anno XV n. 10 1 dicembre 2014 Periodico a cura della Scuola di Giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli / www.inchiostronline.it Eventi “Che fare” in città aspettando Natale Tendenze C’era una volta chi studiava in silenzio Sport La Ssc Napoli e la scugnizzeria fantasma di Roberta Campassi a pagina 10 di Elisabetta de Luca a pagina 8 di Roberto Panetta a pagina 11 Il nostro esordio di Marco Demarco Non metterti in cattedra, comunica. E’ il motto di Ritsko van Vliet, docente olandese di marketing in visita nella nostra città. E’ anche lo spirito con cui i praticanti della Scuola di Giornalismo di Napoli hanno affrontato questo numero di Inchiostro: nessuna lezione, nessuna presunzione di completezza. Non abbiamo verità assolute da raccontare, solo fatti. Questo numero rappresenta un esperimento, quasi una esercitazione sul campo. Ma quale campo: Napoli, una città che è una miniera di fatti, storia, conflitti ed eccellenze. Ha la piccola presunzione di raccontare storie, persone, vicende che forse non sono sotto l’occhio dei riflettori. E’ una esercitazione sul campo in cui i nostri allievi hanno affrontato la realtà. Il giornale che giunge nelle vostre mani è anche un insieme di esordi. A cominciare da chi scrive: questo è il primo numero del periodico che firmo come direttore responsabile della testata. Succedo a Pierluigi Camilli che mi ha preceduto guidando con passione e competenza i giovani praticanti per cinque anni. Dopo anni di distribuzione presso le librerie Guida e Feltrinelli, questa volta i nostri praticanti si misurano – grazie alla diffusione nelle metropolitane della città – con un pubblico vero, esigente; un pubblico che non ha tempo da perdere. L’obiettivo finale del nostro sforzo è quello di qualsiasi giornalista che si rispetti: trovare un lettore interessato, attento, critico. Questo debutto è quindi anche una scommessa: trasformare una scuola di giornalismo in una vera redazione, con compiti, ruoli e strategie che appartengono ai giornali che sono in edicola. Da oggi anche noi ci confrontiamo con la piazza reale e con il giudizio – impietoso – dei lettori. A loro chiediamo opinioni, critiche e suggerimenti. In penultima pagina troverete i nostri recapiti. Attendiamo i vostri contributi. Fotografa il Quarcode e accedi direttamente alla pagina web della Scuola di Giornalismo Suor Orsola Benincasa La Linea 1 del metrò arriva al Maschio, ma Anm non esclude rinvii Municipio, si parte Il Comune conferma l’apertura di due varchi. Inaugurazione il 30 dicembre di Elisabetta de Luca Era la piazza Napoli, un Giano bifronte. Un luogo incantevole ma spesso vitti- del teatro ma della malavita e del malcostu- napoletano me. La metropolitana di Napoli rispecchia l’anima della città: la linea 1 è stata eletta la più bella del mondo ma i viaggiatori spesso sono stipati su vagoni vecchi. Il Comune di Napoli ha annunciato l’apertura di due uscite della stazione di piazza del Municipio - a undici anni dalla posa della prima pietra -, ma dalle società che hanno gestito gli appalti nessuna conferma. La piazza dovrebbe diventare uno snodo importante per la metropolitana e per il traffico cittadino. Una galleria che da Palazzo San Giacomo arriva al mare. I numerosi reperti rinvenuti durante gli scavi faranno parte di un museo che aprirà forse nel 2016. a pag. 2 Metropolitana di Napoli di Diego De Carlo La storia di piazza Municipio dal Rinascimento al Risanamento, fino al comandante Lauro. Aneddoti, curiosità, racconti, la preziosa testimonianza di Pietro Gargano, memoria storica del Mattino. Com’è cambiato nei secoli uno dei luoghi più famosi di Napoli, prima porto ora stazione della metropolitana. I cambiamenti urbanistici, il sottosuolo antico di due millenni, Ferdinando di Borbone, Benito Mussolini, i Futuristi, i fratelli Pepito, Theo Brinkmann. E sullo sfondo, la figura del Maschio sul Golfo. a pag. 3 Eredi e storici raccontano il Duca della Vittoria Armando Diaz “Generale umano” di Roberta Cordisco Ricorre il centenario della Grande Guerra. Il generale napoletano Armando Diaz, Duca della Vittoria che portò l’esercito italiano a sconfiggere le truppe austro-ungariche nella battaglia di Vittorio Veneto, è il grande Cavallone a pag. 7 dimenticato? Danno il loro parere il professore di storia contemporanea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Eugenio Capozzi, la professoressa di storia moderna, Vittoria Fiorelli e Ernesto Galli della Loggia, editorialista de Il Corriere della Sera. Il nipote del generale, che ha ereditato il nome e il titolo del nonno, racconta invece il Diaz uomo, il suo Cordisco a pag. 6-7 attaccamento alla famiglia e la sua rigida disciplina al fronte. Il nipote: “Ha unito l’Italia ma è stato dimenticato” Galli della Loggia: “Non è stato un vero eroe ma solo un ufficiale” a pag. 6-7 Seguici su Facebook. Per essere aggiornato sulle ultime news, metti “Mi piace” a Inchiostronline Nuovi scrittori, ecco le squadre di Lara De Luna Napoli è una città amante dei libri e in un panorama culturale cittadino a volte delutente, la produzione letteraria fa la differenza. Gli scrittori ‘made in Naples’ sono tanti e sempre più spesso vincenti nelle classifiche di vendita. Dai giallisti a coloro che amano giocare con l’italiano, passando per chi non si allontana dalle viscere cittadine, rendendo ogni libro napolicentrico, le sette famiglie della scrittura partenopea. a pag. 9 Diventa follower di @Inchiostronline e commenta con noi gli ultimi avvenimenti su Twitter Guarda i nostri servizi video sul canale Youtube “Suor Orsola Inchiostronline” Primo Piano Dopo undici anni di cantiere, il prossimo 30 dicembre saranno inaugurate due nuove uscite La metro a Capodanno Apre la stazione Municipio I lavori non sono ancora stati completati. Il termine è previsto per il 2016 di Elisabetta de Luca U ndici anni dopo l’apertura del cantiere, a trentotto anni dalla posa della prima pietra della metro Linea 1, il sindaco De Magistris ha annunciato per il 30 dicembre l’inaugurazione di due uscite della stazione di Piazza Municipio. Il Comune è certo che non ci saranno ulteriori ritardi: “Sarà una stazione bellissima, piena di reperti archeologici” ha detto il sindaco. Ma gli addetti ai lavori si riservano di dare comunicazioni ufficiali. Quando si parla di questo cantiere, infatti, l’imprevisto è dietro l’angolo. Il progetto originale, affidato a Àlvaro Siza ed Edoardo Souto de Moura, due premi Pritzker (il nobel dell’architettura), ha subito 27 variazioni. Molteplici ritrovamenti archeologici sono stati la causa principale dei continui stop. Anche una tragedia ha segnato il destino della stazione. Il 20 settembre scorso è stata data la notizia della morte di un operaio, Salvatore Renna, 41 anni, trovato cadavere all’interno del cantiere. Sulla vicenda sono in corso le indagini. Per la fine dell’anno è prevista solo l’apertura di due uscite, una in via Medina e l’altra provvisoria davanti al Grand Hotel de Londres, un tempo primo esempio del filone liberty napoletano e oggi sede del Tar, il Tribunale amministrativo regionale. La prima pietra della Linea 1 fu posata nel 1977 Taglio del nastro anche per la piazza davanti Palazzo San Giacomo, la sede del Municipio, abbellita dalla Fontana del Nettuno trasferita da via Medina. Il progetto però prevede altri due sbocchi che dovrebbero essere inaugurati nel 2016: in via Depretis e nel porto di Napoli, quest’ultimo strategico per i pendolari e i turisti diretti alle isole. Inoltre, è in costruzione un ascensore che dal Maschio Angioino condurrà al metrò attraverso il museo archeologico. La variazione più importante al progetto è proprio la nascita di un nuovo polo museale, un corridoio di 10 metri con in mostra i numerosi reperti rinvenuti durante gli scavi e custoditi in cinque depositi della Soprintendenza. La scoperta sorprendente è stata il ritrovamento di quattro navi di epoca greco-romana, al cui interno conservavano ancora vettovaglie, anfore con tappi in sughero, gioielli, ciotole e utensili vari. Ciò che è stato rinvenuto dentro le imbarcazioni sarà esposto nel museo men- Progetto Piazza del Municipio tre per le navi non è stata scelta ancora una sistemazione. Anm, l’Azienda napoletana mobilità, ha confermato che gli scafi non resteranno all’interno della stazione ma bisognerà trovare un luogo adatto per conservarli, un sito che possa ospitare teche di vetro molto grandi. Forse uno spazio sarà allestito all’interno del Maschio Angioino ma non c’è nulla di definitivo. Di certo, per visitare il Museo bisognerà aspettare ancora qualche anno. Nella galleria sarà possibile ammirare il ponte levatoio del castello, una banchina con area termale, il muro vicereale, incorporato nell’architettura del museo, il torrione dell’Incoronata, situato nell’angolo nordoccidentale di Castel Nuovo in età vicereale e i resti degli affreschi di un palazzo angioino appartenuto alla famiglia Del Balzo. Scavando più in profondità hanno rivisto la luce anche blocchi di tufo di epoca ellenistica e romana. La stazione di Piazza del Municipio, una volta ultimata definitivamente, si prevede tra due anni, Diciotto fermate 150mila viaggiatori Mobilità rivoluzionata sarà il punto d’interscambio tra la Linea 1 e la Linea 6. “Il cambiamento più importante per noi – dice Alberto Ramaglia, amministratore unico Anm – è stata l’apertura del capolinea Garibaldi, snodo importante perché collega la metropolitana alle Ferrovie e alla Circumvesuviana. Abbiamo diminuito il traffico cittadino, trasportando circa 150mila viaggiatori”, anche se la stazione di piazza Garibaldi per metà è ancora un cantiere perché non è stato aperto il passaggio interno tra la metropolitana e la ferroviaria. Piazza Duomo che completerà la Linea 1 non entrerà in funzione prima del 2016. A Madrid sono bastati 36 mesi per inaugurare una metro lunga 41 chilometri con 28 stazioni, sette anni per il Tunnel della Manica, lungo 50 chilometri di cui 39 sottomarini e dieci anni sono durati i lavori per il canale di Suez, i napoletani aspettano da due ventenni che la città venga liberata dai cantieri e diventi più vivibile. Generazioni di studenti si sono laureate intanto che la metro cresceva con la speranza di raggiungere le università, senza doversi accalcare sugli autobus e sui treni delle ferrovie “prestati” alla metropolitana. A piccolissimi passi però stanno nascendo stazioni che uniscono binari e vagoni, con reperti e opere d’arte, e soprattutto diventano cruciali per muoversi in città. Luoghi che il mondo ci invidia. A patto che non si sappia quanto lunga e disagevole è stata l’attesa. I musei underground Le metropolitane sono state elette da anni luogo di sperimentazione per eccellenza dei grandi architetti, che finiscono per creare dei capolavori. Ignorati dai viaggiatori distratti, ma non dai media. La metro di piazza Municipio è solo l’ultima nata, in un panorama tenuto sotto controllo dai giornali che regolarmente ne stilano classifiche. Graduatorie in cui l’opera di Oscar Tusquets Blanca a via Toledo è sempre in testa. Da Napoli a New York, le 15 stazioni più belle del mondo. 1. Stazione di Toledo, Napoli. Progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, è stata aperta nel 2012. È considerata la più bella del mondo. 2. Stazione Majakovskaja, Mosca. E’ la più famosa della linea 2 della metropolitana moscovita. E’ uno dei migliori esempi di architettura stalinista pre-bellica. 2 Primo Piano La storia di uno dei luoghi simbolo della città ricostruita con il giornalista Antonio Gargano Foto d’epoca di Piazza Municipio Adotta una fermata Anm Versando una quota si avrà il nome sulla palina Adotta una fermata Anm Fermata Anm adottata di Lorenzo Ena P er ora sono 50, ma si arriverà a coprire tutte le tremila fermate della città. Anche Napoli, con Anm, ha deciso di promuovere il progetto “La mia fermata” (Lmf Italia Srl) già presente da 10 anni a Firenze. “L’iniziativa - ha spiegato Davide Scarinzi, responsabile della comunicazione Lmf per Napoli - consiste nell’adozione di una fermata da parte di un’attività commerciale. Attraverso un contratto pubblicitario, gli esercenti versano una quota a Anm e Lmf e in cambio il nome della loro attività sarà apposto sulla palina e la pensilina della fermata. Ogni esercizio può adottare più cartelli nel raggio di un chilometro dalla sua posizione. Abbiamo già installato un centinaio di paline”. I vantaggi per i negozianti non finiscono qui. Il nome dell’esercizio sarà pubblicizzato anche a bordo dei mezzi, con orari di apertura e chiusura e sito della pagina Facebook. Ora l’obiettivo di Lmf è quello di coinvolgere attività sanitarie: farmacie, centri di recupero e laboratori di analisi. Le adesioni al progetto stanno crescendo in maniera esponenziale. “Ogni giorno - continua Scarinzi - riceviamo decine di consensi. Per ogni contratto dedichiamo uno spazio di ringraziamento nei quotidiani”. Considerando il successo dell’esperienza fiorentina, secondo Lmf questa nuova idea cattura l’attenzione, crea pubblicità e dunque aumenta gli introiti. Scarinzi rivela un’indiscrezione: “Dopo Napoli anche le società dei mezzi di trasporto di Bari e Venezia sono pronte a promuovere Lmf ”. 3. Stazione Radhuset, Stoccolma. Gli interni sono stati creati seguendo i principi dell’architettura organica per richiamare le sembianze di una grotta. 3 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Quella piazza, una Broadway made in Naples di Diego De Carlo Se il Maschio Angioino che ancora adesso la domina fu eretto in meno di 56 mesi, sarà solo dopo più di dieci anni di lavori, 27 progetti e mille intoppi che l’“archeometrò” di Napoli entrerà in funzione. Piazza Municipio, l’agorà del capoluogo campano, è oggi un cantiere aperto, uno scavo archeologico, un caos di automobili e motorini che rivendicano la precedenza. “Ma ‘sta metropolitana ‘a stanno facenn’ o ‘a stanne cercanno?”, è il leitmotiv del comico Alessandro Siani, forse il più prossimo dei parenti dei Pulcinella che proprio in questa piazza, al teatro San Carlino, sollazzavano il popolo. Perché un tempo questa piazza era la Broadway di Napoli. Per impedire l’abbattimento del teatro nel quale avevano profuso tutto il loro talento i Petito, i ridanciani napoletani promossero un’autentica crociata. Ma non riuscirono a spuntarla. E il teatro svanì. Insieme a una serie poco edificante di giostre alla buona, strutture squarquoie e catapecchie. Al San Carlino lo stesso re Ferdinando andava ad applaudire i guitti travestito da popolano. Per sondare il clima. E per poi abbandonarsi a qualche gustoso battibecco con l’amata maschera partenopea. Ma un altro teatro era qui, sull’area del distrutto convento, fino a fine ‘700: “Il Teatro del fondo dei lucri - ricorda Pietro Gargano, memoria storica del Mattino - che si chiamava così perché la spesa era stata sostenuta dall’amministrazione”. Tuttavia l’unico teatro presente in piazza ancora oggi è il Mercadante, un gioiello architettonico edificato nel 1778 dall’architetto siciliano Francesco Securo, e parzialmente ricostruito nel 1893, su sinuosi disegni di Pietro Ciulli. Nel 1799 il teatro si volle anche chiamare “patriottico” e fu coinvolto spesso in moti rivoluzionari. “Per quelli del 1820 rimase chiuso per 26 anni”, rammenta Gargano. Ed è proprio in quel periodo che il Largo di Castello ha Stazione metro di Avtovo San Pietroburgo Stazione Arts Et Métiers , Parigi Bund Sightseeing Tunnel, Shanghai Stazione Metro Università, Napoli Formosa Boulevard Station, Taiwan Tilework In Szent Gellért Square, Budapest Stazione di Kungstradgarden, Stoccolma City Hall Station, New York Stazione T-Centralen, Stoccolma Stazione Olaias, Lisbona Stazione Stadion, Stoccolma Stazione Slavyansky Bulvar, Mosca cominciato lontanamente a somigliare a ciò che è oggi. Fu infatti allora che Palazzo San Giacomo venne eretto, proprio per volontà dell’istrionico re Ferdinando, con lo scopo (stavolta serio) di riunirvi tutti i ministeri del Regno delle due Sicilie. Dopo l’unità d’Italia l’enorme edificio diventò la sede centrale dell’amministrazione comunale. E lo è tuttora. “Fino a qualche anno fa era facile trovarci rivenditori ambulanti di “spassatiempo” e chincaglierie varie”, dice Gargano, che ricorda pure gli anni della sua infanzia, quando in questa piazza s’andava a mangiare i panzarotti alla rosticceria Pizzicato, oppure il gulash ascoltando i violini tzigani. O quando il leggendario orologiaio tedesco Theo Brinkmann, passati molti giri d’orologio della sua vita, dové chiedere il permesso di soggiorno perché dopo la guerra al nazifascismo i Tedeschi non erano più graditi. O quando si scendeva all’Hotel de Londres, che inaugurò lo scintillante periodo del liberty napoletano, tutto ispirato alle fragili metafore del fiore e della farfalla. Gran parte delle preziose decorazioni che erano in esso sono state oggi stravolte dai proprietari successivi. E l’edificio che ospitò anche i primi scandali futuristi è oggi diventato, molto più prosaicamente, sede del Tar. Nel ‘900, a stravolgere la fisionomia della piazza è stato Achille Lauro, che in una tranquilla notte degli anni ’50 convocò segretamente alcune squadre di “tecnici”. All’indomani decine di lecci secolari non c’erano più. Perché pare che sotto quegli alberi si concentrassero troppe prostitute. “Piazza Municipio è sempre stata un porto di mare, un luogo dove le mogli dei popolani ballavano su palchi e panche” dice Pietro Gargano. “Poi, a un certo punto il porto si sposta verso est, e la piazza diventa una sorta di cannocchiale verso il golfo”. Tuttavia adesso un porto sommerso antico di 1800 anni è ritornato alla luce. E il porto che prima caratterizzava la piazza si è spostato tra via Acton e San Giovanni a Teduccio. Di esso a piazza Municipio resta la sola stazione marittima, una struttura marmorea eretta in coincidenza con il generale ammodernamento impresso allo scalo negli anni ‘30, quando Mussolini aspirava a una politica di forte espansione nel Mediterraneo. A detta degli archeologi, però, al posto del porto a Piazza Municipio ci sarà un pozzo di san Patrizio (o di san Gennaro): la tanto sospirata metropolitana. E ogni giorno ciascun pendolare potrà far ruotare a ritroso le lancette dei quadranti di Theo Brinkmann mentre lotta contro il tempo. E viaggiare sotto il piano del calpestio attraverso strati di secoli passati, attraverso tempi che hanno cancellato tempi e dominazioni che hanno raso al suolo dominazioni. Cronaca Stazione Metro di Toledo, il nuovo varco di Montecalvario divide gli abitanti dei vicoli Saliscendi nei Quartieri più bello che funzionale Anm, Ramaglia: “Pochi utenti, ma l’uscita ha riqualificato la zona” di Lisa D’Ignazio N on più guarnigioni spagnole, ma opere d’arte e tapis roulant. Ben quattro scale mobili, 170 metri, tra le più lunghe d’Europa. Cinquanta metri di profondità tra opere d’arte: così si apre viaggio nelle viscere di Napoli tra il nero dell’asfalto, l’ocra del tufo e l’azzurro del mare. È la nuova Montecalvario, enclave dei Quartieri Spagnoli, a cinquecento anni dalla dominazione spagnola e a più di un anno, 18 settembre del 2013, dall’inaugurazione dell’uscita della metro che la collega alla stazione di Toledo. Scala mobile dell’uscita Montecalvario già dal nome richiama la storia che ha subito nei secoli. È da sempre la montagna del calvario e della sofferenza, dove se prima vivevano i clan camorristici, oggi aleggia la microcriminalità. “Almeno prima c’erano delle regole, oggi invece comandano ragazzini senza alcuna organizzazione alle spalle che girano come cani sciolti”. Me lo dice davanti all’uscita di Montecalvario la signora Giuseppina. Lei non ha mai preso la metropolitana e non ha alcuna intenzione di utilizzarla. “Ho paura di andare in metro, soprattutto qui a Montecalvario - dice - pochissima gente la prende e da soli sotto terra ho paura che qualcuno mi possa derubare”. In effetti, pur non essendoci dati sull’utenza dal varco di Montecalvario, la frequenza è molto bassa. Secondo la gente del posto, circa un centinaio di persone al giorno frequenta l’uscita della metro che porta ai Quartieri. La metropolitana nel cuore dei Quartieri Spagnoli ha rappresentato una sfida alla mobilità di luoghi dominati da motorini e auto, come la raccolta differenziata, altro problema centrale della città, lo potrebbe essere per il problema dei rifiuti. Non solo utilità, ma anche bellezza. Percorrendo il tragitto dall’uscita di Montecalvario fino a quella di Toledo si attraversano opere d’arte di una bellezza che colpisce soprattutto per il contrasto con la realtà sgarrupata che vive sopra il mondo sotterraneo. Entrare nella metro è come immergersi un una galleria d’arte tra il collage di volti di personaggi famosi e non dell’opera “Razza umana” di Oliviero Toscani, o le lettere argentate dell’artista statunitense Lawrence Weiner, le stampe fotografiche in bianco e nero realizzate dall’artista di origine iraniana Shirin Neshat e i grandi pannelli in ceramica dei russi Ilya ed Emilia Kabakov. Il tutto percorribile con passo normale in dieci minuti e 42 secondi. Troppo tempo, dicono gli abitanti, rispetto al minuto scarso con cui si scende a piedi da Montecalvario fino alla Stazione di Toledo. Questa è la principale motivazione per cui gli abitanti della zona, dalla sarta all’angolo fino alla signora dell’alimentari, non ci pensano proprio a muoversi in metro. Chi gestisce questo mezzo di trasporto, invece, l’Amministratore delegato dell’Azienda napoletana mobilità (Anm) Alberto Ramaglia pensa che “l’uscita è utilizzata Ingresso stazione Montecalvario molto da chi vive nella zona, anche se il bacino d’utenza non è numerosissimo”. Per l’architetto che ha progettato la stazione di Toledo, Giovanni Fasanaro, “il problema è sociale. Appena vedono qualcosa di nuovo si lamentano”. Ma i vantaggi di una metro non si fermano al semplice utilizzo che se ne fa. Sopra la stazione di Montecalvario oggi c’è una piazza che i cittadini “possono vivere, con la possibilità di sedersi e di giocare per i bambini”, spiega l’amministratore. Utilizzare i treni significa anche mettere in garage la macchina, mezzo indispensabile per muoversi in zone impervie come Montecalvario. Invece di questa “seconda uscita pedonale” a Montecalvario Gaetano, giovane padre di tre figli mi dice che avrebbe preferito avere un parcheggio sotterraneo in cui poter mettere la propria utilitaria. Le auto bloccano le piccole viuzze dei Quartieri, diventando anche un problema soprattutto in casi di emergenza, quando devono passare vigili del fuoco o ambulanze. Non è d’accordo Ramaglia dell’Anm : “Le piazze di Napoli sono state da decenni sgombrate dalle auto e farci un parcheggio sarebbe fuori tendenza”. “La stazione ha riqualificato molto la zona - dice l’Architetto Fasanaro - Quando siamo andati lì la prima volta abbiamo trovato una carcassa di un’auto bruciata. Con la metro abbiamo ridato dignità a una parte del centro storico di Napoli”. Il problema non è solo strutturale. Non sono solo i dieci minuti che il napoletano medio impiega per spostarsi dall’uscita di Montecalvario a Toledo a determinare la scelta del mezzo da utilizzare. Il problema è anche culturale. “Il napoletano non utilizza nemmeno la stazione, preferisce andare a piedi o con la propria macchina. Lo stile di vita deve cambiare. Napoli è una città fuori luogo che stenta a capire gli standard di convivenza civile”. La speranza è nel futuro: “Forse i bambini che vanno a scuola la usano. In futuro le cose cambieranno e i cittadini inizieranno a utilizzare maggiormente il trasporto pubblico”. Un laboratorio di lettura e scrittura per i giovani organizzato dalla Fondazione Quartieri Spagnoli Libri agli scugnizzi di Montelibraio Basta aprire la porta per trovare un’altra città, o addirit- gano 100 giovani. L’obiettivo è “far uscire dal chiuso in cui tura un nuovo mondo. A via Porta Carrese, nel quartiere da secoli vivono confinati gli abitanti dei Quartieri SpaMontecalvario di Napoli una porta verde divide due re- gnoli” dice la presidente. Seimila metri quadri di cultura altà: quella dei Quartieri Spagnoli e formazione. Accanto all’asilo e quella di Montelibrario, la prinido, la scuola dell’infanzia, la ma e unica libreria dei Quartieri scuola primaria, l’Università Spagnoli, una libreria-laboratorio delle Libertà e l’orchestra sinfopensata per lettori e lettrici dai 0 nica dei Quartieri Spagnoli, dal a 16 anni. Oltre l’immondizia per 15 novembre Foqus ha trovato strada, i palazzi sgarrupati e i panun posto anche per i libri. Nei ni stesi al sole, esiste una realtà che Quartieri si concentra il 10% la fondatrice Rachele Furfaro defidei minori napoletani e si renisce “della bellezza”. Lei presiede gistra la più alta percentuale di la Fondazione Quartieri Spagnoli evasione scolastica tra gli 8 e i Prima libreria ai Quartieri Spagnoli (Foqus). Nata nel 2012 per la ri14 anni e la più elevata di devianza in qualificazione urbana del posto, la Fondazione finanziata età precoce.“I bambini dei quartieri che vivevano questo da privati raccoglie quattro nuove cooperative che impie- posto sono molto colpiti e incuriositi”, spiega Ilaria Guer- ra della cooperative Montelibrario. Sono bambini non abituati ad avere un libro fra le mani: spesso a casa non ne hanno, o quelli che hanno sono solo scolastici, del dovere. I volumi presenti nella libreria sono scelti per il loro contenuto, in base a temi diversi, che cambieranno ogni anno. I Quartieri Spagnoli sono il simbolo per eccellenza delle peggiori periferie italiane, oggetto di pregiudizi e mezze verità, casa di microcriminalità e povertà. Tuttavia, entrare a Montelibrario fa dimenticare improvvisamente tutto quello che fino a oggi si è saputo e detto di questo posto. La sfida è costruire un nuovo immaginario non dentro ma fuori le ‘mura’ dei Quartieri Spagnoli, “cercando di scacciare l’immagine stereotipata, connotata e mitizzata che si ha della zona”, ricorda la libraia Laura Scotti di Montelibrario. L. D’I. 4 Cronaca La Iuppiter Edizioni e Chiaia Magazine insieme per proteggere l’editoria dall’invasione del take-away Una patatineria in Via Toledo La dittatura della patata fritta Cinquanta friggitorie aperte in dodici mesi, su un totale di seicento nuovi negozi di Gianmarco Altieri e Gianluca Esposito Meno librerie, più take-away. Cambiano le insegne franchising e ditte produttrici dei macchinari che, dei negozi, cambia il commercio, cambia l’estetica giustamente, avevano interesse a diffondere i procittadina. In via Mezzocannone, crocevia universi- pri marchi e prodotti. In particolare, i fabbricanti tario, al posto della libreria Dante e Descartes apre delle friggitrici sostenevano che non ci fosse bisogno così L’università della patata con la sua insegna gial- della canna fumaria, che per chi vuole aprire una la e blu. Dopo quasi un secolo d’ininterrotta attività, pizzeria o una rosticceria è un problema di costi e la storica Guida di Port’Alba ha chiuso i battenti. relazioni con i condomini dello stabile. Solo da poco Irrilevante il cartell’Asl ha reso obbligatoria la canna fulo posto all’ingresso maria, anche se ne bastano alcune, che avvisava i pasdenominate a carboni attivi, relativaDe Francesco: santi che la sede era mente economiche e di dimensioni “A Napoli eventi stata nominata paridotte. Credo si tratti di una moda trimonio culturale simile a quella dei ristoranti cinesi privi di prospettiva. di interesse nazioche esplose vent’anni fa in città. PoMilioni di euro fritti” chi sono ancora aperti. Infine, si tratnale. Dai suoi scaffali avevano attinto ta di attività estremamente semplici e numerose letture dai costi ridotti. Non serve personale Eugenio Montale e qualificato, non occorre esperienza Giuseppe Ungaretti, durante i loro viaggi napoleta- nel difficile campo della ristorazione, le dimensioni. Era anche il rivenditore di fiducia di Benedetto ni del locale possono essere estremamente ridotte Croce. Prima di loro, ad abbassare la saracinesca e, trattandosi di negozi mono-prodotto, sono facili erano stati due negozi Mondadori, in via dei Mille da gestire”. e in piazza Trieste e Trento, la Guida Merliani e la Eppure non tutti gradiscono. “Più librerie e meno Loffredo al Vomero. pensiero fritto” è lo slogan della campagna di senNegli ultimi quattro anni a Napoli hanno chiuso sibilizzazione in difesa della cultura promossa da più di una trentina tra librerie e piccole case edi- Chiaia Magazine. L’iniziativa prevede video virali trici. Sempre meno centri culturali, dunque, in una per promuovere la lettura, un cortometraggio sulcittà dove nell’ultimo anno sono invece la “rivolta dei aumentate in maniera esponenziale palibri”, adesivi La Confcommercio: tatinerie, friggitorie, gelaterie e centri “di pensiero” scommesse. distribuiti nei “Le patatinerie Confazienda Napoli, con i suoi dati, chiamaggiori centri risce la rilevanza del fenomeno. A fronte culturali della costano meno del 35% delle attività commerciali che città e numedi altri esercizi” hanno chiuso negli ultimi 12 mesi, sono rosi convegni stati aperti 600 negozi. Si tratta princisull’evoluzione palmente di paninoteche (300), grafferie dell’editoria. (140), patatinerie (50), kebaberie (80) e yougurterie “L’invasione delle friggitorie e delle patatinerie è (30). inquietante - afferma Massimiliano De Francesco, Marco Cantarella, funzionario di Confcommercio direttore di Chiaia Magazine - Non ho nulla contro Napoli, cerca di dare una spiegazione socioecono- l’economia del fritto, ma la città dovrebbe consermica di quanto sta accadendo. “Le librerie – so- vare isole letterarie e culturali, altrimenti davvero stiene – sono in crisi dappertutto. Queste attività rischiamo di perdere in termini di crescita morale guadagnano principalmente con libri scolastici ed e sociale”. editoria universitaria. La possibilità di scaricare Il giornalista, fondatore della casa di editoria e coquesti testi da internet, oltre al fenomeno delle fo- municazione Iuppiter Group punta il dito contro le tocopie, ha creato molti problemi ai librai classici istituzioni locali: “Quanti soldi sono stati bruciati in che hanno un margine di guadagno lordo del 30%. questi ultimi quattro anni per eventi vuoti e senza Diventa, dunque, determinante la natura dei costi prospettiva? Coppa America e Forum delle Culture: fissi. La Treves, ad esempio, chiuse perché il pro- milioni di euro fritti”. prietario del locale decise di adeguare l’affitto ai “Sarebbe bastato - conclude De Francesco - utilizprezzi richiesti in via Toledo. Dacché pagava 1500 zarne il 10% per progettare un piano per la creaeuro, il libraio avrebbe dovuto sborsarne circa 6000. zione di mini-librerie ognuna con librai qualificati e Impensabile!” non semplici venditori. Tutto questo è ancora possiE le friggitorie? Interessante le motivazioni del bile, ma serve una svolta morale e di pensiero che in boom illustrate da Cantarella. “C’erano reti di questo momento non c’è”. 5 L’iniziativa di Iuppiter Edizioni Una delle cinquanta friggitorie take - away aperte a Napoli Speciale Nessuna iniziativa per ricordare Diaz che guidò l’esercito alla vittoria L’Armando dimenticato da Napoli Capozzi: “La figura del generale va contestualizzata La storia della Grande Guerra è caduta nell’oblio” di Roberta Cordisco M entre nella Capitale il 4 novembre, giorno dell’unità nazionale e delle forze armate, le figure di Stato lasciano una corona di fiori sulla tomba del Milite Ignoto all’Altare della Patria, a Napoli, in via Caracciolo, la statua equestre di Armando Diaz rimane solo di fronte al mare. Se il nome non dovesse dire nulla ai più giovani, si pensi allora a quell’inno che intonava “Il Piave mormorava”. Diaz, napoletano di discendenza spagnola, fu il protagonista indiscusso della terza battaglia del Piave, altrimenti conosciuta come battaglia di Vittorio Veneto, che portò le truppe italiane ad avere la meglio su quelle austro-ungariche. Era il 4 novembre 1918 e il generale partenopeo ribaltava così le sorti dell’Italia nella Grande Guerra. Ma con il tempo, insieme con la statua del lungomare Armando Diaz Caracciolo, ha iniziato ad arrugginirsi anche il ricordo che il Paese ha mantenuto di lui. Quando nel novembre 1917 fu chiamato a sostituire Luigi Cadorna, responsabile della disfatta di Caporetto, nella carica di capo di Stato Maggiore, il generale parlava così dell’esercito italiano: “L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto farla pungente. La rifaremo”. E Armando Diaz ha lavorato talmente su quella punta, da renderla letale. L’Italia è passata da Caporetto a Vittorio Veneto attraverso il suo ingegno. Mite e affabile, risollevò gli animi di quei soldati provenienti da ogni parte d’Italia che per la prima volta si ritrovarono insieme a combattere nella stessa trincea. Ed è con loro che Il Duca della Vittoria, titolo conferitogli a seguito del conflitto, tracciò i contorni di un Paese finalmente unito. Ma questa, per molti, è storia vecchia. Possibile allora che dietro il Milite Ignoto si nasconda un valoroso comandante che, con tanto di nome, rischia di diventare a distanza di cento anni altrettanto ignoto? “Io ricordo bene quando il 4 novembre era ancora la festa della Vittoria”, dice il professor Eugenio Capozzi, docente di storia contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.“Oggi nel capoluogo campano si organizza ben poco. Probabilmente a incidere negativamente sulla memoria collettiva di questo illustre napoletano è stata la sua adesione al fascismo. Ma la figura del generale Diaz va contestualizzata. È la Grande Guerra la vera dimenticata. Si tende a etichettare il primo conflitto mondiale come folle e immotivato. Nel tempo è prevalso il ricordo di una guerra del feroce corpo a corpo che ha generato solo sofferenza e morte, sacrificando la vita di tanti soldati”. Di certo è stata prima di tutto una brutale guerra di trincea. Ma è proprio lì che iniziava a rafforzarsi il senso di appartenenza a una comune identità nazionale. “Diaz – aggiunge Capozzi – è il napoletano che diventa il simbolo del rimescolamento delle classi. È il generale che è riuscito a ricompattare le truppe dopo la disfatta di Caporetto e che ha portato a compimento l’unificazione del Paese”. Dopo la vergogna del fascismo, però, il nazionalismo è un sentimento che è sopravvissuto in forme molto attenuate, per poi essere messo definitivamente alla gogna negli anni Sessanta e Settanta, quando l’ostilità a ogni teoria interventista sviliva il patriottico senso di appartenenza al tricolore. “Per parlare di un guerriero dimenticato, è necessario un discorso più approfondito su come è cambiata la percezione della nostra identità nazionale nel corso di questi cento anni” – spiega ancora il professor Capozzi. Accantonare il ricordo della Grande Guerra, prima ancora che di Diaz, è un errore e si rischia di perdere di vista il making in progress dell’identità nazionale che andava maturando nel chiuso di quelle trincee. “È curioso che mentre tre anni fa il Paese abbia sentito così nel vivo la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, adesso il centenario della Grande Guerra venga invece abbassato di tono”, dice Vittoria Fiorelli, professoressa di storia moderna del Suor Orsola di Napoli, anche lei d’accordo a inserire Diaz in una dimenticanza che coinvolge un contesto più ampio. Ma aggiunge un’altra precisazione che fa riflettere: “Siamo in una fase storica in cui gli eroi non sono gli eroi militari. Diaz non si presta a una narrazione positiva perché nonostante sia ricordato come un generale vicino ai soldati e più umano rispetto al suo predecessore Cadorna, resta un eroe della guerra e non della pace”. Qualunque sia la ragione sembra che questo centenario abbia soffiato le candeline senza fare i conti con un pluridecorato fantasma del passato. Difficile stabilire poi quanto gli stessi napoletani abbiano dimenticato il generale che ha mosso i suoi primi passi proprio sul suolo partenopeo. Fatto sta che il Comune di Napoli non ha organizzato nulla per la ricorrenza. Il povero Armando Diaz è rimasto solo in via Caracciolo. Del resto già all’epoca sembrava averlo previsto: “Non mi faccio illusioni su me stesso, ma posso dire di aver avuto un merito: quello di equilibrare le forze e gli ingegni altrui, di far regnare la calma fra i miei generali e la fiducia fra le mie truppe. Sento che questa è la mia caratteristica”. La statua del generale alla Rotonda Diaz Diaz non fu un eroe La battaglia di Vittorio Veneto? Come affondare un coltello nel burro Ernesto Galli della Loggia “Tutte le cose lontane alla fine si dimenticano. Anche il contesto nazionalistico e patriottico su cui si muove Diaz nasce tanto tempo fa e tendiamo a dimenticarlo”. Parla così Ernesto Galli della Loggia, docente universitario, storico e editorialista de Il Corriere della Sera. Perché allora si affievolisce il ricordo di un protagonista così importante nel processo di unificazione del nostro Paese? “Perché in realtà Diaz non ha avuto un ruolo così fondamentale. Non è stato l’ideatore di importanti manovre politiche. E’ stato solamente un saggio militare 6 Speciale Parla il nipote del Duca della Vittoria, erede del titolo di famiglia “Mio nonno, l’uomo prima dell’ufficiale” “Era sempre vicino alla moglie e ai suoi figli Dal fronte lettere e memoriali per la famiglia” di Mariana Cavallone che, alla luce dell’esperienza fallimentare di Cadorna, aveva capito che bisognava adottare una tattica diversa, più cauta. Allora riorganizzò l’esercito secondo una logica difensistica e più umana. Ha saputo intervenire nel modo giusto al momento giusto”. Eppure il 4 novembre è stato prima di tutto il giorno della Vittoria… “Non ci fu una vera battaglia di Vittorio Veneto. Nell’ottobre del 1918 l’Austria era ormai allo stremo delle forze e per l’Italia fu come affondare un coltello nel burro. L’esercito austro-ungarico, disgregato, non rappresentava una grande minaccia. L’Italia vinse semplicemente perché resistette di più e perché aveva alle spalle Paesi come gli Stati Uniti e la Francia”. Dunque Diaz non è stato un eroe di guerra? “Diaz non fu un eroe. Un generale non è mai un eroe. L’esercito italiano vinse la guerra, non Armando Diaz. Ma questo discorso vale per tutti. Per fare un esempio, anche per Napoleone, nonostante goda di una fama più duratura”. Quanto è importante il ricordo della Grande Guerra per la nostra identità nazionale? “E’ stata una guerra in cui per la prima volta ci si ritrovava a combattere fianco a fianco. Uno di Napoli, a meno che non fosse un borghese agiato, non avrebbe avuto altri modi per ritrovarsi vicino a uno del Nord. Da questo punto di vista è stata una guerra che miscelò il Paese e lo tenne unito”. R.C. 7 “Non ho mai conosciuto mio nonno, ma è una vita che porto il suo nome. Tutto quello che so di lui l’ho imparato dai libri e dai racconti di mio padre”. Armando della Vittoria Diaz racconta la vita del generale che portò l’esercito italiano alla vittoria dopo la disfatta di Caporetto. Capo di stato maggiore del Regio Esercito durante la Prima guerra mondiale, ministro della Guerra e maresciallo d’Italia, Diaz aveva a cuore l’umore e la vita dei suoi soldati così come quella dei suoi figli. Il ‘Duca della Vittoria’ non tralasciava i suoi impegni nemmeno di fronte al Re e quando non era sul fronte amava trascorrere dei giorni nella sua città natale. Che ricordo ha di suo nonno? “Ho conosciuto il Diaz uomo, il suo carattere, la sua quotidianità, soltanto da adulto quando ho iniziato a vedere più spesso mio padre Marcello. I miei genitori, infatti, si sono separati quando ero piccolo e io ho sempre vissuto con mia madre. Armando Diaz agli occhi del figlio era un uomo molto attaccato alla famiglia. Anche quando era lontano cercava di stare vicino alla moglie e ai fiArmando Diaz e il figlio Marcello gli, e nelle lettere che inviava dal fronte parlava di loro scrivendo i suoi consigli. Ma sapeva anche essere molto severo e non ammetteva che i figli potessero essere favoriti dalla sua posizione”. Ci racconta qualche aneddoto legato alla Abano, dove era riunito tutto lo Stato maggiore dell’eserfigura del generale? cito italiano. C’erano Badoglio e altri generali che sem“Mio padre parlava di lui come di una persona profonbravano sereni, come se non si stesse combattendo una damente umana, ma anche molto rigida nella disciplina. guerra. Diaz era quello che infondeva fiducia a tutti. Mio Niente e nessuno potevano distogliere il generale dal suo padre lo descriveva come un uomo impulsivo, ma allo lavoro. Durante la Grande Guerra Vittorio Emanuele Orstesso tempo controllato, che nei momenti cruciali riuscilando e Leonida Bissolati andarono a visitare il comando va a mettere da parte la sua natura di Diaz, ma arrivarono nel mosentimentale e diventare un fredmento in cui il generale parlava a do ragionatore. Ma c’era una cosa telefono con il comandante di un tradiva la sua tensione interioGrandissima umanità che battaglione in difficoltà. ‘Prima la re, nel cuore della notte si alzava trincea, poi sua maestà’ rispose il ma anche una per andare a controllare il barogenerale al tenente Paoletti, che si metro. Ciò che Diaz temeva di più rigida disciplina era precipitato ad annunciare la prima di una battaglia, infatti, non visita del re”. erano le truppe avversarie, ma il Gli storici raccontano che tempo. Se quella notte il Piave si Armando Diaz era amato fosse di nuovo ingrossato, l’esercito italiano avrebbe dovudai soldati molto più di altri generali italiani, tra to rimandare l’offensiva”. cui Cadorna, che sostituì. Come mai? Conserva qualche oggetto appartenuto al gene“La prima preoccupazione di mio nonno fu sempre il rale? morale delle sue truppe. Il generale trattava i soldati da “Non conservo molti cimeli. Tutti gli oggetti appartenuti amici e cercava di comandare facendo leva sui loro sentia mio nonno, tra cui la sua scrivania, l’elmetto e la divisa, menti. Durante la guerra in Libia, una compagnia si amli ho donati al Museo della guerra mutinò prima del combattimento. di Gorizia”. Il generale, dopo aver raccontato Che rapporto aveva il genel’accaduto alle sue truppe, conrale Diaz con la sua città naI cimeli di una vita trariamente a quanto prevedeva al Museo della Guerra tale? il regolamento, affidò la bandie“Mio nonno adorava Napoli e ra del Reggimento cui era a capo di Gorizia adorava anche Capri, dove traproprio alla compagnia che si era scorreva i mesi estivi, perché lo ammutinata e questo risollevò gli faceva sentire libero. Girava in umori dei soldati. Ma la sua fama motoscafo e si fermava vicino alle è legata soprattutto alla Prima barche dei pescatori per parlare dei loro problemi familiaguerra mondiale. Alla vigilia della battaglia di Vittorio ri, del prezzo del pesce e dell’andamento della pesca, tutto Veneto mio padre era andato all’albergo dell’Orologio ad in dialetto napoletano”. Tendenze Lezioni e compiti con le cuffie. La musica aiuta ad apprendere? Addio silenzio, oggi si studia così Brandimonte: “La melodia riduce tensioni e noia” di Elisabetta de Luca In biblioteca, alla propria scrivania, addirittura in classe durante la lezione: i giovani non si separano quasi mai dagli auricolari. Adesso trovano le cuffie integrate negli zaini scolastici. Sembra perduta per sempre l’abitudine di studiare in silenzio. Ma l’apprendimento ne risente? “Dipende dalla personalità dello studente e dal tipo di musica che ascolta” è la risposta di Maria Antonella Brandimonte, insegnante di Psicologia dei processi cognitivi e Psicologia della memoria all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e autrice del libro “La distrazione” edito da Il Mulino. “Qualche studioso ha suggerito che la musica riduce la tensione e la noia comunemente correlate a lavori routinari, ma agisce come distrattore durante compiti complessi che richiedono attenzione. Sono le differenze individuali a giocare un ruolo determinante nell’apprendimento. Eysenk, già negli anni ‘60, sosteneva che introversi ed estroversi, rispondono diversamente alla stimolazione ambientale. Gli introversi dovrebbero essere influenzati negativamente dall’introduzione della musica, mentre gli estroversi dovrebbero ottenere benefici. In biblioteca, gli introversi tendono a cercare luoghi tranquilli, mentre gli estroversi sembrano attratti da luoghi nei quali c’è più attività e lavorano meglio in presenza di distrazioni piuttosto che in silenzio. Io stessa, dopo diversi tentativi di convincere mia figlia che leggere una pagina di storia con l’I-Pod nelle orecchie è dannoso per l’apprendimento, ci ho rinunciato perché dai suoi voti sembrava che io avessi torto!” Non è solo la personalità a influenzare l’apprendimento ma anche il tipo di musica che si ascolta. Secondo quanto è emerso da una ricerca commissariata da Spotify, un servizio per ascoltare musica in streaming, ed eseguita dalla dottoressa Emma Gray, specializzata in terapie cognitivocomportamentali, è importante scegliere la musica giusta per ogni disciplina. Sostiene che a ogni materia corrisponde una frequenza che può aiutare a migliorare i risultati. Gli studenti che ascoltano musica classica con 60-70 battiti al minuto, raggiungono in media un punteggio più alto del 12% nelle prove di matematica, quasi un voto in più. Quando si studia scienze, lingue o materie umanistiche si stimola la parte sinistra del cervello, abituata a elaborare informazioni e risolvere problemi, per questo bisogna ascoltare musica con 50-80 battiti al minuto. Spotify, che ha creato una play list per studenti, pone in cima “Man Down” di Rihanna e artisti pop come Gwen Stefani, Miley Cyrus, Bruno Mars, Beyoncè. Per aiutare la parte destra del cervello dove risiede l’originalità e la creatività, quindi quella usata per studiare materie come Storia dell’ Arte, i risultati evidenziano che si dovrebbe ascoltare musica pop coinvolgente come “Firework” di Katy Parry ma anche capisaldi del rock come “(I Can’t Get No)Satisfac- La classifica di musica classica, stilata da Spotify, da ascoltare per migliorare i propri voti in matematica Studente con le cuffie tion” dei The Rolling Stones. Brani che producono uno stato di eccitazione elevato che può aumentare la fantasia. “Non sono del tutto d’accordo con questi risultati” afferma invece la prof. Brandimonte. “L’apprendimento può migliorare se si ascolta musica, ma non brani con le parole, solo quella strumentale, come la musica classica, a prescindere dalla materia”. Questo perché negli adulti la lettura è automatizzata: “Le parole del testo della canzone, specie se note, rallentano l’acquisizione dei concetti. Gli occhi si muovono più lentamente tra le righe e la mente può divagare anche fino all’ultima parola della pagina”. Gli studenti si dividono tra la musica e il silenzio. A Eleonora, studentessa di Biologia, Spotify consiglierebbe Beyoncé: “Ho sempre sognato di essere lei – confessa – non potrei mai studiare con la sua musica. Mollerei i libri e mi metterei a ballare”. “Sapevo che studiare matematica con la musica classica migliorava i miei risultati – dice Tonia - ci ho provato per tutto il quadrimestre ma alla fine i voti non sono cambiati”. Claudio e Ciriaco invece usano la musica per concentrarsi, uno il rock classico e l’altro la musica leggera italiana. Teresa non è d’accordo: “La musica è una cosa seria, non bisognerebbe mai rovinare un bel momento musicale facendo cose brutte, tipo studiare”. 8 Cultura Un network fatto di scuole e solidarietà che riunisce i nuovi esponenti dell’editoria partenopea Giallisti e napolicentrici Le squadre degli scrittori Armiero: “Non è solo l’effetto-Saviano”. C’è di tutto nel calderone letterario di Lara De Luna U NARRATORI PURI n mare sconfinato di libri. E’ l’immagine più realistica possibile per definire quella che è oggi la produzione letteraria napoletana. Un panorama che vede sempre più spesso i suoi esponenti nella top ten delle classifiche nazionali e internazionali delle vendite. “Non è solo l’effetto Saviano – dice Mirella Armiero, giornalista del Corriere del Mezzogiorno -, non basta il traino di uno scrittore famoso per comprendere la produzione odierna”. Premi Strega, innovatori, trame che partono da Napoli per guardare al mondo intero. C’è di tutto nel calderone della scrittura napoletana. Dai capostipiti agli ultimi nati, all’interno di questo “caos” ci si può orientare solo individuando grandi famiglie tematiche. Così si avranno i “narratori puri”, attenti in particolar modo all’architettura della trama, contrapposti a quegli scrittori che, come Domenico Starnone, fanno dell’analisi introspettiva dei personaggi la loro cifra caratteristica. E allo stesso modo i libri squisitamente napolicentrici di Elena Ferrante, amatissima negli Usa, si affiancano ai prodotti di quegli scrittori che scappano dall’archetipo di Napoli come “città speciale a tutti i costi e che vorrebbero essere letti a prescindere dalla loro provenienza”. Un mondo dalle mille sfaccettature, che non si limita al prodotto finito, ma parte da lontano. “A Napoli sono attive diverse scuole di scrittura”, ricorda la Armiero. Più di una casa editrice infatti, come Homo scrivens e A est dell’equatore agisce “come un laboratorio, non limitandosi alla sola attività di pubblicazione dei manoscritti, bensì curandone la genesi e facendo un continuo lavoro di scouting”. Un network quello degli scrittori partenopei, che si spalleggiano con una “solidarietà che mancava in passa- di Roberta Cordisco Ho visto il film “Lo sciacallo” (Nightcrawler) e per fortuna non mi sono rivista. Lo dico perché la nuova pellicola di Dan Gilroy porta sullo schermo la figura, smunta ed inquietante, di Lou Bloom (Jake Gyllenhaal), reporter freelance che nell’ora dei vampiri batte le strade di Los Angeles alla ricerca di omicidi e incidenti che gonfino la cronaca nera. La direttrice del Tg presso cui inizia a vendere i suoi video, Nina (Rene Russo), gli insegna che solo ‘il sangue fa audiance’. Lou lo capirà fino al punto da creare lui stesso il fatto di sangue per avere lo scoop. Da praticante giornalista la distanza da Lou è un vanto, oltre che una consolazione. Vi spiego il perché. Mentre lui discendeva agli inferi di una metropoli insanguinata, io ripensavo ai casi di 9 Maurizio De Giovanni Sara Bilotti Diego De SIlva Marco Marsullo IRONICI GIALLISTI Simone Laudieri Stefano Piedimonte Francesco Piccolo Diana Lama Patrizia Rinaldi IPERCONTEMPORANEI NAPOLICENTRICI Cristiano De Majo Peppe Fiore Ivan Polidoro Paolo Piccirillo Angelo Petrella Ermanno Rea Elena Ferrante Peppe Lanzetta Antonella Cilento INTROSPETTIVI Domenico Starnone Giusy Marchetta Valeria Parrella Eduardo Savarese Le 7 famiglie della scrittura napoletana to”, quando il confronto tra scrittori era molto più ideologico. “Anni fa sarebbe stato difficile trovare uno scrittore che, come fa De Giovanni, si facesse promotore e maestro di giovani colleghi”. Non solo un legame telematico, ma qualcosa di profondo basato sulla formazione degli scrittori e su quelle che percepiscono come priorità. “Non si discute più dei massimi sistemi letterari, bensì delle problematiche pratiche legate Noi sciacalli? No grazie che mi ha spinto a guardare Lou solo da lontano. “No – mi sono detta – io non sono come lui”. La nostra videoinchiesta: http://www.unisob.na.it/inchiostro/video. htm?idvd=1449 Luigi Romolo Carrino Davide Morganti Alessio Arena alla scrittura”. In un’epoca sempre più concreta e meno attenta alla filosofia delle cose, la letteratura quindi non sembra fare eccezione. Ne è prova il fatto che la più grande discussione degli ultimi tempi è stata incentrata su “Gomorra” di Roberto Saviano. “Una discussione di natura pratica – sottolinea la Armiero - riguardante la legittimità o meno di quel particolare modo di rappresentare Napoli. Niente che riguardi la poetica o l’estetica”. Il caso Una praticante giornalista recensisce il film di Gilroy cronaca nera che hanno animato fino all’impossibile i dibattiti e i talk show. Forse perché sono pugliese, la memoria mi ha riportato soprattutto al delitto di Avetrana, dove 4 anni fa la vicenda della quindicenne Sarah Scazzi tenne tutti col fiato sospeso. Forse perché ero al cinema ed amo il cinema, ho ricordato una frase che già all’epoca mi colpì: “Questa non è Hollywood”. Qualcuno del paese la scrisse su un muro vicino alla villetta dove si consumò l’omicidio di Sarah. Avetrana lamentava così la presenza invadente dell’occhio mediatico su di sé. Quella scritta non l’ho più dimenticata. E meno male, perché è stato un campanello di allarme SPERIMENTATORI Riconosco, però, che la domanda che grava sul mio (futuro) mestiere resta: “Il giornalismo può spingersi fino a questo punto?” Che abbia venduto l’anima al diavolo dell’audiance è già noto. Ma può davvero sporcarsi di sangue? La reazione di molti in sala è stata: “E’ un’americanata”. Con paura mi sono chiesta se anche l’informazione rischia di diventare, se già per certi versi non lo è, un’americanata. “Pensa al nostro Tg come a una donna che urla per strada con la gola squarciata” dice la navigata Nina al giovane reporter. Lou allora diventa un “Nightcrawler”, letteralmente un viscido che striscia di notte, un vampiro che succhia il sangue per tenere in vita lo share del notiziario delle sei del mattino. E’ vero che non mi sono riconosciuta nel ritratto estremo che Dan Gilroy fa del giornalismo d’assalto. Ma quella frase mi è ronzata in testa tutto il tempo: “Questa non è Hollywood”. E ho pensato che anche nel nostro Paese, quando si tratta di fondere spettacolo e informazione, l’America non è poi così lontana. Mi sono sentita sollevata quando ho realizzato che Jake Gyllenhaal non è davvero un reporter, ma solo un bravo attore. E lui probabilmente ad Hollywood ci andrà, visto che si vocifera di una sua possibile candidatura all’Oscar. Per fortuna l’unico rosso sangue che calpesterà, o su cui speculerà, affar suo, sarà quello del red carpet, non quello versato sull’asfalto. Perché gli studi televisivi non sono gli studios di Hollywood. Almeno io la penso così. Cosa fare L’ologramma del pianista russo alla Mostra d’Oltremare Ghost Concert per Piano City di Roberta Campassi Il fantasma di Sergej Rachmaninoff inaugura “Piano City Napoli”, un progetto musicale che prevede battaglie a colpi di note e concerti per strada e nelle case dei napoletani. Il compositore e pianista russo il 5 dicembre si materializzerà nel teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare. I suoi brani, incisi su rulli di pianola, saranno riprodotti grazie alle nuove tecnologie. Il “Ghost Concert”, come si intitola lo spettacolo di Rachmaninoff, è nato da un’idea di un pianista italiano, Roberto Prosseda. Durante il concerto l’immagine 3D del compositore russo sarà animata e sincronizzata con la riproduzione della sua esecuzione al pianoforte. “Piano City Napoli” durerà tre giorni e riempirà ogni angolo della città con spettacoli e concerti a tutte le ore nei più bei posti pubblici e privati. Anche la seconda edizione del festival sarà caratterizzata dagli “House Concert”: studenti, professionisti e amatori hanno messo a disposizione i salotti delle loro case. Hanno registrato e inviato al canale YouTube dell’evento un minuto di video così da dare al pubblico la possibilità di scegliere quale house concert seguire e dove. Andreas Kern, pianista berlinese e ideatore del progetto Piano City Napoli, è riuscito a unire musica classica e jazz, repertorio popolare e improvvisazione. La maggior parte degli eventi sono gratuiti. Alla Mostra d’Oltremare Kern e il pianista tedesco Paul Cibis si esibiranno in una sfida a colpi di pianoforte, la “Piano Battle”. Una battaglia musicale interamente dedicata alla FOOD AND ART Ogni venerdì si parte dal complesso di Santa Caterina a Formiello fino a Porta Capuana. Un percorso durante il quale si degusta la classica pizza fritta e una tazza di brodo di polpo, insaporita da pepe e pezzetti di polpo fresco. Patti Smith canzone napoletana, dove a ogni round il pubblico potrà esprimere il proprio gradimento e decretare così il vincitore. Musei, palazzi storici, piazze, biblioteche, chiese: saranno questi i luoghi in cui risuoneranno note d’autore. Appuntamenti sono previsti al Maschio Angioino, al Pan, al Nitsch e alla Città della Scienza, al Pio Monte della Misericordia e a Palazzo Carafa. L’intero progetto è stato organizzato dalla ditta “Alberto Napolitano pianoforti” di piazza Carità, in collaborazione con la Mostra d’Oltremare e l’assessorato alla Cultura del comune di Napoli, con il patrocinio del FAI Sezione Campania. Per ulteriori informazioni sugli eventi seguite la pagina di Inchiostronline.it. In attesa dei regali, gli eventi in Campania La sacerdotessa del rock a San Giovanni Maggiore Lunedì 8 dicembre Patti Smith si esibirà al Duel Beat e il 9 suonerà in una location d’eccezione, la Basilica di San Giovanni Maggiore. La sacerdotessa del rock porterà sul palco una formazione speciale: “The (Patti) Smiths”, ovvero il figlio Jackson alla chitarra e la figlia Jesse Paris al pianoforte, con la partecipazione di Tony Shanahan al basso. CONCERTI GRATUITI Lucio Amelio al Madre La nostra videoinchiesta: http://www.unisob.na.it/inchiostro/video. htm?idvd=1449 Napoli è famosa per le sue chiese. Il 29 novembre, il 5 e 13 dicembre San Gennaro Extra Moenia, Carmine Maggiore e Santa Maria Donnaregina Nuova aprono al pubblico con alcuni concerti gratuiti di musica classica. CHRIST MAS IL TESORO ANGIOINO MERCATINI DI NATALE LE LUCI DI DENTRO L’Ippodromo di Agnano, il 30 novembre, mette a disposizione gli spazi del suo parco verde per “Christ Mas”, la mostra mercato artigianale per le strenne natalizie, ovvero cesti e confezioni di varie forme, dimensioni e materiali. Al Museo del Tesoro di San Gennaro, in via Duomo, la mostra “Ori, argenti, gemme e smalti della Napoli angioina” sarà aperta fino al 31 dicembre. Manufatti in metallo prezioso che vanno dal 1266 al 1381. Arti medievali, addobbi natalizi artigianali, enogastronomia e mostre presepiali, questo è il mercatino di Natale al Castello di Limatola che dal 28 novembre all’8 dicembre accoglierà i bambini nella casa di Babbo Natale. Per chi è affascinato dalla Napoli del sottosuolo, le Catacombe di San Gennaro fino al 6 gennaio 2015 offriranno uno spettacolo multimediale, un viaggio tra luci, suoni e immagini che riscoprono le catacombe di Capodimonte. SPETTRI AL CASTELLO WI-FI AL VOMERO NOTTE D’ARTE STREET FOOD Il 5, 6 e 7 dicembre cinque attori dell’associazione NarteA all’interno del Castello Doria di Angri illustreranno scene della vita medievale, momenti dell’attività del mercato insieme a falconieri, arcieri, cavalieri e giullari. Una rete Wi-fi nuova di zecca. E’ il regalo di Natale che l’associazione Unico Vomero farà alla zona collinare. Inizialmente coprirà piazza Vanvitelli, via Scarlatti e via Luca Giordano per poi allargarsi al resto del quartiere. Il 13 e 14 dicembre eventi musicali e culturali al Conservatorio San Pietro a Majella e all’Accademia di Belle Arti, aperti al pubblico fino a tarda sera, oltre che San Domenico Maggior, Santa Maria La Nova e Cappella San Severo. Notte bianca al centro storico, il 13 dicembre in piazza del Gesù 30 food truckers prepareranno eccellenze gastronomiche di strada. Zeppole di pasta cresciuta, melanzane fritte, crocchè, pizze fritte con scarola o ricotta e pepe. 10 Sport Solo promesse per il presidente De Laurentiis: investimenti zero per le squadre dei piccoli azzurri Il Napoli dimentica i giovani La “scugnizzeria” che non c’è di Roberto Panetta Che fine ha fatto la ‘scugnizzeria’? Dov’è quella ‘cantera’ che il presidente Aurelio De Laurentiis annunciò più di 3 anni fa? “Voglio una vera scuola dove i ragazzi possano imparare non solo il calcio, ma anche studiare le lingue e avere un manuale comportamentale per costruire una base importante nella vita”, dichiarò il patron partenopeo. Il programma prevedeva la realizzazione, a Castelvolturno, di un collegio del calcio dove allevare ed educare piccoli campioni. “Il mio modello per la Allievi del Napoli ‘cantera’, che chiameremo ‘scugnizzeria’, è il Barcellona. Voglio creare strutture necessarie per un progetto spettacolare. Un vivaio florido che possa dare al Napoli giocatori cresciuti all’interno della società”, questa la ‘bomba’ lanciata allora dal presidente. In realtà, ad oggi il Napoli Calcio non ha un’organizzazione societaria tale da poter accompagnare gli ‘scugnizzi’ nella crescita. Poche squadre per troppi giocatori. Strutture carenti. Così molti ragazzini non riescono ad avere la possibilità di esprimersi. Colpa della società, colpa delle strutture? Di tutto un po’. Del fallimento del progetto prova a darne una spiegazione il governatore della Regione Campania Stefano Caldoro, che più volte ha incontrato De Laurentiis per parlare dell’iniziativa: “C’erano stati problemi sull’organizzazione a Castelvolturno, per Inchiostro Anno XV numero 1 28 novembre 2014 www.unisob.na.it/inchiostro Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Direttore editoriale Lucio d’Alessandro Direttore responsabile Marco Demarco Coordinamento scientifico Arturo Lando 11 cui il presidente ha deciso di valutare aree diverse per questi investimenti. Noi siamo sempre pronti a trovare le risorse per finanziare, con progetti europei, una buona idea che significa aprire il calcio a tutti”. Nel 2010 le giovanili contavano 10 formazioni, il numero di giocatori era pressoché lo stesso di oggi. La situazione attuale sembra essere peggiorata: il settore giovanile annovera, nel proprio organico, solo 7 compagini, suddivise tra Primavera (29 ragazzi), Allievi Nazionali (25), Giovanissimi Nazionali (25), Regionali (28) e Regionali B (28), Esordienti (25) e Esordienti a 9 (25). Il tutto per un totale di 185 ragazzi. Il ‘Futbol formativo’ del Barcellona è composto invece da 13 squadre, dai 7 ai 17 anni, più 2 formazioni professionistiche formate da tutti giovani provenienti dalla ‘cantera’, per un complessivo di circa 250 unità. La differenza quindi non è tanto nei numeri, nella quantità, quanto nella qualità. È qui che sta il fallimento di A.D.L. La forza del Barcellona è proprio questa: tante squadre, con una media di 14 giovani. Una distribuzione di ragazzi che consente ad ognuno di giocare con maggiore frequenza e, a 18 anni, di poter esordire in prima squadra. Le formazioni del vivaio partenopeo, inoltre, sono costrette a peregrinare di anno in anno in giro per la Campania, senza una fissa dimora. Quest’anno, finalmente, tutte e 7 le squadre si allenano e giocano in unica struttura: Sant’Antimo, non di propria proprietà. Ma questo non basta a soddisfare le aspettative annunciate dal presidente. La denuncia arriva da Vincenzo Montefusco, storica bandiera napoletana, da calciatore prima e da allenatore dei giovani poi. “Mi hanno fatto passare la voglia di insegnare calcio”, sbotta. “Me ne sono andato dal Napoli perché non c’è un’organizzazione societaria seria. Ero Coordinamento redazionale Pierluigi Camilli Alfredo d’Agnese Carla Mannelli Alessandra Origo Guido Pocobelli Ragosta Grafica Biagio Di Stefano Caporedattore Elisabetta de Luca Editore Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 80135 Napoli via Suor Orsola 10 Partita Iva 03375800632 In redazione Gianmarco Altieri Roberta Campassi Mariana Cavallone Roberta Cordisco Diego De Carlo Lara De Luna Lisa D’Ignazio Lorenzo Ena Alfonso Fasano Roberto Panetta Spedizioni Enrico Cacace, tel. 081.2522232 costretto a fare 100 km per seguire le giovanili”. Gli fanno eco Alessandro Abbondanza e Giovanni Improta, altri che hanno ‘masticato’ campi da calcio giocando con i partenopei e allenando per tanti anni gli ‘scugnizzi’. “Il presidente è un grande oratore. Con il nome ‘scugnizzeria’ mi ha emozionato, ma poi non ha combinato nulla. Ci vuole gente che diriga la società con cuore e passione. Se al Napoli parli di giovani ti prendono per matto”, ricorda Abbondanza. “Se fai una promessa - racconta Improta - la devi mantenere. Il problema delle strutture, poi, è il tallone d’Achille che Napoli si porta dietro da sempre”. Appena sette squadre senza centro sportivo Per il ‘maestro’ Mariolino Corso, colui che ha fatto la storia delle giovanili partenopee vincendo l’unico scudetto Primavera nel ’79, è anche un problema di allenatori: “A Napoli mancano gli istruttori, oltre alle strutture. Per avere un buon tecnico delle giovanili bisogna spendere qualche soldino, non andare al risparmio”. Sulla stessa linea Angelo Benedicto Sormani, che ha scritto la storia come giocatore e tecnico dei giovani azzurrini: “Napoli ricorda il mio Brasile. Molti ‘scugnizzi’ giocano per strada, soprattutto nei quartieri più poveri. È un peccato che nessuno se ne prenda cura. Bisogna ripartire da zero”. Mario Corso: “In città mancano gli istruttori” Giuseppe Santoro, responsabile giovanile degli azzurri nel periodo della rinascita post-fallimento, puntualizza: “A Napoli il problema è l’ambiente, che non ti permette di far crescere in tranquillità un giovane. Ci vuole molta fortuna per lanciare uno ‘scugnizzo’ perché se sbagli, in piazze calde come questa, sei bruciato”. Il presidente De Laurentiis, però, fa finta di nulla: “In questi ultimi 3 anni non abbiamo fatto niente per i giovani? Evidentemente lei ha dei dati migliori dei miei”. Redazione 80135 Napoli via Suor Orsola 10 tel. 081.2522212/226/234 fax 081.2522212 Registrazione Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001 Stampa Imago sas di Elisabetta Prozzillo Napoli 80123 via del Marzano 6 Partita Iva 05499970639 Al via il primo asilo bilingue di Napoli e una serie di percorsi di alta formazione post laurea sul tema Suor Orsola, casa dell’Infanzia O peratore di asilo nido, Esperto in editoria per l’infanzia e per il pubblico giovanile e Specialista nella consulenza pedagogica. Basta leggere i nomi di alcuni dei Corsi di Perfezionamento ed Alta Formazione ideati dal Centro di Lifelong Learning dell’Università Suor Orsola Benincasa per cogliere la spiccata vocazione dell’ateneo napoletano alla formazione nel settore della pedagogia dell’infanzia. Una tradizione ultrasecolare che affonda le sue radici nella nascita all’interno della cittadella monastica di Suor Orsola prima delle scuole (esattamente 150 anni orsono), poi del Magistero divenuto oggi una moderna Facoltà di Scienze della Formazione con oltre 7mila studenti e una spiccata vocazione alla comunicazione e alle tecnologie. E da quest’anno l’Istituto Scolastico Suor Orsola Benincasa ha due classi sperimentali con grande vocazione alle lingue straniere, con un progetto di bilinguismo integrale per i più piccoli della scuola dell’infanzia ed un pro- getto di trilinguismo (con il francese che si aggiunge all’inglese e all’italiano) per la scuola primaria. Ed è un bilinguismo ‘vero’ quello previsto sin dal primo anno della scuola dell’infanzia (aperta ai bambini dai 30 mesi in poi). Ben quindici ore di inglese settimanale con un approccio didattico innovativo, dinamico e multisensoriale caratterizzato dalla declinazione dell’esperienza linguistica nei diversi settori: la musica in inglese, la matematica in inglese e l’educazione alle arti in inglese. “L’apprendimento di una seconda lingua in questa fascia di età - spiega Clelia Castellano, coordinatore scientifico dei progetti di multilinguismo - è altamente raccomandato per le possibilità fonatorie praticamente illimitate rispetto a quelle di ragazzi di età più avanzata ed è garantito dalla continuità degli interventi educativi dell’insegnante madrelingua inglese e dal rinforzo di un’insegnante bilingue italiana, che concorrono all’attuazione di una metodologia dinamica e multisensoriale che stimola la memorizzazione dei lessemi e l’interiorizzazione delle strutture linguistiche”. Inoltre, senza costi aggiuntivi, la scuola bilingue offre, grazie alla spazio tem- porale dell’orario prolungato fino alle 17.30, l’American Party Space, una ludoteca in lingua inglese con ludolaboratori, marionette, travestimenti, baby dance e party tematici. Accanto al bilinguismo per la scuola dell’infanzia e al trilinguismo per la scuola primaria, la formazione dei più giovani all’Istituto Scolastico Suor Orsola Benincasa avviene all’interno di un sistema integrato nel quale alla didattica tradizionale svolta con rigore da oltre 150 anni si affiancano adesso una pluralità di attività che completano la formazione del ragazzo: la musica con il Coro stabile delle scuole e le diverse esperienze musicali (musiche dal mondo, percussioni ed emozioni, fiabe e suoni e l’alfabeto musicale), le arti visive (attività pittoriche, grafiche e plastiche, visite guidate e lezioniesperienza), l’educazione motoria (giochi motori, attività di avviamento alla danza ed alla ginnastica di base e ritmica, calcetto, basket e pallavolo), l’educazione scientifica che avviene sul campo nel prestigioso Museo delle Scienze del Suor Orsola e l’educazione alimentare ed ambientale, che costituiscono una parte essenziale del percorso educativo e formativo dei bambini. 12
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