Inchiostro - Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa

anno
XV
n. 10
1
dicembre
2014
Periodico a cura della Scuola di Giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli / www.inchiostronline.it
Eventi
“Che fare”
in città
aspettando Natale
Tendenze
C’era una volta
chi studiava
in silenzio
Sport
La Ssc Napoli
e la scugnizzeria
fantasma
di Roberta Campassi
a pagina 10
di Elisabetta de Luca
a pagina 8
di Roberto Panetta
a pagina 11
Il nostro
esordio
di Marco Demarco
Non metterti in cattedra, comunica. E’ il motto di Ritsko van Vliet,
docente olandese di marketing in
visita nella nostra città. E’ anche
lo spirito con cui i praticanti della
Scuola di Giornalismo di Napoli
hanno affrontato questo numero di
Inchiostro: nessuna lezione, nessuna
presunzione di completezza. Non
abbiamo verità assolute da raccontare, solo fatti. Questo numero rappresenta un esperimento, quasi una
esercitazione sul campo. Ma quale
campo: Napoli, una città che è una
miniera di fatti, storia, conflitti ed
eccellenze.
Ha la piccola presunzione di raccontare storie, persone, vicende che
forse non sono sotto l’occhio dei
riflettori. E’ una esercitazione sul
campo in cui i nostri allievi hanno
affrontato la realtà.
Il giornale che giunge nelle vostre
mani è anche un insieme di esordi.
A cominciare da chi scrive: questo
è il primo numero del periodico che
firmo come direttore responsabile
della testata. Succedo a Pierluigi Camilli che mi ha preceduto guidando
con passione e competenza i giovani praticanti per cinque anni. Dopo
anni di distribuzione presso le librerie Guida e Feltrinelli, questa volta i
nostri praticanti si misurano – grazie
alla diffusione nelle metropolitane
della città – con un pubblico vero,
esigente; un pubblico che non ha
tempo da perdere. L’obiettivo finale
del nostro sforzo è quello di qualsiasi
giornalista che si rispetti: trovare un
lettore interessato, attento, critico.
Questo debutto è quindi anche una
scommessa: trasformare una scuola
di giornalismo in una vera redazione, con compiti, ruoli e strategie che
appartengono ai giornali che sono
in edicola.
Da oggi anche noi ci confrontiamo
con la piazza reale e con il giudizio – impietoso – dei lettori. A loro
chiediamo opinioni, critiche e suggerimenti. In penultima pagina troverete i nostri recapiti. Attendiamo i
vostri contributi.
Fotografa il Quarcode
e accedi direttamente
alla pagina web della
Scuola di Giornalismo
Suor Orsola Benincasa
La Linea 1 del metrò arriva al Maschio, ma Anm non esclude rinvii
Municipio, si parte
Il Comune conferma l’apertura di due varchi. Inaugurazione il 30 dicembre
di Elisabetta de Luca
Era la piazza
Napoli, un Giano bifronte. Un
luogo incantevole ma spesso vitti- del teatro
ma della malavita e del malcostu- napoletano
me. La metropolitana di Napoli
rispecchia l’anima della città: la
linea 1 è stata eletta la più bella
del mondo ma i viaggiatori spesso sono stipati su vagoni vecchi. Il
Comune di Napoli ha annunciato
l’apertura di due uscite della stazione di piazza del Municipio - a
undici anni dalla posa della prima pietra -, ma dalle società che
hanno gestito gli appalti nessuna
conferma. La piazza dovrebbe
diventare uno snodo importante
per la metropolitana e per il traffico cittadino. Una galleria che da
Palazzo San Giacomo arriva al
mare. I numerosi reperti rinvenuti durante gli scavi faranno parte
di un museo che aprirà forse nel
2016. a pag. 2
Metropolitana di Napoli
di Diego De Carlo
La storia di piazza Municipio
dal Rinascimento al Risanamento, fino al comandante Lauro.
Aneddoti, curiosità, racconti, la
preziosa testimonianza di Pietro
Gargano, memoria storica del
Mattino.
Com’è cambiato nei secoli uno
dei luoghi più famosi di Napoli,
prima porto ora stazione della
metropolitana. I cambiamenti
urbanistici, il sottosuolo antico
di due millenni, Ferdinando di
Borbone, Benito Mussolini, i
Futuristi, i fratelli Pepito, Theo
Brinkmann. E sullo sfondo, la figura del Maschio sul Golfo.
a pag. 3
Eredi e storici raccontano il Duca della Vittoria
Armando Diaz
“Generale umano”
di Roberta Cordisco
Ricorre il centenario della Grande
Guerra. Il generale napoletano Armando Diaz, Duca della Vittoria che
portò l’esercito italiano a sconfiggere
le truppe austro-ungariche nella battaglia di Vittorio Veneto, è il grande
Cavallone a pag. 7 dimenticato? Danno il loro parere il
professore di storia contemporanea
dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Eugenio Capozzi,
la professoressa di storia moderna,
Vittoria Fiorelli e Ernesto Galli della
Loggia, editorialista de Il Corriere della Sera. Il nipote del generale, che ha
ereditato il nome e il titolo del nonno,
racconta invece il Diaz uomo, il suo
Cordisco a pag. 6-7 attaccamento alla famiglia e la sua rigida disciplina al fronte.
Il nipote:
“Ha unito l’Italia
ma è stato
dimenticato”
Galli della Loggia:
“Non è stato
un vero eroe
ma solo un ufficiale”
a pag. 6-7
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Nuovi scrittori, ecco le squadre
di Lara De Luna
Napoli è una città amante dei libri e in un panorama culturale
cittadino a volte delutente, la produzione letteraria fa la differenza. Gli scrittori ‘made in Naples’ sono tanti e sempre più
spesso vincenti nelle classifiche di vendita. Dai giallisti a coloro
che amano giocare con l’italiano, passando per chi non si allontana dalle viscere cittadine, rendendo ogni libro napolicentrico,
le sette famiglie della scrittura partenopea.
a pag. 9
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Inchiostronline”
Primo Piano
Dopo undici anni di cantiere, il prossimo 30 dicembre saranno inaugurate due nuove uscite
La metro a Capodanno
Apre la stazione Municipio
I lavori non sono ancora stati completati. Il termine è previsto per il 2016
di Elisabetta de Luca
U
ndici anni dopo l’apertura
del cantiere, a trentotto anni
dalla posa della prima pietra
della metro Linea 1, il sindaco De Magistris ha annunciato per il 30
dicembre l’inaugurazione di due uscite
della stazione di Piazza Municipio. Il Comune è certo che non ci saranno ulteriori ritardi: “Sarà una stazione bellissima,
piena di reperti archeologici” ha detto
il sindaco. Ma gli addetti ai lavori si riservano di dare comunicazioni ufficiali.
Quando si parla di questo cantiere, infatti,
l’imprevisto è dietro l’angolo.
Il progetto originale, affidato a Àlvaro Siza
ed Edoardo Souto de Moura, due premi
Pritzker (il nobel dell’architettura), ha subito 27 variazioni. Molteplici ritrovamenti
archeologici sono stati la causa principale
dei continui stop. Anche una tragedia ha
segnato il destino della stazione. Il 20 settembre scorso è stata data la notizia della
morte di un operaio, Salvatore Renna, 41
anni, trovato cadavere all’interno del cantiere. Sulla vicenda sono in corso le indagini.
Per la fine dell’anno è prevista solo l’apertura di due uscite, una in via Medina e
l’altra provvisoria davanti al Grand Hotel
de Londres, un tempo primo esempio del
filone liberty napoletano e oggi sede del
Tar, il Tribunale amministrativo regionale.
La prima pietra
della Linea 1
fu posata nel 1977
Taglio del nastro anche per la piazza davanti Palazzo San Giacomo, la sede del
Municipio, abbellita dalla Fontana del
Nettuno trasferita da via Medina.
Il progetto però prevede altri due sbocchi che dovrebbero essere inaugurati nel
2016: in via Depretis e nel porto di Napoli, quest’ultimo strategico per i pendolari e i turisti diretti alle isole. Inoltre, è in
costruzione un ascensore che dal Maschio
Angioino condurrà al metrò attraverso il
museo archeologico.
La variazione più importante al progetto
è proprio la nascita di un nuovo polo museale, un corridoio di 10 metri con in mostra i numerosi reperti rinvenuti durante
gli scavi e custoditi in cinque depositi della
Soprintendenza. La scoperta sorprendente è stata il ritrovamento di quattro navi di
epoca greco-romana, al cui interno conservavano ancora vettovaglie, anfore con
tappi in sughero, gioielli, ciotole e utensili
vari. Ciò che è stato rinvenuto dentro le
imbarcazioni sarà esposto nel museo men-
Progetto Piazza del Municipio
tre per le navi non è stata scelta ancora
una sistemazione.
Anm, l’Azienda napoletana mobilità, ha
confermato che gli scafi non resteranno
all’interno della stazione ma bisognerà
trovare un luogo adatto per conservarli,
un sito che possa ospitare teche di vetro
molto grandi. Forse uno spazio sarà allestito all’interno del Maschio Angioino ma
non c’è nulla di definitivo.
Di certo, per visitare il Museo bisognerà aspettare ancora qualche anno. Nella
galleria sarà possibile ammirare il ponte
levatoio del castello, una banchina con
area termale, il muro vicereale, incorporato nell’architettura del museo, il torrione
dell’Incoronata, situato nell’angolo nordoccidentale di Castel Nuovo in età vicereale e i resti degli affreschi di un palazzo
angioino appartenuto alla famiglia Del
Balzo. Scavando più in profondità hanno rivisto la luce anche blocchi di tufo di
epoca ellenistica e romana. La stazione di
Piazza del Municipio, una volta ultimata
definitivamente, si prevede tra due anni,
Diciotto fermate
150mila viaggiatori
Mobilità rivoluzionata
sarà il punto d’interscambio tra la Linea 1
e la Linea 6.
“Il cambiamento più importante per noi
– dice Alberto Ramaglia, amministratore
unico Anm – è stata l’apertura del capolinea Garibaldi, snodo importante perché
collega la metropolitana alle Ferrovie e
alla Circumvesuviana. Abbiamo diminuito il traffico cittadino, trasportando circa
150mila viaggiatori”, anche se la stazione
di piazza Garibaldi per metà è ancora un
cantiere perché non è stato aperto il passaggio interno tra la metropolitana e la
ferroviaria. Piazza Duomo che completerà
la Linea 1 non entrerà in funzione prima
del 2016.
A Madrid sono bastati 36 mesi per inaugurare una metro lunga 41 chilometri con
28 stazioni, sette anni per il Tunnel della
Manica, lungo 50 chilometri di cui 39 sottomarini e dieci anni sono durati i lavori
per il canale di Suez, i napoletani aspettano da due ventenni che la città venga
liberata dai cantieri e diventi più vivibile.
Generazioni di studenti si sono laureate
intanto che la metro cresceva con la speranza di raggiungere le università, senza
doversi accalcare sugli autobus e sui treni
delle ferrovie “prestati” alla metropolitana.
A piccolissimi passi però stanno nascendo
stazioni che uniscono binari e vagoni, con
reperti e opere d’arte, e soprattutto diventano cruciali per muoversi in città. Luoghi
che il mondo ci invidia.
A patto che non si sappia quanto lunga e
disagevole è stata l’attesa.
I musei
underground
Le metropolitane sono state elette da
anni luogo di sperimentazione per eccellenza dei grandi architetti, che finiscono per creare dei capolavori. Ignorati dai viaggiatori distratti, ma non dai
media. La metro di piazza Municipio
è solo l’ultima nata, in un panorama
tenuto sotto controllo dai giornali che
regolarmente ne stilano classifiche.
Graduatorie in cui l’opera di Oscar
Tusquets Blanca a via Toledo è sempre
in testa. Da Napoli a New York, le 15
stazioni più belle del mondo.
1. Stazione di Toledo, Napoli.
Progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, è
stata aperta nel 2012. È considerata la più bella del mondo.
2. Stazione Majakovskaja, Mosca. E’ la più famosa della linea
2 della metropolitana moscovita.
E’ uno dei migliori esempi di architettura stalinista pre-bellica.
2
Primo Piano
La storia di uno dei luoghi simbolo della città
ricostruita con il giornalista Antonio Gargano
Foto d’epoca di Piazza Municipio
Adotta una fermata Anm
Versando una quota si avrà il nome sulla palina
Adotta una fermata Anm
Fermata Anm adottata
di Lorenzo Ena
P
er ora sono 50, ma si arriverà
a coprire tutte le tremila fermate della città. Anche Napoli, con Anm, ha deciso di promuovere il progetto “La mia fermata”
(Lmf Italia Srl) già presente da 10 anni
a Firenze. “L’iniziativa - ha spiegato
Davide Scarinzi, responsabile della comunicazione Lmf per Napoli - consiste
nell’adozione di una fermata da parte
di un’attività commerciale. Attraverso
un contratto pubblicitario, gli esercenti versano una quota a Anm e Lmf e
in cambio il nome della loro attività
sarà apposto sulla palina e la pensilina
della fermata. Ogni esercizio può adottare più cartelli nel raggio di un chilometro dalla sua posizione. Abbiamo
già installato un centinaio di paline”.
I vantaggi per i negozianti non finiscono qui. Il nome dell’esercizio
sarà pubblicizzato anche a bordo dei
mezzi, con orari di apertura e chiusura e sito della pagina Facebook.
Ora l’obiettivo di Lmf è quello di
coinvolgere attività sanitarie: farmacie, centri di recupero e laboratori di
analisi. Le adesioni al progetto stanno
crescendo in maniera esponenziale.
“Ogni giorno - continua Scarinzi - riceviamo decine di consensi. Per ogni
contratto dedichiamo uno spazio
di ringraziamento nei quotidiani”.
Considerando il successo dell’esperienza fiorentina, secondo Lmf questa nuova idea cattura l’attenzione,
crea pubblicità e dunque aumenta gli
introiti. Scarinzi rivela un’indiscrezione: “Dopo Napoli anche le società dei
mezzi di trasporto di Bari e Venezia
sono pronte a promuovere Lmf ”.
3. Stazione Radhuset, Stoccolma. Gli interni sono stati creati seguendo i principi
dell’architettura organica per richiamare le
sembianze di una grotta.
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Quella piazza,
una Broadway
made in Naples
di Diego De Carlo
Se il Maschio Angioino che ancora adesso la domina fu eretto in meno di 56
mesi, sarà solo dopo più di dieci anni di
lavori, 27 progetti e mille intoppi che
l’“archeometrò” di Napoli entrerà in
funzione. Piazza Municipio, l’agorà del
capoluogo campano, è oggi un cantiere
aperto, uno scavo archeologico, un caos
di automobili e motorini che rivendicano
la precedenza. “Ma ‘sta metropolitana ‘a
stanno facenn’ o ‘a stanne cercanno?”, è il
leitmotiv del comico Alessandro Siani, forse il più prossimo dei parenti dei Pulcinella
che proprio in questa piazza, al teatro San
Carlino, sollazzavano il popolo. Perché un
tempo questa piazza era la Broadway di
Napoli. Per impedire l’abbattimento del
teatro nel quale avevano profuso tutto il
loro talento i Petito, i ridanciani napoletani
promossero un’autentica crociata. Ma non
riuscirono a spuntarla. E il teatro svanì. Insieme a una serie poco edificante di giostre
alla buona, strutture squarquoie e catapecchie. Al San Carlino lo stesso re Ferdinando andava ad applaudire i guitti travestito
da popolano. Per sondare il clima. E per
poi abbandonarsi a qualche gustoso battibecco con l’amata maschera partenopea.
Ma un altro teatro era qui, sull’area del distrutto convento, fino a fine ‘700: “Il Teatro del fondo dei lucri - ricorda Pietro Gargano, memoria storica del Mattino - che
si chiamava così perché la spesa era stata
sostenuta dall’amministrazione”.
Tuttavia l’unico teatro presente in piazza
ancora oggi è il Mercadante, un gioiello
architettonico edificato nel 1778 dall’architetto siciliano Francesco Securo, e parzialmente ricostruito nel 1893, su sinuosi
disegni di Pietro Ciulli. Nel 1799 il teatro
si volle anche chiamare “patriottico” e
fu coinvolto spesso in moti rivoluzionari.
“Per quelli del 1820 rimase chiuso per 26
anni”, rammenta Gargano. Ed è proprio
in quel periodo che il Largo di Castello ha
Stazione metro di Avtovo San Pietroburgo
Stazione Arts Et Métiers , Parigi
Bund Sightseeing Tunnel, Shanghai
Stazione Metro Università, Napoli
Formosa Boulevard Station, Taiwan
Tilework In Szent Gellért Square, Budapest
Stazione di Kungstradgarden, Stoccolma
City Hall Station, New York
Stazione T-Centralen, Stoccolma
Stazione Olaias, Lisbona
Stazione Stadion, Stoccolma
Stazione Slavyansky Bulvar, Mosca
cominciato lontanamente a somigliare a
ciò che è oggi. Fu infatti allora che Palazzo San Giacomo venne eretto, proprio per
volontà dell’istrionico re Ferdinando, con
lo scopo (stavolta serio) di riunirvi tutti i
ministeri del Regno delle due Sicilie. Dopo
l’unità d’Italia l’enorme edificio diventò
la sede centrale dell’amministrazione comunale. E lo è tuttora. “Fino a qualche
anno fa era facile trovarci rivenditori ambulanti di “spassatiempo” e chincaglierie
varie”, dice Gargano, che ricorda pure gli
anni della sua infanzia, quando in questa
piazza s’andava a mangiare i panzarotti
alla rosticceria Pizzicato, oppure il gulash
ascoltando i violini tzigani.
O quando il leggendario orologiaio tedesco
Theo Brinkmann, passati molti giri d’orologio della sua vita, dové chiedere il permesso di soggiorno perché dopo la guerra
al nazifascismo i Tedeschi non erano più
graditi. O quando si scendeva all’Hotel de
Londres, che inaugurò lo scintillante periodo del liberty napoletano, tutto ispirato
alle fragili metafore del fiore e della farfalla. Gran parte delle preziose decorazioni
che erano in esso sono state oggi stravolte
dai proprietari successivi. E l’edificio che
ospitò anche i primi scandali futuristi è
oggi diventato, molto più prosaicamente,
sede del Tar. Nel ‘900, a stravolgere la fisionomia della piazza è stato Achille Lauro, che in una tranquilla notte degli anni
’50 convocò segretamente alcune squadre
di “tecnici”. All’indomani decine di lecci
secolari non c’erano più. Perché pare che
sotto quegli alberi si concentrassero troppe
prostitute.
“Piazza Municipio è sempre stata un porto
di mare, un luogo dove le mogli dei popolani ballavano su palchi e panche” dice
Pietro Gargano.
“Poi, a un certo punto il porto si sposta
verso est, e la piazza diventa una sorta di
cannocchiale verso il golfo”. Tuttavia adesso un porto sommerso antico di 1800 anni
è ritornato alla luce. E il porto che prima
caratterizzava la piazza si è spostato tra via
Acton e San Giovanni a Teduccio. Di esso
a piazza Municipio resta la sola stazione
marittima, una struttura marmorea eretta
in coincidenza con il generale ammodernamento impresso allo scalo negli anni
‘30, quando Mussolini aspirava a una politica di forte espansione nel Mediterraneo.
A detta degli archeologi, però, al posto del
porto a Piazza Municipio ci sarà un pozzo di san Patrizio (o di san Gennaro): la
tanto sospirata metropolitana. E ogni giorno ciascun pendolare potrà far ruotare a
ritroso le lancette dei quadranti di Theo
Brinkmann mentre lotta contro il tempo.
E viaggiare sotto il piano del calpestio attraverso strati di secoli passati, attraverso
tempi che hanno cancellato tempi e dominazioni che hanno raso al suolo dominazioni.
Cronaca
Stazione Metro di Toledo, il nuovo varco di Montecalvario divide gli abitanti dei vicoli
Saliscendi nei Quartieri
più bello che funzionale
Anm, Ramaglia: “Pochi utenti, ma l’uscita ha riqualificato la zona”
di Lisa D’Ignazio
N
on più guarnigioni spagnole,
ma opere d’arte e tapis roulant. Ben quattro scale mobili,
170 metri, tra le più lunghe
d’Europa. Cinquanta metri di profondità
tra opere d’arte: così si apre viaggio nelle viscere di Napoli tra il nero dell’asfalto,
l’ocra del tufo e l’azzurro del mare. È la
nuova Montecalvario, enclave dei Quartieri Spagnoli, a cinquecento anni dalla dominazione spagnola e a più di un anno,
18 settembre del 2013, dall’inaugurazione
dell’uscita della metro che la collega alla
stazione di Toledo.
Scala mobile dell’uscita
Montecalvario già dal nome richiama la
storia che ha subito nei secoli. È da sempre
la montagna del calvario e della sofferenza, dove se prima vivevano i clan camorristici, oggi aleggia la microcriminalità.
“Almeno prima c’erano delle regole, oggi
invece comandano ragazzini senza alcuna
organizzazione alle spalle che girano come
cani sciolti”. Me lo dice davanti all’uscita di
Montecalvario la signora Giuseppina. Lei
non ha mai preso la metropolitana e non
ha alcuna intenzione di utilizzarla. “Ho
paura di andare in metro, soprattutto qui
a Montecalvario - dice - pochissima gente
la prende e da soli sotto terra ho paura che
qualcuno mi possa derubare”. In effetti,
pur non essendoci dati sull’utenza dal varco di Montecalvario, la frequenza è molto
bassa. Secondo la gente del posto, circa un
centinaio di persone al giorno frequenta
l’uscita della metro che porta ai Quartieri.
La metropolitana nel cuore dei Quartieri
Spagnoli ha rappresentato una sfida alla
mobilità di luoghi dominati da motorini e
auto, come la raccolta differenziata, altro
problema centrale della città, lo potrebbe
essere per il problema dei rifiuti.
Non solo utilità, ma anche bellezza. Percorrendo il tragitto dall’uscita di Montecalvario fino a quella di Toledo si attraversano opere d’arte di una bellezza che
colpisce soprattutto per il contrasto con la
realtà sgarrupata che vive sopra il mondo
sotterraneo.
Entrare nella metro è come immergersi un
una galleria d’arte tra il collage di volti di
personaggi famosi e non dell’opera “Razza umana” di Oliviero Toscani, o le lettere
argentate dell’artista statunitense Lawrence Weiner, le stampe fotografiche in bianco e nero realizzate dall’artista di origine
iraniana Shirin Neshat e i grandi pannelli
in ceramica dei russi Ilya ed Emilia Kabakov.
Il tutto percorribile con passo normale in
dieci minuti e 42 secondi. Troppo tempo,
dicono gli abitanti, rispetto al minuto scarso con cui si scende a piedi da Montecalvario fino alla Stazione di Toledo. Questa
è la principale motivazione per cui gli abitanti della zona, dalla sarta all’angolo fino
alla signora dell’alimentari, non ci pensano proprio a muoversi in metro.
Chi gestisce questo mezzo di trasporto,
invece, l’Amministratore delegato dell’Azienda napoletana mobilità (Anm) Alberto
Ramaglia pensa che “l’uscita è utilizzata
Ingresso stazione Montecalvario
molto da chi vive nella zona, anche se il
bacino d’utenza non è numerosissimo”.
Per l’architetto che ha progettato la stazione di Toledo, Giovanni Fasanaro, “il problema è sociale. Appena vedono qualcosa
di nuovo si lamentano”.
Ma i vantaggi di una metro non si fermano al semplice utilizzo che se ne fa. Sopra
la stazione di Montecalvario oggi c’è una
piazza che i cittadini “possono vivere, con
la possibilità di sedersi e di giocare per i
bambini”, spiega l’amministratore.
Utilizzare i treni significa anche mettere in
garage la macchina, mezzo indispensabile
per muoversi in zone impervie come Montecalvario.
Invece di questa “seconda uscita pedonale” a Montecalvario Gaetano, giovane padre di tre figli mi dice che avrebbe preferito avere un parcheggio sotterraneo in cui
poter mettere la propria utilitaria. Le auto
bloccano le piccole viuzze dei Quartieri,
diventando anche un problema soprattutto in casi di emergenza, quando devono
passare vigili del fuoco o ambulanze.
Non è d’accordo Ramaglia dell’Anm : “Le
piazze di Napoli sono state da decenni
sgombrate dalle auto e farci un parcheggio
sarebbe fuori tendenza”.
“La stazione ha riqualificato molto la zona
- dice l’Architetto Fasanaro - Quando siamo andati lì la prima volta abbiamo trovato una carcassa di un’auto bruciata. Con la
metro abbiamo ridato dignità a una parte
del centro storico di Napoli”.
Il problema non è solo strutturale. Non
sono solo i dieci minuti che il napoletano
medio impiega per spostarsi dall’uscita di
Montecalvario a Toledo a determinare la
scelta del mezzo da utilizzare. Il problema
è anche culturale.
“Il napoletano non utilizza nemmeno la
stazione, preferisce andare a piedi o con
la propria macchina. Lo stile di vita deve
cambiare. Napoli è una città fuori luogo
che stenta a capire gli standard di convivenza civile”.
La speranza è nel futuro: “Forse i bambini
che vanno a scuola la usano. In futuro le
cose cambieranno e i cittadini inizieranno a utilizzare maggiormente il trasporto
pubblico”.
Un laboratorio di lettura e scrittura per i giovani organizzato dalla Fondazione Quartieri Spagnoli
Libri agli scugnizzi di Montelibraio
Basta aprire la porta per trovare un’altra città, o addirit- gano 100 giovani. L’obiettivo è “far uscire dal chiuso in cui
tura un nuovo mondo. A via Porta Carrese, nel quartiere da secoli vivono confinati gli abitanti dei Quartieri SpaMontecalvario di Napoli una porta verde divide due re- gnoli” dice la presidente. Seimila metri quadri di cultura
altà: quella dei Quartieri Spagnoli
e formazione. Accanto all’asilo
e quella di Montelibrario, la prinido, la scuola dell’infanzia, la
ma e unica libreria dei Quartieri
scuola primaria, l’Università
Spagnoli, una libreria-laboratorio
delle Libertà e l’orchestra sinfopensata per lettori e lettrici dai 0
nica dei Quartieri Spagnoli, dal
a 16 anni. Oltre l’immondizia per
15 novembre Foqus ha trovato
strada, i palazzi sgarrupati e i panun posto anche per i libri. Nei
ni stesi al sole, esiste una realtà che
Quartieri si concentra il 10%
la fondatrice Rachele Furfaro defidei minori napoletani e si renisce “della bellezza”. Lei presiede
gistra la più alta percentuale di
la Fondazione Quartieri Spagnoli
evasione scolastica tra gli 8 e i
Prima libreria ai Quartieri Spagnoli
(Foqus). Nata nel 2012 per la ri14 anni e la più elevata di devianza in
qualificazione urbana del posto, la Fondazione finanziata età precoce.“I bambini dei quartieri che vivevano questo
da privati raccoglie quattro nuove cooperative che impie- posto sono molto colpiti e incuriositi”, spiega Ilaria Guer-
ra della cooperative Montelibrario.
Sono bambini non abituati ad avere un libro fra le mani:
spesso a casa non ne hanno, o quelli che hanno sono solo
scolastici, del dovere. I volumi presenti nella libreria sono
scelti per il loro contenuto, in base a temi diversi, che
cambieranno ogni anno.
I Quartieri Spagnoli sono il simbolo per eccellenza delle
peggiori periferie italiane, oggetto di pregiudizi e mezze
verità, casa di microcriminalità e povertà. Tuttavia, entrare a Montelibrario fa dimenticare improvvisamente tutto
quello che fino a oggi si è saputo e detto di questo posto.
La sfida è costruire un nuovo immaginario non dentro
ma fuori le ‘mura’ dei Quartieri Spagnoli, “cercando di
scacciare l’immagine stereotipata, connotata e mitizzata
che si ha della zona”, ricorda la libraia Laura Scotti di
Montelibrario.
L. D’I.
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Cronaca
La Iuppiter Edizioni e Chiaia Magazine insieme per proteggere l’editoria dall’invasione del take-away
Una patatineria in Via Toledo
La dittatura della patata fritta
Cinquanta friggitorie aperte in dodici mesi, su un totale di seicento nuovi negozi
di Gianmarco Altieri e Gianluca Esposito
Meno librerie, più take-away. Cambiano le insegne franchising e ditte produttrici dei macchinari che,
dei negozi, cambia il commercio, cambia l’estetica giustamente, avevano interesse a diffondere i procittadina. In via Mezzocannone, crocevia universi- pri marchi e prodotti. In particolare, i fabbricanti
tario, al posto della libreria Dante e Descartes apre delle friggitrici sostenevano che non ci fosse bisogno
così L’università della patata con la sua insegna gial- della canna fumaria, che per chi vuole aprire una
la e blu. Dopo quasi un secolo d’ininterrotta attività, pizzeria o una rosticceria è un problema di costi e
la storica Guida di Port’Alba ha chiuso i battenti. relazioni con i condomini dello stabile. Solo da poco
Irrilevante il cartell’Asl ha reso obbligatoria la canna fulo posto all’ingresso
maria, anche se ne bastano alcune,
che avvisava i pasdenominate a carboni attivi, relativaDe Francesco:
santi che la sede era
mente economiche e di dimensioni
“A Napoli eventi
stata nominata paridotte. Credo si tratti di una moda
trimonio culturale
simile a quella dei ristoranti cinesi
privi di prospettiva.
di interesse nazioche esplose vent’anni fa in città. PoMilioni di euro fritti” chi sono ancora aperti. Infine, si tratnale. Dai suoi scaffali avevano attinto
ta di attività estremamente semplici e
numerose letture
dai costi ridotti. Non serve personale
Eugenio Montale e
qualificato, non occorre esperienza
Giuseppe Ungaretti, durante i loro viaggi napoleta- nel difficile campo della ristorazione, le dimensioni. Era anche il rivenditore di fiducia di Benedetto ni del locale possono essere estremamente ridotte
Croce. Prima di loro, ad abbassare la saracinesca e, trattandosi di negozi mono-prodotto, sono facili
erano stati due negozi Mondadori, in via dei Mille da gestire”.
e in piazza Trieste e Trento, la Guida Merliani e la Eppure non tutti gradiscono. “Più librerie e meno
Loffredo al Vomero.
pensiero fritto” è lo slogan della campagna di senNegli ultimi quattro anni a Napoli hanno chiuso sibilizzazione in difesa della cultura promossa da
più di una trentina tra librerie e piccole case edi- Chiaia Magazine. L’iniziativa prevede video virali
trici. Sempre meno centri culturali, dunque, in una per promuovere la lettura, un cortometraggio sulcittà dove nell’ultimo anno sono invece
la “rivolta dei
aumentate in maniera esponenziale palibri”, adesivi
La Confcommercio:
tatinerie, friggitorie, gelaterie e centri
“di pensiero”
scommesse.
distribuiti nei
“Le patatinerie
Confazienda Napoli, con i suoi dati, chiamaggiori centri
risce la rilevanza del fenomeno. A fronte
culturali della
costano meno
del 35% delle attività commerciali che
città e numedi altri esercizi”
hanno chiuso negli ultimi 12 mesi, sono
rosi convegni
stati aperti 600 negozi. Si tratta princisull’evoluzione
palmente di paninoteche (300), grafferie
dell’editoria.
(140), patatinerie (50), kebaberie (80) e yougurterie “L’invasione delle friggitorie e delle patatinerie è
(30).
inquietante - afferma Massimiliano De Francesco,
Marco Cantarella, funzionario di Confcommercio direttore di Chiaia Magazine - Non ho nulla contro
Napoli, cerca di dare una spiegazione socioecono- l’economia del fritto, ma la città dovrebbe consermica di quanto sta accadendo. “Le librerie – so- vare isole letterarie e culturali, altrimenti davvero
stiene – sono in crisi dappertutto. Queste attività rischiamo di perdere in termini di crescita morale
guadagnano principalmente con libri scolastici ed e sociale”.
editoria universitaria. La possibilità di scaricare Il giornalista, fondatore della casa di editoria e coquesti testi da internet, oltre al fenomeno delle fo- municazione Iuppiter Group punta il dito contro le
tocopie, ha creato molti problemi ai librai classici istituzioni locali: “Quanti soldi sono stati bruciati in
che hanno un margine di guadagno lordo del 30%. questi ultimi quattro anni per eventi vuoti e senza
Diventa, dunque, determinante la natura dei costi prospettiva? Coppa America e Forum delle Culture:
fissi. La Treves, ad esempio, chiuse perché il pro- milioni di euro fritti”.
prietario del locale decise di adeguare l’affitto ai “Sarebbe bastato - conclude De Francesco - utilizprezzi richiesti in via Toledo. Dacché pagava 1500 zarne il 10% per progettare un piano per la creaeuro, il libraio avrebbe dovuto sborsarne circa 6000. zione di mini-librerie ognuna con librai qualificati e
Impensabile!”
non semplici venditori. Tutto questo è ancora possiE le friggitorie? Interessante le motivazioni del bile, ma serve una svolta morale e di pensiero che in
boom illustrate da Cantarella. “C’erano reti di questo momento non c’è”.
5
L’iniziativa di Iuppiter Edizioni
Una delle cinquanta friggitorie take - away aperte a Napoli
Speciale
Nessuna iniziativa per ricordare Diaz che guidò l’esercito alla vittoria
L’Armando
dimenticato
da Napoli
Capozzi: “La figura del generale va contestualizzata
La storia della Grande Guerra è caduta nell’oblio”
di Roberta Cordisco
M
entre nella Capitale il 4 novembre, giorno
dell’unità nazionale e delle forze armate, le
figure di Stato lasciano una corona di fiori
sulla tomba del Milite Ignoto all’Altare della Patria, a Napoli, in via Caracciolo, la statua equestre di
Armando Diaz rimane solo di fronte al mare.
Se il nome non dovesse dire nulla ai più giovani, si pensi allora a quell’inno che intonava “Il Piave mormorava”.
Diaz, napoletano di discendenza spagnola, fu il protagonista indiscusso della terza battaglia del Piave, altrimenti
conosciuta come battaglia di Vittorio Veneto, che portò
le truppe italiane ad avere la meglio su quelle austro-ungariche. Era il 4 novembre 1918 e il generale partenopeo
ribaltava così le sorti dell’Italia nella Grande Guerra.
Ma con il tempo, insieme con la statua del lungomare
Armando Diaz
Caracciolo, ha iniziato ad arrugginirsi anche il ricordo
che il Paese ha mantenuto di lui. Quando nel novembre
1917 fu chiamato a sostituire Luigi Cadorna, responsabile
della disfatta di Caporetto, nella carica di capo di Stato
Maggiore, il generale parlava così dell’esercito italiano:
“L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto farla pungente. La rifaremo”. E Armando
Diaz ha lavorato talmente su quella punta, da renderla
letale. L’Italia è passata da Caporetto a Vittorio Veneto attraverso il suo ingegno. Mite e affabile, risollevò gli animi
di quei soldati provenienti da ogni parte d’Italia che per
la prima volta si ritrovarono insieme a combattere nella
stessa trincea. Ed è con loro che Il Duca della Vittoria,
titolo conferitogli a seguito del conflitto, tracciò i contorni
di un Paese finalmente unito.
Ma questa, per molti, è storia vecchia. Possibile allora che
dietro il Milite Ignoto si nasconda un valoroso comandante che, con tanto di nome, rischia di diventare a distanza
di cento anni altrettanto ignoto?
“Io ricordo bene quando il 4 novembre era ancora la festa
della Vittoria”, dice il professor Eugenio Capozzi, docente
di storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.“Oggi nel capoluogo campano si organizza
ben poco. Probabilmente a incidere negativamente sulla
memoria collettiva di questo illustre napoletano è stata la
sua adesione al fascismo. Ma la figura del generale Diaz
va contestualizzata. È la Grande Guerra la vera dimenticata. Si tende a etichettare il primo conflitto mondiale come
folle e immotivato. Nel tempo è prevalso il ricordo di una
guerra del feroce corpo a corpo che ha generato solo
sofferenza e morte, sacrificando la vita di tanti soldati”. Di certo è stata prima di tutto una brutale guerra
di trincea. Ma è proprio lì che iniziava a rafforzarsi il
senso di appartenenza a una comune identità nazionale. “Diaz – aggiunge Capozzi – è il napoletano che
diventa il simbolo del rimescolamento delle classi. È il
generale che è riuscito a ricompattare le truppe dopo
la disfatta di Caporetto e che ha portato a compimento
l’unificazione del Paese”. Dopo la vergogna del fascismo, però, il nazionalismo è un sentimento che è sopravvissuto in forme molto attenuate, per poi essere
messo definitivamente alla gogna negli anni Sessanta
e Settanta, quando l’ostilità a ogni teoria interventista
sviliva il patriottico senso di appartenenza al tricolore.
“Per parlare di un guerriero dimenticato, è necessario
un discorso più approfondito su come è cambiata la
percezione della nostra identità nazionale nel corso di
questi cento anni” – spiega ancora il professor Capozzi. Accantonare il ricordo della Grande Guerra, prima
ancora che di Diaz, è un errore e si rischia di perdere
di vista il making in progress dell’identità nazionale
che andava maturando nel chiuso di quelle trincee.
“È curioso che mentre tre anni fa il Paese abbia sentito
così nel vivo la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, adesso il centenario della Grande Guerra venga
invece abbassato di tono”, dice Vittoria Fiorelli, professoressa di storia moderna del Suor Orsola di Napoli,
anche lei d’accordo a inserire Diaz in una dimenticanza che coinvolge un contesto più ampio. Ma aggiunge
un’altra precisazione che fa riflettere: “Siamo in una
fase storica in cui gli eroi non sono gli eroi militari.
Diaz non si presta a una narrazione positiva perché
nonostante sia ricordato come un generale vicino ai
soldati e più umano rispetto al suo predecessore Cadorna, resta un eroe della guerra e non della pace”.
Qualunque sia la ragione sembra che questo centenario abbia soffiato le candeline senza fare i conti con un
pluridecorato fantasma del passato. Difficile stabilire poi
quanto gli stessi napoletani abbiano dimenticato il generale che ha mosso i suoi primi passi proprio sul suolo
partenopeo. Fatto sta che il Comune di Napoli non ha organizzato nulla per la ricorrenza. Il povero Armando Diaz
è rimasto solo in via Caracciolo. Del resto già all’epoca
sembrava averlo previsto: “Non mi faccio illusioni su me
stesso, ma posso dire di aver avuto un merito: quello di
equilibrare le forze e gli ingegni altrui, di far regnare la
calma fra i miei generali e la fiducia fra le mie truppe.
Sento che questa è la mia caratteristica”.
La statua del generale alla Rotonda Diaz
Diaz non fu un eroe
La battaglia di Vittorio Veneto?
Come affondare un coltello nel burro
Ernesto Galli della Loggia
“Tutte le cose lontane alla fine si dimenticano. Anche
il contesto nazionalistico e patriottico su cui si muove Diaz nasce tanto tempo fa e tendiamo a dimenticarlo”. Parla così Ernesto Galli della Loggia, docente
universitario, storico e editorialista de Il Corriere della
Sera.
Perché allora si affievolisce il ricordo di un
protagonista così importante nel processo di
unificazione del nostro Paese?
“Perché in realtà Diaz non ha avuto un ruolo così fondamentale. Non è stato l’ideatore di importanti manovre politiche. E’ stato solamente un saggio militare
6
Speciale
Parla il nipote del Duca della Vittoria, erede del titolo di famiglia
“Mio nonno, l’uomo
prima dell’ufficiale”
“Era sempre vicino alla moglie e ai suoi figli
Dal fronte lettere e memoriali per la famiglia”
di Mariana Cavallone
che, alla luce dell’esperienza fallimentare di Cadorna,
aveva capito che bisognava adottare una tattica diversa, più cauta. Allora riorganizzò l’esercito secondo
una logica difensistica e più umana. Ha saputo intervenire nel modo giusto al momento giusto”.
Eppure il 4 novembre è stato prima di tutto il
giorno della Vittoria…
“Non ci fu una vera battaglia di Vittorio Veneto.
Nell’ottobre del 1918 l’Austria era ormai allo stremo
delle forze e per l’Italia fu come affondare un coltello
nel burro. L’esercito austro-ungarico, disgregato, non
rappresentava una grande minaccia. L’Italia vinse
semplicemente perché resistette di più e perché aveva
alle spalle Paesi come gli Stati Uniti e la Francia”.
Dunque Diaz non è stato un eroe di guerra?
“Diaz non fu un eroe. Un generale non è mai un
eroe. L’esercito italiano vinse la guerra, non Armando
Diaz. Ma questo discorso vale per tutti. Per fare un
esempio, anche per Napoleone, nonostante goda di
una fama più duratura”.
Quanto è importante il ricordo della Grande
Guerra per la nostra identità nazionale?
“E’ stata una guerra in cui per la prima volta ci si ritrovava a combattere fianco a fianco. Uno di Napoli, a
meno che non fosse un borghese agiato, non avrebbe
avuto altri modi per ritrovarsi vicino a uno del Nord.
Da questo punto di vista è stata una guerra che miscelò il Paese e lo tenne unito”.
R.C.
7
“Non ho mai conosciuto mio nonno, ma è una
vita che porto il suo nome. Tutto quello che so di
lui l’ho imparato dai libri e dai racconti di mio
padre”. Armando della Vittoria Diaz racconta
la vita del generale che portò l’esercito italiano
alla vittoria dopo la disfatta di Caporetto. Capo
di stato maggiore del Regio Esercito durante la
Prima guerra mondiale, ministro della Guerra e
maresciallo d’Italia, Diaz aveva a cuore l’umore
e la vita dei suoi soldati così come quella dei suoi
figli. Il ‘Duca della Vittoria’ non tralasciava i suoi
impegni nemmeno di fronte al Re e quando non
era sul fronte amava trascorrere dei giorni nella
sua città natale.
Che ricordo ha di suo nonno?
“Ho conosciuto il Diaz uomo, il suo carattere, la
sua quotidianità, soltanto da adulto quando ho
iniziato a vedere più spesso mio padre Marcello. I
miei genitori, infatti, si sono separati quando ero
piccolo e io ho sempre vissuto con mia madre.
Armando Diaz agli occhi del figlio era un uomo
molto attaccato alla famiglia. Anche quando era
lontano cercava di stare vicino alla moglie e ai fiArmando Diaz e il figlio Marcello
gli, e nelle lettere che inviava dal fronte parlava di
loro scrivendo i suoi consigli. Ma sapeva anche
essere molto severo e non ammetteva che i figli
potessero essere favoriti dalla sua posizione”.
Ci racconta qualche aneddoto legato alla
Abano, dove era riunito tutto lo Stato maggiore dell’eserfigura del generale?
cito italiano. C’erano Badoglio e altri generali che sem“Mio padre parlava di lui come di una persona profonbravano sereni, come se non si stesse combattendo una
damente umana, ma anche molto rigida nella disciplina.
guerra. Diaz era quello che infondeva fiducia a tutti. Mio
Niente e nessuno potevano distogliere il generale dal suo
padre lo descriveva come un uomo impulsivo, ma allo
lavoro. Durante la Grande Guerra Vittorio Emanuele Orstesso tempo controllato, che nei momenti cruciali riuscilando e Leonida Bissolati andarono a visitare il comando
va a mettere da parte la sua natura
di Diaz, ma arrivarono nel mosentimentale e diventare un fredmento in cui il generale parlava a
do ragionatore. Ma c’era una cosa
telefono con il comandante di un
tradiva la sua tensione interioGrandissima umanità che
battaglione in difficoltà. ‘Prima la
re, nel cuore della notte si alzava
trincea, poi sua maestà’ rispose il
ma anche una
per andare a controllare il barogenerale al tenente Paoletti, che si
metro. Ciò che Diaz temeva di più
rigida disciplina
era precipitato ad annunciare la
prima di una battaglia, infatti, non
visita del re”.
erano le truppe avversarie, ma il
Gli storici raccontano che
tempo. Se quella notte il Piave si
Armando Diaz era amato
fosse di nuovo ingrossato, l’esercito italiano avrebbe dovudai soldati molto più di altri generali italiani, tra
to rimandare l’offensiva”.
cui Cadorna, che sostituì. Come mai?
Conserva qualche oggetto appartenuto al gene“La prima preoccupazione di mio nonno fu sempre il
rale?
morale delle sue truppe. Il generale trattava i soldati da
“Non conservo molti cimeli. Tutti gli oggetti appartenuti
amici e cercava di comandare facendo leva sui loro sentia mio nonno, tra cui la sua scrivania, l’elmetto e la divisa,
menti. Durante la guerra in Libia, una compagnia si amli ho donati al Museo della guerra
mutinò prima del combattimento.
di Gorizia”.
Il generale, dopo aver raccontato
Che rapporto aveva il genel’accaduto alle sue truppe, conrale Diaz con la sua città naI
cimeli
di
una
vita
trariamente a quanto prevedeva
al Museo della Guerra tale?
il regolamento, affidò la bandie“Mio nonno adorava Napoli e
ra del Reggimento cui era a capo
di Gorizia
adorava anche Capri, dove traproprio alla compagnia che si era
scorreva i mesi estivi, perché lo
ammutinata e questo risollevò gli
faceva sentire libero. Girava in
umori dei soldati. Ma la sua fama
motoscafo e si fermava vicino alle
è legata soprattutto alla Prima
barche dei pescatori per parlare dei loro problemi familiaguerra mondiale. Alla vigilia della battaglia di Vittorio ri, del prezzo del pesce e dell’andamento della pesca, tutto
Veneto mio padre era andato all’albergo dell’Orologio ad in dialetto napoletano”.
Tendenze
Lezioni e compiti con le cuffie. La musica aiuta ad apprendere?
Addio silenzio,
oggi si studia così
Brandimonte: “La melodia riduce tensioni e noia”
di Elisabetta de Luca
In biblioteca, alla propria scrivania, addirittura in classe
durante la lezione: i giovani non si separano quasi mai
dagli auricolari. Adesso trovano le cuffie integrate negli
zaini scolastici. Sembra perduta per sempre l’abitudine di
studiare in silenzio.
Ma l’apprendimento ne risente? “Dipende dalla personalità dello studente e dal tipo di musica che ascolta” è la
risposta di Maria Antonella Brandimonte, insegnante di
Psicologia dei processi cognitivi e Psicologia della memoria all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e autrice del libro “La distrazione” edito da Il Mulino. “Qualche
studioso ha suggerito che la musica riduce la tensione e la
noia comunemente correlate a lavori routinari, ma agisce
come distrattore durante compiti complessi che richiedono attenzione. Sono le differenze individuali a giocare un
ruolo determinante nell’apprendimento. Eysenk, già negli
anni ‘60, sosteneva che introversi ed estroversi, rispondono diversamente alla stimolazione ambientale. Gli introversi dovrebbero essere influenzati negativamente dall’introduzione della musica, mentre gli estroversi dovrebbero
ottenere benefici. In biblioteca, gli introversi tendono a
cercare luoghi tranquilli, mentre gli estroversi sembrano
attratti da luoghi nei quali c’è più attività e lavorano meglio in presenza di distrazioni piuttosto che in silenzio. Io
stessa, dopo diversi tentativi di convincere mia figlia che
leggere una pagina di storia con l’I-Pod nelle orecchie è
dannoso per l’apprendimento, ci ho rinunciato perché dai
suoi voti sembrava che io avessi torto!”
Non è solo la personalità a influenzare l’apprendimento
ma anche il tipo di musica che si ascolta. Secondo quanto
è emerso da una ricerca commissariata da Spotify, un servizio per ascoltare musica in streaming, ed eseguita dalla
dottoressa Emma Gray, specializzata in terapie cognitivocomportamentali, è importante scegliere la musica giusta
per ogni disciplina. Sostiene che a ogni materia corrisponde una frequenza che può aiutare a migliorare i risultati.
Gli studenti che ascoltano musica classica con 60-70 battiti al minuto, raggiungono in media un punteggio più alto
del 12% nelle prove di matematica, quasi un voto in più.
Quando si studia scienze, lingue o materie umanistiche si
stimola la parte sinistra del cervello, abituata a elaborare informazioni e risolvere problemi, per questo bisogna
ascoltare musica con 50-80 battiti al minuto. Spotify, che
ha creato una play list per studenti, pone in cima “Man
Down” di Rihanna e artisti pop come Gwen Stefani, Miley Cyrus, Bruno Mars, Beyoncè. Per aiutare la parte destra del cervello dove risiede l’originalità e la creatività,
quindi quella usata per studiare materie come Storia dell’
Arte, i risultati evidenziano che si dovrebbe ascoltare musica pop coinvolgente come “Firework” di Katy Parry ma
anche capisaldi del rock come “(I Can’t Get No)Satisfac-
La classifica di musica classica, stilata
da Spotify, da ascoltare per migliorare
i propri voti in matematica
Studente con le cuffie
tion” dei The Rolling Stones. Brani che producono uno
stato di eccitazione elevato che può aumentare la fantasia.
“Non sono del tutto d’accordo con questi risultati” afferma invece la prof. Brandimonte. “L’apprendimento può
migliorare se si ascolta musica,
ma non brani con le parole, solo
quella strumentale, come la
musica classica, a prescindere
dalla materia”. Questo perché
negli adulti la lettura è automatizzata: “Le parole del testo
della canzone, specie se note,
rallentano l’acquisizione dei
concetti. Gli occhi si muovono
più lentamente tra le righe e la
mente può divagare anche fino
all’ultima parola della pagina”.
Gli studenti si dividono tra la
musica e il silenzio. A Eleonora, studentessa di Biologia,
Spotify consiglierebbe Beyoncé: “Ho sempre sognato di
essere lei – confessa – non potrei mai studiare con la sua
musica. Mollerei i libri e mi metterei a ballare”. “Sapevo
che studiare matematica con la musica classica migliorava i miei risultati – dice Tonia - ci ho provato per tutto
il quadrimestre ma alla fine i voti non sono cambiati”.
Claudio e Ciriaco invece usano la musica per concentrarsi, uno il rock classico e l’altro la musica leggera italiana.
Teresa non è d’accordo: “La musica è una cosa seria, non
bisognerebbe mai rovinare un bel momento musicale facendo cose brutte, tipo studiare”.
8
Cultura
Un network fatto di scuole e solidarietà che riunisce i nuovi esponenti dell’editoria partenopea
Giallisti e napolicentrici
Le squadre degli scrittori
Armiero: “Non è solo l’effetto-Saviano”. C’è di tutto nel calderone letterario
di Lara De Luna
U
NARRATORI PURI
n mare sconfinato di libri. E’ l’immagine
più realistica possibile per definire quella
che è oggi la produzione letteraria napoletana. Un panorama che vede sempre
più spesso i suoi esponenti nella top ten delle classifiche nazionali e internazionali delle vendite. “Non è
solo l’effetto Saviano – dice Mirella Armiero, giornalista del Corriere del Mezzogiorno -, non basta il traino di
uno scrittore famoso per comprendere la produzione
odierna”.
Premi Strega, innovatori, trame che partono da Napoli
per guardare al mondo intero. C’è di tutto nel calderone
della scrittura napoletana.
Dai capostipiti agli ultimi nati, all’interno di questo
“caos” ci si può orientare solo individuando grandi famiglie tematiche. Così si avranno i “narratori puri”, attenti
in particolar modo all’architettura della trama, contrapposti a quegli scrittori che, come Domenico Starnone,
fanno dell’analisi introspettiva dei personaggi la loro cifra caratteristica. E allo stesso modo i libri squisitamente
napolicentrici di Elena Ferrante, amatissima negli Usa,
si affiancano ai prodotti di quegli scrittori che scappano
dall’archetipo di Napoli come “città speciale a tutti i costi e che vorrebbero essere letti a prescindere dalla loro
provenienza”.
Un mondo dalle mille sfaccettature, che non si limita al
prodotto finito, ma parte da lontano. “A Napoli sono attive diverse scuole di scrittura”, ricorda la Armiero. Più
di una casa editrice infatti, come Homo scrivens e A est
dell’equatore agisce “come un laboratorio, non limitandosi alla sola attività di pubblicazione dei manoscritti, bensì
curandone la genesi e facendo un continuo lavoro di scouting”. Un network quello degli scrittori partenopei, che si
spalleggiano con una “solidarietà che mancava in passa-
di Roberta Cordisco
Ho visto il film “Lo sciacallo”
(Nightcrawler) e per fortuna non
mi sono rivista.
Lo dico perché la nuova pellicola di Dan Gilroy porta sullo
schermo la figura, smunta ed
inquietante, di Lou Bloom (Jake
Gyllenhaal), reporter freelance
che nell’ora dei vampiri batte le
strade di Los Angeles alla ricerca
di omicidi e incidenti che gonfino la cronaca nera. La direttrice
del Tg presso cui inizia a vendere
i suoi video, Nina (Rene Russo),
gli insegna che solo ‘il sangue fa
audiance’. Lou lo capirà fino al
punto da creare lui stesso il fatto
di sangue per avere lo scoop.
Da praticante giornalista la distanza da Lou è un vanto, oltre
che una consolazione. Vi spiego
il perché. Mentre lui discendeva
agli inferi di una metropoli insanguinata, io ripensavo ai casi di
9
Maurizio De Giovanni
Sara Bilotti
Diego De SIlva
Marco Marsullo
IRONICI
GIALLISTI
Simone Laudieri
Stefano Piedimonte
Francesco Piccolo
Diana Lama
Patrizia Rinaldi
IPERCONTEMPORANEI
NAPOLICENTRICI
Cristiano De Majo
Peppe Fiore
Ivan Polidoro
Paolo Piccirillo
Angelo Petrella
Ermanno Rea
Elena Ferrante
Peppe Lanzetta
Antonella Cilento
INTROSPETTIVI
Domenico Starnone
Giusy Marchetta
Valeria Parrella
Eduardo Savarese
Le 7 famiglie
della scrittura
napoletana
to”, quando il confronto tra scrittori era molto più ideologico. “Anni fa sarebbe stato difficile trovare uno scrittore
che, come fa De Giovanni, si facesse promotore e maestro
di giovani colleghi”.
Non solo un legame telematico, ma qualcosa di profondo
basato sulla formazione degli scrittori e su quelle che percepiscono come priorità. “Non si discute più dei massimi
sistemi letterari, bensì delle problematiche pratiche legate
Noi sciacalli? No grazie
che mi ha spinto a guardare Lou
solo da lontano. “No – mi sono
detta – io non sono come lui”.
La nostra videoinchiesta:
http://www.unisob.na.it/inchiostro/video.
htm?idvd=1449
Luigi Romolo Carrino
Davide Morganti
Alessio Arena
alla scrittura”. In un’epoca sempre più concreta e meno
attenta alla filosofia delle cose, la letteratura quindi non
sembra fare eccezione. Ne è prova il fatto che la più grande discussione degli ultimi tempi è stata incentrata su “Gomorra” di Roberto Saviano. “Una discussione di natura
pratica – sottolinea la Armiero - riguardante la legittimità
o meno di quel particolare modo di rappresentare Napoli.
Niente che riguardi la poetica o l’estetica”.
Il caso Una praticante giornalista recensisce il film di Gilroy
cronaca nera che hanno animato fino all’impossibile i dibattiti
e i talk show. Forse perché sono
pugliese, la memoria mi ha riportato soprattutto al delitto di Avetrana, dove 4 anni fa la vicenda
della quindicenne Sarah Scazzi
tenne tutti col fiato sospeso. Forse perché ero al cinema ed amo
il cinema, ho ricordato una frase
che già all’epoca mi colpì: “Questa non è Hollywood”. Qualcuno
del paese la scrisse su un muro
vicino alla villetta dove si consumò l’omicidio di Sarah. Avetrana
lamentava così la presenza invadente dell’occhio mediatico su di
sé. Quella scritta non l’ho più dimenticata. E meno male, perché
è stato un campanello di allarme
SPERIMENTATORI
Riconosco, però, che la domanda
che grava sul mio (futuro) mestiere resta: “Il giornalismo può spingersi fino a questo punto?” Che
abbia venduto l’anima al diavolo
dell’audiance è già noto. Ma può
davvero sporcarsi di sangue?
La reazione di molti in sala è
stata: “E’ un’americanata”. Con
paura mi sono chiesta se anche
l’informazione rischia di diventare, se già per certi versi non lo è,
un’americanata. “Pensa al nostro
Tg come a una donna che urla
per strada con la gola squarciata”
dice la navigata Nina al giovane
reporter. Lou allora diventa un
“Nightcrawler”, letteralmente un
viscido che striscia di notte, un
vampiro che succhia il sangue per
tenere in vita lo share del notiziario delle sei del mattino. E’ vero
che non mi sono riconosciuta nel
ritratto estremo che Dan Gilroy
fa del giornalismo d’assalto. Ma
quella frase mi è ronzata in testa tutto il tempo: “Questa non
è Hollywood”. E ho pensato che
anche nel nostro Paese, quando si
tratta di fondere spettacolo e informazione, l’America non è poi
così lontana. Mi sono sentita sollevata quando ho realizzato che
Jake Gyllenhaal non è davvero un
reporter, ma solo un bravo attore.
E lui probabilmente ad Hollywood ci andrà, visto che si vocifera
di una sua possibile candidatura
all’Oscar. Per fortuna l’unico rosso sangue che calpesterà, o su cui
speculerà, affar suo, sarà quello
del red carpet, non quello versato
sull’asfalto. Perché gli studi televisivi non sono gli studios di Hollywood. Almeno io la penso così.
Cosa fare
L’ologramma del pianista russo alla Mostra d’Oltremare
Ghost Concert
per Piano City
di Roberta Campassi
Il fantasma di Sergej Rachmaninoff inaugura “Piano City Napoli”, un progetto musicale che prevede battaglie a colpi di note e concerti per strada e nelle case dei napoletani. Il
compositore e pianista russo il 5 dicembre si
materializzerà nel teatro Mediterraneo della
Mostra d’Oltremare.
I suoi brani, incisi su rulli di pianola, saranno riprodotti grazie alle nuove tecnologie. Il
“Ghost Concert”, come si intitola lo spettacolo di Rachmaninoff, è nato da un’idea di
un pianista italiano, Roberto Prosseda. Durante il concerto l’immagine 3D del compositore russo sarà animata e sincronizzata
con la riproduzione della sua esecuzione al
pianoforte.
“Piano City Napoli” durerà tre giorni e riempirà ogni angolo della città con spettacoli
e concerti a tutte le ore nei più bei posti pubblici e privati. Anche la seconda edizione
del festival sarà caratterizzata dagli “House
Concert”: studenti, professionisti e amatori
hanno messo a disposizione i salotti delle
loro case. Hanno registrato e inviato al canale YouTube dell’evento un minuto di video così da dare al pubblico la possibilità di
scegliere quale house concert seguire e dove.
Andreas Kern, pianista berlinese e ideatore
del progetto Piano City Napoli, è riuscito a
unire musica classica e jazz, repertorio popolare e improvvisazione. La maggior parte
degli eventi sono gratuiti.
Alla Mostra d’Oltremare Kern e il pianista
tedesco Paul Cibis si esibiranno in una sfida
a colpi di pianoforte, la “Piano Battle”. Una
battaglia musicale interamente dedicata alla
FOOD AND ART
Ogni venerdì si parte dal complesso di Santa Caterina a Formiello fino a Porta Capuana.
Un percorso durante il quale
si degusta la classica pizza
fritta e una tazza di brodo di
polpo, insaporita da pepe e
pezzetti di polpo fresco.
Patti Smith
canzone napoletana, dove a ogni round il
pubblico potrà esprimere il proprio gradimento e decretare così il vincitore.
Musei, palazzi storici, piazze, biblioteche,
chiese: saranno questi i luoghi in cui risuoneranno note d’autore. Appuntamenti
sono previsti al Maschio Angioino, al Pan,
al Nitsch e alla Città della Scienza, al Pio
Monte della Misericordia e a Palazzo Carafa. L’intero progetto è stato organizzato
dalla ditta “Alberto Napolitano pianoforti”
di piazza Carità, in collaborazione con la
Mostra d’Oltremare e l’assessorato alla Cultura del comune di Napoli, con il patrocinio
del FAI Sezione Campania.
Per ulteriori informazioni sugli eventi seguite la pagina di Inchiostronline.it.
In attesa
dei regali,
gli eventi
in Campania
La sacerdotessa del rock
a San Giovanni Maggiore
Lunedì 8 dicembre Patti Smith si esibirà al Duel Beat e il 9 suonerà in
una location d’eccezione, la Basilica di San Giovanni Maggiore. La sacerdotessa del rock porterà sul palco una formazione speciale: “The (Patti)
Smiths”, ovvero il figlio Jackson alla chitarra e la figlia Jesse Paris al
pianoforte, con la partecipazione di Tony Shanahan al basso.
CONCERTI GRATUITI
Lucio Amelio
al Madre
La nostra videoinchiesta:
http://www.unisob.na.it/inchiostro/video.
htm?idvd=1449
Napoli è famosa per le sue
chiese. Il 29 novembre, il 5 e
13 dicembre San Gennaro Extra Moenia, Carmine Maggiore e Santa Maria Donnaregina
Nuova aprono al pubblico con
alcuni concerti gratuiti di musica classica.
CHRIST MAS
IL TESORO ANGIOINO
MERCATINI DI NATALE
LE LUCI DI DENTRO
L’Ippodromo di Agnano, il 30
novembre, mette a disposizione gli spazi del suo parco verde per “Christ Mas”, la mostra mercato artigianale per
le strenne natalizie, ovvero cesti e confezioni di varie forme,
dimensioni e materiali.
Al Museo del Tesoro di San
Gennaro, in via Duomo,
la mostra “Ori, argenti,
gemme e smalti della Napoli
angioina” sarà aperta fino al
31 dicembre.
Manufatti in metallo prezioso
che vanno dal 1266 al 1381.
Arti medievali, addobbi natalizi artigianali, enogastronomia e mostre presepiali,
questo è il mercatino di Natale al Castello di Limatola che
dal 28 novembre all’8 dicembre accoglierà i bambini nella
casa di Babbo Natale.
Per chi è affascinato dalla
Napoli del sottosuolo, le Catacombe di San Gennaro fino
al 6 gennaio 2015 offriranno
uno spettacolo multimediale,
un viaggio tra luci, suoni e immagini che riscoprono le catacombe di Capodimonte.
SPETTRI AL CASTELLO
WI-FI AL VOMERO
NOTTE D’ARTE
STREET FOOD
Il 5, 6 e 7 dicembre cinque
attori dell’associazione NarteA all’interno del Castello
Doria di Angri illustreranno scene della vita medievale, momenti dell’attività del
mercato insieme a falconieri,
arcieri, cavalieri e giullari.
Una rete Wi-fi nuova di zecca.
E’ il regalo di Natale che l’associazione Unico Vomero farà
alla zona collinare.
Inizialmente coprirà piazza
Vanvitelli, via Scarlatti e via
Luca Giordano per poi allargarsi al resto del quartiere.
Il 13 e 14 dicembre eventi musicali e culturali al Conservatorio San Pietro a Majella
e all’Accademia di Belle Arti,
aperti al pubblico fino a tarda
sera, oltre che San Domenico Maggior, Santa Maria La
Nova e Cappella San Severo.
Notte bianca al centro storico,
il 13 dicembre in piazza del
Gesù 30 food truckers prepareranno eccellenze gastronomiche di strada. Zeppole di
pasta cresciuta, melanzane
fritte, crocchè, pizze fritte con
scarola o ricotta e pepe.
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Sport
Solo promesse per il presidente De Laurentiis: investimenti zero per le squadre dei piccoli azzurri
Il Napoli dimentica i giovani
La “scugnizzeria” che non c’è
di Roberto Panetta
Che fine ha fatto la ‘scugnizzeria’? Dov’è quella ‘cantera’ che il presidente Aurelio De Laurentiis annunciò più di 3 anni fa? “Voglio una vera scuola dove i
ragazzi possano imparare non solo il calcio, ma anche studiare le lingue e avere un manuale comportamentale per costruire una base importante nella
vita”, dichiarò il patron partenopeo.
Il programma prevedeva la realizzazione, a Castelvolturno, di un collegio del calcio dove allevare ed
educare piccoli campioni. “Il mio modello per la
Allievi del Napoli
‘cantera’, che chiameremo ‘scugnizzeria’, è il Barcellona. Voglio creare strutture necessarie per un progetto spettacolare. Un vivaio florido che possa dare
al Napoli giocatori cresciuti all’interno della società”,
questa la ‘bomba’ lanciata allora dal presidente.
In realtà, ad oggi il Napoli Calcio non ha un’organizzazione societaria tale da poter accompagnare gli
‘scugnizzi’ nella crescita. Poche squadre per troppi
giocatori. Strutture carenti. Così molti ragazzini non
riescono ad avere la possibilità di esprimersi.
Colpa della società, colpa delle strutture? Di tutto un
po’. Del fallimento del progetto prova a darne una
spiegazione il governatore della Regione Campania Stefano Caldoro, che più volte ha incontrato De
Laurentiis per parlare dell’iniziativa: “C’erano stati
problemi sull’organizzazione a Castelvolturno, per
Inchiostro
Anno XV numero 1
28 novembre 2014
www.unisob.na.it/inchiostro
Periodico a cura della Scuola
di giornalismo
diretta da Paolo Mieli
nell’Università degli Studi
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Direttore responsabile
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cui il presidente ha deciso di valutare aree diverse
per questi investimenti. Noi siamo sempre pronti a
trovare le risorse per finanziare, con progetti europei,
una buona idea che significa aprire il calcio a tutti”.
Nel 2010 le giovanili contavano 10 formazioni, il
numero di giocatori era pressoché lo stesso di oggi.
La situazione attuale sembra essere peggiorata: il settore giovanile annovera, nel proprio organico, solo
7 compagini, suddivise tra Primavera (29 ragazzi),
Allievi Nazionali (25), Giovanissimi Nazionali (25),
Regionali (28) e Regionali B (28), Esordienti (25) e
Esordienti a 9 (25). Il
tutto per un totale di
185 ragazzi.
Il ‘Futbol formativo’
del Barcellona è composto invece da 13
squadre, dai 7 ai 17
anni, più 2 formazioni professionistiche
formate da tutti giovani provenienti dalla ‘cantera’, per un
complessivo di circa
250 unità.
La differenza quindi
non è tanto nei numeri, nella quantità,
quanto nella qualità.
È qui che sta il fallimento di A.D.L.
La forza del Barcellona è proprio questa:
tante squadre, con
una media di 14 giovani. Una distribuzione di ragazzi che consente ad ognuno di giocare con maggiore
frequenza e, a 18 anni, di poter esordire in prima
squadra.
Le formazioni del vivaio partenopeo, inoltre, sono
costrette a peregrinare di anno in anno in giro per
la Campania, senza una fissa dimora. Quest’anno,
finalmente, tutte e 7 le squadre si allenano e giocano in unica struttura: Sant’Antimo, non di propria
proprietà. Ma questo non basta a soddisfare le aspettative annunciate dal presidente. La denuncia arriva
da Vincenzo Montefusco, storica bandiera napoletana, da calciatore prima e da allenatore dei giovani
poi. “Mi hanno fatto passare la voglia di insegnare
calcio”, sbotta. “Me ne sono andato dal Napoli perché non c’è un’organizzazione societaria seria. Ero
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costretto a fare 100 km per seguire le giovanili”.
Gli fanno eco Alessandro Abbondanza e Giovanni
Improta, altri che hanno ‘masticato’ campi da calcio giocando con i partenopei e allenando per tanti
anni gli ‘scugnizzi’. “Il presidente è un grande oratore. Con il nome ‘scugnizzeria’ mi ha emozionato,
ma poi non ha combinato nulla. Ci vuole gente che
diriga la società con cuore e passione. Se al Napoli
parli di giovani ti prendono per matto”, ricorda Abbondanza. “Se fai una promessa - racconta Improta
- la devi mantenere. Il problema delle strutture, poi,
è il tallone d’Achille che Napoli si porta dietro da
sempre”.
Appena sette squadre
senza centro sportivo
Per il ‘maestro’ Mariolino Corso, colui che ha fatto
la storia delle giovanili partenopee vincendo l’unico
scudetto Primavera nel ’79, è anche un problema di
allenatori: “A Napoli mancano gli istruttori, oltre alle
strutture. Per avere un buon tecnico delle giovanili bisogna spendere qualche soldino, non andare al
risparmio”. Sulla stessa linea Angelo Benedicto Sormani, che ha scritto la storia come giocatore e tecnico dei giovani azzurrini: “Napoli ricorda il mio Brasile. Molti ‘scugnizzi’ giocano per strada, soprattutto
nei quartieri più poveri. È un peccato che nessuno se
ne prenda cura. Bisogna ripartire da zero”.
Mario Corso: “In città
mancano gli istruttori”
Giuseppe Santoro, responsabile giovanile degli azzurri nel periodo della rinascita post-fallimento, puntualizza: “A Napoli il problema è l’ambiente, che non
ti permette di far crescere in tranquillità un giovane.
Ci vuole molta fortuna per lanciare uno ‘scugnizzo’
perché se sbagli, in piazze calde come questa, sei
bruciato”. Il presidente De Laurentiis, però, fa finta
di nulla: “In questi ultimi 3 anni non abbiamo fatto
niente per i giovani? Evidentemente lei ha dei dati
migliori dei miei”.
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Al via il primo asilo bilingue di Napoli e una serie di percorsi di alta formazione post laurea sul tema
Suor Orsola, casa dell’Infanzia
O
peratore di asilo
nido, Esperto in
editoria per l’infanzia e per il pubblico giovanile e Specialista nella
consulenza pedagogica. Basta
leggere i nomi di alcuni dei Corsi di Perfezionamento ed Alta
Formazione ideati dal Centro
di Lifelong Learning dell’Università Suor Orsola Benincasa
per cogliere la spiccata vocazione dell’ateneo napoletano alla
formazione nel settore della
pedagogia dell’infanzia. Una
tradizione ultrasecolare che affonda le sue radici nella nascita
all’interno della cittadella monastica di Suor Orsola prima delle scuole (esattamente 150 anni
orsono), poi del Magistero divenuto oggi una moderna Facoltà
di Scienze della Formazione
con oltre 7mila studenti e una
spiccata vocazione alla comunicazione e alle tecnologie. E da
quest’anno l’Istituto Scolastico
Suor Orsola Benincasa ha due
classi sperimentali con grande
vocazione alle lingue straniere,
con un progetto di bilinguismo
integrale per i più piccoli della
scuola dell’infanzia ed un pro-
getto di trilinguismo (con il francese
che si aggiunge all’inglese e all’italiano) per la scuola primaria. Ed è
un bilinguismo ‘vero’ quello previsto sin dal primo anno della scuola
dell’infanzia (aperta ai bambini dai
30 mesi in poi). Ben quindici ore di
inglese settimanale con un approccio didattico innovativo, dinamico e
multisensoriale caratterizzato dalla
declinazione dell’esperienza linguistica nei diversi settori: la musica
in inglese, la matematica in inglese
e l’educazione alle arti in inglese.
“L’apprendimento di una seconda
lingua in questa fascia di età - spiega Clelia Castellano, coordinatore
scientifico dei progetti di multilinguismo - è altamente raccomandato
per le possibilità fonatorie praticamente illimitate rispetto a quelle
di ragazzi di età più avanzata ed è
garantito dalla continuità degli interventi educativi dell’insegnante
madrelingua inglese e dal rinforzo
di un’insegnante bilingue italiana,
che concorrono all’attuazione di una
metodologia dinamica e multisensoriale che stimola la memorizzazione dei lessemi e l’interiorizzazione
delle strutture linguistiche”. Inoltre,
senza costi aggiuntivi, la scuola bilingue offre, grazie alla spazio tem-
porale dell’orario prolungato fino
alle 17.30, l’American Party Space,
una ludoteca in lingua inglese con
ludolaboratori, marionette, travestimenti, baby dance e party tematici.
Accanto al bilinguismo per la scuola dell’infanzia e al trilinguismo per
la scuola primaria, la formazione
dei più giovani all’Istituto Scolastico Suor Orsola Benincasa avviene
all’interno di un sistema integrato
nel quale alla didattica tradizionale
svolta con rigore da oltre 150 anni
si affiancano adesso una pluralità di
attività che completano la formazione del ragazzo: la musica con il Coro
stabile delle scuole e le diverse esperienze musicali (musiche dal mondo, percussioni ed emozioni, fiabe
e suoni e l’alfabeto musicale), le arti
visive (attività pittoriche, grafiche
e plastiche, visite guidate e lezioniesperienza), l’educazione motoria
(giochi motori, attività di avviamento alla danza ed alla ginnastica di
base e ritmica, calcetto, basket e pallavolo), l’educazione scientifica che
avviene sul campo nel prestigioso
Museo delle Scienze del Suor Orsola e l’educazione alimentare ed ambientale, che costituiscono una parte
essenziale del percorso educativo e
formativo dei bambini.
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