Da poesia cortese a poesia comunale Federico II, Stupor mundi Gli uccelli che volteggiano nell’aria non possono essere addestrati con la forza, ma soltanto con l’intelligenza; per questo l’arte venatoria è la più nobile di tutte. (Federico di Svevia, Trattato di Falconeria) La Scuola poetica siciliana è forse la massima espressione della genialità di Federico II; appare dunque difficile, oltre che discutibile, analizzare la produzione letteraria senza prendere le mosse dalla figura dell’imperatore passato alla storia con il nome di Stupor mundi. Nel trentennio che va dal 1220 (anno dell’incoronazione di Federico II) al 1250 (anno della sua morte), la corte palermitana in cui il nuovo imperatore si stabilì rappresenta probabilmente lo Stato più avanzato d’Europa, il modello delle corti rinascimentali che fioriranno in tutta l’Italia centro-settentrionale qualche secolo dopo. Lo stesso Federico fu un sovrano poliglotta (parlava l’arabo, il siciliano, il tedesco e il francese, oltre che l’ebraico) e richiedeva ai suoi collaboratori le più disparate competenze (basti citare la figura di Michele Scoto, insieme architetto e astronomo di corte). 1 Il sovrano fu artefice di un’importantissima opera di sistemazione: culturale, basti pensare alla fondazione dell’Università di Napoli, prima istituzione statale e laica nel 1224, - politica, con la promulgazione delle Costituzioni di Melfi nel 1231 - e urbanistica, con la costruzione di castelli in tutto il Meridione d’Italia, sia sufficiente citare il magico edificio di Castel del Monte, del 1240 ca. Fu anche autore di opere poetiche in volgare siciliano, oltre al più noto Trattato di Falconeria, arte di cui era appassionato, scritto in latino, la lingua classica dei trattati ‘tecnici’. Fu fondamentale il mecenatismo esercitato da Federico, che amò circondarsi di intellettuali e di funzionari-letterati protagonisti di un’attività culturale che – seppure limitata al contesto cortigiano, di cui fu insieme massima espressione e tratto caratterizzante – rappresentò il vero inizio della letteratura italiana. Cielo (Ciullo) d’Alcamo, la poesia popolare Cielo (Ciullo) d’Alcamo rappresenta l’altra faccia della medaglia della composizione poetica siciliana, quella parodica o farsesca. È il testo che consegna alla storia il suo autore, di cui non abbiamo che poche e incerte notizie: Michele/Celi, Vincenzo/Vincenzullo/Ciullo?, nato probabilmente ad Alcamo (anche se il cognome è attestato già nel Duecento a Palermo), sicuramente letterato e colto, in grado di scegliere consapevolmente una forma ‘popolare’, quella del contrasto, in cui un uomo (nobile) e una donna (popolana) pronunciano una strofa ciascuno delle complessive 32. Il testo si rifà al genere della pastorella, storie, appunto, di corteggiamento, legate all’aspetto concreto e sensuale dell’amore, in ironica contrapposizione all’amor cortese cantato dai Provenzali e dai Siciliani. Il lessico è adatto alla situazione: popolare, basso, ‘comico’, ricco di riferimenti concreti (monete e usanze coeve). La metrica è regolare: 32 strofe di 5 versi, in cui si ripete il sistema di rime AAABB. Di seguito sono riportate le prime 4 strofe. Amante Rosa fresca aulentis[s]ima ch’apari inver’ la state le donne ti disiano, pulzell' e maritate: tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate; per te non ajo abento notte e dia, penzando pur di voi, madonna mia. Madonna - Se di meve trabàgliti follia lo ti fa fare. Lo mar potresti arompere, a venti asemenare, l’abere d’esto secolo tut[t]o quanto asembrare: avere me non pòteri a esto monno; avanti li cavelli m’aritonno. 2 Amante - Se li cavelli artón[n]iti, avanti foss’io morto, ca’n is[s]i [sì] mi pèrdera lo solacc[i]o e ’l diporto. Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto, bono conforto dònimi tut[t]ore: poniamo che s’ajumga il nostro amore. Madonna - Ke ’l nostro amore ajùngasi, non boglio m’atalenti: se ti ci trova pàremo cogli altri miei parenti, guarda non t’ar[i]golgano questi forti cor[r]enti. Como ti seppe bona le venuta, consiglio che ti guardi a la partuta. Appare evidente che non si tratta di una situazione ‘realistica’; ovvio che la pastorella non si potrebbe esprimere in rima! La scelta della situazione concreta è diametralmente opposta a quella dei più tradizionali cantori dell’amor cortese, se pure inevitabilmente legata all’ambiente autoreferenziale della corte. Lo Stil novo, un nuovo intellettuale Del tutto diverso l’ambiente culturale all’interno del quale si sviluppa lo Stil novo: il movimento (appare inappropriato parlare di scuola tout court) è formato da intellettuali d’impostazione ghibellina, attivi prima a Bologna (prestigioso centro universitario) e poi a Firenze, completamente calati nella vita comunale delle loro città, di nobile estrazione sociale (e ciononostante sostenitori della nobiltà d’animo, finalmente non più legata a quella della gens), impegnati nella vita politica (che pure è quasi sempre esclusa dalla loro produzione poetica) e inventori di uno stile ricco di novità. Uno stile sintatticamente piano, caratterizzato da un lessico semplice ma ricercato, sostenuto da molti riferimenti al linguaggio filosofico. Si deve dunque agli Stilnovisti la nascita di una classe d’intellettuali cittadini che sono per molti aspetti i precursori dell’Umanesimo civile caratteristico dell’Italia centro-settentrionale del secolo XV. Nuovo stile e nuovi temi Anche tra i poeti stilnovisti prevale nettamente la tematica amorosa; le donne da essi cantate, però, si muovono sullo sfondo realistico della città e coniugano i tratti spirituali e metafisici tipici del loro ruolo (una sorta di “donna-angelo” la cui semplice esistenza è in grado di suscitare l’innalzamento del pensiero verso Dio) con quelli di donne ‘vere’, che camminano per le vie cittadine (“Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira”, Cavalcanti; “ella sen va, sentendosi laudare”, Dante), salutano (donano il saluto e, con bisticcio semantico raffinatissimo, la salute, ossia la salvezza dell’anima) e occupano uno spazio reale e determinato. Non più “pitture 3 impresse nel cuore”, come in Jacopo da Lentini, ma persone in carne e ossa, anche se oggetti di un amore esclusivamente platonico e spirituale. 4
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