visualizza rivista PDF

27
luglio
2014
in questo numero
Tecniche di Costruzione
Realizzazione Ruota del Timone
Cultura Navale
Filologia Navale
Museo della
Barca Lariana
Atrezzature
Modellistiche
Macchina Fascia Cavi
Le Pagine
Disegnate
Frullino per Bozzelli
Editoriale
Andrea Moia (Ordigno)
Sommario
In questo numero
2Editoriale
4 Tecniche di Costruzione
Realizzazione Ruota del Timone
8 Cultura Navale
Filologia Navale
21 Museo della Barca Lariana
22 Attrezzature Modellistiche
Macchina Fascia cavi
32 Le Pagine Disegnate
Frullino per Bozzelli
Redazione
Andrea Vassallo
Antonio Uboldi
Germano Oss
Luciano Bragonzi
Marco Topa
Roberto Venturin
Rodolfo Mattavelli
Grafica ed impaginazione :
Adriano Antonini
Capo Redazione : Andrea Moia
Responsabile : Presidente AMN
Roberto Venturin
Contatti
Redazione di VM
[email protected]
Associazione AMN Magellano
Via Paravisi, 1
20092 Cinisello Balsamo (Milano)
C.F. 94598450156
[email protected]
Foto in copertina “Corsaro II”
modello di Priamo Alessandro
2
Eccomi ancora qui a scrivere pochissime righe per redigere questo Editoriale per la nostra Rivista! “Tanto tocca
a te...” qualcuno a detto... Ma perché! Dico io! Perché in
una Associazione di Modellisti fatta dai Modellisti per
i Modellisti, ci devono essere solo poche persone che
arrancano per tirare avanti la baracca ?!?! La risposta
la sappiamo già e la sappiamo tutti: è la passione per
il nostro hobby che ci porta ad andare avanti, come in
tutte le cose. E siccome io mi occupo, almeno fino ad
ora, di raccogliere, ricercare, correggere, strutturare tutti
gli articoli per la rivista e per il portale... mi tocca! Eh
eh eh !!
Ragazzi... è che questo è un periodo, come ogni anno,
al quale ci arriviamo “stanchi” dal lavoro e dagli altri
impegni famigliari, e la forza diminuisce sempre più!
Fortunatamente, almeno per ora il tempo, almeno qui
al nord, ci regala delle giornate non troppo afose e calde
(anzi.. a volte la sera ci vuole un giubbottino) e quindi
anche i nostri pochi momenti liberi riusciamo a dedicarli al nostro hobby. Ma il problema grande è che con la
situazione Nazionale in cui ci troviamo, la depressione
avanza sempre di più, i soldi sono sempre meno, ed
il tempo anche. Tutto questo “nervosismo” si accumula
nei nostri animi, con il risultato che anche i nostri lavori o rallentano per mancanza di concentrazione o per
mancanza di voglia di fare. Ma noi siamo giovani e forti
(forse) e andremo avanti!
Va bhe.. dopo questo sfogo personale un po ludico, passiamo a parlare di modellismo e della nostra Rivista.
Oggi vi presento alcuni articoli parecchio interessanti.
A partire dalla macchina Fasciacavi costruita dal nostro
amico Andrea Vassallo. Il nostro super esperto di Vespucci si è dimostrato ancora una volta che è anche esperto
di micro-orologeria varia!! Ha trovato una grandissima
soluzione, perfettamente funzionante, per costruirsi con
pochissimo materiale, una perfetta macchinetta autonoma per fasciare i cavi. Vedrete che vi stupirete una
volta letto l’articolo.Vi sto a riproporvi anche un vecchio
articolo di GianPaolo Cusati rivisto e ristrutturato, sulla
costruzione delle ruote di timone. Ho “recuperato” volutamente questa presentazione perché, girovagando in
internet come mio solito, ultimamente ho captato che
molti Modellisti sono alle prese proprio con la ruota del
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Editoriale
Timone del proprio modello! (sarà che tutti i modellisti
si trovano a quel punto nella costruzione? sarà che ci
stiamo allineando tutti ?!? è pazzesco ma sembrerebbe proprio di si! eh eh eh). Essendo un articolo scritto
molto bene con delle belle spiegazioni ho pensato di
renderlo nuovamente pubblico per aiutare chi vorrà/
potrà approfondire la tecnica impostata da GianPaolo.
Devo però annunciarvi un problema a cui stiamo andando incontro: gli articoli in nostro possesso stanno
iniziando a scarseggiare. Abbiamo ancora materiale
(già archiviato e pronto) per pochissimi numeri, quindi
esorto vivamente TUTTI quanti i nostri Amici Modellisti
a mandarci i propri lavori, e le loro idee o invenzioni.
Ricordate che lo scopo di Magellano è la divulgazione
del Modellismo Navale in tutte le sue forme e ideologie!
Quindi non abbiate paura di fare brutta figura! Non esiste nessuno “nato imparato” ma esistono tutte persone
che “creano” il proprio... e questa è la sacrosanta verità!
Vi ricordo ancora: poche righe scritte in un documento
Word, senza perdere tempo in impaginazioni o altro,
e le foto da allegare all’articolo. Fate un bel pacchettino .ZIP e lo inoltrate a [email protected]. Al
resto penseremo tutto noi: Correggeremo gli eventuali
“svioni”, formatteremo il testo e l’impaginazione, e ne
creeremo degli articoli per il portale e per la rivista. Non
abbiate paura di scrivere anche cosa di cui si è magari
già discusso, perché comunque ognuno di noi ha idee,
tecniche, fasi di lavorazione completamente diverse, e
la cosa più bella ed interessante a volte è proprio poter
analizzare e vedere le cose sotto diversi punti di vista. Il
tutto fa nascere e crescere la nostra voglia di crescere
nel modellismo e personalmente, nella ricerca e nella
perseveranza di fare le cose. Quindi, veramente, non
abbiate paura a scrivere!
Scrivere è sinonimo di vivere e rimanere... ricordatevelo!
OK... ora che mi sono “prostrato” ai vostri piedi chiedendovi questo favore, passiamo a cosa bolle in pentole in
Magellano: niente! Eh eh eh eh ... direte voi.. impossibile!
Ed in effetti è praticamente impossibile stare fermi!
Purtroppo l’assenza temporanea di Carlo Cavaletto,
causa malattia (fortunatamente passata), e gli impegni sovrapposti di altre persone componenti il Consiglio
attuale, ha fatto si che l’Assemblea ordinaria annuale
sia stata protratta per dei mesi. Ora ci si para davanti
a noi il classico periodo di ferie, e quindi sarebbe improponibile attivare l’assemblea proprio in questi mesi,
quando la maggior parte degli amici modellisti si trova
in vacanza con la famiglia o i nipotini; capite bene che
l’affluenza (che non è mai stata tanto alta) ne risentirebbe notevolmente. E siccome questa dovrà e sarà
una Assemblea molto importante, visto che si parlerà
della nuova elezione del Consiglio, vogliamo fare le cose
fatte bene, cercando di avere la maggior disponibilità e
partecipazione da parte di TUTTI i nostri Soci. Quindi
attendiamo ancora un poco e poi vedremo veramente
i da farsi!
Per quanto riguarda le cose che bollono in pentola...
bhe sono tante credetemi. Ci sono parecchie idee prese in considerazione, una più bella dell’altra. Solo che
sono obiettivi abbastanza complicati e a volte difficili
da raggiungere in tempi più o meno rapidi. Quindi stiamo veramente, lentamente, vagliando tutte le possibilità
per poter dare ai nostri Soci un vero supporto utile alla
comunità. Si parla di monografie, di libri, di temi che comunque porterebbero via parecchio tempo alle persone
che vi si dedicheranno. E siccome non si vuole lasciare
niente di incompiuto si devono trovare i tempi ed i metodi certi per affrontare il tema proposto.
Di certo, almeno lo spero vivamente, è che per il prossimo anno ci sarà qualche cosa di concreto che possa
uguagliare se non superare le vostre aspettative: il tutto per portare avanti il nostro progetto di divulgazione,
come è stato fatto negli ultimi anni con la pubblicazione
di monografie e di un fantastico libro inedito! Vogliamo
almeno mantenere lo stesso livello... speriamo vivamente di riuscirci.
Bhe, che altro dire, se non in bocca al lupo a tutti per
le vostre mostruose opere che state costruendo, ed un
ringraziamento veramente di cuore a tutti gli amici che
mi hanno scritto personalmente per mandarmi i lori
piccoli lavori! Grazie di cuore, e non temete che tutto
verrà reso pubblico nella totale trasparenza e benevolenza di sempre
Ciao a tutti e Buon Modellismo
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Andrea Moia
3
Tecniche di
Costruzione
Gianpaolo Cusati (JP)
Realizzazione Ruota del Timone
Figura 1
Oggi riportiamo, come gradito ritorno, un vecchio articolo di GianPaolo Cusati, alias JP, su una
interessantissima tecnica per costruirsi la ruota
del timone, davvero ricco di ...sorprese. Come
sempre Puntuali e precisi i dettagli, ricchi e chiari
gli schemi di costruzione. Ringraziamo ancora oggi
JP per il suo contributo davvero notevole!
Cari amici modellisti, quante volte siete arrivati a finire l’allestimento del ponte del vostro bel
modello di veliero, completo con argani, tambucci,
lucernari, pazienze, etc...ed arrivati a finire la chiesuola della bussola, vi siete chiesti : “..e ora...come
la faccio la ruota del timone??!!..”. Ed a questo punto (come è capitato molte volte a me) rivolgervi
ai timoni “commerciali”, di legno tornito (ma fuori
misura) o peggio di metallo fuso??
Beh... sinceramente, ad un certo punto mi sono
stufato di andare a cercare disperatamente (con il
centimetro alla mano) il timone giusto per i vari
negozi e negozietti di modellismo di Roma e dintorni.. ed allora mi sono messo a pensare come
poterlo realizzare da me.
Prima di tutto mi sono andato a leggere su riviste
e manuali di modellismo le varie tecniche utilizzate ed ho visto che sono molte e differenti: c’è chi
usa il tornio per lavorare la ruota del timone, chi
la realizza a segmenti di arco di cerchio incollati
insieme, etc...
Personalmente credo di aver messo a punto, invece, una tecnica abbastanza inusuale che potrei
chiamare “a lamine” e che, personalmente, non ho
mai visto descritta prima d’ora.
L’idea mi è venuta ripensando al modo in cui avevo realizzato i cerchi delle ruote a pale del mio
modello della Cairo: appunto lavorando con “lamine” di legno con spessore molto sottile arrotolate intorno ad una forma cilindrica.
Questo è stato lo spunto di base; vediamo ora
come si è invece indirizzato alla costruzione del4
la ruota di un timone. Innanzitutto, bisogna avere
ben presenti le dimensioni della ruota esterna del
timone, e cioè :
• A = Diametro esterno del cerchio
• B = Diametro interno del cerchio
• C = Spessore della sezione del cerchio
• A – B = spessore del cerchio della ruota
Queste indicazioni si vedono meglio schematizzate nella Figura 1.
Un’altra cosa da tenere in considerazione è anche l’andamento della sezione relativa allo spessore del cerchio. Per esempio, su alcune ruote di
timone, i due lati esterni del cerchio sono decorati
con una placca circolare di ottone che riporta inciso il nome della nave (esempio nella Figura 2)
A questo punto iniziamo la costruzione della
ruota del timone. Per realizzarla abbiamo bisogno
dei seguenti materiali :
• Striscioline di legno sottile e flessibile (ad es. il
tiglio è un ottima essenza..) o di pezzi di impiallacciatura con larghezza pari alla spessore esterno
della sezione del cerchio (spessore A nella Figura
2) e con spessore molto sottile (0,5 mm od addirittura inferiore)
• Striscioline di legno sottile e flessibile o pezzi
di impiallacciatura con larghezza pari alla spessore
interno della sezione del cerchio (spessore B nella
Figura 2), anche questi con spessore molto sottile.
• Colla ciano-acrilica in gel, non liquida (ottima il
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Tecniche di
Costruzione
Figura 2
Super Attack in gel – flacone colore blu)
• Un tondino pieno di legno o plastica con diametro pari al diametro interno del cerchio del timone (diametro B della Figura 1)
Si inizia con il bagnare le striscioline di legno con
acqua (calda o tiepida va bene) e poi si devono
arrotolare intorno al tondino.
Si lasciano quindi asciugare mantenendole arrotolate al tondino e fermandole ad esempio con
una molletta o con un piccolo elastico.
Una volta asciugate, si noterà che le striscioline
mantengono la forma circolare. A questo punto si
inizia a far girare strettamente la prima strisciolina
intorno al tondino e, aiutandosi con le dita per
tenerla serrata, la si incolla dal 2° giro in poi, un
tratto alla volta, con gocce di colla ciano-acrilica,
in modo da formare un anello (vedi Figura 3) composto di tanti “giri” di legno che abbiano uno spessore complessivo pari al diametro C di Figura 2.
Mi raccomando di porre attenzione ad usare la
colla cianoacrilica in gel solo un po’ di gocce alla
volta, evitando che, quando la strisciolina di legno si
incolla sullo strati inferiore, la colla debordi ai lati,
incollando l’anello al tondino usato come forma.
A questo punto, si lascia asciugare il primo “anello” realizzato che, ricordiamo, corrisponde al diametro C indicato nella Figura 2.
Ora, si ripete l’operazione per la costruzione
di un secondo anello, concentrico al primo e di
diametro maggiore, ma utilizzando la strisciolina
Figura 3
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
5
Tecniche di
Costruzione
Figura 4
di legno con la dimensione più piccola uguale allo
spessore B indicato nella Figura 2. (vedi Figura 4).
Nella figura non viene indicato, ma suggerisco
di lavorare ancora con il primo anello infilato nel
tondino che fa da supporto ed aiuta a mantenere
la forma circolare al tutto.
con attenzione, si ottiene un anello di legno, formato dalle varie fascette sovrapposte e con una
scanalatura su entrambi i lati esterni dell’anello.
Si carteggia l’anello sia esternamente sui lati che
intorno ai diametri interno ed esterno, in modo
da realizzare un anello di legno senza “gobbe” o
giunzioni visibili.
A questo punto, si può colorare con vernici all’anilina scura, oppure passare del turapori prima di
verniciarlo in colore scuro (legno o nero)
Le due scanalature sono gli alloggiamenti per le
due “guarnizioni” di ottone che possiamo realizzare con del filo d’ottone adeguatamente tagliato,
piegato ad anello ed eventualmente saldato alle
estremità per poter realizzare un anello.
Passando una delle facce dell’anello su cartavetro,
la si appiattisce leggermente in modo da renderla meno “tonda” in sezione e le si dà una lucidata con una spazzola o con un feltro montati su il
mandrino del trapano.
A questo punto non rimane che mettere un po’
di colla nella scanalatura della ruota del timone ed
incollarci dentro l’anello di ottone, con il lato piatto e lucido verso l’esterno (vedi figura 6)
Figura 5
Durante l’operazione di incollaggio
si deve far attenzione a posare la nuova striscetta
di legno esattamente al centro dell’anello precedente e che anche in questo caso non avvengano
sbordature di colla.
Infine, si ripete ancora l’operazione di incollaggio
di una nuova strisciolina (uguale alla prima, di spessore pari ad A come indicato in figura 2) che deve
essere incollata sopra quella centrale, cercando di
mantenere anche questa esattamente al centro
della strisciolina precedente. (vedi figura 5)
Una volta asciugata la colla, se tutto è stato fatto
6
Figura 6
Si effettua la medesima operazione con un’altro
anello di ottone trattato e lucidato, e si incolla
quest’ultimo sulla faccia opposta del timone, come
per il primo.
La ruota esterna è così terminata ed un esempio
è dato nella figura 7 che rappresenta la ruota del
timone della corvetta francese Le Sphinx realizzata con la tecnica descritta.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Tecniche di
Costruzione
A questo punto non rimane che realizzare l’asse della ruota del timone
ed i “raggi” con le impugnature.
Ci sono molti modi per
realizzarli... torniti; separando impugnatura e
raggi interni; dritti, etc...
Voglio spiegarvi come li
Figura 7
ho realizzati io... dritti e
molto semplici, in questo caso.
Beh...la realizzazione dell’asse della ruota non è
stato un compito difficile...si trattava solo di avere
le esatte dimensioni di diametro e di lunghezza
del mozzo. Una volta tagliato a misura, ho riportato, sulla circonferenza esterna, i riferimenti di dove
avrei effettuato i fori per inserire le estremità dei
“raggi” che toccano sul mozzo (vedi figura 8) ed
ho forato il mozzo, con una punta da 1 mm, per
Figura 8
dei raggi che li congiungono.
Dopodiché ho posizionato, sul foglio di carta, sia
il mozzo del timone che la ruota esterna,
fissandoli al foglio con dei piccoli pezzi di nastro
adesivo trasparente, avendo cura di allineare i fori
lungo le linee dei raggi. (vedi Figura 9)
Figura 9
A questo punto, ho inserito dei piccoli pezzi di
tondino da 1 mm nei fori della ruota esterna, fino
a farli entrare nel foro del mozzo. I pezzi di tondino sono leggermente più lunghi della lunghezza
massima del raggio.
L’incollaggio è stato fatto con alcune gocce di
colla cianoacrilica, inserita nei fori, prima di infilarci i tondini.
Quando i tondini sono incollati, li ho tagliati a
misura, secondo la lunghezza massima e ne ho arrotondato la punta con carta vetrata sottile (vedi
Figura 10)
Figura 10
una profondità di circa. 2 mm per ogni foro.
Anche sul diametro della ruota esterna, ho tracciato lo stesso numero di riferimenti esterni (per
il medesimo numero di raggi) di quelli del mozzo,
ed ho fatto dei fori, sempre da 1 mm di diametro,
e sempre “radiali”, ma questa volta passanti attraverso il diametro completo della ruota esterna.
Ora si trattava di effettuare l’incollaggio dei raggi
tra il mozzo e la ruota esterna.
Prima di tutto ho disegnato con riga e compasso,
su un foglio di carta, la silouette esterna della ruota del timone e del suo mozzo, indicando gli assi
Staccati i pezzi di nastro adesivo, la ruota del timone è pronta per essere montata sui suoi supporti. Ciao a tutti gli amici modellisti ed a riscriverci presto.
Jp
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
7
Cultura Navale
Filologia Navale
Giovanni Santi Mazzini
FILOLOGIA NAVALE
Sopra: modello di Botter, caratteristica imbarcazione
olandese, costruito dall’Autore con piani di progetto
propri. In basso: polena di modello realizzata in creta.
In un precedente articolo, ho elencato alcuni
termini nautici in parte
desueti, ma sempre ricorrenti nei testi originali.
Non ritenendo però che
la semplice conoscenza
erudita della terminologia
sia tutto sommato molto
utile alla ricerca, ma costituisca piuttosto un mezzo
immediato di comprensione, non posso non proseguire sulla strada a ritroso che è oltre la porta
«parola», e che conduce all’origine molto spesso
lontana e insospettata del termine stesso. L’utilità di questa operazione si trova a volte maggiormente nei tratti più oscuri del sentiero quasi mai
diritto e agevole che porta al mattino del tempo,
quando la parola e la lingua erano appena nate e
già erano di una precisione e complessità tali da
farci ritenere, noi, uomini del 20° secolo, dei parvenus o dei bambini ritardati. Non diversamente
da altre ricerche, quella filologica ci porta per il
mondo, dimostrandoci che, saldamente adesso ad
8
ogni parola, sta un concetto astratto ad un oggetto peculiare di un popolo, e che ad ogni variazione
morfologica o concettuale della stessa parola corrisponde un evento storico.
La filologia perciò è per la storia quello che la
genetica è per la vita: la parola sta all’Uomo come
il nucleo sta alla vita. Se gli scambi fra culture terrestri furono necessariamente lenti, quelli fra popolazioni marine risentirono positivamente della possibilità di conoscere più gente nuova e più
spesso: questa è la ragione per cui la terminologia
navale è così inquinata, ma è anche il motivo per
cui è tanto fruttifera per lo Storico. Infatti, ogni
parola straniera acquisita costituisce l’orma di un
evento, piccolo o grande: un buon esempio è dato
dal dialetto, e vorrei dire lingua, ligure, dove si trovano termini adattati dall’arabo, dallo spagnolo, dal
francese e dal tedesco, a riprova dell’antico viaggiare di questo popolo che, insieme ai Baschi, è il
più antico d’Europa.
Quanto ai nostri termini, vedremo come quelli
romanzi non siano la maggioranza, e come il significato apparente non sia affatto quello reale. Un
primo gruppo di parole che dimostrano quanto
appena detto, è quello costituito da termini pseudozoologici: gatta, gatto, porca, cacciacavallo, cicala, cappone, barbagianni, coniglia, falca, torello; e
veramente zoologici: cammello, capra, biscia, cani
di serpa, vacchetta, boccadilupo, delfini. La gatta, o
pila delle cubie, è quella cassa di legno, provvista di
ombrinali (tramogge) posta dietro agli occhi di cubia per raccogliere l’acqua di scolo delle gomene.
L’etimo più probabile è il latino gabata (scodella),
in quanto nei secoli 14°-15° si intendeva per «gatte» la coffa, tonda e cava, e quindi «recipiente».
L’equivalente inglese «manger» (mangiatoia) ha
dunque lo stesso significato di «cosa atta a raccogliere». Il gatto invece indica: a) un tipo di nave,
b) uno strumento. Nel primo caso si tratta di una
semplice omofonia del termine inglese «cat», nave
dalle estremità fini, a sua volta derivato dal latino
«catus», sottile, nel secondo di uno strumento a
più artigli usato dai fonditori per saggiare l’interno
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
che lo dimostri, si potrebbe però far
riferimento al latino «porca» (cresta
che divide i solchi). Non sussistono
invece dubbi sull’origine non zoologica del termine cacciacavallo: come
dice argutamente Jal «Nous ne
comprenons pas l’analogie qu’ont
pu trouver les marins italiens entre un cheval chassé et la clef d’un
mat..», il cavallo non è mai salito su
una coffa; si tratta invece della corruzione di cassa con caviglia, cioè di
quel perno che si infila nella rabazza
per impedire la caduta dell’albero
dopo il ghindamento. L’ancora viene
bozzata facendo passare la piccaresModello della galera «La Reale» di Francia (piano costruttivo dell’A.A.M.M. di sa nella cicala; ecco del buon arabo
Parigi). Lo scafo delle galere discende direttamente dalle antiche liburne romane. per un terragnolo. Sozzare significa
fermare con una bozza, cioè con un
delle canne, e perciò chiamato come il felino docavo facendo un nodo o una volta; sull’origine di
mestico (lat. «cattus»). La porca, contromadiere di
bozza i pareri discordano, andando dal latino «borrinforzo al fasciame interno, non ha niente di evisa» all’incerto antico tedesco «bottia», e ancora al
dente da spartire con i suini, mentre è da notare
latino «pulsum». Il primo etimo dovrebbe essere
che l’equivalente anglosassone è spoor; l’origine
il più aderente alla realtà del nodo e del ricurvo,
non è però chiara, ed è complicata dal fatto che a
atto a fermare, come dimostrerebbe il calco adotCartagena «puercas» erano pezzi di legno dell’artato nelle lingue anglogermaniche (stopper). Non
caccia. Pur non disponendo di uno scritto originale
è da escludere che la stessa origine possa essere
applicata al bozzello, in quanto di forma tondeggiate (= rigonfia). La piccaressa, nome specifico della
bozza di capone, risulta dall’aferesi di «appiccare»,
la cui radice si suppone essere l’anglosassone «peack» e il cui significato passerebbe da «punta» ad
«appendere a una punta («impiccare», genovese
«picaggia») e quindi «sospendere». E veniamo alla
cicala, che insetto non è, con buona pace del Guglielmotti (« ..nell’ondeggiamento del mare sempre stride »). Anche Jal, che fornisce una spiegazione piuttosto macchinosa arenandosi al provenzale
«cigar, cigada» = testa, non mi sembra aderire alla
Modello di imbarcazione caratteristica del Nord-Europa. forma dell’anello (anchorring in inglese).
Piano costruttivo dell’Autore che - molto spesso - disegna
Mi sembra invece più accettabile il significato lapersonalmente il modello da costruire documentandosi pri- tino di «cicada», fermaglio rotondo per i capelli,
ma accuratamente su ogni particolare.
usato dai Greci prima dei Romani sotto il nome di
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
9
Cultura Navale
Filologia Navale
oggi nella dizione «capone» come una
robusta trave sporgente dal castello
di prua e dotato di un paranco e di
una piccaressa, ma, stando a diversi
antichi dizionari (Guillet, Desroches,
Guglielmotti) il significato corretto è
quello di «paranco», derivato dal latino «capere» = prendere. Perciò occorre parlare di «gru di capone» (il
cui antenato greco è l’epotide) per
non generare confusioni. L’inglese
Modello in scala 1:75 del vascello francese «Le Protecteur» (disegno «cat-head» deve invece essere tradotto alla lettera, perché la testa della
dell’A.A.M.M. - Associazione Amici dei Musei della Marina - di Parigi).
gru pare fosse scolpita con fattezze
téttix. Anche il termine corrispettivo francese
«organeau» proviene dal greco «organon» (stru- feline. Sempre a proposito di gatti, è nota a tutti
mento) passando per l’italiano «argano», sottin- l’apertura al centro della coffa, occupata in parte
tendendo il fatto che l’anello veniva alzato, appun- dall’albero, dalle barre e dalle sartie, che va sotto il
nome di buco del gatto (o dei lupo: boca de lobo;
to, con l’argano.
L’antico francese, però, abbandonò il termine gre- o del marinaio inesperto: lubbershole; o del soldaco «argano» per quello latino «cabestan» (come to: Soldatengat). Per i marinai esperti e coraggiosi,
del resto l’inglese «capstan» e il russo «kepsto- che raggiungevano la coffa per la via più difficile,
ne»). In origine infatti, e tuttora in Provenza, suo- cioè per le riggie, il passare per questa via, più sicunava «capestran» dal latino «cavestrum» (=cavez- ra, era da furbi (gatti), da inesperti, da vili, o da solza, corda), quindi «ciò su cui si avvolge la corda». dati imbarcati, con i quali non correva buon sanIl termine tedesco «gangspiel» dimostra lo stesso gue. Il barbagianni (barbe-jean, oggi sous-barbe de
movimento, di un «perno che va (gira)», compo- beauprés) è la briglia di bompresso, ed il suo uso è
nendo l’anglosassone «gan» = andare con «spin- limitato, come termine, all’area corso-provenzale.
Jal ne ha tentato una spiegazione proponendolo
del» = perno.
Neppure il «cappone» è mangereccio: si accetta come una corruzione di barba-giù; «barba» è un
termine accettato per «corda che sta
sotto», per cui l’aggiunta di giù appare
pleonastica, ma il significato indubbio
di corda per barba esclude comunque
il rapace, in questione per una semplice omofonia. Così pure la falca è corruzione di falce, cioè «tavoletta fatta a
falce (ricurva) posta sul capodibanda
per rialzare il bordo». La falca è mantenuta in situ da uno o due maccheroni, montanti derivati dal provenzale
«macarons», a sua volta mutuato dal
greco «manganon» (=perno).
Vascello inglese di I° rango (H. M. S.Victory) in cantiere.
10
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
Coffa di nave inglese del
XIV Secolo (da Nance).
(qui sotto): Modello di
catapulta e di caravella
portoghese.
In alto: Tritone poppiero di galera veneziana (da Hansen).
in alto a destra: Figura (polena) del Warrior (1860), da
Carr Laughton, e «Leone» sui
sabordi del Wasa (da Franzer).
La marina remica mediterranea presenta oggi
una terminologia del tutto particolare e in parte spiegabile: conosciamo la funzione di un termine ma non l’origine lessicale, o viceversa. Tale per
esempio il caso della «coniglia», ultimo banco prodiero della galera, dove, secondo numerosi Autori
del ‘600, venivano posti i galeotti più deboli e vili.
Questa spiegazione, troppo trasparente, è stata
respinta da Jal, il quale peraltro non ne propone
di migliori. Effettivamente il concetto di debole e
vile urta contro dati di fatto pratici e linguistici: 1) i
«coniglieri» erano addetti anche al salpare i ferri, e
qui sfido chiunque a dimostrarmi che sette persone poco forzute riescano a sollevare dal fondo un
ferro di alcuni quintali; 2) il termine per ritirare i
remi entro bordo è «acconigliare»: dunque è un’operazione non limitata alla sola coniglia; 3) l’equivalente spagnolo è «coneja» o «corredor», mentre la stia dei conigli è «conejera», e lo spagnolo
più antico diceva «curulla»; 4) il termine genovese
è «còniggia» mentre la conigliera è «còniggéa», e
«còniggiu» vale anche per «cunicolo». Tutto ciò
mi sembra indicare un «passaggio», appunto lo
spazio al di sotto delle rembate che inizia subito
dopo l’ultimo banco. Infine il torello, prima tavola
del fasciame, incastrata nella battura della chiglia:
l’origine è latina, «torus», cioè sostegno o protuberanza, come si intende in architettura, ad es., alla
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
11
Cultura Navale
Filologia Navale
a tre piedi, dovette il suo
nome all’ovino dall’unghia forcuta. Bisce erano
canaletti tortuosi (ombrinali di stiva), praticati
sulle facce dei madieri e
del paramezzale, per condurre le acque di scolo al
pozzo della tromba. Sempre in virtù delle possibilità contorsioniste della
biscia (dal latino bestia), si
parlava di bisce per corde
avvolte in duglia, oppure,
meno frequentemente,
Cocca di Elbing In alto: (da Làndstròm) sotto vascello «Le Protecteur». Tutti i disegni ed i
per indicare il viradore.
modelli che illustrano questo articolo sono dell’AUTORE.
Biscione era ancora per i
veneziani un palischermo
lungo e sottile.
Le serpe, pezzi di legno
ricurvi e scolpiti delimitanti i lati della polena,
sono sostenuti da bracciuoli detti «cani di serpa», i quali le agguantano
come il morso del cane.
Per prevenire danni da
sfregamento, si usava
dove più necessario una
pelle di vacca, la vacchetta.
Lo stesso termine veniva
impiegato per indicare un
quaderno per matricola o
base della colonna.Veniamo ora agli animali «veri»:
l’antenato del moderno bacino di carenaggio fu il altre annotazioni giornaliere.
I delfini, al tempo della marina greco-romana, eracammello, costituito da due enormi cassoni di legno che venivano affiancati alla nave per sollevarla; no masse di ferro di forma oblunga che venivano
il passo successivo fu quello di costruire una «cor- fatti cadere da una nave sull’altra per sfondarla,
nice» di cassoni con un fondo, in modo da pote- mentre in tempi più recenti indicavano i manigliore essere svuotata ed avere lo scafo a secco. Per ni dei cannoni, scolpiti appunto in forma di delfino.
Anche l’anatomia è ben rappresentata nella norassomiglianza alle due gobbe del cammello, i due
menclatura
navale, e non ha bisogno di spiegazioni:
cassoni originari ne portarono il nome. Un’altra
macchina da porto, la capra o cavria, cioè una gru anticuore (controruota di poppa), poppa, calcagnolo, bracciolo, gambe (rigge), anca (terzo poste12
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
II timone si presenta molto interessante per la
linguistica comparata: bisogna infatti pensare alla
forma e alla funzione del timone antico, che era
quella di dirigere tramite un remo poppiero e laterale con una pala più grande degli altri. Il timone latino si chiamava gubernun (gubernaculum),
da cui l’espressione governo, governare, governatore, mentre la stanga di legno a cui venivano
aggiogati i buoi era detta «temo, -onis». Questo
rende ragione del fatto che in epoca medievale
il timone era detto «governaglio», mentre dopo
l’acquisizione del timone alla navarresca (centrale e incardinato sulla ruota di poppa), provvisto
di una manovella, questa venisse definita «timone». In seguito a sineddoche, si intese timone per
Fanali di poppa inglese e francese (di vascelli) e spagnolo e
francese (di galera) dei secoli XVII e XVIII.
Macchina per alberare
(da Lescallier).
riore della nave), occhi (di cubia), costa, batticulo,
culatta, coglionotti.
Quest’ultimo termine si riferisce a due pezzi di
legno inchiodati al calcese e provvisti di fori per il
passaggio dell’amante. Grazie alla pruderie dimostrata da tutti i dizionari, è difficile dire se si tratta
dell’ipocoristico della voce popolare per testicolo;
ritengo però che la voce sia stata mutuata dall’architettura militare, dove «coglione» sta per «difesa». (Tommaseo).
Macchina per alberare francese del secolo XVIII. Il «diorama» è stato realizzato dal Dr. Giovanni Santi - Mazzini su
disegni e documenti d’epoca.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
13
Cultura Navale
Filologia Navale
Macchina francese per alberare del secolo XVII, dell’epoca
cioè di Luigi XIV e del suo ricco e glorioso vascello «Le SoleiI
Royal». Anche questo modello è stato ricostruito dall’autore basandosi su illustrazioni e documenti dell’epoca.
dall’anglosassone raca = catena. Un bell’esempio
di., scambi culturali!
La bitta è un pezzo di legno verticale, singolo o
in coppia, atto ad avvolgervi una manovra o una
gomena: infatti, l’originale anglosassone «bitan» =
mordere-fermare dava bene l’idea della funzione.
La traversa che unisce le due colonne ( = stanti) era detta stramazzo perché fungeva da cuscino
(strame-stramazzo). Una bitta speciale e molto
robusta, dotata di pulegge, era il maimone, bittone
per la drizza dei pennoni maggiori, ma anche bitta
poppiera e prodiera sulle galere. Il fatto d’essere
originariamente scolpita con una testa di scimmia giustifica il termine, che proviene direttamente dal greco maimon = scimmia (Jal). L’origine di
chiglia è nordica, derivando dall’anglosassone kiol
(ingl. keel; ted. Kiel), ma in latino era carina, forse derivato dal greco kàrenon = testa, nel senso
di «pezzo più importante ». Dopo l’introduzione
di «chiglia», la carena è passata a significare l’opera viva. La chiglia continua, rialzandosi, con le
ruote, Si dovrebbe dire ruota di poppa, anche se
ormai da sei secoli questo pezzo non è più curvo
(«dritto di poppa»): effettivamente, gli antichi costruttori consideravano la nave un guscio («cocca») arrotondato anche agli estremi. Quando la
poppa divenne quadrata e la sovrastruttura più
la pala, e la manovella chiamata anche agghiaccio,
dal greco oiax. Nelle lingue nordiche si esprime lo
stesso concetto di «remo» con «rudder», dall’anglosassone rother = remo. La manovella ha avuto
altri nomi dialettali, quali il veneziano arigola (da
arguola-agolum = bastone, sec. Jal; da adrigo = reggo, secondo me) e ribolla che dovrebbe esserne
una corruzione igola-ribola). La corda di ritegno
(o di manovra) dell’agghiaccio è detta frenello (o
fornello) da frenum ed ha come corrispettivo il
calco anglosassone truss (drosse in francese), da
thrussen = fermare. Da notare che la radice è pervenuta all’italiano per indicare quel cordaggio più
o meno complesso atto ad unire pennone e albero: la trozza. Questa, in francese, si chiama racage,
Interessante dettaglio di modello di nave del XVII secolo
con polena, serpi e bompresso. Molto spesso l’Autore costruisce i suoi modelli su piani costruttivi propri, alcuni dei
quali saranno presto disponibili per tutti i modellisti.
14
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
imponente («castello), si dovette necessariamente
irrobustirne la struttura portante con la verticalizzazione della ruota, l’apposizione di una robusta
trave alla sommità di questa, e con una struttura
al di sotto della trave («dragante») che sarebbe
lentamente sfociata nell’arcaccia. Il nome della trave è in italiano dragante, derivato da «tricanto»,
cioè a tre angoli, mentre il corrispettivo francese
lisse di hourdi si traduce come «pezzo di riparo».
Se il francese descrive la funzione, l’inglese «wing
transom» ha, come l’italiano un significato icastico:
significa infatti «trave ad ala».
Sulla chiglia riposano le coste, la cui frazione centrale è detta madiere (dal latino materia, legname).
Il francese varanque è più specifico se si accetta
l’origine bretone gwarek = curvatura (= centina),
mentre l’inglese floor ha significato di «base». Madiere non è poi da confondere con la voce veneziana «majeró» che significa «tavola di fasciame»,
di etimo ignoto.
L’ossatura del ponte è formata dai bagli, la cui origine germanica Balken - trave, anglosassone beam
= trave, e latina baiulus = trave di sostegno, costituisce un calco comune con una evidente uguale
radice indoeuropea.
Infine coste e bagli sono legati dal trincarino, la
cui origine latina stringere ha dato luogo anche a
trinca e trinchetto.
A proposito di alberi, l’attrezzatura rappresenta
un pantano filologico ricchissimo e per gli scambi
linguistici spesso errati e per la fantasia di cui hanno dato prova i nostri antenati. Cominciando da
prua si trova il b(u)ompresso, corruzione dell’inglese bowspriet. Il termine italiano dà la falsa idea
del buono e quello francese (beaupré) del bello,
mentre derivano tutti da boh (curva = prua) e
spreot - bastone (sporgente). Oggi il solo tedesco
resta il più aderente con Buaspriet. Al bompresso fa seguito il trinchetto (perché stringe il vento), termine in comune con la sola marina iberica
(trinquete): per gli inglesi esso è soltanto «l’albero avanti» (fore-mast), altrettanto per i tedeschi
(Fockmast), mentre per i francesi è «l’albero di
Figura di prua - Sec. XIX (da Hansen)
mezzo» (misaine). In verità, nel medioevo, l’albero
di mezzo era chiamato mezzana, e quello successivo artimone (greco artémon), ma, con l’evolversi
dell’alberatura e con l’aumentare del numero degli
alberi la confusione andò aumentando e i soli ad
aver conservato le vestigia del passato sono stati
i francesi, con l’eccezione della maestra. La marina
francese, però, si trova nella condizione, divisa con
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
15
Cultura Navale
Filologia Navale
la Spagna, di essere tanto mediterranea quanto
oceanica, e per mediterranea intendo sopratutto
«galera». Su queste navi, infatti, il primo albero era
detto «trinquet» ed il secondo «maistre», laddove su navi a vele quadre era giustificato parlare di
«misaine» e «artimon»..
al ‘400 la sommità dell’albero recava una «cesta»
per l’osservazione e per il combattimento. Questo secondo segmento fu aggiunto per aumentare
la forza velica della maestra, ed è evidente che sul
trinchetto fu aggiunto in un secondo tempo, visto
che prese il nome di parrocchetto (perroquet). Jal
lo fa derivare dal greco paraochetos (risorsa) o da paràuxein
(aumentare).
Molto più controvertibile l’origine del pappafico, vela e albero
oggi meglio chiamati velacci. In
diversi documenti dal 14° secolo in poi, lo si ritrova come «papafigo», per vela alta o, più raramente, bassa. Il fatto che venga
nominata come «vela di bisogno» ha fatto ritenere a Jal che
l’origine sia greca: parapheugo =
sono pronto alla fuga.
Gli alberi sono trattenuti da
sartie, cordami d’attrezzatura
come l’originale greco exartion,
Qui sopra. Caracca (Kraeck) ricostruita sulla traccia del celebre dipinto del mae- e da stragli, corde fra le più rostro fiammingo. W.A. del 1470 circa. Notare il grappino sul bompresso. Anche in buste, il cui etimo più probabile
è «stare» nel senso della maquesto caso i piani costruttivi sono dell’Autore.
novra dormiente. Le lingue euQuando apparve la nave a tre alberi verticali (ol- ropee concordano abbastanza sullo straglio (étai,
tre al bompresso, dunque) quello centrale divenne stay, Stag, estay), mentre le sartie si dimostrano
il più importante: maestro per noi, grand màt per veramente nazionaliste: haubans (fr), obenque (sp),
i francesi, Grossmast per i tedeschi, mainmast per ovem (port), hoofdband (ol) derivano tutti da un
gli inglesi. Da notare come tutti concordino, ma unico ceppo kopband = incappellaggio, ma l’inglese
anche come i francesi non abbiano voluto mesco- shroud, da scrud = fascia, e il tedesco Want (con
lare termini di galera.
significato anche di guanto, quindi di fasciare) da
Il terzo albero, di mezzana, non ha lo stesso si- wendan. Il latino rudens, perciò, è completamente
gnificato storico di misaine, dovendosi intendere scomparso.
come « dietro l’albero di mezzo (maestra)» o «di
Le galere, per reggere le vele, erano fornite di anmezzo alla poppa»; si ritrova identico in inglese tenne, costituite da due segmenti principali: carro
(mizzenmast). Nel 16° secolo invalse l’uso, presto e penna. Quest’ultimo termine fu adottato, come
dimenticato, di aggiungere un quarto albero, la bo- accrescitivo, per indicare l’antenna orizzontale
naventura (fortune, in francese), di significato tra- delle vele quadre, e non va perciò confuso con il
sparente. Al di sopra degli alberi bassi si trovano pennone (pannone) nel senso di bandiera, stengli alberi di gabbia (gabata), così detti perché fino dardo.
16
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
La vela trova due aree linguistiche: a sud deriva da
velum (e secondo qualcuno
anche dalla contrazione di
vexillum), a nord dal germanico Segei (sail, zeil). Anche
la nomenclatura velica risente molto delle differenze geografiche, mancando
infatti nelle lingue nordiche
gli equivalenti dei termini di
galera: come per esempio
bastarda, borda, marabutto,
le tre vele latine in ordine
di grandezza delle galere
italiane issabili sulla maestra.
Per bastardo (batard) si intendeva nel 15-17° secolo Yach olandese del XVII secolo. A prua, subito dietro il bompresso, si nota il mulinello.
qualcosa dì grande anche se
non se ne conosce la ragione, la borda (bourde) di irrobustirla: gratile viene infatti dal tardo latino
deriva forse da bordare = stendere la vela, il mara- gratula, a sua volta derivato dal grego kratéuo = irbutto, è forse una corruzione di mattabuffo (= che robustisco. In italiano è anche ammesso il francesismo ralinga{ = ralinque), il quale poi francese non
resiste al vento), in francese boufette.
Le sartie sono arridate per mezzo di due bigotte è, derivando dal tedesco Raa Leichen, cioè corda
e un colatoio. La bigotta non è una donna ecces- per il pennone, al quale (Raa) infatti si inferisce la
sivamente pia, ma l’ipocoristico di biga (gru = pa- vela tramite il gratile (corda = Leechen). La vela
ranco), in spagnolo vigota. Le altre lingue europee è legata al pennone, o terzaruolata, grazie a brevanno dall’inglese «occhiomorto» (deadeye), al vi corde dette matafioni sulle galere e gaschette
tedesco «vergine» (Jungfer), al francese «testa di sulle navi a vela quadra. Matafione, scritto in anmontone» (cap de mouton). Questi termini così tico anche mattatone, viene da matta fune, cioè
variopinti sono probabilmente dovuti all’aspetto fune pendente e di libero movimento; gaschetta è
antropomorfo della bigotta: due occhi e una bocca. corruzione del francese garcette (tuttora usato)
Anche il colatoio ha un significato differente per l’inglese gasket, il quale ha dietro a sé un’andal colare, in quanto erronea scrittura di «colla- tica storia di ... acconciature spagnole. La garceta,
tore», da collare = tesare. Ciò è ben dimostrato anzi le garcetas, erano trecce di capelli, o ciuffi, che
dall’altro termine (corrotto) italiano «corridore» gli spagnoli portavano sulla fronte nel 14° secolo.
e dallo spagnolo acollador. Analogo significato ha Questa moda fu anzi proibita agli arabi (moriscos)
il francese ride, provenendo dal latino rigidare = perché non potessero essere confusi con i cristiani.
Per impedire alla vela di poter sbattere, dalle rairrigidire, tenendo però presente che sulle galere
il termine era couladoux. Per tedeschi e inglesi l’e- linghe di caduta, tramite b se, partono le botine,
quivalente è descrittivo e non funzionale: Taljeree- corde amarrate a prua: bow lines, appunto, in inglese. La superficie velica non è ovviamente contipen e laniard (cordicella).
Al bordo della vela è cucita una corda allo scopo nua, ma formata da più lembi verticali di tela, detti
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
17
Cultura Navale
Filologia Navale
Qui sopra: Scheletro della poppa della H. M. S. Victory. Qui
accanto lo stesso modello visto dall’alto.
ferzi, pura eredità dal greco fàrsos = parte. I ferzi
sono cuciti l’uno all’altro con particolari cuciture: il bordo del ferzo è ribattuto e sovrapposto a
quello del vicino lasciando uno spazio, il bigorello,
per la midolla, corda di rinforzo. Bìcaro era detto in italiano antico un nastro di rinforzo, da cui
bigherello e bigarello: i dizionari danno un etimo
incerto, tuttavia mi sembra proponibile un’origine
grec a (bikàre = due orli). Altre manovre per fissare la vela impedendole di sbattere sono la scotta e
la mura; la scotta tira la vela a poppa, ed è questo
significato di sceotan, anglosassone, da cui escota,
écoute, sheet, Schot, schoot). La mura, partendo
dalla stessa bugna del trevo, controbilancia la scotta; l’origine della parola è spagnola, amura, probabilmente da murata, fianco della nave. Di origine
anglosassone è invece trevo, o vela bassa; traeftenda, e non, come vorrebbe Guglielmotti, da tre,
quante sarebbero le vele basse (che sono invece
due). La vela viene ammainata grazie agli imbrogli,
che «caricano» le ralinghe di fondo e di caduta
(caricamezzi, caricafondi, caricaboline) delle vele
quadre. La vela viene orientata grazie ai bracci,
stroppati alla varea. Il braccio non ha bisogno di
spiegazione, mentre lo stroppo, che è un nodo «aggirato» intorno a qualcosa, viene direttamente dal
18
greco stròfos (da cui
éstrope, strop). Dallo
slavo verh, importato
da genovesi e veneziani,
proviene varea - punta.
Con lo stesso significato si usava varea per
bittalò. Se il pennone
da bracciare è di grandi dimensioni, il braccio è composto da un
paranco il cui bozzello
prossimale alla varea le
è stroppato per mezzo
di un penzolo (pendet,
perdeur). Dal francese
pendeur deriva appunto il termine di galera
«panduro».
Il pennone può avere
dei movimenti verticali alle varee grazie agli
amantigli (o mantiglie).
Di questo termine
sono stati proposti vari
ètimi: del tutto assurda
la somiglianza col mantello proposta da Guglielmotti; improbabile quella
di Jal (che però la riconosce tale) costruita sull’espressione «a mano»; molto verosimile quella di
Bockh che ritrovò in manoscritti greci del 11° secolo la voce imàs -àntos, cioè «striscia, tirante».
Sono dunque «tiranti» gli amantigli, diminutivo
di amante, termine spesso ricorrente sulla nave.
Il francese balancine esprime meglio la funzione
di bilancia, e meglio, di gru, della manovra, mentre l’inglese lift dimostra piuttosto una funzione di
sollevamento.
La terminologia francese non ha accolto la parola
greca per «amante», ed ha corrotto in «itague»
l’anglosassone «teogan», da cui l’inglese «tackle»; il
significato di teogan è però sempre «tirare», come
pure in «tack» = mura. L’antenna di mezzana, tro-
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Cultura Navale
Filologia Navale
In alto a sinistra: caravella portoghese ricostruita dall’A. dopo molte ricerche sull’architettura navale dell’epoca. Il risultato
è sorprendente.
vandosi in un piano longitudinale, a differenza degli
altri pennoni, è passibile di movimento grazie alle
orze e agli osti(ni), termini prettamente di galera.
Le orze tirano il carro verso prua o verso poppa,
e questo movimento mi sembra possa giustificare l’origine greca òrnumi (imperativo: órso) =far
muovere, contro l’etimo proposto da Guglielmotti
(aferesi iniziale di forza).
Più semplice invece spiegare oste con obstare =
star contro, tenere: oste infatti è il paranco (bilaterale) di ritenuta della penna, e del mozzicone
d’antenna detto picco.
Per bilanciare l’azione degli osti e dell’orza avanti,
alla penna è applicato un paranco semplice o complesso detto martinetto, Se Jal faceva riferimento
al martelletto (martinello) per caricare la balestra,
i dizionari moderni, più giustamente, lo danno derivato da martin (pescatore), perché il martinello
poteva trovarvi qualche somiglianza.
Vediamo per ultimi i termini generici che disigna-
no l’oggetto del nostro studio: nave, scafo, vascello, barca. Mentre vascello è facilmente riferibile al
latino vas (recipiente, vuoto) e barca, antica parola
mediterranea, rende il negativo di «cumulo», nave
e scafo ci obbligano a tornare indietro nel tempo
all’origine dell’andare per acqua. Nel nostro particolare caso di occidentali, poi, il problema linguistico è importante perché la comune origine di una
radice che può aver generato due termini appena somiglianti fra loro dimostra che nel primitivo
gruppo indoeuropeo occidentale (greco, italico,
celtico e germanico: area «kentum») la manifattura del «galleggiante» era unica. Il problema verte
non tanto su «nave», che, pur derivando dall’indoeuropeo «naus», si presenta abbastanza generico,
essendo imparentato col verbo «nào = scorro»,
quanto su «scafo». Il greco «skàptein» = scavare
ed il germanico «Skiff» hanno apparentemente la
stessa radice: ciò può indurre a credere che l’indoeuropeo primitivo scavasse un tronco per farne
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
19
Cultura Navale
Filologia Navale
Due ponti olandese del XVII secolo. Il modello è aperto da
una parte per rendere visibile la complessa attrezzatura
interna.
una piroga manoxila. Se anche questo fosse vero,
dato che non è possibile provare scambi di idee e
di esperienze fra le culture mesopotamica, nilotica
ed indica al loro inizio, si potrebbe dedurre che
l’Uomo protostorico ha ragionato nello stesso
modo dinanzi allo stesso problema.
20
Un altro problema per ora insoluto, ma la cui
spiegazione ci illuminerebbe non poco sull’alberatura, è quello connesso alle due aree «albero»
e «mast». Si tratta di due parole di pura origine
latina, arbor e malus; la prima significava albero in
senso botanico, la seconda indicava l’albero della nave. Se non abbiamo il minimo elemento per
sospettare la ragione di questo dualismo, è altrettanto senza spiegazione il motivo per cui soltanto
noi italiani chiamiamo albero indifferentemente i
vegetali e i sostegni delle vele, mentre nell’area
ibero-celto-germanica si fa differenza (corretta)
fra àrbol,( arbre, tree, e màstil, màt e mast. Credo
che questi due ultimi esempi dimostrino quanto
grande sia l’importanza dello strumento filologico per la comprensione dell’entità Nave, e come
metà dell’Istituzione Uomo si fondi su quella terra
mobile e galleggiante che è, ancora, la Nave.
Se queste note hanno suscitato, come spero, interesse nei Lettori di NMM, e se, come certamente
avverrà, verranno riscontrati errori ed imprecisioni, sarò molto grato a quegli Amici che me li indicheranno, e che saranno tanto gentili da segnalare,
a me o alla Rivista, qui termini dialettali dell’arte
navale, prima della loro non lontana e definitiva
scomparsa.
BIBLIOGRAFIA
Devoto G.: Avviamento alla etimologia italiana.
Firenze 1976. Dizionario enciclopedico italiano
Treccani.
Falconer W.: New universal dictionary of the marine. London, 1815.
Guglielmotti A.: Dizionario marino e militare.
Roma, 1889.
Guillet de Saint George G.: Les arts de l’homme
d’épée. La Ho-que, 1686.
Jal A.: Archeologie navale. Pa-ris, 1840.
Jal.: Glossaire nautique. Paris, 1848.
Malkiel Y.: Linguistica generale, filologia romanza,
etimologia. Firenze, 1976.
Stratico S.: Vocabolario di marina in tre lingue.
Milano, 1813. Ròding H: Allgemeines Wòrterbuch
der Marines. Hamburg, 1793.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Museo della Barca Lariana
a Pianello del Lario
Museo della Barca Lariana
Nel 1978 un gruppo di amici del lago di Como fondarono un’associazione: “La raccolta della Barca
Lariana” con lo scopo di salvare le antiche e nobili tradizioni nautiche del loro lago. Il successo della
ricerca si è rilevato superiore alle aspettative, soprattutto per il merito della partecipazione entusiastica
della popolazione del lago che ha risposto a quest’iniziativa con ardore, donando con molta generosità
barche ed oggetti attinenti, ma soprattutto tramandando notizie e tradizioni che raggruppate formano
una delle più importanti pagine della cultura del lago di Como. La realizzazione di questo museo lariano
ha visto una larghissima partecipazione di barcaioli e pescatori e fondamentale è risultato l’apporto dei
diversi cantieri; anche se il loro mondo è tramontato, queste persone si sono così rese conto di aver
fatto qualche cosa d’importante, meritorio della conservazione nel museo.
Museo della Barca Lariana a Pianello del Lario
Via Statale, 139, 22010 Pianello del Lario CO
Ulteriori notizie alla pagina della Provincia di Como
http://cultura.provincia.como.it/cultura/sistemamuseale/nScheda.asp?CODICE=MC040
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
21
Attrezzature
Modellistiche
Andrea Vassallo (Vass)
Macchina Fascia cavi
che da utilizzare alla quale ho apportato però qualche personale modifica.
Dal baule degli oggetti recuperati e messi da parte nell’arco di parecchi anni, solitamente oggetti e
ammennicoli destinati alla discarica, ho tirato fuori un motorino 12V con riduzione incorporata, 5
ingranaggi e vari cuscinetti. A questo ho aggiunto
una barretta di ottone di diametro uguale al foro
centrale degli ingranaggi, da lavorare a tornio e fresa per poterlo adattare a questi ultimi, un tubicino
di alluminio e due pinze per trapanini manuali che
avevo comprato qualche anno fa alla fiera di Novegro e che sapevo che avrei utilizzato, prima o poi.
Navigando per siti e forum navi-modellistici, sempre più numerosi ormai nella rete , ho notato che
sempre più modellisti si auto-costruiscono delle
vere e proprie macchine per agevolare la costruzione dei propri manufatti, di questo o quel particolare, non accontentandosi più di quello che offre il mercato del “pronto”.
Chi costruisce torni con un trapano, chi carteggiatrici con motori di recupero, chi circolari per
tagliarsi i listelli, altri ancora degli ingegnosi curva
listelli, pialletti, divisori, macchine per farsi i cavi e
per fasciarli… Insomma davvero un po’
di tutto.
Sono personalmente convinto che
questo completi il modellista, facendogli anche assumere una certa autonomia da certe macchine specifiche ormai sempre più rintracciabili ma anche
sempre più care, se non limitate nelle
funzioni, e che per tutti gli appassionati di questo meraviglioso hobby debba,
alla fine, diventare un passaggio quasi
obbligato al quale, anch’io ormai, non
posso fare a meno di esimermi.
Essendo in una fase di costruzione del
mio modello di A.Vespucci in cui ho bisogno di mettere in opera alcune maFoto 1: Materiali utilizzati per la “fascia-cavi”
novre, mi balenava sempre più spesso
Questo il materiale di partenza. Naturalmente
l’idea di non adoperare il solito cordame che si
trova in commercio, che tra l’altro ha perso sem- durante la costruzione, in base alle esigenze che
pre più in qualità, ma di fare da me i cavi occor- sopraggiungevano, qualche altra cosa è stata agrenti. Si è accesa così la lampadina ed ho iniziato a giunta ma si vedrà in dettaglio durante la costrumettermi alla ricerca di tutto il materiale occor- zione.
Cominciamo con il tagliare i vari pezzi di barra
rente. L’idea è stata subito quella di potermi costruire non solo una macchina commettitrice per di ottone a misura adeguata, come potete notare,
fare i cavi, ma anche di una per poterli poi fasciare. il foro centrale degli ingranaggi, è mancante di una
Voglio qui cominciare a descrivere la macchina parte di cerchio, quindi per poter adattare la barfascia cavi che è la prima che ho deciso di costru- retta di ottone ai vari ingranaggi ed al supporto
irmi. Tra tutte quelle che ho visto in internet ne ho ho dovuto lavorali sia al tornio che alla fresa per
scelto una molto diffusa e semplice sia da costruire ottenere i pezzi finiti in foto.
22
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
Foto 2: Lavorazione della barretta
Foto 3: Adattamento dei vari pezzi in ottone agli ingranaggi
ed al motorino.
Non sto a descrivere la lavorazione di questi pezzi per il solo fatto che coloro che vorranno costruirsi la stessa macchina adatteranno i vari pezzi
in base alle loro esigenze ed alle loro attrezzature
e, inoltre, che abbiano già una certa pratica di lavorazioni al tornio e alla fresa e che, quindi, seguiranno i loro personali sistemi di lavorazione. Inoltre,
sicuramente, dovranno usare materiale diverso e
quindi le lavorazioni saranno del tutto personali.
Il risultato dei pezzi lavorati ed inseriti nelle loro
sedi lo potete vedere nella foto successiva dove
gli assi fissati sulle pinze sono anche forati centralmente per far poi passare il cavo da fasciare e per
poterlo avvolgere su una apposita bobina che descriverò in seguito, mentre l’asse dell’ingranaggio
fissato all’asse del motore è forato e anche filettato da un lato per poterlo fissare appunto sull’asse
motore.
Man mano che la costruzione procede e, inseriti
i vari componenti nelle loro sedi e controllato che
non ci siano altri aggiustamenti da fare, ho dovuto rifare alcuni pezzi perché, come sempre, tutte
le cose non riescono bene al primo tentativo, e,
inoltre e soprattutto, perché che non ho nessuna
nozione di meccanica e quindi il mio procedere è
sempre per “istinto”.
Nelle foto successive (4-5-6) vediamo comunque
il risultato di queste prime lavorazioni.
Una volta terminata questa fase si passa alla costruzione del basamento che dovrà accogliere tutto il meccanismo. Per questa mi servirà una base
e due spalle
Foto 4-5 Ancora preparazione dei vari ingranaggi.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
23
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
Foto 9: Il disegno riepilogativo dei componenti la macchina
fascia cavi.
Foto 10: il basamento in multistrato marino
Foto 6-7-8: Componenti lignei della struttura della macchina fascia-cavi
Per la base ho adoperato del compensato multistrato mentre per le spalle due pezzi in legno
massiccio ricavati da una lista di parquet di teak.
Questo perché il teak è un legno molto compatto
e stagionato però facilmente lavorabile per poter
praticare fori netti e puliti nei quali inserirò i vari
cuscinetti per gli assi degli ingranaggi.
24
Foto 11: le spalle in teak
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
Ho unito le due spalle, facendo attenzione che
fossero ben allineate, con delle viti ai 4 angoli: così
facendo, una volta effettuati i fori, era sicura la loro
corrispondenza.
Da un angolare di alluminio ho ricavato 4 staffe
che forate adopererò per fissare le spalle alla base.
Provando le varie parti per il montaggio succes-
Foto 12-13-14: Preparazione delle spalle con le squadrette
di fissaggio
Foto 15-16-17-18: Lavorazione sull’asse di trasmissione
della rotazione.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
25
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
sivo mi accorgo che si rende necessaria la filettatura della parte esterna dei due perni che entrano
nell’asse principale fra le due spalle e che unisce
e trasmette la rotazione alla parte opposta onde
evitare che il cuscinetto con le vibrazioni della
macchina possa fuoriuscire dalla sua sede. Fatto
questo inserisco i perni nel tubicino di alluminio
forandoli ed inserendo una coppiglia assicuro la
rotazione dell’asse da entrambe le parti.
Nel mio progetto ho pensato di inserire delle
staffe sugli assi delle pinze. Gli scopi sono due: il
primo per poter utilizzare due bobine atte una a
svolgere il filo e l’altra per recuperare il filo fasciato. Il secondo per fissare l’asse delle pinze alla
spalla; questo mi evita di filettarli.
Per far tutto ciò ho preso una piattina di ottone
di misura adeguata per le staffe, l’ ho forata e piegata per poter ricevere le bobine e da un tondino
di ottone ho ricavato due boccole, le ho forate al
centro e le ho inserite sull’asse delle pinze bloccandole con un foro laterale filettato in cui ho inserito una vite. Le boccole così preparate le ho
saldate alle staffe precedentemente preparate.
È ora di assemblare il tutto. Provo manualmente
e sembra tutto andare bene.
Mi accingo ora a cominciare la realizzazione
dell’impianto elettrico.
Sempre dal solito baule dei recuperi, estraggo un
interruttore ed un doppio deviatore che trasformo in un invertitore di fase
Foto 19-20-21-22: preparazione delle staffe porta spolette.
26
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
Foto 27: elementi necessari per la costruzione
della base
Foto 23-24-25: componenti del circuito elettrico
Foto 28: La base è completata
Foto 26: schema del semplice impianto elettrico
Con 3 pezzi di compensato realizzo la base dove
inserire gli interruttori e do corrente per vedere
come si comporta il tutto. Costruisco anche un
piccolo cassettino dove inserire le bobine di filo,
giusto per non farmi mancare nulla.
Tutto sembra funzionare alla perfezione e, a questo punto, mancano solo la bobina ed il filo per
fasciare.
Foto 29: Particolare del cassettino per i materiali
ci consumo.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
27
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
buisce il filo per fasciare il cavo tramite passaggi vari: ho copiato anch’io
il sistema, ma provando e riprovando,
il risultato non mi soddisfaceva: la fasciatura non era omogenea e non arrivava fino in fondo fermandosi ad un
terzo e ritornava indietro.
Il sistema non mi convince e lo metto da parte.
In un’altra realizzazione avevo visto
una spoletta che seguiva il cavo mentre lo fasciava.
Provo questa soluzione e costruisco
la spoletta con tanto di frizione per
poter regolare lo srotolamento del
filo fasciatore, fino a metà del cavo da
Foto 30: tentativo, poi lasciato cadere dell’automatismo per la fasciatura.
fasciare tutto bene.
Nei vari progetti trovati in rete ho visto che quasi
Siccome col peso della spoletta il cavo da fasciatutte queste macchine hanno un braccio, al centro re formava una pancia al centro, la spoletta stessa
della base, dove viene inserita la bobina che distri- non riusciva a risalire l’altra metà e quindi creava
Foto 31-32-33-34: Componenti ed assemblaggio della spoletta.
28
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
poter regolare i bracci in modo che il filo fasciatore sia sempre in discesa.
Un risultato magnifico e pienamente soddisfacente: il cavo fasciato, fino in fondo, era omogeneo
e davvero ben eseguito.
Per completare l’opera ho recuperato un’altra
bobina che servirà da ricambio: tramite una vite
è possibile avvitarla sull’asse del motore in modo
da poter avvolgere il filo avvolgitore agevolmente.
Foto 35: i pochi componenti dei bracci
Foto 36-37: particolare dei bracci ti tensionamento del filo
ed insieme della macchina.
un avvolgimento solo al centro. Anche questa prova era andata male.
Pensa e ripensa mi viene in mente di lasciare
penzolare la spoletta e di aggiungere due braccetti
con una barra dove far scivolare liberamente il filo
fasciatore. Questo sistema ha anche il vantaggio di
Foto 38-39-40: Particolari della bobina aggiuntiva
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
29
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
Qui di seguito inserisco alcune foto di particolari, sempre utili, immagino, a chi voglia cimentarsi in questa semplice ma utilissima realizzazione.
Per gli interessati è possibile vedere un breve filmato con la macchina in funzione sul
portale di Magellano.
Forse qualcuno si costruirà l’attrezzo e riuscirà a migliorarlo. In questo caso gli sarei
davvero grato se tali miglioramenti li portasse a conoscenza di tutti i modellisti che ci seguono con affetto e che ci leggono sul forum di Magellano.
30
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Attrezzatura Modellistiche
Macchina Fascia cavi
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
31
Le Pagine Disegnate
Frullino per Bozzelli
Luciano Bragonzi (Lubra)
Frullino per Bozzelli
Oggi vediamo come poterci costruire molto semplicemente un attrezzo per arrotondare i nostri
bozzelli autocostruiti.
Per prima cosa ci procuriamo un barattolo di plastica che abbia un coperchio con una buona tenuta.
Foriamo rigorosamente al centro della base e al centro del coperchio, in modo da avere i due fori sullo
stesso asse Disegno 1.
Il diametro del foro dovrà essere uguale a quello di un tondino di legno (o ferro, a seconda della disponibilità) da poter inserire in un secondo tempo.
Rivestiamo in seguito la parte interna del barattolo con della tela smeriglio, non necessariamente di
grana grossa. Non dovrà essere nemmeno troppo fine altrimenti la levigatura potrebbe impiegare più
tempo, dando poi lo stesso risultato o poco più Disegno 2.
La tela, se la tagliamo in misura della circonferenza interna del barattolo, non avrà necessità di essere
fissata con la colla.
Disegno 1
32
Disegno 2
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
Le Pagine Disegnate
Frullino per Bozzelli
Infiliamo ora, attraverso il barattolo, un tondino di legno del diametro preciso o appena superiore, rispetto al foro fatto in precedenza. Se il tondino è di diametro inferiore si rischia che giri su se stesso e
non faccia girare con se il barattolo stesso. Altrimenti troviamo il modo di fissarlo alla base del barattolo
con un pochino di colla, in modo che alla fine sia tutt’uno con il barattolo stesso.
Fissato il perno , possiamo riempire il barattolo con i nostri piccoli bozzelli, che saranno semplicemente
squadrati Disegno 3.
Chiudiamo il coperchio (se necessario, lo fissiamo con un po di nastro di carta adesivo), collochiamo
l’asta che fuori esce dalla base del coperchio in un trapano e l’accendiamo, tenendo il tutto in posizione
orizzontale ad una velocità non eccessiva. In questo modo i bozzelli al suo interno (per forze di gravità)
non si attaccheranno solo alle pareti, ma saranno rimbalzati ovunque all’interno del barattolo Disegno 4.
Disegno 3
Disegno 4
Poco dopo spegniamo e controlliamo il grado di levigatura; Continuiamo la rotazione del nostro frullino e continuiamo anche il controllo dei pezzi fino a quando non si è ottenuta l’ovalizzazione necessaria
dei nostri bozzelli.
Dobbiamo considerare che non tutti i bozzelli inseriti saranno perfetti per il nostro modello. Quindi
inserirne sicuramente un numero maggiore di quelli che necessitano. Dobbiamo quindi considerare anche una modesta perdita di bozzelli irregolari, ma tale perdita è sicuramente ricompensata dalla rapidità
dell’esecuzione del nostro lavoro.
In viaggio con Magellano n. XXVII - Luglio 2014
33