La rassegna di oggi

RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 21 gennaio 2015
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati
dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
La Regione attrae i grandi contribuenti (Piccolo, 2 articoli)
Primo “sì” in tempi record a Rilancimpresa (Piccolo)
Via il ticket da 10 euro, iter semplificato (M. Veneto)
Extra-gettito fiscale: i Comuni ricorrono al Tar (M. Veneto)
Tratta clandestini, a Udine la centrale (M. Veneto)
Il taglio dei vitalizi spacca il fronte degli ex (Piccolo)
Il caso Cofferati evidenzia i problemi del Pd (Piccolo, lettere)
CRONACHE LOCALI (pag. 9)
Fiato sospeso alla Ite, 19 dipendenti in mobilità (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Escavo del porto, tre anni per le opere. Nodo cassa di colmata (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Crolla la situazione alla Spav: sequestro e rischio fallimento (M. Veneto Udine)
Coopca, via libera alla proroga di 2 mesi (Gazzettino Udine)
Pressing su Pedrotti per allargare il tavolo e salvare il territorio (M. Veneto Pordenone)
Badanti, in un anno più di 850 contratti (Gazzettino Pordenone)
«Chiudiamo perché nel territorio mancano possibilità di sviluppo» (M. Veneto Pordenone)
Mercatone Uno al concordato (Gazzettino Pordenone)
In vendita gli immobili delle Cooperative Operaie (M. Veneto Pordenone, 2 articoli)
Ideal Standard, si decide sullo stabilimento (M. Veneto Pordenone)
Porto vecchio liberato anche in Consiglio (Piccolo Trieste)
REGIONE
La Regione attrae i grandi contribuenti (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE Da un lato il recupero di Irpef e Irap “in fuga”. Dall’altro la conquista di
nuove compartecipazioni, effetto di un percorso virtuoso che ha reso il territorio più attrattivo per le
imprese. I grandi contribuenti convinti a versare le imposte in Friuli Venezia Giulia aggiustano il
bilancio della Regione. Il risultato finale è il recupero da parte dell’amministrazione Serracchiani di 30
milioni di euro nel 2014, un “tesoretto” servito in Finanziaria a far quadrare i conti. In tempi di
riduzione delle risorse, con più di una manovra nazionale intervenuta a trattenere centinaia di milioni di
euro alla periferia, quella della giunta regionale è stata una sorta di “campagna acquisti” fondata sulla
premessa del meccanismo della compartecipazione sul gettito di Irpef e Irap: a maggiori tasse versate
nel territorio regionale corrispondono proporzionalmente maggiori flussi di entrate tributarie. La partita
dei grandi contribuenti in soli dieci mesi, da gennaio a ottobre 2014, ha fruttato un ritorno già molto
consistente. Il governo Serracchiani lo ha evidenziato più volte in sede di predisposizione della
Finanziaria 2015: dall’inizio dell’anno scorso è partito il pressing su una serie di multinazionali con
filiali operative anche in Friuli Venezia Giulia per convincerle a versare le imposte in regione. L’azione
insistita della direzione centrale Finanze ha messo in fila una serie di nomi importanti. Non tanti, ma
che hanno dato tanto. Si tratta concretamente del recupero di risorse che erano state dirottate altrove,
per questioni di natura tecnica, ma anche di nuove compartecipazioni. Per quel che riguarda i risultati
ottenuti nel 2014, i gruppi che li hanno resi possibili sono poco meno di una decina. Il pressing degli
uffici di Palazzo ha consentito in particolare di convogliare verso le casse regionali i versamenti da
ritenuta Irpef dei dipendenti di alcuni colossi dell’economia italiana occupati in regione. Flussi di
denaro che avevano preso altre direzioni nelle annate precedenti spesso solo per motivi informatici. Un
esempio su tutti: Unicredit ha trasferito il centro meccanografico a Bologna, ma lo ha fatto senza
rivedere il software. Cosicché, d’improvviso, l’Irpef degli addetti dell’istituto bancario al lavoro nel
territorio è stato versato in Emilia e non più in Friuli Venezia Giulia. Senza nessuna volontà politica del
gruppo erano dunque venute a mancare cifre non di poco conto. Ma la correzione non è stata sempre
solo di natura tecnica. In qualche caso si tratta di nuove compartecipazioni, l’inizio di un’operazione di
“marketing” che Debora Serracchiani e la sua giunta intendono attuare puntando soprattutto sulla carta
dell’attrattività che riforme come quella che andrà in aula a febbraio, il “Rilancimpresa” firmato da
Sergio Bolzonello, possono garantire al Fvg, spingendo imprese e imprenditori a trasferire la sede
legale all’interno dei confini regionali. L’amministrazione non fa nomi, questione di privacy, ma
sarebbero una ventina le grandi aziende che a oggi starebbero valutando il trasferimento della sede
legale in Fvg. Qualcuna lo avrebbe anzi già deciso. Tra le indiscrezioni, su cui la giunta non può
appunto andare oltre il «no comment», circola il nome di Pasta Zara, la società alimentare con sede a
Riese Pio X in provincia di Treviso e con una filiale a Muggia su cui la famiglia Bragagnolo ha
annunciato poche settimane fa un investimento da 52 milioni di euro con l’obiettivo entro un paio
d’anni di aumentare la produzione di pasta da 300 a 400mila tonnellate, il 50% in uscita proprio dal sito
triestino. Tra le ipotesi anche quelle riguardanti la Sangalli vetro di Manfredonia, con sede a San
Giorgio di Nogaro, e la Cartiera Burgo (stabilimento in regione a Tolmezzo). Più precisamente, in
quest’ultimo caso, si parla della società Mosaico.
Il gestore del Tpl dovrà pagare le tasse in loco
TRIESTE Chi vincerà il bando del Trasporto pubblico locale dovrà versare le tasse in Friuli Venezia
Giulia. E questo garantirà alle casse regionali circa 13 milioni di euro all’anno di compartecipazioni.
Nella sentenza che promuove i pilastri del bando il Tar dà il via libera anche al punteggio da
riconoscere per l’utilizzazione di un conto corrente di una banca regionale, dove versare le imposte,
«stante l’evidente interesse della Regione a porre il requisito in relazione alle sue attribuzioni anche
fiscali». È l’ultimo di una lunga serie di riconoscimenti all’autonomia finanziaria del Friuli Venezia
Giulia fondata sul sistema delle compartecipazioni. L’ordinamento finanziario definito dallo statuto
“speciale”, infatti, è basato sulle entrate, secondo quote fisse, provenienti dal gettito di tributi statali
riscossi nel territorio regionale. Con la premessa che la compartecipazione compete a condizione che il
versamento dei tributi avvenga nel territorio regionale, all’articolo 49 dello statuto si precisa che
spettano alla Regione i sei decimi dell’Irpef, i quattro decimi e mezzo dell’Ires, gli otto decimi dell’Iva
e i nove decimi di alcune altre imposte: energia elettrica, canoni per le concessioni idroelettriche,
tabacchi, e pure il 29,75% del gettito dell’accisa sulle benzine e il 30,34% dell’accisa sul gasolio
consumati per uso autotrazione. Gli introiti così ottenuti sono destinati al finanziamento di attività e
funzioni della Regione e delle autonomie locali. Al governo del Friuli Venezia Giulia è per questo
consentito anche di manovrare l’aliquota dell’Irap (il 3,9% per la maggior parte dei soggetti, ma con
riduzioni previste per imprese virtuose, di piccole dimensioni o al lavoro in zone montane) e
dell’addizionale regionale all’Irpef (1,23% per redditi superiori ai 15mila euro, 0,7% per redditi
inferiori a quella cifra). I governi regionali di ogni colore hanno messo in atto una politica fiscale
quanto possibile mirata ad alleggerire gli oneri a carico delle imprese attive sul territorio. E, in coerenze
con le scelte operate in materia di Irap, hanno mantenuto l’aliquota dell’addizionale all’Irpef ai livelli
minimi nazionali. La prima a intervenire sull’Irap fu la giunta guidata da Riccardo Illy (capace anche di
conquistare la compartecipazione sulle pensioni Inps), che vincolò lo sconto all’impegno delle imprese
beneficiarie rivolto a investimenti, incentivi ai lavoratori e nuove assunzioni, formazione professionale
e riorganizzazione aziendale. Quindi è toccato alla giunta Tondo e ora al governo Serracchiani che per
abbattere l’Irap prevede di investire una decina di milioni nel disegno di legge “Rilancimpresa”,
attualmente all’esame della commissione, per beneficiare circa 600 imprese innovative. (m.b.)
Primo “sì” in tempi record a Rilancimpresa (Piccolo)
TRIESTE È pronto per approdare in aula il “Rilanciaimpresa”, il ddl della giunta pensato per dare una
scossa al tessuto industriale regionale. La seconda commissione ieri ha approvato il testo con il voto
favorevole del centrosinistra e l’astensione del resto delle forze politiche. La norma arriverà all’esame
dell’aula a inizio febbraio. Il provvedimento dell’esecutivo, per il quale la commissione ha impiegato
solo una delle due giornate in programma per la discussione, esce senza modifiche sostanziali. La
maggioranza ha anche accolto un emendamento dell’opposizione, firmato da Alessandro Colautti
(Ncd), Luca Ciriani (FdI) ed Elio De Anna (Fi) grazie al quale vengono fatte rientrare anche le società
di capitali (con almeno cinque imprese socie) negli interventi di sostegno allo sviluppo delle filiere
finanziabili dalla Regione. Il ddl dell’assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello prevede
agevolazioni fiscali sull’Irap con uno stanziamento regionale di 7 milioni di euro, la sburocratizzazione
delle procedure amministrative, investimenti a favore del manifatturiero e un’ampia revisione del
sistema dei consorzi, destinati ad abbracciare percorsi di fusione con procedure di accorpamento
obbligato da preparare entro 6 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento regionale. Tra Ziu, Cipaf,
Ziac, Csim, Csia e Cosint, la Regione conta 109 tra amministratori e revisori per una spesa complessiva
di 763.500 euro annui. Realtà che restano strategiche per la Regione, nonostante raccolgano appena
1.481 aziende sulle 89.795 esistenti. Per effetto degli accorpamenti, ha precisato Bolzonello, le strade
di uso pubblico costruite dai Consorzi a servizio delle zone industriali passeranno ai Comuni, salvo non
vengano classificate come statali o provinciali. La commissione ieri ha avviato anche specifiche misure
a contrasto delle delocalizzazioni: le aziende non potranno spostarsi all’estero entro 5 anni (e non più 3)
dalla concessione dei contributi regionali, pena la restituzione. Provvedimento che, grazie a un
emendamento M5S, investe anche le imprese che ridurranno del 30% (e non del 50) il proprio
personale a causa della delocalizzazione in uno Stato extracomunitario. Relatori di maggioranza per
l’aula saranno il presidente della Commissione, Alessio Gratton (SEL), ed Enio Agnola (Pd); per la
minoranza Cristian Sergo (M5S) e Ciriani. (g.s.)
Via il ticket da 10 euro, iter semplificato (M. Veneto)
UDINE «Stiamo lavorando affinché la misura finalizzata ad agevolare l’accesso alle prestazioni
sanitarie da parte dei nuclei familiari più bisognosi possa essere applicata quanto prima, e in ogni caso
entro i primi tre mesi dell’anno, come ci eravamo prefissati». Lo conferma l’assessore alla salute,
Maria Sandra Telesca, in relazione al provvedimento a forte valenza sociale, contenuto nella legge
finanziaria per il 2015, volto a non gravare della quota aggiuntiva di 10 euro (il cosiddetto “super
ticket”) i nuclei familiari meno abbienti. In proposito la Regione ha messo a disposizione 5 milioni di
euro, da utilizzare quale rimborso agli enti del Servizio sanitario, che erogano le prestazioni, e che in
pratica non faranno pagare i 10 euro di super ticket ai cittadini in possesso dei requisiti previsti, ovvero
di un reddito Isee del nucleo familiare intorno ai 15 mila euro annui. «Per certificare il diritto alla
misura - anticipa l’assessore - è nostra precisa intenzione introdurre un meccanismo assolutamente
semplice, che consenta di evitare pratiche complesse e code. Per questo la società Insiel sta
predisponendo un apposito programma informatico. E parallelamente abbiamo dato precise indicazioni
alle Aziende che, utilizzando questo nuovo software, potranno annotare a sistema questo diritto, previa
presentazione di idonea documentazione, già al momento dell’effettuazione della prima prestazione
sanitaria». L’esponente dell’esecutivo Serracchiani sottolinea che «già tra qualche settimana sul sito
della Regione, nella sezione Salute indicheremo le modalità per beneficiare di questa misura.
Ovviamente quando sarà il momento faremo un’informazione capillare in maniera da consentire alle
famiglie che possiedono i requisiti di poter avere diritto al bonus». Secondo la stima operata dalla
Regione, gli aventi diritto all’esenzione sono 200 mila. La platea è potenziale, cioè si tratta della
proiezione eseguita dagli uffici della Regione applicando l’esenzione per le persone con un Isee fino a
15 mila euro, quindi con un reddito vicino ai 30 mila, anche secondo le nuove regole per l’Isee, che
sono entrate in vigore dal primo gennaio e comprendono anche il patrimonio.
Extra-gettito fiscale: i Comuni ricorrono al Tar (M. Veneto)
Se l’Imu sui terreni agricoli in zona montana si pagherà o meno dovrebbe deciderlo oggi il Tar del
Lazio. Il consiglio dei Ministri di ieri ha infatti lasciato inalterato per il 2014 il meccanismo relativo
all’esenzione, che condanna al pagamento i proprietari di terreni agricoli siti in Comuni di altezza
compresa tra i 281 e i 600 metri sul livello del mare. Agli amministratori locali dei 103 Comuni
interessati in Friuli Venezia Giulia non resta ora che sperare nella sentenza del Tar, cui l’Uncem è
ricorso contro la norma del Governo Renzi. E a proposito di Governo, stando a una nota dei
parlamentari democratici vi sarebbe da parte dell’esecutivo l’intenzione per l’anno in corso di
ripristinare l’esenzione per i Comuni sopra i 281 metri. La deputata di Fi Sandra Savino conferma
invece che sull’Imu agricola il Governo ha fatto un pasticcio. (m.d.c.)UDINE La partita dell’extragettito Imu tra Comuni e Regione rischia di deciderla un giudice del Tar. Stufi dell’ennesimo prelievo
da parte dello Stato, ma soprattutto della disparità di trattamento riservata a Comuni della stessa
Regione, gli amministratori locali degli enti “penalizzati” hanno deciso di giocarsela in sede
giudiziaria. Almeno per il surplus 2014, pari a 77 milioni di euro dovuti complessivamente da 111
municipi. Un avvocato è già stato contattato informalmente e nelle prossime settimane, previo
passaggio nei vari consigli comunali, i sindaci interessati alla battaglia formalizzeranno il mandato
legale. Lo ha deciso lunedì la commissione composta da una quindicina di amministratori cui l’Anci ha
affidato lo studio della complessa vicenda. Resterebbe comunque aperta la partita 2015, per la quale i
sindaci hanno deciso di redigere un breve articolato di legge proponendo alla giunta la creazione di un
fondo di riequilibrio. Le due ipotesi di lavoro saranno approfondite in breve durante un nuovo incontro
cui saranno invitati tutti e 111 i Comuni penalizzati assieme alla presidente della Regione Serracchiani,
e all’assessore alle autonomie locali Panontin. Stavolta non a Gemona, ma a Vito d’Asio. «Di là da
l’aghe» dunque. A dimostrazione che se un lato positivo c’è, in questa dibattuta vicenda dell’extragettito, è «di averci fatto superare il confine fisico del Tagliamento. Fino a qualche settimana fa non ci
conoscevamo nemmeno, oggi siamo qui con lo stesso obiettivo, pronti a perseguirlo insieme», ha detto
il sindaco di Vito d’Asio, Pietro Gerometta. La squadra, a Gemona, è andata compattandosi. Merito
anche di situazioni simili. «Il nostro problema – ha denunciato l’ex primo cittadino di Campoformido
Andrea Zuliani – è far capire alla gente perché da noi l’Imu finisce nelle casse dello Stato, mentre nel
paese “vicino” resta al Comune andando a finanziarie servizi. La nostra “colpa” è paradossale: aver
avuto a suo tempo aliquote basse». Il meccanismo di calcolo dell’extra-gettito guarda infatti all’Ici
2010. Tutta l’Imu calcolata ad aliquota base che oggi viene incassata in più rispetto al gettito Ici del
2010 diventa surplus che lo Stato avoca a sé. «Questo perché – ha spiegato il sindaco di Gemona Paolo
Urbani – la nostra aliquota Ici era più bassa dell’aliquota base dell’Imu che quindi ha provocato un
maggior gettito per le casse comunali. Impugniamo al Tar la delibera con cui prossimamente la giunta
regionale ripartirà l’extra-gettito tra Comuni perché il meccanismo adottato dal Fvg è iniquo e
penalizzante per la metà dei nostri enti locali». Maura Delle Case
Tratta clandestini, a Udine la centrale (M. Veneto)
di Domenico Pecile TARVISIO Il costo varia dagli otto ai 10 mila euro. Il viaggio dura dai venti ai
trenta giorni. Negli ultimi mesi gli arrivi hanno riguardato quasi esclusivamente pakistani e afghani.
Uomini, giovani e di mezza età che chiedono asilo politico. Si appellano al Protocollo di Dublino che
impedisce ai richiedenti asilo di presentare la domanda in più Stati. Ma non sempre questo protocollo
viene rispettato, anzi, e molti durante il viaggio ottengono l’asilo in diversi Stati. Dicono di fuggire
dalla guerra, questi uomini. Sostengono che per farlo hanno dato fondo ai loro risparmi. Ma nei loro
Paesi di origine lasciano bambini e donne. Già, pare strano che questi fuggiaschi in cerca di pace e
futuro possano partire per un lungo viaggio, magari senza ritorno, raggranellando magari i risparmi di
una vita, ma lasciando in balia di talebani e terroristi gli affetti più cari e indifesi. Ma non è l’unica
stranezza di queste quotidiane colonne di disperati. L’unica cosa certa è che a monte di tutto c’è una o
più organizzazioni criminali che organizzano queste quotidiane vie crucis, racimolando enormi quantità
di denaro e stritolando l’Europa in una strana incudine fatta di sensi di colpa e necessità di offrire
riposte umanitarie. Dei circa mille profughi che sono entrati da Tarvisio e hanno chiesto asilo politico,
oltre il 95 sono transitati dall’Ungheria dove, secondo gli inquirenti, esiste una delle centrali più
organizzate per il trasporto di queste persone. Ma l’altro dato più inquietaqnte che sta emergendo
proprio in questi giorni è che il Friuli e più precisamente a Udine ci sarebbe un vero e proprio centro di
smistamento di clandestini cui i rifugiati possono rivolgersi sia per proseguire il loro viaggio - il più
delle volte in Germania, Danimarca e Svezia dove il trattamento economico è molto più vantaggioso
rispetto all’Italia - sia per, eventualmente, organizzare la permanenza nel nostro Paese. Un’ipotesi
investigativa che, se sarà suffragata da dati certi - cosa di cui gli investigatori si dicono quasi sicuri - è
destinata ad aprire nuovi, inquietanti scenari sulla tratta dei disperati ma anche sui rapporti tra Friuli e
Carinzia al centro di reiterate polemiche con Udine che accusa gli austriaci di favorire il transito dei
profughi verso il Friuli. Dunque, partono dal Pakistan e dall’Afghanistan, arrivano in Iran dove il più
volte vengono bloccati e minacciati di morte. Poi - complice qualche poliziotto corrotto - tutto si
appiana. Il viaggio riprende verso la Turchia e da lì in Grecia per risalire in Serbia e precisamente a
Subotica dove c’è un grande centro di smistamento. Infine, proseguono verso l’Ungheria e la Bulgaria
e poi senza possibilmente fare sosta in Austria piombano in Friuli, entrando da Tarvisio. Ed è lungo il
tratto confinario che il più delle volte questi clandestini vengono bloccati per essere identificati.
Viaggiano preferibilmente su pulmini preceduti da auto civette, quasi esclusivamente con targa
ungherese a dimostrazione che in quel Paese opera una delle centrali di smistamento più organizzate.
Le auto civetta servono ad avvertire tempestivamente l’autista del pulmino che più avanti c’è un posto
di controllo. Nel caso, i profughi o vengono fatti scendere e si nascondono a ridosso della strada in
attesa che la situazione si normalizzi. Ma nei casi estremi, vengono abbandonati. Una volta bloccati
dalla nostra polizia cominciano gli accertamenti. I profughi in genere parlano inglese. Per loro è
l’ultima formalità (i passeur, invece, se individuati sono arrestati) perché poi vengono accompagnati a
Udine dove, appunto, una volta espletate le altre formalità diventano di fatto dei cittadini liberi, ma a
disposizione dei nuovi “trafficanti”. Molti dei dati di questa incessante “processione” sono stati resi
noti dalla questura di Udine nel dossier “Dati 2014 criminalità in provincia di Udine” dove tra l’altro è
contenuto il resoconto dell’azione della IV zona Polizia di frontiera. Eccoli: le persone arrestate sono
state 48, 18 gli arresti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, 744 le persone deferite in
stato di libertà, 626 i clandestini rintracciati. «Le storie che ci raccontano durante il primo accertamento
– rivela un poliziotto – sono praticamente tutte uguali. Il viaggio estenuante, la paura, i soldi, i passeur,
le notti insonni. È difficile capire se si tratti davvero di profughi in fuga dalla guerra. Personalmente
sono convinto che quelli che realmente hanno bisogno di asilo politico siano una minoranza e anche
sparuta. Ma sono impressioni basate su altro come ad esempio il fatto che molti di loro sono in
possesso di strumenti tecnologici molto costosi, diverse sim telefoniche tanto per citare alcuni esempi».
E un dato su cui gli inquirenti stanno ragionando è che, una volta ottenuto l’asilo politico in questura
oltre la metà di queste persone, che come detto diventano libere a tutti gli effetti, nel giro di un paio di
settimane spariscono: la maggior parte spunta al Nord Europa i cui Paesi garantiscono loro un
trattamento economico migliore rispetto all’Italia oppure si trasferiscono in altre regioni. La situazione
è complicata da una legislazione per certi versi approssimativa, basti pensare che in Austria fino a
riconoscimento ultimato queste persone sono di fatto in stato di fermo.
Il taglio dei vitalizi spacca il fronte degli ex (Piccolo)
di Gianpaolo Sarti TRIESTE C’è chi dice no. No al taglio al vitalizio. La sforbiciata per gli ex
consiglieri a uno dei privilegi più contestati in assoluto non entusiasma particolarmente. «Diritto
acquisito», è la bandiera issata a Palazzo. Da alcuni, perché altri sono pronti a mettere subito mano al
portafoglio e fare la propria parte per risanare le casse pubbliche con il “contributo di solidarietà” ai
conti pubblici. Probabilmente non vedremo nessuno dei 213, ex o eredi, incatenato in piazza Oberdan a
manifestare con fischietti e cartelloni, perché la protesta si sta consumando silente all’interno. A colpi
di telefonate tra chi occupava prima la poltrona e teme di trovarsi penalizzato e più povero, e gli eletti
di oggi. Il Consiglio regionale però intende proseguire e chiudere già oggi con una proposta definitiva.
L’indirizzo intrapreso dal tavolo di lavoro istituito appositamente, che si muove su direttive nazionali
fatte proprie dalla Conferenza delle Regioni nei mesi scorsi, prevede intanto questo schema: un
prelievo di triennale del 6% su chi incassa mensilmente una pensione entro i 2 mila euro lordi; il 9% da
2 mila a 4 mila euro, il 12% da 4 mila a 6 mila. Per chi va oltre i 6 mila euro, invece, il 15%.
Percentuali su cui si potrebbe inoltre applicare un ulteriore 40% per chi già riceve un doppio vitalizio.
La decurtazione massima, se calata su quanti portano a casa più di 6 mila euro (cioè chi annovera
svariate legislature in Regione) assieme alla pensione da parlamentare, potrebbe quindi raggiungere il
21%. Poco? Tanto? Troppo, pare. «Io aspetterei la versione finale del provvedimento prima di
esprimermi», premette Pietro Arduini, presidente dell’Associazione consiglieri ed ex. «Ricordo però
che noi come Regione già nel 2006 avevamo ridotto il vitalizio del 10%, con Illy presidente. Poi sono
seguiti altri interventi, come il blocco dell’importo per otto o nove anni. Siamo dunque già al 30% e di
questo si deve tenere assolutamente conto, altrimenti non siamo d’accordo. Anche perché – prosegue
Arduini – nessuna altra Regione si era mossa come noi all’epoca. Credo che la condivisione sarà
difficile se non si limita il taglio. Una penalizzazione del genere sarebbe troppo». Franco Brussa (tre
legislature per 5.851 euro lordi) è scettico: «In questo momento si guarda agli ex consiglieri come se
avessero ottenuto qualcosa di cui non avevano diritto. Invece non è affatto così. Il Friuli Venezia Giulia
è stato virtuoso nel 2006 con quel -10% che doveva essere temporaneo ma che invece poi si è rivelato
definitivo. Io – puntualizza l’ex Pd – non trovo corretto che si modifichino le regole in corso. E poi è
chiaro che si colpiscono i passati e non gli attuali. Per non parlare dei parlamentari: non solo non hanno
ridotto le indennità, ma la hanno addirittura consolidata». Così Sergio Dressi, anche lui con 5.851 lordi,
attuale presidente dell’aeroporto di Ronchi: «Faccio notare che nel ’98 avevo abbandonato la mia
attività lavorativa per dedicarmi alla politica. L’avevo fatto perché contavo sulla maturazione del
vitalizio dal momento che avrei perso i contributi previdenziali. Se c’è da fare la propria parte per un
periodo va bene, ma credo che qui si stia rispondendo più a un desiderio dell’opinione pubblica, senza
guardare le situazioni nel dettaglio. Come se aver fatto politica sia una cosa disdicevole». Piero Camber
si limita a prendere atto: «C’è poco da dire, io ho 1.800 euro netti... Se c’è da dare una stretta sono
pronto. Va detto però che avrei potuto chiedere indietro il contributo versato, pari a 240 mila euro».
Gianfranco Moretton, politico di vecchio corso, beneficia di 6.437 euro lordi al mese. «Sono quello che
ha fatto l’auto-taglio con Illy. Io non mi sono mai tirato indietro – rimarca l’ex capogruppo dem – e
così farò anche questa volta». Roberto Antonione è convinto di trovarsi davanti a un provvedimento
«ragionevole»: «Ci sono tante persone che non arrivano a fine mese, ma speriamo che ci sia
un’omogeneità di trattamento». Sulla stessa linea Roberto De Gioia e pure Bruno Zvech: «Faremo ciò
che ci è richiesto».
Il caso Cofferati evidenzia i problemi del Pd (Piccolo Trieste, lettere)
Quella di Sergio Cofferati di uscire dal Pd è una scelta personale sulla quale ognuno può esprimere
legittimamente i propri commenti. Non è peraltro mia intenzione entrare nel dibattito di un partito al
quale non sono iscritto. Ma le primarie in Liguria, dopo quelle di Napoli e di Roma, ci consegnano un
problema che non riguarda solo le dinamiche interne del Pd. Ne esiste uno più generale, se non di
legalità (su questo si esprimerà la Procura di Genova), sicuramente di etica.
Vi sono almeno tre profili che vanno affrontati visto anche che le primarie sono aperte a tutti i cittadini,
ai quali viene anche richiesto un piccolo contributo per poter votare. Il primo: non è legittimo, almeno
moralmente, che a qualcuno sia chiesto un contributo per poter votare e a qualcun altro viceversa sia
offerto per farlo. Il secondo: non è eticamente accettabile che si faccia leva sulle condizioni di povertà
delle persone per allettarle alla partecipazione. Il terzo: accettare o addirittura richiedere il voto di
iscritti e militanti di altri partiti deforma irrimediabilmente il meccanismo, rendendolo non credibile.
È evidente a questo punto la necessità di una disciplina legislativa, visto che il “fai da te” si è
dimostrato poco affidabile e incapace di garantire pulizia e trasparenza. Mi pare che Cofferati sia uscito
per questi motivi e non per aver perso, tant’è vero che non ha messo in discussione il risultato. Ed è
troppo comodo accusarlo di averlo fatto per vendicarsi della sconfitta: significa non voler affrontare i
problemi di fondo.
Vi è infatti un’altra questione che è difficile evitare. Il premier e segretario del Pd ha dapprima fatto
spallucce di fronte all’evidenza del crollo delle iscrizioni, poi ha assunto la stessa posizione anche di
fronte a quello della partecipazione alle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna. Ciò che
conta è “vincere”, non importa se con il 10% degli aventi diritto: chi non va a votare ha comunque torto
e i pochi che ci vanno legittimano in ogni caso il vincitore.
La rappresentanza, la partecipazione non sembrano contare più: è diventato sufficiente avere propri
uomini e donne di fiducia nei posti chiave e zittire ogni voce di dissenso, rappresentandola come verso
di gufi, corvi, perfino di avvoltoi. Invece il pluralismo è il sale della democrazia e produce
fisiologicamente consenso e dissenso che fanno crescere la qualità della dialettica politica. E, su questo
fronte, il problema dell’Italia di oggi è proprio quello: la democrazia che non può fondarsi sulla mera
logica dei numeri, al netto delle persone in carne e ossa.
Mi pare insomma che ciò che è successo alle primarie sia frutto di questa concezione. La
partecipazione è deformata e finalizzata a obiettivi personali. Ciò che conta è votare (e far vincere) il
leader e candidato di turno. Non si pensa più al futuro di una regione, o del Paese, ma al massimo al
tempo necessario per esercitare il potere, che dev’essere il più lungo possibile. Principi e valori non
contano più, come non contano i contenuti delle scelte, nelle quali si fa sempre maggiore fatica a
intravvedere un filo di centro sinistra.
Questo esito è esploso nella forma più deflagrante nella vicenda del malaffare romano, caratterizzato
dalle connivenze dei partiti, compresi esponenti del Pd. Una situazione denunciata da tempo all’interno
stesso del partito, nientemeno dall’attuale ministro Madia, ma tollerata appunto perché finiva per
tradursi in voti e consenso per continuare ad esercitare quel potere che sempre più spesso si traduce nel
tornaconto e nell’arricchimento personale. È necessario fermarsi a riflettere, perché queste concezioni e
questi modelli rischiano di seppellire definitivamente esperienze e ragioni della Sinistra, alle quali il
Paese non può rinunciare senza snaturare la democrazia.
Franco Belci, “Officina 2.0”
CRONACHE LOCALI
Fiato sospeso alla Ite, 19 dipendenti in mobilità (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain Diciannove dipendenti già “fuoriusciti”. «E nel futuro potrebbero aggiungersene
altri, molti altri», rivela Livio Menon, sindacalista della Fiom-Cgil. Nubi nere, anzi nerissime si stanno
addensando all’orizzonte della cooperativa “I.T.E. impianti telefonici” di Gorizia. Le forze sociali si
mantengono abbottonatissime perché sarebbe in corso una trattativa molto delicata. Ma la parola più
ricorrente che rimbalza da ambienti vicini alla storica azienda è “liquidazione”. «La I.T.E. sta
attraversando un periodo di grossa difficoltà: altro, però, non posso dire in questa fase. Diciannove
dipendenti - spiega Menon - sono già in mobilità e il loro numero potrebbe ampliarsi nel futuro. La
situazione viene attentamente monitorata». Da ricordare che la cooperativa dà un posto di lavoro a 74
persone: un numero che in una grande città farebbe sorridere ma che diventa importante in una realtà
piccola e quasi completamente deindustrializzata come Gorizia. Che la I.T.E. non stesse attraversando
un periodo positivo, era emerso già nel corso dell’anno passato. Fu Fabio Baldassi (sempre della FiomCgil) a lanciare l’Sos: era lui, nei mesi scorsi, a seguire molto da vicino l’evolversi della situazione.
«Da un paio d’anni - raccontò il sindacalista al nostro giornale - l’azienda ha dovuto far uso di
ammortizzatori sociali: sia cassa integrazione ordinaria, sia straordinaria, sia mobilità volontaria. Tutto
ciò a causa di perdite di mercato dovute a riduzioni contrattuali effettuate dai committenti, attraverso
tagli di costi e tagli di appalti specifici, riparazioni-guasti in cabina, gestione di centraline, posatura e
scavi, e chi ne a più ne metta». Già allora partì un appello forte e chiaro. «Dobbiamo impegnarci tutti a
trovare una soluzione per riportare l’azienda in una posizione di tranquillità. È stato dato mandato al
nostro sindacato - concluse Baldassi - di chiedere incontri istituzionali e di sensibilizzazione l’opinione
pubblica riguardo alla situazione in cui si trova sia la cooperativa che i loro soci e dipendenti». La
segreteria provinciale Fiom annunciò anche la volontà di richiedere agli enti istituzionali incontri al
fine di informarli sulla vicenda, portando alla loro attenzione l’ennesima situazione di crisi che sta
aggravando sempre più il settore manifatturiero isontino. Ma, evidentemente, la mobilitazione non è
bastata. Preoccupazione anche per l’evolversi della situazione alla Tex Giulia. Anche in questo caso è
Livio Menon (Fiom-Cgil) ad essere in prima linea. «Domani (oggi, ndr) ci sarà un incontro nella sede
della Confindustria per arrivare alla stipula del contratto di solidarietà per le rimanenti forze-lavoro: si
tratta di 30 persone. Oggi funziona a regime ridotto il reparto di tessitura mentre è stato chiusa, come
ampiamente annunciato, la filatura. Che dire? Continuiamo a tenere gli occhi ben aperti». Sullo sfondo,
i numeri già noti: sono venti gli operai della “Tex Giulia” posti in mobilità, cinque dei quali volontaria.
Di un’età compresa tra i 45 e i 55 anni, equamente divisi tra uomini e donne. La drastica contrazione
del fatturato avvenuta negli ultimi tre anni e la conseguente drammatica decisione di ristrutturare
pesantemente l’organico aziendale della Tex Giulia ha portato, dunque, l’attuale forza-lavoro
dell’azienda a una trentina di unità “superstiti”, con l’apertura di una procedura di mobilità volontaria e
il ricorso per una parte dei lavoratori a un anno di solidarietà.
Escavo del porto, tre anni per le opere. Nodo cassa di colmata (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Giulio Garau Per bene che vada l’escavo del canale di ingresso del porto di Monfalcone non sarà
concluso prima del 2017, tra tre anni, a partire dall’aggiudicazione dell’appalto. A spiegarlo sono le
carte del “Crono-programma” ovvero le tappe ufficiali del progetto messe nero su bianco, su un foglio
che illustra trimestre dopo trimestre. Un percorso che non tiene conto di ostacoli e incidenti di percorso
e dei vari ostacoli. Per non parlare delle “prescrizioni” che saranno imposte. Una fra tutte, e bisognerà
vedere quanto rivoluzionerà i tempi: quella che chiede di fare i lavori solamente nei periodi autunnoinverno per non interferire con le attività di maricoltura. Una condizione messa in evidenza dalla stessa
Azienda speciale porto di Monfalcone nella recente nota in cui si dava notizia del parere favorevole al
progetto da parte della Commissione Via del ministero dell’Ambiente. Uno tra i principali nodi
dell’opera, che costa 13 milioni e mezzo, non è tanto il dragaggio a 12,50 di quota batimetrica, quanto
le opere di preparazione e impermeabilizzazione della cassa di colmata che dovrà accogliere i fanghi
del dragaggio. «La rogna è che anche per queste opere c’è una finestra temporale stretta - spiega il
presidente dell’Aspm Paolo Maschio - puoi lavorare solo in autunno e inverno e c’è un sacco di
materiale da spostare». Come dire che durante l’anno hai poco meno di due trimestri di lavoro. L’Aspm
spera di ottenere meno limiti e punta a fare prima possibile. «La speranza è di partire quest’inverno»
aggiunge Maschio. Non c’è ancora il decreto di Via per il progetto dell’escavo, potrebbe arrivare entro
febbraio o prima. «Dopodichè avremo circa 2 mesi per completare l’iter della conferenza dei servizi insiste il presidente Aspm - e alla fine ci servirà l’autorizzazione della Capitaneria di porto e dello
Stato». Solo a quel punto sarà possibile pensare alla gara europea. L’Aspm conta di finire le pratiche
entro l’estate e partire con le aggiudicazioni e i lavori entro l’autunno. Ci sono in ballo oltre 13 milioni,
la gara è di tipo europeo, i soggetti che potranno partecipare sono molti e i rischi di ricorsi sono
altissimi. Una volta avviati i lavori serviranno quasi 2 anni poi per passare dalle opere della cassa di
colmata a quelle dell’escavo vero e proprio che in realtà ha bisogno di circa 120 giorni per essere
completato, maltempo o rogne permettendo. I tempi del “cronoprogramma sono chiari”, si parte
dall’aggiudicazione della gara e serviranno oltre sei mesi tra firma del contratto, progettazione
esecutiva e installazione del cantiere. All’ottavo mese, nel terzo trimestre, è previsto l’inizio dei lavori
a terra con l’asportazione del materiale della cassa di colmata. Materiale “buono” che in parte sarà
utilizzato altrove, e in parte servirà a rafforzare ed alzare gli argini del “lato Sic”. Queste opere
occuperanno un anno a cavallo tra il primo e il secondo e si dovrebbero concludere non prima del 20mo
mese al settimo trimestre. E ancor prima del dragaggio, al 13mo mese, quinto trimestre, dovrebbe
partire la ricognizione per vedere se nei fanghi sono sepolti ordigni bellici. Al 21mo mese, ultima parte
del settimo trimestre, l’inizio del dragaggio vero e proprio che si pensa di concludere in sei mesi.
Siamo così al terzo anno, al nono trimestre, quando dovrebbero partire, di lì a poco, le operazioni di
monitoraggio e collaudo. Tutti tempi calcolati su un cronoprogramma di tre anni che non considera le
pause “obbligate” di estate e primavera. Senza contare che una volta finiti i lavori, con i fanghi
“liquidi” riversati, la cassa di colmata, trasformata in una palude lagunare nel cuore del porto, dovrà
attendere degli anni per asciugarsi ed essere trasformata in area attrezzata portuale.
Crolla la situazione alla Spav: sequestro e rischio fallimento (M. Veneto Udine)
di Luana de Francisco Il destino produttivo e occupazionale della “Spav” di Martignacco è appeso a un
filo. Le prospettive di salvezza date alla società lo scorso 24 dicembre, con la decisione del tribunale
civile di Udine di ammetterla alla procedura di concordato preventivo, sono state prontamente disattese
dall’ordinanza con la quale il gip dello stesso tribunale udinese, in quelle medesime ore e accogliendo
un’istanza della Procura, ha disposto il sequestro preventivo a carico della Spav e del suo legale
rappresentante, Roberto Turello, di beni per un valore equivalente all’Iva non versata nel 2012. Ossia,
per un ammontare pari a 684.250 euro. E questo è bastato a mandare all’aria l’operazione, visto che il
blocco del denaro ha di fatto impedito all’azienda di depositare i 200 mila euro di anticipo indicati dal
collegio per le spese della procedura. Risultato: la fissazione di una nuova udienza, questa volta per
discutere la revoca dell’ammissione al concordato. Il dado sarà tratto domani, davanti al collegio
presieduto dal giudice Alessandra Bottan e formato dai colleghi Lorenzo Massarelli e Andrea Zuliani.
Diametralmente opposte le soluzioni sul tappeto. Quella più cupa dello stop alla procedura
concordataria condurrebbe dritti alla dichiarazione di fallimento. Sulla Spav, da luglio, pende l’istanza
di fallimento avanzata dal procuratore facente funzioni, Raffaele Tito, e che solo il via libera dato al
concordato aveva “congelato”. In settembre, un’ulteriore domanda era stata presentata da un fornitore.
Esiste però anche una via di scampo. Se è vero che il mancato deposito in cancelleria della somma per
le spese della procedura - stabilito in 400 mila euro, di cui la metà di immediata consegna - comporta la
revoca dell’ammissione, la Spav spera comunque di recuperare fiducia in extremis, depositando
domani stesso i 200 mila euro richiesti. Nei giorni scorsi, infatti, l’azienda è riuscita a ottenere un
finanziamento da terzi e, nonostante il termine del 7 gennaio per il deposito sia ampiamente scaduto,
chiederà al tribunale di essere comunque considerata adempiente. Ai giudici sarà inoltre sottoposta una
sentenza fresca di Cassazione - è stata pronunciata il 16 gennaio scorso -, in base alla quale i beni non
possono essere sequestrati alla società, ma soltanto alla persona sottoposta a indagine. Il sequestro
preventivo ai fini della confisca disposto dal gip Emanuele Lazzàro riguarda Iva non versata con la
dichiarazione dei redditi del 2012. Con il provvedimento, sono stati bloccati tutti i soldi che l’azienda
aveva ancora in cassa, per un ammontare di 583 mila euro. La parte residua, pari a poco più di 100 mila
euro, ha gravato sui beni del presidente Turello. Ed è proprio dal saldo dei debiti con il Fisco che parte
la proposta di Spav per evitare il fallimento. Predisposto dall’avvocato Emanuele Urso e dal
commercialista Daniele Cattaruzzi, il piano prevede di adempiere al concordato, pagando da un lato
circa 3 milioni di imposte, con una rateizzazione spalmata su cinque anni, e, dall’altro, tutti i creditori,
secondo la seguente modulazione: i privilegiati entro un anno dall’omologa, per un ammontare di oltre
800 mila euro, e i chirografari e gli ipotecari, con la liquidazione dei beni immobili, costituiti dalla sede
della società di Martignacco e dal capannone industriale di Villa Santina, per un valore valutato in circa
9 milioni di euro. Per quanto riguarda il personale, il piano prevede il “ripescaggio” immediato di 27
dipendenti dalla cassa integrazione, che al momento interessa 78 lavoratori, cioè la quasi totalità
dell’organico. Gli unici tre ancora in servizio, al momento, stano lavorando negli uffici. La prospettiva,
comunque, è quella di continuare a recuperare lavoratori dalla cassa integrazione, fino a un completo
riassorbimento. La società, che dal 1960 costruisce prefabbricati per l’edilizia, era entrata in crisi per le
difficoltà economiche determinate da una significativa contrazione del fatturato e dai costi eccessivi del
personale.
Coopca, via libera alla proroga di 2 mesi (Gazzettino Udine)
Elena Viotto Il Tribunale di Udine ha concesso a CoopCa una proroga di sessanta giorni per il deposito
della documentazione e del piano di concordato preventivo. La richiesta di proroga dei termini era stata
avanzata dalla cooperativa, seguita nella procedura concordataria dall'avvocato Andrea Cabrini e dal
commercialista Maurizio Variola. Il termine scadrà dunque il 17 marzo. Il tribunale ha fissato anche
un'udienza il 29 gennaio per discutere l'istanza di nomina di un commissario giudiziale presentata
lunedì dal Procuratore facente funzioni Raffaele Tito e dal sostituto Elisa Calligaris. All'udienza è stata
invitata a partecipare anche la Regione che sulle coop ha potere di vigilanza e controllo. Nel frattempo
il Cda, nella persona del Presidente, «replicando a alle numerose sollecitazioni volte a far dimettere
l'organo amministrativo», ha comunicato in una nota stampa di aver «depositato in Tribunale ed in
Procura una dichiarazione scritta datata 19.01.15 per precisare che la scelta di restare in carica e di
proseguire nell'attività gestoria, è mossa da spirito di servizio e senso di responsabilità, nell'interesse
esclusivo di Coopca e del buon esito della procedura in corso». Il cda ha dato la propria disponibilità a
«rimanere in carica sino a quando sarà individuata dalle parti interessate, anche sotto il profilo tecnico,
la soluzione più adeguata per assicurare la continuità di un'efficiente gestione sociale e con essa la
piena perseguibilità del percorso concordatario».
Intanto l'avvocato Maurizio Miculan ha depositato in Procura un mandato ricevuto dal Cda per ogni
controllo sullo stato del procedimento penale aperto dopo la querela presentata dal comitato prestatori
sociali e per l'eventuale attività difensiva che si renderà necessaria. La querela, precisa ancora la nota,
«impone alla Procura di indagare per l'accertamento dei reati ipotizzati; reati che presuppongono un
vantaggio economico per chi li commette, che non c'è e non c'è mai stato in capo agli amministratori, i
quali hanno un compenso rappresentato esclusivamente da un gettone di presenza di 120 euro lordi a
consiglio, peraltro non percepito da mesi. Inoltre, il Presidente Ermano Collinassi, con il suo
insediamento in tale carica, avvenuto nel maggio 2014, ha voluto ridurre il suo compenso del 37%
rispetto al precedente».
Pressing su Pedrotti per allargare il tavolo e salvare il territorio (M. Veneto Pordenone)
di Martina Milia Anche i rappresentanti della politica territoriale si muovono. E, seppur con modalità e
obiettivi diversi, vanno in pressing sul sindaco-presidente della Provincia per chiedere una risposta
incisiva a favore della destra Tagliamento. Forza Italia, che con la parlamentare Sandra Savino aveva
sollevato il tema della prefettura a Roma, ha predisposto una mozione che presenterà in un consiglio
comunale ad hoc. Ieri il consigliere Franco Dal Mas ha raccolto le firme per chiedere la convocazione
di un consiglio sul tema, anche se è evidente che la Prefettura sarà solo la punta dell’iceberg, sarà
l’argomento da cui partire per aprire un dibattito politico approfondito sul futuro della città. «La
mozione chiede di impegnare Pedrotti, nel suo doppio ruolo di sindaco e presidente della Provincia –
spiega il consigliere comunale –, in collaborazione con la Regione e tutti i parlamentari eletti in Friuli
Venezia Giulia, nel salvataggio della Prefettura. Un’operazione che non può prescindere dal
declassamento in atto nel territorio e in particolare in questa città». Tema che proprio Dal Mas, dai
banchi dell’opposizione in consiglio comunale, ha sollevato più volte. A partire da quando Pordenone
ha fatto un passo indietro sulla realizzazione del nuovo ospedale in Comina. Stimoli a Pedrotti – già
nella riunione dei capigruppo in Provincia, tenutasi la scorsa settimana – sono arrivati anche dal
coordinamento delle liste civiche. «Il nostro obiettivo – spiega il portavoce, Marco Salvador – è quella
di convocare quanto prima l’assemblea dei sindaci, organismo che, come da nostro programma
elettorale per la Provincia, deve assumere valore politico in quanto chiamato a delineare le strategie per
il futuro del nostro territorio. La riorganizzazione degli enti locali ha scardinato confini che prima erano
meramente amministrativi e ci obbliga a ragionare in forma allargata. La figura dei sindaci diventa per
noi centrale in questa nuova azione politico-amministrativa. I primi cittadini vanno coinvolti in tutti i
processi e devono imparare a lavorare assieme». E sottolinea: «Come abbiamo già anticipato a Pedrotti,
il tema della Prefettura deve essere solo uno dei temi su cui coinvolgere gli altri Comuni. Ai sindaci
vogliamo sottoporre le questioni legate alla riorganizzazione degli enti locali ma anche il futuro
dell’università». A Pedrotti il compito di fare sintesi – e soprattutto di farlo in tempi rapidi – in un
momento in cui si respira un certo fermento politico, una vivacità che non è legata solo ai rapidi e
preoccupanti cambiamenti che il territorio deve affrontare. Il “movimento” indica che sulle strategie
per il territorio e sulla nuova identità di Pordenone si baseranno le sfide elettorali del prossimo futuro.
Il 2016, insomma, è lontano solamente nel calendario. Il clima della sfida a tutto campo si respira già.
Badanti, in un anno più di 850 contratti (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE – Badante come occasione di lavoro. Ormai il settore dei servizi alla persona assume
sempre maggiore significato anche occupazionale. Ne sono prova i dati che descrivono un anno di
attività degli sportelli assistenti familiari della provincia di Pordenone. Da gennaio a dicembre 2014,
sono state 1.060 le persone che hanno fatto pervenire agli uffici la propria disponibilità a lavorare come
badante. A fronte di un così significativo numero di offerte di lavoro, in provincia sono stati 856 i
contratti stipulati per l'assunzione di assistenti familiari attraverso i servizi offerti dai cinque Sportelli
provinciali (Pordenone, Sacile, San Vito, Maniago e Spilimbergo) e 90 i rapporti di lavoro attraverso i
voucher. Il “grosso” dei contratti nell'area che fa riferimento allo sportello di Pordenone (432).
Seguono l'area di Maniago (135 contratti), di San Vito al Tagliamento (132 contratti), Sacile (che conta
anche lo sportello distaccato di Fontanafredda, per un totale di 118 contratti) e Spilimbergo (39
contratti). Resta il fatto che sul territorio restano ancora comunque tanti contratti irregolari. Favorire
l'incontro tra le famiglie bisognose di assistenza e le badanti in cerca di lavoro, con un'attenzione
particolare allo sviluppo di un mercato del lavoro regolare è lo scopo di queste strutture amministrative.
Un servizio per molte famiglie divenuto indispensabile, la cui efficacia è testimoniata dai numeri: 901
nel 2010, 900 nel 2011, 964 nel 2012, 842 nel 2013 e, 856 nel 2014, sono le persone inserite nel
mercato del lavoro attraverso i servizi erogati dagli sportelli gestiti sul territorio dalla Provincia affidati
alle operatrici Alessia Comisso, Carla Cengarle, Elisabetta Basso, Anna Tammaro, Dina Della Bianca.
«Chiudiamo perché nel territorio mancano possibilità di sviluppo» (M. Veneto Pordenone)
di Martina Milia La doccia gelata non è stata solo sentirsi ribadire che dal 2 aprile Metro chiuderà il
magazzino al centro ingrosso di Pordenone, dove lavorano 48 dipendenti tra i 30 e i 40 anni. Sono le
motivazioni per cui l’azienda è arrivata ad annunciare la chiusura ad aver spiazzato i sindacati. Ed è la
stessa segretaria di Filcams Cigl, Daniela Duz, a riferirle, dopo l’incontro avuto ieri – assieme ai
colleghi di Cisl e Uil – con il direttore di Metro Italia Cash and Carry S.p.A., Maurizio Cossu, e una
rappresentanza di Federdistribuzione. «La fotografia della provincia fatta dall’azienda è impietosa. Ci è
stato detto chiaramente che a fronte di una penetrazione del territorio del 60 per cento, Metro non ha
riscontrato alcuna possibilità di sviluppo nella nostra provincia. Da qui la decisione drastica di
chiudere» sintetizza Duz. Una motivazione che, se da un lato fa capire quanto profonda sia la crisi del
commercio nel Pordenonese, dall’altra non basta al sindacato per accettare la soluzione dell’azienda.
«L’azienda ha 49 punti vendita in Italia – analizza Duz – e questo è il primo che viene chiuso. Possibile
che non ci fosse un’altra soluzione per Pordenone? Possibile che questa analisi non si potesse fare un
anno fa quando l’azienda ha avviato un programma di ristrutturazione che ha permesso di beneficiare
dell’utilizzo di ammortizzatori sociali?». Forse con il ricorso ai contratti di solidarietà, per esempio, si
sarebbe potuta evitare una chiusura drastica. Nel corso dell’incontro il sindacato ha rilanciato una serie
di proposte e l’azienda ha avanzato le proprie. La volontà comune è comunque quella di trovare la
soluzione migliore per i lavoratori. Domani i contenuti dell’incontro saranno sottoposti all’attenzione
dei dipendenti nel corso delle assemblee in programma mattina e pomeriggio. «Abbiamo organizzato
due ore di assemblea la mattina e due il pomeriggio – aggiunge la segretaria della Filcams – proprio per
dare la possibilità a tutti i lavoratori di partecipare. Li aspettiamo al completo perché è in gioco il loro
futuro». In programma, poi, un nuovo confronto con l’azienda – il 29 gennaio – al tavolo provinciale
per il lavoro (è infatti la Provincia l’ente che ha potestà di gestire gli accordi legati a cassa integrazione
e mobilità). «A quel tavolo – aggiunge Duz – abbiamo chiesto anche la partecipazione dell’assessorato
regionale al Lavoro, anche alla luce delle modifiche normative che sono subentrate all’inizio di
quest’anno per l’entrata in vigore della legge nazionale». I numeri di Metro sono importanti in un
territorio come Pordenone, ma soprattutto sono emblematici di un settore che, più di altri, sembra non
riuscire ad arrestare l’emorragia iniziata nel 2008.
Mercatone Uno al concordato (Gazzettino Pordenone)
Davide Lisetto Nuova tegola per il commercio del territorio: dopo l’annunciata chiusura della Metro di
Pordenone (che ieri ha confermato, dopo aver esplorato possibili alternative, la cessazione dell’attività
il 2 aprile con 48 licenziamenti) arriva la richiesta di concordato preventivo per il MercatoneUno di
Sacile. Lo storico punto vendita non alimentare - si trova in località Cornadella lungo la Pontebbana - è
specializzato nella vendita di arredamento, elettrodomestici e casalinghi. La notizia ha colto di sorpresa
gli oltre quaranta addetti del negozio sacilese che ora sono con il fiato sospeso rispetto al futuro
dell’attività.
Il gruppo della grande distribuzione, con sede a Imola e 79 punti vendita in tutta Italia (3.700 i
dipendenti complessivi), ha chiesto al tribunale di Bologna l’ammissione al concordato preventivo. Si
tratta di una procedura per cercare di evitare il fallimento. La decisione è motivata da una costante
«riduzione del fatturato, il tutto aggravato dal contesto deflazionistico a cui conseguono prezzi di
vendita sempre più bassi e perdita di marginalità», come ha spiegato la società. Sarebbero in corso
trattative con potenziali investitori interessati a un marchio storico con i quali si sta discutendo il nuovo
piano industriale. Ma gli sviluppi sono ancora molto incerti: quanti e quali punti vendita rimarranno? E
con quanti addetti? Sono tutte domande che avranno una risposta dopo che il piano (entro due mesi)
sarà presentato al tribunale.
La carta dell’accordo di ristrutturazione la società se l’era già giocata, a luglio. Anche a Sacile i
lavoratori hanno usufruito - a rotazione - dei contratti di solidarietà. Ma la "cura" non è bastata. Ora sul
tavolo, per la Mercatone Uno, c’è la posta massima: rinascere o fallire. Va letta così la richiesta di
concordato preventivo presentata. Troppo poco performanti quei 79 punti vendita in Italia: negli ultimi
tre anni il gruppo avrebbe registrato perdite milionarie. E mentre i sindacati incassano il colpo che, a
quanto si apprende, nessuno aveva loro comunicato formalmente nonostante gli anni di ammortizzatori
usati, gli interrogativi restano: qual è il piano da presentare entro 60 giorni al tribunale? A quanto
ammontano i debiti, i creditori e la cifra che verrà loro proposta? Quanti e quali negozi resteranno
aperti? Insomma, il futuro anche per i 40 addetti del negozio di Sacile resta quantomai incerto.
In vendita gli immobili delle Cooperative Operaie (M. Veneto Pordenone)
Supermercati, negozi di prossimità e abitazioni: è il patrimonio di Cooperative Operaie messo in
vendita dall’amministratore giudiziario Maurizio Consoli. E’ l’ultimo capitolo della vicenda che ha
coinvolto la cooperativa con sede a Trieste, ma che in provincia di Pordenone conta una decina di punti
vendita e un centinaio di dipendenti. Lista. Da qualche giorno è on line l’elenco dei beni in vendita: è in
fase di predisposizione la domanda di concordato preventivo e per questo si invitano i potenziali
offerenti a manifestare il loro interesse. L’elenco contiene tutti i beni della cooperativa che si trovano
nelle quattro province della regione, dai supermercati agli uffici, dagli appartamenti agli altri immobili
accumulati dalla società negli anni. Punti vendita. La fetta più ampia del patrimonio immobiliare della
società cooperativa è rappresentata dai punti vendita, supermercati e i pochi negozi di prossimità
rimasti. Nell’elenco si trovano i supermercati di Aviano centro, Roveredo in Piano, Pordenone,
Montereale Valcellina, Savorgnano, Spilimbergo e San Quirino. In vendita anche i piccoli punti vendita
come quello di Marsure di Aviano e di via General Cantore a Pordenone. Sul mercato anche uno degli
ultimi investimenti che Coop Operaie ha fatto in provincia: il supermercato di Roveredo in Piano,
aperto nel parco commerciale a ridosso dell’aeroporto Pagliano e Gori. Auditorium. Nell’elenco stilato
dall’amministratore giudiziario figura il centro civico di San Quirino. Era il vecchio auditorium
comunale con palestra e sala convegni. Era stato realizzato dal Comune attorno agli anni Settanta e per
decenni è stato il punto di riferimento per incontri, convegni e attività delle associazioni. Qualche anno
fa l’amministrazione comunale aveva deciso per la dismissione ed era stato acquistato da Coop Operaie
per fare nell’area il nuovo supermercato. Progetto poi tramontato. «Internamente – si legge nella
presentazione – le condizioni, e parzialmente gli arredi, risalgono a quando era in uso come centro
culturale». Uffici e abitazioni. La maggior parte dei locali è in vendita ad Aviano e si trova nell’edificio
di via Ospedale dove sino a qualche anno fa c’era un punto vendita di Coop Operaie, chiuso e poi
ceduto. Si tratta di quattro appartamenti, alcuni a uso ufficio, vuoti da qualche tempo. A Spilimbergo
sono in vendita un ufficio e un appartamento nello stabile del supermercato, anch’esso in vendita.
Anche a Pordenone nel punto vendita di via Revedole sono sul mercato un ufficio e un appartamento.
Dismissione. Sono di proprietà di Coop Operaie anche altri immobili, alcuni non più utilizzati come
negozi. A Spilimbergo sono in vendita un immobile utilizzato come segheria in via Pinzano e un locale
commerciale in via Cinta di Sotto. A Roveredo in Piano la ex cooperativa di via Dante e a Pordenone
spazi in via Revedole, già locati. Vendita. L’attenzione è concentrata soprattutto sui punti vendita e
sulla sorte dei dipendenti che vi lavorano. Sul mercato vanno singoli negozi, piccoli e grandi, ritenuti
appetibili da parte di catene che abbiano la volontà di ampliare la propria rete. Donatella Schettini
Negli esercizi si lavora regolarmente
Tutti i negozi stanno lavorando regolarmente anche se il personale è ovviamente preoccupato per il
proprio futuro. «Per il momento – afferma Susanna Pellegrini della Filcams Cgil (nella foto) – la
situazione è stabile e il personale lavora anche formalmente sotto Cooperative Operaie. La trattativa è
ancora aperta e in questi giorni è stata attivata la procedura per la messa in vendita dei negozi». La
trattativa è ancora in corso e adesso c’è tempo sino a giugno per chiudere la questione. Il personale è
ovviamente preoccupato per il proprio futuro. Il tracollo di Cooperative Operaie è cominciato a metà di
ottobre con la richiesta di fallimento da parte della Procura di Trieste. Una notizia arrivata come un
fulmine a ciel sereno: se i punti vendita hanno continuato a lavorare, sono stati bloccati i conti dei soci
risparmiatori creando disagi e proteste. Dopo la nomina di un amministratore giudiziario, l’avvocato
triestino Maurizio Consoli, si è scelta la strada del concordato preventivo. Adesso si è arrivati alla fase
della vendita dei negozi e del resto del patrimonio. Colpita anche la provincia di Pordenone per la
presenza dei punti vendita e di decine e decine di risparmiatori che avevano aperto il classico libretto.
Risparmiatori che si erano riuniti in comitato per cercare di ottenere quanto prima la disponibilità del
proprio denaro.
Ideal Standard, si decide sullo stabilimento (M. Veneto Pordenone)
La giornata della svolta per la vertenza Ideal Standard potrebbe essere arrivata: è in programma alle 14
di oggi, nella sede di Milano della multinazionale, il faccia a faccia con la coop Ceramiche Idealscala
sul progetto di reindustrializzazione del sito di Orcenico. L’interrogativo cui dovrà essere data risposta
è uno solo, ormai da mesi: l’azienda sarà disposta a cedere a condizioni di favore, ossia a un prezzo
simbolico, capannone e impianti alla coop? La multinazionale ha sempre ribadito di essere contraria al
trasferimento degli assets a titolo gratuito, mentre i sindacati e le istituzioni insistono sull’impossibilità
di una cessione a valore libro. Oggi, insomma, Ideal Standard dovrebbe sciogliere, una volta per tutte,
le riserve. L’azienda, tra l’altro, dovrebbe essersi già fatta un’idea, almeno di massima, del piano che
Idealscala ha trasmesso a dicembre e sapere quindi se può dirsi disposta a favorire il progetto di
rilancio del sito di Orcenico. I dubbi, comunque, rimangono. Una cosa è certa, però: se quello odierno
non sarà il tavolo della svolta, non ci saranno molte altre occasioni per discutere. La negoziazione
andrà infatti chiusa, tassativamente, tra dieci giorni. Andare oltre il 31 gennaio non è possibile, in
quanto c’è un accordo ministeriale che parla chiaro. A un risultato, insomma, si dovrà arrivare. Le
istituzioni, i lavoratori e le forze sociali confidano in un risultato positivo, anche se preferiscono non
sbilanciarsi e procedere con i piedi di piombo, visto che i colpi di scena, in passato, non sono mancati.
Tra frenate e retromarce, passi avanti e rotture di trattativa, è infatti da oltre un anno che la vicenda
Ideal Standard tiene col fiato sospeso 398 lavoratori e le loro famiglie. Tanti anche gli incontri a livello
locale e ministeriale che si sono chiusi con un nulla di fatto. Negli ultimi otto mesi, i confronti sono
stati, in media, due al mese. Non va dimenticato che, in quello dello scorso 2 dicembre, la
multinazionale aveva abbandonato il tavolo e rotto la negoziazione. Negoziazione che sembrava
difficile da fare ripartire, ma a metà dicembre a Roma s’è registrata una piccola svolta. Per quella
decisiva, però, bisogna ancora attendere. Al tavolo di concertazione odierno seguirà un nuovo
confronto al Mise, nel corso del quale dovrebbe essere chiuso l’iter. Giulia Sacchi
Porto vecchio liberato anche in Consiglio (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana Gli integralisti del Punto Franco Nord alla fine vengono “scaricati” da tutti e
restano senza nemmeno un sostenitore all’interno del Consiglio comunale i cui componenti, va
ricordato, sono democraticamente eletti da tutti i triestini. Al termine di una maratona, pur a tratti
grottesca, terminata all’una e 43 del mattino, la mozione della maggioranza che, riprendendo
l’intervento del sindaco Roberto Cosolini, traccia la road map dello spostamento del Punto Franco e
della sdemanializzazione dell’area, non raccoglie nemmeno un voto contrario. Non solo, la cosiddetta
maggioranza della jota che al centrosinistra già assommava Roberto Antonione pur leader del
centrodestra alle elezioni e Franco Bandelli e Alessia Rosolen di Un’Altra Trieste, si arricchisce anche
di Roberto De Gioia, della Lista civica indipendente ex rappresentante della Lega Nord. Il documento
ottiene così 25 voti favorevoli, astenuto Claudio Giacomelli di Fratelli d’Italia in Comune nel gruppo
misto, mentre sette consiglieri non prendono parte al voto: Everest Bertoli e Piero Camber di Forza
Italia, Lorenzo Giorgi del Pdl, Michele Lobianco di Impegno civico, Paolo Menis e Stefano Patuanelli
di M5S e Paolo Bassi del Gruppo misto. Nessun voto contrario. La mozione, tra l’altro impegna
sindaco e giunta sull’identificazione assieme agli altri enti interessati dei siti idonei al trasferimento del
Punto Franco, a realizzare un’Unità di progetto all’interno del Comune e una cabina di regia per gestire
le fasi attuative del processo, a coinvolgere un soggetto specializzato per la presentazione del progetto
su scala internazionale e i cittadini e lo stesso Consiglio comunale in un confronto continuo sullo
sviluppo delle varie fasi. Approvata anche con 18 voti favorevoli e 14 astenuti la mozione di Marino
Sossi, Daniela Gerin e Mario Reali di Sel che impegna il sindaco a richiedere al governo la definizione
dei decreti attuativi del regolamento dei Punti franchi anche se emendata laddove si prevedeva che ciò
fosse propedeutico al loro eventuale spostamento. Via libera anche alle due mozioni presentate da
Franco Bandelli e Alessia Rosolen di Un’Altra Trieste. Quella che prevede l’istituzione di un
organismo in grado di valorizzare l’area e di disegnarne uno sviluppo armonico ha ottenuto 24 voti
favorevoli, 6 contrari e 4 astenuti, quella che implica il coinvolgimento del presidente
dell’Anticorruzione Raffaele Cantone ha totalizzato 31 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti. Questo il
commento finale di Bandelli-Rosolen: «Forza Italia ha abbandonato la Lega lasciandola da sola nella
battaglia contro la sdemanializzazione sconfessando l’unico deputato regionale di FI (Sandra Savino,
ndr.) che alla Camera ha presentato un emendamento contro la sdemanializzazione assieme a Lega
Nord e ai Cinquestelle. Forza Italia ha cercato più volte e apertamente sponda - commentano ancora i
consiglieri di Un’Altra Trieste - nei movimenti autonomisti uscendo alla scoperto: alla fine ha scelto di
sconfessare anche loro, astenendosi dal voto». Bocciate invece, con soli 8 voti favorevoli, la mozione
presentata dai Cinquestelle e quella del centrodestra. La prima ha avuto 20 contrari e 4 astenuti, la
seconda 24 contrari e 4 astenuti. Altre due mozioni, di Paolo Rovis del Nuovo Centrodestra e di
Lorenzo Giorgi del Pdl sono state ritirate dai rispettivi proponenti per fare prima il passaggio in
Commissione. «Una mozione che fondamentalmente recepiva quella che era stata la relazione del
sindaco - è stato ieri il commento di Roberto Cosolini - non ha avuto nemmeno un voto contrario.
Questo dimostra non soltanto la compattezza della maggioranza, ma mette in evidenza come anche una
parte dell’opposizione intenda lavorare assieme a noi. Forse non è vero che all’interno del Consiglio
comunale - ha aggiunto il sindaco - non vi è più nemmeno un consigliere contrario alla
sdemanializzazione, ma chi lo è, è in tale difficoltà che questa posizione non ce la fa più nemmeno a
rappresentarla». Secondo Cosolini dunque è ora di mettersi a lavorare «per arrivare nel giro di qualche
mese a spostare il Punto Franco e a creare poi all’interno del Comune l’Unità di progetto, essendo
ormai chiaro a tutti - specifica il sindaco - che si tratta di un grande progetto politico e non di una
speculazione immobiliare, una grande operazione che riporta Trieste al ruolo di capoluogo di un
territorio vasto e alla quale guarda con interesse l’intero sistema-Paese e nella quale può essere
coinvolto lo stesso governo nazionale anche con lo scopo di valorizzare l’attrattività dell’area nei
confronti di grandi investitori anche stranieri».