File: Milani Relazione Geologica Ugento

COMUNE DI UGENTO
PROVINCIA DI LECCE
GEOSTUDI SETTEMBRINI
MODELLAZIONE
GEOLOGICA-SISMICATECNICA PER LA REALIZZAZIONE DI UN
VANO ASCENSORE E L’AMPLIAMENTO
DELL’ESISTENTE SCALA D’EMERGENZA ESTERNA PRESSO LA SCUOLA PRIMARIA LORENZO MILANI IN UGENTO (LE).
IL COMMITTENTE
R.U.P. PRESIDE
Dr. GALANTE Anna
Dott. Geologo
SETTEMBRINI STEFANO
03/02/2014
INDICE
Premessa
pag. 3
Evoluzione geodinamica, morfologica del territorio salentino
pag. 5
Idro-geomorfologia dell’area
pag. 10
Indagini geofisiche
pag. 18
Pericolosità sismica
pag. 41
Stima dei parametri meccanici dell’ammasso
pag. 45
Capacità portante dell’ammasso
pag. 47
Conclusioni
pag. 49
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PREMESSA
Per incarico conferitomi dal R.U.P. dr. Galante Anna con disciplinare
d’incarico del …..…………….. è svolto uno studio geologico tecnico - sismico necessario a valutare le caratteristiche dell’ammasso roccioso attinente le opere da realizzare presso la scuola Lorenzo Milani in Ugento (Le) individuabile al Fg. 223 “Ugento” dell’I.G.M. quadrante IV NE.
Per definire il “Modello Geologico-sismico” come stabilito dalle N.T.C.
D.M.14/01/2008 sono state compiute delle indagini idro-geo-morfologiche che hanno permesso di caratterizzare geo-litologicamente i litotipi affioranti in una vasta area del comprensorio e maggior dettaglio, superficialmente, in corrispondenza del
lotto oggetto d’intervento.
In sintesi è stato compiuto un rilievo geologico nell’intero territorio comunale
operando con maggiore dettaglio e nei limiti dell’urbanizzazione esistente in corrispondenza dell’area d’intervento disponendo per essa:
un rilievo geoelettrico tridimensionale con acquisizione non standard per
evidenziare probabili fenomeni carsici in atto che la presenza di cavità;
un rilievo sismico a rifrazione tomografica per l’individuazione delle caratteristiche elastiche del sottosuolo e della distribuzione stratigrafica al
variare della profondità;
alcune misurazioni di microtremore ambientale con tecnica di sismica
passiva che hanno permesso di valutare la frequenza di risonanza del sito,
la presenza o meno di anomalie stratigrafiche o inversioni di velocità necessarie per definire l’effetto d’amplificazione di sito;
Per le indicazioni inerenti la pericolosità d’inondazione e il rischio idrogeologico sono stati analizzati i vincoli stabiliti dall’Autorità di Bacino della Puglia
nonché è stata valutata la rispondenza del sito al recente Piano Territoriale Regionale Paesaggistico (PPTR).
I rapporti stratigrafici dei vari litotipi rilevati nell’intera area comunale, le caratteristiche proprie di presentazione sono riportate di seguito e indicate con colori
diversi nella tavola Geomorfologia dell’area, allegata in scala 1: 10.000.
Al termine di tali indagini è stata redatta la presente relazione la quale, mettendo a frutto i risultati acquisiti, ha permesso di tracciare i contorni geologicisismic-tecnici per l’area d’intervento.
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EVOLUZIONE GEODINAMICA - MORFOLOGICA DEL TERRITORIO
SALENTINO
Per meglio collocare il territorio in esame si ritiene opportuno analizzare i caratteri generali della Penisola Salentina entità geografica ben definita da elementi
strutturali, geomorfologici e idrogeologici omogenei che la differenziano nettamente
dall’unità geografica delle Murge con la quale confina a settentrione.
La storia geologica del territorio Salentino lo vede inserito in un contesto di
evoluzione geodinamica che ha interessato il Promontorio Africano nella collisione
con la placca Euro-Asiatica nel tardo Mesozoico e nella tettogenesi AppenninicaDinarica a partire dal Neogene.
Il promontorio Africano assunse, durante gran parte del Mesozoico (TriassicoCretaceo inf.), il ruolo di margine passivo in regime distensivo favorendo lo sviluppo di una piattaforma carbonatica Apula.
Tale piattaforma, spessa circa 6000 m è costituita da una successione di calcari, calcari dolomitici, dolomie formatisi in ambiente di piattaforma subsidente.
Alla base di questi sedimenti calcarei è presente una successione evaporiticadolomitica databile al Triassico sup. identificata nel sottosuolo murgiano e garganico ( 1000 mt. Pozzo Puglia, 2500 mt. Pozzo Foresta Umbra) e collocata a tetto di
una copertura clastica continentale Permo-Triassica la quale a sua volta si addossa
su un basamento cristallino.
Dal Cretaceo sup. al Paleogene la collisione fra le placche Africa-Europa con
l’annesso Promontorio Africano diede avvio alla fase orogenetica Alpina provocando l’estesa emersione della piattaforma carbonatica Apula con conseguente azione
erosiva ed accumulo di prodotti residuali fossilizzati dalle sedimentazioni successive.
L’orogenesi alpina condizionò l’evoluzione della piattaforma apula con frequenti interruzioni di sedimentazione e conseguenti variazioni paleogeografiche e
ambientali.
In merito, a partire dal Cretaceo sup. la piattaforma carbonatica Apula fu subordinata ad una distinta variazione paleogeografica per conseguenti atti di emersione e sedimentazione avvenuti per lo più lungo i suoi margini in particolar modo per
il tratto compreso fra Otranto e S. Maria di Leuca.
Nel Neogene con l’avvio della fase orogenetica Appenninica-Dinarica il promontorio Africano si distaccò dalla zolla madre individuandosi autonomamente come Piastra Apula.
Con l’inizio del Miocene e sino al Pleistocene inf. il territorio pugliese assunse
il ruolo di Avampaese con assetto di Horst asimmetrico, per rialzo elastico, prevalentemente esteso in direzione appenninica sulla base della convergente migrazione
delle catene Appenninico e Dinarica.
Le fasi tettoniche hanno condizionato la piastra Apula non solo dal punto di
vista prettamente strutturale ma anche paleogeograficamente con differenti cicli sedimentari ed annesse facies ambientali.
I calcari micritici, dolomie e calcari sub-cristallini riferibili al Cretaceo sup.
sono riferibili ad un ambiente tidale-intertidale di piattaforma interna con in seno localmente dei livelli di argille residuali e brecce che testimoniano delle superfici di
erosione diversamente estese.
In eteropia con tali facies sono presenti dei calcari di margine e pendio di piattaforma riferibili al periodo Maastrichtiano denominati come “Calcari del Ciolo”.
Tale unità è costituita da calcari biostromali e biocostruiti a Rudiste passanti
lateralmente a calcareniti e calciruditi bioclastiche e clinostratificate.
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Sulle unità mesozoiche si depositarono discontinue coperture terrigene riferite
a differenti cicli sedimentari.
In particolare nell’Eocene medio (Luteziano-Bartoniano) con il margine della
piattaforma corrispondente grossomodo all’attuale linea di costa si depositarono sedimenti carbonatici contenenti grosse quantità di alveoline e nummuliti nonché frequenti foraminiferi bentonici ed alghe.
Nell’area di Leuca tali sedimenti prendono il nome di “Calcari di Torre Tiggiano” formati da sabbioni bioclastici a stratificazione incrociata a grande scala espressione di due distinte sequenze sedimentarie in ambiente di alta energia.
Nell’Eocene sup. (Priaboniano) sempre in corrispondenza dei margini di piattaforma in discordanza sia con i sedimenti del Cretaceo che su quelli eocenici inferiori si depositarono sedimenti calcarei, calcari bioclastici, brecce riferibili ad ambiente di avanscogliera denominati “Calcari di Torre Specchia”.
La parte più interna della piattaforma, per effetto della tettogenesi appenninico-dinarica, subì una estesa emersione e continentalizzazione nell’Oligocene sup.
tanto che paleogeograficamente assunse un aspetto molto simile a quello esistente
oggi ad Horst e Graben orientati in direzione NNW-SSE come le attuali “Serre Salentine” separate dai rispettivi bassi strutturali.
Nell’Oligocene sup. la piattaforma subì un accumulo di sedimenti carbonatici
di scogliera lungo il margine orientale figurati dai “Calcari di Castro” (Cattiano medio) ricchi in coralli e alghe mentre al suo interno si accumularono sedimenti di tipo
palustri figurati dalla “Formazione di Galatone” un’alternanza di sedimenti calcaricalcari dolomitici, marne argille siltose con saltuarie intercalazioni di livelli lignitiferi, paleo suoli argillo-sabbiosi giallastri.
Tra l’Oligocene ed il Miocene dopo una breve fase di emersione si ebbe la deposizione lungo il margine di piattaforma ed in corrispondenza dell’area di Leuca di
depositi calcarenitici detritici formatisi in ambiente di alta energia e denominati
“Calcareniti di Porto Badisco” (Cattiano medio) mentre nel suo interno continentale
di sedimenti a cui è stato assegnato il nome di “Formazione di Lecce”.
In ambo i casi i sopracitati depositi trasgrediscono sui sedimenti sottostanti
quali i “Calcari di Castro” e la “Formazione di Galatone”.
Dopo una breve fase di emersione avvenuta nel Burdigagliano, tra il Burdigagliano sup. ed il Messiniano pre-evaporitico si realizza il più importante ciclo sedimentario post-cretaceo che interessò la penisola salentina portando alla deposizione
della “Pietra Leccese”.
La Pietra leccese è costituita da calcareniti marnose organogene mal stratificate, a grana fine, porose, giallo paglierine che per la presenza di glauconite divengono
verdastre nella parte alta.
L’ambiente di sedimentazione è di piattaforma continentale con profondità
comprese tra la zona infra e circa-litorale.
Stratificata in banchi metrici presenta frequenti bioturbazioni, macrofossili
quali lamellibranchi, echinodermi, denti di selaci.
Nel Messiniano inf. si depositarono sedimenti appartenenti ad una fase regressiva indicati come “Calcareniti di Andrano”.
L’unità in facies di piattaforma interna è rappresentata nella parte bassa da
calcari, calcari marnosi di colore variabile dal bianco all’avana, ricchi di macrofossili e nella parte alta da calci siltiti a laminazione planare e calcari detrito organogeni
compatti grigi e biancastri.
Nell’area di Leuca la formazione della “Pietra Leccese” e quella della “Calcarenite di Andrano” vengono ritenute come origine di due differenti cicli sedimentari
rispetto all’unico ciclo avutosi nella parte settentrionale della penisola.
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Tale situazione è spiegabile ipotizzando un differente sollevamento fra le due
aree considerate.
Con la crisi di salinità alla fine del periodo miocenico che interessò l’intero
bacino del mediterraneo l’area salentina subì una estesa emersione e continentalizzazione.
Il successivo ciclo sedimentario si ebbe tra il Pliocene inf. ed il Pliocene medio interessando per lo più il settore meridionale e orientale del Salento.
Nel Pliocene inf. il mare occupò la parte meridionale della penisola salentina
dando origine alla prima unità pliocenica deposizionale trasgressiva sulle sottostanti
denominata “Formazione di Leuca”.
Si sedimentarono così nella parte bassa brecce e conglomerati immersi in una
matrice calcareo-sabbiosa con sporadici fossili mentre nella parte alta marne e calcareniti marnose con sporadiche lenti glauconitiche.
Le brecce ed i conglomerati sono espressione di un ambiente deposizionale di
mare poco profondo mentre le marne e calcareniti marnose soprastanti esprimono
un ambiente di sedimentazione più profondo riferibile alla zona neritica esterna.
Dopo una breve fase di emersione nel Pliocene sup. la nuova sommersione determinò la deposizione di sedimenti figurati come “Formazione di Uggiano la Chiesa” in ambiente neritico costituiti da calcareniti e calci siltiti poco cementate, giallastre, massive con frequenti livelli bioturbati.
Nella parte bassa della successione sono presenti calcareniti glauconitiche e
calcareniti marnose grigiastre molto ricche in macrofossili quali resti di molluschi,
pesci, echinidi e crostacei con relativi livelli bioturbati.
Nella parte alta prevalgono le calcareniti detritico organogene ben cementate.
Il ciclo pliocenico termina con l’inizio di una fase di sollevamento regionale
proseguita sino all’ Emiliano.
Le spinte tettogenetiche si attenuano facendo terminare il ruolo di avampaese
per la Piattaforma Apula e conducendo l’area salentina ad una nuova fase di continentalizzazione e successiva fase trasgressiva iniziata nella parte alta del Pleistocene inf.
In tale fase si sedimenta una successione costituita da depositi carbonatici detrito-organogeni, giallastri, più o meno grossolani, clinostratificati ai margini del bacino, in eteropia nelle parti interne con sedimenti argillosi grigio-azzurrognoli massicci denominati come “Formazione di Gallipoli”.
Le facies deposizionali sono di ambiente di piana costiera con profondità
comprese tra quelle di litorale e infra-litorale profonda.
Con la fine del Pleistocene inf. un sollevamento polifasico iso-glacioeustatico
regionale provocò la completa emersione dell’area salentina in differenti e successive tappe testimoniate da una serie di depositi marini terrazzati ( Carpari e sabbie- 9
cicli sedimentari) riconoscibili da circa 170-180 m sino a 3-6 m dal livello del mare.
Morfologicamente la Penisola Salentina è nettamente condizionata dalle condizioni tettoniche, litologiche dall’attività delle acque meteoriche e dal fenomeno del
carsismo.
La parte settentrionale della Penisola Salentina è caratterizzata dalla presenza
del Tavoliere di Lecce mentre in quella meridionale dalle Serre Salentine corrispondenti a rilievi alto strutturali possidenti una sommità sub-pianeggiante, sviluppati in
direzione NNO-SSE e separati da depressioni sub-pianeggianti in accordo con le
condizioni strutturali.
Questi rilievi impostati per lo più su sedimenti calcarei del Cretaceo raggiungono quote massimo intorno ai 200 m s.l.m. presentando una morfologia differente
e maggiormente accentuata nel lato occidentale della penisola.
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Nel dettaglio le Serre presentano un profilo trasversale asimmetrico possedendo un fianco meno acclive occidentale mentre quello opposto più inclinato e corrispondente ad una scarpata di faglia.
Nel Salento sono presenti all’incirca 8 aree endoreiche delimitate da linee
spartiacque molte volte poco evidenti ed interessate da radi solchi fluviali, brevi e
poco gerarchizzati che concludono il loro tragitto in corrispondenza di inghiottitoi
carsici.
Le acque possono terminare verso l’aviso attraverso un reticolo idrografico
ben organizzato oppure in assenza di questo in maniera del tutto disorganizzata.
L’idrografia superficiale e profonda risulta controllata dalla natura prevalentemente carsica dei terreni costituenti il substrato nonché dalle condizioni morfostrutturali.
Le incisioni poco gerarchizzate individuano, a grande scala un sistema a deflusso endoreico che caratterizza l’interno della penisola e uno a deflusso esoreico
tipico della fascia costiera.
I reticoli endoreici sono solchi di lunghezza variabile che terminano in genere
in corrispondenza di un imbocco carsico, aviso, sinkhole, dialettalmente “Vora” oppure in aree depresse impostate su sedimenti carsificabili.
I reticoli esoreici sono delineati da brevi solchi piuttosto incisi percorsi da corsi d’acqua per lo più a carattere occasionale ed in alcuni casi come il “Canale del
Ciolo” stabiliti lungo lineazioni tettoniche.
L’idrografia superficiale, condizionata dalla morfostruttura e dalla natura
carsica dei terreni interessati è del tutto assente e solo nei periodi piovosi più o meno
intensi si verificano a luoghi ristagni e si vengono ad attivare sporadici reticoli endoreici terminanti verso cavità carsiche attive o anche inattive creando situazioni di allagamento dell’area di compluvio..
Nei depositi mio-pleistocenici è possibile che si sviluppino delle falde di esigua portata prettamente a carattere stagionale, sostenuta da probabili livelli impermeabili marnosi o argillosi.
Lo sviluppo geometrico di tali falde è di difficile determinazione data la disomogeneità litologica e strutturale sia del mezzo che le contiene che del mezzo impermeabile che le delimita.
La mancanza di acque in superficie è comunque compensata dall’esistenza di
una falda profonda, carsica, di notevole portata.
Tale falda di acqua dolce galleggia sulla sottostante acqua marina più densa
di invasione continentale, possiede una forma lenticolare con massimi spessori nella
parte centrale della penisola e si assottiglia verso la costa con una cadente piezometrica molto modesta, che raramente supera l'1‰.
L'interfaccia di contatto acqua dolce - acqua salata, si trova ad una profondità che aumenta andando dalla costa verso l'interno e che è possibile determinare
per mezzo della formula di Ghyben - Herzberg:
H = [dd - (dm - dd)] * h
dove:
H = Profondità dell'interfaccia;
dd = Densità dell'acqua dolce ( ~1.0028 g/cm3);
dm = Densità dell'acqua marina (~ 1.028 g/cm3);
h = Livello statico.
Questo contatto non avviene attraverso una superficie netta, ma attraverso
una zona più o meno estesa detta zona di diffusione.
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In questa zona, man mano che aumenta la profondità, si passa da acque con
un contenuto salino di 4 ÷ 5 g/l sino ad acque con salinità di 41 ÷ 42 g/l.
La zona di alimentazione della falda carsica si trova in corrispondenza dei
rilievi calcarei situati lungo i settori più centrali della Penisola Salentina.
Il paesaggio carsico salentino è caratterizzato dalla presenza di più forme non
coeve sviluppatesi nel corso di più fasi morfogenetiche nel rispetto di una carsogenesi influenzata da agenti predisponenti fra i quali il clima e l’assetto strutturale della regione.
Si distinguono forme di tipo tropicale dissolutivo sui calcari cretacei, grotte
lungo la costa nei calcari cretacei e paleogenici, ventarole nella formazione della
“Pietra Leccese”, doline, campi di doline in sedimenti calcarenitici del PliocenePleistocene, fenomeni di criptosoluzione in sedimenti databili al Pleistocene mediosuperiore.
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IDRO-GEO-MORFOLOGIA DELL’AREA
Morfologia
L’area studiata presenta i tipici caratteri morfologici dell’area Salentina meridionale contrassegnata dalla presenza di rilievi a sommità sub-pianeggiante denominate in gergo locale “Serre” marginate da nette scarpate di allineamento di faglie
orientate in direzione NNO-SSE o NO-SE e intervallate da depressioni poco profonde.
Il territorio di Ugento si colloca benissimo in tale quadro morfologico offrendo una generale situazione sub-pianeggiante con due blandi rilievi calcarei sub
paralleli laddove sono raggiunte le quote più elevate come a sud dell’abitato della
frazione Gemini in prossimità del toponimo serra “Casa Vecchia” dove è raggiunta
la quota massima stabilita intorno a 122.00 m.
I rilievi sono litologicamente figurati da calcari cretacei con limitate coperture mio-pleistoceniche in genere marginati sul lato orientale da una netta scarpata di
probabile origine tettonica con dislivelli variabili da luogo a luogo.
Il lato occidentale del comprensorio comunale mostra in corrispondenza della ripa costiera un’estesa piana interessata da depositi calcarenitici di età pleistocenica superiore dalla quale si elevano alcuni rilievi da qualche metro a qualche decina
di metri di dislivello con andamento sub-parallelo alla linea costiera correlabili a
forme di accrezione costiera, riconducibili a dune attive bordanti estesi tratti
dell’attuale linea di costa e analoghe forme inattive di età relativamente più antica.
Dietro a queste forme di accrezione costiera e sbarramento per i deflussi superficiali verso il mare nacquero paludi di retroduna (Mammalie) oramai inesistenti
per la naturale incisione degli antichi cordoni e per bonifica attraverso la ceazione di
differenti bacini artificiali (Suddenno, Bianca, Ulmo, Rottacapozza Nord e Sud,
Spunderati Nord e Sud) allineati lungo costa e collegati tramite canali tra loro e il
mare.
La naturale conformazione e geologia del luogo, la presenza di una falda superficiale favorì la formazione delle paludi alimentate dalle acque incanalate dai canaloni erosivi denominati “Gravinelle” disposti perpendicolarmente alla linea di costa.
Forme morfologicamente depresse, doliniformi si ristrovano nel territorio
con una predisposizione naturale all’accumulo delle acque meteoriche di corrivazione all’interno di piccoli bacini endoreici.
Le forme esistenti del paesaggio in esame possono ritenersi di recente acquisizione modellate in prevalenza dalla morfogenesi pleistocenica su una precedente
morfostruttura.
Tettonica
L’evoluzione morfogenetica può essere decifrata in chiave tettonica considerando le notevoli convergenze esistenti tra le principali forme del rilievo e l’assetto
strutturale.
Il rilievi più elevati denominati “Serre” generalmente corrispondono ad alti
strutturali (Horst) sollevati e inclinati a SO da un sistema di faglie ad andamento
NNO-SSE o NO-SE mentre la prospiciente area pianeggiante meno elevata individua un blocco ribassato sepolto dalle coperture mio-plio-pleistoceniche.
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Il fondamentale modellamento tettonico a Horst e Graben realizzatosi nel
Miocene fu inizialmente modificato da una fase erosiva connessa a una continentalizzazione dell’area che precedette l’ingressione di sedimenti marini nel Pliocene inferiore che si estese su vaste aree di zone tettonicamente ribassate per poi venire
nuovamente erose grazie a una nuova continentalizzazione avvenuta nel Pliocene
medio.
Tuttavia molti elementi morfologici dell’attuale paesaggio derivano dagli effetti dei fenomeni sia erosivi, sedimentari e tettonici verificatisi durante il Pleistocene in particolare nella sua fase finale infatti sino a tutto il Pleistocene inferiore il territorio fu progressivamente sommerso dal mare a causa di una marcata subsidenza
collegabile con la genesi dell’Avanfossa Appenninica.
Successivamente alla fine del Pleistocene inferiore iniziò un sollevamento
polifasico tuttora in atto che condusse attraverso numerose tappe al ritiro del mare
verso l’attuale linea di costa.
Ai condizionamenti imposti dall’attività tettonica, dai processi erosivi e sedimentari verificatisi durante il Pleistocene e l’Eocene si accavallarono quindi gli effetti di ripetute oscillazioni gladio-eustatiche.
In conclusione le forme del rilievo del paesaggio in esame si possono ritenere
di recente acquisizione modellate cioè in prevalenza dalla morfogenesi pleistocenica
su una preesistente e dominante morfostruttura disgiuntiva riattivata in parte nel
Pleistocene medio.
La stessa datazione va assegnata alla genesi delle forme carsiche diffuse sui
depositi calcarenitici plio-pleistocenici.
Geologia
Nel merito della geologia del territorio sulla base del rilievo geologico e dei
dati di perforazioni di pozzi per la ricerca d’acqua, dal basso verso l’alto stratigrafico riconosciamo una successione sedimentaria riferibile al Cretaceo sup. e al Quaternario.
Sulla base delle considerazioni precedenti nel territorio si riconoscono dalla
più antica alla più recente le seguenti coperture deposizionali:
Calcari di Altamura o di Melissano (C11-7 Cretaceo sup.)
Questa formazione affiora estesamente nel comprensorio di Ugento comunemente figurata da una successione di strati e banchi dolomitici di color grigionocciola, subordinatamente biancastri, nel complesso micriti più o meno fossilifere a
luoghi parzialmente dolomitizzate oppure con presenza di strutture laminari di tipo
algale con intraclasti in genere subarrotondati.
I macrofossili sono in genere scarsi, limitati a frammenti di rudiste, coralli,
pettinidi come scarse sono le microfaune significative dal punto di vista cronostratigrafico rappresentate per lo più da alghe e foraminiferi.
Il limite superiore corrisponde a una superficie di erosione a luoghi ricoperta
da depositi trasgressivi di età mio-pleistocenica e in alcuni casi da spessi banchi di
terra rossa.
Nel merito di tale formazione il pozzo denominato Ugento1 perforato da Agip Mineraria nel 1954 in corrispondenza della serra che si estende tra Ugento e
Taurisano a circa 2.5 km ad ESE dell’abitato ha attraversato lo stesso litotipo calcareo segnalato in affioramento sino a una profondità di 640 m mentre da questa sino a
fondo pozzo, 4535 m, sono stati attraversati sedimenti calcareo-dolomitici riferibili
alle Dolomie di Galatina.
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Le microfaune presenti nelle carote estratte hanno decretato che i sedimenti
soprannominati dolomie di Galatina e attraversate sino a una profondità di 4400 sono cronologicamente riferibili al Cretaceo mentre sino a 4535 sono invece riferibili
al Giurassico.
Calcareniti del Salento (QP- Pliocene Sup. - Pleistocene inf.-medio-sup)
Parte del comprensorio ribassato di Ugento è interessato da depositi calcarenitici organogeni, bianco-giallognoli a grana medio-fine, talora marnosi con intercalati livelli sabbiosi e orizzonti a macro-fossili da ben cementati a irregolarmente cementati, stratificazione da massiccia a decimetrica,
Precisamente si tratta di biocalcareniti e biocalciruditi di norma ben diagenizzate da calcite spatica, con prevalenza di litoclasti, a luoghi macrofossilifere.
Il limite superiore corrisponde in gran parte a una superficie strutturale di
emersione costituendo un probabile terrazzo marino di accrezione mentre il limite
inferiore in genere esibisce una superficie di trasgressione su sedimenti pliomiocenici.
Lo spessore dell’unità è prossimo alla ventina di metri è può essere datata
genericamente al Pleistocene inferiore - superiore.
Formazione di Gallipoli (Q c1 calabriano)
L’unità è formata da sedimenti stratigraficamente sovrapposti, marne argillose (Argille azzurre) riferibili al periodo Emiliano-Siciliano sulla base della presenza
di paleo-marker quali Hyalinea baltica e Globorotalia truncatulinoides excelsa e soprastanti sabbie giallastre debolmente argillose con frammenti di quarzo privi di macrofossili.
Quest’unità scarsamente esposta sul territorio in esame è stata rinvenuta
dai dati di perforazione del sottosuolo presentano un grado di permeabilità variabile in funzione della granulometria e del grado di cementazione che fanno
assumere all’unità idrogeologica in questione un carattere intermedio fra quelli
di acquitardo e acquicludo.
Depositi eluvio-colluviali (Pleist. -Olocene)
Sedimenti calcareo-argillosi di color bruno-rossastro, residuali, spessore variabile noti nel territorio Salentino col nome di “Bolo” localmente molto diffusi sia
nelle aree depresse sia nelle aree più elevate sub-pianeggianti nonché come riempimenti di cavità o depressioni carsiche.
Sabbie e sabbie argillose lagunari-palustri recenti (s)
Tali depositi rappresentano il riempimento di antiche lagune rimaste isolate
dal mare e trasformate in paludi per lo sviluppo delle dune costiere localizzati a sud
di Ugento lungo la costa ionica tra Torre S. Giovanni e Punta del Macolone.
Litologicamente sono rappresentati da sabbie di colore grigiastro a grana
media talora siltose leggermente argillose con granuli derivanti da resti di Molluschi,
echinidi e Briozoi ai quali si associano granuli di quarzo per la maggiore a spigoli
vivi.
Dune costiere recenti e attuali (qd)
Litologicamente sono figurate da sabbie grigio-giallastre a grana media e ad
elementi calcarei formati spesso da frammenti di molluschi, briozoi, echinidi cui si
associano frammenti di quarzo a spigoli vivi o arrotondati.
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Le sabbie giacciono sulle Calcarentiti del Salento con alla base un paleo suolo di 20-50 cm di spessore sono debolmente cementate e con una evidente stratificazione incrociata.
Le dune attuali estese tra Torre S.Giovanni e Torre Vado figurate da sabbie
sciolte giallastre, danno vita a un cordone alto circa 4-5 m delimitando verso il mare
i depositi lagunari-palustri recenti.
Idrologia e carsismo
A parte la presenza d’individuali e brevi linee di drenaggio esistenti in tutto il
comprensorio alcuni reticoli significativi s’individuano nel territorio lungo il tratto
ionico bordante la piana retro dunale difatti distinguiamo, perpendicolarmente alla
linea di costa, una breve incisione presso le “Macchie di Rottacapozza” e verso nord,
rispettivamente e alquanto brevi il “Canale della Casarana”, “C.le di Perla”, “C.le
Polisena” e “ C.le del Casale”.
Sviluppate incisioni, native nella piana di Taurisano, attraversano il territorio
a Nord di Ugento consegnando il proprio carico idraulico alla “Vora Franzi” ubicata
nel territorio di Melissano.
L’idrografia superficiale per
il
restante
territorio è presente solo
Bacino Idrografico Ugento (Piano Tut. Acque Reg. Puglia)
in occasione di periodi piovosi circa
intensi per i quali si attivano sporadici reticoli, linee di deflusso temporanee, solchi erosivi e aree con
ristagno
d’acqua
a
causa
dell’impermeabilità dei depositi eluvio-colluviali
superficialmente
presenti.
Il deflusso superficiale delle
acque alquanto contenuto per effetto
del fenomeno carsico e permeativo
delle rocce carbonatiche diviene rilevante proprio in concomitanza di
forti precipitazioni le quali attivano temporanee linee di scorrimento superficiali.
La carenza di idrologia superficiale, grazie ad un’elevata infiltrazione efficace per porosità e carsismo (doline, fessure, fratture, ecc.) è compensata dall’esistenza
di falde idriche a pelo libero sospese nei terreni plio-pleistocenici, di modesta portata
e di una più cospicua falda carsica profonda localizzata nei calcarei cretacei e sostenuta dalle acque d’invasione marina.
Su tutto il territorio sono ben evidenti forme epicarsiche rappresentate da doline e inghiottitoi diffuse in prevalenza su depositi calcarenitici di età pliopleistocenica: si tratta di norma di forme poco pronunciate a “scodella” e a “ciotola”
con diametro compreso tra alcune decine e il centinaio di metri e fondo coperto da
depositi terrosi residuali (Bolo).
Classificare tali forme è alquanto difficile dato che sono frutto di una situazione di carsismo policiclico subordinato da periodi di continentalità concedendo la
genesi sia a nuove forme sia la riesposizione e/o riattivazione di forme fossili carsiche preesistenti.
Le doline, generalmente, sono per lo più allineate lungo lineazioni tettoniche,
alimentate dalle acque meteoriche di corrivazione mostrano nella parte alta sedimen-
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ti di natura eluvio-colluviali posati sull’epicarso, parte superficiale, alterata e permeabile del massiccio carbonatico.
In alcuni casi siffatte forme depresse doliniformi possiedono alla loro base
una struttura profonda o inghiottitoio il quale permette l’immissione delle acque nei
meandri del sottosuolo.
Il bacino idrografico di riferimento identificato nel Piano Tutela delle Acque
della Regione Puglia con la sigla R16-178 è piuttosto esteso e sviluppato esoreicamente includendo differenti circoscrizioni territoriali.
Le caratteristiche idrogeologiche del territorio scaturiscono da fattori quali
l’assetto strutturale, dallo sviluppo di fenomeni carsici intrinseci alla natura stessa
dei litotipi presenti nell’area e dalla permeabilità delle formazioni affioranti.
L’attitudine di una roccia a lasciarsi attraversare da acqua gravifica, in gergo
definita permeabilità, dipende essenzialmente dalle caratteristiche intrinseche dei litotipi attraversati e dalle caratteristiche acquisite a causa di deformazioni tettoniche
e/o dissoluzione carsica.
È possibile distinguere quindi una permeabilità su ampia scala nel caso in cui
si presentino fratture beanti, strutture carsiche interconnesse sviluppate lungo direttrici di faglia, lungo piani di stratificazione e una permeabilità su piccola scala nel
caso in cui valgono le caratteristiche intrinseche dei litotipi attraversati.
Sulla base di tali osservazioni è possibile distinguere e mostrare tali situazioni per le formazioni litologiche appartenenti al comprensorio oggetto d’indagine.
Pertanto avremo che:
- Calcari di Melissano: possiedono una permeabilità in grande per essere interessati da forme carsiche in profondità.
L’acqua gravifica vi circola stabilmente solo nella parte satura di fondo con
portate specifiche notevoli;
- Calcareniti Quaternarie: le caratteristiche intrinseche, la presenza di forme
e strutture carsiche induce nella formazione una discreta permeabilità;
Laddove prevale la componente sabbiosa l’acqua viene assorbita velocemente costituendo a modeste profondità falde acquifere a regime stagionale di modesta
portata;
- Formazione di Gallipoli: costituita da argille, argille-sabbiose, argillelimose, marne creano un mezzo discontinuo per lo più impermeabile ad eccezione
dove compare la componente sabbiosa;
- Depositi alluvionali e Terra rossa: costituiti da argille limose, depositi residuali di alterazione dei calcari, sono impermeabili;
Molto spesso nella maggioranza dei casi i limiti formazionali corrispondono
ai limiti per uno stesso comportamento idrogeologico anche se questo non comporta
assolutamente in alcun modo che una stessa formazione possa presentare un diverso
comportamento di permeabilità.
Tentare di esprimere dei valori di permeabilità dei terreni affioranti in maniera quantitativa è piuttosto malagevole dato che tale parametro a causa di
un’anisotropia piuttosto diffusa, sia per caratteri intrinseci, sia per carsismo, varia da
punto a punto.
Dati di letteratura indicano per le formazioni calcareo-dolomitiche salentine
un valore variabile fra 10-1 e 10-3 cm/sec mentre per la copertura calcareniticadetritica un valore medio di 10 -3 cm/sec.
Il Salento, idrogeologicamente assieme al Gargano e alle Murge, appartenendo alla piattaforma apula calcarea-dolomitica, costituisce uno tra i più estesi e
cospicui serbatoi d’acqua sotterranee profonda, per fessurazione e carsismo, della
regione, rappresentando un dominio idrogeologico a sé stante.
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Risorse meno cospicue ma non per questo meno importanti si ritrovano contenute all’interno di coperture neogeniche-quaternarie.
Le falde idriche sia che siano contenute all’interno di sedimenti mesozoici
che nei depositi quaternari possiedono una variabilità spaziale delle caratteristiche
idrogeologiche proprie quali la profondità di rinvenimento, la trasmissibilità, la portata specifica dei pozzi, la qualità delle stesse.
La falda profonda galleggiando sull’acqua di mare d’invasione continentale
possiede una forma lenticolare con spessori maggiori nella parte centrale del territorio salentino con lo spartiacque sotterraneo posto nella parte centrale della penisola
di poco spostato verso il mare Adriatico.
Schema idrogeologico della Puglia
All’interno delle rocce carbonatiche, pre-neogeniche si sviluppa la falda acquifera “profonda” alimentata prevalentemente dalle precipitazioni meteoriche ricadenti sul terreno.
La falda profonda è sostenuta alla base da acqua marina d’invasione continentale in una condizione di equilibrio dinamico dovuta alla diversa salinità e densità delle acque galleggiando sulle acque salate separate da una zona di transizione
detta di “diffusione” in cui il contenuto salino cresce rapidamente con la profondità.
Lo spessore della falda dipende dal carico idraulico (t) della stessa e può essere stimato mediante la legge di Ghyben-Herzberg, esprimibile nella forma:
h= 35t
Nell’area in esame il complesso idrogeologico è figurato dalle unità calcaree,
calcaree-marnose caratterizzate da permeabilità per porosità, fessurazione e carsismo
da discreta a elevata.
Avendo l’acquifero, in generale, valori elevati di permeabilità ne risulta che
il carico piezometrico in generale non supera i 4-5 metri sul l.m. così come le cadenti piezometriche risultano assai basse nell’ordine di 0.01%-0.02%.
Il comprensorio di Ugento, come si evince dalla Tav.4.2.6.2 del Piano di Tutela delle Acque della Regione Puglia possiede un carico piezometrico di circa 2 metri sul l.m. con deboli cadenti piezometriche e direzione del flusso idrico sotterraneo
verso la costa.
L’acquifero carsico nel territorio comunale presenta i tipici caratteri che si
verificano nel senso più generale nell’intero territorio salentino con una falda profonda carsica stabilita nei calcari del cretaceo.
Nelle aree topograficamente più basse del territorio è possibile rinvenire a
più livelli, nella successione dei terreni neogenici - quaternari, permeabili per porosità, falde superficiali a pelo libero a carattere prettamente stagionale poggianti su
livelli di formazioni poco permeabili di natura argillosa a circa 10.00 m dal p.c.
La permeabilità dell’acquifero ospitante la falda, normalmente elevata (k =
10-2–10-4 cm/sec), è variabile in relazione all’evoluzione del fenomeno carsico e del
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grado di tettonizzazione del basamento carbonatico che si spinge sotto il livello del
mare favorendo fortemente l’intrusione di acqua salata marina.
Caratteri idro-geologici del sito d’indagine
L’intervento si colloca nel comprensorio urbano di Ugento a una quota di
circa 100.00 m s.l.m. in un’area morfologicamente sub-pianeggiante caratterizzata
dall’assenza di chiari affioramenti per l’intensa urbanizzazione
Dal rilievo geologico e dalle indagini geofisiche condotte è stato possibile attribuire per l’area d’intervento, con le dovute cautele, per l’assenza di dati diretti di
sito, una litostratigrafia figurata dalla presenza di una modesta copertura di probabile
natura calcarenitica adagiata su un bedrock litologicamengte ascrivibile alla formazione cretacea dei Calcari di Melissano (C11-7) figurata da una successione di strati e
banchi dolomitici di color grigio-nocciola, subordinatamente biancastri, nel complesso micriti più o meno fossilifere, anisotropicamente fratturati.
Idrogeologicamente i sedimenti calcarei possiedono una discreta permeabilità
secondaria per fessurazione e carsismo, l’idrografia superficiale nell’immediato intorno è assente come pure inesistenti sono le situazioni di convergenza meteorica
circoscritta sul terreno da piccole conche o bacini endoreici.
L’acquifero carsico nell’area del territorio comunale rispecchia i tipici caratteri
che occorrono nel senso più generale nell’intero territorio salentino con una falda
profonda contenuta all’interno delle rocce cretacee.
Nel valutare la quota concernente, il livello statico della falda profonda impostata nei calcari fratturati e vacuolati del Cretaceo occorrerà tenere presente che i carichi piezometrici si attestano intorno ai 2 metri sul l.m. con deboli cadenti piezometriche e direzione probabile del flusso idrico sotterraneo verso il Mar Ionio.
Dall’esame dei vincoli statuiti dall’Autorità di Bacino Puglia, l’area non presenta alcuna demarcazione di pericolosità e per contro nessun rischio d’inondazione
derivato mentre l’applicazione del recente PPTR (Piano Paesaggistico Territoriale)
non pone il lotto d’interevento all’interno di alcuna delimitazione di natura geomorfologica.
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INDAGINI GEOFISICHE
Con riferimento all’incarico concernente la campagna di rilievi geofisici preliminari al progetto si riportano di seguito i risultati ottenuti.
Le indagini sono state compiute mediante metodologie non distruttive con apparecchiature in dotazione.
Si sono effettuati i seguenti rilievi:
a) Rilievo elettrico tridimensionale con acquisizione non standard per evidenziare
sia fenomeni carsici in atto sia presenza di cavità. Sono stati misurati sia la distribuzione del parametro “resistività elettrica” che del parametro “polarizzazione indotta”.Per il punto a) è stato impiegato il georesistivimetro A6000-S/E prodotto dalla MAE con 16 canali attivi.
b) Rilievo sismico a rifrazione per tomografia per l’individuazione delle caratteristiche elastiche del sottosuolo e della distribuzione stratigrafica dello stesso al
variare della profondità. Per il punto b) è stato impiegato il sismografo A6000S/E prodotto dalla MAE con 12 canali attivi e 12 geofoni con frequenza propria
pari a 4.5 Hz.
c) Rilievo dei microtremori sismici con determinazione della frequenza di risonanza del sito e della continuità laterale dell’ammasso. Per il punto c) è stato impiegato il tomografo digitale Tromino.
Rilievo elettrico
I metodi geoelettrici consentono di caratterizzare il sottosuolo dal punto di vista del parametro fisico resistività elettrica (ρ). Il metodo geoelettrico della resistività si basa sulla circolazione di corrente elettrica stazionaria (continua o a bassissima
frequenza, affinché siano trascurabili i fenomeni d’induzione) nel sottosuolo.
I mezzi materiali, infatti, rispondono a un flusso di corrente in maniera diversa, in base al valore che assume il parametro fisico della resistività. Tipicamente, la
resistività che i litotipi offrono alla circolazione di corrente elettrica dipende dal contenuto d’acqua interstiziale, dalla temperatura, dal contenuto di gas disciolti
nell’acqua, dalla presenza di ioni liberi. La stima dei valori di resistività si realizza
mediante un quadripolo elettrico costituito da due elettrodi A e B, detti di corrente, e
due elettrodi M e N detti di potenziale. Attraverso gli elettrodi A e B è inviata nel
sottosuolo una corrente d’intensità I nota e tramite gli elettrodi M e N si misura la
differenza di potenziale V. I quattro elettrodi costituiscono, nel loro insieme, il dispositivo elettrodico di misura, che può presentare diverse geometrie di disposizione
sul terreno, ognuna caratterizzata da un parametro K che prende il nome di “fattore
geometrico”.
Le tecniche di misura consistono in mappe, in profili di resistività, in sondaggi
elettrici verticali (SEV) e in pseudosezioni e tomografie 2D e 3D. Le mappe sono
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realizzate traslando il dispositivo ortogonalmente alla sua lunghezza, ottenendo in tal
modo informazioni sulle variazioni areali dei valori di resistività. Per la costruzione
dei profili, invece, si trasla il dispositivo parallelamente alla sua lunghezza da un
punto fisso scelto come origine; questa tecnica consente di individuare variazioni laterali di resistività. Nei SEV, infine, l’array elettrodico è progressivamente allargato
rispetto a un punto medio fisso, per ricavare informazioni circa l’andamento verticale dei valori di resistività.
Negli ultimi decenni è stata sviluppata una nuova tecnica d’indagine, in cui le
misure di resistività sono fatte usando un sistema costituito da un gran numero di elettrodi. Questa tecnica, indicata con il nome di tomografia geoelettrica, è particolarmente adatta per investigazioni in aree d’interesse geologico, minerario, idrogeologico, ingegneristico e archeologico. La tomografia elettrica, può essere bidimensionale o tridimensionale, a seconda che la zona d’interesse sia una sezione piana
verticale del sottosuolo o un intero volume di terreno. Nel primo caso, gli elettrodi
saranno disposti sul terreno tutti allineati ed equispaziati, mentre nel secondo caso,
saranno disposti sempre sulla superficie del terreno, ma sui nodi di una griglia quadrata. Nel caso della multielettrodica, si lavora con una serie di elettrodi equispaziati
collegati, per mezzo di un cavo multicanale, a uno strumento in grado di gestire
l’immissione di corrente e la misura della differenza di potenziale dai quattro elettrodi volta per volta interessati dalla misura; da qui se ne deduce la grande innovazione nell’indagine geoelettrica apportata dalla multielettrodica: essa, infatti, non solo permette di raccogliere un gran numero di dati in poco tempo e a costi contenuti ,
ma anche di risolvere alcuni problemi, ad esempio quello della rappresentazione dei
dati. I vari dispositivi elettrodici, sono caratterizzati da una serie di parametri, dai
quali dipenderà l’investigazione. Sarà l’operatore a decidere, in base agli scopi
dell’indagine, alle caratteristiche della regione interessata dalla misura, al tempo a
disposizione e alla quantità di memoria disponibile sul computer, qual è quello più
adatto alle misure, caso per caso.
Con il termine di polarizzazione indotta, in inglese Induced Polarization (IP),
s’intende un insieme di fenomeni transitori che avvengono nel terreno quando è sottoposto a un campo elettrico applicato tramite un dispositivo quadripolare classico
C1C2P1P2, dove C1 e C2 sono gli elettrodi di corrente, mentre P1 e P2 gli elettrodi di
potenziale.
Quando si energizza il terreno con una corrente d’intensità costante I attraverso gli elettrodi C1 e C2 per un certo tempo T, il potenziale di equilibrio Ve tra gli elettrodi P1 e P2 non è raggiunto in modo istantaneo ma secondo un andamento asintotico. In maniera del tutto analoga, la d.d.p. tra P1 e P2 non cade istantaneamente a
zero nel momento in cui s’interrompe la corrente di energizzazione, ma impiega un
certo tempo per scaricarsi, con una caduta asintotica a zero. La durata di tale fenomeno può variare da qualche secondo ad alcuni minuti, e dipende dal grado di polarizzazione del mezzo. Sebbene sia un fenomeno complesso, si può quindi assimilare
il comportamento del terreno ai fenomeni di carica e scarica dei condensatori. I principali fattori che determinano l’IP sono: la composizione mineralogica; la tessitura;
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la percentuale d’acqua (umidità naturale); la composizione chimica dell’acqua interstiziale (elettrolita).
Le misure di IP possono essere eseguite nel dominio del tempo o nel dominio
della frequenza.
Le misure nel dominio del tempo sono eseguite immettendo nel sottosuolo impulsi di corrente continua con una durata pari a un tempo T. Per lo studio del fenomeno si analizza la risposta del terreno all’interruzione della corrente, precisamente
si studia la curva di scarica come funzione del tempo. Detto V (misurato in mV) il
voltaggio rimanente dopo un tempo t dall’interruzione della corrente, la misura della
IP è spesso espressa dal rapporto V Ve (mV/V), dove Ve è la tensione di equilibrio raggiunta dopo un certo tempo di energizzazione del terreno (misurata in V);
tale grandezza è detta polarizzazione apparente Pa . Un’altra grandezza utilizzata
per misurare l’IP è la “caricabilità apparente” M , definita come l’area della superficie sottesa dalla curva di scarica. Per quel che riguarda le misure nel dominio del
tempo, queste si possono eseguire con la stessa strumentazione utilizzata per le misure di resistività congiuntamente a queste ultime. I due set di dati sono poi analizzati in maniera analoga.
Le operazioni sul campo
La strumentazione utilizzata per le misure ha assemblati sia il sistema di energizzante sia quello ricevente. Il sistema di ricezione è costituito da un millivoltmetro
digitale, atto a misurare la tensione correlata al segnale di corrente inviato; mentre il
trasmettitore, alimentato da batteria esterna, invia nel terreno un segnale di corrente
regolare. L'apparecchiatura procede a una rimozione immediata del fattore di disturbo stazionario (generato da fenomeni di polarizzazione spontanea) tramite l'inversione della polarità del flusso di corrente continua nel sottosuolo, cioè grazie all'uso
dell'onda quadra di corrente. La scelta del dispositivo è influenzata dalla volontà di
ottenere informazioni 3-D. E' stato quindi utilizzato il dispositivo dipolare assiale
(dipolo-dipolo) che, tramite una particolare procedura di campagna, consente di ottenere una griglia regolare di valori di resistività apparente nella sezione verticale
sotto un profilo d’indagine. Eseguendo profili a L avremo una griglia pseudo 3-D di
valori di a. Da questo set di dati si possono quindi estrarre sia Tomografie Geoelettriche Verticali XZ (TGV) che Orizzontali XY (TGO) a varie profondità che rendono
un quadro chiaro della distribuzione di resistività nel sottosuolo.
La pseudo-sezione di resistività fornisce un’immagine approssimativa ed immediata della distribuzione di resistività lungo la sezione verticale di sottosuolo sottesa al profilo di misura; può essere quindi considerata come un’immagine sfocata
della configurazione elettrica del sottosuolo. La tomografia geoelettrica vera e propria si ottiene mettendo a fuoco l’immagine di resistività apparente in modo da definire meglio le geometrie dei corpi sepolti. E’ possibile risolvere questo problema
(cioè passare da una pseudo-sezione a una tomografia) applicando la tecnica
d’inversione di Loke & Barker.
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La tecnica è essenzialmente un’ottimizzazione del metodo dei minimi quadrati
in cui un modello di partenza è iterativamente modificato finché la differenza tra
questo e la pseudo-sezione sperimentale è ridotta al minimo. L’assunto di base della
tecnica per la costruzione del modello è che nel sottosuolo ci sono tanti strati quanti
sono i valori di resistività sulla curva sperimentale di ρa. La profondità media di ogni
strato e uguale alla spaziatura elettrodica utilizzata per la misura di resistività moltiplicata per una costante il cui valore deve essere tale da ridurre al minimo la differenza tra la curva teorica (ricavata dal modello) e la curva sperimentale. Questa costante è determinata utilizzando l’algoritmo del trial and error, ovvero calcolando la
percentuale di scarto root mean squared (r.m.s., radice quadrata media) tra i valori
di ρa osservati e i valori ρa calcolati nei punti considerati. Dopo ogni iterazione la
curva modello di resistività apparente è ricalcolata e confrontata con la curva di resistività apparente osservata. Questa procedura e ripetuta fino a quando la differenza
r.m.s. tra le due curve e ridotta al minimo. Le differenze tra i valori di resistività apparente della pseudo-sezione teorica e della pseudo-sezione sperimentale sono utilizzate per ricavare delle resistività quanto più vicine alla realta per ognuno degli elementi del modello. L’intero processo è ripetuto iterativamente fino a quando la differenza r.m.s. raggiunge un valore minimo fissato dall’operatore. Non sempre, però,
al più basso valore r.m.s. possibile, corrisponde il modello geologico di sottosuolo
più vicino alla realtà, a volte, infatti, si possono ottenere variazioni poco realistiche
nei valori di resistività del modello. Pertanto, l’approccio piu corretto e quello di
scegliere il modello di sottosuolo corrispondente all’iterazione dopo la quale l’errore
r.m.s. non cambia significativamente. Il risultato sarà un modello 3d di distribuzione
della resistività e della polarizzazione indotta (caricabilità).
Per ciascuno dei profili è stato necessario innanzitutto scegliere la geometria
del dispositivo di misura più adatta alle caratteristiche geomorfologiche della zona e
al problema in studio: la lunghezza del profilo stesso in funzione della profondità
d’indagine, il numero di elettrodi e la distanza tra di essi.
Le misure sono state eseguite con il dispositivo dipolo-dipolo: infatti, in base a
quanto si legge in letteratura, il dispositivo dipolo-dipolo riesce meglio a mettere in
evidenza variazioni orizzontali di resistività e quindi adatto ad ambienti carsici. La
massima lunghezza dei profili è stata scelta in base alla massima profondità
d’interesse (i primi metri dal piano di campagna) e alla probabile risoluzione richiesta. Sono stati pertanto utilizzati 32 elettrodi con distanza interelettrodica media di
3m. L’inversione dei dati è stata realizzata mediante un processo iterativo che minimizza la differenza fra la resistività apparente misurata e quella calcolata in base ad
un modello di sottosuolo. Sono pertanto state studiate le distribuzioni nel sottosuolo
dei parametri “resistività elettrica e “polarizzazione indotta”.
Rilievo elettrico 3d
Il rilievo elettrico tridimensionale è stato eseguito con dispositivo dipolodipolo utilizzando una geometria di acquisizione non standard che prevede la disposizione sul terreno di una linea di elettrodi disposta in modo da coprire l’intera area
interessata dal rilievo (Fig. 1).
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Fig. 1: Ubicazioni del profili elettrico 3D, sismico e H/V
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Le mappe di resistività e polarizzazione indotta (costruite attraverso l’utilizzo
del software ERTLab), relative a varie profondità nel sottosuolo, sono riportate in
Fig. 2.
Fig. 2: Modello 3D di distribuzione della resistività: a) singole superfici;
b) polarizzazione indotta.
Dal modello di distribuzione della resistività è evidente la presenza di un sottosuolo eterogeneo con valori di resistività compresi tra 100 e 10000 ohm m. In particolare si nota la presenza:
aree indicate con “A”, con valori di resistività comprese tra 5000 e 10000
ohm m; tali valori indicano probabilmente aree rimaneggiate con presenza di
vuoti;
aree, indicate con “B”, con valori di resistività compresi tra 100 e 400 ohm
m; tali valori indicano la probabile presenza di materiali con alto contenuto volumetrico in acqua;
Dal modello di distribuzione della polarizzazione indotta (Fig. 2b) è evidente
la presenza di materiali con alto contenuto volumetrico in acqua.
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Fig. 3: isosuperfici di resistività.
La visualizzazione attraverso le isosuperfici di resistività definisce meglio le
dimensioni spaziali dell’anomalia indicata con “A”. La sua posizione rispetto
all’area indagata è visibile in Fig. 4.
Stendimento non standard geoelettrica
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Fig. 4: Distribuzione della resistività ad 1m di profondità
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Rilievi sismici
Le prospezioni di sismica siano esse a rifrazione che a riflessione per obiettivi
molto superficiali (poche decine di metri di profondità) richiedono un’attenta scelta
del tipo di sorgente, dei ricevitori, dei parametri e della geometria di acquisizione. E’
una metodologia largamente utilizzata nell’esplorazione del sottosuolo per riconoscere l’assetto stratigrafico e strutturale dei corpi geologici: geometrie deposizionali,
stratificazione, superfici di discordanza, faglie, sovrascorrimenti, etc.
Cenni sul metodo sismico a rifrazione
L’obiettivo principale del metodo sismico tomografico a rifrazione è di determinare la velocità e le sue variazioni nel mezzo indagato, utilizzando i tempi di viaggio ottenuti da un rilievo di sismica a rifrazione. La relazione tra velocità
dell’onda sismica e tempi di viaggio del raggio sismico è, per un set di M raggi:
t =A v
(1)
dove t è il vettore dei tempi di viaggio residui (tosservati – tcalcolati), A è la
matrice Jacobiana ti/ vj, e v è il vettore velocità di perturbazione.
Un approccio alternativo è quello che introduce il concetto di lentezza
dell’onda.
Se si definisce la lentezza dell’onda come u(x) = v-1(x), allora la (1) diventa:
t=Au
(2)
dove t è il vettore dei tempi di viaggio osservati, A = dlij = matrice delle lunghezze dei percorsi parziali e u = vettore dei valori della lentezza. Gli elementi Aij
rappresentano la lunghezza del percorso dell’i-esimo raggio nell’j-esima cella.
Profilo sismico: rifrazione onde P
La geometria scelta per l’acquisizione è costituita da un allineamento di 12 geofoni distanti tra di loro 1m: sull’allineamento sono posizionati n=3 punti di energizzazione (Fig. 5). La tecnica di acquisizione consente di determinare la velocità
media di propagazione in ognuna delle N (N nxm) celle elementari che ricoprono la
superficie indagata.
Fig. 5: Geometria di acquisizione del rilievo sismico tomografico a rifra
zione: geofoni: 1, 2,......, 12; punti di energizzazione S1, S2, S3.
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La lettura dei tempi di primo arrivo (picking), per ogni traccia, su ciascun sismogramma (Fig. 6) consente di ottenere le dromocrone riportate in Fig. 6c.
Fig. 6: a) sismogramma relativo allo shot 1; b) 3 sismogrammi acquisiti; c)
dromocrone
La elaborazione delle dromocrone mediante algoritmi sofisticati permette di
ottenere il modello sismico di sottosuolo (Fig. 7).
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Fig. 7: Modello di distribuzione della velocità Vp e Vs
Dalla Fig. 7 si evince che i valori di Vp sono generalmente compresi tra
500m/s e 2100m/s mentre valori di Vs sono generalmente compresi tra 100m/s e
1000m/s.
In particolare è possibile distinguere
A: Vp=500m/s (Vs=100m/s); strato superficiale da 0.5m a 0.8m circa di profondità;
B: 1000<Vp<1200m/s (500<Vs<700m/s); probabile presenza di materiale
compatto che raggiunge una profondità compresa tra 1.0 e 1.8m circa;
C: 1800<Vp<1900m/s (800<Vs<900m/s); probabile presenza di materiale
compatto che raggiunge una profondità compresa tra 3.0 e 6.0m circa;
D: 2000<Vp<2100m/s (900<Vs<1000m/s); probabile presenza di materiale
più compatto.
Attraverso l’utilizzo delle relazioni empiriche sopra descritte è possibile ottenere i modelli di distribuzione dei parametri RQD (Fig. 8), densità di massa, coesione (Fig.9) e permeabilità idraulica (Fig. 10).
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Fig. 8: Modello di distribuzione di RQD a varie profondità.
Fig. 9: Modello di distribuzione della densità di massa e della coesione a
varie profondità.
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Fig. 10: Modello di distribuzione della permeabilità a varie profondità.
Analizzando le Figg. 8, 9 e 10 si ottiene la tabella riassuntiva 1.
Tab. 1: Riassunto dei risultati
RQD
Densità
(%)
(g/cm )
Coesione
(KPa)
A
<10
1.8
60
60
B
20
2.0
70
30
C
40
2.2
300
20
D
50
2.4
350
15
Strato
3
Permeabilità
(m/s x10-7)
E’ inoltre possibile calcolare i valori del coefficiente di Poisson, del modulo di
Young e del modulo di taglio (tab. 2).
Strato
E
G
Lamè
Bulk
(MPa)
(MPa)
(MPa)
(MPa)
A
0.35
278
103
240
309
B
0.35
442
164
382
491
C
0.35
2388
884
2065
2655
D
0.30
4040
1554
2333
3369
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E’ stata inoltre valutata la Vs30 con il metodo MASW.
Nelle prospezioni sismiche per le quali si utilizzano le onde di tipo P, la maggior parte dell’energia sismica totale generata si propaga come onde superficiali di
tipo Rayleigh. Ipotizzando una variazione di velocità dei terreni in senso verticale,
ciascuna componente in frequenza di queste onde è caratterizzata da una diversa velocità di propagazione (chiamata velocità di fase) e quindi da una diversa lunghezza
d’onda. Questa proprietà si chiama dispersione. Sebbene le onde superficiali siano
considerate rumore per le indagini sismiche che utilizzano le onde di volume (riflessione e rifrazione), la loro proprietà dispersiva può essere utilizzata per studiare le
proprietà elastiche dei terreni superficiali.
La costruzione di un profilo verticale di velocità delle onde di taglio (Vs), ottenuto dall’analisi delle onde piane della modalità fondamentale delle onde di Rayleigh è una delle pratiche più comuni per utilizzare le proprietà dispersive delle onde superficiali.
Per ottenere un profilo verticale di velocità Vs bisogna produrre un treno
d’onde superficiali a banda larga e registrarlo minimizzando il rumore. Una molteplicità di tecniche diverse sono state utilizzate nel tempo per ricavare la curva di dispersione, ciascuna con i suoi vantaggi e svantaggi.
La configurazione base di campo e la routine di acquisizione per la procedura
MASW (Multichannel Analysis of Surface Waves) sono generalmente le stesse utilizzate in una convenzionale indagine a rifrazione. MASW può essere efficace anche
con solo dodici canali di registrazione collegati a geofoni verticali a bassa frequenza
(4.5 Hz).
Le componenti a bassa frequenza (lunghezze d’onda maggiori), sono caratterizzate da forte energia e grande capacità di penetrazione, mentre le componenti ad
alta frequenza (lunghezze d’onda corte), hanno meno energia e una penetrazione superficiale. Grazie a queste proprietà, una metodologia che utilizzi le onde superficiali può fornire informazioni sulle variazioni delle proprietà elastiche dei materiali
prossimi alla superficie al variare della profondità. La velocità delle onde S (Vs) è il
fattore dominante che governa le caratteristiche della dispersione.
La procedura MASW può sintetizzarsi in tre stadi distinti:
§ acquisizione dei dati sperimentali;
§ estrazione della curva di dispersione;
§ inversione della curva di dispersione per ottenere il profilo verticale delle Vs
(profilo 1-D), che descrive la variazione di Vs con la profondità.
In Fig 11 è riportata la curva di dispersione per il sito in studio assieme al modello di stratificazione utilizzato per il calcolo della Vs30.
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Fig. 11: Curva di dispersione con profilo verticale della velocità Vs al variate della profondità.
In base ai valori della velocità di propagazione delle onde S si è stimata una
Vs30 pari a 670m/s.
Stendimento sismica a rifrazione
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Fig. 12: rapporto H/V.
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Sismica passiva a microtremori ambientali
Al fine di valutare la pericolosità sismica di sito sono state attuate 5 misure di
microtremore all’interno del patio, nel vano sede dell’ascensore di progetto e
all’esterno del perimetro scolastico. Le misurazioni di microtremore hanno permesso
di determinare:
1. la frequenza di risonanza fondamentale del sottosuolo;
2. possibili situazioni d’inversione di velocità;
3. continuità laterale dell’ammasso per l’intera area rilevata;
La conoscenza della frequenza fondamentale di risonanza del sottosuolo permette di esplicare un confronto con la frequenza fondamentale dell’edificio di progetto al fine di evitare il deleterio fenomeno della doppia risonanza.
Il rumore sismico ambientale presente ovunque sulla superficie terrestre è generato oltre che dall’attività dinamica terrestre, dai fenomeni atmosferici (onde oceaniche, vento) e dall’attività antropica.Si chiama microtremore poiché si basa su oscillazioni più piccole rispetto a quelle che possono essere indotte da un terremoto.
I metodi che si basano sulla sua acquisizione si dicono passivi in quanto il
rumore non viene generato come nel caso della sismica attiva.
Nelle zone in cui non è presente alcuna sorgente di rumore locale o di vento lo
spettro di frequenza per un terreno roccioso, pianeggiante appare come in figura 1
A tale andamento generale sempre presente si somma il rumore proveniente da
sorgenti locali, antropiche (traffico, industrie o anche il semplice passeggiare di una
persona) e naturali che però si attenuano a frequenze superiori a 20 hz a causa
dell’assorbimento anelastico originato dall’attrito interno delle rocce.
Attraverso tale tecnica la stratigrafia che viene restituita si fonda sul concetto
di contrasto di impedenza e quindi il singolo strato viene inteso come una unità distinta dalla soprastante e sottostante per un contrasto di impedenza ossia per il rapporto tra i prodotti di velocità delle onde sismiche e la densità nel mezzo.
La tecnica impiegata:cenni storici
Tra i metodi maggiormente consolidati per estrarre informazioni del sottosuolo risulta essere quello dei rapporti spettrali tra le componenti del moto orizzonGeostudi Settembrini, via Pio XI, 27-Ruffano (Le)
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tale e quella verticale (HVSR o HV Horizontal to Vertical Spectral Ratio) applicato
da Nogoshi e Igarashi (1970).
Nakamura (1989) utilizzò tale tecnica per determinare l’amplificazione sismica locale.
Attraverso la curva H/V è possibile fornire stime affidabili delle frequenze
principali di risonanza del sottosuolo e tramite opportune operazioni di inversione le
profondità dei substrati rocciosi posti sotto le coperture sedimentarie.
Studi recenti hanno dimostrato che ulteriori picchi a frequenza maggiori di
quello del bedrock sono riconducibili a contrasti di impedenza interni alla copertura
sedimentarie e picchi a frequenza inferiore a quella del bedrock sono riconducibili a
contrasti di impedenza interni al bedrock stesso.
Compresa tale capacità se disponibile una stima della velocità Vs le frequenze di risonanza possono essere convertite in stratigrafia.
L’inversione delle misure di microtremore a fini stratigrafici sfrutta la tecnica
del confronto degli spettri singoli e dei rapporti H/V misurati con quelli calcolati relativamente ad un modello e definiti “sintetici”.
Tanto più i dati sintetici e quelli misurati si avvicinano tanto più il modello si
avvicina alla realtà.
Procedura di analisi dati
Dalle registrazione effettuate tramite il tromografo TROMINO sono state
determinate le curve H/V ottenute con il software GRILLA secondo la procedura
descritta in Castellaro et al (2005) con parametri:
larghezza della finestra di analisi pari a 30 sec.;
lisciamento secondo finestra triangolare con ampiezza pari al 5 % della frequenza centrale;
rimozione manuale di eventuali transienti ancora presenti;
Nei casi particolarmente semplici (copertura + bedrock) la profondità h della discontinuità sismica può essere ricavata dalla formula semplice della risonanza oppure dalla formula :
H ={Vo(1-X)/4fr +1} 1/1-X -1
Dove Vo è la velocità al tetto dello strato, X un fattore che dipende dalle caratteristiche del sedimento (granulometria, coesione, ecc.) e fr la frequenza fondamentale di risonanza.
Nei casi multistrato più complessi si invertono le curve H/V creando una serie di modelli sintetici da confrontare con quello sperimentale fino a considerare per
buono quello che si avvicina di più alle curve sperimentali.
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SCUOLA PRIM. L.MILANI 1-EST
Ugento (Le)
Strumento: TEN-0004/01-07
Inizio registrazione: 18/01/14 11:37:23 Fine registrazione: 18/01/14 11:47:24
Nomi canali:
NORTH SOUTH; EAST WEST ; UP DOWN ; north south; east
west ; up down
Dato GPS non disponibile
Durata registrazione: 0h10'00''.
Analizzato 97% tracciato (selezione automatica)
Freq. campionamento: 128 Hz
Lunghezza finestre: 20 s
Tipo di lisciamento: Triangular window
Lisciamento: 10%
RAPPORTO SPETTRALE ORIZZONTALE SU VERTICALE
SERIE TEMPORALE H/V
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DIREZIONALITA' H/V
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SPETTRI DELLE SINGOLE COMPONENTI
Misura n°2 Tromino
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[Secondo le linee guida SESAME, 2005. Si raccomanda di leggere attentamente il manuale di Grilla prima di interpretare la tabella seguente].
Picco H/V a 48.75 ± 4.94 Hz (nell'intervallo 0.0 - 64.0 Hz).
Criteri per una curva H/V affidabile
[Tutti 3 dovrebbero risultare soddisfatti]
f0 > 10 / Lw
nc(f0) > 200
A(f) < 2 per 0.5f0 < f < 2f0 se f0 >
0.5Hz
(f)
<
3
per
0.5f
A
0 < f < 2f0 se f0 <
0.5Hz
48.75 > 0.50
28275.0 > 200
Superato 0 volte su 1269
OK
OK
OK
Criteri per un picco H/V chiaro
[Almeno 5 su 6 dovrebbero essere soddisfatti]
-
-
Esiste f in [f0/4, f0] | AH/V(f ) < A0 / 2
+
+
Esiste f in [f0, 4f0] | AH/V(f ) < A0 / 2
A0 > 2
fpicco[AH/V(f) ± A(f)] = f0 ± 5%
f < (f0)
A(f0) < (f0)
Lw
nw
nc = Lw nw f0
f
f0
f
(f0)
A0
AH/V(f)
–
f
+
f
A(f)
logH/V(f)
(f0)
43.781 Hz
53.375 Hz
4.22 > 2
|0.04864| < 0.05
2.37129 < 2.4375
0.3912 < 1.58
OK
OK
OK
OK
OK
OK
lunghezza della finestra
numero di finestre usate nell’analisi
numero di cicli significativi
frequenza attuale
frequenza del picco H/V
deviazione standard della frequenza del picco H/V
valore di soglia per la condizione di stabilità f < (f0)
ampiezza della curva H/V alla frequenza f0
ampiezza della curva H/V alla frequenza f
frequenza tra f0/4 e f0 alla quale AH/V(f ) < A0/2
+
frequenza tra f0 e 4f0 alla quale AH/V(f ) < A0/2
deviazione standard di AH/V(f), A(f) è il fattore per il quale la curva
AH/V(f) media deve essere moltiplicata o divisa
deviazione standard della funzione log AH/V(f)
valore di soglia per la condizione di stabilità A(f) < (f0)
Intervallo di freq. [Hz]
(f0) [Hz]
(f0) per A(f0)
log (f0) per logH/V(f0)
Valori di soglia per f e A(f0)
< 0.2
0.2 – 0.5
0.5 – 1.0
0.25 f0
0.2 f0
0.15 f0
3.0
2.5
2.0
0.48
0.40
0.30
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1.0 – 2.0
0.10 f0
1.78
0.25
> 2.0
0.05 f0
1.58
0.20
Pagina 38
Risultati
Premesso che nulla è noto per via diretta sulla geologia del sito le 5 misure
di microtremore sismico mostrano in generale lo stesso tracciato con ravvisabile un
picco massimo a circa 20 hz definito dal contrasto d’impedenza tra la copertura e il
bedrock sottostante e un picco modesto a circa 7 hz interno all’ammasso calcareo.
I picchi H/V sono interpretabili come picchi di origine stratigrafica quando
raffigurati da un minimo locale della corrispondente componente spettrale verticale
con o senza un massimo, alla stessa frequenza, delle componenti spettrali orizzontali.
La restante parte del tracciato è regolare senza ulteriori picchi significativi
non ponendo in evidenza fenomeni d’inversione di velocità delle Vs non escludendole a priori per la natura puntuale delle misure su di un ammasso anisotropicamente
carsificato.
La misura eseguita all’interno della scuola in corrispondenza del vano scala
sede dell’ascensore in progetto mostra una generale deamplificazione delle componenti spettrali in quanto eseguita su pavimentazione rigida comunque uniformandosi
ai risultati ottenuti dalle altre misure confermando una certa spazialità stratigrafica.
Sito
Frequenza di risonanza terreno
(Hz)
Periodi di risonanza (sec.)
Vulnerabilità
massima per edifici
Note
1-2-3-4-5
20 c.ca
0.05
-
-
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PERICOLOSITA’ SISMICA
Nel merito della sismicità dell’area si pone in evidenza che il comune di Ugento è classificato “sismico” essendo compreso nella denominata “Zona 4” (Ordinanza P.C.M. 20 marzo 2003 e s.m.i. – Allegato 1) con una pericolosità sismica determinata principalmente dal risentimento di effetti sismici di terremoti generati in
vicinanza delle coste balcaniche–greco-albanesi, lucano-calabresi sede d’intensi
stress tettonici.
Notevole apporto al risentimento degli eventi sismici è attribuito alla natura
strutturale della placca adriatica la quale permette con notevole efficienza una buona
trasmissione delle onde facendo modo che la popolazione salentina abbia notevole
percezione dei terremoti.
Va rilevato inoltre che il risentimento nell’ambito territoriale di una città può
essere differente in base a un diverso comportamento dei terreni di fondazione e di
fattori inerenti alla geologia, idrogeologia e morfologia superficiale che possono
portare a una maggiore amplificazione dell’onda simica.
Pur tuttavia non si può senza ogni sorta affermare che non sia possibile una
differente collocazione, infatti, storicamente un solo evento ha avuto conseguenze
negative tali da causare circa 200 morti nel 20.02.1743 e per la maggior parte a Nardò.
In tale caso è stato ipotizzato che la sorgente sismogenetica fosse collocata
nel golfo di Taranto forse riattivata da un concomitante evento greco.
La sismicità nel golfo di Taranto è recentemente confermata da rilevazioni
strumentali le quali hanno mostrato un’attività di energia moderata con epicentri poco distanti dalle coste occidentali del Salento come verificato nella scossa di magnitudo 4,6 registrata al largo di Gallipoli in data 07 maggio 1983.
Il comprensorio di Ugento storicamente è stato soggetto a risentimenti di eventi sismici intensi i maggiori dei quali indicati di seguito:
Seismic history of
Ugento
[39.929, 18.160]
Total number of earthquakes: 7
Effects
Is
Anno Me Gi Or
Earthquake occurred:
Area epicentrale
Studio nMDP
NF
1905 09 08 01 4311
Calabria
CFTI
827
NF
NF
NF
NF
1910 06 07 02 04
1915 01 13 06 52
1980 11 23 18 3452
1984 04 29 05 0259
Irpinia-Basilicata
AVEZZANO
Irpinia-Basilicata
GUBBIO/VALFABBRICA
CFTI
DOM
CFTI
DOM
376
1040
1317
709
NF
NF
1988 04 13 21 2828
1990 05 05 07 2117
POLLINO
POTENTINO
BMING 272
BMING 1374
Io
Mw
11
89
11
10
7
67
7
7.06
5.87
6.99
6.89
5.68
4.98
5.84
Le misure sismiche hanno permesso di ottenere una Vs30 pari a 673 m/sec e
rifacendosi al N.T.C. 2008 tab. 3.2.II è ammissibile, per valutare l’azione sismica di
progetto, assegnare a tali terreni il profilo stratigrafico designato:
CATEGORIA B “Rocce tenere e depositi di terreni a grana grossa molto
addensati o terreni a grana fina molto consistenti con spessori superiori a 30 m, caGeostudi Settembrini, via Pio XI, 27-Ruffano (Le)
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ratterizzati da un graduale miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360-800 m/sec.”
Con l’entrata in vigore del D.M. 14 /01/2008 (NTC 2008) la stima della pericolosità sismica è definita tramite un approccio “sito dipendente” e non più “zona
dipendente”.
Le azioni sismiche di progetto in base alle quali valutare il rispetto dei differenti stati limite considerati sono definite partendo dalla “pericolosità sismica di base” del sito di costruzione, elemento essenziale di conoscenza dell’azione sismica è
definita in termini di accelerazione orizzontale massima attesa ag in condizioni di
campo libero, sito di riferimento categoria A con superficie topografica orizzontale e
di ordinate dello spettro di risposta elastico in accelerazione a essa corrispondente Se
(T) con riferimento a prefissate probabilità di superamento Pvr.
Le forme spettrali sono definite sulla base di tre parametri su sito di riferimento rigido orizzontale:
ag accelerazione massima orizzontale attesa al sito (INGV);
F0 valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione
orizzontale;
Tc periodo d’inizio a velocità costante dello spettro in accelerazione orizzontale;
La pericolosità sismica di un sito è stabilita dalla probabilità Pvr che in un
fissato “periodo di riferimento” Vr si verifichi un evento sismico di entità almeno
pari ad un valore prefissato.
Parametri sismici
Sito in esame.
latitudine:
39,932261
longitudine: 18,158549
Classe:
3
Vita nominale:
50
Coefficiente cu
1.5
Siti di riferimento
Sito 1 ID: 36812
Sito 2 ID: 36813
Sito 3 ID: 37035
Sito 4 ID: 37034
Lat: 39,9388Lon: 18,1190
Lat: 39,9361Lon: 18,1841
Lat: 39,8862Lon: 18,1805
Lat: 39,8889Lon: 18,1155
Parametri sismici
Categoria sottosuolo:
Categoria topografica:
Periodo di riferimento:
Fattore di struttura q:
Distanza: 3491,262
Distanza: 2133,106
Distanza: 5543,583
Distanza: 6193,937
B
T1
0.203542461_scala 0.381099561_ascensore
2_scala – 4.5_ascensore
La conoscenza del periodo fondamentale di vibrazione e del fattore di struttura permette attraverso i diagrammi esposti di seguito di determinare
l’accelerazione Kv da utilizzare nella combinazione sismica (qlim sismica)- SLV
(resistenze) per E e Khi da utilizzare per il taglio sismico alla base per la verifica allo scorrimento.
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Valori dei parametri ag, Fo, TC* per i periodi di ritorno TR di riferimento
STATO LIMITE
TR
(anni)
45
75
712
1462
SLO
SLD
SLV
SLC
ag
(g)
0.020
0.027
0.069
0.089
F0
(-)
2.384
2.354
2.622
2.681
Tc
(sec)
0.208
0.278
0.457
0.505
Coefficienti sismici
STATO
LIMITE
Ss
(-)
Cc
(-)
St
(-)
Kh
(-)
Kv
(-)
A max
(m/sec2)
Beta
(-)
SLO
SLD
SLV
SLC
1.20
1.20
1.20
1.20
1.51
1.42
1.28
1.26
1.00
1.00
1.00
1.00
0.005
0.006
0.016
0.021
0.002
0.003
0.008
0.011
0.240
0.318
0.805
1.047
0.20
0.20
0.20
0.20
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Fattore di struttura q = 4.5 ascensore
Fattore di struttura q = 2 scala
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Pagina 44
STIMA DEI PARAMETRI MECCANICI DELL’AMMASSO
Con riferimento a quanto determinato attraverso le indagini geofisiche è possibile assegnare ai sismo strati individuati analoghe unità geotecniche.
Il piano di sedime della fondazione potrà essere situato nell’unità geotecnica
C sulla base della profondità stabilita della base fondale.
Per quanto detto quindi è possibile distinguere le unità d’interesse del volume significativo e per le quali è possibile stimare i seguenti parametri geomeccanici:
Terreno vegetale/riporto
Il terreno di scarse qualità meccaniche e per uno spessore medio di circa
0.60 m è associabile allo strato A definito attraverso l’indagine di sismica a rifrazione
Calcarenite (?)
La calcarenite per uno spessore medio di circa 1.00 m è associabile allo strato B (probabile presenza di materiale compatto) riscontrato mediante l’indagine di
sismica a rifrazione. I parametri geotecnici sono:
Vp
Vs
densità
angolo di attrito
coesione
RQD
Permeabilità
Mod.Poisson
Mod. Young E
Mod. taglio G
Lamè
Bulk
1000-1200 m/sec
500-700 m/sec
γ=2.0 g/cmc
φ=26°
70 kpa
20 % (qualità ammasso molto scadente)
30 m/sec x 10-7
0.35
442 Mpa
164 Mpa
382 Mpa
491 Mpa
Calcare di Melissano (calcare fratturato)
L’ammasso calcareo per uno spessore medio di circa 3.00 m è associabile allo strato C riscontrato mediante l’indagine di sismica a rifrazione. I parametri geotecnici sono:
Vp
Vs
densità
angolo di attrito
coesione
RQD
Permeabilità
Mod.Poisson
Mod. Young E
Mod. taglio G
Lamè
Bulk
1800-1900 m/sec
800-900 m/sec
γ=2.2 g/cmc
φ=28°
300 kpa
40 % (qualità ammasso scadente)
20 m/sec x 10-7
0.35
2388 Mpa
884 Mpa
2065 Mpa
2655 Mpa
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Calcare di Melissano
L’ammasso calcareo è associabile allo strato D riscontrato mediante
l’indagine di sismica a rifrazione. I parametri geotecnici sono:
Vp
Vs
densità
angolo di attrito
coesione
RQD
Permeabilità
Mod.Poisson
Mod. Young E
Mod. taglio G
Lamè
Bulk
2000-2100 m/sec
900-1000 m/sec
γ=2.4 g/cmc
φ=35°
350 kpa
50 % (qualità ammasso scadente-discreto)
15 m/sec x 10-7
0.30
4040 Mpa
1554 Mpa
2333 Mpa
3369 Mpa
I valori ottenuti dalle prove sismiche possono essere considerati come valori
caratteristici e nel caso se ritenuto opportuno dallo strutturista comparati con campioni estratti direttamente da previste operazioni di carotaggio. Per il calcolo delle
fondazioni si procederà come previsto dalle NTC 2008 dividendo i valori caratteristici con i previsti coefficienti di sicurezza.
Seppur il modulo elastico dinamico determinato dall’indagine geofisica tenga
conto dello stato dell’ammasso roccioso bisogna osservare che le sollecitazioni indotte dalle stesse sono generalmente più basse rispetto a quelle determinate dalle opere d’ingegneria civile pertanto il valore di Esism è generalmente più elevato rispetto
a quello effettivo in quanto rappresentativo della primissima porzione della curva
sforzo-deformazioni.
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CAPACITA’ PORTANTE DELL’AMMASSO
Ai fini del calcolo della capacità portante di un ammasso roccioso Hoek e
Brown( 1994) proposero il seguente criterio empirico di rottura valido per masse
rocciose con giunti ravvicinati:
σ1 =σ3+ qc (m
+ s)n
in cui
σ1 è la massima tensione principale efficace;
σ3 è la minima tensione principale efficace;
qc è la resistenza a compressione di un provino di roccia intatta;
n,m ed s sono costanti adimensionali caratteristiche per ciascun tipo di ammasso e
dipendenti dall’indice GSI Geological Strenght Index;
Tale criterio può essere esteso alla roccia intatta (s=1) e ad un materiale granulare
(s=0).
Hoek (1994) e Hoek e Brown (1997), dall’analisi di un certo numero di casi reali,
trovarono le seguenti correlazioni tra i parametri m, s e GSI:
m= mr
s=mr ·
dove mr è la costante del materiale roccioso ricavabile da prove triassiali su provini
di roccia. La correlazione proposta per s è valida solamente per pendii e cave a cielo
aperto. Per gallerie e caverne si trova infatti un enorme incremento di resistenza.
Litologia strato d’interesse: Calcare di Melissano (calcare fratturato)
Assumendo una resistenza a compressione semplice della roccia intatta qc =
35 Mpa un indice GSI~35 (class. Beniawsky RMR-5 classe IV qualità scadente) si
ricava l’angolo ф = 28°
Classificazione Hoek-Brown
Resistenza alla compressione uniassiale
Geological Strength Index
Costante ammasso roccioso
Fattore di disturbo
Modulo di elasticità
Modulo MR
Limite superiore tensione confinamento
Applicazione
Profondità
Peso unità di volume
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[sigi]
35.000 Mpa
[GSI]
35
[mi]
12.000
[D]
0.0
[Ei]
2388.00 MPa
[MR]
0
Generale
1.30 m
21.570
KN/m3
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Criterio di Hoek-Brown
Valore ridotto di mi
Costanti ammasso roccioso
Constant rock mass
Tensione confinamento
[mb]
1.178
[s]
0.0007
[a]
0.516
[sig3max]
Parametri ammasso roccioso
[sigt]
[sigc]
[sigcm]
[Erm]
Parametri geotecnici
Peso unità di volume
Angolo di resistenza a taglio
Coesione
Resistenza compress. 48ni assiale
Modulo di elasticità
8.8
Mpa
0.0Mpa
0.8
4.8
272.22
Mpa
Mpa
Mpa
21.57
KN/m3
27.59 °
0.30 Mpa
35.00 Mpa
2388.00 Mpa
è utilizzando la più cautelativa relazione di calcolo di capacità portante per un ammasso roccioso proposta da Kulhawy & Carter
qu = qc (sa + (mbsa + s)a)
mb valore ridotto di mi
s,a costanti ammasso roccioso
qc resistenza a compressione provino
Capacità portante
[qultima]
3.11
Mpa
Di solito per le rocce possidenti un RQD pari al massimo a 0.75 si utilizza,
per il calcolo della capacità portante ammissibile, un fattore di sicurezza compreso
tra 6 e 10 a meno che non si faccia uso di relazioni che prevedono la riduzione del
qamm sulla base dell’indice RQD.
L’incertezza di stabilire con esattezza il carico ammissibile per gli ammassi
rocciosi condizionati dallo stato dell’ammasso e l’assenza di indagini dirette, rilievi
geostrutturali comparativi con quanto determinato per via geofisica induce a considerare per l’ammasso in situ, sulla base della personale esperienza e letteratura esistente per gli ammassi calcarei pugliesi un valore cautelativo di qamm ≤ 3.5 kg/cmq.
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CONCLUSIONI
L’intervento costruttivo si colloca nel comprensorio urbano di Ugento (Le) a
una quota morfologica di circa 100.00 m s.l.m. in un’area sub-pianeggiante corrispondente di un Horst strutturale caratterizzata dall’assenza di chiari affioramenti
per l’intensa urbanizzazione.
Dal rilievo geologico e più di tutto dalle indagini geofisiche condotte
all’interno dell’area sede d’intervento, è possibile attribuire per la stessa una successione litostratigrafica, al netto di una copertura di natura eluvio-colluviale, una formazione probabilmente di natura calcarenitica recente, di modesto spessore, circa
1.20 m, poggiante su un ammasso calcareo ben più spesso ascrivibile alla formazione cretacea dei Calcari di Melissano (C11-7).
Tale spesso basamento è figurato da strati e banchi dolomitici di color grigionocciola, subordinatamente biancastri, nel complesso micriti più o meno fossilifere
anisotropicamente fratturati e dotati di un grado di alterazione e fratturazione carsico
declinante con la profondità.
Nel merito idrogeologico la falda profonda contenuta all’interno dei Calcari
del Cretaceo si rinviene nell’area a circa 98.00 m dal p.c. e per natura stessa
dell’ammasso, permeabile per fessurazione e carsismo, non sono rilevabili falde sospese superficiali.
La sismicità dell’area colloca il Comune di Ugento (Le) nella qualificata
“Zona 4” (Ordinanza P.C.M. 20 marzo 2003 e s.m.i. – Allegato 1) dotato di una pericolosità sismica unicamente legata al risentimento di effetti sismici generati da terremoti in vicinanza delle coste balcaniche–greco-albanesi, lucani-calabresi, aree sede d’intensi stress tettonici.
Con l’entrata in vigore del D.M. 14/01/2008 la pericolosità sismica è stabilita
in conformità a un approccio “sito dipendente” e non più “zona dipendente” partendo da valori su sito di riferimento orizzontale con accelerazione massima orizzontale
ag in condizioni di campo libero, su suolo rigido di Tipo A (Vs30 >800 m/sec), superficie topografica orizzontale T1 e in termini di ordinate dello spettro di risposta elastico in accelerazione a essa corrispondente Se(T) per prefissate probabilità di eccedenza nel periodo PVR nel periodo di riferimento VR.
Per tale motivo nel lotto è stata attuata un’indagine geofisica per tomografia
che ha permesso di individuare le caratteristiche elastiche del sottosuolo, la distribuzione stratigrafica dello stesso al variare della profondità e attraverso il tromografo
digitale “Tromino” la frequenza fondamentale di risonanza del sito.
Premesso che nulla è noto per via diretta sulla geologia del sito l’indagine
geofisica per il sito in argomento stima una velocità nei primi trenta metri di sottosuolo pari a VS30= 673 m/sec quindi sulla base di quanto espresso nelle N.T.C. 2008
tab. 3.2.II è ammissibile, per definire l’azione sismica di progetto, assegnare a tali
terreni il profilo stratigrafico indicato come:
CATEGORIA B “Rocce tenere e depositi di terreni a grana grossa molto
addensati o terreni a grana fina molto consistenti con spessori superiori a 30 m, caratterizzati da un graduale miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360-800 m/sec.”
In prima analisi di modellazione geologica-sismica dai desunti caratteri litostratigrafici, dai moduli derivati con la determinazione della velocità di compressione Vp, dal valore della velocità delle onde VS lo strutturista/collaudatore può considerare i parametri dinamici per le unità geotecniche interessate dal volume significaGeostudi Settembrini, via Pio XI, 27-Ruffano (Le)
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tivo se in condizioni di ammasso omogeneo e compatto tenendo conto che i moduli
dinamici calcolati possiedono valori più elevati rispetto ai moduli statici forniti da
prove di carico in situ in quanto gli impulsi sismici sono di breve durata e le sollecitazioni prodotte sono modeste rientrando nel campo delle deformazioni istantanee.
Nel merito dell’escavabilità fondale la conoscenza della velocità delle onde
Vp permette di avere una valutazione iniziale della rippabilità che per Vp<2000
m/sec va a figurare il limite per il quale il terreno/roccia è economicamente scavabile con mezzi escavatori oppure non lo è ricorrendo al martello demolitore.
Impiegando il criterio di classificazione di Hoek-Brown è possibile, in maniera cautelativa, data l’assenza di dati diretti del sottosuolo, sulla base della personale esperienza e letteratura esistente per gli ammassi calcarei pugliesi attribuire per
l’ammasso roccioso di sito un valore cautelativo di qamm ≤ 3.5 kg/cmq.
Dal modello di distribuzione della resistività si evidenzia la presenza di un sottosuolo eterogeneo con valori di resistività compresi tra 100 e 10000 ohm m. in particolare si nota la presenza:
aree indicate con “A”, con valori di resistività comprese tra 5000 e 10000
ohm m; tali valori indicano probabilmente aree rimaneggiate con presenza di vuoti;
aree, indicate con “B”, con valori di resistività compresi tra 100 e 400 ohm
m; tali valori indicano la probabile presenza di materiali con alto contenuto volumetrico in acqua;
In corso d’opera e durante la fase di sbancamento delle opere fondali è importante predisporre un programma di controllo stabilendo la raccolta di dati geomeccanici e quindi la riprova delle caratteristiche geologiche - geotecniche dei terreni attraversati, l’assenza di forme carsiche nello spazio del volume significativo, la stabilità
e il contenimento dei fronti di scavo in corrispondenza delle sottomurazioni o fondazioni scoperte adottando precauzionalmente idonee armature o una riduzione della
pendenza delle pareti di scavo.
Dall’esame dei vincoli statuiti dall’Autorità di Bacino di Puglia l’area non
presenta alcuna demarcazione di pericolosità e per contro nessun rischio
d’inondazione derivato così come l’applicazione del recente PPTR (Piano Paesaggistico Territoriale) non individua per il lotto d’interevento alcun contesto geomorfologico.
Ruffano, lì 03/02/2014
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