SIATE CURIOSI, SIATE FOLLI. LE OFFERTE EDITORIALI

SIATE CURIOSI, SIATE FOLLI. LE OFFERTE EDITORIALI PER GIOVANI ADULTI
di Francesca Lazzarato (in Hamelin n. 18, Giovani adulti: la grande impostura, APRILE 2007)
Non c’è dubbio che una delle caratteristiche del panorama editoriale di questi ultimi anni
sia il crescente interesse nei confronti di lettori che ormai si usa chiamare, con un termine
mutuato dall’inglese, “giovani adulti”: un interesse che viene da lontano, perché lo
abbiamo già visto manifestarsi negli anni Settanta, sia pur timidamente e con
caratteristiche molto diverse da quelle di oggi.
Vanno ricordate, per esempio, esperienze come la Biblioteca Giovani (1975) della Einaudi,
diretta da Giulio Bollati, e “concepita in modo che la storia della civiltà e delle società
umane sia raccontata da altrettanti capolavori della letteratura”, o la Biblioteca Giovani
degli Editori Riuniti, curata a partire dal 1977 da Marcello Argilli, che trattava temi come la
droga, il carcere minorile, l’alluvione di Firenze, la Resistenza.
La prima esordisce con Le più antiche storie del mondo di Theodor H. Gaster per
concludersi con La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche di Italo Calvino: tra il
primo e l’ultimo titolo ce ne sono altri cinquanta appartenenti alla grande letteratura di
tutti i tempi, disposti cronologicamente per restituire attraverso grandi romanzi e saggi
l’atmosfera di un’epoca, di un evento storico, di un fenomeno sociale, dalla preistoria al XX
secolo. L’idea di fondo, largamente condivisibile, era quella che dopo i quattordici anni un
lettore potesse tranquillamente tuffarsi nel mare magnum della letteratura tout court, e
che all’adulto toccasse il compito non tanto di stabilire e imporre un canone, quanto di
presentarsi come lettore esperto e consapevole che mette sul tavolo le sue proposte e le
sue passioni.
Molto diversa l’impostazione della seconda, che ricorreva spesso alla docu-fiction e al
romanzo-cronaca, proponendo tra l’altro manuali (Due+Due non fa quattro, manuale
pratico di psicologia per gli adolescenti, di Letizia Cancrini e Lieta Harrison), testimonianze
e storie di vita (I miei sette figli, di Alcide Cervi e Remo Nicolai, prefazione di Sandro
Pertini), il tutto commentato da postfatori illustri come Miriam Mafai, Luigi Cancrini, Tullio
De Mauro, Umberto Terracini, Mario Spinella, Lucio Lombardo Radice, nel responsabile
ruolo di adulti pronti a garantire, mediare, stabilire un confronto.
È proprio in questa collana che vediamo apparire alcuni romanzi provenienti dall’estero e
scritti apposta per gli adolescenti (come, per esempio, Non tornare tardi di Paul Zindel),
sull’onda di quanto stava avvenendo negli USA sin dalla fine degli anni Sessanta, e
potremmo interpretarne la presenza come un’avvisaglia di quello che accadrà negli anni
Novanta, quando alcune tra le principali case editrici vareranno collane dichiaratamente
per “giovani adulti”, quali Frontiere (EL), Supertrend (Mondadori), Le Linci (Salani), cui
seguiranno I Corti (EL) e Prima Scelta (Adn Kronos).
Collane simili si inserivano in un mercato la cui offerta appariva sempre più frammentata,
in modo da corrispondere a innumerevoli target di riferimento e stanare tutti i possibili
tipi di lettori. Quasi tutte attingevano a una vasta produzione straniera (solo nei Corti,
originale contenitore di testi brevi, si trovavano esclusivamente romanzi commissionati a
giovani scrittori italiani per adulti), i cui autori narravano storie realistiche e spesso crude,
che riguardavano da vicino gli adolescenti e consentivano loro di posare su personaggi e
vicende uno sguardo coinvolto, sì, ma capace di misurare la distanza, di “guardarsi da
fuori”, di percepire l’altro e le innumerevoli differenze di cui è fatto il mondo.
Alle vicende personali si intrecciavano problemi sociali e politici, incursioni nella memoria o
nel disagio, temi forti trattati a volte in modo didascalico e intenzionale, ma più spesso
abilmente incrostati nella trama costruita da autori che erano quasi sempre bravi artigiani
capaci di superare l’eterno contrasto tra impegno (il libro “formativo”, educativo o
addirittura edificante, funzionale alla trasmissione dei “giusti” valori) ed evasione pura.
Ricordo di aver scritto, non molti eppure moltissimi anni fa, che questi autori si rivolgevano
al lettore giovane “per accompagnarlo e sostenerlo in una vera e propria esplorazione di
sé, dell’altro, del mondo (…) fornendo una serie di chiavi per interpretare l’esistente e il
suo irrimediabile disordine (non il riferimento obbligato a una stella fissa, quindi, ma una
bussola che si può decidere o meno di usare)” senza proporre certezze improbabili ma
suggerendo la possibilità della speranza attraverso finali aperti e pieni di sfumature.
A distanza di anni mi sento di confermare solo in parte le mie opinioni di allora su questa
produzione letteraria “di confine”. Il suo limite - un limite che ne minava la credibilità stava in quell’ “apposta per” sicuramente sgradito a un pubblico sfuggente e ondivago,
deciso a tracciare da solo i propri percorsi di lettura o a non tracciarli per nulla, e che
sembrava non apprezzare l’idea di essere tenuto sotto tutela e costretto nei confini di una
fascia d’età. Come dei genitori che tentino di indurre i figli a non andarsene di casa e
promettano più libertà, gli editori allestivano dunque collane con contenuti più audaci, pur
sapendo (e forse sperando) che quei libri se li sarebbero letti anche i dodicenni svegli, le
undicenni precoci, già stufi di storie non abbastanza “toste”.
Nessuna di quelle collane ebbe realmente successo, le vendite e la diffusione furono
scarse, e non solo per la riottosità dei lettori. C’era di mezzo anche la difficoltà di
collocazione in libreria, dove di fatto libri come questi non avevano un posto. Prodotti da
case editrici per bambini e ragazzi e quindi automaticamente destinati alle librerie e ai
reparti specializzati, diventavano “invisibili” per i lettori adolescenti, che mai si sarebbero
sognati di frequentare luoghi dedicati a lettori più giovani. Il settore adulti delle librerie si
rifiutava però di ospitarli, anche se un’eccezione fu fatta, più tardi, per Prima Scelta, che
venne comunque penalizzata dalla sua natura palesemente “ibrida”.
Un handicap sostanziale fu poi rappresentato dagli scarsi investimenti in comunicazione: di
questi libri non parlava davvero nessuno, se ne ignorava praticamente l’esistenza. E quanto
contasse, invece, il “tutti ne parlano”, lo si sarebbe visto di lì a pochi anni.
Che cosa è cambiato, da allora, nell’offerta editoriale per i giovani adulti, e quali sono le
ragioni della sua attuale crescita?
Per prima cosa bisogna precisare che se per “giovani adulti” si intendevano, fino a non
molto tempo fa, i ragazzi oltre i quattordici anni, il confine tra fasce di età (già di per sé così
difficile da tracciare, e così suscettibile di variazioni determinate dalle vicende individuali,
dal “genere”, dalla classe sociale, dal censo, dal livello di cultura delle famiglie di origine) si
è già spostato: preadolescenza e adolescenza sembrano essersi fuse e confuse in un’unica
massa indistinta, ed è molto interessante il fatto che, editorialmente parlando, si sia scelto
di privilegiare proprio un termine come giovani adulti rispetto al consueto adolescente.
Quest’ultimo, infatti, è colui che esce dall’infanzia attraverso la pubertà con l’acquisizione
della maturità sessuale e della capacità di riprodursi, e che vive quindi un’età incerta, di
passaggio e di crescita, caratterizzata da progressive metamorfosi fisiche e psicologiche.
Il “giovane adulto”, invece, come Minerva che salta fuori dalla testa di Giove, ci appare già
bell’e pronto, dotato di un’immagine tutt’altro che instabile e metamorfica; la parola
“adulto” è lì per garantirci che il suo transito verso un’età più matura è innecessario,
mentre la parola “giovane” chiarisce la sua appartenenza a un gruppo privilegiato e
invidiato, in un’epoca in cui, scrive Goffredo Fofi in Da pochi a pochi, un suo libro recente
pubblicato da Eleuthera, “tutti vogliono essere giovani, e tutti veniamo trattati da eterni
giovani”.
Per dirla in breve, se l’adolescenza è un’età della vita, i “giovani adulti” sono piuttosto un
target. Ed è su questo target che sta convergendo in forze l’editoria, sia quella cosiddetta
per ragazzi, sia quella tradizionalmente destinata agli adulti, sulla base di un progetto che
unifica le età, i gusti, i modi di pensare, le abilità, inglobando l’undicenne impubere come il
liceale sedicenne e, in alcuni casi, anche “giovani adulti” un po’ meno giovani, o addirittura
appassiti.
Non è vero, dunque, che i lettori delle scuole medie abbiano smesso di esistere, come si
dice da più parti, e che tra i bambini e gli adolescenti non si interponga più la fascia dei
ragazzi, come confermerebbero la scomparsa o il languire delle collane di narrativa “a
partire dagli undici anni”: semplicemente, non li vediamo più transitare per i territori
consueti perché sono in viaggio verso quelli in cui li attira il loro nuovo nick name (Giovani
Adulti), pronti ad aderire a una tribù i cui sottogruppi mostrano indubbie varianti di
comportamento, ma condividono comunque una serie di miti collettivi e di punti di
riferimento.
A partire dalla fine anticipata di un’infanzia sempre più breve, gli adolescenti si vedono
offrire abbonamenti speciali per i cellulari, look fintamente personalizzati ma in realtà
aderenti a un modello unico, consumi in apparenza individualizzati che nascono da
un’unica proposta di mercato. E di questi consumi il libro fa parte, sia pure come anello
debole della catena, a patto di possedere alcuni requisiti fondamentali: per esempio quello
di usufruire di una confezione il meno possibile “per ragazzi” e di poter circolare
liberamente per il settore adulti della libreria (il che non è più così difficile, dopo il
gigantesco sdoganamento avvenuto a seguito del fenomeno Harry Potter e
dell’affermazione del libro crossover), ma solo dopo essersi muniti di segni di
riconoscimento tali da poterli individuare come interni alla cultura della tribù (una cultura
in buona parte artificiale e creata in provetta in qualche altrove aziendale, ma che
importa?).
Un’ottima idea di marketing, insomma, che diventa tanto più efficace nel momento in cui il
pubblico adulto e i suoi libri si vanno infantilizzando e la bestsellerizzazione impone, in
nome della vendibilità, una semplificazione vistosa. Vaste, desolate e fruttifere zone dei
cataloghi editoriali per adulti sono infestate da testi scritti come se l’autore avesse in
mente un pubblico la cui età media è di tredici/quattordici anni e che vuole innanzitutto
essere intrattenuto e sbalordito da trame turn-page, senza però venire infastidito da una
scrittura che non sia facile, anzi facilissima, anzi piatta, fondata su un vocabolario basico e
incurante di ogni stile e forma.
Un pubblico che si fa indurre all’acquisto e legge più volentieri se c’è di mezzo il “film del
libro”. Un pubblico che vuole il libro evento, quello che va in classifica e il cui l’autore si
può vedere in TV o avvicinare e toccare nel corso di una delle innumerevoli sagre travestite
da festival culturali che si tengono nel nostro paese. Un pubblico, soprattutto, totalmente
interno alla cultura-televisione, alla letteratura-televisione di cui parla Fofi nel libro già
citato.
Di questo pubblico i giovani adulti sono parte integrante insieme ai loro genitori e
professori e zii, ma con una differenza: godono più di altri del privilegio di essere
“protagonisti”.
Lo dice a chiare lettere la presentazione di Oltre, lo spazio adolescenti dell’ultimo Salone
del libro di Torino: A Oltre, lo stand progettato come una moderna camera da ragazzi,
abbiamo avvicinato i giovani al libro e alla lettura non in modo impositivo ma attraverso i
loro codici di comunicazione. (…) I giovani sono protagonisti: animano i confronti,
partecipano ai concorsi, danno vita ai laboratori, raccontano in radio libri per il juke-box
letterario.
Non è quasi come partecipare ad Amici di Maria De Filippi, i cui autori Sfondrini e Zanforlin
hanno appena partorito un romanzo per giovani adulti intitolato A un passo dal sogno,
prontamente pubblicato da Mondadori e subito arrivato ai primi posti nella classifica delle
vendite?
È questa parola magica, protagonisti, a esprimere l’essenza dell’attuale produzione per
giovani adulti: riprodurre se stessi, parlare di se stessi ad altri se stessi attraverso libri
oltraggiosamente banali, come fanno autori giovanissimi (da Melissa P. a Giulia Carcasi) e
altri assai meno giovani (come Federico Moccia) ma capaci di una grottesca mimesi che i
loro lettori sembrano apprezzare quanto un cancerogeno bigburger di plastica,
chiedendone entusiasti una seconda porzione. E tanto l’estrema facilità della forma
quanto la semplificazione del contenuto fanno pensare a un’estetica ispirata al “lato
Coca Cola della vita”, in cui il discorso sul corpo diventa chiacchiera sul look, quello sui
rapporti interpersonali e sui sentimenti si trasforma in una accozzaglia di luoghi comuni
stile “C’è una lettera per te” e l’orizzonte si restringe sino a coincidere con le dimensioni di
uno specchio appeso alle pareti della propria “cameretta”, in cui contemplarsi all’infinito.
Se tentassimo di delineare una prima, sintetica tipologia dell’esistente, ci renderemmo
facilmente conto di come questi libri si dividano all’incirca in due categorie.
- La prima include i testi e le collane dichiaratamente prodotti per gli adolescenti da
editori o da settori di case editrici grandi e medie che si occupano specificamente di
bambini e/o ragazzi. Ci troveremo ciò che resta di collane del passato ormai simili a
paesaggi bombardati, ma anche collane nuove come Strettamente personale delle
edizioni Paoline (nel blog corrispondente si legge: “Cosa cerco? Le vostre storie. Come
le avete dentro. Come le sentite. Troviamoci, raccontiamoci, provochiamoci”), oppure
come Teens, grande successo dell’editore Fanucci, con quattro vendutissimi romanzi
scritti in un linguaggio che gli autori credono tipico degli adolescenti, e che mimano,
nelle trame e nei personaggi, il serial televisivo sentimental-giovanilista.
Per quanto riguarda questo tipo di produzione, tuttavia, nonostante i protagonisti dei
romanzi abbiano tutti più di quattordici anni e le collane si rivolgano ufficialmente a
lettori già usciti dalle medie, è abbastanza evidente che i testi non si concedono
neppure alla lontana la contenuta spregiudicatezza e i tentativi di sperimentare una
scrittura meno banale delle collane per giovani adulti di un tempo, e questo perché in
realtà occhieggiano a un pubblico più giovane, solo di recente arruolato nei ranghi
dei giovani adulti. Il sesso, per esempio, resta rigorosamente tabù, con l’eccezione di
collane come la nuovissima I-pink della Mondadori, destinata alle ragazze, o alla già
sperimentata Crossover (sempre di Mondadori), in cui titoli importanti come quelli di
Joyce Carol Oates, interessanti per un pubblico di ogni età, si confondono con le
porcheriole di Vizzini o il manualetto di Frossberg sul Cxxxo, ispirati alla stupidità
pecoreccia di certi filmetti americani high school e provvisti di copertine ammiccanti.
Ma dietro tutti gli altri traspare inevitabilmente e ancora il libro per i ragazzi delle
medie: la vera novità, dunque, sta innanzitutto nella confezione il più possibile da
grandi, nella percezione di sé come giovane adulto che si vuole trasmettere al
“cliente”, nonché nel tentativo, impensabile in passato e a volte molto deciso, di
introdurre alcuni titoli nel Paradiso dell’Evento, del “caso” di cui si parla.
-
È comunque nella seconda categoria, quella dei libri per giovani adulti disseminati
senza parere nelle collane “per tutti” ma proiettati verso una precisa categoria di
lettori, che troviamo i successi più consistenti, frutto di un approccio strategico ben
calibrato a un pubblico che gli editori per ragazzi hanno sempre ritenuto di propria
pertinenza, senza riuscire quasi mai ad agganciarlo.
Pensiamo a Il caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon, alla Guida pratica
per adolescenti introversi di Margherita F. (Einaudi), al solito Moccia e a quel
concentrato di soavi e quasi intollerabili banalità che è Ma le stelle quante sono di
Giulia Carcasi (al quale si aggiunge ora Io sono di legno, sempre per Feltrinelli), al
dozzinale Twilight di Stephane Meyer (Fazi),primo di una serie che si spera non
troppo lunga, e infine a intere collane di maggiori pretese, come la BDS di e/o e la
recentissima Happy Hour di Pequod, entrambe caratterizzate dalla presenza di
scrittori “giovanissimi” che raccontano “giovanissime” storie quasi sempre irrilevanti
e dalla grammatica spesso pericolante.
Quella di ricorrere ad autori molto vicini per età ai lettori che si ha intenzione di
conquistare è, al momento, una delle strade più battute, che accentua ulteriormente
l’effetto-specchio e che sfrutta i piccoli casi creati dai media attorno a presunti ragazzi
prodigio. Chiuso nel cerchio di un discorso ossessivamente autoreferenziale, il giovane
adulto è dunque autore, lettore, personaggio allo stesso tempo. Ma, come ha scritto
Sergio Rotino sulle pagine culturali di “Liberazione” nel recensire Apparentemente
Lucignolo di Alessandra Sardu (primo volume della collana Happy Hour), non basta essere
giovani per fare letteratura, e non ha poi troppo senso cercare di raccogliere lettori in
qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, “laddove di lettori non è rimasta traccia da tempo
immemore”.
Se condotta da una casa editrice di medie dimensioni e buona fama come la e/o, o piccola
e raffinata come Pequod, che cercano entrambe di approfittare dell’onda cavalcata con
disinvoltura da editori più grandi, un’operazione del genere non è forse “ un tirare i remi
in barca davanti a un disastrato panorama sociale e culturale?” si chiede Rotino. E ce lo
chiediamo anche noi, nel constatare che la letteratura “giovanissima” per “giovanissimi”(il
cui più cospicuo precedente è l’ormai storico Jack Frusciante è uscito dal gruppo, sempre
che non si voglia risalire al preistorico Porci con le ali) risulta a conti fatti una bufala doc,
difficile da prendere in considerazione se non dal punto di vista del “fenomeno” puro e
semplice.
Quasi peggiore, però, appare l’operazione inversa, quella che vede editori come Feltrinelli
proporre al pubblico dei giovani adulti autori come Moccia - atroce quintessenza dell’Italia
televisiva e ormai cantore ufficiale dell’adolescente medio -, avallando con il prestigio
delle proprie collane l’idea che ci si trovi davvero di fronte a uno scrittore, e per di più dalle
virtù taumaturgiche, visto che “riesce a far leggere i non lettori”.
Ma perché prendersela con gli editori? In fondo fanno il loro mestiere, che è poi quello di
far soldi, e il pubblico dei giovani adulti, con molto tempo libero, una certa disponibilità di
denaro, una sviluppata sensibilità per l’“evento” e una forte propensione al consumo, è
una preda più che appetibile. Tuttavia verrebbe voglia di ricordare una volta di più che, se
come dice Fofi riteniamo nostro compito essere dei “sollecitatori” che aiutano altri a
crescere, a scegliere, a fare, di fronte a tutto questo dovremmo ricordarci di quanto ha
detto non molto tempo fa Steve Jobs, parlando a un pubblico di giovani. E cioè: “Siate
curiosi, siate folli”.
Ecco cosa bisognerebbe dire, prima di ogni altra cosa, al lettore giovane in cui dovessimo
imbatterci, prima di riempirlo di buoni consigli e di bibliografie, prima di elaborare
strategie per attirarlo in biblioteca a tutti i costi, prima di pensare a qualche bella iniziativa
“apposta per lui”. Sii curioso, sii folle: non esitare ad avviarti per le strade meno battute, a
deviare, a sostare, a prenderti tutto il tempo possibile, a ficcare il naso nei posti più
impensati, a smontare i gadget che l’industria editoriale e culturale produce per farteli
comprare e consumare. Sii curioso, sii folle, e non ti pentirai mai di essere diventato un
lettore.