III Congresso FLC CGIL di Bologna Relazione introduttiva della Segretaria Generale uscente Francesca Ruocco Innanzitutto vorrei ringraziare tutti voi di essere qui oggi, al III Congresso della Flc Cgil di Bologna. Un sentito grazie quindi va in primo luogo agli 82 delegati, eletti in 87 assemblee, che hanno condiviso con noi il percorso ricco e difficile di confronto nelle assemblee territoriali e di luogo di lavoro, e un grazie va anche alle Istituzioni che hanno deciso di essere presenti accettando il nostro invito, ai rappresentanti delle associazioni studentesche -dei medi e degli universitari-, e ai rappresentanti dei genitori presenti, con i quali -nel rispetto delle reciproche autonomie e ruoli, abbiamo condiviso tante battaglie e molta strada dobbiamo ancora percorrere insieme. Sappiamo come il rischio di un appuntamento congressuale sia soprattutto quello di esaurirsi in una dinamica rituale, invece mai come oggi il Congresso della Flc e della Cgil tutta può e deve essere un momento di analisi, discussione e confronto veri e aperti, in grado di dotare l'Organizzazione di una bussola e di una prospettiva per i prossimi 4 anni, in quella che è certamente una delle fasi più difficili per la sua storia e per il Paese (e, non a caso, si è fatto lo sforzo di costruire un documento congressuale -Il lavoro decide il futuro- largamente maggioritario ma al tempo stesso emendabile nella parte propositiva a tutti i livelli, dal CD nazionale alle assemblee di base). Dicevo, una delle fasi più difficili per noi, ma innanzitutto per il Paese, e le ragioni sono sotto gli occhi di tutti. L'emergenza lavoro ha ormai raggiunto proporzioni inedite, con livelli del 12,5% di disoccupazione, del 40,5% di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a livello nazionale, e del 9% e del 17,5% anche in una Regione come la nostra, e con un sistema di ammortizzatori sociali ereditato dal secolo scorso, sempre più insufficiente e che protegge sempre meno persone. Di fronte a questi dati, la politica non è stata in grado di mettere in campo una prospettiva strategica di uscita dalla crisi, né a livello nazionale, né a livello europeo. Infatti, in Europa non vi è stata fin'ora la capacità di invertire la tendenza rispetto alle politiche di austerity che penalizzano esportazioni, investimenti e occupazione (fino alla follia dell'inserimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio in Costituzione), e in Italia continua ad essere assente un piano industriale (la nostra bilancia commerciale è in passivo su tutti i prodotti ad alto contenuto di know how) e parallelamente si assiste ad un disinvestimento sul fattore innovazione e su tutta la filiera della conoscenza (per la prima volta dal dopoguerra, a partire dal 2008, si è disinvestito su tutti i nostri settori). Infine, la parola “ingiustizia” continua ad essere il tratto fondativo di un paese in cui la forbice dei redditi è tornata ai livelli degli anni '20, c'è una bassissima mobilità sociale, il lavoro meno ce n'è e più si trova solo tramite conoscenze e per vie clientelari, e la generazione maggiormente formata nella storia del Paese è costretta a emigrare o restare disoccupata o sotto-occupata. E mentre questo accade, e in molti contesti purtroppo va in scena una vera e propria “guerra tra i poveri”, cresce di giorno in giorno lo spettacolo della corruzione, dell'evasione e dell'illegalità delle classi dirigenti. E nemmeno in una situazione di crisi dai tratti drammatici come quella che stiamo vivendo, si è avuto il coraggio politico di fare un po' di redistribuzione della ricchezza (tramite un'imposta patrimoniale o la tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 25% come negli altri paesi europei), per recuperare le risorse necessarie per quegli investimenti strategici in grado di creare lavoro! Come ci si può meravigliare dunque, che la crisi economica e sociale sia diventata anche crisi della politica e, più in generale, delle forme della rappresentanza politica e sociale? Crisi della rappresentanza che oggi coinvolge e rischia di travolgere anche la nostra Organizzazione, la Cgil. Il più grande sindacato italiano ed europeo che da tempo sconta innanzitutto un'efficacia ridotta della propria azione e della propria iniziativa. E' stato questo uno dei temi più sentiti e discussi nelle assemblee di base: in questi anni, mobilitandoci, abbiamo evitato i danni peggiori (per es sventando il tentativo di aumento dell'orario di didattica frontale nella scuola secondaria o la cancellazione dell'art 18), ma siamo comunque costantemente arretrati, e solo in rare occasioni abbiamo prodotto degli avanzamenti. Le ragioni di questo deficit di efficacia dell'azione sindacale sono molteplici: 1. la crisi stessa, che rende i lavoratori estremamente ricattabili e, purtroppo, spesso costretti ad accettare di lavorare a qualunque condizione, e che rende pesante la perdita di salario anche per un'unica giornata di sciopero. 2. La politica, incapace di fare alcune scelte strategiche e necessarie, e in cui la rappresentanza del lavoro è sempre più assente. 3. La rottura in questi ultimi 10 anni di un fronte sindacale unitario dei sindacati confederali e 4. non ultimo, la riduzione di rappresentatività della Cgil, laddove il bacino dei disoccupati e dei lavoratori precariamente occupati si è andato sempre più allargando e spesso si tratta di lavoratori difficili da intercettare con gli strumenti sindacali tradizionali, massimamente ricattabili e portatori di problemi e istanze nuove, e che oggi devono finalmente diventare una priorità. Il principale rischio in questa situazione è duplice: da un lato, il tentativo -già in campo da parte di più di un attore politico- di relegare la Cgil da soggetto di rappresentanza generale del lavoro -come oggi è- a rappresentante degli interessi di una parzialità del mondo del lavoro, nemmeno più maggioritaria. Questo è il pensiero alla base di chi oggi fomenta la retorica dello scontro tra i “garantiti” (i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, soprattutto del settore pubblico) e i non “garantiti”, per cui i precari e i soggetti più deboli del mondo del lavoro l'unico modo che avrebbero per ottenere ciò che gli spetta sarebbe quello di ridurre ulteriormente i già magri salari e i pochi diritti dei lavoratori dipendenti. Queste persone sono le stesse che, contemporaneamente, non hanno mai avuto il coraggio né l'intenzione di introdurre la patrimoniale sulle grandi ricchezze, la tassazione delle rendite finanziarie, reali misure di lotta all'evasione fiscale o di taglio ai costi della politica! Il nostro compito invece è quello di riunificare il lavoro, ricostruendo i legami di solidarietà per disertare la guerra tra i poveri, parificando le condizioni di lavoro verso l'alto e non verso il basso, perchè a parità i lavoro deve corrispondere parità di salario e di diritti. L'altro rischio, in un momento di debolezza, è il ripiegamento su sé stessi e la tentazione di rilegittimarsi e recuperare l'efficacia perduta solo tramite il tavolo negoziale e il riconoscimento che viene dalla controparte. Il tavolo negoziale è uno strumento fondamentale del sindacato e la contrattazione è elemento fondante e fondativo della Cgil (e noi la agiamo quotidianamente dalle contrattazioni di Istituto, ai tanti accordi e contratti con l'Unibo -non da ultimo l'Integrativo 2013 e l'accordo per le proroghe dei TD- , così come negli enti di ricerca, all'Accademia, al Conservatorio e nella formazione professionale); tuttavia, mai come oggi l'efficacia va conquistata a partire dalla costruzione di rapporti di forza derivanti dal tuo grado di rappresentatività e dalla tua capacità di mobilitazione (e noi non avremmo mai raggiunto l'accordo sui TD senza la loro mobilitazione, così come non avremmo bloccato il tentativo di aumento dell'orario di didattica frontale e l'ex Aprea senza la mobilitazione capillare delle scuole, e gli esempi di questo tipo sono molti). Oggi la Cgil non può pensare di uscire da questa crisi così come ne è entrata, ma per continuare ad essere il più grande sindacato italiano di cui il Paese continua ad avere un estremo bisogno, deve avere la forza ed il coraggio di innovare e rinnovare contenuti e strumenti, e di immettere energie nuove, e soprattutto in questa direzione questo Congresso è un appuntamento fondamentale. Se finora ho parlato della crisi in generale, vorrei ora spendere alcune parole sugli effetti della crisi nei nostri settori e nel nostro territorio. L'ho detto prima, la cosa che fa più rabbia è che mentre buona parte della politica si affanna a dire che l'investimento in formazione, ricerca e innovazione è strategico per la ripartenza del Paese, dal 2008 ad oggi è successo esattamente il contrario: per la prima volta dal dopoguerra c'è stato un massiccio disinvestimento in tutti i nostri settori: 9,3 mld di euro e 140.000 posti di lavoro ca in meno nella scuola, il 22,7% di FFO in meno alle Università e il rapporto docente/studente più basso d'Europa, i fondi ordinari degli enti di ricerca ridotti dal 20% al 40%. L'unico segnale in parziale controtendenza sulla scuola, soprattutto grazie alla nostra azione costante, è stato il Dl 104 (riconvertito nella L 128/13) che, per la prima volta da anni, non taglia e avvia 26.684 stabilizzazioni di docenti di sostegno in 3 anni (94 già da quest'anno a Bologna) e un piano sempre triennale di 60.000 assunzioni su tutti i profili, ma a invarianza finanziaria. Tuttavia, negli stessi mesi -e precisamente in agosto- lo stesso Governo Letta prorogava di un anno il blocco di tutte le progressioni economiche e salariali, e quindi dei Ccnl, e per via di questa proroga abbiamo dovuto assistere all'indecente tentativo di recuperare i mesi di scatto giustamente percepito direttamente dagli stipendi dei lavoratori a colpi di 150 euro al mese (e parliamo di stipendi di 1.200 euro ca, per cui passare per 8 mesi a 1050 euro non è cosa da poco). E permettetemi di spendere due parole sulla questione delle posizioni economiche del personale Ata, una parte di retribuzione che gli Ata conseguono a fronte della partecipazione a un bando ministeriale e ad una prova concorsuale, e che percepiscono per lo svolgimento di attività aggiuntive fondamentali come, per es, l'assistenza all'handicap. Ebbene, nel 2013 -quindi dopo 2 anni- il Mef ha iniziato a sostenere che le posizioni economiche conseguite da settembre 2011 sono state illegittimamente erogate perchè soggette al blocco delle progressioni economiche e salariali introdotto da Tremonti. Dunque, ora rivogliono indietro (su stipendi di 1000 euro al mese dei collaboratori scolastici) quei soldi ricevuti per una prestazione lavorativa aggiuntiva già svolta, e dopo aver partecipato ad un bando pubblico del Ministero e ad una prova selettiva! A nostra memoria, neanche nel privato è mai accaduta una cosa simile! Non a caso questo -insieme agli scatti e all'ulteriore dimezzamento del fondo di Istituto, già tagliato lo scorso anno- è uno dei punti fondamentali dello sciopero di tutte le attività aggiuntive che la Flc Cgil ha proclamato nelle scuole dal 21 febbraio al 22 marzo, perchè non possiamo in alcun modo accettare il lavoro gratuito ed è ora che si prenda consapevolezza tutti di cosa sta accadendo alle nostre scuole! Tutto questo ovviamente ricade pesantemente anche sul sistema formativo e della ricerca bolognese. − Nella scuola, a Bologna in questi 4 anni abbiamo dovuto affrontare un aumento costante della popolazione scolastica, superiore alla media nazionale e derivante anche dall'aumento del numero di cittadini stranieri, a fronte di: tagli del personale, tagli delle risorse, riduzione del tempo scuola e delle compresenze, tagli ai fondi per l'alfabetizzazione e per le aree a rischio e a forte processo immigratorio. Se nei prossimi mesi, grazie alla mobilitazione nelle scuole con lo sciopero delle attività aggiuntive, il Governo non tornerà indietro sulle posizioni economiche e sul taglio del Mof, trovando nelle economie i soldi per lo scatto 2012, a settembre avremo il problema di non riuscire ad aprire e a far funzionare le scuole, perchè non troveremo più nessuno disposto a fare: il collaboratore del DS, il referente di plesso, il coordinatore di classe, piuttosto che la funzione strumentale, il referente di Commissione o ad avere l'incarico specifico Ata. Le funzioni strumentali per es, sono passate da una media di 1.500 euro a una media di 500 euro lordi l'anno e il lavoro è aumentato! E sull'offerta formativa sta succedendo anche peggio: per riuscire a portare a termine i progetti e le attività curricolari (avendo saputo del taglio del Mof a gennaio) molte scuole da quest'anno hanno utilizzato i contributi volontari dei genitori; questo apre ad uno scenario per cui, dall'anno prossimo, le scuole all'interno di contesti sociali più favorevoli in cui i genitori possono permettersi di versare contributi consistenti, manterranno un'offerta formativa ricca e plurale, le altre dovranno -come già sta accadendo- man mano rinunciare a tutti i progetti attualmente previsti dal Pof, e si andrà nuovamente verso una polarizzazione tra scuole di serie A e scuole di serie B: a questo stiamo tornando! − E gli stessi problemi derivanti dal dimezzamento del Fondo rischiano di riproporsi “a cascata” sulla scuola dell'infanzia comunale, già afflitta negli ultimi anni da una duplice sofferenza: il progressivo aumento della popolazione scolastica superiore a quello degli altri ordini di scuola, e un precariato tra le insegnanti che ha superato il 30%. Proprio in questo caso, ci siamo trovati di fronte al paradosso di un Comune che non poteva assumere le proprie insegnanti non per problemi finanziari, ma per via dei vincoli assunzionali per gli enti pubblici derivanti dal patto di stabilità. Come Flc Cgil abbiamo sempre sostenuto che qualunque soluzione dovesse garantire, da un lato, la stabilizzazione delle lavoratrici, dall'altro, che la scuola dell'infanzia comunale di Bologna dovesse restare scuola pubblica, e proprio per evitare rischi abbiamo insistito insieme alla Cgil per prorogare i contratti a TD delle insegnanti e poter agire in un contesto di maggiore certezza normativa. Per questo, oggi non possiamo che essere soddisfatti della proposta dell'Istituzione -che fin dall'inizio avevamo individuato come la soluzione migliore- ma che in ogni caso dovrà innanzitutto prevedere l'assunzione delle 140 circa precarie annuali, con il mantenimento del Ccnl scuola (su cui abbiamo da poco vinto una battaglia legale a Verona) e meccanismi di gestione che consentano la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. − L'Università di Bologna invece, vive oggi gli effetti dell'attuazione della riforma Gelmini. In primo luogo, la riduzione della democrazia in Ateneo con una concentrazione di poteri sulla figura del Rettore e sul CdA, di cui noi continuiamo a chiedere l'eleggibilità innanzitutto a coloro che si candideranno il prossimo anno al soglio rettorale, forti anche del risultato del referendum che promuovemmo sul nuovo Statuto a cui hanno partecipato oltre 2.300 lavoratori tra docenti, ricercatori e personale ta esprimendosi per il 90% a favore di tale opzione, oltre che delle sentenze di numerosi Tar. Intanto, almeno due generazioni di ricercatori precari rischiano oggi la definitiva espulsione dal mondo accademico per mancanza di risorse, un turn over ancora bloccato al 50%, un meccanismo di ASN che ha dimostrato tutta la sua fallacia e che già si discute di riformare drasticamente e l'assurda introduzione di ben 2 figure di ricercatore a TD (in aggiunta alle forme contrattuali già esistenti) che dovrebbero costituire una tenure track e che all'oggi constano di numeri ridicoli (Bologna è l'Ateneo in Italia che ha bandito il maggior numero di ricercatori a tempo determinato in proporzione al personale e nonostante ciò, dal 2011 al 2014, abbiamo solo 164 RTDA e 20 RTDB, a fronte di 3.073 tra assegnisti e contrattisti). E infine la riorganizzazione, imposta dalla L 240, che invece di semplificare ha in molti casi allungato le filiere decisionali, moltiplicato le posizioni organizzative e creato confusione e scompiglio tra il personale. - L’assenza di un piano strategico nazionale per la ricerca e la confusione continua sul riassetto istituzionale e la definizione della mission degli Enti (resta emblematico il caso dell’ENEA), assieme alle fragilità del nostro sistema delle imprese, non ha favorito un rapporto solido della ricerca con il territorio. Mentre la ricerca di base langue a causa dei tagli e abbiamo un immenso patrimonio scientifico sottoutilizzato, il progetto del Tecnopolo (oggi teoricamente più che mai strategico), già presente nel PRG '85-'89, ancora non accenna a decollare per l'incertezza sulle risorse, e siamo enormemente in ritardo sull'agenda digitale e, soprattutto, sui progetti e le iniziative per la riconversione in smart city di Bologna. - Accenno soltanto al cronico stato di crisi dell’AFAM, di cui ancora non riusciamo ad ottenere la piena parificazione con il sistema universitario e l'emanazione del regolamento sulla programmazione e il reclutamento di docenti e Ata; e al sistema della formazione professionale, che proprio a Bologna rappresenta storicamente una risorsa strategica per lo sviluppo sociale ed economico del territorio, e che oggi vive una crisi profonda, che vede la dismissione e la chiusura di interi enti e nessuna strategia complessiva di rilancio, sebbene -va detto- grazie al nostro impegno costante come Flc, siamo finora riusciti a non perdere nemmeno un posto di lavoro con lo strumento della mobilità interna. Quali direttrici di lavoro dovremo darci per i prossimi anni sarà innanzitutto questa assemblea congressuale ed il documento politico finale a doverlo dire, io vorrei qui ricordare solo alcune delle questioni fondamentali su cui dovrebbe muoversi la nostra iniziativa, già in buona parte contenute nel documento congressuale della Cgil ed emerse nelle assemblee: Prima di tutto il lavoro e la necessità di creare nuovo lavoro e occupazione. Anche sul nostro territorio, questa è e deve essere la priorità, insieme alla stabilizzazione dei troppi precari presenti nei nostri settori, perché buona parte della qualità del sistema pubblico dell’istruzione e della ricerca e i destini delle nuove generazioni dipendono da questo. In secondo luogo il contratto. Come viene giustamente detto nel documento “Il lavoro decide il futuro” il rinnovo dei contratti del pubblico impiego è un obiettivo prioritario per tutta l'Organizzazione, e su questo noi riteniamo si debba anche mettere in cantiere uno sciopero generale dei settori pubblici. Infatti, la situazione è ormai insostenibile, innanzitutto per le nostre Rsu, con un contratto bloccato da 5 anni, che sempre di più è uno strumento invecchiato non aderente a una realtà profondamente mutata, e per giunta continuamente delegittimato da interventi legislativi che mirano a modificarlo e smantellarlo (e a volte purtroppo ci riescono, come Brunetta sull'organizzazione del lavoro e la malattia, o Monti sulle ferie). In terzo luogo, la chiave per la creazione di nuova e stabile occupazione non può che essere l'innovazione del sistema, e quindi l'investimento in istruzione, formazione e ricerca. Il reinvestimento nei nostri settori è un passaggio fondamentale per il rilancio del paese e l'uscita dalla crisi, perchè non solo è lì che si formano i futuri cittadini, ma perchè è investendo nei nostri settori che può generarsi un moltiplicatore di ricchezza a beneficio del sistema produttivo e della società tutta. Non è inoltre più rinviabile una riforma del welfare, a carattere universalistico ed inclusivo, che non solo estenda alcune protezioni sociali anche a chi lavora con forme contrattuali diverse dal contratto di lavoro dipendente, ma che sia in grado di legare, anche in questo paese, le politiche di welfare a politiche attive di primo inserimento o reinserimento al lavoro. Come Flc Cgil abbiamo sostenuto l'emendamento all'azione “Inclusione sociale” per l'introduzione di un reddito minimo garantito anche in Italia, come negli altri paesi europei, con queste caratteristiche e non in alternativa al “lavoro di cittadinanza”, ma anzi, per rendere i lavoratori meno ricattabili e facilitare il loro inserimento al lavoro, anche perchè riteniamo questa discussione non più rinviabile, tanto più essendo l'argomento ormai all'ordine del giorno del dibattito pubblico. Infine, recuperare efficacia significa anche -e forse innanzitutto- fare una battaglia in primo luogo culturale per la rimessa al centro di alcuni valori costituzionali (primo fra tutti il lavoro, ma anche il diritto all'istruzione) che in quest'ultimo ventennio sono stati soppiantati da quell'immaginario che per amor di brevità definisco qui “berlusconiano” e neoliberista, che ne ha fatto scempio e che ci fa dire che la nostra sconfitta è stata in questi anni innanzitutto una sconfitta culturale, per cui oggi è necessario ricostruire un vero e proprio vocabolario e un immaginario collettivo del lavoro e del sindacato. Per questo è fondamentale e abbiamo fatto bene a combattere alcune battaglie come quelle che abbiamo combattuto e stiamo combattendo in difesa della Costituzione, contro il femminicidio e per la dignità di genere o a sostegno dei principi alla base del referendum promosso dal Comitato art 33 per il diritto alla scuola pubblica per tutti. E se ragioniamo -e vogliamo ragionare- sull'efficacia, fondamentali sono, oltre ai contenuti e alla chiarezza degli obiettivi, anche i metodi e gli strumenti di cui ci si dota. Il Congresso è l'occasione fondamentale anche per discutere di metodi e strumenti. Innanzitutto gli strumenti di mobilitazione: dobbiamo continuare sulla strada dell'innovazione e della ricerca di volta in volta degli strumenti di mobilitazione più efficaci. Lo sciopero resta per noi lo strumento principe di lotta, ma proprio per questo va utilizzato con intelligenza, altrimenti l'effetto è quello di un suo depotenziamento. La pratica concreta e quotidiana ci ha dimostrato come a volte altri strumenti, sempre se ben utilizzati, possano avere un'efficacia maggiore, e penso all'astensione dalle attività aggiuntive e non dovute, come nel caso dell'astensione dalla didattica dei ricercatori universitari contro la legge Gelmini, o l'astensione dalle attività aggiuntive lo scorso anno nelle scuole, che ci ha fatto vincere la battaglia contro l'aumento dell'orario di didattica frontale e l'ex Aprea; o ancora penso ai flash mob, come la Notte della ricerca con i ricercatori precari dell'Università o in Rettorato con i palloncini con i precari ta. In secondo luogo, come categoria noi abbiamo la fortuna di avere uno strumento fondamentale di presidio dei luoghi di lavoro e del territorio, di contrattazione e di mobilitazione: una rete di Rsu diffusa in tutti i nostri comparti, che dobbiamo continuare a valorizzare e rendere sempre più protagonista e centrale nella nostra iniziativa, e anche per questo non è più rinviabile il rinnovo dei Ccnl. Vanno poi ulteriormente valorizzati e promossi i Comitati degli iscritti (e, a partire da questo Congresso, nasceranno finalmente anche i Comitati degli iscritti scuola divisi per zona, come spazi fondamentali di discussione, confronto e proposta) e i Coordinamenti dei precari, che la Flc Cgil ha avuto la lungimiranza di attivare come organi statutari fin dallo scorso Congresso. Infine, va intensificato l'uso dei nuovi strumenti di comunicazione, proseguendo sulla strada che abbiamo cercato di seguire negli ultimi due anni, per cui finalmente posso affermare che la Flc Cgil di Bologna ha una pagina fb e un sito ottimamente funzionanti, grazie tra l'altro al lavoro di Daniela Montorsi, un'assistente tecnica precaria che vorrei qui ringraziare pubblicamente. Per fare tutto questo, le nostre stelle polari devono continuare ad essere: la confederalità, come elemento inscritto nel Dna stesso della Federazione dei lavoratori della conoscenza, sia perchè il futuro dei nostri settori è legato a doppio filo al futuro del paese; sia perchè solo avvalendoci del patrimonio di valori, di esperienza e della forza di tutta l'organizzazione possiamo sperare di vincere le sfide che abbiamo di fronte a noi. Allo stesso tempo, la storia e lo specifico della nostra categoria, così come il profilo unitario della sua gestione credo rappresentino da sempre un valore aggiunto per tutta la confederazione. L'autonomia. Dobbiamo continuare sulla strada fin qui praticata (da ultimo nella vicenda delle scuole dell'infanzia comunali e dei nidi), della coerenza e della fermezza rispetto alla non negoziabilità dei nostri principi fondamentali di fronte alla politica, alle istituzioni e ai datori di lavoro, avendo come unico elemento di condizionamento le proposte, le idee, i giudizi e gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. E ultima ma non ultima la democrazia, intesa come la capacità di mettere in campo la massima collegialità, partecipazione e inclusione nella costruzione delle scelte, delle strategie e delle iniziative da mettere in campo. Oggi abbiamo un problema di deficit democratico enorme nel paese, che va dal Governo nazionale (per cui siamo di fronte all'ennesimo Governo non eletto, con inoltre tutte le preoccupazioni che il cambio di Governo ci comporta rispetto alle questioni che con il precedente Governo avevamo in sospeso -dalle posizioni economiche degli Ata, al Mof, dalla retribuzione di risultato dei DS alle modifiche all'ASN- e su cui ora bisogna ricominciare da capo) fino al deficit di democrazia sui posti di lavoro (e su questo la vicenda dei metalmeccanici in Fiat è paradigmatica). In questa situazione, come Flc Cgil e come Cgil tutta dobbiamo valorizzare e far funzionare al meglio gli strumenti democratici di cui disponiamo e rendere il voto dei lavoratori requisito sempre indispensabile per la validità degli accordi e dei contratti, innanzitutto nel privato ma anche nel pubblico. Dobbiamo fare in modo che le persone possano decidere e contare. La Flc Cgil è una struttura piccola, se rapportata ad altre categorie, che era in sofferenza finanziaria seria e che negli ultimi due anni ha avuto un radicale ricambio del suo gruppo dirigente (gruppo dirigente, che che approfitto per ringraziare nella sua totalità per il lavoro svolto). Nonostante questo, e nonostante sia ancora molta la strada da fare e molti i miglioramenti conseguibili, gli iscritti sono costantemente aumentati per quanto riguarda le deleghe e siamo riusciti a fidelizzare una buona parte dei precari con tessera diretta; le finanze, con sacrifici anche molto dolorosi, sono state risanate e ora finalmente il bilancio è sano e in pareggio. Abbiamo vinto le elezioni Rsu del 2012 in tutti i comparti e anche le suppletive di quest'anno nel comparto scuola. Abbiamo lavorato duro tutti e tutte insieme, e il Congresso è il momento delle critiche e delle autocritiche, ma anche di riconoscere i risultati raggiunti. Vorrei chiudere citando la frase che abbiamo utilizzato quest'anno per il manifesto di inizio anno scolastico distribuito alle scuole. E' la famosa frase pronunciata all'Onu da Malala Yousafzai, la studentessa pakistana che nel 2012, all'età di 14 anni, è stata gravemente ferita tornando da scuola da un gruppo di talebani pakistani che l'aveva condannata a morte per le cose che scriveva sul celebre blog da lei curato per la BBC sui diritti delle donne, tra cui il diritto all'istruzione: “Un bambino, un insegnante, una penna, un libro possono cambiare il mondo”. Io credo che queste parole, e il coraggio di questa ragazza, di questa studentessa, non debbano mai farci dimenticare quanto il nostro lavoro di istruzione, formazione, ricerca, sia importante per il futuro del nostro Paese e per il futuro in generale. L'ignoranza è lo strumento di dominio dei popoli e delle coscienze e la conoscenza è elemento fondamentale di liberazione e di trasformazione dello stato di cose presenti. E nessuna Gelmini, nessun Brunetta, nessun Profumo devono farci perdere questa consapevolezza e cedere alla rassegnazione!
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