ANDIS. Assurdo se i Dirigenti non parteciperanno a valutazione docenti Secondo il “preside” deve poter entrare nella valutazione dei docenti, scegliendo le figure intermedie che intervengono sugli aspetti organizzativi e gestionali dell'istituzione. In un simile scenario, qual è il destino degli Organi Collegiali? Quanta consonanza c’è con le linee guida del Governo? La parola a Paolino Marotta, Presidente Andis. Presidente, nel documento conclusivo del vostro ultimo seminario si parla della valutazione dei docenti come di una “condizione irrinunciabile” e si auspica il diretto coinvolgimento del dirigente scolastico in essa, un’affermazione che potrebbe, tuttavia, creare qualche allarmismo. Che cosa intendete esattamente? “Le molteplici esperienze di autovalutazione e di rendicontazione sociale avviate con successo in tante scuole del Paese hanno diffuso negli ultimi anni tra il personale docente una più profonda cultura della valutazione, intesa sia come strumento di conoscenza dei punti di forza e di debolezza della propria organizzazione, sia come percorso di miglioramento continuo per superare le criticità e procedere alla riprogettazione. All’interno di questi processi si giustifica un sistema di valorizzazione e di valutazione del personale (docente, dirigente e ATA). L’indicazione degli strumenti con cui si dovrà realizzare spetta ovviamente al decisore politico, che dovrà definire la materia con estrema attenzione, data la delicatezza del rapporto con le categorie di lavoratori e le rappresentanze sociali. L’ANDIS ritiene che in ogni caso un sistema di valutazione dei docenti debba necessariamente coinvolgere il dirigente scolastico, in quanto primo responsabile dei risultati dell’autonomia scolastica ed egli stesso destinatario di valutazione. Si può discutere del peso e degli strumenti che dovrà esercitare il ds in questo processo, come pure dell’organo cui sarà affidata la responsabilità della valutazione dei docenti. Sembrerebbe assurdo al contrario che il ds ne restasse fuori, considerato anche che da 40 anni la norma attribuisce al dirigente scolastico la presidenza del Comitato per la valutazione del servizio degli insegnanti, compreso il compito di rendere al Comitato stesso una relazione sulle qualità intellettuali, la preparazione culturale e professionale, la diligenza e il comportamento nella scuola del docente. Certo è che la valorizzazione del merito nella scuola deve coniugarsi con l'innalzamento generalizzato della qualità del servizio scolastico, con la revisione dello stato giuridico e della carriera dei docenti e con la previsione di un sistema di formazione in servizio obbligatoria dei docenti e degli stessi dirigenti, che preveda anche forme di valutazione e una verifica delle competenze acquisite”. Se è giusto che i dirigenti valutino i docenti, chi valuterà i dirigenti? “Come è noto, in base al CCNL dell’Area V la valutazione dei dirigenti scolastici spetta al Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, che si avvale di un Nucleo di valutazione composto da un dirigente tecnico, un dirigente amministrativo ed un dirigente scolastico. Sulla base delle relazioni del team il Direttore Generale dell’USR esprime il giudizio di valutazione finale che ha conseguenze per i futuri incarichi del dirigente e per la sua retribuzione. Il DPR 80/2013 e la Direttiva 11/2014 da quest’anno innovano la materia mettendo in relazione gli obiettivi definiti nel contratto di incarico con il piano di miglioramento della scuola. Vale a dire che gli indicatori (in via di formulazione da parte dell’INVALSI) dovranno considerare sia le realtà delle scuole che i processi attivati dai dirigenti in coerenza con il piano di miglioramento. Riteniamo che il portfolio potrebbe risultare lo strumento più adatto per rilevare gli aspetti peculiari della professionalità e le modalità di intervento nello specifico contesto scolastico”. Ribadite ancora una volta, e con una certa perentorietà, la validità delle equazioni: istituzioni scolastiche autonome = amministrazioni dello Stato; dirigenti scolastici = vertici delle istituzioni scolastiche autonome; dirigenti scolastici = dirigenti dell'amministrazione statale. Ci può riassumere quali fonti normative confortano questo quadro? “Nel Seminario sulla dirigenza scolastica, che abbiamo tenuto recentemente a Roma, la Prof.ssa Anna Maria Poggi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino, ha chiarito che il dirigente scolastico partecipa pienamente della funzione dirigenziale pubblica ed in particolare statale, come attesta la collocazione sistematica degli art. 25 e 29 che il D.Lgs n. 59 del 1998 ha inserito dapprima nel D.Lgs n. 29 del 1993 e poi nel D.Lgs n. 165 del 2001, interpolando il Capo della “Dirigenza” (Capo I). Il D. Lgs 165/01 non ha sottratto al DS le competenze di leadership didattica, ne ha invece completato la figura aggiungendo funzioni tipicamente manageriali. Intervenendo sulla materia, il Consiglio di Stato, con parere 394 del 16 ottobre 2003, ha chiarito: “La collocazione dei dirigenti delle istituzioni scolastiche nell’ambito della dirigenza statale trova, poi, riscontro nell’art. 1 comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che precisa: “Per le amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado …” nonché nell’art. 13 dello stesso decreto legislativo, che, a sua volta, prescrive: “Le disposizioni del presente capo [riguardante la dirigenza] si applicano alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”. Dunque, il dirigente scolastico è dirigente dello Stato a tutti gli effetti. E’ inaccettabile, a questo punto, la motivazione con cui il disegno di legge 1577 (AC) esclude la dirigenza scolastica dal ruolo unico della dirigenza pubblica solo perché si tratta di dirigenza professionale, quasi che la dimensione professionale della dirigenza costituisca una diminutio rispetto all’essere pubblica. D’altra parte, autonomia scolastica e dirigenza scolastica godono di riserva Costituzionale come prescritto all’art. 117 della novella Costituzionale”. Come mai è così fondamentale che ai dirigenti scolastici/dirigenti dell’amministrazione statale spetti ancora la cosiddetta leadership educativa? “Numerose ricerche - Hallinger (2003), Marks e Printy (2003), Leithwood e Jantzi, Paletta (2012) hanno dimostrato negli ultimi anni che una leadership for learning comporta un miglioramento significativo degli apprendimenti degli studenti. Questo modello di leadership, a cui l’ANDIS fa costante riferimento, presuppone che il dirigente scolastico decida di occuparsi di più del successo scolastico e formativo degli studenti. Si tratta di una impostazione professionale molto complessa, che chiede al ds di non farsi assorbire esclusivamente dalle incombenze amministrativo-burocratiche, ma di mantenere la focalizzazione sui compiti istituzionali e sulla mission della scuola. Per far questo occorre che il dirigente scolastico sappia organizzare, condurre e gestire l'insieme delle risorse umane, finanziarie e del contesto, che si impegni ad assicurare buone relazioni con il territorio, che promuova tra i docenti e con i docenti il valore della qualità degli esiti di educazione e di apprendimento, che sappia orientare la comunità scolastica verso il circolo virtuoso valutazione, miglioramento, rendicontazione sociale”. Parlate spesso anche delle “molestie burocratiche” che affliggono i dirigenti scolastici. Dovute a che cosa? “La gestione delle istituzioni scolastiche autonome è diventata negli ultimi tempi un’impresa molto faticosa e spesso frustrante, perché si tratta di dirigere una organizzazione complessa con molteplici articolazioni interne e rapporti impegnativi e costanti con altrettanto numerose realtà esterne. Si consideri che le operazioni di dimensionamento degli ultimi anni hanno innalzato sensibilmente la consistenza numerica delle autonomie, per cui ogni dirigente è chiamato a rapportarsi mediamente ad oltre cento unità di personale, quasi sempre distribuite su più plessi/succursali e, in molti casi, su diversi comuni. Anche il documento governativo “La Buona Scuola” lo ammette: “I dirigenti hanno la titolarità delle relazioni sindacali, la rappresentanza legale, sono datori di lavoro e stazione appaltante. Sono responsabili di (quasi) tutto; ma non hanno nelle loro mani le leve di governo per assumere al meglio tali responsabilità”. A questo si aggiunge il peso di molte procedure trasferite in questi anni alle scuole: reclutamento, carriera, cessazioni, contenzioso, rapporti con l’Ente Locale, sicurezza e salute dei lavoratori, privacy, rilevazioni periodiche su alunni, esiti scolastici, permessi, L. 104, assenze, oneri per supplenze, comunicazioni con MIUR e USR, ecc. Tanti di questi adempimenti rappresentano vere e proprie “molestie” per il loro reiterarsi, per scadenze sempre più vicine alle formali richieste”. Nell’ambito di una generale semplificazione normativa e burocratica, auspicate l’abolizione dei provveditorati agli studi: le istituzioni scolastiche possono diventare autarchiche? Non servono più uffici territoriali? “Serve una forte semplificazione delle disposizioni legislative sulla scuola, occorre cioè abrogare tutte quelle norme che appesantiscono l’attività dei ds e delle segreterie scolastiche. Non abbiamo mai parlato di istituzioni autarchiche. Anzi auspichiamo una legislazione che dia personalità giuridica alle reti di scuole autonome. Noi proponiamo semplicemente di porre a carico di appositi centri intermedi di servizio o a reti di scuole alcune funzioni amministrative “seriali” comuni a più scuole quali le graduatorie, le ricostruzioni di carriera, la contrattualistica, il contenzioso, la sicurezza, ecc. Non si tratta di abolire gli uffici periferici del Ministero, quanto piuttosto di ridisegnarne il ruolo e le funzioni in rapporto alla complessità e alle rinnovate esigenze delle istituzioni scolastiche del territorio”. Di quali figure strategiche le scuole hanno maggiormente bisogno oggi? “La complessità di una istituzione scolastica autonoma richiede necessariamente l’implementazione di una leadership diffusa, in stretto rapporto fiduciario con il dirigente scolastico, che deve quindi poter esercitare la propria facoltà di scelta sulle figure che con lui intervengono sugli aspetti organizzativi e gestionali dell'istituzione. Deve trattarsi di funzioni di sistema stabili e incardinate nell'assetto organizzativo della scuola, di elevata qualificazione professionale e pertanto opportunamente formate e retribuite, di cui devono essere riconosciuti i crediti professionali, anche in vista del corso/concorso per la dirigenza scolastica”. Si collega a quanto ha appena detto anche l’idea che agli Organi Collegiali non debbano più spettare, quindi, compiti di gestione. In che cosa si tradurrebbe, quindi, il loro apporto? “Non è più rinviabile la riforma degli Organi Collegiali, pensati 40 anni fa per una scuola in cui l'autonomia non era neppure un dato concettuale. Concordiamo con la proposta contenuta nel documento “La Buona Scuola” di definire una governance per le scuole coerente con il principio dell’ autonomia scolastica costituzionalmente protetto, per cui agli OO. CC. sono attribuite solo funzioni di indirizzo (come nel caso del Consiglio di Istituto), o tecniche (come nel caso del Collegio docenti), mentre le funzioni gestionali rientrano nella competenza e responsabilità del dirigente scolastico. Soltanto questa chiara e diversificata attribuzione di funzioni può rendere più credibili gli OO. CC., più certi gli ambiti di responsabilità e di competenza, evitando inutili e giustapposti adempimenti burocratico/formali”. Per quanto riguarda il reclutamento, sottoscrive quanto qualche mese fa ci disse il suo predecessore alla guida dell’Andis, il Professor Iannaccone, sull’opportunità di continuare a escludere dal concorso chi non possa vantare cinque anni di servizio in ruolo? “Credo che vadano condivise le valutazioni espresse dal mio predecessore sull’opportunità che l’accesso alla carriera di dirigente scolastico sia consentito, come prevede la legge, esclusivamente a chi proviene dal ruolo docente e che dimostri una anzianità di servizio di almeno 5 anni in tale ruolo, oltre che ovviamente il possesso di quei titoli di studio e di cultura richiesti per l’accesso ad un concorso pubblico per la dirigenza”. Mi pare sia di questi giorni la richiesta di un incontro col Ministro per discutere dell’abrogazione per il 2015 dell'esonero o del semiesonero dall'insegnamento ai docenti collaboratori del dirigente. Qual è la vostra proposta a riguardo? “Nei giorni scorsi l’ANDIS e la DISAL hanno prodotto congiuntamente un documento di protesta contro la previsione, contenuta nella Legge di Stabilità, di abrogazione dell’art. 459 del TU 297/94. A tal proposito abbiamo eccepito che l’abrogazione dell’istituto dell’esonero interviene prima che sia stato approvato il regolamento di attuazione dell’organico funzionale (che sarà certamente un’operazione lunga e piena di incognite) e, comunque, prima che sia stata determinata l’effettiva consistenza dell’organico dell’autonomia. Al riguardo abbiamo obiettato che nessuno sa se dal 1° settembre 2015 il Dirigente scolastico troverà nell’organico aggiuntivo di scuola le professionalità qualificate e disponibili ad assumere compiti e funzioni di staff e di collaborazione con la dirigenza e se il dirigente avrà la facoltà di scegliere i docenti con funzioni vicarie cui concedere l’esonero o il semiesonero. In conclusione abbiamo rivolto un appello al Ministro e al Parlamento perché si approvi un emendamento che garantisca che a decorrere dall’effettiva attuazione dell’organico dell’autonomia gli esoneri ed i semiesoneri previsti dal citato art. 459 saranno ricompresi in tale organico e che non vi sarà abrogazione del medesimo art. 459 prima che non sia stata normata la facoltà per il Dirigente scolastico di scegliere i docenti cui affidare l’incarico di collaborazione”.
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