovvero il
confronto con le capacità medie di ogni fascia di età, e il QI che è il rapporto tra
età mentale ed età cronologica. Le prestazioni che si discostano dalla media di due
o più “deviazioni standard”, cioè con QI inferiore a 70, costituiscono il primo
sintomo di ritardo mentale. Questo criterio psicometrico derivante dall’utilizzo di
varie scale (Scala Wisc, Scala Binet-Stanford, Scala Terman) ha permesso
all’Organizzazione Mondiale della Sanità di operare una distinzione quantitativa
delle persone con ritardo mentale in cinque categorie:
Soggetti borderline: con QI compreso fra 70 e 90 e con capacità intellettive ai
limiti della normalità ostacolate nella loro utilizzazione da fattori prevalentemente
sociali o affettivi.
Ritardo mentale lieve (QI compreso fra 50-55 e 70): ricopre l’80% dei casi.
Ritardo mentale medio (QI compreso tra 35-40 e 50-55): interessa il 12%
delle persone con disabilità.
Ritardo mentale grave (QI tra 20-25 e 35-40): interessa il 7% dei casi di
RM.
Ritardo mentale gravissimo (QI inferiore a 20-25): riguarda l’1% dei
soggetti con RM.
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Nuova classificazione
Questa classificazione, seppur utile a livello socio-assistenziale, risulta grossolana
e di scarso significato pratico, perché ha il limite di ogni diagnosi psichiatrica che
sia quantitativa e statistica; non tiene conto, infatti, della relatività del concetto di
QI (subordinato a molte variabili), e della sua dipendenza da fattori contingenti
(ad esempio emotivi), della sua non costanza nel tempo e della difficoltà di
confronti durante lo sviluppo.
È stata quindi ipotizzata una nuova classificazione a tre gruppi che consente di
determinare l’appartenenza di un soggetto non solo in funzione di elementi
quantitativi come il QI, ma anche qualitativi ed eziologici. Le tre categorie
riguarda soggetti con ritardo mentale:
organici: rappresentano una minoranza della popolazione dei soggetti con ritardo
mentale e si caratterizzano per un danno biologico certo;
ambientali: sono la gran maggioranza, e si contraddistinguono dall’assenza di un
danno biologico diagnosticato a l’appartenenza ad ambienti socioculturalmente
deprivati;
indifferenziati: vale a dire quegli individui per i quali non è possibile stabilire con
certezza l’appartenenza ad una delle classi soprastanti.
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Cause
L’identificazione delle cause del ritardo mentale non è sempre facile e possibile,
data l’origine spesso multifattoriale del disturbo mentale. I fattori determinanti di
un quadro di ritardo mentale, infatti, sono molteplici e complessi. Cause
organiche, ereditarie e acquisite, fattori psico-affettivi, condizionamenti
socioculturali, risultano molto frequentemente associati.
Una prima classificazione distingue fra cause biologiche (genetiche e non
genetiche) e cause ambientali. All’interno di queste la grande maggioranza dei
casi è attribuibile a :
Ereditarietà: questi fattori includono errori congeniti del metabolismo (sclerosi
tuberosa, aberrazioni cromosomiche, che possono interessare il numero e la
struttura dei cromosomi);
Alterazioni precoci dello sviluppo embrionale: quali mutazioni cromosomiche
o danni prenatali da sostanze tossiche (alcool, droghe, infezioni);
Problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale: malnutrizione del
feto, la prematurità, l’ipossia, infezioni virali e traumi);
Condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia o la fanciullezza:
meningiti, encefaliti, traumi, infezioni o avvelenamenti (ad es. da piombo);
Influenze ambientali e altri disturbi mentali: questi fattori includono la
mancanza di accadimento e di stimolazioni sociali, o la presenza di altre patologie.
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Ritardi mentali
È utile sottolineare che il riscontro di
una data anomalia genica o
cromosomica non si traduce in un unico
quadro clinico e sintomatologico: esiste
sempre un’enorme variabilità di
presentazione clinica, verosimilmente
dipendente dalla compresenza di altri
fattori, aggravante o protettivi.
Sindrome di Angelman
Sindrome di Down
Sindrome di Cri du chat
Sindrome di Williams
La consapevolezza dell’esistenza di
quadri eterogenei di compromissione
cognitiva a parità di gravità di RM (in
altre parole di Quoziente di intelligenza)
porterebbe a parlare non più di ritardo
mentale, ma di ritardi mentali.
In sintesi, qualsiasi fattore congenito o
acquisito, organico o ambientale che
incide sul sistema nervoso centrale in
via di sviluppo è in grado di alterare
l’organizzazione neurobiologica di base,
dalla cui integrità dipende il normale
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funzionamento intellettivo.
Criteri diagnostici
Una diagnosi precoce è fondamentale per impostare un
trattamento efficace e prevenire un peggioramento nelle
capacità intellettive, affettive e sensoriali del bambino con
ritardo mentale.
Il successo del trattamento riabilitativo ed educativo,
infatti, dipende in larga misura da come viene impostato il
processo diagnostico. Un’adeguata e precoce risposta
riabilitativa può in parte ridurre disagi e ritardi più o meno
gravi nell’ambito motorio, sensoriale, le difficoltà
nell’elaborazione dello schema corporeo e delle relazioni
spazio-temporali che incidono negativamente
sull’evoluzione e l’espressione dell’intelligenza.
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Una persona con ritardo mentale non presenta
unicamente deficit nelle capacità di apprendimento e di
comportamento: in chiunque esiste una complessa
realtà psicologica caratterizzata da emozioni, rapporti
interpersonali, pulsioni sessuali, da aspettative e
convinzioni sue proprie. Questa complessa attività
psicologica, cognitiva e relazionale, per quanto rallentata
nella sua espressione ed evoluzione, è influenzata
direttamente dagli effetti di deficit sensoriali e da
numerose variabili fisiologiche e patologiche ad origine
prevalentemente organica (Caracciolo e Rovetto, 2003).
Valutazione dinamica
Al fine di operare una valutazione neuropsicologica funzionalmente efficace, è
utile seguire un modello basato su quattro livelli di misurazione:
descrittiva (riguarda l’insieme dei sintomi e segni che conseguono al danno
neurologico)
di sede (indaga la sede associata ai sintomi osservati)
di natura (riguarda la specifica malattia neurologica che ha determinato il
danno)
funzionale (indaga i meccanismi che danno luogo ad un determinato
processo cognitivo, compromessi in seguito a lesione) (Sabbadini et al.,
2002).
Una valutazione efficace è anche e soprattutto dinamica e deve considerare
«qual è il potenziale di apprendimento del bambino partendo da quesiti
metacognitivi, per verificare: a) quali procedimenti e strategie il bambino
adotta spontaneamente; b) qual è il suo livello attuale e come si modifica,
ovvero quali procedimenti egli può adottare se gli viene suggerita e spiegata
qualche strategia risolutiva» (Ibidem).
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Nell’intento di operare attraverso una valutazione globale ed analitica,
quantitativa, qualitativa e dinamica, vengono indagate quattro aree:
funzioni
intellettive e
cognitive
funzioni adattive e
le capacità
relazionali ed
emotive
funzioni fisiche,
motorie e
sensoriali
personalità,
comportamenti
psicopatologici ed
eventuali diagnosi
psichiatriche
associate
vengono misurate
dallo psicologo
clinico o dal
neuropsicologo per
evidenziare,
laddove è possibile,
l’estensione del
danno cerebrale,
attraverso varie
scale (le scale
Wechsler, le scale
di Stanford e Binet,
le matrici di Raven,
il test di Bender);
per valutare
l’adattamento si
usano varie scale
comportamentali.
La più famosa e più
validata scala di
adattamento è la
Vineland Adaptive
Behavior Scales
(Scale del
comportamento
adattativo Vineland)
(Sparrow et al.,
2003), che mette in
evidenza molte
funzioni sociali;
vengono valutate
dal fisiatra, dal
neurologo, dal
neuropsichiatria e
dal fisioterapista
che si occupano di
diagnosticare il
grado e la tipologia
di compromissione
di tali funzioni
attraverso
l’osservazione e
prove
standardizzate;
per la valutazione
dei disturbi
psichiatrici associati
a dei
comportamenti
psicopatologici,
vengono fatti
colloqui clinici e
somministrati test di
personalità
(Pfanner e
Marcheschi, 2003).
Intervento educativo
Obiettivo dell’intervento educativo e del trattamento è
quello di potenziare al massimo lo sviluppo ed il
benessere, in termini di adattamento, del bambino con
ritardo mentale.
Il RM, seppure nella sua gravità, non deve essere
ritenuto per molte ragioni immutabile e senza speranza
di correzione, poiché il cervello umano è una struttura
plastica e influenzabile anche quando è leso o
condizionato da messaggi genetici che ne rallentano lo
sviluppo. Inoltre la plasticità è massima in età evolutiva,
quando tutto è in movimento e non c’è niente di
immutabile negli aspetti biologici e nella struttura della
personalità. Anche i messaggi dell’ambiente, specie
quelli selezionati e mirati, possono modificare le
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strutture neuronali e la stessa espressività genica.
L’intervento educativo ha una duplice finalità:
1) stimolare, sostenere, indirizzare la capacità cognitiva e
l’apprendimento;
2) arricchire, integrare, armonizzare la vita affettiva e
l’adattamento sociale. Sono obiettivi e tecniche che nel
ritardo mentale sono rese molto più difficili per il difetto
di sviluppo delle capacità, per il difetto di astrazione e di
interiorizzazione, per le difficoltà di rapporto con
l’ambiente (Perini e Bijon, 1996).
Interventi psicosociali
Gli interventi di tipo psicosociale sono strutturati per
permettere alla persona con ritardo mentale di provvedere
a se stessa, mettendola nella condizione di comprendere le
regole della società e sviluppare relazioni umane e
autentiche anche al di fuori del nucleo familiare, superando
le difficoltà della vita quotidiana.
«Essere autonomi significa riuscire a programmare e
attuare sequenze finalizzate al soddisfacimento delle
proprie esigenze fondamentali senza l’aiuto di nessuno»
(Cocchi, 2001).
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Questi interventi prevedono l’acquisizione di patterns
comportamentali adeguati alle differenti situazioni di vita
quotidiana, strutturati in base a difficoltà crescente.
Questi repertori possono rientrare, già dalle scuole
primarie, all’interno degli obiettivi e dei contenuti
didattico-educativi da inserire nel Piano Educativo
Individualizzato. L’intervento psicopedagogico, anziché
puntare sull’acquisizione di nozioni isolate ed astratte,
deve fondarsi sul “come fare”, attraverso il conseguimento
di procedure che costituiranno schemi organizzati di
istruzioni per affrontare con successo i diversi ambiti della
vita quotidiana.
Metodologia cognitivo-comportamentale
La metodologia utilizzata nell’insegnamento delle abilità
sociali è di tipo cognitivo-comportamentale.
Una delle tecniche maggiormente utilizzate per insegnare
le abilità sociali è la task analysis, o analisi del compito,
che mira al raggiungimento graduale e progressivo di
obiettivi comportamentali specifici e limitati.
Consiste nella suddivisione in sotto-unità di un
comportamento da eseguire. Per facilitare l’esecuzione di
ogni passo, o sotto-unità, l’insegnante può avvalersi di
diversi metodi che, a partire dal minore al maggior livello di
aiuto esterno, possono essere così elencati:
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istruzioni verbali: suggerimenti generali o specifici sulle varie
tappe da eseguire per portate a termine un compito (es. “prendi le
forbici”, “apri il cassetto e prendi la carta”);
prompts gestuali: istruzioni verbali accompagnate
dall’indicazione dell’oggetto di cui si parla (es. “prendi le forbici”
indicandole);
modeling: l’adulto fornisce al bambino l’esempio ed egli dovrà
successivamente eseguire l’azione richiesta mediante istruzioni
verbali;
aiuto fisico parziale: l’adulto fa iniziare l’azione, attraverso una
guida fisica parziale, dopo la quale il bambino esegue il compito
richiesto;
aiuto fisico totale: l’adulto modella direttamente l’azione del
bambino, portandolo tramite la guida fisica ad eseguire in modo
completo l’azione richiesta verbalmente.
Task analysis del compito “lavarsi i denti”
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Dieci regole per l’educatore e il terapista
Procedere dal reale livello del soggetto per raggiungere obiettivi
adeguati ai fini adattivi, cioè rispetto alle esigenze che l’ambiente
propone e rispetto alle curiosità del bambino.
Mettere il bambino in grado di valutare i risultati che raggiunge;
saper accettare e correggere gli errori.
Usare modalità di di facilitazione e rinforzo: offrire opportunità di
ricavare strategie di soluzione.
Giungere a modalità di controllo (autocontrollo) del bambino
nell’esecuzione del compito. Ricordare l’importanza del linguaggio
come direttivo della condotta: il linguaggio adulto dirige l’azione
del bambino, il linguaggio del bambino è direttivo e guida della
propria azione.
Selezionare gli stimoli e allo stesso tempo, puntare al potenziamento
dell’attenzione simultanea e attraverso più canali.
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Inibire o controllare la tendenza alla perseverazione o
iperfissazione: scollare il bambino da uno stimolo; non
continuare troppo a lungo su un compito, soprattutto se il
bambino sbaglia; evitare la ripetitività.
Stimolare il bambino ad acquisire processi e rappresentazioni.
Favorire un graduale passaggio dal livello pragmatico alla
decontestualizzazione.
Giungere alla generalizzazione del compito, ovvero all’uso di ciò
che viene imparato anche al di fuori del contesto e della
relazione terapeutica.
Ricordarsi sempre di considerare: l’efficienza delle strutture
processanti, il livello di attenzione e concentrazione al compito;
l’utilizzazione dei meccanismi supervisori di controllo