Intervento di P. GIANFRANCO MATARAZZO SJ

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Intervento di P. GIANFRANCO MATARAZZO SJ
in occasione della presentazione del libro di
Alberto Savorana “Vita di don Giussani” ed Rizzoli
Palermo 30 maggio 2014
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Comincio con una premessa.
Il mio è un angolo visuale esterno, con gli svantaggi e i vantaggi di una tale
prospettiva. Al tempo stesso, condivido con Don Giussani e con Comunione e
Liberazione l’appartenenza ecclesiale. In quest’appartenenza, sono portatore di un
altro carisma, quello gesuitico e ignaziano.
Nel mio intervento provo a condividere che cosa ho colto del carisma di Giussani a
partire dalla lettura del libro che presentiamo. Scelgo di soffermarmi, quindi, sulla
dinamica spirituale di questo carisma e lascio sullo sfondo le notevoli implicazioni
operative che questo carisma ha suscitato.
Concluderò soffermandomi su alcune caratteristiche che considero tipiche di
quest’esperienza.
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Il cristianesimo non costituisce un sistema culturale; non è un corpus dottrinale con
indicazioni sulla natura e l’essenza di Dio; non è un insieme di norme e regole di
carattere etico; non si esaurisce in riti e in pratiche liturgiche (235).
Il cristianesimo non è identificabile nelle rappresentazioni sociali che se ne possono
fare, né quando queste rappresentazioni risultino per esso gratificanti (espansione
geografica, consistenza numerica, riconoscibilità sociale, pratica religiosa) né quando
queste rappresentazioni risultino per esso mortificanti (superficialità della pratica,
incoerenza, secolarizzazione, difficoltà nel ricambio generazionale, edifici di culto
vuoti, scandali).
Il cristianesimo suggella il Vangelo, cioè una buona notizia: l’incontro personale da
parte dell’uomo con Dio. Con il cristianesimo, infatti, l’uomo incontra non una
legislazione religiosa ed etica attraverso cui entrare in reazione con Dio. L’uomo
incontra una persona, Dio. Anzi: l’uomo ha già incontrato personalmente Dio, per
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iniziativa di questi. Nessuno è in attesa di questo incontro, perché quest’incontro c’è
già stato: siamo già in relazione con Dio. Il battesimo ci inserisce in essa e ci abilita a
vivere di questa presenza. Occorre aprirsi a questo dato fattuale, ma quest’esperienza
non è da venire: è già in corso. “La grazia non la devi cercare, la grazia si
incontra” (256). Da quest’incontro, non prima, può scaturire una dimensione religiosa
ed etica che, a questo punto, serve a dare seguito e consistenza a questa presenza
nella propria vita.
Ecco come si presenta in sintesi l’itinerario personale e comunitario di Mons. Luigi
Giussani. Si tratta di un punto fermo della fede cristiana, attestato già negli scritti
neotestamentari. Il merito di Giussani è, da un lato, di averlo stanato da un lungo
letargo, in una condizione di apparente quiete ecclesiale e di pratica religiosa e,
dall’altro, di averlo rintracciato dandogli la struttura di una proposta robusta ed
esigente e, dall’altro lato ancora, di averlo reso facilmente comprensibile e
accessibile.
Nella storia del cristianesimo un insieme di fattori tende a riproporsi quasi
ciclicamente per adombrare la buona notizia da esso annunciata e dare spazio
preponderante a fattori e aspetti di esso non primari.
Giussani identifica diverse insidie per il cristianesimo. Alcune di queste insidie sono
state storicamente identificate: laicismo liberale, marxismo, ecc. In realtà, ci sono
insidie interne al cristianesimo stesso, non attribuibili in toto a fattori esterni.
Giussani, infatti, opera in un contesto “apparentemente ottimale” (216; cfr. 205) in
cui l’ora di religione è molto diffusa e i crocifissi costituiscono una presenza costante
in tutta la vita pubblica (214-217). Sempre Giussani parla con entusiasmo di una
specificità ecclesiale propria della Chiesa ambrosiana. Eppure sempre più è costretto
a prendere atto di una grave ignoranza della fede (30, 194, 195, 206, 212, 453) e
quindi di una perversione interna all’appartenenza ecclesiale.
Queste insidie si dimostrano sempre complesse e, pur operando internamente al
cristianesimo, possono aver subito influenze esterne. Mi interessa soffermarci sulla
dinamica quando ad un certo punto diventa interna e permette una sconcertante
ignoranza della fede e il consolidarsi di questa ignoranza. Nell’identificazione dei
fattori esterni avversi alla fede cristiana abbiamo maturato un’apprezzabile
elaborazione. Il contributo di Giussani risulta interessante e originale soprattutto
nell’identificazione di fattori interni avversi alla stessa fede cristiana. Anche in questo
caso, il tema delle insidie interne era già stato messo a fuoco nella tradizione
cristiana, ma Giussani sa riprenderlo, approfondirlo e farne un’applicazione originale
in quel frangente storico in cui ha operato. A un certo punto del suo cammino, gli
sono chiari tre fattori critici (216; cfr. 199): una non motivazione ultima della fede; la
non incidenza della fede sul comportamento sociale in generale; un clima generativo
di scetticità, terreno propizio per incursioni esterne avverse.
Questo processo di progressiva consapevolezza è una costante dell’intero cammino di
Giussani, sin dagli anni vissuti in famiglia, per poi proseguire nel seminario e negli
incarichi successivi che ha ricoperto. Ci sono snodi importanti nel suo cammino,
certo, ma sembrano configurabili soprattutto in termini di rilancio, dal momento che
si collocano in una prospettiva di continuità.
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Vorrei soffermarmi in maniera sintetica su alcuni tratti dell'itinerario di Giussani che
mi risuonano dentro come esperienze di dono ed esperienze di impegno. Le segnalo
come possibili tratti caratteristici del carisma mediato da Giussani.
Vorrei qui ricordare un dato di partenza importante, cioè l'autenticità di fede vissuta
in famiglia. Giussani la rilegge in termini di trasmissione della fede attraverso le
generazioni a partire dall'esperienza vissuta dagli apostoli Giovanni e Andrea, quel
giorno che si trattennero con Gesù, annotando che erano circa le quattro del
pomeriggio. Per Giussani, il suo papà e la sua mamma sono depositari di quella
trasmissione della fede e, quindi, di quell’incontro svoltosi alle quattro del
pomeriggio di duemila anni fa. Ecco l’alveo cristiano.
Un altro tratto è la formazione portata avanti seriamente. Lo potremmo chiamare
l’alveo diocesano: mi riferisco al percorso formativo, agli studi, ai docenti, alle
suggestioni vissute dal giovane seminarista. Tutto questo renderà Giussani una
persona colta. I contenuti che apprende sono contenuti comuni a tutti i seminaristi.
Giussani innesta su questi contenuti una rilettura personale sulla pervasività della
fede cristiana e su una metodologia che aiuti a riappropriarsi con consapevolezza
della pratica della fede. Più volte ripeterà: “Non sono qui a dirvi delle cose su cui
dovete essere d’accordo, ma a darvi un metodo per giudicare tutto, a cominciare dalle
cose che io vi dirò” (715; cf. anche 215 e 299).
In questo percorso di formazione comincia a leggere quelli che poi saranno chiamati i
“segni dei tempi”.
Proprio in questo contesto, si accorge della grave ignoranza della fede, di cui
abbiamo detto.
Eppure, quest'alveo cattolico contraddittorio è capace di conservare da qualche parte
del campo ecclesiale un tesoro nascosto e Giussani lo scopre: è il tesoro dell'incontro
personale con il Signore. Giussani realizza tutto questo in un momento in cui non
tutte le condizioni sono ottimali. Questo insieme di fattori razionali si trasforma in
profezia.
Quindi, le contraddizioni ecclesiali e le condizioni non ottimali non impediscono a
Giussani di attingere abbondantemente all’alveo cattolico, cioè universale e plurale
della Chiesa: mi riferisco al fermento carismatico di quel periodo storico, ai carismi
custoditi dalla comunità cristiana, all’approfondimento della vocazione laicale, allo
sbocco e al rilancio che la proposta di Don Giussani riceve dal Concilio Vaticano II,
alla riscoperta della vocazione battesimale. Tutto questo sfocia come un fiume gonfio
in quella che poi sarà chiamata Nuova Evangelizzazione: questa prospettiva
evidenzia come la proposta impersonata da Giussani era stata suscitata anche in
questa prospettiva di rilancio della buona notizia del cristianesimo.
Ecco un altro tratto che emerge: la prospettiva dei carismi. Giussani trova uno spazio
praticabile e offre una novità, rispondendo a un bisogno di complementarietà dei
carismi. I frutti sono stati generosi e la mietitura abbondante. Il riconoscimento
ecclesiale si è inserito in questa dinamica esperienziale.
La prospettiva dei carismi e della loro complementarietà ci restituisce e ci ricompone,
proprio grazie alla Chiesa, un orizzonte ampio e condiviso di servizio. In questo
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scenario, la gente non ci chiede dei gruppi e dei movimenti in parrocchia: ci sta
chiedendo chi è l’uomo, come vivere, come affrontare i temi dell’agenda pubblica (la
famiglia, l’educazione, la questione del genere, il bene comune, la società
multiculturale, lo stato delle nostre città, le scelte continentali e gli assetti
internazionali). “Le persone già conoscono con sofferenza l’esperienza di tante
rotture: hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia
del principio” (Francesco, Discorso alla riunione della Congregazione dei vescovi,
02/04/14).
Il fatto cristiano dell’incontro personale con il Signore e la sua definizione in termini
di Vangelo, cioè di buona notizia, rende Giussani consapevole, ed ecco un altro tratto
del carisma, della pervasività della fede cristiana (208) e dell'importanza di incontrare
l'uomo nei suoi luoghi reali: di qui la scelta di investire nella scuola pubblica e poi di
seguire quei giovani nell'esperienza universitaria. Quindi non si tratta di ambienti
protetti, ma di ambienti esposti e decisivi, dove ci si immerge in un’antropologia
reale. È qui che si delinea il dramma del mondo: assenza di Dio e, dunque, soprattutto
assenza dell’uomo; si aggiungono ulteriori risposte a domande inesistenti; ci si
imbatte negli interrogativi dell’uomo, che non sono solo quelli esistenziali, ma anche
quelli annacquati, rinunciatari, addomesticati. Il discernimento sulla scuola pubblica è
il canovaccio per una presenza nel dibattito pubblico e, a seguire, nell'impegno
sociopolitico. L’approccio non scaturisce da un atteggiamento difensivo di
conservazione nostalgica del passato, ma soprattutto dal tentativo di misurarsi con la
secolarizzazione (203); “si entra nei luoghi reali con la coscienza di portare Ciò che
salva l’uomo […], ciò che rende umano il vivere e la ricerca del vero, cioè Cristo
nella nostra unità” (219).
Questi tratti che ho abbozzato (alveo cristiano, alveo cattolico, alveo diocesano,
prospettiva dei carismi, sfida della pervasività della fede, i luoghi antropologici di
oggi) mi sembrano dal mio angolo visuale dei tratti essenziali del carisma ciellino; in
alcuni momenti si connotano in maniera dialettica, a conferma della comunione di
base dell’esperienza cristiana, dell’essere già stati messi in relazione con il Signore e
tra noi.
Questi tratti non sono solo un'esperienza gratuita di grazia, ma, come ogni esperienza
di incontro personale con il Signore, generano un impegno generoso e una
responsabilità verso l’intera comunità cristiana.
Non ci sono fattori eccezionali e gli eventi straordinari sono sempre discreti, vissuti
con equilibrio. La profezia e il misticismo sono razionali. “La fede esalta la
razionalità, dal momento che corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del
cuore di ogni uomo” (216); “la fede è la festa della ragione” (240).
Questo insieme di fattori non sono stati statici (la scuola pubblica, l'università, ecc.).
Per me il lavoro di Alberto Savorana è una rilettura, ricorrendone condizioni
interessanti, dell’itinerario di Don Luigi Giussani. Il processo di rilettura è
complesso, ma include sempre due movimenti: 1) la prosecuzione del cammino e 2)
un attingere al carisma perché questa prosecuzione del cammino sia fedele e feconda.
L’andare avanti si radica nelle fondamenta. Il futuro è abilitato e rilanciato da una
rilettura delle origini. Qui non si danno fatti storici rigidamente fissati una volta per
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sempre e da ripetere pedissequamente: qui continua a darsi un incontro personale con
il Signore, incontro che è capace di ispirare in forme aggiornate l’oggi, confermare il
tanto bene compiuto, rivisitare tratti problematici, proseguire l’avventura del servizio
all’uomo, con la preoccupazione profonda di conoscere le sue idee, ed amare la sua
anima, il suo destino. “Che è la preoccupazione di Cristo” (270).
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Vorrei concludere quest’intervento riservando una menzione ad Angelina Gelosa,
operaia tessile e poi casalinga. È la mamma di Giussani. L’abbiamo detto: per lui, la
mamma ha raccolto la trasmissione della fede degli apostoli. L’amicizia che si
sviluppa intorno a Gesù raggiunge Angelina Gelosa. Ecco lo stupore con cui rilegge
la presenza della mamma nella sua vita.
“La mia povera mamma non ha fatto cose grandissime, ma ha fatto una cosa grande:
ha custodito la mia vita e la vita dei miei fratelli” (30).
Un giorno, mentre da seminarista va con la mamma alla casa parrocchiale, lo
spettacolo della natura fa mormorare a questa donna la seguente frase: “Com’è bello
il mondo e come è grande Dio!” Giussani è sconvolto da quella frase, non la
dimenticherà più: “quello che mia madre ha detto è vero, è veramente umano, e chi
non dice così non è umano […] Quel che rendeva così sensibile mia madre [in ultima
analisi] è un dono dello Spirito” (38) E la frase “«Come è bello il mondo» vuol dire:
«Non è inutile vivere, non è inutile fare, lavorare, soffrire; non è negativo morire,
perché c’è un destino»”. Questo annuncio di speranza non è riservato a specialisti:
può farlo anche un’operaia tessile e madre di famiglia.
Ancora: “Per comunicare la fede a me, mia madre mi faceva delle affermazioni che
erano pertinenti alla vita […] e queste parole e referenze erano concrete”.
Giussani si interroga: “Ma come faceva mia madre a comunicare a me il senso
religioso che lei stessa aveva ricevuto? Come poteva avere quel modo di leggere il
vangelo […]? Come mai lei leggeva in quel modo, che mi ricordo adesso […]?”
Com’è possibile che “nelle conversazioni mia madre è piena di giudizi dettati dalla
fede” (41)? Giussani si accorge che la mamma era “segno di Dio” e lo era per la fede
di questo bimbo. La trasmissione apostolica della fede lungo il susseguirsi di
generazioni amiche di Gesù ha incluso e si è servita di un’operaia tessile e di una
madre di famiglia.
!P.S. Le note sono riferite alla versione on line del testo e non a quella cartacea
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