Roberto Baruzzo - Diocesi di Treviso

Accompagnare i genitori nel cammino catechistico dei figli
Incontrare gli adulti, trattarli da adulti – S. Giustina 19-22 giugno 2014
La stagione adulta della vita nella stagione d’oggi
Roberto Baruzzo
1. La stagione adulta nella vita
Levinson, D. J., with Levinson, J. D., Seasons of a woman's life, Knopf, New York, 1996.
Levinson D.J., La struttura della vita individuale, in C. Saraceno (a cura di), Età e corso della vita, Il Mulino, Bologna, 1986.
Levinson, D. J., with Darrow, C. N, & Klein, E. B., Seasons of a man's life, Random House, New York, 1978.
D. J. Levinson (1920-1994) individua alcune costanti nella vita di ciascun soggetto, che fungono da
componenti della struttura di vita dell’individuo (il Sé) arrivando a definire alcune caratteristiche del
modello di sviluppo umano.
La struttura di vita è considerata come una sequenza evolutiva in cui, a periodi di stabilità ognuno della
durata di 7-10 anni (nei quali la struttura si costruisce),
si alternano periodi di transizione come tappe necessarie ai fini della maturazione del soggetto,
permettendo un avanzamento lungo la linea evolutiva individuale attraverso una ridefinizione di sé, che
necessariamente porta ad una modificazione della struttura della personalità.
Levinson descrive così le varie stagioni che formano la macrostruttura del ciclo vitale: 0-22 anni – infanzia e
adolescenza; 23-35/40 anni – prima età adulta; 40-65 anni – media età adulta; dopo i 60 anni - tarda età
adulta.
Tali stadi sono inframmezzati da tre periodi di transizione: transizione della prima età adulta, transizione
della media età adulta, transizione della tarda età adulta.
Il compito di una transizione che promuova lo sviluppo è molteplice: di porre fine ad un’epoca della vita;
accettare le perdite che questa fine comporta; rivedere e valutare il passato; decidere quali aspetti del
passato conservare e quali rifiutare; prendere in considerazione i desideri e le possibilità per il futuro.
Nelle transizioni si effettuano delle scelte. Esse sono segnate da eventi particolari, che segnano il
cambiamento nella biografia individuale, cioè i marker events (es.: matrimonio, malattie, morte,
pensionamento, guerre, traumi, innamoramenti, nascita di un figlio). Gli eventi marcatori sono in genere
considerati gli eventi che cambiano la vita di un individuo. Sono immersi in processi di cambiamento che si
estendono nell’arco di parecchi anni e assumono determinati significati in relazione alla storia di vita in cui
si vanno ad inserire.
Il cambiamento, secondo Levinson, contribuisce alla costruzione di una nuova struttura vitale, che
sostituisce un’altra divenuta ormai insoddisfacente, cioè non più vivibile, non più funzionale al nuovo posto
trovato nel mondo.
Per Levinson l’adulto è colui che è in grado di stabilire l’adeguatezza della propria struttura vitale nei
rapporti col mondo, è capace di valutarne la funzionalità e, se necessario, cambiarla.
I criteri dell’adultità sono: biologico (capacità di procreare), legale (maggiore età), sociale (essere
considerato adulto dagli altri e con gli altri), psicologico (sentirsi adulto).
2. La stagione della società
Aubert Nicole, Tempi moderni, in Mente & cervello, Le scienze, n. 113, anno XII, Roma, maggio 2014.
Sennett Richard, La cultura del nuovo capitalismo, Il mulino, Bologna, 2012.
Bauman Zygmunt, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Roma, 2006.
Per una riflessione su quanto sta avvenendo nella nostra società, partiamo dalla visione del tempo. La
stagione sociale che viviamo è segnata da una progressiva accelerazione del ritmo di vita. Possiamo essere
consapevoli di questo cambiamento osservando le espressioni che si usano. Le metafore di una volta: il
tempo scorre, il tempo passa, il tempo fugge, il tempo se ne va (idea del flusso e del cambiamento). Le
metafore del secolo scorso: avere tempo, perdere tempo, guadagnare tempo, il tempo è denaro, mancanza
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di tempo (concetto della redditività). Le metafore di oggi: non c’è tempo, il tempo è finito, ogni cosa è
urgente (contrazione, compressione, accelerazione).
Precisiamo meglio questi concetti. Contrazione: il tempo è vissuto in intervalli sempre più brevi.
Compressione: un numero sempre maggiore di cose deve essere compiuto in uno stesso periodo di tempo.
Accelerazione: sensazione che il tempo passi più velocemente e richieda perciò un aumento dei ritmi di
svolgimento dei nostri compiti.
La congiunzione dell’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione (internet, e-mail, smartphone) e
l’affermazione del capitalismo finanziario (redditività a brevissimo termine) ha dato origine a tre nuovi modi
di vivere il tempo: istantaneità (possibilità dalle nuove tecnologie); immediatezza (ogni risposta all’istante);
urgenza (rispondere subito alle esigenze di competizione economica). L’urgenza prima riguardava il campo
medico e legale; ora riguarda il campo economico, la vita professionale e di conseguenza la vita personale.
L’avvento di questi tre nuovi modi di vivere il tempo si traduce in un’accelerazione continua che scandisce il
ritmo della società e il ritmo personale. Ciò che doveva “liberare tempo” invece produce una continua
accelerazione e un crescente senso di soffocamento (es.: la posta e lo scambio di informazioni).
Il sociologo statunitense Richard Sennett ha sottolineato, come possibile conseguenza, l’impossibilità di
vivere valori a lungo termine (fedeltà, impegno, lealtà, onestà) in una società che si interessa solo
dell’immediatezza e nella quale le esigenze di flessibilità generalizzata impediscono di instaurare e
mantenere rapporti sociali durevoli e di provare un sentimento di continuità di sé. Ciò che viene richiesto è
la reattività estrema e l’adattabilità permanente, a danno della competenza accumulata nel tempo, della
cultura del mestiere e della lealtà professionale.
Secondo Sennett “le qualità richieste sono una fonte di angoscia e producono deficit sociali in termini di
lealtà e di fiducia informale; erodono il valore dell’esperienza accumulata”; “l’angoscia del tempo spinge le
persone a sfiorare le cose, più che ad adattarsi su di esse”.
Di conseguenza entra in uso un nuovo tipo di rapporto con gli altri: gli impegni durevoli e costanti sono
sostituiti da incontri brevi, effimeri ed intercambiabili, che cessano con la stessa rapidità con cui sono
iniziati.
Nelle relazioni affettive appare lo speed dating (sette minuti per sedurre un partner), si diffondono gli
incontri su internet, si sperimentano connessioni in numero assolutamente sproporzionato rispetto al
numero dei partner che un uomo o una donna poteva incontrare nel corso di tutta la vita.
Il sociologo polacco Zygmunt Bauman definisce “liquido” un amore così costruito, fatto di relazioni che si
considerano sicure e intense ma che sono al tempo stesso revocabili in ogni istante.
Il vero piacere è di essere immersi nello scambio (smartphone, social network); in realtà la connessione
aumenta la solitudine o la perdita di interesse per il partner reale; così si alimenta ancora di più la domanda
di connessione.
Nell’antichità prevaleva l’ideale di “compimento di sé” in rapporto alla rappresentazione di un mondo finito
e ad un’idea di natura fondata sull’ordine e sul limite (concetti di giusta misura e di realizzazione di sé
rispetto all’ordine del mondo).
Nell’epoca moderna e delle grandi scoperte e innovazioni si è passati ad un ideale di “progresso di sé”
fondato sulla possibilità di superare i limiti, quindi sulla volontà di “superamento di sé”.
Alla fine del secolo XX e all’inizio di questo secolo il superamento di sé non è più solo l’ideale ma la norma:
l’imperativo è di andare sempre più oltre, sempre più velocemente, lavorare senza tregua per essere “il
migliore” , verso l’iper-prestazione imposta in tutti i campi.
Racchiuso in una temporalità ultracorta, iperconnesso, soggetto all’imperativo di velocizzare, l’individuo
contemporaneo vive in un rapporto compulsivo con l’istante presente, senza più proiettarsi nel futuro, si
brucia nell’iperattività, sviluppa comportamento estremi e “a rischio”, nei quali però si fa luce la ricerca di
senso, non più fornito dall’ordine sociale.
Video: I veggenti del terzo millennio ( www.youtube.com/watch?v=mq6malFa0W4 ).
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3. Essere adulti oggi
André Christophe, Padroni del nostro tempo, in Mente & cervello, Le scienze, n. 113, anno XII, Roma, maggio 2014
Missildine W. H., Il bambino che sei stato. Un metodo per la conoscenza di sé, Erickson, Trento, 2005
L’accelerazione di sé conduce ad una perdita di sé, che sfocia in nuove forme di de-compensazione e nello
sviluppo di nuove patologie come il disturbo di personalità borderline, nel quale si manifesta una
alternanza tra fasi di vuoto angosciante con pensiero bloccato, e fasi di violenta impulsività con ricerca di
sensazioni estreme e difficoltà a trovare una conciliazione con i ritmi della società attuale.
Non riuscendo più a trovare nelle religioni tradizionali la promessa di eternità, l’individuo si sforza di
supplire a questa mancanza con l’accelerazione di sé: la ricerca dell’eternità è stata sostituita dalla ricerca
dell’intensità, dal culto di una velocità sempre maggiore.
Questo nuovo ambiente sociale porta a quella che Richard Stennett ha definito “la corrosione del
carattere”, dove l’integrità personale e psichica della persona è sotto attacco da parte della pressione
dell’ambiente. Esempi: estremo nervosismo e irritabilità, reazioni esagerate e imprevedibili, individui con
“doppia personalità” ora molto simpatiche ora molto odiose, invecchiamento improvviso e prematuro,
deterioramento fisico mentale e psicologico.
Lo psichiatra Christophe André parla di una nuova malattia: la “accelerite cronica”, una malattia
infiammatoria dello spirito, che consiste nel farci sentire sempre sotto pressione e nel farci fare tutto più
velocemente, a volte senza sapere nemmeno il perchè (es.: la consumazione dei pasti, la lettura degli sms, il
controllo delle mail, disturbi del sonno). Il tempo guadagnato con le nuove tecnologie non viene utilizzato
per il riposo o i piaceri della vita ma per nuovo lavoro.
Molte persone dispongono di meno tempo per riflettere, per analizzare le informazioni che ricevono e le
esperienze che vivono e per approfondirle. La velocità è una droga (attiva la dopamina con effetto di
gratificazione) mentre l’attesa annoia e deprime.
In realtà i momenti di inattività del corpo e della mente (sonno, sogni ad occhi aperti, rilassamento,
meditazione, riflessione) hanno un ruolo essenziale, permettendo ai nostri contenuti mentali di
riorganizzarsi, collegarsi e distribuirsi nelle varie aree della memoria e delle emozioni.
Alcune esperienze infantili rimangono impresse dentro di noi e possono influenzare il nostro modo di
pensare, il nostro comportamento, i nostri stati emotivi, la nostra visione della vita. Ligabue, Per sempre.
4. L’equilibrio personale
Pieux Didier, Coltivare la pazienza, Mente & cervello, Le scienze, n. 113, anno XII, Roma, maggio 2014
Baruzzo Roberto, Equilibrio personale e training autogeno, Libreria universitaria, Padova, 2014
Se la nostra società favorisce la velocità e produce “accelerite cronica”, molte persone percepiscono un
bisogno di riequilibrio (diffusione delle tecniche di meditazione e di rilassamento).
La molteplicità e l’intensità dei disturbi sono la conseguenza del desiderio di onnipotenza, della volontà di
padroneggiare il tempo e di accelerare continuamente il ritmo. Come se il tempo non appartenesse solo a
Dio.
In questo contesto è opportuno chiederci quale stile di personalità vogliamo costruire per noi e per i nostri
figli? Una traccia può essere l’elenco delle virtù che la tradizione cristiana ci tramanda.
“La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene”. “Le virtù umane sono perfezioni abituali e
stabili dell’intelligenza e della volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la
nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede. Acquisite e rafforzate per mezzo di atti moralmente
buoni e ripetuti, sono purificate ed elevate dalla grazia divina” (Catechismo della Chiesa cattolica).
La prudenza (saggezza) dispone la ragione a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere
i mezzi adeguati per attuarlo. La prudenza è la «retta norma dell'azione», scrive San Tommaso D'Aquino.
Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. L'uomo prudente
decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i
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principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da
evitare. Piero del Pollaiolo, Prudenza, (1470), Uffizi di Firenze.
La giustizia consiste nella volontà costante e ferma di dare agli altri ciò che è loro dovuto. L'uomo giusto si
distingue per l'abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il
prossimo. Liberati dal peccato, gli uomini sono diventati servi della giustizia (Rm 6, 18). Piero del Pollaiolo,
Giustizia (1470), Uffizi di Firenze.
La fortezza assicura la fermezza nelle difficoltà e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione
di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di
vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. La fortezza si oppone alla
pusillanimità che, come insegna san Tommaso, è il difetto di chi non raggiunge l'altezza delle proprie
possibilità, cioè non si esprime nella pienezza delle sue potenzialità, fermandosi davanti agli ostacoli o
accontentandosi di condurre un'esistenza mediocre.
Sandro Botticelli, Fortezza (1470), Uffizi di Firenze.
La temperanza (moderazione) modera l’attrattiva dei piaceri, assicura il dominio della volontà sugli istinti,
rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. In senso specificamente cristiano la temperanza diventa
imitazione di Gesù, il quale è modello di equilibrio, perché sa essere temperante in tutti i suoi rapporti e in
tutte le sue azioni. La temperanza risulta essere il collante delle altre tre virtù, che non sono veramente
complete se non sono accompagnate dalla temperanza. Piero del Pollaiolo, Temperanza, (1470), Uffizi di
Firenze.
Come favorire una personalità equilibrata? Sembrano importanti quattro atteggiamenti da avere nella
relazione educativa: il buon esempio, la gentilezza e la cortesia, la moderazione e l’autocontrollo, la
responsabilizzazione.
Il buon esempio. I bambini imparano tutto grazie ai neuroni specchio, che filmano e registrano
comportamenti, voci e suoni. Genitori gentili hanno figli più educati e garbati. Insegnanti che parlano con
una voce modulata e sensibile hanno allievi che ne apprezzano ancora di più l’autorevolezza. E li imitano
perché li fa star bene, emotivamente e fisicamente, molto meglio di quanto stia il bambino che ha genitori
maleducati e peggio violenti, e insegnanti gretti ed isterici.
La gentilezza migliora la qualità di vita dei bambini e li fa crescere sicuri di se stessi e capaci di relazioni
positive. Compiere atti gentili rende i bambini di socialmente integrati, accettati e stimati dai coetanei.
La gentilezza conta. Secondo una ricerca dell’Università della California (2012) molti genitori desiderano
che i loro bambini siano felici, buoni e che siano ben voluti. Gli studenti che hanno eseguito atti gentili,
mostrano aumenti significativamente più grandi nell’accettazione tra coetanei (o popolarità).
L’accettazione da parte dei coetanei è un obiettivo fondamentale, in quanto è legato a una varietà di
importanti risultati scolastici e sociali, tra cui ridotta probabilità di essere vittima di bullismo. Si nota un
rapporto tra aumento della felicità personale e la prosocialità.
Interessante l’esperienza attuata per la giornata mondiale della gentilezza, 13 novembre 2012, dalla classe
2 B della scuola media “Mazzolini” di Bologna: “Ricordati di dire grazie e prego”; “lascia il posto in autobus”;
“fai un regalo ad un’amica”:
La gentilezza non è sinonimo di debolezza. Indica invece educazione dei sentimenti e dei comportamenti,
capacità di mettersi nei panni degli altri, di aiutare, di alleggerire la fatica.
Va di pari passo con la cortesia, che indica la padronanza, l’impiego delle buone maniere, la considerazione
degli altri. Richiede attenzione ai bisogni dell’altro e alle sue debolezze. Nutre e fa crescere l’affetto e
l’amore. Fa vivere la sensazione di essere accettati e amati. Può allearsi, nell’educatore, alla fermezza, alla
determinazione, al coraggio, che così sono più accettati e considerati più autorevoli.
La moderazione è la capacità di governare, regolare, contenere entro i dovuti limiti i propri impulsi. È
l’intelligenza emotiva di cogliere con fulminea intuizione un’intera situazione, sentirne la vulnerabilità, le
insidie, ma anche i punti di forza, mantenendo la calma interiore per leggere i comportamenti degli altri e
comportarsi di conseguenza.
Nello sviluppo dell’autocontrollo intervengono fattori genetici, affettivi, educativi, culturali, sociali.
L’impulsività non governata, non temprata, non modulata è tendenzialmente una schiavitù: ci rende
succubi della parte più umorale, dominata dai riflessi arcaici pre-razionali. L’autocontrollo rende liberi.
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Per imparare/insegnare l’autocontrollo è utile imparare a diventare consapevoli dello stress,
dell’insoddisfazione e della frustrazione; respirare in modo lento e profondo; movimento fisico quotidiano;
recuperare del tempo per sé (rilassamento); modulare la propria voce con dolcezza, profondità, una
postura rilassata, un ritmo meno concitato; recuperare il piacere delle coccole.
L’autocontrollo non è naturale: occorre educarlo con l’esercizio continuo. Fin da bambini occorre essere
educati a gestire la rabbia, che non significa reprimere, ma indirizzare, canalizzare, rendere efficace.
Occorre esercizio nel pensare con efficacia (problem solving), nel dialogare (comunicazione efficace), nella
scelta delle parole che meglio esprimono i nostri sentimenti. In questo modo le nostre energie vengono
espresse eticamente, non dominate dall’istinto ma al servizio dei valori.
Educare alla responsabilità implica trasmettere la conoscenza delle regole elementari; far maturare la
capacità di comprendere che ogni comportamento può avere conseguenze drammatiche per sé o per gli
altri, a breve o lungo termine; incoraggiare a mettersi nei panni degli altri.
Educare alla responsabilità significa incoraggiare a mettersi nei panni degli altri, cioè favorire l’empatia. È
solo immedesimandosi nei sentimenti dell’altro che il bambino prima, il ragazzo poi, imparerà a modulare
la propria aggressività e la tendenza alla prevaricazione, al bullismo, all’impulsività, alla trasgressione per
ottenere l’attenzione del gruppo.
Per un approfondimento personale
L’essere adulti
Quand’è stata la prima volta che mi sono sentito adulto?
Quali sono stati gli eventi marcatori più significativi nella mia vita e nella vita di coppia?
Chi o che cosa (la famiglia di origine, esperienze di vita, persone incontrate …) ha favorito il percorso
evolutivo verso il diventare adulti?
L’essere adulti oggi
Ritrovare se stessi: le domande auto regolative.
Quando mi sento scontento/a?
Quando mi sento offeso/a?
Quando mi sento arrabbiato/a?
Quando mi sento deluso/a?
Come posso migliorare il mio stato d’animo? Come migliorare la via visione della vita?
Riscoprire le proprie origini: che genere di bambino sei stato? Di che umore eri di solito da bambino/a?Eri
felice? Eri triste? Ti sei infuriato/a? Hai avuto paure? Quali in particolare? Ti ricordi momenti in cui facevi i
capricci? E momenti in cui cercarvi approvazioni?
Riscoprire le proprie origini: i tuoi genitori com’erano? Di solito erano indulgenti? Oppure erano severi? Chi
dei due era più severo? A quale proposito? Che cosa li faceva arrabbiare con te? Che cosa li faceva
sorridere? Contro che cosa ti mettevano in guardia? I tuoi genitori litigavano? Per quale motivo? Come si
comportavano con tuo fratello/sorella? E con te? Di te cosa approvavano e cosa disapprovavano? Tuo
padre come si comportava con te? Qual era il suo pensiero principale?
Tua madre come si comportava con te? Qual era il suo pensiero principale?
Come e quanto le mie esperienze infantili condizionano la mia personalità?
Come e quanto condizionano il mio modo di fare il genitore?
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