DOCUMENTO ESTERNALIZZAZIONI se le

ESTERNALIZZAZIONI SE LE CONOSCI LE EVITI
I processi di esternalizzazioni nel sistema bancario cominciano a manifestarsi in maniera
dirompente nel 2011 su impulso del secondo gruppo italiano l'Unicredit, e verrano presto
estese anche in altri gruppi importanti come il Monte dei Paschi di Siena.
Pur essendoci state altre esperienze negli anni addietro, vedasi il caso della cessione di
Gruppo Carta Si (Si Call) a Bassnet, è nel corso degli ultimi tre anni che le cosiddette
"cessioni di ramo di azienda" assumono il rilievo di strategia padronale finalizzata
all'espulsione di forza lavoro dai processi produttivi.
I grandi gruppi bancari, che nel corso di questi anni non hanno fatto altro che fusioni su
fusioni, hanno alle loro dipendenze decine di migliaia di dipendenti e trovando difficoltà ad
espellere direttamente gli "esuberi" demandano ad aziende di grandezza notevolmente più
piccole, spesso newco con natura giuridica di società a responsabilità limitata, di svolgere il
lavoro sporco.
Questi semplici concetti ora espressi, se qualche anno or sono all'occhio dell'osservatore
distratto potevano essere considerate pure ipotesi, oggi a distanza di tre anni sono delle
certezze facilmente riscontrabili.
Lo scopo di questo documento è partire dalle terribili esperienze concrete per come esse si
sono date per togliere qualsiasi alibi a chi in questi anni non ha svolto il lavoro utile a
contrastare efficacemente i processi di esternalizzazione.
Riteniamo infatti che le sigle sindacali che hanno sottoscritto in maniera solerte gli accordi
che hanno permesso di espellere migliaia di lavoratori/trici abbiano commesso non solo un
errore di lettura della realtà ma siano venuti meno alla propria funzione e ragion d'essere,
permettendo operazioni che vanno contro norme di legge.
Il sindacato che storicamente ha teso a migliorare il quadro normativo a favore del mondo del
lavoro, in questo frangente, tranne rare e positive eccezioni, si è posto al di sotto del quadro
normativo stesso assecondando la spinta illegale delle controparti.
Lo studio che intendiamo sottoporre a tutti coloro che intendono continuare a stare dalla parte
del lavoro, dimostrerà in maniera inequivocabile che quelle che sin qui sono state chiamate
"cessioni di ramo d'azienda" altro non sono che cessioni di lavoratori per cui è necessario il
consenso degli stessi.
Gli articoli di legge che normano le cessioni di ramo d'azienda sono:
L' ART. 2112 c.c.
Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda
Gli aspetti salienti di questo articolo sono:
il cessionario è tenuto ad applicare il CCNL vigente alla data di trasferimento fino alla loro
scadenza;
per trasferimento d'azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione
contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica
preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità;
le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda,
intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata,
identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento; con
decorrenza 24.10.2003 l'art.32 D.Lgs. 10.09.2003 ha cassato il termine PREESISTENTE al
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trasferimento
organizzata;
dell'articolazione
funzionalmente
autonoma
di
un'attività
economica
nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione
avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore ed
eventuali subappaltatori opera un regime di solidarietà entro 2 anni dalla cessazione
dell'appalto a corrispondere ai lavoratori retribuzioni, TFR, contributi, premi assicurativi
come da art.29, comma 2, D.Lgs. 10/9/2003, n.276;
l' ART.47 LEGGE N.428/90 RELATIVO TRASFERIMENTO AZIENDA DOPO LEGGE
N.134/12
La legge n.428/90 e successive integrazioni definisce:
almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l'atto di trasferimento il cedente ed il cessionario
devono comunicare alle Rsu/Rsa nonché alle O.S. più rappresentative la data effettiva o
proposta del trasferimento, i motivi del programmato trasferimento d’azienda, le
conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori, le eventuali misure previste nei
confronti di questi ultimi;
le rappresentanze sindacali aziendali o dei sindacati di categoria possono richiedere per
iscritto UN ESAME CONGIUNTO, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di
cui sopra, che il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal
ricevimento della predetta richiesta, con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si
intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un
accordo. In assenza di tale procedura da parte del cedente e del cessionario trattasi di
condotta antisindacale (art.28).
Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento,anche parziale,
dell’occupazione, l’art. 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le
limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende :
a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’art. 2, quinto comma,
lettera c), della legge 12 agosto 1977,n. 675;
b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto
legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione dell’attivita’ ovvero di mancata
cessazione della stessa
b-bis) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato
preventivo
Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione
di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni,
emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di
sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attivita’
non sia stata disposta o sia cessata, e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi
sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai
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lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione
dell’art.2112 codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il
predetto accordo puo’ altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale
eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze
dell’alienante.
I lavoratori che non passano alle dipendenze dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante
hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla
data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei
confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall’acquirente, dall’affittuario o dal
subentrante in un momento successivo al trasferimento d’azienda, non trova applicazione
l’art.2112 del codice civile.
In buona sostanza con l'art.47 della legge 428/90 si definiscono le modalità in cui si esplica
l'art.2112 del c.c, l'informativa dovuta alle Organizzazioni Sindacali, le limitazioni
nell'applicazione dell'art.2112 laddove ci si trovi a situazioni di crisi aziendali ed il ruolo di
eventuali accordi sindacali raggiunti.
Legame tra cessione di ramo di azienda ed appalti mono mandatari
L'art.2112 stabilisce che la continuità del rapporto di lavoro con l'acquirente avviene con la
conservazione di tutti i diritti: anzianità di servizio, invarianza delle mansioni, della categoria
o qualifica, della sede di lavoro (salvo trasferimento art.13 legge 300/70 per comprovate
esigenze aziendali), diritto di continuità del periodo di ferie, di comporto e simili.
Responsabilità in solido tra acquirente ed alienante per tutti i crediti che il lavoratore aveva
nel trasferimento e, da verificare, per quelli derivanti dall'appalto. Da qui un ulteriore ragione
per le aziende a non fornire più appalti da parte dell'alienante. Solo il lavoratore può rompere
questo vincolo solidale con art.410/411 c.p.c. La legge non fidandosi del sindacato vuole
evitare accordi transattivi a scapito di lavoratori dissenzienti.
Un eventuale contratto migliore dell'alienante potrà essere rinegoziato o considerato nullo
alla scadenza.
L'art.47/90 a differenza del 2112 c.c. Si rivolge solo alle aziende sopra i 15 dipendenti
Fu il patto per l'Italia il 5/7/2002 ad eliminare il concetto di autonomia funzionale
preesistente al trasferimento . Oggi il testo risulta modificato sulla base dell'art.32 D.lg S.
N.276 del 10.9.2003 applicativi della L.n.30 (cosiddetta legge Biagi) e dice che la verifica
dell'autonomia funzionale si fa all'atto del trasferimento. In buona sostanza si è tentato (e
vedremo perché in seguito, senza riuscirci) di legittimare la costituzione di fittizi rami di
azienda, mai esistiti prima dell'operazione di trasferimento, per espellere i lavoratori addetti a
quel ramo.
L'autonomia funzionale del ramo di impresa viene identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del trasferimento.
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Noi non possiamo non rilevare che molti segmenti di impresa concettualmente autonomi
fanno parte di un unico complesso imprenditoriale ove i nessi di interdipendenza con altre
attività aziendali sono tali da rendere difficile l'individuazione di una compiuta autonomia
funzionale.
Qual'è il grado di autonomia nell'esercitare l'attività d'impresa nei rami esternalizzati?
Occorre sempre verificare che si tratti di legittimo trasferimento di ramo di azienda e non di
esternalizzazione di servizi eterogenei e non coordinato tra loro ( dunque senza autonomia
funzionale) o di gruppi di lavoratori in esubero assemblati discrezionalmente dal cedente e
strumentalmente ricondotti in un settore aziendale per trasferirli ad un cessionario di dubbia
sopravvivenza sul mercato. In tal caso occorrerebbe il consenso dei lavoratori ceduti.
L'unico spazio lasciato dal 2112 c.c. al lavoratore, laddove si ravvisino i requisiti per la sua
applicabilità e di rifiutare il lavoro se non conforme a quello precedente ed avere l'indennità
di licenziamento contraddicendo la corte di giustizia della Ce che con la direttiva 77/187
stabiliva che "un lavoratore non può essere obbligato a lavorare per un datore di lavoro che
non ha liberamente scelto". Il legislatore italiano molto spesso entra in contraddizione con
quello europeo.
Il diritto nazionale molto di più di quello comunitario non ha garantito al lavoratore il diritto
di poter rifiutare il trasferimento mantenendo il posto presso l'alienante. Al massimo si è
garantito che l'acquirente non può disfarsi, subito, dei dipendenti. Il lavoratore può rifiutare
nei primi tre mesi con dimissioni per giusta causa con diritto al trattamento indennitario di
preavviso.
Ma nonostante i tentativi maldestri del legislatore italiano le sentenze contrarie alla cessione
risalgono non solo al 2002, prima delle variazioni introdotte ma anche successivamente.
Seppur è vero che si è tentato di passare dal concetto di azienda con annessi beni immobili e
preesistente autonomia a quello di impresa, dunque semplice cessione di lavoratori, e verifica
da parte del cessionario e cedente dell'autonomia funzionale al momento della cessione.
La sentenza riguardante l'Ansaldo evidenzia che non vi era corrispondenza tra attività
trasferite ed attività facenti capo ai Servizi Generali (alcuni lavoratori inseriti non facevano
capo al Servizio trasferito, e non tutte le attività del Servizio sono state cedute). È stato invece
ceduto un "Centro di costo 991" che era stato costituito per ammissione della stessa Ansaldo
per ricevere tutto il personale rientrato dalla CIG e dunque eccedente le esigenze strutturali.
Inoltre torna il concetto di eterogeneità delle funzioni dei lavoratori.
Dunque se si tratta non di cessione di ramo di azienda bensì di esternalizzazione di solo
personale ricade nell'ex art.1406 cessione dei contratti solo con il consenso.
Dopo il trasferimento nulla di fatto era cambiato l'operazione costituiva una violazione del
divieto di appalto di mere prestazioni lavorative. Tutti i lavoratori avevano continuato a
svolgere le identiche attività nelle stesse modalità.
La cassazione ha ravvisato che qualora cambi il debitore-cedente i lavoratori hanno diritto a
chiedere che venga chiesto il loro consenso
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Un interpretazione ricorrente in cassazione è che il mantenimento dell'identità dell'azienda o
del ramo presuppone la preesistenza degli stessi a prescindere dalla modifica del legislatore
italiano che ha cercato di indebolire la direttiva CE del 12/3/2001
È evidente che la identificazione del ramo d'azienda al momento del suo trasferimento entra
in contrasto con il concetto di mantenimento della propria identità e con il concetto di attività
economica organizzata. Insomma si è voluto volontariamente introdurre confusione rispetto
alla normativa CE che si esprimeva chiaramente senza però distruggerla pena una procedura
d'infrazione della UE.
La commissione UE così si esprime con riferimento ad un interrogazione di Di Pietro
mettendo in evidenza la risposta fornita dalle autorità italiane (legislatore) e che
involontariamente ed implicitamente da corpo e sostanza alle numerose sentenze di
Cassazione che invocano la necessaria preesistenza proprio basandosi su concetto che si
identifica ciò che esiste: "Nella risposta, le autorità italiane ricordano che questa disposizione
non conferisce alle parti la facoltà di creare un’entità economica (articolazione
funzionalmente autonoma), ma soltanto di identificarla sulla base del riconoscimento di ciò
che esiste."(1)
L'orientamento interpretativo desumibile dalle sentenze della Corte di cassazione va nella
direzione di evitare operazioni anti elusive evitando l'espulsione fraudolenta dall'azienda
madre tramite l'outsourcing, ritenendo irrilevanti le modifiche intervenute con l'art.32 D.lg S.
N. 276/2003, in buona sostanza che sia scritto o meno la preesistenza è un elemento centrale
per mantenere la propria identità. (2)
Così pure il concetto di autonomia organizzativa contrapposto all'estrema eterogeneità delle
funzioni degli addetti spinge in direzione del ramo di azienda inteso in senso
commercialistico (ex art.2555 c.c.). In assenza di un quadro chiaro in questi termini si tratta
di cessione di contratti di lavoro e dunque necessita del consenso dei lavoratori; sentenza
Cassazione n.20012/2005 (3).
Il senso ed il significato vero del "ramo di azienda" designato dall'art.32 D. Lgs n.276/2003
quale "articolazione funzionalmente autonoma" è che cedente e cessionario possono
"identificare" anche all'atto del trasferimento ma non surrettiziamente "strutturare o
costituire" al momento del trasferimento medesimo, il segmento oggetto di cessione deve
essere una entità o struttura o articolazione funzionalmente autonoma, tale da mantenere nel
trasferimento la sua identità e attitudine produttivo-organizzativa.(4)
Sia chiaro l'impostazione prevalente in cassazione negli anni di passaggio dal 2001 al 2005
ha trovato piena conferma anche nei giorni nostri con motivazioni che arricchiscono
ulteriormente le ragioni di opposizione dei lavoratori alle cosiddette cessioni di ramo di
azienda laddove queste mostrano la loro insussistenza:
"Nel rapporto obbligatorio il debitore è, di regola, indifferente al mutamento della persona del
creditore, mentre il mutamento della persona del debitore può ledere l’interesse del creditore.
In base a questo principio -espresso negli artt. 2740, 1268 co. 1, 1272 co. 1, 1273 co. 1, 1406
cod. civ.- deve considerarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore,
titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’art. 1406 citato.
L’art. 2112 cod. civ., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con
successione del cessionario negli obblighi del cedente e senza necessità di consenso del
lavoratore, costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile,
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quale oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità
economica organizzata in maniera stabile e con idoneità alla produzione o allo scambio di
beni o di servizi.
Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilità
di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e perciò l’inefficacia
di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Né questo interesse è escluso dalla
solidarietà di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art. 2112, la quale ha per
oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto, “esistenti” al momento del trasferimento e non
quelli futuri, onde può ben considerarsi un pregiudizio a carico del ceduto in caso di cessione
dell’azienda a soggetto meno solvibile. Per altro verso, è evidente che l’interesse del
lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda si
configura anche in ragione del rischio di una modifica in pejus della disciplina collettiva
applicabile al rapporto lavorativo, nonché, per altro verso, della possibilità di diversa
garanzia, in fatto o in diritto, di conservazione del posto di lavoro presso il cessionario."(5)
Sul punto di merito la Cassazione ribadisce il concetto che ai fini di una corretta applicazione
dell'art. 2112, l'oggetto del trasferimento deve consistere in una preesistente entità economica
che oggettivamente si presenti dotata di autonomia organizzativa ed economica, non essendo
sufficiente la sola volontà dell'imprenditore ad unificare un complesso di beni.(6)
In buona sostanza la Cassazione interpreta la nozione di trasferimento di ramo d'azienda in
coerenza con la disciplina in materia dell'Unione europea (direttiva 12 marzo 2001)
Se dunque è vero che in Cassazione i ricorsi presentati dai lavoratori ottengono un risultato
positivo con una percentuale superiore al 90% c'è da chiedersi perché il sindacato non riesce
a tenere a freno le mani e continuano a firmare accordi relativi a cessioni di rami di azienda
che in maniera evidente contraddicono tutti i principi su enunciati
Un documento importante attinente la nostra categoria è il parere pro veritate espresso dal
Prof. Avv. Piergiovanni Alleva il 7/11/2011 sull'applicabilità o meno dell'art.2112 c.c. al caso
UCBP (Unicredit Business Partner SCpA). Il fatto consisteva nella decisione di UCBP di
voler cedere ad altra società costituenda (Newco), un "ramo di azienda", costituito da 230
lavoratori espletanti attività di gestione del personale facenti parte della HRSSC (Human
Resources Shared Service Centers Management). L'esternalizzazione tocca soltanto 3 dei 5
settori di cui è composta HRSSC. si tratta di attività di servizi di diversa tipologia e di
supporto a tutta l'organizzazione aziendale.
Nella valutazione il prof.Alleva definisce, come abbiamo già visto in diverse sentenze della
Corte di Cassazione, che l'art.2112 deve essere interpretato alla luce della giurisprudenza
della Corte Europea secondo cui perché la direttiva 2001/23 sia applicabile il trasferimento
deve riguardare un'entità economica che conserva la propria identità dopo il cambiamento
dell'imprenditore titolare. (7)
Nel caso di specie Alleva rileva che la mancanza di una preesistente organizzazione ed
autonomia funzionale presso il cedente nonché un estrema eterogeneità delle funzioni delle
funzioni degli addetti.
Anche Alleva rileva l'orientamento della Cassazione in direzione di una nozione
commercialistica di azienda (ai sensi dell'art.2555 c.c)
Ma Il giuslavorista entra in un discorso specifico del nostro settore facendo riferimento agli
art.1/2/3 del Ccnl che definiscono l'attività creditizia in senso stretto, le attività connesse con
quella creditizia in senso stretto ed infine le attività complementari e/o accessorie appaltabili.
Tra queste attività le uniche individuate come trasferibili, ed a ragione, sono le attività
connesse con quella creditizia (art.1 comma 3). Sono escluse le attività creditizia in senso
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stretto rappresentando il core business e le attività complementari e/o accessorie in quanto
prive di autonomia funzionale possono essere soltanto appaltate.
Nel caso di HRSSC questo supposto ramo di azienda è di supporto ad attività lavorative che
attraversano tutta l'azienda e dunque a tutte tre le tipologie di attività individuate. L'attività di
gestione del personale è servente rispetto al personale impiegato in qualsiasi tipo si attività.
Dunque come per i servizi generali è pensabile solo in termini di costi e non di attività
economiche organizzate. Se proprio si volesse forzare la mano l'attività di amministrazione
del personale potrebbe essere inquadrata nell'art.3 quale attività attività complementare ed
accessoria appaltabile.
(1) Interrogazioni parlamentari
15 dicembre 2005
E-4241/05
E-4242/05
Risposta data da Vladimir Spidla a nome della Commissione
Interrogazioni scritte : E-4241/05, E-4242/05
Come recita la sentenza citata dall’on. parlamentare nella sua interrogazione E-4242/05, la
direttiva 2001/23/CE (Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di
stabilimenti, GU L 82 del 22.3.2001) tende a garantire il mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di cambiamento dei dirigenti d’azienda, permettendo loro di rimanere alle
dipendenze del nuovo datore di lavoro alle medesime condizioni di quelle convenute con il
precedente. Oggetto della direttiva in questione è quello di garantire, per quanto possibile, la
continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, senza modifiche, onde evitare che i
lavoratori interessati si trovino in una posizione meno favorevole a motivo del trasferimento
(Causa C-340/01. Sentenza della Corte del 20.11.03).
A questo scopo la direttiva dispone essenzialmente che: a) i diritti e gli obblighi che risultano
per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del
trasferimento sono trasferiti al cessionario; b) il trasferimento non è di per sé motivo di
licenziamento da parte del cedente o del cessionario e c) i rappresentanti dei lavoratori
godono di diritti in materia di informazione e di consultazione.
Secondo quanto indicato all’art. 1, paragrafo 1 della citata direttiva 2001/23/CE, i
trasferimenti di stabilimenti o di parti di imprese rientrano nel campo d'applicazione della
direttiva in questione.
In Italia, nell'art. 2112 del Codice civile figurano sostanzialmente le misure nazionali per
l’attuazione della direttiva. Il paragrafo 5 dell’articolo in questione, modificato dall’art. 32
del decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, si riferisce ai trasferimenti di parti
d'imprese. Come ricordato nella risposta complementare della Commissione alle
interrogazioni scritte dell'on. parlamentare P-3626/04 e E-3627/04, la Commissione, con una
lettera del 24 marzo 2005, aveva chiesto alle autorità italiane chiarimenti in merito alla
disposizione in questione, onde poter fornire una risposta esauriente all’on. parlamentare.
Data la mancata risposta da parte delle autorità italiane, la Commissione ha inviato un
sollecito con lettera in data 10 giugno 2005. Il 21 novembre 2005 la Commissione ha ricevuto
la risposta delle autorità italiane.
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Nella risposta, le autorità italiane ricordano che questa disposizione non conferisce alle parti
la facoltà di creare un’entità economica (articolazione funzionalmente autonoma), ma
soltanto di identificarla sulla base del riconoscimento di ciò che esiste.
La Commissione ritiene che il paragrafo 5 dell'art. 2112 del Codice civile italiano
apparentemente non escluda dal campo d'applicazione dell'art. 2112 i trasferimenti di parti
d'imprese o di stabilimenti ai sensi di quanto disposto dalla direttiva. Viceversa, esso sembra
ampliare il campo d'applicazione dell'art. 2112 al fine di comprendere altre situazioni che non
costituiscono dei trasferimenti conformemente alla citata direttiva. La Commissione non
possiede informazioni in merito al fatto che il citato paragrafo 5 dell'art. 2112 sia stato
interpretato dai tribunali italiani come escludente i trasferimenti di parti di imprese o di
stabilimenti secondo quanto disposto nella direttiva. La Commissione ritiene che nella misura
in cui i trasferimenti di parti d'imprese secondo quanto definito dalla direttiva sono ritenuti
dalla legislazione e dai tribunali nazionali dei trasferimenti con le relative conseguenze
giuridiche, la normativa comunitaria non si oppone a che vengano assimilate altre situazioni
che non costituiscono dei trasferimenti secondo quanto disposto dalla direttiva.
In ogni caso la Commissione ricorda all'on. parlamentare che la direttiva non si oppone al
fatto che vi possano essere licenziamenti per motivi economici, tecnici o organizzativi che
comportano cambiamenti a livello occupazionale, purché sia stabilito che il trasferimento non
è stato il motivo del licenziamento (art. 4).
Per quanto riguarda le azioni delle due aziende citate dall'on. parlamentare, la Commissione
non è competente ad intervenire dal momento che si tratta di enti privati.
Relativamente al gruppo Telecom in particolare, le autorità italiane nella lettera del 21
novembre 2005 hanno fatto presente che «l'esternalizzazione di alcuni servizi è una decisione
che spetta al potere discrezionale dell’impresa per motivi specifici di razionalizzazione. Le
scelte del gruppo Telecom sono state definite mediante accordi con le organizzazioni
sindacali più rappresentative, accordi sottoscritti presso il Ministero del lavoro. In questi
accordi sono stati definiti alcuni interventi che mirano allo sviluppo e alla riorganizzazione
del gruppo. Essendoci il rischio che si tratti di operazioni tendenti ad aggirare le leggi e a
determinare delle riduzioni di personale non previste negli accordi, si ricorda che il Ministero
intende controllare che non vi siano frodi per mezzo dell’ispettorato del lavoro e con gli
strumenti ispettivi di cui sono dotate le direzioni provinciali e regionali del lavoro».
(2) Cass. n. 13608/2005, laddove asserisce che: « lo stesso art. 2112 c. c. ... consente, ... di
ricondurre, ai fini da esso considerati, alla cessione di azienda anche il trasferimento di un
ramo della stessa, purché si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentino prima del trasferimento come
una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini
dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità. In presenza di tali
condizioni, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un
gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa
sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (o, comunque, dell’utilizzo
di copyright, brevetti, marchi, ecc.), realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di
contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c. Requisito
indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 c.c.
resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come
legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di
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esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la
vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo
perfezionamento il consenso del contraente ceduto».
(3) «Questa Corte in una fattispecie analoga ha statuito che il trasferimento ad altra impresa
dei lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e
caratterizzata dall’estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile di assurgere
ad unitaria entità economica, non può configurare una cessione del ramo d’azienda cui sia
applicabile il disposto dell’articolo 2112 Cc ma costituisce mera cessione di contratti di
lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti (cfr. in tali
sensi Cassazione 17207/02). In altri termini la giurisprudenza della Corte ha recepito una
nozione commercialistica di azienda, ai sensi dell’articolo 2555 Cc, attribuendo rilievo
decisivo al requisito dell’autonomia organizzativa del ramo d’azienda ceduto che, deve
presentarsi come idoneo al perseguimento dei fini dell’impresa. Alla stregua di questi principi
non può condividersi la tesi della ricorrente società (e del Consorzio Manital) secondo cui
l’autonomia funzionale del ramo trasferito può essere soltanto potenziale presso il cedente,
essendo sufficiente, al fine dell’attribuzione della qualità del ramo d’azienda, l’astratta
idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per l’esercizio futuro di una
attività. Al riguardo è stato precisato che il diritto positivo richiede per l’applicazione
dell’articolo 2112 Cc che sia ceduto un complesso di beni, che oggettivamente si presenti
quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo
svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi. Altrimenti sarebbe la
volontà dell’imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per sé privo di una
preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario), al solo fine
di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo d’azienda, rendendo applicabile la
relativa disciplina sulla sorte dei rapporti di lavoro».
(4) Meucci-Bavaro
(5) Sentenza Cassazione 27 maggio 2014, n.11832
Nella medesima sentenza si precisa:
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato l’esigenza di tutela del lavoratore
connessa al generale divieto di estemalizzazione “come forma incontrollata di espulsione di
frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome,
unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore”, divieto funzionale proprio all’interesse ad
accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una “preesistente realtà produttiva
autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in
occasione del trasferimento” (in tale senso, cfr. Sez. L, 6.4.2006 n. 8017 e Sez. L, 30.12.2003
n. 19842), e che il mutamento del datore di lavoro non si collochi in una prospettiva di
elusione delle norme (così Cass. Sez. L, sentenza 28.10.2013, n. 22627).
Può dunque affermarsi che, in tema di trasferimento di azienda, il lavoratore ha interesse ad
accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo di azienda in un complesso di beni
oggetto del trasferimento e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo
consenso, per l’inapplicabilità dell’alt. 2112 cod. civ. e l’operatività della regola generale di
cui all’art. 1406 cod. civ., non essendo indifferente per il lavoratore, quale creditore della
prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore, ossia del datore di lavoro,
che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei diritti dei lavoratori.
(6) Sentenza cassazione 27 maggio 2014, n.11832
9
"La conclusione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che -con riferimento alla
cessione di azienda regolata dall’art. 2112 cod. civ., nella formulazione anteriore alla
modifica introdotta dalla c.d. legge Biagi- ha sempre ritenuto che l’elemento essenziale che
caratterizza la cessione del ramo di azienda è la preesistenza di una struttura organizzata e
funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura
all’interno della cessionario, non potendo costituire invece un ramo di azienda l’assemblaggio
di frammenti del processo produttivo privi di autonomia.
Si è infatti affermato (così Cass. Sez. L, sentenza 3.10.2013, n. 22627; Sez. L, sentenza n.
22613 del 03/10/2013; Sez. L, sentenza n. 21711 del 04/12/2012; Sez. L, sentenza n. 2489 del
01/02/2008; Sez. L, sentenza n. 6452 del 17/03/2009) che per “ramo d’azienda”, ai sensi
dell’art. 2112 cod. civ. (così come modificato dalla legge 2 febbraio 2001, n. 18, in
applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento
riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità
economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la
sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente
esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o
come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione
come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti
o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e
non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito."
(7) Sentenza C.giust. Ce, 20 gennaio 2011, Causa 463/09, in EUR-Lex
Esternalizzazione gruppo Carta Si
Commessa Cartasi ( attività di assistenza clienti )
Le attività di assistenza telefonica clienti ed esercenti vengono assegnate in appalto dal 2002
alla società Experian con sede in Roma
Successivamente avviene una cessione dell’appalto alla società Bfs nata da una fusione con
Experian.
Nel 2004 la conclusione di una vertenza della FISAC CGIL niziata nel 2002 permetteva a 70
lavoratori impiegati in Bfs di uscire dal precariato (lavoratori assunti per la suindicata
commessa con
tipologia di contratto: co. co. co. 50 cent a chiamata gestita).
A seguito della vertenza che imponeva l’assunzione a carico della committente dei 70
lavoratori, quest’ultimi furono assunti a tempo indeterminato in una società del gruppo Cart
Si,Sì Call.
Le assunzioni avvennero scaglionate a seconda dell'anzianità lavorativa precedentemente
prestata computando i periodi lavorati con co.co.co.
L’inquadramento con cui vennero inizialmente assoggettati i lavoratori oggetto della vertenza
fu a tempo indeterminato e individuato nella sfera contrattuale del commercio con
declaratorie del 4° livello. Questo primo contratto fu individuato dalle parti come un primo
passo di un percorso che avrebbe portato i dipendenti di SI Call ad avere il contratto del
Credito.
Per poter avere una piena agibilità sindacale nel seguire la vicenda la Fisac CGIL ottenne la
delega della Filcams CGIL, il sindacato omologo del comparto del commercio.
Fu nella primavera del 2007, durante la presentazione del piano industriale del Gruppo Carta
Si e in concomitanza con un cambio dei vertici societari, che venne annunciata la chiusura
10
del sito di Roma con la conseguente apertura delle procedure di licenziamento, in base alla l.
223, per tutti i 70 lavoratori SI Call del sito di Roma e il ricollocamento dei dipendenti di
Carta Si.
La risposta della Fisac fu immediata, con il risultato che i lavoratori vennero tutti riassunti in
un accordo- transazione che prevedeva dal 2008 l’applicazione di una formula contrattuale
del CCNL Credito rivisitata, dove si applicava per intero la parte normativa, eccezion fatta
per l’orario di lavoro (che restava per i lavoratori di 40 ore settimanali) e della retribuzione
tabellare che subiva una decurtazione del 22% rispetto a quanto previsto dai minimi tabellari
del ccnl credito.
Dal maggio 2010 il polo di Roma della società SI Call venne ceduta come ramo d’azienda
alla BASSNET s.r.l., societa' metalmeccanica partecipata dal Gruppo Bassilichi.
Nel passaggio societario agli ex lavoratori di SI Call venne proposto un accordo in malleva
dove veniva ridotta la differenza tabellare dal contratto del credito dal 22% al 15%,
mantenendo il medesimo contratto con le relative anzianità di servizio e la garanzia di un
appalto della durata di 6 anni.
La Fisac non firmò l’accordo ricorrendo in giudizio.
In azienda si creò una differenza tabellare tra chi firmò immediatamente l’accordo, vedendosi
ridotta la sperequazione con i tabellari del credito al 15%, con chi invece impugnò da subito
la vertenza per vie giudiziali, mantenendo la decurtazione al 22%.
Nel novembre 2011 ci fu il primo grado di giudizio che diede torto ai lavoratori. La Bassnet
s.r.l. propose loro di nuovo l’accordo integralmente, aggiungendo di non sottoporli al
pagamento delle spese processuali.
La maggior parte dei lavoratori accettarono l’accordo con le rinnovate garanzie e solo 7
decisero di proseguire il ricorso in giudizio, che è ancora in corso.
Ad aprile 2013 con una cessione di ramo d’azienda tutti i lavoratori di Bassnet s.r.l. di Roma
passano alla società Bassilichi spa.
Il contratto di lavoro prevalente della Bassilichi è quello dell’industria metalmeccanica; il
tentativo di uniformare al contratto metalmeccanico i lavoratori del credito non solo è stato
fatto durante la fase della cessione, ma si ripropone costantemente.
Inoltre risulta molto difficile relazionarsi con la Fiom, sindacato con maggiori iscritti presente
in azienda, in quanto la differenza dei contratti applicati ha generato una sorta di avversità.
STORIA DELLA ESTERNALIZZAZIONE MPS
Il primo gennaio 2014 ha preso il via la esternalizzazione di 1060 lavoratori del Monte dei
Paschi di Siena dislocati su sette poli terriroriali in tutta Italia: da Abbiategrasso a Mantova,
da Padova a Siena, da Firenze a Roma e Lecce.
Come si è arrivati a questa cosa davvero insolita e probabilmente poco opportuna, vista la
consistenza numerica e la distanza logistica delle sedi che pone degli evidenti problemi per il
futuro?
La storia comincia due anni fa, quando il nuovo management – L’A.D. Viola ed il presidente
Profumo – viene chiamato al capezzale della terza banca italiana devastata non solo da una
gestione incapace e inefficiente, ma soprattutto dai fondi stornati dalle casse della banca da
un manipolo di malfattori che approfittano dell’acquisizione di Banca Antonveneta per
lucrare miliardi di euro, per poi tentare un aggiustamento dei conti con sventurate iniziative
sui derivati che peggioreranno ulteriormente la situazione.
Singolare che al capezzale di Monte Paschi sia chiamato come presidente il banchiere che ha
causato, con la sua gestione avventurosa nei mercati emergenti, un buco da dieci miliardi nei
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conti di UNICREDIT, che per tale gestione è rinviato a giudizio per frode fiscale e che ora
aggiunge al suo curriculum un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta; evidentemente
l’uomo sbagliato al posto sbagliato….
Come è solito fare il “nuovo” management non trova di meglio che, invece di occuparsi del
rilancio della banca lavorando sull’offerta di credito e servizi attraverso un efficientamento
della organizzazione ed un miglioramento dell’offerta, nonché un più sagace esame degli
affidamenti, concentrarsi sul taglio dei costi, in particolare su quelli del personale; come se
questo fosse responsabile del tracollo, come se una grande banca potesse fare business con un
corpo lavorativo smarrito e demotivato.
Il piano industriale presentato a giugno 2013 è basato sul taglio di migliaia di posti di lavoro,
sulla chiusura di centinaia di filiali; e, ancor peggio, sull’azzeramento del CIA, sull’utilizzo
corposo della solidarietà, sul taglio del 25% della base di calcolo di TFR e FAP e sulla scelta
di esternalizzare il backoffice, definendo gli addetti come feccia umana che fa un lavoro
inutile e che è di peso all’azienda; si arriva a dichiarare che bisogna cacciarli per salvare gli
altri trentamila! Una affermazione ridicola, prima che falsa; come se una banca che perde nel
bilancio di un anno cinque miliardi di euro si potesse salvare per i novanta milioni di costo di
quel personale, anche fingendo di credere che il loro lavoro non sia produttivo; il che non è!
Il sindacato compatto si oppone al piano e porta il corpo lavorativo a due scioperi nazionali di
grande successo, con manifestazione di migliaia di persone che paralizza Siena.
Poi, dopo l’estate, il fronte sindacale comincia a scricchiolare; mentre FISAC, SINFUB,
DIRCREDITO, UNISIN mantengono la coerenza, proponendo soluzioni alternative che
comportino uguali sacrifici per tutti, salvaguardando i posti di lavoro e semmai procedendo
alla uscita degli anziani tramite il fondo esuberi di categoria, FIBA, FABI, UILCA e UGL
virano a 180 gradi e in gran fretta firmano un accordo separato che concede alla banca tutto
quello che ha preteso con arroganza e protervia, limitando il numero delle esternalizzazioni a
1.100 dalle oltre 2.000 proposte; una scelta devastante, che spacca il sindacato ed il corpo
lavorativo, che non è motivata da altro che dalle pressioni della politica e dei poteri forti, che
ignora le più elementari regole della democrazia; l’accordo non viene sottoposto a
referendum come previsto dagli accordi nazionali confederali, perché non passerebbe mai e
lo sanno tutti.
Infatti la FISAC e le altre sigle organizzano assemblee certificate alle quali prendono parte
circa 8.000 lavoratori ( la media che in Monte Paschi partecipa alle assemblee unitarie per il
CCNL…) che bocciano con oltre il 90% di percentuale l’accordo, mentre le sigle firmatarie
svolgono assemblee semideserte nelle quali comunque esiste una percentuale di oltre il 20%
che vota contro l’accordo.
Ma i poteri forti hanno deciso che così deve essere e si va avanti per un anno applicando man
mano tutti i contenuti dell’accordo; i lavoratori perdono per almeno tre anni (!) la parte
variabile del salario più la solidarietà per sei giorni annui, nonché i tagli sulla base di calcolo
di TFR e Fondo pensioni: le festività soppresse non possono essere monetizzate, sul
personale arrivano pressioni ed intimidazioni di ogni genere, che generano persino una
denuncia della FISAC per comportamento antisindacale; ma niente può fermare la ruspa che
davasta la banca, ci sono troppi interessi e troppe complicità, nell’iindifferenza dei media che
negano interviste e articoli sulla questione, condizionate dalla volontà evidente
dell’establishment di imporre la soluzione della prima esternalizzazione di un backoffice
bancario; gli 8.000 esuberi del Monte Paschi, dei quali 1.100 esternalizzati, non fanno notizia,
sono polvere sotto il tappeto, mentre, ad esempio, i 1.500 lavoratori di ELETTROLUX in 24
ore smuovono tutta l’italia, compreso il ministro competente: non serve altro per capire come
stanno le cose!
Così si attraversa tutto il 2013 nel corso del quale i 3.000 dipendenti distaccati da Monte dei
Paschi presso il Consorzio Operativo di Gruppo, vengono prima richiamati dal distacco ed
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assegnati alla DAACA, una nuova struttura della direzione della banca dalla quale,
successivamente, verranno estrapolati quelli non destinati all’esternalizzazione; una
procedura farsa, che non vede attuati gli incontri previsti dal contratto per il confronto
sindacale a causa della guerra di posizione generata dalla disdetta da parte di ABI del CCNL,
ma questo non induce i sindacati firmatari dell’accordo a pretendere un allungamento della
procedura stessa; e si arriva a dicembre all’apertura della procedura di legge ex art. 47 per la
cessione di ramo d’azienda.
Anche questa è una farsa che non fa certo onore a nessuno; vi partecipano tutti i sindacati ma
il tempo viene lasciato passare senza fare passi avanti; la banca non vuole rilasciare garanzie
esigibili ai lavoratori, vuole tagliare il cordone ombelicale con loro e si arriva ad una
cessione CHE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA vede dei lavoratori espulsi da una banca
SENZA UNA LETTERA INDIVIDUALE di reintegro in caso di crisi occupazionale! Anche
in questo caso la democrazia viene ignorata: all’ultima ora di trattativa la banca inserisce
nell’accordo una premessa che riconosce la sussistenza del ramo d’azienda, il quale sarebbe
stato creato precedentemente alla cessione con la procedura della DAACA (che come
abbiamo detto non è mai davvero esistita!): ed i firmatari hanno la penna che scotta,
precipitandosi a firmare l’accordo anche con questa premessa, senza pudore. Ma i lavoratori
non vengono chiamati ad un referendum; in compenso dei 1.060 che vengono esternalizzati
oltre la metà (!...) partecipa alle assemblee di FISAC, DIRCREDITO E UNISIN bocciando
clamorosamente l’accordo di cessione; ancora una volta senza che importi a nessuno.
Nel fragoroso silenzio delle segreterie nazionali di categoria e delle confederazioni; che
infatti, intanto, studiano come prevenire casi analoghi nella piattaforma del nuovo CCNL,
prevedendo alcune novità; ma non, come i lavoratori si aspetterebbero, che le
esternalizzazioni siano evitate e, magari, si reinternalizzino gli espulsi, bensì che questioni
come la sussistenza del ramo d’azienda ai sensi cell’art. 2112 del C.C. sia preventivamente
verificata e che qualora non si pervenga ad un accordo tra azienda e OO.SS. aziendali siano le
segreterie nazionali ad avocare la trattativa: come a dire mai più un caso Monte dei Paschi,
dove il sindacato aziendale in parte si oppone ed i lavoratori espulsi si rivolgono alla
magistratura, anche grazie all’assenza di un accordo (con tanto di premessa legale)
UNIVERSALMENTE FIRMATA. Con il nuovo CCNL ci saranno le segreterie nazionali a
farlo, garantendo le esternalizzazioni e disarmando i lavoratori anche sul piano legale.
In conclusione è opportuno fare un bilancio finale di questa brutta vicenda; per capirne la
genesi, per individuarne le peculiarità, per prevederne le conseguenze.
Non è la prima storia di esternalizzazioni in ambito bancario; ma è una storia molto
particolare per una serie di motivi che si evidenziano di seguito.
La scelta di fare una esternalizzazione per la prima volta in Monte Paschi nasce non da una
visione organizzativa, ma dalla dichiarazione che la crisi della banca richiede un taglio del
numero di dipendenti; è ufficialmente una eliminazione di dipendenti, un modo di effettuare
licenziamenti mascherati, aggirando le norme sui licenziamenti collettivi, demandandoli a
terzi.
La scelta di esternalizzare il backoffice è una primizia nel mondo bancario; non ci sono
precedenti e la cosa rientra, evidentemente, nella volontà del mondo datoriale di creare,
appunto, il precedente, di aprire una strada. E’ chiarissimo che non esiste alcun ramo di
azienda “backoffice”; infatti si tratta di un mix di attività indipendenti tra di loro, su territori
diversi, senza alcun legame che le colleghi e, per di più, tali attività esternalizzate sono scelte
nel mazzo tra altre analoghe che, invece, restano in banca. Non è stato esternalizzato un ramo
di azienda, ma 1.100 lavoratori; punto e basta; per di più lavoratori dislocati in sette città
lontanissime tra loro, con evidenti rischi per il futuro sulla mobilità, oltre che sulla stabilità
occupazionale.
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Le lavorazioni esternalizate sono a volte persino palesemente non esternalizzabili; ci sono
attività strettamente appartenenti al processo del credito, ci sono attività praticamente di
promozione finanziaria: ed inoltre parte di queste attività continuano ad essere svolte in
banca. Illegalità assoluta.
Questa è la prima esternalizzazione nel mondo del credito nella quale non si prevede una
adeguata copertura del rischio occupazionale, per la quale non esiste una lettera individuale di
rientro in banca in caso di crisi; anche qui si vuole creare un precedente, tagliando ogni
legame tra la banca e i lavoratori.
Questa è anche la prima volta in cui in un accordo di esternalizzazione la banca ed i sindacati
(per fortuna non tutti!) si fanno carico di dichiarare esplicitamente la sussistenza di un ramo
di azienda conforme all’art. 2112 del C.C., per di più preesistente, con l’evidente scopo di
coprire la banca dai rischi legati alle cause dei lavoratori contro l’operazione: intento
comprensibile da parte dell’azienda, inspiegabile da parte delle OO.SS.
Queste considerazioni dovrebbero chiarire a tutti come la parte relativa alle esternalizzazioni
della piattaforma sindacale per il nuovo CCNL sia frutto di una non celata disponibilità del
sindacato ad agevolare le esternalizzazioni per facilitare la prevista espulsione dal settore di
decine di migliaia di lavoratori prevista dall’ABI; infatti in una piattaforma sindacale si
dovrebbe non parlare di esternalizzazioni se non per proibirle, mentre in quella appena
prodotta non solo se ne parla, ma si prevede una preventiva disamina della sussistenza dei
rami d’azienda da esternalizzare (e chi assegna al sindacato il ruolo di giuslavorista o di
giudice per stabilirlo?) e si prevedono appositi accordi; che per di più, recita la piattaforma,
se non raggiunti in azienda saranno trasferiti al tavolo delle segreterie nazionali: un chiaro
modo di avocare ai nazionali autori della piattaforma il potere di stabilire quali lavoratori
esternalizzare, evitando che sindacati aziendali possano combatterle, come avvenuto,
purtroppo vanamente, in Monte Paschi.
Cui prodest? La risposta non sembra necessaria.
Nel frattempo in questi sette mesi del 2014 Fruendo srl, azienda nata dalla esternalizzazione
dei lavoratori MPS, prende vita e pian piano si manifestano i grossi problemi.
Fruendo ha iniziato a distogliere decine di lavoratori dalle attività che svolgevano al
momento della cessione adibendole a commesse estranee a quella MPS; si tratta di servizi di
basso profilo, persino di call center, nei confronti di clienti dei due soci di Fruendo, Bassilichi
ed Accenture: per esempio Acea, Poste, e molti altri minori (come clienti di Fruendo per
piccole cose), anche bancari, come ING DIRECT, CEDACRI, Banca Popolare Vicentina,
SIA, etc.
Molto spesso i lavoratori vengono mandati presso i clienti o presso sedi di Bassilichi ed
Accenture, SENZA UNA COMUNICAZIONE SCRITTA, quindi senza coperture
assicurative, presumibilmente nell’interesse non di Fruendo ma dei soci stessi; diventerebbe
una interposizione di mano d’opera.
Fruendo ha diffuso un piano industriale; molto scarno, ma che dichiara apertamente come il
cliente MPS non basterà alla sopravvivenza aziendale e che Fruendo conta di distogliere 400
risorse dalla commessa MPS; dice che li adibirà ad altre commesse, ma non è credibile e
temiamo diventino massa manovra dei soci, magari con cessioni di rami d’azienda
Per questo da mesi stiamo tentando una trattativa che pur non offrendo nessun incremento di
salario comporti almeno delle garanzie per i lavoratori; in primis l’impegno alla integrità
aziendale, al mantenimento dei poli, alla scrittura di un quadro delle regole per le adibizioni
alle nuove commesse.
Sugli ultimi due punti si potrebbe ottenere qualcosa di importante, ma sul primo l’azienda è
ferma sul no; non intende impegnarsi a non fare fino al 2017 cessioni ai soci, confermando i
nostri timori essenziali!
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Inoltre Fruendo ha dichiarato di avere quasi 300 quadri ma di non avere un lavoro da quadri
per loro.
Beffa ulteriore in MPS partono migliaia di accompagnamenti in esodo, dai quali noi di
Fruendo siamo esclusi.
Infine citiamo come nei giorni scorsi siano emerse un paio di operazioni manuali errate con
perdita di alcune decine di migliaia di euro per MPS; la banca chiede i danni a Fruendo e
questa sembra volersi rivalere sul lavoratore in base all’ultima pagina del codice etico;
incredibile!
Per tutto questo temiamo di essere alla vigilia di una stagione di lotte dure e con poca luce in
fondo al tunnel.
Ciò che servirebbe è un appoggio convinto ed incondizionato del sindacato a tutti i livelli,
nazionale e confederale, ma ci è evidente che possiamo contare solo sul regionale del Lazio
della Fisac; e basta!
Roma 16 luglio 2014
PROMEMORIA DI ES SSC
La vicenda di ES SSC parte dal maggio del 2011 e si concretizza con l’accordo di cessione
del 27 aprile 2012. La cessione di ES SSC faceva parte del progetto NEWTON ed è stata la
prima esternalizzazione di UNICREDIT. Tale cessione è stata effettuata su una violazione del
CCNL, poiché le attività di ES SSC sono state definite, dalla stessa Unicredit in sede di
rappresentazione del progetto alle OO.SS, come attività di art. 3; successivamente anche
confermato nell’Art. 28 red atto dal prof. Alleva. Nonostante ciò le OO.SS Nazionali hanno
permesso all’UNICREDIT la cessione anche dei lavoratori.
Il progetto Newton era stato presentato, e poi riportato come premessa anche nell’accordo di
cessione, come “una opportunità di business nel mercato captive attraverso la valorizzazione
delle professionalità del personale ceduto e con l’acquisizione di importanti commesse del
mercato italiano”. l’HP avrebbe garantito la creazione di valore e prospettive professionali di
lungo periodo per i dipendenti coinvolti nella cessione.
A distanza di pochi mesi dall’avvenuta cessione di ES SSC e precisamente ad ottobre 2012,
sono iniziate le prime delocalizzazioni di attività in HP Polonia, società del gruppo HP, non
facente parte di ES SSC. Si è partiti con SAFETY LIST (legge 626 e formazione squadre di
emergenza), poi con il SAFETY CHECK (sorveglianza sanitaria obbligatoria) e LEARNING
(organizzazione corsi bancari) che hanno coinvolto 28 lavoratori. Nel Frattempo il personale
interessato alle delocalizzazioni è stato più volte sollecitato ad aderire ai Job Posting di HP e
poi, visto la non adesione dello stesso, è stato reinserito di volta in volta sulle attività ancora
presenti in ES SSC .
Entro la fine di dicembre 2012, a soli 7 mesi dalla cessione, sono uscite da Milano sempre per
HP Polonia anche : BENEFIT e ORGANITIONAL MANAGEMENT E TRAVEL dei
GENERALIST coinvolgendo in tutto 24 lavoratori.
Ad aprile 2013 si è proceduto ad ulteriori delocalizzazioni : Contract Transf& Allowances
(buoni pasto, indennità turni orari di lavoro, straordinario, part time, e trasformazioni contratti
di lavoro) ABSENCES (presenze/assenze, permessi, ferie, legge 104, maternità, malattia
professionale, malattie bambino, congedo parentale, gestione malattia e comporto), che hanno
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coinvolto altri 27 lavoratori. I dipendenti di ES SSC hanno dovuto provvedere alla
realizzazioni di soap (manuali sulle attività delocalizzate) e partire per la Polonia ad
insegnare il loro lavoro al personale polacco, per poi ritornare senza attività ed essere e
riciclati all’interno di ES SSC e andando così ad impinguare le section rimaste, che di volta in
volta o sono state a loro volta delocalizzate o hanno tutt’oggi un sovraccarico di personale.
A fronte di tutto questo HP continua va a ripetere che non sarebbero entrate commesse finché
non si fosse proceduto alla realizzazione di una piattaforma tecnologica, come previsto
dall’accordo quadro tra HP e Ubis, in grado di sostituire le procedure di UNICREDIT. Le
RSA di ESSC di Milano e di ROMA si sono attivate immediatamente presso le Segreterie
Nazionali firmatarie dell’accordo di Cessione per un incontro di verifica, ad UNICREDIT,
come previsto dall’art. 17 dell’accordo stesso, per chiedere conto della situazione. Nel
frattempo su richiesta di tutti i lavoratori di Milano e di Roma, preoccupati per ciò che stava
accadendo, è stato indetto dalle OO.SS di ES SSC uno sciopero di due giorni, precisamente il
23 e 24 maggio 2013 per protestare contro lo scempio messo in atto da HP.
Il 29 luglio 2013 c’è stato l’incontro di verifica tra Unicredit, HP e le segreterie Nazionali.
Le OO.SS hanno fatto presente che il progetto Newton non era stato presentato in questi
termini e hanno chiesto spiegazioni ad Unicredit nella figura di Carletta. La risposta è stata
che le delocalizzazioni servivano ad abbassare il costo della commessa ed è stato confermato
che prima della realizzazione della piattaforma tecnologica da parte di HP non si sarebbe
proceduto ad alcuna acquisizione di nuove commesse. Il momento era di passaggio e si
chiedeva del tempo. Le OO.SS pur non essendo rimaste soddisfatte delle risposte hanno
comunque accolto la richiesta delle Aziende di rivedersi entro la fine dell’anno 2013.
A novembre 2013 è iniziata un’ulteriore ondata di delocalizzazione terminata a febbraio 2014
e che ha coinvolto parte del Team HIRING (assunzioni) 11 lavoratori coinvolti, ed il Team
FAMILY ALLOWANCES e PERSONAL DATA MGT (assegni familiari ed aggiornamento
dati personali) 9 lavoratori coinvolti.
E’ stata acquisita nel febbraio 2014 da Unicredit la parte del LEARNING rimasta in Ubis che
impegna attualmente 8 lavoratori, destinata comunque ad essere impacchettata e inviata in
HP Polonia.
Da gennaio 2013 i cedolini vengono prodotti da HP e ci ritroviamo ogni mese buste paga
sbagliate, contributi previdenziali in caso di malattia versati all’INPS come CCNL del
commercio invece che del credito.
Il 7 marzo 2014 è stato firmato dalle rappresentanze sindacali un accordo per l’erogazione dei
buoni pasto come previsto dall’art. 7 dell’accordo del 27/04/2012 che doveva essere
migliorativo per i dipendenti, ma di fatto, ci ritroviamo con meno ticket e tanta confusione,
grazie anche ad una procedura di rilevazione presenze (EETIME) totalmente inadeguata alle
esigenze dei dipendenti del credito che, a detta di HP, hanno troppe eccezioni per essere
ricomprese in questa procedura standard.
Si segnala infatti, che suddetta procedura, non riesce neanche a riportare l’orario di lavoro
reale di ciascun lavoratore, ma riporta un orario standard uguale per tutti (8.30 – 17) con la
conseguenza che un dipendente che ad esempio, esce alle 16.00 risulterebbe in ufficio
qualora dovesse avere un incidente in itinere e gli orari dei vari permessi che ognuno deve
inserire risultano falsato in quanto bisogna prendere come riferimento l’orario standard e non
quello effettivo.
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A ripresa delle relazioni industriali, dopo la rottura per la disdetta del CCNL da parte
dell’ABI, è stato richiesto il secondo incontro di verifica, per il quale siamo ancora in attesa
di saperne la data.
In tutte le lettere inviate alle Segreterie Nazionali è stato sempre fatto presente la pessima
gestione del personale da parte di HP o, forse, sarebbe meglio dire “l’inesistente” gestione
del personale da parte di HP.
A riprova del fatto che non c’è alcuna attenzione ai dipendenti e alle loro necessità dal punto
di vista professionale, si segnalano persone demansionate o lasciate senza attività e, circa il
52% dei dipendenti si sono ritrovati a cambiare attività nell’arco di pochi mesi senza averlo
richiesto o avere il tempo di impararne alcuna; così come nessuna attenzione c’è alle esigenze
personali: più volte è stato denunciato alle relazioni industriali e all’HR un malessere
generale ed un malcontento nei confronti della gestione da parte del management ma alcun
provvedimento è mai stato preso e l’Hr di HP non è mai stato un punto di riferimento
presente sul posto di lavoro.
Sono state inoltre segnalate alle Segreterie Nazionali: le difficoltà di relazioni e
comunicazioni tra la dirigenza e le RSA, le procedure HP non conformi al contratto del
credito, la precarietà dei lavoratori considerati passacarte per la Polonia e preoccupati del loro
futuro lavorativo.
E’ stato più volte sottolineato, anche sul primo tavolo di verifica, che i dipendenti del gruppo
Unicredit non sono al corrente che i loro dati sensibili e personali sono gestiti da HP Polonia
(i lavoratori polacchi passano attraverso le nostre caselle di posta elettronica e si fanno
passare per ES SSC Italy). Sul portale Unicredit viene specificato che le documentazioni
relative alle attività delocalizzate devono essere inviate ai poli di ES SSC Roma e Milano,
rendendo, così, ignari i loro dipendenti del fatto che, in realtà, andranno in HP Polonia.
Per contro, da parte di ES SSC vengono inviate al “cliente” lettere ufficiali con il logo
Unicredit.
Tutto ciò ci ha fatto ritenere da subito che ci fosse violazione sulla legge della privacy ed è
stato richiesto in proposito sull’argomento un parere legale che ha confermato quanto da noi
sospettato. Tale parere è attualmente in possesso della Segreteria Territoriale.
La situazione ad oggi è la seguente:
Due terzi delle attività di ES SSC sono state delocalizzate coinvolgendo circa il 52% del
personale
La piattaforma tecnologica è completamente inesistente nonostante HP ci stia lavorando da
due anni. Del resto come può HP creare una piattaforma se ESSSC non è un ramo di azienda
e non gestisce per Unicredit dei processi dall’inizio alla fine essendo rimaste parte di attività
in Unicredit: ad es. il cedolino, la parte della fiscalità, piuttosto che i finanziamenti ai
dipendenti.
Come si possono, inoltre, acquisire nuovi clienti se non si può offrire un servizio completo e
neanche una piattaforma per gestirlo?
E’ evidente che non poteva e, soprattutto, non potrà esserci alcun business.
Nessuna commessa esterna è stata presa e non ci risulta essercene in corso di valutazione
Ad oggi ancora sulle lunghe assenze veniamo considerati come commercio, e così pure sui
versamenti contributivi all’INPS nonostante l’impegno preciso preso dall’Azienda di
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procedere alla rettifica, Inoltre tutti i mesi si verificano errori di ogni tipo sui cedolini; anche
molti CUD consegnati sono errati e la Payroll non risponde.
Dal 1° gennaio 2014 siamo transitati da Unica alle Generali ed ancora non ci è stata fornita la
polizza sanitaria, come previsto nell’accordo firmato dalle OO.SS. Senza considerare che i
lavoratori si sono ritrovate condizioni molto più sfavorevoli, come dover pagare per i
familiari a carico senza avere neanche a disposizione un disciplinare da visionare per poterne
valutare la convenienza o meno a fronte di un esborso non indifferente.
Riteniamo pertanto fallito il progetto Newton, poiché è chiaro che è servito ad Unicredit a
delocalizzare le attività di ES SSC, attraverso HP e liberarsi di 221 dipendenti. Il futuro
lavorativo dei dipendenti è in pericolo e non si vuole fare la stessa fine della FONSPA.
RELAZIONE SULL’OPERAZIONE V-TSERVICES
V-Tservices (Value Transformation Services s.p.a.), viene creata il 1/9/2013 come cessione del ramo
d’azienda di UBIS s.p.a (gruppo Unicredit), denominato ICT.
La nuova azienda risultava avere come proprietà, da visura camerale del 8/4/2014, per il 99.8% delle
azioni, UBIS s.p.a. e per lo 0,2%, IBM Italia s.p.a.
Il 5/9/2013 viene firmato l’accordo di armonizzazione, in cui viene riportata la percentuale azionaria in
questi termini: IBM 51%, UBIS 49% (a valle delle verifiche sopra citate, i valori non corrispondevano
al vero).
Nello lettere a latere dello stesso accordo, vengono tolte ai dipendenti VTS, tutta una serie di liberalità
presenti in UBIS che IBM non intende riconoscere, nonostante il contratto sia sempre quello del Credito
e la proprietà sia di fatto rimasta invariata.
Il 19/9/2013 compare sulla visura camerale una postilla, che riguarda l’aspetto societario, in cui UBIS
dà la responsabilità di direzione e coordinamento di VTS a IBM.
Di fatto IBM diventa il gestore di VTS pur non essendone il proprietario.
Il 19/5/2014 (come evidenziato in una successiva visura camerale del 1/7/2014), dopo la presentazione
del bilancio alle OO.SS., viene completato il passaggio delle azioni da UBIS a IBM, portando il
rapporto societario IBM 51% e UBIS 49%.
Da Incontro intersindacale con i coordinamenti di UBIS del 3/7/2014, è emerso che questi ultimi hanno
incontrato il capo del personale di UBIS prima della conversione delle azioni, per chiedere conto di tale
anomalia, ricevendo come risposta che si trattava di “problemi burocratici”, senza informare le RSA di
VTS.
Come è stato fatto notare da un membro della FISAC all’interno del coordinamento UBIS, questa
anomalia, se non collegata ad un patto parasociale, assumerebbe un carattere di gravità molto
importante, perché prefigurerebbe un falso in atto pubblico, essendo stato comunicato a Banca d’Italia,
alla Consob, ad Unicredit e agli azionisti.
Sfortunatamente nessuno dei suddetti componenti del coordinamento ha sentito il dovere di
approfondire la questione, ne di portarla all’attenzione degli organismi nazionali, ne di informare le
RSA di VTS.
Gli stessi coordinamenti di gruppo hanno affermato che non intendono perseguire strade che
contemplino il rientro dei lavoratori in UBIS, basato sulle prove di eventuali operazioni poco chiare
nell’ambito della JV, perché gli accordi si rispettano.
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Cos’è è VTS?
VTS conta su 309 lavoratori in Italia divisi sui poli di (Milano, Verona, Roma, Palermo, Torino,
Bologna, Brescia e Ancona), a cui vanno aggiunte le “branches” in Germania, Repubblica Ceca,
Slovacchia e Ungheria, per arrivare ad un totale degli effettivi al 31/12/2013 di 537 unità.
Il primo anno di attività è stato caratterizzato dal cosiddetto progetto di Transition & Transformation, in
cui IBM ha il compito di trasformare appunto la vecchia ICT di UBIS, in una realtà modello IBM, e per
fare ciò, ha letteralmente riempito VTS di personale IBM Italia e non solo: circa 180 persone di IBM in
consulenza fissa per VTS, più tutti i consulenti di terze parti,di cui non si conosce il numero, oltre al
personale della At&t (partner tecnologico e privilegiato di IBM), che ha preso in carico il controllo e
l’organizzazione della struttura di Network, non gestita da IBM (praticamente un subappalto
dell’appalto).
Il 1/1/2014 vengono assunti, a tempo determinato con contratto del credito per due anni, ma con una
limitazione dei benefit, 42 lavoratori provenienti da IBM (messi in aspettativa per due anni), inoltre
nel corso dei primi 4 mesi del 2014 viene creata una struttura in IBM Polonia, che conta ad oggi altre
42 unità ed è in continua espansione.
Tutto questo volume di persone, genera un consistente giro di costi, che hanno come destinatario finale
UBIS e che comportano un aggravio di spesa non indifferente per la controllante, nonostante il taglio
delle spese (soprattutto per quanto riguarda il network), fosse una delle ragioni che ha portato UBIS a
cedere il ramo d’azienda (per 9 mesi a se stessa).
Che l’operazione VTS sia assolutamente fittizia e messa in atto per motivi che sfuggono a qualsiasi
logica, è testimoniato dal fatto che, il personale VTS (ex-UBIS), continua a lavorare per lo stesso
cliente (Unicredit), con la stessa matricola UBIS, negli stessi uffici (a parte i colleghi di Milano che
sono stati spostati a Segrate, nei palazzi di IBM, dove VTS paga l’affitto), con gli stessi mezzi
operativi, e con le stesse macchine, almeno fino a quando (Marzo 2015?) IBM non cambierà tutte le
infrastrutture aziendali (PC, Rete aziendale) .
E’ di questi ultimi giorni la voce che UBIS starebbe pensando all’assunzione di nuovo personale da
destinare ad attività tecniche ICT per interfacciare il personale VTS, perché tutte le risorse più valide
sono state esternalizzate ed ora la banca non sa come controllare e validare le proposte che arrivano da
VTS.
Considerazioni:
VTS (terza operazione di esternalizzazione di UBIS nell’ambito dei progetti Newton/Gibson), doveva
nascere già nel Giugno del 2013, ma a causa di rilievi sollevati da parte della Banca d'Italia, (di cui non
conosciamo né gli estremi, né perché invece siano stati poi ritirati), la partenza dell'operazione è slittata
a Settembre 2013.
Come ha raccontato poi il CEO di VTS (già Sistemi Informativi, società del gruppo IBM), erano
parecchi anni che IBM faceva la corte ad Unicredit per creare una nuova società, con l'intento di entrare
nel mercato della gestione dei dati delle banche medio piccole.
In pratica una replica dell'operazione fatta a suo tempo da IBM con l’acquisto della "Sistemi
Informativi" (non a caso), che gestiva i database delle varie realtà romane (Banco di santo spirito, CRR
e poi Banca di Roma).
Con la creazione di una joint venture Unicredit-IBM (iscritta all’ABI ), la società Americana ha gettato
un ponte per entrare nel mondo bancario, a iniziare da Unicredit, come si evince girando per i corridoi
di Lampugnano (sede UBIS) dove ormai transitano stabilmente centinaia di consulenti IBM e non solo
(vedi Accenture).
VTS è visto come un posto dove poter collocare risorse in esubero in altre realtà IBM, impiegare in
consulenze strapagate il personale IBM Italia e IBM Polonia, con una commessa garantita da Unicredit
per 10 anni, ma con il programma di trasformazione che dovrebbe essere completato entro il
31/12/2015. Se in quella data il progetto dichiarato da IBM, (di prendere la gestione dell'IT di altre
realtà bancarie e di porsi anche sul mercato, come fornitore di servizi informatici), non dovesse
concretizzarsi, l'azienda americana potrebbe sparire velocemente dalla joint venture, senza perderci
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troppo (il personale assunto da IBM è in scadenza contrattuale proprio in quella data), lasciando ad
Unicredit l'onere di gestire i potenziali esuberi, se invece il “business” dovesse funzionare, IBM
potrebbe , alla scadenza dei 5 anni (periodo di garanzia come da accordo del 5/9/2013), procedere alla
sostituzione delle risorse ex-UBIS con il gruppo di lavoro IBM, che sta nascendo in Polonia.
L'operazione è stata gestita da UBIS come cessione di ramo d'azienda, ma in realtà è stata presentata da
IBM come operazione di co-sourcing (non di outsourcing), perché si tratterebbe, sulla carta, di
un'operazione alla pari, in cui UBIS mette le risorse umane, le competenze specifiche in campo
bancario, gli asset tecnologici e il software gestionale Eurosig (di cui UBIS è ancora proprietaria),
mentre IBM ci metterebbe tutte le risorse umane per completare la struttura di marketing, finance,
legal, management etc.... Oltre a metterci in teoria macchine e software.
VTS nasce già con una tara, infatti nel Maggio 2013, Ubis non rinnova il contratto di gestore della rete
a Fastweb e affida la gestione della propria rete ad At&t, con l'intento di abbassare i costi di gestione,
con la convinzione che la nuova società possa spuntare i prezzi migliori con i provider tradizionali
(vedi Telecom). Come già detto, la rete è una delle motivazioni, che UBIS ha usato come
giustificazione dell'operazione VTS, perché dai risparmi sulla rete dovevano emergere i maggiori
benefici. La cosa non è andata esattamente come previsto, intanto perché IBM (che ha controllo e
direzione di VTS), non ha le competenze per gestire la rete, quindi ha demandato ad At&t il controllo
totale del network aziendale, ivi compreso la gestione e organizzazione dei tecnici VTS che si occupano
del network (150 unità), in pratica un ramo d'azienda (il network) dentro ad un ex ramo d'azienda (l' ICT
di Ubis), ora VTS. Queste risorse sono ufficialmente VTS, ma vengono affittate ad At&t, che poi fattura
a VTS il servizio svolto sempre dagli stessi lavoratori, infine VTS ribalta i costi (che nel frattempo
sono ovviamente lievitati) ad UBIS . Le cifre di questo strano giro sono considerevoli.
In sostanza invece di diminuire, i costi per Unicredit sono cresciuti di circa 3 volte, senza contare il
fatto che il servizio reso da At&t, ha “pagato” il noviziato, con due “incidenti" a carico del servizio di
rete, che hanno generato mancati introiti per la banca, per parecchi milioni di euro e due costose penali a
carico di VTS.
Nonostante tutto questo, nell’annuale di UBIS, il progetto della joint venture viene considerato un
grande successo.
Bisogna inoltre aggiungere che, durante l’incontro con Unicredit per il piano industriale, i
coordinamenti di gruppo avrebbero espresso a Fiorentino, la perplessità legata alla anti economicità
delle JV, ricevendo come risposta che questa cosa non era di loro competenza e che decideva lui cosa
fare.
Faccio presente che secondo le ultime informazioni che ho ricevuto, purtroppo non fisicamente
disponibili, UBIS paga a VTS un giro di fatture in cui l’ammontare solo dell’ IVA è di circa 60 milioni
all’anno.
Criticità:
Nonostante non sia la proprietaria, IBM esercita con forza il suo controllo su VTS, con l’intento di
trasformare la nuova realtà (a vocazione bancaria), in una vera società di servizi informatici in stile
IBM.
Peccato che la gestione dei rapporti sindacali e del personale in genere, sia piuttosto deficitaria, forse
trascurata appositamente, visto che nel giro di due anni potrebbe di nuovo cambiare tutto, come sopra
riportato.
Le due risorse dell'HR (di cui una è il capo del personale), non riescono a sopperire alle richieste
provenienti dai colleghi, a causa del fatto, che le problematiche del personale sono gestire da HR SSC
(proprietà di HP), che però non è un fornitore di VTS, ma di UBIS. In pratica VTS paga UBIS per avere
lo stesso servizio fornito alla banca da HR SSC.
Questa situazione è solo transitoria (si parla di due anni di contratto), e non sarà rinnovata (a detta del
capo del personale di VTS).
Sfortunatamente il personale di SSC, ha ricevuto disposizioni per gestire VTS come un cliente
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secondario (non di banca) e ha smistato le attività di competenza ad un gruppo operativo di stanza in
Polonia, mentre per le informazioni generali, ha ricevuto l’ordine di “rimbalzare” le questioni al HR
business partner di VTS.
Di quanto sopra riportato esiste apposita documentazione.
La mentalità IBM deve essere imposta in maniera fideistica, pertanto assistiamo a richieste assurde,
come quella dei numeri di telefono personali, da comunicare su base volontaria, facendo arbitrariamente
riferimento all’Art. 5 del CIA (interventi estemporanei), oppure il tentativo di imporre un nuovo piano
delle carriere, senza concordare la modifica al CIA e al sistema dei quadranti. l’HR di VTS ha
l’abitudine di inviare le comunicazioni sempre in ritardo e spesso direttamente ai lavoratori senza prima
informare le RSA, anche quando sarebbe auspicabile.
Aggiungiamo a tutto questo il mancato rispetto di accordi presi in fase di passaggio, come l’accordo
integrativo sulla gestione della malattia, non ancora rispettato e che sta iniziando a creare problemi ai
lavoratori, per la discrepanza tra le categorie INPS passata e presente.
L’ultima trovata di VTS è l’imposizione di una procedura IBM denominata “Clean Desk Policy” da
estendere a tutto il personale, in cui si enunciano una serie di azioni da evitare (ad esempio lasciare
documenti aziendali e personali incustoditi, oppure lasciare il pc portatile aperto o non assicurato da
apposito cavo antifurto), queste indicazioni sono pure condivisibili, non fosse che si vieta di fatto di
usare le cassettiere e gli armadietti per contenere documenti personali, in quanto se lasciati aperti
possono essere oggetto di ispezione e il fatto di tenere anche solo una bolletta della luce può diventare
motivo di richiamo.
Per tutte le ragioni sopra citate, riteniamo che l’operazione VTS sia stata sbagliata e poco conveniente
per la banca e soprattutto che possa nascondere un progetto a medio/lungo termine, per eliminare 309
persone dalla banca, per mezzo delle delocalizzazioni, così come già sta avvenendo per le altre
operazioni del progetto Newton (SSC, ABAS).
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ES SSC – Team Generalist
ABAS
Spettabili Segreterie Nazionali FABI
FIBA/CISL
FISAC/CGIL
SINFUB
UGL CREDITO UILCA
Loro sedi
RISERVATA ALLE STRUTTURE
INFORMATIVA UNITARIA DELLE OO.SS. DI ABAS ALLE SEGRETERIE
NAZIONALI
In vista dei prossimi incontri per il rinnovo del CCNL CREDITO, che affronterà anche
l’importante tema delle esternalizzazioni, le scriventi ritengono necessario fare il punto sulla
preoccupante situazione venutasi a creare in ABAS, Accenture Back Office and
Administration Services SpA, esternalizzata Unicredit.
In data 12 aprile 2013 le Organizzazioni Sindacali Nazionali e del Gruppo UniCredit,
Accenture IS/ABAS e UniCredit/UBIS hanno sottoscritto un Accordo sindacale per definire
le garanzie per i 109 dipendenti, i cui rapporti di lavoro sono stati ceduti da UniCredit/UBIS
alla newco ABAS SpA, nell'operazione di esternalizzazione dell’Invoices Management pur
con una reiterata posizione di contrarietà - espressa anche nell'Accordo – delle
Organizzazioni Sindacali verso l’operazione.
In tale Accordo - oltre alla definizione delle garanzie contrattuali ed economiche - venivano
fissate alcune tutele occupazionali che, abbinate agli impegni progettuali di tipo industriale,
definiti e deliberati da UniCredit e condivisi da Accenture, dovrebbero scongiurare future
tensioni occupazionali.
In realtà ABAS, che è una società partecipata al 51% dal gruppo Accenture e per il 49 % dal
gruppo Unicredit, sta operando in modo diametralmente opposto a quanto stabilito
dall’accordo: nei fatti, sin dal luglio 2013, ABAS ha avviato una progressiva delocalizzazione
del lavoro fino ad allora svolto in Italia, verso non meglio definite strutture di Accenture con
sede nell’Isola Mauritius e con l’utilizzo di personale non dipendente di ABAS e il cui
contratto di lavoro non fa riferimento all’area del credito.
Dalla creazione di un primo nucleo di 9 lavoratori mauritiani, a soli 3 mesi dalla costituzione
di ABAS SpA, siamo giunti a fine maggio 2014 con la comunicazione che il numero dei
lavoratori mauritiani è stato portato a 19 unità, con un incremento delle lavorazioni
delocalizzate pari all’85% dell’attività principale svolta da ABAS per Unicredit, senza che
alcuna altra nuova attività sia stata acquisita da ABAS dalla sua costituzione risalente a 16
mesi orsono.
1
L'obiettivo principale del progetto industriale, secondo quanto sottoscritto nell'accordo
12.4.2013, che era quello di: “cogliere nuove opportunità di business anche esterne al
Gruppo, attraverso la valorizzazione di attività specialistiche e best practice di erogazione di
servizi a supporto dei processi di Invoices Management”, risulta del tutto non raggiunto, né
tantomeno appare perseguito da ABAS e da Accenture.
Segnaliamo inoltre che:
- ai primi di giugno 2014 l'unico dipendente con la qualifica di dirigente, che avrebbe dovuto
operare in ABAS SpA per sviluppare l'attività, ha presentato le dimissioni dietro incentivo
aziendale;
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- il passaggio, nel maggio 2014, al nuovo sistema informatico (SAP) - che presenta gravi
carenze procedurali – ha avuto luogo senza erogare al personale ABAS la necessaria e
indispensabile istruzione e con la prospettiva che l’attività sarebbe stata delocalizzata
all’estero;
- ABAS SpA viene diretta da una serie di persone – poste in posizioni apicali - che non
dipendono da ABAS SpA, ma da Accenture o da società del gruppo Accenture;
- molteplici particolarità del contratto del credito vengono applicate in modo non corretto a
causa dell’ utilizzo da parte di Accenture di società per i servizi comuni che fanno riferimento
a norme e conoscenze di settori merceologici diversi da quello del credito (rilevazione delle
presenze, rendicontazione delle ferie, trattazione delle assenze per malattia, ecc.);
- nel maggio 2014 ci è stato comunicato che la controllante di ABAS - Accenture Insurance
Services SpA (AIS) – è stata sostituita dalla società Accenture Managed Services SpA.
In tale contesto cresce fortemente la preoccupazione dei lavoratori di ABAS SpA distribuiti
nei due poli di Trieste e di Roma da noi rappresentati, in quanto le attività delocalizzate
potrebbero essere sostituite da altre, non derivanti da nuovi appalti acquisiti da ABAS ma
derivate da appalti già presenti nel gruppo Accenture, con conseguenti rischi di trasferimenti
mansionali o distacchi di personale, e comunque in palese contrasto con gli obiettivi fondanti
per la creazione di ABAS SpA, come già sta avvenendo presso la sede di Roma dove solo 2
colleghi su 24 stanno effettuando il lavoro trasferito da Unicredit con il citato accordo
dell’aprile 2013, mentre 6 colleghi sono stati distaccati a lavorare presso strutture esterne
senza che sia stato formalizzato alcun accordo in tal senso con le OO.SS. di ABAS. Il tutto va
ad aggiungersi ai notevoli disagi creati ai lavoratori di ABAS Roma in seguito allo
spostamento della sede di lavoro in zona estremamente periferica della Città, con percorrenze
per raggiungere il posto di lavoro, anche di qualche ora.
Gli obiettivi, per quanto riguarda l'occupazione, prevedevano: "di garantire creazione di
valore e prospettive di lungo periodo per i lavoratori coinvolti", inoltre le affermazioni
pubbliche del management di UniCredit prospettavano l'aumento dell'occupazione nelle
piazze in cui i due rami dell'attività di "Invoices Management" operano, ovvero Roma e
Trieste.
Secondo le scriventi RSA tutte le vicende descritte sono in palese contrasto con gli impegni
sottoscritti dalle Segreterie Nazionali e di Gruppo in indirizzo, dalle stesse RSA interessate, e
dalle aziende coinvolte e confermano il fallimento - ad oggi - del progetto industriale posto a
base della costruzione di ABAS SpA e che ha comportato la cessione dei contratti di lavoro
dei lavoratori già del gruppo UniCredit alla, allora costituenda, ABAS SpA.
Si vuole inoltre far presente che tale operazione ha creato pesanti disagi nei lavoratori
interessati, stante il clima di costante incertezza sul loro futuro in un momento economico che
vede il nostro Paese attraversare un periodo in cui, se da una parte il posto di lavoro non
viene più considerato come una certezza, dall’altra rimane comunque la principale fonte di
sostentamento per le persone. Quando si decide del futuro degli altri, è necessario tener conto
che si sta parlando di persone e non di oggetti di cui ci si può liberare quando si vuole,
persone la cui stanchezza o disperazione può, purtroppo, portare a conclusioni anche tragiche.
Segnaliamo inoltre una notizia relativa al gruppo Accenture, anche se non inerente al mondo
bancario, apparsa sul quotidiano “La Stampa” in data 25/8/14 e riportata poi anche sulla Rete.
Il gruppo Accenture avrebbe deciso di attivare la procedura di licenziamento collettivo per
262 lavoratori di Palermo in quanto non è in grado di garantire loro la continuità lavorativa
dopo che questi lavoratori, inizialmente dipendenti di British Telecom, sono stati ceduti con
un’operazione di cessione di ramo di azienda. Anche questa notizia preoccupa non poco tutti
noi lavoratori di ABAS, in quanto dipendenti di una società controllata da Accenture. A
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questo punto ci chiediamo con forte preoccupazione: quale futuro il gruppo Unicredit e il
gruppo Accenture hanno pensato per ABAS?
Trieste/Roma, 12 settembre 2014
Daria Stipancich – Fabi Trieste Antonio Saltalamacchia – Fabi Roma Franco Santarossa –
Fiba/Cisl Cristina Kerpan – Fisac/Cgil Pierpaolo Sonnoli – Sinfub
Maurizio di Manzano – Ugl Credito Roberto Cargniel – Uilca
le RSA di Abas SpA di Trieste e Roma
UCCMB LA PROSSIMA PREDA
STRUTTURA AZIENDALE:
AMMINISTRAZIONE/ DIREZIONE
si occupa di tutte le attività puramente amministrative sia relative ad UCCMB che, per conte
terzi.
Tra le attività maggiormente delicate e per le quali sono impiegate risorse di alto profilo ci
sono la predisposizione dei bilanci, le segnalazioni in Ce.Ri. Banca d’ Italia, anche ai fini
della sorveglianza del patrimonio di vigilanza.
Altre strutture che fanno capo sempre all’ amministrazione sono: il settore “legale”, il settore
del “controllo rischi”, la gestione ed i contatti con le Confidi.
Tale settore, che risulta suddiviso in strutture sulle piazze di Verona e Roma, al 31/12/2012,
occupava complessivamente 293 FTE.
RETE/ GESTIONE
Tale settore rappresenta il core-core business dell’ Azienda, e al 31/12/2012 impiegava 468
FTE.
Si divide principalmente in 4 strutture (Departments):
1) Work out Captive Department:
si occupa della gestione stragiudiziale e/o giudiziale dei crediti, sia a sofferenza che ad
incaglio revocato, vantati dal Gruppo Unicredit.
Inoltre, ad oggi, è preposta alla predisposizione dei rating delle varie posizioni in gestione,
propone delle svalutazioni motivate e la Mandante ha il compito di condividere o meno dette
proposte ed in caso positivo di effettuare i relativi accantonamenti in bilancio.
La struttura di cui trattasi si interfaccia ed in alcuni casi si interseca con la struttura Work out
di Unicredit S.p.A. (per seguito Mandante).
Questo department è suddiviso in 4 macro strutture:
- Business North Italy Captive Department
di viso a sua volta nelle seguente filiali:
Filiale Piemonte Val d’ Aosta e Liguria
Filiale Lombardia
Filiale Triveneto
- Business Center Italy Captive Department:
Filiale Lazio Captive
Filiale Toscana Umbria Molise Abruzzo Sardegna
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Filiale Emilia Marche
- Business South & Sicily Captive Department
Filiale Campania Basilicata Puglia
Filiale Sicilia Calabria
- Large Files & Specialities Department
gestiscono ad oggi i crediti superiori ad 1 milione di euro.
2)Work out Property Departments:
gestisce i c.d. Crediti di proprietà, rappresentati principalmente dalle sofferenze (per un
controvalore nominale di circa € 16 miliardi), che il Gruppo Unicredit all’ indomani del carve
out, nel 2008, aveva ceduto alla Società Veicolo denominata Aspra Finance S.p.A.,
controllata al 100% e poi, nel 2010 fusa per incorporazione in UCCMB.
Territorialmente la struttura di cui trattasi è suddivisa come il Captive Department (sub 1).
3) Special Credit Department:
Questa struttura è divisa in due macro aree:
- il Workout Extracaptive Department, che gestisce crediti di altre Banche, Finanziarie (c.d.
extra- caèptive; fuori dal Gruppo)
- il Customer & Leasing Recovery Department: gestisce il recupero giudiziale e/o
stragiudiziale dei crediti rivenienti da contratti di Unicredit Leasing sia risolti che non risolti.
- il Commercial Juridical & Previdential Credits Department: si occupa della gestione dei
crediti rivenienti da cartolarizzazioni effettuate da alcuni enti previdenziali e la riscossione di
crediti commerciali (esempio bollette telefoniche della Wind, etc)
4) Business Development Department
trattasi della struttura commerciale di UCCMB dedicata a ricercare nuovi clienti che vogliano
conferire mandato per le gestione dei crediti.
5) Global Banking Services Department
trattasi della struttura che si occupa dell’ apertura dei conti correnti, al momento dedicati
solamente ai legali esterni convenzionati con UCCMB, su questi conti transitano le fatture
liquidate per le attività legali svolte.
DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’ SVOLTE:
UCCMB ( Unicredit Credit Management Bank) già Ugc Banca ( Unicredit Gestione Credit),
già Mediovenezie Banca, nasce tra il 1998 e il 1999 con il precipuo scopo di gestire i crediti
deteriorati del nascente gruppo Unicredito Italiano.
Preme sottolineare che eredita da Mediovenezie Banca e mantiene ad oggi la licenza
bancaria.
L' esigenza primaria era quella di gestire su una piattaforma unica il portafoglio incagli e
sofferenza delle varie banche che in quegli anni venivano fuse per in corporazione.
Sin dall' inizio comunque era previsto nello statuto che la BANCA fosse aperta al mercato dei
crediti extra captive.
25
La prima grande cartolarizzazione che si trova a gestire fu quella denominata "Quercia
Funding" con trusting a News York, la cartolarizzazione de qua che prevedeva l' emissione di
3 categorie di obbligazioni con relativi gradi di rischio e quindi di rendimento, era rivolta agli
investitori istituzionali e si concluse prima del tempo finale stimato, con ottimo profitto.
Tra il 2001 e il 2006 la società acquista nuovi mandati da altre banche e società veicolo
(esempio Carifac, CR di Rimini, Eris Finance, varie cartolarizzazioni ipotecarie in cui l'
investitor era Deutsche Bank).
In quegli anni la banca si era dotata anche di una task force per effettuare le due diligice su
mandato degli investitors.
Questo comportò che nel medesimo periodo temporale ( tra il 2001 e il 2006) si passò da un
attività di gestione prettamente captive ad una in cui il monte complessivo delle posizioni
gestite ( oltre il 60%) era costituito da mandati provenienti da mandanti extra captive. Questo
comportò una notevole redditività a consolidato per Unicredito.
Si giunge così al 2007 anno della nota fusione tra Unicredito e Capitalia. In questo momento
si verificò la medesima esigenza che era venuta ad esistenza agli inizi ossia gestire in modo
omogeneo i crediti deteriorati della new holding, con tutte le difficoltà del caso dal punto di
vista sia informatico, sia documentale (reperimento dei fascicoli), che di piano industriale e
strategico ( occorreva infatti massima attenzione agli accantonamenti, creare una sorta di
archivio centralizzato, gestire la rete esterna dei recuperato ti, etc. Etc.).
Da questo momento in poi si assiste ad una riorganizzazione interna nella direzione di una
maggiore complessità dell’ organizzazione.
Nel 2008:
si avvia una operazione di re-brending e UGC banca prende l' attuale denominazione di
UCCMB,
Il numero dei dipendenti sale esponenzialmente da meno di 300 risorse ad oltre 900 risorse,
vengono riallocate soprattutto le risorse provenienti da CSJV ( Capitalia Service Joint
Venture),
Aumenta soprattutto il settore amministrativo, in relazione a tutte le nuove attività conferite
in out surcing collegate ai crediti deteriorati che la new holding conferisce ad UCCMB
(esempio rinnovo delle ipoteche, comunicazioni ai consorzi, proposte di revisioni dei Rating
etc.)
Nello stesso periodo UCCMB partecipa e si aggiudica un bando per la gestione dei crediti
previdenziali degli agricoltori (oltre 1 miliardo di euro) che l' INPS decise di cartolarizzare, in
questa sede giova sottolineare che sta volgendo al termine naturale da contratto anche questa
gestione, che probabilmente non verrà rinnovato dal consorzio di investitori,
Questa della cartolarizzazione dei crediti previdenziali, sarà l' ultimo vero mandato
significativo, sul fronte extra captive, infatti a far data dal 2007/2009 si assiste alla perdita,
per revoca o non rinnovo, di importanti mandati ( ad esempio quelli Eris Finance, Maia
Finance, etc). Questa perdita, non produsse fortunatamente ricadute occupazionali in quanto
era, come sopra accennato, aumentato in modo esponenziale il carico di lavoro a seguito della
fusione Unicredit-Capitalia. Questo comunque ha comportato un calo di redditività nel
consolidato della Holding.
Nel 2008 vengono cartolarizzati circa 16 miliardi di sofferenze della holding e vengono
acquisite dalla SVP denominata Aspra Finance, questa poi nel 2010 viene fusa per
incorporazione in UCCMB, il corrispettivo per l' acquisizione del pacchetto viene mutuato
dalla holding con un prestito onerose rimborsabile ( se non sbaglio) in 10 anni.
UCCMB acquista così come suo asset principale il predetto portafoglio con un contro valore
nominale di circa 16 miliardi di euro.
A questo punto l' assetto organizzativo che si dette UCCMB era come una sorta di tavolo a
tre gambe:
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Un department per i crediti captive ( che rappresentano da questo momento in poi oltre l' 80%
del portafoglio gestito),
Un department extra captive ( che a seguito della predetta perdita di mandati, diventa
residuale)
Un department property ( per la gestione delle sofferenze ex Aspra)
Inoltre nello stesso periodo UCCMB costituì ed ancora controlla al 100% UCCMI ( unicredit
credit management immobiliare). Lo scopo era quello di gestire il patrimonio immobiliare
acquisito da CSJV e quello di stipulare con le associazioni dei consumatori e le istituzioni del
governo alcune operazioni di assistenza ai debitori ipotecari in difficoltà. Tali propositi ad
oggi, salvo errori, non sono andati a buon fine ( esempio accompagnare all' asta i possibili
acquirenti, fare operazioni di acquisto e cessione in affitto di immobili pignorati, etc).
Con questo assetto organizzativo e qualche aggiustamento di poco conto si è proseguito fino
all' iniezione del corrente anno, quando si è deciso di tentare il ritorno all' acquisizione di
nuovi mandati. Si è quindi aggiunta una "quarta gamba" il department development, che ha il
precipuo scopo di di acquisire nuovi mandati, anche commerciali ( esempio fatture, bollete di
forniture varie, etc) .
ORGANICI E CORE BUSINESS
Ad oggi vi sono circa 744 FTE, il 65% circa dei quali svolge attività di gestione e recupero
dei crediti, oltre che attività di acquisizione e gestione di nuovi mandati commerciali, le
restanti risorse sono allocate in attività di amministrazioni, anch' esse importantissime per il
business della società ( esempio vigilanza del patrimonio, segnalazioni in ce.ri, bilancio, etc,
sia per conto proprio che di terzi),
Il principale e quasi esclusivo asset della società è rappresentato dai c.d. Crediti Property.
Pressochè la totalità del personale di UCCMB è rappresentato da persone con skill medio
alto, laureate e con un eccezionale grado di esperienza e di professionalità.
Ad oggi UCCMB, per la gestione stragiudiziale, si avvale della collaborazione esterna di
società di recupero crediti e di mediatori crediti che complessivamente ammontano ad oltre
1500 persone,
Per la gestione giudiziale è convenzionata con oltre 300 legali esterni.
Trattasi quindi di una società complessa e che svolge importanti attività finanziarie sia per
conto proprio, sia del Gruppo, che di terzi. Oltre che, giova sottolineare, fornire lavoro, tra
personale interno ed esterno, ad oltre 2000 persone.
FUTURO DELL’ AZIENDA
Come ormai noto la Holding Unicredit ha messo sul mercato UCCMB, ritenendola non più
strategica.
A più riprese sugli organi di informazione finanziari (Sole 24 Ore, Milano Finanza) si è
parlato anche di una vendita dell’ intero capitale sociale.
Questa intenzione come è ovvio immaginare non può lasciare tranquilli le OO.SS. e i
lavoratori, in quanto UCCMB che come detto sopra, compreso l’ indotto da lavorare ad oltre
3.000 persone.
La cosa che aggrava ulteriormente la situazione è che, non si paventa una cessione del ramo
di azienda (come avvenuta in altre funeste occasioni). Nel caso di specie si parla di vera e
propria vendita, come tale non sufficientemente tutelata dalle leggi e dal CCNL.
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Anche la forza contrattuale del Sindacato, quando, si aprirà la fase relativa alla trattativa per
le garanzie occupazionali e per le salvaguardia, sarà estremamente ridotta, se non addirittura
azzerata.
Per questa ragione appare opportuno approfondire tout court, anche grazie all’ assistenza di
giuslavoristi e di esperti in diritto bancario, il quadro normativo, al fine di non farsi trovare
impreparati appena l’ Azienda dovesse essere venduta.
Relazione della RAS UBIS di Roma sulle Esternalizzazioni.
E’ ormai patrimonio comune che le esternalizzazioni non siano altro che licenziamenti
differiti, si portano fuori dalle aziende bancarie settori, nemmeno settori definiti, bensì gruppi
di persone a cui viene progressivamente tolto il lavoro per poi dichiararli esuberi alla fine del
periodo di garanzia, non trascurando il tentativo di deportarli in altri settori anche prima della
scadenza del periodo stesso.
Da non trascurare che spesso queste “vendite” non risultano nemmeno reali, con passaggi di
azioni solo su sollecitazione o addirittura finte vendite, si fanno solo per togliere diritti ai
lavoratori ed anche i probabili mancati flussi di danaro andrebbero controllati dalla guardia
di finanza.
Il tentativo di estrapolare dal contratto del credito le attività di Back Office e Tecnologiche è
addirittura “storico” per chi ricorda il lodo Donat Cattin. Ora ci stanno riuscendo, con la
complicità non opposizione di tutto il sindacato, che sembra aver messo in conto,
l’amputazione di una parte della categoria pur di continuare ad esistere come simulacro di
sindacato.
La rana è stata messa a bollire nell’acqua fredda per non accorgersi del pericolo, piani
industriali con la sola indicazione del numero degli “esuberi” sono stati accettati poiché si
disse allora: “non ci sono né morti né feriti”, questo grazie al fondo che il più delle volte è
stato usato volontaristicamente (anche se spintaneamente). Si è trattato anche allora di un
investimento avventato in derivati, i morti e i feriti si sono verificati solo più tardi, vedi le
banche estere che hanno licenziato, le banche piccole che hanno chiuso (ancora brucia il
licenziamento dei colleghi del Fonspa che con lungimiranza chiedevano di non accettare
passivamente i piani industriali finti ed a perdere posti a gratis).
Le manchevolezze del sindacato non si sono fermate all’accettazione dei piani industriali, ma
anche nel non aver contrastato politicamente né legalmente lo spostamento all’estero delle
lavorazioni bancarie, delocalizzazione di parte del lavoro svolto per le banche italiane che si è
lasciato sfuggire alla tutela del CCNL del credito. Pure qui è stato un investimento miope di
derivati a futuro danno, ora il lavoro che viene esportato causa immediati esuberi e
licenziamenti in patria.
Tra le proposte del sindacato per definire un nuovo modello di banca c’è anche:
Costituzione di consorzi di back office al fine di contrastare le esternalizzazioni e rafforzare
l’aria contrattuale;
L’area contrattuale non si è difesa lasciando esternalizzare e lasciando appaltare anche il non
appaltabile ed ora si offre una soluzione che tale non è, visto che le banche, potendo, vedi
Montepaschi, già lo fanno contribuendo alla divaricazione tra filiali e back office.
Questo è un ennesimo autogol sindacale a riprova della finta opposizione ai progetti
dell’ABI.
Addirittura scandalosa l’apertura di piani industriali in concomitanza di scadenza del CCNL
che sarà sicuramente compromesso da accordi di importanti gruppi come Unicredit che ne
indeboliranno l’impianto. Anche i sindacalisti attenti ai desideri della controparte di altri
gruppi, scaricheranno la colpa (ipocritamente) sui cattivi risultati della trattativa del nostro
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piano industriale, se fossi nei panni dei sindacati di altri gruppi non consentirei ai nostri di
contrattare parti che sicuramente incideranno sulla vita di tutta la categoria.
La speranza è che l’attacco frontale dell’Abi a tutta la categoria, la ricompatti e la porti a
lottare. Visto che anche le filiali vengono duramente ridimensionate, sia nel numero che nelle
attività, e che anche il lavoro di bancario può essere appaltato a consulenti esterni alla banca,
procuratori e commerciali vari, vedi la vendita immobiliare (fra l’altro in un momento in cui
insiste una crisi senza precedenti in questo settore).
Il timore è invece che si arrivi di nuovo ad un contratto siglato a perdere senza un’ora di
sciopero e con nessuna possibilità di verifica certificata dell’approvazione o meno dello
stesso, l’esperienza del precedente “docet”.
Passando alle proposte concrete: prendere per vere e serie le richieste di ridimensionamento
degli stipendi dei super manager ma attaccandoli “culturalmente” come responsabili della
crisi.
Il credito alla produzione e non alla finanza con misure penalizzanti per questo tipo
d’investimenti.
Blocco delle trattative dei piani industriali prima della firma del CCNL.
Prepararsi ad uno sciopero del Lazio e delle regioni che ci stanno “probabilmente” della sola
CGIL.
Per contrastare efficacemente il ricorso alle consulenze esterne, estendere a tutta la categoria
il ricorso alle cause per interposizione fittizia di manodopera, è giunto il momento anche
perché a breve i nostri consulenti italiani saranno sostituiti da quelli dell’Europa dell’est,
anche in questo campo, non riceviamo solo segnali, ma certezze, e la cosa non riguarda solo i
consulenti, ma anche i nostri colleghi che si sentono sempre più spesso proporre trasferte per
andare ad insegnare il lavoro all’est per poi cercarsene un’ altro qui oppure accettare da
subito il trasferimento.
Abbiamo già fatto un accenno al fatto di interessare la finanza su queste compravendite
fittizie o meno di rami d’azienda, credo che come dimostrano anche fatti più eclatanti come
l’Alitalia o meno eclatanti ma ugualmente “dolorosi” come la Roma Multiservizi S.p.a.
(società partecipata del comune di Roma), dietro questi scambi di proprietà in realtà ci sono
sicure diminuzioni di diritti, certi licenziamenti e più che probabili truffe ai danni dello Stato
(erario) e circolazione di “nero” e “mazzette”. E’ giunta l’ora di organizzare uno staff “legale
che studi come denunciare questi traffici.
A VOLERCI LAVORARE NON MANCANO CERTO GLI ARGOMENTI E NEPPURE LE
SOLUZIONI.
Mettere in rilievo che in Fruendo visto l'altissimo numero dei quadri è stato chiesto al
sindacato la possibilità di demansionare dimostrando che non c'era autonomia funzionale e
che si è pescato come meglio si poteva
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