Da Il Corriere della Sera del 16 gennaio 2014 Nave dalla Siria Protesta in Sardegna Oggi l’annuncio sulla nave con le armi chimiche in Italia. Proteste in Sardegna Oggi il governo annuncia al Senato il nome del porto italiano che ospiterà le operazioni di trasbordo di armi chimiche siriane dal cargo danese o norvegese all’americana Cape Ray. Si è parlato di Brindisi, Gioia Tauro, Augusta, Cagliari e l’isola di Santo Stefano. Gli amministratori sardi in rivolta per impedire che la Sardegna diventi «la pattumiera d’Italia». Nel sontuoso Palazzo Bayan, uno dopo l’altro ministri e viceministri degli Esteri s’alzano in piedi per promettere assegni milionari alle Nazioni Unite: 500 milioni di dollari li offre il padrone di casa, l’ottantenne emiro del Kuwait Sabah Al Ahmad Al Sabah. Poi si impegnano molte delle 62 delegazioni: 380 milioni garantiti dal segretario di Stato Usa John Kerry, 165 milioni di euro dall’Ue, 38 milioni promessi dal viceministro degli Esteri Lapo Pistelli (facendo dell’Italia «malgrado le ristrettezze economiche» il terzo Paese europeo più generoso dopo Gran Bretagna e Germania). Dopo tre anni di conflitto e 130 mila morti, «più di 9 milioni di persone, metà della popolazione, hanno bisogno di cibo, medicine, acqua, rifugio», ha spiegato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Alla fine della giornata i fondi raccolti sono 2,4 miliardi di dollari, solo un terzo dei 6,5 chiesti dall’Onu nel più ampio appello mai fatto per una singola crisi. Certo, si continuerà a raccoglierli, ma è chiaro a tutti che «staccare assegni» non è la soluzione. Si guarda a «Ginevra 2», i colloqui politici previsti in Svizzera il 22 gennaio. «Spero che portino alla transizione e alla pace», si augura Ban Kimoon, benché nessuno si aspetti che siano risolutivi. La questione dell’arsenale chimico, che Damasco si è impegnata a smantellare, oggi vedrà un nuovo sviluppo con l’annuncio in Italia del porto dove il cargo danese o norvegese in arrivo dalla Siria dovrà trasbordare gli agenti chimici alla nave Usa Cape Ray che poi li distruggerà in mare aperto. I ministri degli Esteri Emma Bonino e delle Infrastrutture Maurizio Lupi lo comunicheranno in audizione al Senato ma le proteste dei possibili scali italiani sono in corso da giorni. La mobilitazione è particolarmente forte in Sardegna dopo che Cagliari e l’arcipelago della Maddalena sono stati citati non ufficialmente come possibili destinazioni insieme a Brindisi e Gioia Tauro. Il consiglio regionale e numerose altre autorità hanno espresso ieri, nuovamente, il loro «no» a fare della Sardegna la «pattumiera d’Italia». I pescatori oggi si mobiliteranno per bloccare l’accesso al porto di Santo Stefano nell’arcipelago della Maddalena. Alle promesse per la Siria si accompagnano intanto i timori sulle conseguenze del conflitto per la sicurezza in Europa e in America. Come scrive il Wall Street Journal e conferma alla Bbc il governo siriano, negli ultimi mesi gli 007 inglesi, tedeschi, francesi, spagnoli hanno incontrato a Damasco funzionari di Assad per avere informazioni su centinaia di cittadini europei che si sono uniti alla jihad in Siria nel timore che tornino in patria per colpire. Non si parla di agenti Usa, e Kerry ieri ha negato di saperne alcunché, ma il timore è condiviso dagli americani. In questi contatti gli oppositori leggono nuovi segnali che l’Occidente sia pronto ormai a lasciare Assad al suo posto. «C’è una contraddizione tra le parole e le azioni dei cosiddetti Amici della Siria», ha detto Khaled Saleh, portavoce della Coalizione nazionale siriana, l’opposizione all’estero che non ha ancora deciso se partecipare a «Ginevra 2» temendo di perdere ancor più credibilità nel Paese. Damasco invece esprime sicurezza: il viceministro degli Esteri Faisal Mekdad sottolineava ieri le «spaccature tra leadership politica e sicurezza» occidentali; Assad metteva in guardia dai «pericoli dell’ideologia wahabita per il mondo intero». In mancanza di una soluzione politica, si pensa agli aiuti: il 3 febbraio a Roma si terrà una conferenza alla quale (a differenza di «Ginevra 2») è invitato anche l’Iran, per tentare di spingere regime e ribelli ad aprire corridoi umanitari. I 250 mila civili siriani sotto assedio, secondo la sottosegretaria per l’assistenza umanitaria Valerie Amos sono una responsabilità della «totale inosservanza della legge umanitaria e dei diritti umani» di entrambe le parti nel conflitto. Accade perché anche gli aiuti sono un’arma di guerra. Così la delegazione iraniana non ha promesso nulla all’Onu ieri: «Abbiamo già dato due miliardi direttamente alla Siria», spiega al Corriere il diplomatico Mohammed Ali. E i sauditi e i qatarioti, tra i principali sponsor della rivolta anti-Assad, hanno donato 60 milioni di dollari a testa, assai meno dell’anno scorso, mentre invece le Ong islamiche (autonome dall’Onu) di questi e altri Paesi hanno annunciato di aver raccolto 400 milioni di dollari. Viviana Mazza
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