Che Vi Do! Dicembre 2013

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PERIODICO QUADRIMESTRALE - PUBBLICAZIONE OMAGGIO - ANNO XXII N. 79 DICEMBRE 2013 - SPEDIZIONE IN A.P. 70% - FILIALE DI MILANO
Ogni chicco è prezioso
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indice
PERIODICO QUADRIMESTRALE
DELLA SOCIETÀ PANE QUOTIDIANO (1898)
Il fuoco del cielo
Atanor
4
Le nuove frontiere dell’astrologia
Enrica Franciolini
6
Digito, ergo sum
Renzo Bracco
10
ANNO XXII N. 79 Dicembre 2013
Incontri
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Reg. del Trib. di Milano n. 592 del 01/10/90
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Pubblicazione Omaggio
Mappamondi, isole e territori d’oltremare
Umberto Accomanno
14
I templari grandi banchieri
Angelo Casati
17
Il “sacramento dell’attimo presente”
Rodolfo Signifredi
20
Lo stupore di un Palazzo Enciclopedico a Venezia
Vittoria Colpi
24
El guarnasc. Gli aliscafi si fanno adulti
Ercole Pollini
28
Cucina - Rognone trifolato
Ercole Pollini
32
Zanzare
Antonio Aràneo
34
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Hanno collaborato:
Umberto Accomanno, Antonio Aràneo, Atanor,
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Il fuoco del cielo
Atanor
Nel numero precedente, CVD78, ho parlato dell’argomento “L’ARCA DELL’ALLEANZA E LA BOTTIGLIA DI LEIDA”
del Padre Roberto Busa S.J (gesuita) che voglio completare con una panoramica di antiche leggende e antichi testi
sacri inerenti alla folgore, ossia al “fuoco del cielo” ritenuto nell’antichità, da alcuni, sacro.
I fisici moderni sanno ormai molto bene che cosa è la
folgore: ma spregiudicati come sono, non hanno avuto
ritegno di cacciare il naso nelle più venerabili scritture
per cercare di interpretarle dal loro punto di vista……si è
scritto di tutto e/o di un nulla???….ad ognuno la propria
risposta!….
Per esempio il Vecchio Testamento narra che Mosè si
ritirava a meditare sulle montagne del Sinai, in mezzo a
spesse nuvole di tempesta che lo sottraevano alla vista: e
di là riapparve, iracondo e circondato di fulmini, per rompere le tavole della legge e rovesciare il vitello d’oro.
L’Arca dell’alleanza, recata a braccia, era il tempio
ambulante di cui Mosè era il massimo sacerdote, il santuario venerato della religione e della nazione. Soltanto i
sacerdoti potevano toccarlo, e un’orribile convulsione
colpiva i sacrileghi che osassero far ciò; spesso si vedeva
passare l’Arca avvolta di effluvi luminosi.
Ma che cosa ci dice il libro dell’Esodo? “ Voi farete –
disse il Signore – un’arca in legno di setim, che abbia due
cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza e un cubito e mezzo di altezza; e la rivestirete di
oro purissimo di dentro e di fuori; e vi porrete sopra una
corona d’oro che regnerà tutto intorno. Porrete quattro
anelli d’oro ai quattro angoli dell’arca; e preparerete
anche delle aste di legno di setim che ricoprirete d’oro,
e le farete entrare negli anelli che sono agli angoli dell’arca affinché essi servano per trasportarla….”.
Questa descrizione ci colpisce per l’importanza data
4
all’impiego del legno e delle parti metalliche. Il legno di
setim, elettricamente isolante, deve essere coperto sulle
due facce di lamine conduttrici: è esattamente la disposizione della classica bottiglia di Leida che si carica per
mezzo di una macchina elettrostatica e che fornisce così,
per accumulazione temibili scariche.
Se si riflette che il campo elettrico atmosferico in
quelle regioni molto asciutte può raggiungere parecchie
centinaia di volt a uno o due metri dal suolo, è legittimo
domandarsi se la corona pure metallica di cui l’arca era
ornata, non avesse per effetto di caricare pericolosamente questa grande bottiglia di Leida, come un parafulmine
di cui fosse interrotta la “mezza a terra”.
Gli empi, toccando l’arca, ricevevano evidentemente
una violenta scossa: ma da dove veniva l’immunità dei
sacerdoti? Un preciso particolare ce lo rivela: le loro vesti
sacerdotali erano tessute interamente di fili d’oro e ornate di catene d’oro che trascinavano fino a terra. Si comprende come, grazie a questa ingegnosa messa a terra, il
fluido elettrico si disperdesse nel suolo senza recare
danni.
Salomone, di cui la occulta e misteriosa sapienza ha
lasciato lungo ricordo presso le stirpi arabe, aveva forse
trovato il segreto per proteggere dalla folgore i monumenti. Infatti per più di mille anni, e cioè fino a che non
fu distrutto dai soldati di Tito, il tempio di Salomone non
venne mai colpito dal fulmine. Ora, lo storico ebreo Josephus Flavius (nato a Gerusalemme circa 37 anni dopo Cristo) racconta che tutte le parti del tempio erano rivestite di pesanti lastre d’oro e che il tetto era coperto da una
selva di punte dorate per impedire agli uccelli di posarvisi e sporcarle. Se si aggiunge che tubi metallici congiungevano la copertura ai canali di scolo e alle cisterne della
montagna, si constaterà facilmente che l’intera costruzione costituiva una enorme “gabbia di Faraday” sormontata da parafulmini e collegata a terra: precisamente
quel che oggi sappiamo fare di meglio per proteggere
dalle scariche atmosferiche i depositi di esplosivi.
Plinio racconta che il re Tullio Ostilio aveva imparato
dal suo predecessore il segreto per attirare il fuoco di
Giove; ma a causa di qualche dimenticanza morì fulminato: oggi noi diremo che perì di folgorazione per difetto
d’isolamento. Porsenna, Re dei Volsci, sapeva dirigere il
fuoco del cielo per uccidere i nemici, e questo metodo
speditivo fu applicato per distruggere un mostro che
devastava l’Etruria.
Nella “Pharsalia” di Lucano alcuni versi sono dedicati
a un certo aruspice di nome Aronte che viveva quindici
secoli prima di Cristo, dunque circa all’epoca di Mosè e
che sapeva il modo per “sprofondare la folgore nelle
viscere del suolo: Aruns dispersus fulminis ignes colligit,
et terrae, maestro cum murmurem, condit, che in italiano pressa a poco, significa: Aronne raccoglie i fuochi sparsi della folgore e con sinistro mormorio li immedesima
nella terra.
Se poi ci rifacciamo a Columella ed ancora a Plinio
nella sua “Naturalis Historia”, sentiamo parlare di protezione degli edifici dalla folgore, per mezzo di cinture di
piante: Plinio pretende addirittura che i timorosi proteggessero le loro case coprendole di …. pelli di foca, l’unico animale che non è mai colpito dal fulmine, secondo
lui.
Non mancano notizie presso gli antichi di altre meteore elettriche.
Il fuoco di Sant’Elmo, che corona di effluvi o di fiam-
me vere e proprie i punti più elevati degli edifici e degli
alberi delle alberature delle navi, non era sfuggito loro,
dando luogo alle più bizzarre superstizioni. Tito Livio racconta che Lucio Atreo acquistò per il figlio un giavellotto
di cui la punta gettò fuoco per più di due ore. Plinio racconta di aver visto questi fuochi posarsi sui pennoni delle
navi: i marinai dicevano che essi erano sempre tre alla
volta, che chiamarono Elena, Castore e Polluce. E quando questi fuochi si posavano sulla testa delle persone ne
veniva gran contentezza poiché erano ritenuti buoni e
favorevoli presagi.
In tempi più vicini a noi il figlio di Cristoforo Colombo
racconta nella sua “Storia dell’Ammiraglio” che durante
il secondo viaggio di Colombo in America, nel 1493, Sant’Elmo si mostrò addirittura sull’albero di parrocchetto
con sette ceri accesi. Forbin, meno credulone, narra che
una volta mandò un marinaio su di un pennone per staccate il fuoco di Sant’Elmo: il fuoco che crepitava come
polvere bagnata, si staccò e andò a posarsi sulla cima dell’albero.
Del resto a quel marinaio andò bene, se pensiamo a
quanti alpinisti che, arrivando su di una cima senza avere
l’avvertenza di “tastare l’aria” col piccone, sono stati
rovesciati da una violenta scarica. Dal che, come da ciò
che abbiamo detto in precedenza, si desume che l’elettricità atmosferica è stata osservata, in grazia all’appariscenza e dall’immediatezza dei suoi fenomeni naturali,
dagli antichi non meno che da noi moderni.
Dobbiamo pensare che Mosè, Salomone, Tullio Ostilio
ecc. avessero veramente scoperto il modo, se non di spiegare secondo la concezione moderna, per lo meno di provocare e in un certo qual modo disciplinare questi fenomeni? Oppure fu il caso, come per l’Arca dell’alleanza, a
disporre le cose in modo che questi fenomeni trovassero
condizioni favorevoli per il loro prodursi, essendo poi
interpretati in modo soprannaturale?
Lasciamo agli storici ed ai critici sottili e, soprattutto
agli scienziati, di rispondere a queste domande.
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Le nuove frontiere dell’astrologia
Enrica Franciolini
Dell’Astrologia si parla spesso come di una “Scienza
Antica”, in quanto tutti i miti, gli archetipi e i significati
abbinati a ciascun pianeta e costellazione si perdono
nella notte dei tempi, e anche le principali leggi matematiche e geometriche astrologiche furono messe a
punto, ben prima che Copernico arrivasse a capovolgere
la visione dell’Universo, con la sua cosmogonia eliocentrica che sostituì, come tutti sanno, quella geocentrica.
Secondo l’Astrologia antica, il mondo e tutte le relazioni umane, venivano descritte tramite 7 “pianeti”,
chiamati “sfere”, e cioè Sole, Luna, Mercurio, Venere,
Marte, Giove e Saturno.
Così, la vita dell’uomo antico, era perfettamente
descritta tramite queste sette sfere, e le loro interrelazioni matematiche, secondo il principio esoterico del
“come in alto così in basso”.
A Sole e Luna erano associati il valore “maschile” e
“femminile”, a Mercurio era abbinato il mondo dei contatti, a Venere l’amore, Marte la guerra, Giove il benessere e i piaceri e Saturno le carestie, la morte, la spiritualità, l’ascesi spirituale, la croce, di cui l’uomo, da
sempre, doveva caricarsi.
Per molti anni, gli Astrologi hanno in un certo senso,
vissuto di rendita, sviscerando, analizzando ed elaborando teorie avanzate, sempre sulla base dei testi che ci
derivano dall’antichità e dal frutto del pensiero antico.
Tuttavia, è bene precisare che, i tre cosiddetti “pianeti” moderni, cioè Urano, Nettuno e Plutone, furono scoperti dal 1784 in poi e di essi, ovviamente, non c’era nulla
di scritto.
E così, finalmente, gli Astrologi moderni hanno dovuto
elaborare nuove teorie, basandosi sempre sull’analisi del
periodo storico sociale, in cui ciascuno dei tre pianeti fu
scoperto.
Attualmente i significati abbinati ai tre pianeti sono
riconosciuti da tutta la moderna pratica astrologica, ma
immagino che il percorso compiuto negli ultimi trecento
anni , per accordarsi circa i loro significati, non sia stato
così lineare come può sembrare.
Per esempio, se è vero che il principio esoterico del
“come in alto così in basso” portava a collegare Urano al
principio rivoluzionario, alla tecnologia, alla scienza, e a
tutto ciò che è moderno, in virtù del fatto che Urano è
stato scoperto in periodi di rivoluzioni politico sociali e
scientifiche, è altrettanto vero che, tutti gli altri significati, come dire… derivati da questo principio rivoluzionario, saranno sicuramente stati testati, seguendo il principio universalmente utilizzato da tutti gli scienziati del
mondo, e cioè quello statistico e probabilistico.
Quello che molti non sanno, è che un Astrologo serio,
studioso e soprattutto con anni di esperienza alle spalle,
si comporta in realtà, per forza di cose, come uno scienziato e cioè, elabora teorie astrologiche, dalle più semplici alle più elaborate, e poi, le prova, cerca conferma
nella realtà, ed eventualmente le abbandona, per soppiantarle con qualche teoria migliore, o qualche abbinamento “pianeta- evento”, migliore.
Francamente, non vedo una grande differenza fra questo modo di procedere, come ricercatrice Astrologa e i
tempi in cui, nei laboratori di Fisica, alle prese con la mia
tesi di Laurea, provavo e riprovavo, esprimenti collegati
a teorie formulate da altri scienziati prima di me.
E come in ogni percorso scientifico che si rispetti, si
notano le solite due (a grandi linee) tendenze nei confronti dello studio, e cioè, da una parte i ricercatori
all’avanguardia, coloro che continuano a sperimentare, a
provare, ad elaborare nuove teorie, e dall’altra, i “reazionari”, quelli che non andrebbero mai avanti , che si
arroccano sul passato, in nome della cosiddetta “scienza
antica”, che proprio per il fatto di essere antica, non ha
più niente da scoprire, un po’ come fosse un libro di storia già scritto e immutabile.
Per fortuna, i tempi sono tali, che i veri ricercatori
procedono nei loro studi , incuranti di coloro che si cullano nel passato, e da veri e propri ricercatori, senza assolutamente negare la Tradizione, guardano avanti e cercano di integrare l’Astrologia con altre scienze, e persino di
integrare il concetto di Destino con il concetto di Libero
arbitrio, da sempre ritenuti “nemici”.
Personalmente credo siano proprio finiti i tempi dei
6
“nemici”, delle teorie inconciliabili, delle filosofie di vita
che si scontrano in duelli estremi.
L’ingresso di Nettuno in Pesci, avvenuto nel 2013,
segna al contrario l’inizio di un’epoca in cui tutto si
fonde, si mescola, i colori perdono le loro linee di confine, e sulla tavolozza si cercano nuove sfumature, nuove
dimensioni, a livello politico, sociale, e spirituale, che
comprendano in se, la nuova complessità umana, smussando i confini, gli spigoli, alla comune ricerca della
Nuova Energia che da qui in poi pervade ogni moto dell’anima.
Ecco dunque che gli Astrologi moderni, hanno cominciato ad elaborare teorie futuristiche, che cercano di fare
leva sul libero arbitrio umano.
Una delle più interessanti riguarda quella che in Astrologia viene chiamata “Rivoluzione solare” e riguarda la
teoria delle previsioni.
Ci sono vari metodi per calcolare le
previsioni; quello cosiddetto antico,
cioè trasmesso dagli antichi studiosi, è chiamato “Metodo dei
Transiti”, e consiste nel calcolare le distanze angolari fra le posizioni attuali dei pianeti nelle loro
orbite, rispetto alle
posizioni dei pianeti
al momento della
nascita di ciascuno
di noi.
Questo metodo,
è assolutamente
deterministico, e
non prevede alcuna azione di libero
arbitrio da parte
dell’uomo.
Poi, gli Astrologi
moderni, hanno elaborato appunto il “metodo
delle rivoluzioni solari”,
che invece prevedono l’utilizzo del libero arbitrio… e ora
vedremo come.
Ogni pianeta, ha due moti, uno di
rotazione attorno al proprio asse e uno di
rivoluzione nella propria orbita, attorno alla
Terra, visto che il sistema di descrizione astrologica dei
pianeti, pone la Terra al centro.
Il Sole, come tutti gli altri corpi celesti, a questo punto
ruota attorno alla Terra e impiega 365 giorni e qualche
ora per compiere un giro completo e tornare esattamente sulla propria posizione di un anno prima.
Così, se una persona è per esempio, del segno dello
Scorpione, è perché il Sole, al momento della sua nascita
era in Scorpione, in una posizione esatta, definita in
gradi, primi e secondi.
Ora, ogni anno, il giorno del compleanno della persona, il Sole tornerà esattamente nella stessa posizione
della nascita, magari non alla stessa ora.
Il metodo della rivoluzione solare calcola per il giorno
del compleanno della persona, un nuovo tema, che viene
chiamato appunto “Rivoluzione solare”, con tanto di pianeti, case, aspetti, ecc. esattamente come fosse un
nuovo tema natale, che però dura un anno, cioè fino al
prossimo compleanno. Ebbene, gli Astrologi moderni,
hanno scoperto che, studiando questo grafico particolare, unico e irripetibile per ciascuno di noi, si possono
evincere delle caratteristiche, relative all’anno in corso
e… non è finita qui!
Molti sanno che, oltre al segno zodiacale, è molto
importante la posizione dell’Ascendente, che dipende,
non solo dall’ora di nascita precisa, ma anche dal luogo
di nascita.
In poche parole, due persone, che nascono alla stessa
ora, una in Italia e l’altra in Brasile, hanno Ascendente
diverso.
La stessa cosa vale per la Rivoluzione solare e cioè,
trascorrere il giorno del compleanno in un paese o in un
altro, magari a migliaia di chilometri di distanza, cambia
il cosiddetto Ascendente di rivoluzione e di conseguenza,
cambia il tenore dell’anno che vivremo!
Esistono degli Ascendenti di rivoluzione
considerati benefici, anzi, di grande
rilancio per la nostra vita, e altri
invece considerati parecchio
malefici, corrispondenti ad
anni forieri di prove, problemi di ogni genere.
E queste configurazioni sono ovviamente
comprovate dalla pratica, dall’esperienza,
dalla casistica, non
solo la propria ma
anche quella di
astrologi di tutto il
mondo.
E così, una rivoluzione solare calcolata preventivamente,
cioè prima della data
del prossimo compleanno, se ritenuta particolarmente negativa, può
essere mutata, e la persona indirizzata verso mete più
favorevoli: in pratica si tratta di
trascorrere il giorno del compleanno in luoghi più benefici alla persona,
luoghi che cambiano di anno in anno.
Non sempre si deve viaggiare, ma fate caso e
informatevi, e scoprirete che molti personaggi famosi,
compresi politici di tutto il mondo, il giorno del proprio
compleanno, chissà perché, compiono viaggi in luoghi a
volte originali.
Ovviamente non si possono fare miracoli , ma tanto per
parlare in gergo, “spostare un Ascendente dalla casa XII”,
significa evitare alla persona un anno davvero pesante,
mentre, al contrario, “spostare l’Ascendente di rivoluzione in casa X” significa aiutare la persona a compiere un
percorso di maggiore realizzazione professionale e in
generale un percorso di maggiore autonomia e indipendenza.
E, se la Rivoluzione solare è accettata ormai in tutto il
mondo (tranne da qualche fascia di Astrologi italiani, che
“resistono” strenuamente, ai soli metodi antichi), nel
mondo, per fortuna, altri astrologi stanno varcando ben
altre soglie di studi e sperimentazioni.
Durante il mio viaggio in Australia, nel 2007, comprai
7
in un negozio di giornali, una semplice rivista astrologica,
di quelle divulgative per il pubblico, e in essa scoprii un
articolo rivoluzionario di un’Astrologa americana che
stava elaborando studi di “linee di fortuna”.
Secondo le sue teorie, avvalorate da molti altri astrologi di fama mondiale, dal grafico del tema natale di ciascuno di noi, si possono estrapolare le cosiddette “linee
di fortuna”, che partono da punti particolarmente fortunati , quali per esempio Giove, pianeta della fortuna e
dell’abbondanza, e il “punto di fortuna”, presenti in ogni
grafico, prolungando i quali , si possono ricavare dei luoghi, sparsi in tutto il mondo, in cui la nostra vita sarebbe
più fortunata, o per lo meno più facile.
E lei, questa astrologa, sta compiendo degli “esperimenti”, con clienti problematici, che hanno accettato
trasferimenti da costa a costa, cioè di migliaia di chilometri, monitorando la loro vita e ponendosi domande a
vari livelli, ivi comprese sul libero arbitrio ma anche sul
karma che ci porta a nascere e vivere in determinate
zone del mondo, piuttosto che in altri, sulla loro interazione e sulla possibilità da parte dell’essere umano, di
superare il proprio destino, cercando altrove un destino
migliore, il che, se ci pensiamo, è ciò che istintivamente
fanno i disperati quando scappano dal proprio paese, alla
ricerca della propria fortuna.
In questi miei pensieri sul futuro dell’Astrologia, ho
citato la Nuova Energia, che, secondo una nuova corrente esoterica, diffusa dal gruppo “Crimson Circle”, starebbe pervadendo il nostro mondo, coinvolgendoci in una
serie di cambiamenti a tutti i livelli; la confusione di questi tempi, il malessere sociale, economico, il senso di
smarrimento e soprattutto, quell’intenso desiderio di
cambiamento che molti di noi sentono, derivano da questa Nuova Energia che capovolgerà anche le normali tecniche astrologiche, concedendo sempre maggiore spazio
al nostro libero arbitrio.
In quest’ottica, le teorie astrologiche all’avanguardia,
prevarranno sempre più sulla visione deterministica del
nostro futuro, e, le persone libere dentro, si rivolgeranno
all’Astrologia più che altro per determinare quali siano le
linee di vita più adatte a sviluppare i propri potenziali.
Anche i libri di Vadim Zeland sul Transurfing, e lo Spazio delle Varianti, negano nella maniera più categorica il
determinismo, mentre spingono l’essere umano nella
scelta della propria linea di destino.
Detti così, sembrano concetti astratti, ma pensate
come, ad ogni bivio della nostra vita, avremmo potuto
prendere una direzione piuttosto che un’altra, e la nostra
vita, avrebbe potuto essere completamente diversa da
quella che è.
Questo è il Transurfing, cioè fare surf sulle onde della
nostra vita, scegliendo nello spazio della Varianti; e questi sono i dettami della Nuova Energia, che ci spinge a
vivere esprimendo appieno i nostri potenziali , e in questo contesto, completamente innovativo, io vedo il futuro dell’Astrologia, sempre più al servizio dell’uomo
moderno che si sceglie il proprio destino, con strumenti
impensabili fino a poco tempo fa.
8
Digito, ergo sum
Renzo Bracco
Tutto cominciò nell’antica Grecia, quando Socrate sviluppò la teoria del dubbio, concetto collegato al pensiero, per contestare le false certezze dei sapienti dell’epoca. La teoria fu ripresa da Platone, nell’ ”Apologia di
Socrate”, e quindi anche da Agostino, nell’ambito di una
riflessione cristiana: “Si fallum, sum”: se sbaglio, esisto.
Ma fu René Descartes – meglio noto come Cartesio –
filosofo e matematico insigne, a scrivere che “Dubium
sapientiae initium” (il dubbio è l’inizio della sapienza)
fino a coniare il famoso detto “Cogito, ergo sum” (penso,
dunque sono) inserito nel trattato “Discorso sul metodo”
del 1637, e quindi nel successivo “Principi di filosofia”,
del 1644. La connessione tra il dubbio ed il pensiero fu
in seguito affrontata da grandi filosofi e pensatori, quali
Campanella, Kant, Vico, Hegel, Shopenhauer, fino all’ingegnere-filosofo Luciano de Crescenzo, che nel 1997 pubblicò un trattato sull’argomento, titolato, appunto, “Il
dubbio”.
Nel corso degli anni, il detto “cogito, ergo sum” ebbe
numerose elaborazioni: ne citeremo alcune tra le più
famose, spiritose, ed anche …osé: “Cogito, ergo sum:
che ci posso fare?!” di J. Foster; “Coito, ergo sum” di R
Franchini; “Penso, dunque sono: e credo” di G.Carlini;
“Rogito, ergo sum” di A.Romano, certamente un notaio;
“Cogito, ergo sum: e resto single” di L. Winstead; “Penso,
quindi sono. E non faccio un c…” di Altan.
In questa breve rassegna, non poteva mancare il re
degli aforismi, Oscar Wilde: “ Se hai trovato una risposta
a tutti i tuoi dubbi, e a tutte le domande che ti sei posto,
vuol dire che le domande che ti sei rivolto, o le risposte
che ti sei dato, erano sbagliate”.
Come si evince dal titolo di questo articolo, ne proponiamo qui una ennesima elaborazione, in sintonia col
nostro tempo: “Digito, ergo sum”. E’ cosa nota che stiamo vivendo nell’era digitale, in origine lemma di derivazione musicale, dove “digitare” sta per suonane, dileggiare; il significato corrente è tuttavia un altro: “premere con le dita i tasti, con segni alfabetici o numerici, sulla
tastiera di un apparecchio elettronico, per registrare o
trasmettere dati” (Diz. Treccani).
Tralasciando gli ambienti super-tecnologici, la gente
comune ha iniziato a “digitare” una trentina di anni fa,
quando i telefoni a tastiera hanno sostituito quelli a
disco. Il lettore ricorderà certamente com’erano gli
apparecchi telefonici fino agli anni 80: neri, spesso montati su una mensola; il numero si componeva su un disco
rotatorio in un tempo che oggi ci sembrerebbe eterno. È
superfluo ricordare le innovazioni successive, cresciute
in modo esponenziale, fino agli odierni I-phone, I-pad, TV
digitale, et similia.
Paradossalmente si può affermare che oggi si fanno le
stesse cose che si facevano trent’anni fa, ma si fanno in
tempi sempre più ridotti. E’ quindi migliorata la comunicazione tra gli esseri umani? Ai lettori l’ardua sentenza,
ricordando che spesso informare, o parlare, non è comunicare...
Questo breve excursus nel mondo digitalizzato, che
ormai ci circonda in ogni dove, mira a riprendere il tema
che è stato trattato in una serie di articoli pubblicati su
questa rivista: l’evoluzione dell’uomo si è svolta in parallelo con la sua alimentazione.
Come si è detto, oggi il mondo “va più veloce”, e così
pure la preparazione del cibo; si dà per scontato che gli
alimenti vengano reperiti e cotti in pochi minuti: si va al
supermercato, si accende il gas, il forno elettrico, o
meglio ancora il microonde , e il gioco è fatto. Nessuno si
fermerà a riflettere cosa dovevano fare i nostri lontani
antenati (i “cacciatori” e i “raccoglitori”) per potersi
nutrire, fino a quando lo sviluppo dell’agricoltura migliorò sostanzialmente la vita dell’uomo, e la sua alimentazione.
Risolto il problema dell’alimentazione, nacque quello
della conservazione del cibo, le cui tecniche si sono evo10
Tale lavorazione, molto utilizzata nell’industria farmaceutica, si è diffusa anche per vari prodotti alimentari: in
primis il caffè solubile, ma anche latte in polvere, camomilla, brodi, omogeneizzati, fino alle patate, carne e
persino la frutta. I produttori garantiscono che le proprietà nutritive e organolettiche rimangono intatte.
Per concludere questa rassegna delle nuove tecnologie
alimentari, tutte tese alla ”velocizzazione” di cui è pervasa la nostra epoca, non si può non accennare alle risultanze delle nuove tecnologie: la nascita e la diffusione
del “fast food” , basato sui cibi veloci da preparare, e
veloci da consumare, con tutto ciò che ne consegue in
termini di obesità (sono ipercalorici) e di colesterolo,
data l’elevata quantità di acidi grassi.
lute con l’evoluzione della civiltà. Nei millenni che ci
hanno preceduto, si è passati attraverso varie fasi: quando l’uomo riuscì a controllare il fuoco, fu la semplice cottura. Si passò quindi all’essicamento, dove il clima lo
permetteva; nell’antica Roma si praticava anche la salatura e l’affumicamento..
Passando ai tempi moderni, ricordiamo che negli Stati
Uniti si iniziò a studiare la possibilità di surgelare alcuni
alimenti già negli anni ‘30; tuttavia la diffusione dei surgelati iniziò soltanto cinquant’anni dopo, negli anni ’80.
In Italia il settore fu regolamentato per legge nel 1992,
ma ci vollero ancora altri anni perché alcuni pregiudizi
fossero superati: “i surgelati fanno male”, “i surgelati
ingrassano” “i surgelati non sono sicuri” “con i surgelati
il cibo perde sapore”. Oggi queste credenze sono in
buona parte scomparse: la praticità e la velocità con cui
si possono utilizzare ha fatto superare molte remore.
In realtà i surgelati, se lavorati rapidamente a -30°C,
e ben conservati nella catena del freddo, non presentano
rischi di alcun genere, anzi rendono le proteine più digeribili. Unico piccolo inconveniente: i sali minerari e le
vitamine vengono parzialmente perdute, ma sempre in
misura minore rispetto ai cibi in scatola.
A tale processo si è affiancata la liofilizzazione, dal
lemma liofilo, “amico della solubilità”: un processo che
prevede la surgelazione a -30/-50°C, seguita dall’ eliminazione dell’acqua, che si separa sotto forma di cristalli
di ghiaccio, con la sublimazione, ovvero il passaggio
diretto dallo stato solido a quello di vapore.
Come contrapposizione a questo tipo di alimentazione,
nel 1986 nacque in Piemonte, a Bra, il movimento detto
“slow food”, teso a riscoprire il piacere della buona
tavola, e a combattere le cattive abitudini prima descritte. Obiettivo: la riscoperta della cucina tradizionale,
della dieta mediterranea, delle specialità locali o regionali; il tutto accompagnato da una modica quantità di un
buon vino, che nel nostro paese non manca di certo.
Un’ultima considerazione: dove sono finiti i piatti “poveri”, come la trippa, o la lombarda cassoela, piatti che
prevedono tempi di cottura di almeno tre ore?!
Comunque, per chi si domandsse come si risolve il
dilemma “fast food o slow food”?, suggeriamo la risposta
che ci viene dall’antico principio: in medio stat virtus.
11
Incontri
Guido Luigi Buffo
È più difficile incontrare o farsi incontrare?
Ricordo un episodio. Avevo circa vent’anni e stavo, con
amici, vicino alla porta della palestra a chiacchierare.
Avevamo appena finito di allenarci; era una bella giornata ed eravamo allegri.
Una voce alle mie spalle chiede: “Scusi, mi sa dire
l’ora?” Io rispondo “Si” e con gesto noncurante, mentre
mantengo l’attenzione ai miei amici, sollevo sopra la
spalla il polso con l’orologio, per mostrarlo al mio interlocutore. Pochi secondi e lo riabbasso. Continuo a chiacchierare e a scherzare.
Di nuovo la voce: “Scusi: me la dice l’ora?” Un po’ stupito e infastidito mi appresto a rimettere in mostra l’orologio quando noto intorno a me, facce imbarazzate e risa-
te soffocate. Sono spazientito; penso a uno scherzo e mi
volto. L’uomo è là ma non guarda il mio orologio, non
guarda neanche me; non guarda davvero nulla: è cieco.
Mi sento gelare. Guardo l’orologio, l’orologio che lui
non può vedere, e balbetto l’ora. Lui ringrazia sereno,
con un gran sorriso, e se ne va. Mi sono detto mille volte
che avrei dovuto dirgli: “No, sono io che ringrazio lei”;
ma non l’ho mai fatto. Non l’ho seguito per dirglielo: da
giovani è così.
Pochi mesi fa, incontro un ex-manager che ha chiesto
supporto per il suo ri-orientamento professionale. Ha
qualche anno meno di me; è rimasto a casa quando la sua
azienda ha affrontato una fusione con un gruppo estero.
Dopo qualche mese, il cambio da una posizione importante a una vita da semi-casalingo comincia a pesare.
É brillante, e prova subito a trasformare il nostro
incontro in una riunione di lavoro; mi da anche il suo
biglietto da visita, sul quale è stampata la sua vecchia
qualifica e compare il nome dell’ultima azienda per la
quale ha lavorato.
Quando gli chiedo: “Perché non mi parla un po’ di
lei?”, l’imbarazzo è tangibile; lui passa una buona mezz’ora a descrivermi il suo lavoro: un lavoro che non ha
più. Lo interrompo per ripetergli la domanda con un sorriso, mentre arriva il caffè. Diventa rosso e poi sorride
impacciato: iniziamo a parlare.
Tra incontrare e farsi incontrare non mi pare vi sia
molta differenza. Parliamo di cose difficili.
La nostra vita ci abitua a costruire immagini di noi;
spesso le pretende. Quando non siamo abbastanza bravi a
costruirle, altri lo fanno per noi idealizzandoci: mettendoci addosso i panni morbidi del ruolo, che è sempre un
po’ lusinga.
In tutto questo adattarsi, conformarsi, sentirsi al sicuro e protetti, la vita sa comunque sorprenderci, scardinando i nostri oliati meccanismi con granelli microscopici
di verità. Capita a tutti, prima o poi.
Nonostante ai più questo sembri una iattura, mi sono
invece convinto del fatto che questa rottura rappresenti
un’opportunità.
Dopo che per cinquantadue anni avevo sorriso alle
spalle di chi vedevo fare jogging ho provato – convinto
dalla dolce tirannia dell’Amore – a misurarmi con la
corsa. Armato di scarpette e sorriso, ho guardato sereno
la mia signor e ho detto, sicuro di me: “mi raccomanda,
è la prima volta: non più di dieci minuti eh?”.
Dopo centocinquanta metri eravamo entrambi aggrappati a un albero, in debito d’ossigeno, paonazzi e stravolti. Ci abbiamo riso sopra ovviamente, ma ci siamo detti
che, forse, era venuta in luce una necessità che non avevamo considerato. Accadeva un anno fa.
Oggi andiamo a correre appena possiamo. Ci divertiamo, e pur non avendo nessuna aspirazione podistico-agonistica, riusciamo a correre per quasi un’ora.
Incontrarsi non è mai facile. Ma fa vivere meglio.
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13
Mappamondi, isole
e territori d’oltremare
Umberto Accomanno
Il 23 dicembre del 1942 Winston Churchill ricevette uno
strano regalo di Natale. Era un globo di 127 centimetri di
diametro e di 340 chili di peso che gli aveva inviato il
generale George C. Marshall, Capo di Stato Maggiore dell’esercito statunitense. Franklin D. Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti, ne ricevette uno identico, per ribadire l’alleanza tra i due paesi durante la seconda guerra
mondiale.
Il giorno di Natale, Churchill si posò vicino al globo con
un sigaro in una mano e l’altra appoggiata su un luogo
vicino al Giappone. Il giorno dopo spedì un telegramma a
Marshall: “Abbiamo avanzato risolutamente durante questo anno difficile e sarà di profondo interesse per me
seguire, su questo globo, la grande operazione in tutto il
mondo che ci darà la vittoria finale”.
Ora il mappamondo è in mostra a Chartwell. Il Nord
della Francia e New York sono le due aree più consumate.
Peter Bellerby, 47 anni, si trovava a Chartwell nel Sud
dell’Inghilterra. Dopo quella visita, Bellerby ha costruito
un globo ispirato a quello di Churchill. L’ha fabbricato con
della fibra di vetro, incollando la carta a mano, ritoccan-
do l’immensità degli oceani e dei continenti con l’acquarello. Il mappamondo originale, di 127 centimetri di diametro e di 152 centimetri di altezza, aveva una base in
alluminio progettata dagli ingegneri della Aston Martin.
Il modello che Bellerby ha aggiunto al suo catalogo si
chiama Churchill, e il primo esemplare è stato venduto
per 87.000 euro. Bellerby è uno dei pochi artigiani al
mondo che costruisce mappamondi. Ha venduto nel 2011
cento pezzi, una cifra che nel 2012 è raddoppiata. Alla
Berbelly and company lavorano cinque persone. I loro
prodotti sono venduti in 40 paesi. Tra i dipendenti di Berbelly un geografo e geopolitico. Da quando Tolomeo scrisse il trattato Geographia, tra il 90 e il 170 dopo Cristo fino
all’ultima immagine di Google street view, le mappe ci
hanno messo in comunicazione con la realtà.
Il mondo è retto dalle frontiere e le frontiere si identificano sulle mappe. Le linee con le quali si cerca di rappresentare il mondo sono strumenti dei nazionalismi e
una potente arma intellettuale nelle contese territoriali.
Le contese sono numerose e tra le tante, visibili sulle
carte geografiche e geopolitiche, quella relativa alle Isole
Falkland è una delle più rappresentative. Malvine (secondo l’Argentina), le isole Falkland, nell’Atlantico sud-occidentale, sono una colonia britannica. Il contenzioso risale al 1883, quando il Regno Unito si insediò nelle isole
cacciando un presidio argentino.
Il 2 aprile 1982 la giunta militare argentina invase l’arcipelago sperando in una vittoria lampo. Ma il 14 giugno
il comandante argentino si arrese. La guerra costò la vita
a 655 soldati argentini e a 255 soldati britannici. Il 10 e
11 marzo 2013 il 98,8 per cento degli abitanti delle Falkland ha votato affinchè l’arcipelago resti una dipendenza d’oltremare della corona britannica.
Per l’Argentina, che ( come già sopra indicato) chiama
le isole Malvine, il risultato della consultazione non ha
alcun valore giuridico. Altro caso di disputa territoriale è
il notissimo contenzioso relativo a Gibilterra tra Gran
Bretagna e Spagna che puntualmente riaffiora con dichiarazioni di fuoco.
La famosa rocca, tuttavia, è ancora oggi territorio
della Corona inglese. Batte moneta e vanta un rappresentante britannico sul territorio. L’isola Mayotte ( a nord
ovest del Madagascar) , territorio d’oltremare francese, è
oggetto di rivendicazione da parte delle isole Comore. Le
isole Hanish, non lontane dallo stretto di Bab - el Mandeb,
sono contese tra l’Eritrea e lo Yemen.
Ma oltre alle contese territoriali è affascinante scoprire sperduti territori d’oltremare, isole, ex colonie ancora
individuabili sul mappamondo della Bellerby and company o sulle pregevoli carte geografiche prodotte dall’Istituto geografico De Agostini di Novara. Per esempio: Trinidad e Tobago che si trova a soli 11 chilometri al largo del
Venzuela, tra il mare dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. Più
del 90% della popolazione vive sull’isola di Trinidad dove
sorge la capitale Port of Spain. Gli abitanti, la cui distri14
buzione sul territorio è molto eterogenea, sono per lo più
di origine indiana, africana e meticcia e di religione cattolica e induista.
Le due isole scoperte e conquistate dagli spagnoli nel
XVI secolo hanno ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito
nel 1962 e hanno adottato una Costituzione repubblicana nel 1976, attribuendo al Presidente della Repubblica,
eletto dal Parlamento, le funzioni già svolte dalla corona
britannica.
Oppure: Gibuti. Un paese dell’Africa Orientale, di
fatto una città-stato con un piccolo entroterra che occupa una posizione geopolitica e strategica rilevante non
solo a livello regionale. Situato nel corno d’Africa e di
fronte al golfo di Aden, una delle aree geopolitiche più
delicate del mondo, il paese è al centro di forti interessi
politici ed economici.
Il 60% del commercio mondiale via nave passa, infatti,
attraverso lo stretto di Bab el - Mandeb, tra Gibuti e lo
Yemen, che congiunge il mar Rosso con l’Oceano Indiano.
Inoltre, negli ultimi anni l’area è diventata sempre più
importante dal punto di vista strategico sia per l’instabilità che colpisce la Somalia e lo Yemen, sia per il fenomeno della pirateria nel golfo di Aden, che fa del piccolo
stato africano una base importante dalla quale combattere tale fenomeno. Gibuti è una ex colonia francese, indipendente dal 1977.
Come retaggio dell’indipendenza di Parigi, ancora oggi
ospita la più grande base militare francese in Africa, con
una presenza di 3.000 soldati circa. Da qualche anno si è
aggiunta la presenza degli Stati Uniti che hanno una gran-
de base militare (Camp Lemonnier). A livello regionale i
rapporti più importanti sono senza dubbio quelli con
l’Etiopia: attraverso Gibuti passa, infatti, gran parte del
commercio etiopico.
Altro caso geopolitico curioso è quello delle isole Marshall che sono uno stato insulare dell’Oceania, costituito
da due catene di atolli corallini. Delle oltre mille isole
marshallesi solo quelle degli atolli di Majuro e Ebeye sono
densamente popolate. Tra gli atolli deserti o scarsamente abitati, Bikini è tra i più noti: esso infatti, tra il 1946
e il 1958, a seguito della conquista statunitense delle
isole, è stato scelto dal presidente Truman (e poi da
Eisenhower) come luogo per testare le armi atomiche.
All’epoca, gli isolani di Bikini insieme a quelli di Enewetak, altro atollo interessato alle sperimentazioni, furono
evacuati forzatamente.
Bikini è tutt’ora inabitato e inquinato dalle scorie
radioattive mentre Enewetak, parzialmente decontaminato nel 1977 dall’esercito statunitense, è stato ripopolato nel corso degli anni settanta. Palau: la Repubblica di
Palau, stato insulare situato nell’arcipelago pacifico delle
isole Caroline, a sud-est delle Filippine, è stata amministrata dagli Stati Uniti fino al 1994. Questi ultimi strapparono l’isola ai Giapponesi nel corso della seconda guerra
mondiale. Dal 1947 la governarono in base al mandato per
il controllo del Territorio Fiduciario delle isole del Pacifico, ottenuto dalle Nazioni Unite. Tale mandato includeva,
oltre a Palau, anche la Micronesia, le isole Marshall e le
Marianne Settentrionali. Ed ancora: l’isola di Zanzibar,
che con il Tanganica forma la Repubblica Unita della Tan15
zania (uno dei paesi più dinamici dell’Africa Orientale),
ha sempre mantenuto un certo grado di autonomia,
soprattutto per ciò che concerne gli affari interni. L’isola, unificata al Tanganica nel 1964, è dotata di un proprio
parlamento bicamerale, eletto su base quinquennale
come quello tanzaniano. Cinque rappresentanti del Parlamento di Zanzibar hanno un seggio di diritto presso il Parlamento nazionale della Tanzania. Nel 2000 si sono verificate le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria
del vice presidente del CCM Amani Abeid Karume (poi
confermato nel 2005), figlio del primo presidente dell’isola. Ciò pone dei dubbi sulla trasparenza del sistema
politico di Zanzibar. E infine le isole sperdute: Sant’Elena, Diego Garcia, Norfolk Island. Sant’Elena, Territorio
della Corona britannica a 1850 km dall’Angola e a 3.290
dal Brasile. Noto scalo atlantico già di proprietà della
Compagnia delle Indie Orientali è famosa per il definitivo
esilio di Napoleone Bonaparte. Norfolk Island (oggi territorio australiano) a 740 km dalla Nuova Zelanda e a 1390
dall’Australia è stata un feroce penitenziario durante la
colonizzazione inglese dell’Australia.
E infine Diego Garcia (territorio della Corona inglese)
facente parte dell’arcipelago delle isole Chagos a 780 km
dalle Maldive e a 1780 km dalle coste dell’India. L’isola di
Diego Garcia è un territorio britannico dell’Oceano Indiano e attualmente ospita una importante base militare
americana (USA). Il viaggio sul mappamondo potrebbe
continuare, ma ci fermiamo volentieri a Diego Garcia.
Riferimenti bibliografici:
Atlante Geopolitico 2013 Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma;
“Internazionale”, n°1006 del 28 giugno 2013 pag.72 e
ss. (Peter Bellerby, Creatore di mondi – articolo tradotto
dal quotidiano spagnolo “El Paìs”);
Judith Schalansky, Atlas of remote Islands, London
2009.
16
I Templari grandi banchieri
Angelo Casati
Già a metà del XII secolo L’Ordine, nato in modo oscuro, si è velocemente radicato ovunque, in Palestina come
nell’Europa occidentale , e si è coperto di gloria combattendo i musulmani. Diventa sempre più chiaro che il Tempio è il miglior garante della cristianità in Terra Santa. In
Europa le donazioni sono moltissime, case, castelli, terreni e foreste vengono donate e diventano proprietà che
l’Ordine inizia a sfruttare con oculatezza. Ricordiamo che
i Templari sono esentati da qualsiasi tassa e dal controllo
di qualsiasi potere feudale, reale e religioso, dipendono
solo dal papa. Inoltre iniziano ad organizzare e proteggere le vie di pellegrinaggio, le risorse ricavate vengono
reinvestite in nuovi terreni, in armamenti per le navi o in
materiale bellico per le crociate e non solo ad uso del
Tempio ma per cederle con guadagno.
Fanno costruire numerosi edifici e santuari a cui vendono reliquie cha abbondano in Palestina, a quel tempo
era il modo più sicuro per creare una rendita cospicua ad
un monastero o ad una cattedrale. Organizzano un’importante rete commerciale internazionale, promuovendo di
conseguenza i rapporti diplomatici tra diversi stati dell’occidente, in molte occasioni fungono da mediatori,
regolano conflitti e negoziano trattati. E soprattutto una
delle loro prime missioni è quella di trasferire soldi dall’Europa in Terrasanta, ad uso di pellegrini e crociati, ciò
li trasforma in veri e propri banchieri. Prendono in consegna il denaro a Londra o a Rouen e lo fanno arrivare senza
intoppi ad Acri o a Giaffa. Con la sua espansione l'Ordine
del Tempio inizia a suscitare grandi gelosie, talvolta
anche odio, come attesta Guglielmo di Tiro, ma l’Ordine
è in una posizione di forza: nessuno può farne a meno.
Sorgono degli interrogativi, storicamente il Tempio trae
origine dalla volontà di 9 cavalieri. In breve però, grazie
ad un intreccio di circostanze e all’appoggio di Bernardo
di Chiaravalle , il religioso più influente del periodo , nonché alle donazioni di tutti i re dell’Europa Occidentale ed
al sostegno dei pontefici, l’Ordine si trasforma in una
delle potenze economiche, militari e religiose del
mondo. E’ una situazione eccezionale, se non unica, nel
corso della storia. Chi erano i loro nemici: tutti gli ecclesiastici in genere, anche nei territori della Chiesa i Templari non pagavano le decime. Inoltre l’Ordine non sottostava alla giurisdizione dei vescovi per questioni religiose , avevano confessori templari che svolgevano le funzioni religiose in loro chiese; per i feudatari si proponeva il
medesimo problema dell'esenzione di qualsiasi tributo,
inoltre la commenda templare era più potente sul territorio dei signori locali; gli stessi re perennemente indebitati, dovevano ricorrere alle casse Templari per finanziare le campagne militari e spesso per i trasporti marittimi dovevano pagare le navi del Tempio. Vi furono anche
grandi rivalità con gli altri Ordini Cavallereschi perché
erano in competizione; e da ultimo bisognava regolare i
conti con le Repubbliche Marinare che fra loro, ma
anche con i Templari, furono sempre in concorrenza , con
accordi solo per raggiungere obiettivi specifici locali. Ciò
spiega anche il fatto che nella loro caduta molti nemici
abbiano cercato di trarre dei vantaggi e non abbiano trovato dovunque amici disposti ad aiutarli, ma piuttosto
nemici avidi di spogliarli.
Raggiunta una certa potenza economica i cavalieri
divennero anche banchieri, esercitando il credito con i
pellegrini, fondarono anche delle “Banche agricole” per
i contadini, per far loro superare difficoltà momentanee
in attesa dei raccolti. Concessero numerosi prestiti a
tutte le autorità politiche e religiose anche ai pontefici.
Anzi viene loro attribuita l’invenzione della Carta di
Credito, con la quale si poteva pagare in Terrasanta e
dovunque senza bisogno di trasporto di denaro, presentando la carta oggi si direbbe l’assegno, ad una rappresentanza stabilita nel luogo di sbarco o di arrivo. Le lettere di credito erano già state in verità usate, dai Cambiatori di Palermo nel X° secolo, però i Templari ne perfezionarono l’uso.
Così fu pure per il cosiddetto cambio marittimo una
vera e propria assicurazione per i rischi della navigazione, anche qui un documento veneziano del 1225 prova
che i primi ad utilizzarlo furono gli armatori veneziani,
ma il vero sviluppo si ebbe con il Tempio.
I cavalieri, comunque, esercitarono l’attività di banchieri e di finanza in genere; anche se non furono i soli in
quel periodo. La esercitarono i mercanti d’Europa, come
frutto dei traffici e del viaggiare che caratterizzò il periodo storico, e le Crociate furono un veicolo importante per
essi.
Certamente i Templari – con la loro ricchezza – esercitarono l’attività bancaria su larga scala, a tal punto che
finirono per amministrare il “ Tesoro” di vari stati e crearono depositi bancari per i Re e i Grandi Feudatari, con i
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quali armarono eserciti per le loro guerre, e per intraprendere Crociate.
Anche i Papi usufruirono dei depositi bancari e dei prestiti Templari nella loro veste di sovrani, e vi ricorsero
anche grandi Ecclesiastici. Molte Chiese furono finanziate con prestiti dai Templari.
Vi ricorsero, ad esempio, Re Luigi VII di Francia, per
finanziare la sua Crociata.
Il re d’Inghilterra affidò parte del tesoro reale ai Templari che lo custodirono presso la “Casa del Tempio” di
Londra.
I Templari esercitarono il Monopolio nel commercio
della lana e delle relative fiere, organizzando la loro rete
stradale in modo che nessuna commenda templare distasse più di mezza giornata di cammino.
Furono anche grandi allevatori di cavalli in particolare
da guerra,con importanti scuderie in Sardegna ed Inghilterra.
Il tesoro reale di Francia venne affidato fino alla metà
del 12° sec. alla “Casa del Tempio” di Parigi e solamente
nel 1295 Re Filippo IV il Bello ne ordinò il trasferimento
nel castello Reale del Louvre, gestito da funzionari regi.
Carlo D’Angiò in Sicilia affidò ai Templari il compito di
dirigere le finanze del Regno ed analogamente fece Giacomo I d’Aragona.
I Templari furono degli apprezzati esperti di cose finanziarie e sovente fornirono “Consulenze” od esercitarono
“Uffici” per Re, Comuni, per i Papi (Cubiculari), come
frate Bonvicino da Perugia.
Per la loro attività si fecero però la nomea di avidi e di
usurai, ma storicamente risulta che i loro interessi non
furono mai più elevati rispetto a quelli applicati dagli
Ospedalieri e dei mercanti di Siena, Genova, Venezia,
Firenze, Milano e delle città Anseatiche.
Certamente i prestiti erano garantiti da pegni in caso
di insolvenza. La nomea negativa come finanziatori ebbe
un gran peso durante il “Processo”, perché lo scopo maggiore di esso fu indubbiamente quello di impossessarsi
delle loro ricchezze, ma anche di azzerare i debiti contratti con i Templari come il Diritto vigente prevedeva
contro gli eretici. Per questo negli atti del processo di avidi usurai – scomparvero e restò volutamente imprecisata la sorte dei prestiti e delle modalità d’incameramento dei – beni – dell’Ordine del Tempio.
Soltanto con la Bolla Ad Providam del 2 maggio 1312 il
Papa Clemente V – stabilì il trasferimento dei beni dell’Ordine del Tempio all’Ordine dell’Ospedale, ma essa
trovò scarsa attuazione, perché i Re, in maggioranza si
erano già impossessati delle ricchezze del Tempio, in
primo luogo il Re di Francia.
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Il “sacramento
dell’attimo presente”
Rodolfo Signifredi
Quando Il “qui e ora” viene vissuto non in teoria ma
nella immediatezza del gesto, si entra nel “senza
tempo”. E chi attraversa l’istante ne esce trasformato. È la mistica dell’istante.
Quando passato, presente e futuro coincidono con
l’attimo, un soffio di eternità irrompe nel fluire del
tempo.
Ma non è necessario imparare a scrivere o dipingere
come un samurai per conoscere il valore dell’istante. È
possibile farne l’esperienza in ogni campo. E Robert
Faure, che è anche formatore di manager e quindi conoscitore del tempo esteso, quello che si valuta in termini
di denaro, suggerisce varie angolazioni da cui osservare
questo momento magico che è l’istante.
È un viaggio nel tempo interiore, alla cerniera del divino e dell’umano. Un viaggio che intraprendiamo percorrendo la pista tracciata da Robert Faure.
Il tempo può essere visto in molti modi. C’è il tempo
lineare e il tempo ciclico. C’è il tempo che si misura e il
tempo che si vive. Ma c’è anche il tempo senza tempo. È
l’istante. E l’istante ci insegna a restare sospesi tra i due
versanti. All’incrocio tra le cose permanenti e quelle che
svaniscono. È la filosofia dell’istante. La teologia dell’immediatezza. Tutte le religioni hanno un rapporto con il
tempo, ma solo la vita interiore di ognuno ha un rapporto con l’istante.
Willigis Jager, il mistico benedettino autore di “L’onda
è il mare”, parla addirittura di “sacramento dell’attimo
presente”. L’istante è il luogo sacro della trasformazione.
Una fiammata di eterno, una grazia inattesa, un fermo di
immagine nello scorrere della vita. Ecco l’istante, una
breccia attraverso la quale filtra una particella di eternità, un subitaneo sentimento di immenso. E l’immensità,
nella sua immediatezza, è il nutrimento dell’anima.
Lo sostiene Robert Faure, un esperto di immediatezza,
che ha raccolto le sue impressioni “estemporanee” in un
piccolo trattato sulla “Spiritualità dell’istante”.
Edito da Le Fennec, questo è un libro ricco di metafore vive, che riaffermano la forza del cuore, dell’intelligenza e dell’anima per stimolare l’uomo nella sua avventura interiore.
Robert Faure insegna ad eseguire di getto, senza ripensamenti, l’arte della calligrafia cinese e della pittura
giapponese sumi-e. L’apprendimento del gesto senza
paura, senza correzioni, presuppone un equilibrio interiore, un gusto della ricchezza dell’unico istante in cui il
segno riceve la potenza di uno slancio creatore.
L’ISTANTE È SENZA TEMPO
Bisogna distinguere l'istante dal momento. Il momento
ha una sua durata mentre l’istante è atemporale. Il
momento presente è lo scenario in cui, come un lampo,
irrompe l’istante. L’esperienza dell’istante è più rara di
quella del momento e ci fa accedere ad una potenza, una
forza, una energia. Ogni volta è unico e apre a un tempo
rinnovato che contiene la genesi e il futuro dell’uomo.
Tutto è scritto nel tempo: il passato, l’avvenire e
l’estasi fuggitiva. Ma il presente è ciò che vive la coscienza quando è cosciente di se stessa. È il lago calmo che
riflette la luna, come rivela il saggio in meditazione.
E quando l’emozione si mescola al presente lo deforma
come una immagine riflessa su acque agitate. Se però
l’emozione si incastona nell’istante lo trasforma in un
gioiello.
L’attesa è una componente dell’istante. È la tigre in
agguato o l’ascolto in preghiera. Attraversare l’istante è
percorrere questo tempo che è l’attesa. Come una lenta
gestazione l’attesa è il tempo della memoria. Memoria
delle nostre cellule, delle nostre paure, dei nostri desideri millenari che, d’improvviso, arrivano alla superficie, in
un istante della nostra coscienza.
Vicina allo stato della Creazione, l’attesa contiene
questo fragile equilibrio tra l’atto precedente e quello
ancora da schiudersi. Tutto è presente. Ogni atomo, ogni
individualità ha in germe una perfezione e una radicale
incompiutezza.
Attendere è percepire le migliaia di anni che oggi scorrono nelle nostre vene e ci rendono “figli dell’istante”
Creare è vivere la propria attesa, entrare in contatto con
l’origine delle cose. Tra il fare e l’essere c’è un invisibile
va e vieni. L’attesa riuscita unisce la punta della freccia
al centro del bersaglio
Siamo sempre legati all’istante della nostra creazione.
Abbiamo nostalgia di quell’età dell’oro vissuta nel grembo materno, una cosa sola con la madre. Poi, in un istante, arriva la separazione, e la lotta comincia. Una lotta
tra lo spirito e il soffio, tra l’ordine e il caos, tra l’occhio
del bimbo e quello del mondo. Prima della separazione
siamo l’insetto, il mare, il vento, la dolcezza. Dopo si
comincia a lottare. Per rifare il mondo a nostra immagine. O per imparare ad accoglierlo.
20
ANCHE IL PRESENTE NON È L’ISTANTE
E non è lo spazio ristretto tra passato e avvenire. Il
presente è l’immenso territorio del tempo. Tutto è eternamente presente, come affermano i profeti e i poeti. Ma
il presente non è l’istante. Il presente noi lo perdiamo tra
delusioni e speranze, tra rimpianti e slanci, colpe e desideri.
L’uomo evolve tra due istanti della vita. A volte cerca
un piacere veloce nelle situazioni inquiete. È l’uomo del
tempo che fugge e si crea due sole alternative: vive in
rapporto al passato e alle referenze del mondo o si proietta nell’avvenire da conquistare e promuovere. Ma
durante questo tempo, a sua insaputa, il presente scorre
nelle vene, la speranza attende le scelte e la gioia freme
per poter esistere.
L’uomo dell’Istante, invece, occupa una situazione
mediana di pacificazione, di libertà gratuita. Come un
respiro appena trattenuto prima di riprendere il soffio
della vita quotidiana. Si ferma nel corso dello slancio e
respira il tempo gratuito. L’uomo dell’istante si sente
fatto per una felicità senza clamori, per una leggerezza
mai delusa, una gratuità senza obblighi.
Solo l’istante del dono e del desiderio ci mantiene svegli attraverso una vita che in tanti si danno da fare per
rendere soporifera. Il quotidiano, per alcuni, è pesante e
il solo modo di viverlo è fuggirlo, nel sogno o nella realtà. Fuggire la fatica, la rivolta, la ripetizione. Altri preferiscono affrontare se stessi, animati dallo spirito di combattimento.
Ma il combattimento quotidiano passa dall’apprendistato della pazienza, dal faccia a faccia con le paure che
ci lasciano nudi ma non senza difese e speranze. Alcuni,
al di là del tumulto delle folle, ascoltano la loro anima
respirare.
Siamo dei nomadi dello spirito, dei viaggiatori da una
realtà all’altra. Siamo fatti per l’inatteso. La perdita del
gusto dell’avventura è il primo sintomo del male di vivere. Ma alcuni esseri hanno gettato dei ponti tra i nostri
desideri di vita e le nostre delusioni. Niente è separato.
Al di là della sua solitudine, l’uomo torna sempre a far
parte della grande carovana umana quando non sa più
leggere le stelle. Ogni società resa fragile ritorna alla
potenza della sua origine.
ALL’INIZIO ERA L’ISTANTE
L’istante è come un frammento d’eternità caduto nello
spessore del nostro inconscio, una briciola di paradiso.
È qui che, ogni notte, l’anima torna come un uccello
per sorvolare il tempo superando i nostri limiti mentre il
corpo si abbandona alla pesantezza del sonno.
All’inizio era il caos. E ci siamo ancora. Ogni momento della nostra vita è un tempo di caos nel quale tentiamo di portare un poco di ordine. Niente è stabile. E tuttavia “lo spirito di Dio plana sulle acque”. O “danza”. È
il luogo della trasformazione. È l’istante dell’uomo.
Simultaneamente abitiamo il caos e, al tempo stesso,
evolviamo nello spazio, al di sopra del caos. Nell’istante
di ogni inizio.
L’istante è il superamento avvenuto. Non è una evasione, una uscita di emergenza del tempo, un rifugio per chi
non vuole combattere. È nel cuore dell’uomo, eternamente presente nel profondo dell’anima. È il fuoco del
rischio nell’audacia e nel ritorno all’innocenza. L’istante
non conosce rimpianti. E mette in relazione tutti gli
estremi e tutti gli imprevisti.
L’istante non si impone mai. Questa esperienza dell’immediato è una forza e una delicatezza insieme. Ecco
perché l’esperienza dell’istante è così rara. La condizione umana è troppo abituata ai due estremi della dualità:
la forza o la precarietà. Mentre l’istante riunisce i due
aspetti in una tenera immediatezza. Tiene insieme la
gioia della presenza e il timore della rottura.
Nell’istante, niente è separato da niente. Siamo condotti con forza verso la non-dualità, dove le cose opposte
si incontrano e coesistono. Nell’istante gli opposti si riassorbono. Particella di eternità, contiene la successione
degli avvenimenti, attraversa le emozioni senza lasciare
traccia, tocca e feconda l’effimero.
21
già, secondo il tempo, ciò che gli altri ancora non comprendono.
Quando ci inquietiamo nel nostro quotidiano perdiamo
il richiamo dell’istante. Tutto, invece, avviene come se
dovessimo imparare per prima cosa la lenta pazienza dei
secoli. Pazienza inaccessibile ad un cuore sempre inquieto, preoccupato del proprio ben-avere.
La pazienza, modellata dall’attesa senza limiti, la cui
unità si conta in milioni di anni, è la prima lezione delle
cose. L’oggi non si comprende che con la forza dei secoli. E l’istante non si dona che avvicinando la genesi del
tempo.
I poeti e i profeti sono quella razza di uomini che
hanno girato a lungo intorno all’origine delle cose. E
quelli che ancora oggi ci trasmettono una conoscenza
vera, ci invitano a riconsiderare la distanza dei secoli per
sapere che siamo “figli dell’istante” come ci insegna la
tradizione mussulmana ma “concepiti dall’eternità”
come ci ricorda il messaggio evangelico.
I PROFETI DI DOMANI
Niente manca dove c’é totalita’, dice Bernardo di Chiaravalle.
Alcuni uomini hanno lasciato entrare delle particelle di
eternità in un momento della storia. Alla cerniera del
tempo e dell’eternità, alcuni profeti dell’assoluto hanno
lasciato traccia.
Nella fragilità delle cose impermanenti, malgrado la
riuscita apparente della morte e dell’usura del corpo,
essi hanno vissuto in questo luogo del tempo dove non
manca nulla, dove la paura non esiste più, dove Dio continua segretamente a farsi uomo.
Perché certi uomini fanno irruzione nell’effimera fragilità del mondo e vi lasciano traccia? Essi hanno offerto
qualche istante della loro vita alla ricerca del luogo
autentico. Questo luogo dell’anima è alla congiunzione
della coscienza di Dio e della storia dell’uomo.
Dopo secoli dal loro passaggio, questi uomini ci sollevano fuori dalla prigione delle nostre paure. Essi non sono
usciti dalla storia perché non sono usciti dalla nostra
silenziosa e tenace ricerca d’amore e di verità. I profeti
Ciò che chiamiamo la realtà quotidiana non è altro che
un rivestimento. La vera battaglia è la pazienza risvegliata. È essa che riceve i preziosi istanti di grazia.
L’avventura interiore è fare un passo solo in uno spazio
dove nessuno è sicuro di sé. È più facile interrogarsi che
scoprirsi. L’uomo scopre i suoi passi camminando. E
l’energia del primo passo lo unisce alla sorgente.
L’avventura interiore è una questione vitale. È forse
attraversare il quotidiano senza cercare di abbandonarlo.
È anche accettare di prendere radici dove si è, senza soffocare il gusto del lontano e dell’innocenza nella propria
anima. In questa marcia, l’uomo invecchia ma non si
logora. Chi è salito sulla cima di un monte non ha vinto la
montagna. Ma ha fatto l’esperienza indicibile della leggerezza.
LA PAZIENZA DELL’ESSERE
L’istante è il cammino iniziatico della coscienza: rapido, concreto, immenso. È l’unità di misura della coscienza lucida. La coscienza nuova di ogni giorno. Se l’intelligenza attraversa il sapere, la coscienza percorre la conoscenza. L’istante si esprime nella bellezza, nella meraviglia e nella nuda semplicità.
Giorno dopo giorno l’uomo è nelle sue tre dimensioni:
avere, agire, essere. La ricerca dell’avere prolunga
l’istinto di proprietà. La spinta ad agire ci rende divoratori dell’istante. Il desiderio di essere segna una pausa di
silenzio. Così si entra nell’intelligenza dell’istante.
Attraversare l’istante è morire all’esitazione e al dubbio, offrire un senso ai segni. I rumori delle cose non sono
le cose. I segni ci fanno intuire le cose prima di comprenderle. Ogni avvenimento può essere un segno. E cessa di
essere banale quando è rivestito di presente.
Ma percepire le cose come segno non è dato in partenza. Questa qualità dello sguardo viene da una visione
altamente umana di cose non umane. L’istante abita contemporaneamente tutti i livelli dell’uomo.
Noi pensiamo ancora secondo lo spazio, ma dovremmo
pensare secondo il tempo. La visione del tempo risale la
corrente delle cose, va alla sorgente. L’intelligenza del
cuore è secondo il tempo. E la visione del mondo secondo il tempo è tessuta di immensità, libera da urgenze,
profonda come l’anima.
Affrettiamoci ad inventare il silenzio. Alcuni vedono
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nascono in un’epoca di paradossi. Un’epoca che ricerca i
valori fondamentali.
Oggi la nostra chiassosa modernità cerca i suoi profeti.
Aspetta una ispirazione, una audacia, un soffio che la
renda capace di accogliere una briciola di totalità. Ogni
parola “secondo l’istante” è una parola profetica. E ogni
parola profetica rompe i pregiudizi, scuote i torpori, sveglia le coscienze in sonno.
L’istante di chiaroveggenza, di visione anticipata delle
cose, non è un avvenimento raro o eccezionale. Ognuno
possiede il lampo dell’istante. Come la scintilla capace di
accendere un fuoco, l’istante di chiaroveggenza è altrettanto rapido, fugace e inafferrabile.
Questo istante di grazia profetica, che viene comunemente chiamato “intuizione”, arriva solo a chi ha lungamente accettato tutte le dimensioni del tempo. Chi,
poco a poco, incarna il tempo contenuto in lui, attira
l’istante.
Più l’uomo è umano, più accede a questa scorciatoia di
eternità. L’essere di domani, alla ricerca profonda di se
stesso, riconcilierà la sua storia personale con l’amorevole riconoscenza delle leggi fondamentali della natura. E
lo scienziato poserà su questa creazione il suo sguardo
rigoroso e obbiettivo insieme all’interrogazione delle più
antiche saggezze.
Il momento è giunto in cui, di fronte alle miserie della
vita, non ci si può accontentare di una corta visione delle
cose. Chi offrirà il suo entusiasmo ad una sola convinzione, una sola fede, un solo metodo di avvicinamento della
realtà resterà addormentato nell’inverno del mondo.
Senza capire il tempo che prepara all’istante, né l’istante che apre al futuro.
Il profeta penetra l’anima di questo mondo e quella del
mondo che verrà. Egli sa e si guarda bene dal trarne profitto.
L’istante fa sobbalzare la nostra attenzione mostrandoci in quale presente noi “mettiamo i piedi” e verso
quale futuro rischiamo di finire. Più lontano dell’apparente monotonia del nostro respiro, al di là della ripetizione dei nostri gesti quotidiani, l’istante resta la nostra
vocazione.
Mentre i secondi del nostro tempo si accumulano come
uno spesso tappeto di foglie morte, l’istante è sempre
pronto a germogliare.
Se l’età è il tempo che si accumula, l’istante è il luogo
eternamente nuovo che sorprende e rianima, spoglia e
risuscita.
Bisognerebbe avere l’audacia di dire che ogni istante
di scoraggiamento è un vuoto in attesa di gioia. L’inverno
di ogni desiderio è una pazienza di pienezza.
Messo da parte ogni compiacimento, l’uomo si fortifica
esponendosi, si arricchisce nell’alleanza con i propri
passi, si afferma con il tocco della felice precarietà delle
cose. Ad ogni istante lo spogliamento invernale non è più
un vuoto assoluto.
umane. È l’inatteso, l’incanto nella miseria, la gioia nelle
bidonville, la speranza del morente e lo sguardo amoroso
di chi si sente amato.
In qualche modo noi stiamo vivendo una fine. Con
tanta nostalgia e tanto entusiasmo. È finito un secolo e
inizia un nuovo codice genetico della società. La nostra
epoca ci parla. Per ora sussurra ma domani griderà. A
voce bassa ci parla di una memoria, la nostra, che contiene l’origine e la fine di ogni cosa.
La nostra epoca ci dice che la nostra paura e il nostro
incanto camminano insieme e che la diversità del mondo
è una forza. Essa ci ricorda che l’energia del tifone è
uguale a quella del grano di frumento, ma il disordine fa
sempre più rumore della crescita.
Un’era di mutazione ha sempre l’apparenza del disordine. E dove c’è disordine c’è rischio. Ma è solamente
quando c’è rischio che l’uomo si sveglia alla sua vocazione di essere umano.
L’istante è l’assenza di distanza. Non ci sono spazi lontani per l’istante. C’è solo il qui. Per giungere alla nostra
coscienza si è creato un cammino attraverso tutte le
nostre contraddizioni, le nostre domande, le nostre
inquietudini. È per natura senza frontiere, senza abitudini e senza giudizi. È la parola dello Spirito, l’armonia
nella forma, il silenzio nel rumore.
L’istante non si prenota, non si contratta, non si acquista. Sorge, come la grazia. Quella che non conosce nessun ostacolo.
L’uomo planetario non ha più rifugi in questo nuovo
tempo. Cosciente dell’effimero e dell’umore mutevole
della gente, cerca di vivere il suo tempo più che costruire imperi e sicurezze.
Ciascuno è l’essere di domani, ricco di ricordi ma non
appesantito dal passato. Dal big bang al nuovo giorno,
l’avventura dell’uomo è la stessa del cosmo.
Chi è Robert Faure
Responsabile del Direttivo di Formazione “Istituto
delle Risorse Umane”, Consulente e Formatore all'École
d'ingénieurs (ISEM) di Tolone. Di formazione scientifica e
filosofica, si è specializzato per 18 anni nelle filosofie
dell’India. Ed è stato iniziato alla Calligrafia Cinese da
Edmond Tang nel 1984, e poi alla pittura sumi-e dal giapponese Hachiro Kanno. Autore di "Spiritualité de l'instant" e di "Les grands textes de l'aventure intérieure",
con la prefazione dell'Abbé Pierre sta per dare alle
stampe un saggio sull’Arte Zen della pittura e scrittura.
Riferimenti nel sito www.art-zen.com
L’UOMO PLANETARIO
Un’era di mutazioni è il risultato di un tempo collettivo preparato a lungo. Se l’essere umano si lascia ridurre
al tempo collettivo viene portato dalle mode, dalle
potenze, dai sussulti dell’insieme, ma non dalla sua
coscienza individuale. L’impostura è il tempo forzato,
imposto all’uomo. Non esiste l’istante collettivo.
L’istante è, sulla trama del tempo, un dono personale,
il contatto diretto, senza l’intermediazione delle masse
23
Lo stupore di un Palazzo
Enciclopedico a Venezia
Vittoria Colpi
Con la fine di novembre si chiude il sipario sulla 55.
Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Evento di
risonanza internazionale, la Biennale si allarga dagli spazi
tradizionali dei Giardini e dell’Arsenale a quelli di numerose istituzioni museali pubbliche e private per diffondersi in modo capillare in chiese, piccole gallerie, capannoni delle infinite calli veneziane. Infatti, se gli eventi collaterali sono una cinquantina, una miriade di altre suggestioni fiorisce ovunque, rendendo quasi impossibile anche
al visitatore più attento vedere tutto.
Vi è poi la partecipazione, sempre più ambita, dei
paesi stranieri con mostre che si affiancano alla vera e
propria Esposizione Internazionale quest’anno affidata a
Massimiliano Gioni e recante un titolo di grande respiro:
Il Palazzo Enciclopedico.
Correva il 1955 quando l’artista autodidatta italo-americano Marino Auriti depositava negli States il brevetto di
un Museo Immaginario destinato a raccogliere tutte le
conoscenze dell’Uomo. Nelle intenzioni di Auriti, il Palazzo sarebbe stato alto più di settecento metri, occupando
larghe zone della città di Washington. Il brevetto non
venne realizzato, ma Gioni ha ripreso quella idea trasferendola all’arte ovvero alla creatività o percezione soggettiva, come base e stimolo di conoscenza.
Nel Palazzo Enciclopedico di Gioni trovano posto artisti
del passato, moderni e contemporanei, artisti noti o inediti, comunque tutti tesi a confrontarsi con il mondo
esterno, tra proprie immaginazioni o visioni ed immagini
esteriori, creando la trama di un sistema di conoscenze.
Una mostra-ricerca quindi che si apre nel Padiglione Centrale ai Giardini con le miniature del Libro rosso di Carl
Gustav Jung, trascrizioni di visioni auto-indotte del celebre psicanalista e con i disegni su lavagna di Rudolf Steiner, frutto delle innumerevoli conferenze tenute dal fondatore della Antroposofia. Con un tale “battesimo” è
ovvio che la mostra raccoglie quanto l’arte può rappresentare di concetti astratti, personali cosmologie, fenomeni paranormali, ossessioni schizofreniche, divinazioni,
fornendoci per vie insolite un quadro della nostra vita
reale.
Cito, ad esempio, l’opera visionaria di Augustin Lesage,
minatore francese che a trentacinque anni inizia a dipingere enormi tele, realizzandone poi quasi novecento, con
infinite tessere simmetriche di colore, motivi caleidoscopici e immagini divine, sostenendo di essere guidato da
spiriti di rilievo, tra cui quello di Leonardo da Vinci. Delicate e raffinate le cartografie della psiche della romena
Geta Bra
˘tescu realizzate dall’artista ricamando su tessuto disegni per lo più tondeggianti che richiamano teste
astratte o mappe di isole. Ricordo anche gli ex voto del
Santuario di Romituzzo di Poggibonsi, sculture anatomiche che risalgono fino al Cinquecento, le delicate composizioni di materiali vari di Marisa Merz e la pittura di Maria
Lassnig, fatta di corpi incompleti o distorti, che inducono
Rudolf Steiner
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Günes¸tekin, Il confronto, part.
a una maggiore consapevolezza della fisicità. Queste due
anziane artiste hanno condiviso il premio del Leone d’oro
alla carriera.
Negli spazi dell’Arsenale la 55. Esposizione Internazionale affronta il tema dell’organizzazione delle conoscenze, attraverso esperimenti artistici di catalogazioni, tassonomie e collezioni varie. Ecco dello statunitense Matt
Mullican le grandi tele suggellate da disegni, lettere e
parole in libertà e poste in modo da creare dei labirinti
per il visitatore; i sorprendenti disegni paˇ
nos realizzati su
tessuti nelle carceri degli Stati Uniti sudoccidentali e
usati spesso dai prigionieri come mezzo di scambio per
ottenere cose più utili; infine la performance dell’islandese Ragnar Kjartnsson che, rielaborando una cinquecentesca festa di Venezia sull’acqua, ha collocato alle Gaggiandre, il bacino di carenaggio dell’Arsenale, un gruppo
di musicisti su una vecchia barca da pesca islandese che
si sposta da una banchina all’altra. La ripetizione della
musica e della scenografia trasforma il tutto in un mantra. Le Partecipazioni Nazionali seguono invece un percorso proprio che non necessariamente si collega al tema
proposto da Gioni. Qui faccio cenno solo al padiglione
russo e a quello dell’Angola. Nel primo, collocato negli
spazi dei Giardini, l’artista Vadim Zacharov ha rivisitato il
tema mitologico di Danae. Da un soffitto a piramide cadono monete dorate all’interno di una sala inferiore dove
entrano solo le donne. Gli uomini possono accedere al
piano superiore del padiglione e guardare giù da una
balaustra. La pioggia d’oro diventa simbolo, a tutti i livelli, del carattere corruttivo del denaro.
Molto particolare la partecipazione dell’Angola che,
new entry, ha già stupito i visitatori l’anno passato nella
13. Mostra Internazionale di Architettura, con un progetto sulla capitale Luanda, tutto ricavato da una fitta vegetazione di canne Arundo donax.
Partendo dal presupposto che nessun palazzo possa
contenere molteplicità di spazi, di oggetti e di relazioni a
meno che non si tratti di una intera città, i curatori Pansera e Nascimento hanno portato nuovamente l’obbiettivo sulla complessa ed enciclopedica città di Luanda.
Nelle sale di Palazzo Cini a Dorsoduro hanno collocato
l’installazione Found not taken, 2009, dell’artista Edson
Chagas, che si sviluppa tra oggetti poveri raccolti nelle
vie della capitale e la catalogazione degli stessi, ricollocati nel contesto urbano. Questo mix di poesia e scienza
ha fruttato all’Angola il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale.
Come ho anticipato, la Biennale tocca ogni angolo
della città. Così nella Chiesa di Sant’Antonin, l’artista Ai
Günes¸tekin, cartellone
25
G. Bra
˘tescu
G. Bra
˘tescu, part.
Matt Mullican
26
E. Chagas, Found not taken, part.
Weiwei, con l’installazione S.A.C.R.E.D., fa rivivere con
diversi diorami, alcuni momenti drammatici della sua
detenzione nelle carceri cinesi, nel 2011, per presunta
frode fiscale, gettando un’ombra sulla realtà di questo
grande paese.
Ugualmente, all’Arsenal Docks, un punto remoto di
Venezia, l’artista turco Ahmet Günes¸tekin nella personale dal titolo “Momentum of Memory”, evidenzia con video
ed installazioni di grande pregnanza come l’integrazione
di nazionalismo e religione crea forme di governo che non
lasciano spazio alle minoranze etniche, linguistiche e culturali. In particolare, il video “Bellek” (Memorie) proietta una sequenza di date che si riferiscono a crimini sull’umanità a partire dal massacro degli Armeni di Adana
nel 1909, fino ai giorni nostri.
Non si può non osservare, con stupore, che la Biennale
si trasforma da momento di confronto artistico a luogo
dove le minoranze acquistano una autonomia ed una
voce, è il caso della Catalogna, presente da più anni,
della Scozia e del Tibet, e che Venezia ha la capacità di
diventare ogni anno una vetrina del mondo intero.
Pad. Russo, part.
A. Lesag, part.
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El Guarnasc. Gli aliscafi si fanno adulti
La seconda generazione...1980... SUPERALISCAFI serie RHS 150 SL
Ercole Pollini
Sotto la guida intelligente ed alacre dell’ing. Ugo Ricci,
dal 1 novembre 1958, Direttore di Esercizio della Navigazione Lago di Como, continua il potenziamento della flotta lariana.
L’ing. Ricci, nato nel 1918, laureato in ingegneria navale e meccanica, si può considerare “uomo di mestiere; fu
per molti anni ufficiale di Marina, in servizio permanente
effettivo raggiunse il grado di tenente-colonnello del
Genio Navale. Ufficiale sommergibilista durante la seconda guerra mondiale, è stato decorato varie volte al Valor
Militare.
Entrò nella Gestione Commissariale Governativa Lago
di Como, alla sua costituzione nel 1955, come capo dei
servizi tecnici.
Il 21 dicembre 1978, avendo ormai raggiunto il massimo di servizio utile al pensionamento, su Sua richiesta,
dopo ventitre anni lascia l’incarico.
Gli subentra l’ing Franco Parigi anch’egli proveniente
dalla Marina Militare.
Gli aliscafi serie PT 20: Freccia del Lario (1964), Freccia degli Ulivi (1965), Freccia delle Azalee (1969), Freccia
delle Betulle (1974), Freccia delle Gardenie (1976), Freccia dei Gerani (1977), con la loro portata massima di 80
posti a sedere, erano ormai insufficienti a sopperire al
notevole incremento dell’utenza – turistica e locale – specie sulla tratta Como – Lenno – Tremezzo – Bellagio –
Menaggio – Colico e Gera Lario (quest’ultimo scalo disabilitato recentemente da tutti i servizi).
Nel 1977 vengono ordinati alla cantieristica nazionale
tre nuovi superaliscafi della portata di 200 passeggeri a
sedere.
Il primo, ad essere consegnato alla Navigazione Lago di
Como, fu la
…. FRECCIA DELLE VALLI….
Giungeva Como, diviso in due tronconi, l’11 dicembre
1979 e, sullo spiazzo adiacente l’Aereo Club, nello stesso
giorno viene assemblato, varato e trainato al cantiere di
Tavernola ove sarà allestito.
Degli aliscafi varati sul Lario, è l’unico ad essere stato
costruito dal Cantiere Naval Meccanica di Messina; tutti
gli altri sono stati costruiti dai Cantieri Rodriquez, pure di
Messina.
Il 30 aprile 1980 compie il viaggio inaugurale, come al
solito, al centro lago. Il 21 maggio seguente entra in servizio di linea per il collegamento Como – Colico.
Caratteristiche tecniche
Fusoliera o scafo
In campo aeronautico, nel caso specifico lo scafo ha la
funzione di sostentamento idrodinamico per cui, ha la
funzione di una fusoliera vera e propria. Rispetto ad una
fusoliera di aereo terrestre, la fusoliera è soggetta a sollecitazioni ben maggiori specie nelle condizioni di flottaggio a velocità elevate come per l’aliscafo.
Ne consegue che gli scafi sono dimensionati dall’impie-
30 aprile 1980 Foto ufficiale del viaggio inaugurale del superaliscafo FRECCIA DELLE VALLI.
28
23 settembre 1983 Foto ufficiale del viaggio inaugurale del superaliscafo GUGLIELMO MARCONI diretto al centrolago.
go di fasciame di notevole spessore, da una struttura
interna a cellule ravvicinate e da molte chiodature atte a
conferire quel grado di robustezza necessario.
Inoltre, lo scafo è suddiviso in compartimenti stagni
per garantire il galleggiamento dell’aliscafo anche nel
malaugurato caso d’infiltrazioni d’acqua.
Larghezza f.t.
Immersione da fermo
Immersione in moto
Motore costruttore
Potenza unitaria
Numero giri
Numero motori
Potenza complessiva
Combustibile
Consumo medio
Trasmissione del moto
Numero eliche
Inversione
Velocità
Dislocamento P.C.
Stazza lorda
Portata (solo posti a sedere)
Equipaggio
Gabinetti
Radar
Aria condizionata
Sovrastrutture
Pur rifacendosi agli aliscafi precedenti serie PT 20,
risultano meno sfuggevoli e più appesantiti ma, nel complesso, ancora gradevoli.
L’accesso a bordo avviene a mezzo una scaletta esterna ricavata sulle protezioni delle ali collegata alla porta
d’ingresso che accede nel locale ponte di coperta, abbastanza spazioso, provvisto di due file di poltroncine, al
centro delle quali è situata la scala per accedere alla
saletta sottocoperta di poppa.
La parete posteriore munita di due finestroni panoramici – quella di prua è invece priva di vetrate perché
contigua alla plancia di comando.
Al centro di questa parete si apre la scala che conduce
alla saletta di prua. La parete di poppa, divisa in due
dalla scala, presenta sulla destra una dei due w.c. di
bordo, sulla sinistra una vano con poltroncine.
m 5,85
m 3,10
M 1,205
MTU mod. 12 V 331 TC 82
cv 1300
2
cv 2600
nafta
kg/km 5,50
Ad eliche fisse
2
Al motore
km/h 60
t 65,20
t 154,55
196
4
2
1
si
Le doti di navigabilità, dato la mole dell’aliscafo, sono
migliori di quella della serie precedente, specie con lago
mosso; più impegnativa risulta la manovrabilità per l’accostamento ai pontili ma, a questo, sopperisce l’abilità
dei nostri piloti.
Il confort di bordo è migliore, soprattutto la rumorosità è assai più contenuta della serie Freccia.
Nel complesso risulta un miglioramento qualitativo
anche se la velocità di 60 km/h è inferire di 3 km/h.
Facciamo un breve excursus storico del suo impiego:
DATI CARATTERISTICI DEL NATANTE
Compagnia armatrice
Navigazione Lago di Como
Anno del varo
11 dicembre 1979
Viaggio inaugurale
30 aprile 1980
Data entrata in servizio
21 maggio 1980
Cantiere di costruzione
Naval Meccanica (Me)
Cantiere di assemblaggio
Tavernola e Dervio
Anno di ristrutturazione
2005
Cantiere di ristrutturazione
Tavernola
Tipo del natante
Aliscafo serie RHS 150 SL
Lunghezza f.t.
m 28,70
1999 – un piccolo restyling che comporta anche la sostituzione delle plafoniere originali al neon con faretti alogeni.
29
23 settembre 1983 di ritorno dal viaggio inaugurale del superaliscafo GUGLIELMO MARCONI diretto a Como.
2004 – in prossimità di Como accusa un grave guasto ai
motori. Viene portato al cantiere di Tavernola e successivamente a quello di Dervio, ove, frettolosamente, in due
giorni viene riparato e rimesso in linea dato l’indisponibilità degli altri due superaliscafi e lo stato di semi disarmo
di quelli serie Valli.
L’excursus storico del suo impiego non ha rilievi rivelanti:
14 agosto 1983 – per l’eccezionale affluenza di turisti
per il ferragosto entra in servizio anticipatamente al viaggio inaugurale.
23 settembre 1983 – è inaugurato presso Villa Olmo alla
presenza delle autorità indi, il solito viaggio inaugurale al
centro lago.
2005 – Viene ritirato dal servizio per il rifacimento dell’impianto di climatizzazione e dell’impianto elettrico ma
viene rimesso in linea frettolosamente nel mese di luglio
stante la disastrosa indisponibilità degli altri aliscafi e dei
più recenti catamarani, anche se l’impianto di climatizzazione era fuori uso e, ciò, suscitò le accorate proteste
degli utenti dato il clima torrido di quell’estate.
Finalmente, nell’ottobre del 2005 viene ormeggiato
alla boa alla diga di Como in attesa dei lavori di manutenzione ormai improcrastinabili.
Oggi è ancora in servizio attivo.
2004 – dopo 21 anni d’intenso servizio, si trova in pessime condizioni: i motori sono spompati e spesso si verificano significativi cali di potenza; la scaletta di tribordo
pericolante costringe ad ormeggiare sempre a babordo.
Tre guasti di un certo rilievo, uno in maggio e gli altri due
in luglio,
costringono la NLC a metterlo in disarmo presso il cantiere di Tavernola.
Gli altri due superaliscafi non godono di una salute
migliore, il loro stato di usura è tale che anch’essi erano
stati posti fuori servizio.
Oggi è ancora in servizio attivo.
Il secondo superaliscafo ad entrare in servizio è stato il
GUGLIELMO MARCONI
Proveniente da Venezia, giungeva a Como, in due tronconi il 28 luglio 1983 e sistemato, come ormai da copione, sul piazzale dell’idroscalo.
Il giorno seguente viene assemblato, varato e rimorchiato al cantiere di Dervio per l’allestimento.
Il “Marconi” ha lo stesso scafo del “Freccia delle Valli”
dal quale si differenzia solo per le sovrastrutture, specie
per la cabina di comando spostata sul terzo ponte e che
ha permesso di ingrandire il ponte di coperta. Altre differenziazioni riguardano l’arredamento interno.
La linea ne risulta più appesantita ma, in complesso,
ancora abbastanza filante.
Un dato abbastanza anomalo è quello della velocità
che risulta superiore di 3 km/h (63 km/h), uguale a quella degli aliscafi leggeri serie PT 20.
Il terzo super aliscafo è stato il
VOLOIRE
Giungeva Como, diviso in due tronconi, nel 1989 e
sistemato sullo spiazzo adiacente l’Aereo Club, ove viene
assemblato, varato e trainato al cantiere di Tavernola ove
sarà allestito.
Nell’agosto dello stesso anno lo troviamo già attivo
sulla linea Como - Colico
Questo aliscafo chiude la serie RHS 150 dei super aliscafi a sei anni di distanza dal varo del primo, la FRECCIA
DELLE VALLI. Si distingue dagli altri due soprattutto per la
differente sovrastruttura e gli interni più confortevoli.
Nel suo insieme risulta di aspetto più aerodinamico, con
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vibrazioni contenute e con buona stabilità. Di preferenza
il suo impiego è nei mesi invernali.
dal 2004, presenta grossi problemi agli stabilizzatori
che lo obbligano a viaggiare sbandato a tribordo di circa
20 gradi. Vi potete immaginare il disagio dei viaggiatori
costretti ad un equilibrio anomalo.
Caratteristiche tecniche
Fusoliera o scafo
Mantiene le caratteristiche
modifiche di nota.
Finalmente nel 2005 viene ritirato dal servizio e alato
a Tavernola per la “grande manutenzione”.
dei precedenti senza
DATI CARATTERISTICI DEL NATANTE
Compagnia armatrice
Navigazione Lago di Como
Anno del varo
11 dicembre 1979
Viaggio inaugurale
30 aprile 1980
Data entrata in servizio
21 maggio 1980
Cantiere di costruzione
Naval Meccanica (Me)
Cantiere di assemblaggio
Tavernola e Dervio
Anno di ristrutturazione
2005
Cantiere di ristrutturazione
Tavernola
Tipo del natante
Aliscafo serie RHS 150 SL
Lunghezza f.t.
m 28,70
Larghezza f.t.
m 5,85
Immersione da fermo
m 3,10
Immersione in moto
M 1,205
Motore costruttore
MTU mod. 12 V 396 TB
Potenza unitaria
cv 1560
Numero giri
Numero motori
2
Potenza complessiva
cv 3120
Combustibile
nafta
Consumo medio
kg/km 5,50
Trasmissione del moto
Ad eliche fisse
Numero eliche
2
Inversione
Al motore
Velocità
km/h 64
Dislocamento P.C.
t 77,20
Stazza lorda
t 154,55
Portata (solo posti a sedere) 196
Equipaggio
4
Gabinetti
2
Radar
1
Aria condizionata
si
Motorizzazione
È dotato di due motori modello 12 V 396 TB della
potenza unitaria di 1560 CV contro i 1300 CV del modello
12 V 331 TC 82 installato sui due aliscafi precedenti, dal
quale deriva. Ne consegue una velocità di 64 km/h, quattro in più degli altri. La rumorosità è abbastanza contenuta
Sovrastrutture
Di linea più moderna, sono caratterizzate da tre ponti:
il più elevato è costituito solo dalla cabina di comando; il
centrale o secondo ponte ove sono sistemate due sale
passeggeri, quella di prua, la più piccola e dal centro
scafo a poppa la seconda. Entrambe arredate con sedili
dallo schienale alto.
Il terzo ponte, ricavato direttamente nello scafo è
costituito, a prua, da una saletta arredata da due file
asimmetriche di sedili divise da un corridoio intervallato
da colonne d’acciaio; a poppa un’altra saletta, la più
rumorosa, essendo adiacente alla sala motori.
Questo aliscafo che avrebbe dovuto essere migliore dei
precedenti, si rivelò ben presto inaffidabile per una serie
di guasti che riassumiamo di seguito:
ricorrenti principi d’incendio dovuti a saldature dei
condotti del carburante mal eseguite, nel 1997 rimane
bloccato in avaria al centro lago e deve essere rimorchiato al cantiere di Tavernola ove rimane per molti mesi;
riscaldamento difettoso, cronico nei mesi invernali,
specie nelle corse mattutine, tale da sollevare le rimostranze delle utenze ormai esasperate dal protrarsi del
difetto;
Il VOLOIRE in piena velocità ripreso nel 1° bacino del lago.
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Rognone trifolato
Ricetta “Milanesa” del repertorio gastronomico
Ercole Pollini
Ingredienti
g. 300 di rognone di vitello
g. 50 di burro
un cucchiaio abbondante di prezzemolo
tritato con una fettina di aglio schiacciata
un cucchiaio di aceto di vino
due cucchiai d’olio d’oliva
un cucchiaio di farina bianca
due cucchiai di marsala
Preparazione
Tagliare a fettine il rognone, spruzzarlo leggermente
con aceto di vino per togliergli l’afrore tipico del rognone, specie quello di manzo e, lasciarvelo per almeno tre
minuti.
Scaldare in una padella mezzo cucchiaio d’olio e buttarvi il rognone, rivoltandolo rapidamente perché prenda
colore ma non cuocia, per due o tre minuti e poi metterlo a scolare nel colapasta in modo che rilasci tutta l’acqua propria che conteneva.
In un’altra padella, mettere il burro e l’olio rimanente
e la fesa d’aglio e, quando il tutto frigge, aggiungere il
rognone e cuocerlo a fuoco forte, fino a quando perda il
sangue, aggiungervi la farina bianca e, quando questa ha
assorbito il grasso di cottura, bagnarlo col Marsala, salare q.b., mantecare rapidamente sino a farlo sfumare e
servire dopo aver cosparso il tutto col prezzemolo.
Attenzione! La cottura deve essere fatta rapidamente
per evitare che il rognone indurisca.
Scriveva OTTORINA PERNA BOZZI, l’Artusi della cucina
tradizionale milanese, nel suo pregevole ricettario del
1978 “Vecchia Milano in cucina” ...tra le molte nostalgie
degli autentici milanesi, vi è, non ultima, quella per la
loro vecchia cucina che si va sempre più imbastardendo.
Scrive l’Artusi: “La cucina milanese deve essere fatta
dai milanesi.”
Ma….dove sono quelli autentici, e quali, tra essi,
hanno conservato le genuine ricette tradizionali?
Le signore della buona borghesia, che si interessavano direttamente della casa, si tramandavano di madre in
figlia quelle ricette che, giovandosi largamente della ricchissima produzione locale di pollami, manzo, vitello,
selvaggina, salumi, latticini, con tutta la serie dei formaggi, dal mascarpone al gorgonzola, hanno dato una
svariatissima serie di piatti… Il principio base della cucina milanese nella sua applicazione pratica: tutto doveva
cuocere lentamente, coperto e a lungo… Il lesso deve
sobbollire, l’arrosto non deve essere rosolato violentemente, ma si aspetta che, a cottura ultimata rosoli spontaneamente. Se no come si farebbe ad ottenere quel
magnifico sugo d’arrosto un po’ colloso che era sempre
conservato nella “scudella del gras de rost” pezzo e base
principale di ogni cucina?…
Proprio quello che succede oggi e che vediamo nei
ricettari proposti dalle televisioni!!! Fiamme elevate
(manca di impiegare fiamme ossidriche) che non cuociono il cibo ma lo scottano soltanto senza pensare ai sapori ed agli aromi che dopo gli ottanta gradi perdono la loro
fragranza. Ma ciò è la modernità, che prende tutto per
buono, basti risparmiare tempo, per correre dove????!
Poveri noi, oramai la vera cucina, i suoi sapori stanno
diventando soltanto una chimera!
Vino consigliato
Una buona Bonarda dell’Oltrepò pavese oppure un Barbera d’Alba.
Non mi resta che proporvi questo piatto semplice ma
gustoso piatto contemplato nel ricettario di mia nonna
Ester che potrete cucinare coi vecchi canoni:
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E-COMM
C O N S U LT I N G
Grazie…
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Zanzare
Antonio Aràneo
Gli italiani: vanno alla guerra come fosse una partita di calcio, e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra.
(Winston Churchill)
- Quanti anni ha una persona nata nel
1972 ?
- Uomo o donna?
(Luca Chicchi)
In guerra sono tutti in pericolo, tranne quelli che hanno
voluto la guerra.
(Totò)
Purtroppo, il nostro caro amico
è morto.
E dimmi, ha sofferto molto?
Sì, poveretto. Non ha mai smesso di
soffrire; la moglie gli è rimasta
accanto fino all’ultimo!
(Ed. Giunti)
L’Italia è la culla del diritto. Ecco perché spesso la legge
dorme.
(Pino Caruso)
La politica è la seconda più antica professione del mondo,
anche se spesso assomiglia alla prima.
(Ronald Reagan)
- Ciao, collega. Come è andata
l’operazione?
- L’operazione?! Oh diavolo!, ma
non era un’autopsia?!
(Ed. Giunti)
I politici incorruttibili esistono.
Costano solo un po’ di più.
(Claudio Giagnoni)
Il primo bacio non si può scordare, specie se dall’altra
parte c’era una dentiera.
(Fabio Fazio)
Se l’ambasciatore non porta pene, è senz’altro un’ambasciatrice.
(Claudio Giagnoni)
Penso, dunque sono single.
(Lizz Winstead)
Durante il suo ingresso trionfale a Roma, Cesare sta conducendo la sua biga personale, quando a un tratto gli si
avvicina un centurione ansimando:
Cesare, il popolo chiede sesterzi!
No… dije che vado dritto.
(Luca Chicchi)
Un uomo che non è ancora sposato, è incompleto.
Poi è finito.
(Zsa Zsa Gabor)
Da una statistica è risultato che il 50% degli italiani ha
una relazione extraconiugale.
Sai che significa?
Che se non sei tu, è tua moglie.
(Daniele Luttazzi)
Roma è una città strana…
Ha sette colli e nemmeno una testa.
(Claudio Giagnoni)
A Milano le auto dovrebbero andare a passo Duomo.
(Claudio Giagnoni)
Mio marito mi ha costretta al matrimonio con l’inganno.
Mi ha detto che ero incinta.
(Carol Leifer)
Scuola. Sbadigliando si impara.
(Mirko Amadeo)
E’ sporco il sesso?
Solo se è fatto bene.
(Woody Allen)
Quanti tipi di verbi ci sono?
Due tipi: maschili e femminili.
Allora dimmi un esempio di verbo femminile.
Partorire.
(Enzo Biagi)
Le donne magre sono come i pantaloni senza tasche: non
si sa dove mettere le mani.
(Eugène Labiche)
Se son fiori. fioriranno.
Se son more. moriranno.
Se son cachi. …
(Anonimo)
La grande differenza tra il sesso gratis e il sesso pagamento è che il sesso a pagamento viene a costare meno.
(Francis Brenton)
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