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Rassegna Stampa del 05/03/2014
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INDICE
CONFIMI
05/03/2014 Corriere della Sera - Bergamo
La Popolare passa a Frigeri Zanetti lascia dopo 28 anni
5
04/03/2014 Il Giornale del Piemonte
I certificati «bianchi» per chi effettua interventi di efficienza energetica
7
05/03/2014 La Provincia di Cremona - Nazionale
Il lavoro di cui c'è bisogno
8
CONFIMI WEB
05/03/2014 www.italiaoggi.it
Casa, riqualificare gli immobili obsoleti
10
04/03/2014 www.agenparl.it 14:07
CASA: ANIEM, MISURE CONDIVISIBILI NEL "DECRETO LUPI" SU EMERGENZA
11
SCENARIO ECONOMIA
05/03/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Il tesoro di Cupertino custodito da un italiano
13
05/03/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I marchi del lusso e le opzioni di Fca per rafforzare il capitale
15
05/03/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Pagamenti alle imprese, l'Europa non fa sconti
16
05/03/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Tasi, le chiese sono esentate Padoan: possiamo riformare l'Italia
18
05/03/2014 Il Sole 24 Ore
Marchionne: da ottobre quotazione a Wall Street
20
05/03/2014 Il Sole 24 Ore
Apple affida a un italiano un tesoro da 160 miliardi
22
05/03/2014 Il Sole 24 Ore
Non contiamo solo sul «grande fratello» Bce
23
05/03/2014 Il Sole 24 Ore
Ue, nuovo richiamo all'Italia
25
05/03/2014 La Repubblica - Nazionale
Adesso non sprecate quei soldi per i giovani
27
05/03/2014 La Repubblica - Nazionale
Che ci fa il miliardario Soros a braccetto con le coop rosse
29
05/03/2014 La Repubblica - Nazionale
Ora Fiat scommette sull'Italia "Ecco i 5 modelli per ripartire"
31
05/03/2014 La Stampa - Nazionale
Marchionne: Fiat sostiene governabilità e stabilità
33
05/03/2014 La Stampa - Nazionale
"Competitività, fate troppo poco"
35
05/03/2014 La Stampa - Nazionale
CONDANNATI A CAMBIARE
36
05/03/2014 La Stampa - Nazionale
Innovazione, l'Italia resta al palo Si salvano Emilia, Piemonte e Friuli
37
05/03/2014 Il Messaggero - Nazionale
La cassaforte della Apple a un italiano
39
05/03/2014 Il Giornale - Nazionale
Tasi, aumenti confermati E la Chiesa non pagherà
40
05/03/2014 MF - Nazionale
Ecco in quali casi conviene davvero presentare la voluntary disclosure
41
05/03/2014 MF - Nazionale
Per l'occupazione si punti sui nuovi settori
42
SCENARIO PMI
Il capitolo non contiene articoli
CONFIMI
3 articoli
05/03/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La Popolare passa a Frigeri Zanetti lascia dopo 28 anni
Designato il nuovo presidente. Cda rinnovato per un terzo Debutti Con Frigeri entrano Matteo Zanetti, Angelo
Radici, Riccardo Cagnoni ed Ercole Galizzi Quote rosa Resta una sola donna, la confermata Cristina
Bombassei. Assemblea nomine a fine aprile
Donatella Tiraboschi
Alla fine saranno stati 28 anni e 9 mesi quelli trascorsi da Emilio Zanetti alla presidenza della Banca Popolare
di Bergamo. Tanti, ma non un record, perché per metterla in chiave sportiva, sul gradino più alto, resta il suo
predecessore Lorenzo Suardi con trent'anni tondi di comando e una carta d'identità che il giorno dell'addio
segnava tre anni in più: 85 gli anni di Suardi contro gli 82 di Emilio Zanetti, acclamato presidente il 1° luglio
del 1985. L'uscita avverrà con l'assemblea di fine aprile, ma ieri è stato designato il suo successore con il
«placet» da parte del Consiglio di sorveglianza di Ubi Banca. Il parere ( e il gradimento) espresso dall'organo
che detta la linea del gruppo su una banca controllata al 100%, è «legge», anche se le nomine adesso
devono tornare per l'ultimo imprimatur al Consiglio di gestione.
L'introduzione del limite di età per i consiglieri della capogruppo (75 anni) ha di fatto, messo fuori gioco il
presidentissimo Zanetti. Alla guida della Popolare, per il prossimo triennio, è stato indicato Giorgio Frigeri,
un'investitura nel segno della continuità «istituzionale», una soluzione interna sulla quale è stata trovata una
convergenza e un gradimento trasversale. Frigeri, che si sente per il momento solo un presidente «in
pectore», ha preferito, ieri, rimandare a tempi debiti ogni commento: «Già sono un tipo che non parla molto,
di parole ne dico poche in circostanze normali, ma le dirò quando sarà il momento». Insomma, con la tipica
prudenza e riservatezza del ruolo (bancario), ma anche per un comprensibile rispetto nei confronti del
predecessore il nuovo numero uno ha dribblato ogni esternazione. Il futuro presidente è anche vice
presidente del Consiglio di gestione di Ubi Banca; tra i due ruoli non c'è incompatibilità (lo stesso Zanetti è
stato contemporaneamente presidente della Popolare e del consiglio di gestione di Ubi, fino all'anno scorso),
ma potrebbe essere deciso un passo indietro per evitare un cumulo di incarichi.
Il risiko delle poltrone del gioiello di Ubi Banca, si profila così tra conferme e novità. Il numero dei consiglieri
è sceso da 15 a 13, dato che i dimissionari degli ultimi mesi Giulio Pandini e Mario Comana, attualmente nel
cda di Veneto Banca, non sono più stati rimpiazzati. Nel segno di una continuità famigliare, c'è il nuovo
ingresso di Matteo Zanetti, che migra dal cda della Commercio e Industria dove siedeva dall'anno scorso.
Classe 1964, laurea in Economia e Commercio, dottore commercialista, è a capo della Zanetti spa, l'azienda
casearia di famiglia, con significative esperienze di rappresentanza in diverse associazioni di categoria, oggi
confermate nei ruoli di vice presidente della Camera di Commercio e di Confindustria. Con Matteo, la saga
degli Zanetti, cominciata con il nonno Guido, presidente dal 1933 al '51 e dal '52 al '55, (interrotta dalla
presidenza di Luigi Agliardi) giunge così alla terza generazione, in una prospettiva - neanche troppo remota di successione famigliare: tra tre anni Frigeri avrà superato il limite d'età e Zanetti Jr potrà vantare nel
frattempo una maggiore esperienza bancaria. Due nuovi ingressi sono di provenienza (conf)industriale:
Ercole Galizzi e Angelo Radici. Il primo, 50 anni, amministratore delegato della Argomm spa di Villongo
(multinazionale della gomma, 450 dipendenti, 52 milioni di euro nel 2012) è da giugno presidente di
Confindustria Bergamo, dopo aver ricoperto diversi incarichi come giovane imprenditore. Il secondo,
primogenito di Gianni Radici e consuocero del presidente dell'Atalanta Antonio Percassi (Luca Percassi,
l'amministratore delegato nerazzurro, ha sposato la figlia di Angelo, Cristina), è il presidente del RadiciGroup
(chimica, materie plastiche, fibre) e, dall'aprile 2010, è il numero uno anche di Teleradiodiffusioni
Bergamasca, società che edita le testate Bergamo Tv e Radio Alta. Nuovo, ma non troppo, dal momento che
aveva ricoperto il ruolo di vice coordinatore del Comitato Bergamo Popolare, nonché attuale vice presidente
dell'Associazione Amici di Ubi, è Riccardo Cagnoni, commercialista e sindaco di Vertova. Otto le conferme
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/03/2014
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05/03/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Marino Augusto Vago, Cristina Bombassei (unica quota rosa), Paolo Agnelli, Giuseppe Guerini, Paolo Alberto
Lamberti e Stefano Gianotti. Alla vice presidenza si confermano Guido Lupini e Antonio Bulgheroni. Uscita di
scena, infine, per Mauro Bagini, Francesco Lechi e Raffaele Rizzardi. Per altri lidi, Commercio e Industria, e
con altri incarichi, presidenziali, Alberto Barcella.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I salotti dell'economia Il nuovo Cda GIORGIO FRIGERI presidente (nuovo) Paolo Agnelli Cristina Bombassei
Antonio Bulgheroni Riccardo Cagnoni (nuovo) Ercole Galizzi (nuovo) Angelo Radici (nuovo) Matteo Zanetti
(nuovo) Stefano Gianotti Giuseppe Guerini Paolo Alberto Lamberti Guido Lupini Marino Augusto Vago In
uscita Mauro Bagini Alberto Barcella Francesco Lechi Raffaele Rizzardi Emilio Zanetti I PRESIDENTI DELLA
BANCA POPOLARE DI BERGAMO Cesare Ginoulhiac (1869-1879) Vladimiro Beretta (1889-1898) Attilio
Rota (1906-1913) Guido Zanetti (1933-1951) Guido Zanetti (1952-1955) Emilio Zanetti (1985-2014) Giorgio
Frigeri (2014-...) Lorenzo Limonta (1880-1888) Giovanni Morali (1899-1905) Arrigo Fuzier (1914-1933) Luigi
Agliardi (1951-1952) Lorenzo Suardi (1955-1985)
Chi è
In banca da 55 anni
Giorgio Frigeri (foto sopra), nato a Bergamo il 15 aprile 1941, laureato in Economia e Commercio, è entrato
alla Banca Popolare di Bergamo nel 1959. Con incarichi crescenti è stato direttore generale dal 1992 fino al
2000. Quindi consigliere di amministratore e membro del Comitato Esecutivo dal 2000, per poi diventare
consigliere e membro del comitato Esecutivo dal 2003 di Bpu. È stato presidente di Ubi Pramerica, di
Centrobanca Sviluppo Impresa Sgr, di IW Bank e della Spm; vicepresidente di Centrobanca e della
Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa; consigliere di B@nca 24-7 e UBI Sistemi e Servizi.
Attualmente è vice presidente del Consiglio di gestione di UBI Banca.
E' stato presidente dell'Opera Pia Bonomelli e consigliere del Gruppo editoriale Sesaab. Attualmente è
presidente dell'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero.
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/03/2014
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04/03/2014
Il Giornale del Piemonte
Pag. 9
(diffusione:12684, tiratura:39829)
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Appuntamento per le pmi
I certificati «bianchi» per chi effettua interventi di efficienza energetica
Si chiama «Energie per fare impresa: I Certificati Bianchi per finanziare l'Efficienza Energetica - Gli Strumenti
i vantaggi» l'appuntamento fissato per oggi (con orario dalle 9,30 alle 13) presso il Centro Congressi Torino
Incontra di via Nino Costa 8, in sala Giolitti. L'incontro sarà l'occasione per illustrare con dovizia di particolari il
meccanismo dei Certificati Bianchi, noti anche come «Titoli di Efficienza Energetica» (TEE). Si tratta di
strumenti che consentono di ottenere - a fronte di interventi in ambito aziendale volti all'aumento di efficienza
energetica - un contributo economico con cui coprire in larga parte le spese di realizzazione dell'intervento
stesso. I Certificati bianchi costituiscono dunque uno strumento con cui poter finanziare interventi di efficienza
energetica in qualunque contesto: industria, edilizia, terziario, trasporti ed agricoltura. Ma il meccanismo è
complesso e poco conosciuto. Organizzano Api Torino-Confimi, Confimi Impresa Piemonte, Collegio Edile
Api Torino e JPE2010 ESCo.
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/03/2014
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05/03/2014
La Provincia di Cremona - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:22748, tiratura:28110)
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L'incontro. Domani la presentazione della ricerca Crisp-Università Bicocca
Il lavoro di cui c'è bisogno
Nel 2013 il tasso di disoccupazione in provincia di Cremona è salito all'8,8%, due punti in più rispetto al tasso
del 2012 che era pari al 6,8%. La provincia di Cremona presenta così il terzo peggior risultato della Lomb a r
d i a , d o p o M a n t o v a (9,1%) e Lodi (9%). Questa, in estrema sintesi, è la situazione occupazionale
rappresentata dai dati sulle forze lavoro resi noti dall'Istat venerdì 28 febbraio. Preoccupante è anche il dato
sulla disoccupazione giovanile: i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 24 anni che cercano lavoro sono pari al
37,4 %, un dato di 10 punti superiore a quello del 2012 e triplo rispetto agli anni precedenti la crisi. Anche il
tasso di mancata partecipazione (così l'Istat definisce il tasso che misura le persone che hanno abbandonato
la ricerca di un posto di lavoro) è aumentato al 14,7% collocando Cremona al primo posto a livello regionale.
Considerata la situazione occupazionale particolarmente difficile della nostra provincia, risulta quanto mai
interessante lo studio che verrà presentato domani alle 14,30, presso la Ster in via Dante 136, nel quale
vengono analizzate le figure professionali che sono più richieste (o, al contrario; meno richieste) dai datori di
lavoro cremonesi. Si tratta di uno studio realizzato dal Crisp/Università Bicocca di Milano per conto della
Provincia che contiene informazioni preziose per i disoccupati in cerca di un lavoro o per coloro che vogliono
scegliere un perc o r s o p r o f e s s i o n a l e c o n qualche probabilità di esito positivo. In scaletta,
l'introduzione di Enrica Gennari ( d i r i g e nte dello Ster) e dell'a s s e s s ore provinciale ad istruzione,
formazione e lavoro, Paola O r in i . Quindi le relazioni del dirigente provinciale Dario Rech ('L'impo rtanza
della conoscenza delle figure professionali'), delle ricercatrici di Crisp-Milano Bicocca Claudia Graziani e
Gloria Ronzoni ('Lo stato di salute delle figure professionali nel territorio provinciale'), e di Enrica Marchiò : la
responsabile del Servizio provinciale politiche del lavoro farà il punto sulle figure professionali richieste al
Servizio di incontro fra domanda e offerta di lavoro dei Centri per l'impiego della Provincia. Previsti anche gli
interventi di Stefano Allegri (presidente del Gruppo Giovani Industriali), Marco Cav a ll i (Cna), Paola Daina (
ApIndustria Cremona), e di un rappresentante di Cgil, Cisl e Uil. Conclusioni affidate all'assessore Orini .
Insomma l'emergenza lavoro continua e non perde terreno, in barba a chi si ostina a considerare finita la crisi
economica; di questo e di altro si parlerà nel seminario.
Foto: Un corteo di protesta di lavoratori L'emergenza occupazione continua a farsi sentire Domani
presentazione di uno studio realizzato da Crisp Università Bicocca
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/03/2014
8
CONFIMI WEB
2 articoli
05/03/2014
www.italiaoggi.it
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Luci ed ombre secondo Aniem, (Associazione nazionale imprese edili manifatturiere aderente a Confimi
Impresa) nelle anticipazioni dei contenuti del decreto legge sull'emergenza casa che dovrebbe essere
presentato nel prossimo consiglio dei ministri. Secondo Alessandro Frascarolo, delegato nazionale [...]
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 05/03/2014
10
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Casa, riqualificare gli immobili obsoleti
04/03/2014
14:07
www.agenparl.it
Sito Web
pagerank: 5
(AGENPARL) - Roma, 04 mar - Luci ed ombre secondo Aniem - Associazione Nazionale Imprese Edili
Manifatturiere aderente a Confimi Impresa - nelle anticipazioni dei contenuti del decreto legge sull'emergenza
casa che dovrebbe essere presentato nel prossimo Consiglio dei Ministri. Secondo Alessandro Frascarolo,
delegato nazionale Aniem per edilizia privata ed urbanistica, "il provvedimento prevede certamente misure
condivisibili per fronteggiare l'emergenza abitativa; in particolare, valutiamo positivamente metodi come il rent
to buy che possono ampliare gli spazi del mercato immobiliare, creando nuove opportunità per quelle famiglie
che non sono in possesso di una casa di proprietà. Sarà tuttavia importante - continua Frascarolo - non
introdurre ulteriori oneri per i proprietari e definire una disciplina fiscale certa e chiara anche per l'Agenzia
delle Entrate. Naturalmente appaiono apprezzabili anche le disposizioni sui fondi a disposizione della
manutenzione straordinaria degli alloggi Iacp, degli affitti, l'abbassamento della cedolare secca al 10% per i
canoni concordati. Manca però il coraggio di cambiare marcia, di delineare una strategia di politica industriale
capace di innovare e di creare le condizioni per un rilancio strutturale dell'edilizia, al di là delle motivazioni
emergenziali. Il tema casa non si risolve se non sosteniamo ed incentiviamo una seria azione di
riqualificazione, fondata sulla sostituzione di quel patrimonio immobiliare obsoleto, insicuro, energivoro,
degradato, irrecuperabile. Demolire e ricostruire senza consumare nuovo territorio, - conclude Frascarolo creando condizioni sociali, ambientali ed economiche sostenibili e dignitose anche per le generazioni future.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 05/03/2014
11
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CASA: ANIEM, MISURE CONDIVISIBILI NEL "DECRETO LUPI" SU
EMERGENZA
SCENARIO ECONOMIA
19 articoli
05/03/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il tesoro di Cupertino custodito da un italiano
Massimo Gaggi
Il servizio a pagina 27
NEW YORK - Dalla Luiss, l'università privata romana che non è certo nella «hit parade» delle accademie più
prestigiose del mondo, ad uno dei mestieri più ambiti e influenti che si possano immaginare: la gestione dei
160 miliardi di dollari di liquidità della Apple. Quando ha cominciato a circolare ieri mattina la notizia che sarà
Luca Maestri, 50 anni, romano, il successore di Peter Oppenheimer sulla poltrona di direttore finanziario (Cfo,
«Chief financial officer» nella dizione anglosassone) del gruppo fondato da Steve Jobs, la sorpresa è stata
grande.
Per i media americani, certo, ma anche da noi perché Maestri, improvvisamente proiettato in uno degli
incarichi di maggiore importanza economica al mondo, è un personaggio sostanzialmente sconosciuto in
Italia: uno di quei «cervelli d'esportazione» con una carriera molto brillante, ma tutta vissuta lontano dal
nostro Paese, nei quali non è ormai infrequente imbattersi in giro per il mondo. Dopo la laurea a Roma,
master a Boston. Poi, per Maestri, sono arrivati incarichi importanti in Xerox, General Motors, dove è rimasto
quasi vent'anni (fu responsabile fino al 2005 della joint venture Fiat-GM da parte americana), Nokia e
Siemens. Prima di arrivare un anno fa alla Apple, ha sempre lavorato all'estero in sette diversi Paesi, dalla
Cina agli Usa, passando per la Thailandia e il Brasile.
Ieri il capo di Apple, Tim Cook, ha spento sul nascere la caccia dei media a retroscena più o meno succosi o
cruenti. Nessuna congiura di palazzo: quando è stato «scelto e assunto un anno fa» ha detto Cook, «già
sapevamo che Luca, che ha 25 anni di esperienza sui mercati globali e nella gestione finanziaria, sarebbe
presto diventato il Cfo di Apple». Oppenheimer, ha aggiunto il capo del gruppo di Cupertino, «va via per suoi
motivi personali dopo una gestione di grande successo: nei dieci anni nei quali è stato capo della nostra
finanza l'azienda è passata da 8 a 171 miliardi di dollari di fatturato».
Nulla a che vedere con gli esodi precedenti, dopo la scomparsa di Jobs: Ron Johnson, che se ne andò a
guidare il gruppo Target, o Scott Forstall, il capo del software iOS, che fu praticamente messo alla porta nella
riorganizzazione del 2012, dopo molti scontri interni. Oppenheimer, dice Cook, è «un mio amico personale» e
ha fatto benissimo non solo come Cfo ma anche in attività che vanno al di là delle sue competenze aziendali:
è lui che ha scelto di andare via. Si ritira a vita privata, non passa a un'altra azienda.
Eppure Oppenheimer ha appena 51 anni, solo uno più di Maestri. La spiegazione la dà lo stesso
Oppenheimer: dopo 18 anni in Apple, 10 dei quali molti intensi, sulla poltrona di Cfo, «ho deciso di andare a
vivere sulla costa della California centrale dedicandomi di più alla famiglia a Cal Poly, l'università nella quale
mi sono formato, e a viaggiare nei luoghi più interessanti del mondo. E poi c'è un'altra cosa a cui tengo:
finalmente riuscirò a conseguire il brevetto di pilotaggio che inseguo da anni».
Non sembra una messinscena: Luca Maestri effettivamente è stato affiancato da un anno ad Oppenheimer
come vicepresidente di Apple per la finanza e «corporate controller». Ora comincerà a subentrare ad
Oppenheimer a giugno con un graduale trasferimento delle competenze che andrà avanti per tutta l'estate in
un anno che si delinea finanziariamente molto delicato per la Apple: la società, a lungo incalzata da alcuni
«azionisti attivisti» come Carl Icahn che chiedono una distribuzione delle riserve accumulate dal gruppo, si è
impegnata ad effettuare entro fine anno un «buy back» (riacquisto di azioni proprie) di ben 30 miliardi di
dollari. Il direttore finanziario uscente resterà a fianco di Maestri fino a fine settembre, poi si dedicherà alla
scuola di pilotaggio. E anche Luca dovrà imparare a volare da solo.
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Chi è
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Apple
05/03/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le origini
Luca Maestri (nella foto sotto ), romano di 50 anni, si è laureato in Economia alla Luiss e ha conseguito un
master in Scienze del management all'Università di Boston
La carriera
Maestri ha iniziato la propria carriera in General Motors, dove ha ricoperto diversi ruoli, incluso il Chief
financial officer (Cfo) del team che ha ristrutturato le operazioni in Brasile e Argentina e Cfo delle operazioni
del gruppo in Europa. Stesso ruolo anche in Nokia Siemens Networks e Xerox
A Cupertino
Nel 2013 Maestri è entrato in Apple: assumerà l'incarico di capo del settore finanziario di Apple al posto di
Peter Oppenheimer, che andrà in pensione in settembre dopo 18 anni a Cupertino
80 Mila quanti erano i dipendenti di Apple alla fine dell'anno scorso. A metà del 2013 il numero dei negozi
della mela morsicata erano 406 Le aziende soprattutto di piccole dimensioni che sono state acquistare dalla
società fondata da Steve Jobs negli ultimi quindici mesi
20 Mila quanti erano i dipendenti di Apple alla fine dell'anno scorso. A metà del 2013 il numero dei negozi
della mela morsicata erano 406 Le aziende soprattutto di piccole dimensioni che sono state acquistare dalla
società fondata da Steve Jobs negli ultimi quindici mesi
05/03/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
RAFFAELLA POLATO
E alla fine una sorpresa c'è. Sempre nel campo delle «ipotesi». Sempre tra quelle (più d'una) che Sergio
Marchionne mette sul tavolo delle «opzioni possibili». Ma sin qui, quando parlava delle strade per rafforzare il
capitale di Fiat Chrysler, l'amministratore delegato escludeva soltanto l'aumento e includeva solo - almeno
apertamente - un eventuale prestito convertendo e/o un collocamento del gioiello Ferrari. Ora sulla via della
Borsa, o comunque dell'apertura a nuovi soci, Maranello trova compagnia. Maserati entra ufficialmente nel
«listino» di quel che può portare a Fca le risorse necessarie a irrobustirne la struttura finanziaria.
Certo, la decisione definitiva non c'è ancora. E nemmeno ci sarà domani.Sulle famose «possibili opzioni» il
punto Marchionne lo farà davanti agli investitori internazionali, ma alla prima occasione in calendario non
andrà molto oltre: «Non saranno nel piano industriale» che presenterà a Detroit «intorno al 6 maggio». Né
arriveranno «prima della fusione». O della stessa quotazione di Fca a Wall Street. Com'è per molti aspetti
logico, probabile, indirettamente leggibile nelle dichiarazioni di Ginevra. Uno: per l'esordio a New York «sogno
sempre il primo ottobre», ma non cambierà granché se poi sarà «novembre, o dicembre». Due: se tutto resta
ancora nel campo delle opzioni, se «ho detto e confermo che non farei mai un aumento di capitale in questo
contesto, sarebbe una distruzione di valore», se invece «non ho mai confermato» quel convertendo che «è
solo un'ipotesi», non è evidentemente slegata dai tempi della quotazione l'agenda delle operazioni di
finanziamento. Quali che siano, alla fine, «se si faranno le realizzeremo nel quarto trimestre o direttamente
nel 2015».
C'è quindi tempo. E in quel «tempo» potrebbe spuntare Maserati. Magari non subito: a differenza di Ferrari,
che i conti record e la fila di corteggiatori li ha da anni, per il Tridente la risalita è appena incominciata. Ma
funziona, fin qui. Ed è logico, se il successo sarà confermato, che Marchionne la inserisca tra gli asset che
possono portare capitale. Oltre tutto: è qui, è in Maserati che si gioca la scommessa - prova del nove, però,
con l'Alfa Romeo - della «rivoluzione lusso». Può, l'amministratore delegato, rinunciare all'occasione - anche
solo d'immagine - di rilanciare alzando la posta alla Borsa o a nuovi soci?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
I marchi del lusso e le opzioni di Fca per rafforzare il capitale
05/03/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
L'esecutivo scrive a Bruxelles: ancora 30 giorni. Dopo il no, arriva la procedura d'infrazione Commissario Il
vicepresidente Ue Antonio Tajani: «L'Italia resta il peggior Paese pagatore d'Europa» Fitch Il piano per
sbloccare 60 miliardi di pagamenti potrebbe scalfire il rating della Cdp
Luigi Offeddu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES - Conto alla rovescia: il 10 marzo scadrà il termine entro cui lo Stato italiano dovrà giustificare
alla Commissione europea i 70-80 miliardi, c'è chi si spinge fino a 90, di debiti pregressi mai pagati alle sue
imprese private. Bruxelles attende una lettera di spiegazioni, l'unica che per ora potrebbe evitare la procedura
di infrazione. Ma invece di quella lettera, l'altro giorno ne è arrivata un'altra: l'Italia ha chiesto altri 30 giorni di
tempo per dare le sue spiegazioni, giustificandosi con l'entrata in carica del nuovo governo. La Commissione
europea ha risposto di no, ha negato la proroga.
Tutto questo lo dicono voci ufficiose ma insistenti, che rimbalzano da Roma a Bruxelles e viceversa. Se sono
vere - ma tutto fa pensare di sì - la procedura di infrazione diviene quasi automatica, e con essa le possibili
multe Ue che potrebbero costarci l'equivalente di un anno di imposta Imu.
Da Roma, il ministero dell'Economia si limita a sostenere che la risposta alle sollecitazioni provenienti da
Bruxelles è già pronta e sarà consegnata entro il termine, dunque entro il 10 marzo. Nessun commento
particolare sulla richiesta di proroga: ma il governo intende spiegare a Bruxelles che ridurrà i termini di
pagamento, secondo il dettato della direttiva Ue, grazie all'adozione della fatturazione elettronica per tutte le
amministrazioni centrali, e dal giugno 2015 anche per tutte le altre. Inoltre, sta lavorando perché venga
rispettato l'obbligo di registrare tutte le fatture, e si eviti così il fenomeno di quelle non emerse. Quando sarà il
momento Bruxelles ascolterà tutto ciò, naturalmente: «Ma l'Italia resta il peggior Paese pagatore dell'Europa ripete ancora una volta il vicepresidente della Commissione europea e commissario all'Industria Antonio
Tajani - contro i pagamenti al massimo in 30 giorni previsti dalla Ue, da noi la Pubblica amministrazione arriva
anche a 1.300 giorni. In più c'è il peso delle tasse. E tutto questo significa uccidere le imprese».
Sempre fonti del ministero dell'Economia anticipano che si darà conto «di come il governo (Letta) abbia
rispettato i tempi di pagamento della prima tranche di arretrati al 31/12/2012, con 27 miliardi messi a
disposizione delle amministrazioni debitrici entro il dicembre scorso...».
La sollecitazione fatta da Renzi, ad accelerare i pagamenti con un effetto choc è «accolta e fatta propria dal
ministro Padoan. Ci sono contatti con la Cassa depositi e prestiti per verificare le modalità», ma si esclude
che si giunga ad accelerazioni nel Consiglio dei ministri di venerdì prossimo.
Nel frattempo, però, nasce un'ulteriore complicazione: secondo l'agenzia di rating Fitch, il piano del
presidente del Consiglio Matteo Renzi per sbloccare 60 miliardi di debiti commerciali della Pubblica
amministrazione potrebbe scalfire il rating della Cassa depositi e prestiti (Cdp). Il timore è che la stessa Cdp
debba alla fine aumentare il livello del debito non garantito dallo Stato come il risparmio postale, e comunque
«non è ancora chiaro in che modo sia coinvolta la Cassa». Quest'ultima fa sapere di aver accolto queste
parole «senza particolare preoccupazione».
C'è infine un altro «danno collaterale» legato ai ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione:
la posizione mediocre dell'Italia (sta con Grecia e Malta) nella «pagella dell'innovazione» presentata proprio
ieri dalla Commissione europea, può spiegarsi anche con il fatto che molte imprese gravate dalle tasse e dai
crediti mai incassati frenano i loro investimenti tecnologici.
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Il confronto con l'Europa
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Pagamenti alle imprese, l'Europa non fa sconti
05/03/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Quegli 80 miliardidovuti alle aziende
Entro il 10 marzo lo Stato italiano deve giustificare alla Commissione europea i 70-80 miliardi di debiti mai
pagati alle imprese private
La richiesta di Romae i chiarimenti
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Il governo italiano avrebbe chiesto altri 30 giorni di tempo, quindi fino al 10 aprile, per fornire le sue
spiegazioni sui debiti pregressi all'Unione Europea
La scadenzadel 10 marzo
Il governo assicura che la risposta alle sollecitazioni di Bruxelles è già pronta e sarà consegnata entro il
termine. Dunque entro il 10 di marzo
La pagella Ue
Innovazione, la sufficienza a Piemonte Emilia e Friuli
BRUXELLES - Se la crisi d'Europa è come una febbre, uno dei pochi antibiotici sicuri si chiama innovazione
tecnologica, nelle imprese e nei centri di ricerca. Questo dice la classifica 2014 dell'innovazione Ue,
presentata ieri dalla Commissione europea. Premessa iniziale: l' Ue sta per colmare il suo ritardo nei confronti
di Usa e Giappone ma restano grandi divari interni.
Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia sono i Paesi più innovatori.
L'Italia sta in fascia bassa, al di sotto della media Ue, fra gli «innovatori moderati» con Grecia, Croazia, Malta,
e altri.
Fra le sue Regioni, solo Emilia Romagna, Piemonte e Friuli sono «seguaci dell'innovazione». Tutte le altre,
comprese Lombardia e Veneto, sono in fascia bassa, anch'esse al livello della Grecia o di Malta. C'è ancora
molta strada da fare: ma è obbligatoria se vogliamo, ha detto ieri il vicepresidente della Commissione e
commissario all'Industria Antonio Tajani, «raggiungere il nostro obiettivo in materia di politica industriale
consistente nel far sì che entro il 2020 almeno il 20% del Pil dell'Ue sia prodotto dall'industria manifatturiera».
L.Off.
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05/03/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Tasi, le chiese sono esentate Padoan: possiamo riformare l'Italia
In Parlamento Il «Piano per le riforme» sarà presentato in Parlamento dal governo all'inizio del mese di aprile
Mario Sensini
ROMA - «Negli anni passati gli italiani hanno dovuto affrontare una crisi straordinaria, che ne ha messo a
dura prova la resistenza come individui e come collettività nazionale. Ma adesso ci aspetta una riscossa e
abbiamo l'energia per riformare il Paese, profondamente, radicalmente». Il neoministro dell'Economia, Pier
Carlo Padoan è ottimista sulla capacità del governo di portare l'Italia fuori dalle secche. «Abbiamo bisogno di
far crescere l'economia, abbiamo bisogno di creare occupazione, abbiamo bisogno di migliorare le nostre
prospettive future in modo stabile, lavorando per migliorare l'istruzione, la ricerca e per sostenere la
competitività delle imprese» ha detto il ministro, assicurando che «il governo sa cosa deve fare e il
Programma nazionale di riforma in corso di definizione tradurrà i nostri obiettivi in azioni concrete».
Il Piano per le riforme sarà presentato in Parlamento dall'esecutivo all'inizio di aprile, quasi certamente
insieme al Documento di economia e finanza, ed entrambi, appena varati saranno sottoposti all'Unione
Europea. L'elenco delle riforme da avviare o completare entro l'anno ed il quadro aggiornato di finanza
pubblica, con la dimensione delle manovre di bilancio da compiere per attuarle, saranno discussi a Bruxelles
nel corso di questo primo semestre nell'ambito della procedura per il coordinamento delle politiche di bilancio
e a giugno saranno sottoposti al vaglio del Consiglio europeo, che esprimerà giudizi e raccomandazioni.
Gli uffici di Padoan sono già al lavoro da qualche giorno con i tecnici di Palazzo Chigi per la stesura dei
documenti che delineeranno il quadro degli interventi di finanza pubblica possibili per quest'anno, a
cominciare dall'ulteriore riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese e dei lavoratori, la riforma del
mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, il rimborso di tutti i debiti arretrati della Pubblica
amministrazione. Tutta l'azione di governo delle prossime settimane, assicurano a Via XX Settembre, sarà
concentrata sulla messa a punto del programma e sull'analisi dei margini di manovra disponibili.
Altre incombenze urgenti cui provvedere nell'immediato, per il momento, non ce ne sono. Ieri in Gazzetta
Ufficiale è stato pubblicato il testo del decreto legge che, dopo il ritiro del decreto salva Roma, stabilisce le
ultime modifiche alla disciplina di Tasi e Imu 2014, dando ai sindaci maggior flessibilità nella manovra delle
aliquote della nuova Tasi.
I Comuni potranno infatti alzare le aliquote sulle prime o sulle seconde case, o su entrambe, per un livello
massimo pari allo 0,8 per mille della base imponibile, ma al solo scopo di alleggerire l'imposta sulla prima
casa (e solo su quella) per le famiglie che hanno redditi più bassi o un numero elevato di figli a carico.
Sostanzialmente i sindaci potranno riproporre alle fasce deboli della popolazione gli stessi sconti previsti
dall'Imu prima versione, facendo pagare un po' di più la Tasi ai contribuenti più ricchi o a quelli che hanno un
patrimonio immobiliare più cospicuo.
Nulla cambia per gli immobili della Chiesa, che restano esenti dalla Tasi, come lo erano dall'Imu. L'esenzione,
però, riguarda le sole parti degli immobili che vengono utilizzate per l'esercizio di attività meritevoli, con
modalità non commerciali. Resta ferma anche l'esenzione per i 25 immobili della Santa Sede fuori dalla Città
del Vaticano grazie all'extraterritorialità garantita dai Patti Lateranensi.
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Le imprese e la Pubblica amministrazione CORRIERE DELLA SERA I PAGAMENTI DEI DEBITI DA PARTE
DELLA P.A. A fine febbraio 2014 - esposizioni fino al 31 dicembre 2012 111 MILA IMPRESE CHIUSE NEL
2013 L'andamento nel triennio 2011-2013 Numero di procedure e tassi di variazione sull'anno precedente
Concordati e altre procedure diverse dal fallimento Valori assoluti e tasso di crescita sull'anno precedente
Risorse finanziarie rese disponibili agli enti debitori Debiti della P.A. pagati ai creditori 24,3 miliardi di euro
22,8 90% miliardi di euro dello stanziamento per il 2013 Enti debitori Stato Regioni e Province autonome
Province e Comuni Importi totali (valori assoluti) Importi totali (in % delle risorse stanziate) 3.000 15.808
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Imposte sulla casa Via al decreto: per i luoghi di culto le stesse regole dell'Imu
05/03/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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8.411 27.219 3.000 13.499 7.849 24.348 89% 3.008 12.993 6.796 22.798 84% Risorse stanziate Risorse
effettivamente rese disponibili agli enti debitori Pagamenti effettuati ai creditori Fonte: Tesoro Fonte:
CERVED 3,1% 12,0% 11,5% 53,8% 0,5% 5,6% 100.000 90.000 80.000 70.000 60.000 50.000 40.000 30.000
20.000 10.000 2011 2012 2013 2011 2012 2013 Fallimenti Liquidazioni Altre procedure * Concordati
preventivi con piano di risanamento ** Non include le procedure di cancellazione, di scioglimento per atto
dell'autorità e le procedure che originano
0,08
la percentuale aggiuntiva gestita dai Comunisul valore base della Tasi Gli interventi
Meno tasse in busta paga
Il taglio al cuneo fiscale
Il governo punta a ridurre significativamente il cuneo fiscale, la differenza tra il costo del lavoro sostenuto
dall'impresa e la retribuzione netta corrisposta al lavoratore
Sgravi sulla prima casaalle famiglie a basso reddito
L'aumento fino allo 0,8 per mille della Tasi la tassa sui servizi indivisibili che ha sostituito l'Imu, è condizionato
al mantenimento delle detrazioni per le famiglie a basso reddito o numerose
I 25 beni della Santa Sede garantiti dai Patti Lateranensi
L'esenzione dalla Tasi riguarda le parti di immobili della Chiesa utilizzate per il culto e i 25 palazzi della Santa
Sede fuori dal Vaticano grazie all'extraterritorialità garantita dai Patti Lateranensi
05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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Marchionne: da ottobre quotazione a Wall Street
Andrea Malan
Andrea Malan u pagina 25
GINEVRA. Dal nostro inviato
L'appuntamento è per il prossimo 6 maggio a Detroit: sarà in quella data che Sergio Marchionne e la sua
squadra presenteranno il piano industriale della nuova Fiat Chrysler Automobiles. Per quella data dovrebbero
essere più chiari anche i tempi delle nozze tra Fiat e Chrysler, della quotazione a Wall Street e dell'eventuale
operazione di rafforzamento patrimoniale del gruppo. Per lo sbarco a Wall Street «il nostro sogno è di farcela
per il 1° ottobre», ha detto ieri Marchionne. Il prestito convertendo «è una delle ipotesi sul tappeto, e in ogni
caso non arriverebbe prima della quotazione a New York, quindi nel 4° trimestre di quest'anno». E se Fiat
vendesse invece qualche asset, come chiedono molte banche? Il manager si è tenuto le opzioni aperte:
un'operazione simile «non farà parte del piano che presenteremo a maggio, ma non significa che poi fra sei
mesi non decidiamo che si debba fare qualcosa». Un'altra possibile fonte di finanziamento è la liquidità di
Chrysler, il cui utilizzo è però vincolato dalle clausole dei prestiti accesi dall'azienda Usa. Per quanto riguarda
tal limiti, Marchionne ha ricordato che Chrysler può distribuire liberamente il 50% degli utili e ha aggiunto che
in ogni caso l'azienda Usa contribuisce al finanziamento degli investimenti fuori dagli Usa, a cominciare da
quello a Melfi per la piccola Jeep.
Proprio quest'ultima, presentata ieri qui a Ginevra, è al tempo stesso un modello storico e un esempio
dell'evoluzione del gruppo verso una sempre maggiore integrazione industriale. La Jeep Renegade, una
piccola fuoristrada che viene già prodotta in pre-serie nello stabilimento di Melfi, è la prima Jeep prodotta in
Europa e dovrebbe saturare - insieme alla 500X che verrà costruita sulla stessa piattaforma - lo stabilimento
di Melfi. La produzione della Renegade partirà il 14 luglio seguita «entro sei mesi» dalla 500X. Con queste
due vetture «io spero di poter utilizzare tutti i nostri dipendenti di Melfi e magari anche di farne lavorare anche
qualcuno di Pomigliano» ha detto Marchionne. Il riferimento a Pomigliano non è casuale, proprio nel giorno in
cui Fiat Chrylser fa sapere di aver avviato la procedura per un altro anno di cassa integrazione per gli addetti
dello stabilimento campano; secondo quanto comunicato dai vertici aziendali a sindacati ed Inps, la misura che riguarda 1.200 addetti su 4500 - è imposta dal persistere delle condizioni di crisi del settore: Fiat ha
venduto l'anno scorso 150mila Panda in Europa contro le 250mila che era l'obiettivo per Pomigliano. Le cose
non sembrano destinate a cambiare in tempi brevi. «La crisi è ancora qui, anche se c'è un certo
miglioramento» ha detto Marchionne. La ripresa nel nostro Paese «non ci sarà nel 2014 e non ho la minima
idea se sarà nel 2015 o 2016; il vero problema è la mancanza di capacità di spesa dei clienti finali». Se Melfi
spera nella Jeep, Mirafiori si affiderà alla Maserati. «Il problema di Mirafiori non c'è perché utilizzeremo le sue
capacità produttive per accompagnare lo sviluppo internazionale della Maserati» ha detto Marchionne. La
concept car Alfieri, presentata qui a Ginevra, «potrebbe essere potenzialmente prodotta a Mirafiori. Mirafiori
diventa quindi la fabbrica di Maserati? «Lo è già. Adesso fa la Mito, ma con il tempo dovrà spostarsi sull'alto
di gamma. E se non bastasse Maserati, «c'è l'Alfa Romeo sotto».
Per quanto riguarda la politica, Marchionne e John Elkann - presidente della Fiat - non si sono sbilanciati in
giudizi sul cambio di Governo in Italia. «Noi siamo filogovernativi in maniera assoluta» ha detto Marchionne;
ed Elkann si è augurato che «ci sia la stabilità necessaria, e che produca risultati positivi». Alcune delle
misure preannunciate dal Governo Renzi, come il taglio del cuneo fiscale, «erano dovute da parecchio
tempo», dice Marchionne. Per quanto riguarda invece il contenuto del cosiddetto jobs act di Renzi,
«analizzeremo i dettagli a tempo debito. La cosa importante da riconoscere è che la Fiat ha preso una serie
di accordi con i sindacati, che hanno creato una base su cui portare avanti il nostro progetto industriale in
Italia. L'impegno nostro è invariato anche senza il jobs act».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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FIAT-CHRYSLER
05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Intanto, sul fronte americano, Chrysler ha ritirato la richiesta di fondi per 700 milioni di dollari al governi
federale e dell'Ontario per ampliare le attività in Canada, assicurando che effettuerà ugualmente gli
investimenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATAFiat Chrysler nel 2013 86,8 miliardi I ricavi Fiat Chrysler ha chiuso
l'esercizio con ricavi in crescita del 2,8%
1,9 miliardi L'utile L'utile è salito da 896 milioni del 2012 a 1,95 miliardi nel 2013
Foto: Al Salone. John Elkann (a sinistra), Luca di Montezemolo e Sergio Marchionne
05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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Apple affida a un italiano un tesoro da 160 miliardi
Marco Valsania
Apple, simbolo hi-tech, ma soprattutto colosso finanziario: in cassa ha 160 miliardi di dollari, poco meno del
giro d'affari annuale di 171 miliardi, le cifre dietro una capitalizzazione strabiliante da 473 miliardi di dollari. Un
"tesoro" globale che da giugno sarà affidato a un italiano: Luca Maestri, 49 anni, nominato ieri chief financial
officer. Per Apple era solo questione di opportunità e merito. Se non brilliamo per la nostra finanza pubblica,
le nostre capacità individuali all'estero vengono riconosciute, eccome: Maestri, romano, è di formazione tutta
italiana, con una laurea in economia alla Luiss. Poi una carriera in marchi internazionali, Gm, Xerox e
appunto Apple. Avrebbe avuto le stesse opportunità in un percorso soltanto interno ai nostri confini? C'è da
chiederselo.
Marco Valsania
NEW YORK
Quello di Maestri, master alla Boston University, è comunque un segnale incoraggiante per la qualità di
fondo e il potenziale del nostro paese, per come il nostro talento si afferma in un contesto globale sempre più
competitivo anche sul piano manageriale. Il suo non è un caso isolato. Altri italiani ricoprono oggi cariche ai
vertici di multinazionali, da Sergio Marchionne, ad di Fiat Chrysler a Lamberto Andreotti, ceo di Bristol-Myers
Squibb. Da Fabrizio Freda, alla guida di Estee Lauder, a Vittorio Colao, ceo di Vodafone, da Massimo Tosato,
vicechairman di Schroeder a Londra ad Alberto Cribiore, vicechairman di Citi fino a Gianfranco Lanci direttore
operativo di Lenovo.
Il percorso di Maestri è classico, prenderà le redini da un veterano di Apple: Peter Oppenheimer, da 18 anni
in azienda, una "fixture", una presenza costante nelle conference call sui risultati trimestrali e nella gestione
dei rapporti con analisti e investitori. «Sapevamo che sarebbe stato il successore di Peter - ha detto l'ad di
Apple Tim Cook -. Il suo contributo all'azienda è già stato significativo e si è rapidamente guadagnato la stima
dei colleghi in tutto il gruppo». Il passaggio delle consegne comincerà da giugno e verrà completato a
settembre.
Apple aveva prelevato Maestri solo l'anno scorso da Xerox, dove era a sua volta cfo, nominandolo vice
direttore finanziario e corporate controller. Prima del colosso di stampanti e fotocopiatrici aveva ricoperto una
posizione analoga, cfo, per Nokia Siemens Network e per Gm Europe. Proprio per Gm era stato executive di
punta nella gestione dell'alleanza con Fiat, tra il 2000 e il 2005.
Il nuovo incarico si preannuncia estremamente delicato. Il suo predecessore Oppenheimer, che ora si
dedicherà al board di Goldman Sachs, ha accompagnato l'azienda negli anni d'oro della grande crescita. Ma
di recente ha dovuto fare i conti con investitori dissidenti e soci irrequieti, che invocano maggior dinamismo
nel timore che l'azienda abbia perso lo spirito innovativo dell'era del fondatore Steve Jobs e non metta a frutto
le ingenti risorse, tanto per premiare gli azionisti quanto nella battaglia con rivali del calibro di Google e
Samsung. Una poltrona di prestigio, insomma, ma scomoda. Come peraltro è di rigore in settori e aziende
globali che si confrontano con la concorrenza e combattono per restare all'avanguardia.
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Foto: ANSA Il nuovo Cfo. Luca Maestri
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LUCA MAESTRI DALLA LUISS ALLA SILICON VALLEY
05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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Non contiamo solo sul «grande fratello» Bce
Alessandro Plateroti
«La crisi del debito? Quale crisi?» Persino gli analisti di Borsa che fino a qualche tempo fa pronosticavano
un'imminente implosione dell'Eurozona per l'incapacità di riformarsi dei suoi Paesi periferici - leggi Grecia,
Portogallo, Italia e Spagna - sembrano essere caduti nella sindrome del «denial», la negazione. Come
d'incanto, la vigorosa ripresa delle Borse e soprattutto dei titoli di Stato che più avevano sofferto della fuga di
capitali ha tolto non solo gli argomenti agli euroscettici e ai teorici delle cospirazioni, ma anche la "memoria" a
quanti affermavano che la sovranità monetaria - e quindi non gli interventi della Bce - avrebbe permesso a
Paesi come l'Italia di risollevarsi meglio e prima dalla crisi, e soprattutto di riconquistare la fiducia degli
investitori internazionali. Con o senza le riforme chieste dai nostri partner europei e dagli stessi mercati.
Ebbene, quanto sta avvevendo ormai da qualche mese, sposta di parecchi gradi l'angolo di lettura degli
eventi finanziari in corso: se oggi il mercato corre ai titoli di Stato di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo (pur in
assenza di crescita economica, grandi riforme strutturali o sovranità monetaria) non è per un voto di fiducia al
buio sulla serietà e la determinazione al cambiamento delle vecchie e nuove classi politiche, ma per la
consapevolezza che alle spalle dell'Eurozona e dei suoi figli minori c'è un grande fratello che si chiama Bce.
Certo, l'abbondanza di liquidità delle banche centrali e il riposizionamento dei flussi di capitale dai Paesi
emergenti alle economie più mature ha fatto la differenza e creato il retroterra favorevole per un ritorno di
interesse verso mercati che erano considerati periferici e rischiosi.
Ma resta il fatto che senza fattori più solidi del denaro a basso costo, il processo di riallineamento dei tassi di
interesse dell'eurozona si sarebbe difficilmente rimesso in moto con tanta forza e velocità. In pratica, ciò che
sta portando i rendimenti di Italia e Spagna ai livelli minimi storici e i tassi greci e portoghesi ai livelli pre-crisi
del 2011, non sono solo i dollari di Washington o le reiterate promesse di riforme dei governi, ma l'effetto
combinato di due fattori: una Bce che sotto la guida di Mario Draghi è ormai considerata in grado di tenere
insieme l'Eurozona, di contrastare i falchi tedeschi e quindi di intervenire a sostegno del debito dei Piigs in
caso di necessità; un livello di rendimenti più elevato della media dei paesi forti, ma privo di quell'alta
rischiosità che derivava dall'assenza di un "cordone sanitario" finanziario sovrannazionale. Che non si tratti di
un'analisi azzardata lo ha confermato ieri una notizia che ha del sorprendente: dopo anni di assenza dal
mercato del debito periferico europeo, le grandi banche giapponesi sono tornate a fare incetta di titoli di Stato
italiani e spagnoli, giudicandoli sicuri e redditizi. Un vero ribaltone delle percezioni, questo, che venendo da
un mercato tradizionalmente prudente e domestico nei suoi investimenti come quello giapponese ha
sicuramente ben poco di speculativo.
Fin qui gli aspetti positivi degli eventi in corso. Ma come accade spesso, non tutto ciò che è buono fa anche
bene. Premesso che il calo dei tassi di Roma o Madrid può solo far piacere poichè riduce il costo del servizio
sul debito e libera quindi un pò di "spiccioli" per un uso più virtuoso del denaro dei contribuenti, sarebbe un
grave rischio pensare che il «peggio sia passato», e che quindi l'urgenza delle riforme strutturali sia meno
impellente. La stessa frase di Mario Draghi «il peggio è passato» non va interpretata come un "libera tutti"
sugli impegni di risanamento dei bilanci pubblici, ma al contrario come un'esortazione ai governi ad agire con
rapidità e incisività per fare subito le riforme, dal fisco al lavoro. Draghi sa bene che la "guerra" non è finita
affatto, che oggi siamo solo in una sorta di tregua firmata tra Stati e mercati solo grazie allo scudo e ai
cannoni della Bce e della Federal reserve. In altre parole, è proprio questo "cordone finanziario" che oggi
circonda i mercati a rappresentare la finestra temporale ideale per fare quelle riforme che sarebbero
impossibili se i venti della fiducia dei mercati fossero contrari: «Quando c'è l'alta marea - dice un proverbio di
Wall Street - salgono tutte le barche». Oggi c'è l'alta marea, come dimostra anche la rapidità con cui è
passata la paura di una terza guerra mondiale in Ucraina. Il problema è che senza interventi strutturali sulla
"nave", i Piigs non riacquisteranno mai credibilità e forza politica con i partner, e neppure una fiducia stabile
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ITALIA E MERCATI
05/03/2014
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dai mercati. E con l'arrivo della bassa marea, si tornerebbe presto a toccare il fondo.
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05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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Ue, nuovo richiamo all'Italia
«Troppi squilibri su costo lavoro, giustizia, banche, debito»
Beda Romano
È «eccessivo» lo squilibrio economico in Italia, con conseguente bassa competitività. Lo sostiene la
Commissione Ue in un rapporto che sarà diffuso oggi, e che sottolinea gli squilibri su costo del lavoro,
banche, debito pubblico, giustizia. L'Italia, secondo Bruxelles, è in ritardo rispetto alla media europea anche
nella capacità di innovazione.
Romano u pagine 6 e 7
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
La Commissione pubblicherà oggi un atteso rapporto sugli squilibri macroeconomici che caratterizzano
l'Italia. Oggetto dell'analisi saranno la bassa competitività economica e l'elevato debito pubblico. Bruxelles
dovrebbe, salvo sorprese, definire eccessivi gli squilibri, lanciando un nuovo allarme sulla situazione italiana.
La presa di posizione giunge in un momento molto delicato, mentre a Roma è appena stato nominato un
nuovo governo, presieduto da Matteo Renzi.
«Il collegio dei commissari discuterà domani (oggi, per chi legge, ndr) la possibilità di considerare gli squilibri
italiani non più normali, come è avvenuto negli ultimi anni, ma eccessivi», spiegava ieri un esponente
comunitario. A preoccupare Bruxelles non è solo l'elevato debito pubblico, ma anche la bassa competitività
dell'economia. Nel 2013, Bruxelles aveva deciso di mettere sotto osservazione 16 paesi, di cui solo due in
precedenza ritenuti in squilibrio eccessivo, la Spagna e la Slovenia.
Nel monitorare le economie dei paesi membri, ogni anno l'esecutivo comunitario rileva eventuali squilibri
macroeconomici, considerandoli a seconda dei casi semplici o eccessivi. Finora gli squilibri italiani erano stati
considerati non eccessivi. Sono analizzati, tra gli altri, i dati sul costo del lavoro, l'export, il debito pubblico e
privato, i prezzi immobiliari, la disoccupazione. L'obiettivo è di evitare il formarsi di bolle finanziarie, come
quella che ha trascinato nell'abisso l'Irlanda.
I 16 paesi messi sotto osservazione dalla Commissione europea alla fine dell'anno scorso sono, oltre alla
Spagna e alla Slovenia, la Francia, l'Italia, l'Ungheria, il Belgio, la Bulgaria, la Danimarca, la Germania,
l'Olanda, la Finlandia, la Svezia, il Regno Unito, la Croazia, Malta e il Lussemburgo. Le analisi approfondite
che verranno pubblicate oggi potrebbero quindi riflettere un salto di qualità nel modo in cui la Commissione
valuta la situazione italiana.
Se la Commissione dovesse decidere di considerare l'economia italiana oggetto di uno squilibrio eccessivo o
severo, chiederà al paese riforme specifiche per risolvere la situazione. Solo successivamente, se il paese
non prendesse i giusti provvedimenti, le riforme da introdurre verrebbero messe a punto da Bruxelles. Nel
caso in cui il paese non rispettasse i suggerimenti, vi potrebbero allora essere sanzioni pari allo 0,1% del
prodotto interno lordo.
L'analisi della Commissione europea prevista per oggi metterà in luce il ritardo italiano nel modernizzare la
propria economia, proprio mentre il nuovo presidente del Consiglio ha promesso giorni fa una riforma al mese
per ridare slancio al tessuto produttivo italiano. Secondo alcuni esponenti bruxellesi, lo studio punterà il dito
contro l'andamento del costo del lavoro, il debito elevato (superiore al 130% del Pil), la fragilità delle banche,
la farraginosità del sistema giudiziario.
D'altro canto, sul fronte della crescita, il prodotto interno lordo italiano è sceso in media annua dello 0,4% tra
il 2005 e il 2009. Sempre nello stesso quinquennio, la crescita potenziale in Italia si è attestata ad appena lo
0,5%. Nel frattempo, la produttività del lavoro è andata stagnando. Tra il 1995 e il 1999 è aumentata
dell'1,3% annuo; nel quinquennio successivo è salita di appena lo 0,3% all'anno; tra il 2005 e il 2009 è
addirittura scesa dello 0,3%, sempre annuo.
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Oggi Bruxelles apre un fascicolo - E nella classifica dell'innovazione Roma resta indietro
05/03/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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La Commissione è chiaramente preoccupata dall'andamento dell'economia italiana. Oggi probabilmente
vorrà lanciare un messaggio all'Italia, consapevole però che a Roma si sta insediando un nuovo governo con
il quale dovrà comunque trovare un modus vivendi. Da segnalare, infine, che secondo le informazioni di ieri
sera Bruxelles considererà altri due paesi in squilibrio eccessivo: la Slovenia e la Croazia. Grazie alle misure
adottate, la Spagna, invece, non cadrebbe più in questa fattispecie.
© RIPRODUZIONE RISERVATAI numeri sotto la lente della Commissione europea CRESCITA
-0,4%
Il Pil italiano annuo
Tra il 2005 e il 2009 il prodotto interno lordo italiano è sceso dello 0,4% annuo; nello stesso periodo il Pil
francese cresceva dell' 0,6 per cento INVESTIMENTI -8,3%
Nel 2012
Gli investimenti pubblici e privati in Italia scendevano nel 2012 dell'8,3%, in Francia dell'1,2%. Nel
quinquennio, in Italia -2% annuo, in Francia +0,7% PRODUTTIVITÀ -0,3%
Ogni anno
Dopo un lungo periodo di crescita della produttività in Italia, tra il 2005 e il 2009 ha cominciato a calare dello
0,3% ogni anno. In Francia non è mai scesa COSTO DEL LAVORO +2,5%
In dodici mesi
Nel 2012 il costo del lavoro in Italia era salito del 2,5%, ma nel quinquennio tra il 2005 e il 2009 la media di
crescita era del 2,7% contro l'1,9% francese
05/03/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Adesso non sprecate quei soldi per i giovani
TITO BOERI
OGGI a Roma si tiene la riunione dei rappresentanti delle Regioni con il neo-ministro del Lavoro, Giuliano
Poletti, sul piano "garanzia giovani" della Commissione Europea. Tra finanziamenti diretti e cofinanziamenti
mobilita circa 1 miliardo e mezzo di euro per azioni a favore degli under 25 da utilizzare nei prossimi due
anni.
Èun'opportunità che non dobbiamo assolutamente lasciarci sfuggire in tempi di emergenza occupazionale e
di risorse scarsissime. L'Istat ha certificato venerdì scorso che solo nell'ultimo anno sono stati distrutti altri
100.000 posti di lavoro tra i più giovani. Il fatto grave è che chi ha perso il lavoro è andato non solo ad
aumentare le fila della disoccupazione, ma anche a gonfiare l'inattività, il novero di lavoratori scoraggiati che
smettono di cercare un impiego perché pensano che il mercato non sia in grado di offrire opportunità per loro.
Un governo già impegnato a ridurre il cuneo fiscale e ad aumentare la copertura dei sussidi di
disoccupazione rischia di non avere soldi per interventi che facilitino la transizione da scuolaa lavoro. Quindi il
piano europeo capita a pallino. Ma ci vogliono idee chiare sul cosa fare. Altrimenti si rischia di mettere in piedi
una nuova macchina burocratica inefficiente come quella che accompagna la gestione dei fondi strutturali.
Le Regioni oggi molto probabilmente chiederanno di confermare il piano elaborato dal ministro Giovannini. È
un nonpiano, di fatto una scatola vuota, che lascia ampia libertà alle Regioni nella gestione dei soldi
comunitari, trattenendo al centro risorse consistenti (si parla di 200 milioni!) per costruire una "piattaforma
web nazionale e social network per gli operatori" nell'ambito di una "struttura di missione" del ministero. Sono
scelte entrambe sbagliate: le Regioni devono essere messe nelle condizioni di agire solo nell'ambito di
direttive molto precise (come ad esempio previsto dal Piano spagnolo per la Youth Guarantee), anziché
essere spinte ad inventarsi programmi fantasiosi per impegnare e poi spendere i soldi. Ed è assurdo
destinare fino al 15 percento delle risorse disponibili in tutta Italia per costruire una rete informativa per gli
operatori dei centri per l'impiego! Oggi un portale c'è già per l'incontro fra domanda ed offerta: si chiama
"cliclavoro" ha solo 23.000 iscritti, meno di 4.000 visitatori al giorno, e offre solo 50 posti vacanti in tutta Italia
come tornitore, una delle figure professionali maggiormente ricercate dalle imprese. L'intermediazione
avviene altrove, in modo informale o attraverso le agenzie interinali.
L'idea della Youth Guarantee è quella di offrire a tutti i giovani un colloquio di orientamento e aiuto nella
ricerca di lavoro con tirocini, formazione e attività di incontro domanda-offerta.
Trae spunto dai programmi di welfare to work con cui il Governo Blair ha rivoluzionato i servizi per l'impiego.
Quando questa idea fu proposta dal governo italiano nel 1999, scatenò l'ira di Sergio Cofferati e spinse il
Governo D'Alema a dissociarsi da un documento comune italobritannico. Abbiamo così perso 15 anni. Non è
mai troppo tardi, ma deve essere chiaro che questi sono i compiti che ogni servizio dell'impiego dovrebbe
svolgere normalmente, anche senza bisogno dei fondi comunitari.
In Italia questo non avviene perché gli operatori dei servizi dell'impiego sono troppo pochi, poco qualificati o
perché molti centri dell'impiego fanno di tutto tranne che il loro mestiere. Il personale è in prevalenza non
laureato, con competenze amministrative, non in grado di mantenere un proficuo rapporto diretto con chi
cerca lavoro.
Mancano soprattutto esperti di marketing, psicologi sociali e informatici. Con questa struttura (8.713 addetti
per 3 milioni e 293 mila disoccupati, vale a dire quasi 300 disoccupati per operatore) è impensabile costruire
percorsi personalizzati per la ricerca del lavoro. Si possono invece offrire servizi di orientamento a quel
nocciolo duro di giovani che vengono già oggi regolarmente ai centri per l'impiego e che presumibilmente
rappresentano la parte più attiva e più bisognosa d'aiuto. Questo va fatto comunque, senza necessariamente
utilizzare le risorse comunitarie.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Il caso
05/03/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Ci deve essere un monitoraggio attento da parte del ministero su come queste attività vengono svolte e, ai
centri che utilizzano al meglio le risorse di cui dispongono e che sono palesemente sottodimensionati,
possono essere destinate risorse aggiuntive per favorire la mobilità di altro personale nella pubblica
amministrazione. Ad esempio i 1.239 impiegati di Italia Lavoro,i 241 dell'Isfoloi 78 dipendenti del Cnel
avrebbero le competenze necessarie per aiutare i centri per l'impiego maggiormente bisognosi di supporto.
Anche ad altri dipendenti del pubblico impiego che manifestassero l'interesse a contribuire ad affrontare
l'emergenza occupazionale sul campo può essere offerta questa opportunità, compensandoli per lo
spostamento. Ma il grosso delle risorse dovrà essere utilizzato per interventi che sostengano la creazione di
lavoro in modo duraturo. Si devono soprattutto integrare i salari orari dei giovani occupati con retribuzioni
basse, ad esempio impegnandosi a garantire loro almeno 5 euro all'ora, nel caso offrendo un supplemento al
salario pagato dal datore di lavoro privato. Queste integrazioni potranno essere stabilite in base alle
caratteristiche e al costo della vita delle diverse regioni e al di sopra di livelli retributivi minimi imposti per
legge.
Avrebbero l'effetto non solo di aumentare i posti di lavoro, ma anche di stimolare l'emersione di lavoro
sommerso, rendendo queste misure sostenibili anche quando le risorse per la Garanzia Giovani saranno
esaurite.
05/03/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Che ci fa il miliardario Soros a braccetto con le coop rosse
GAD LERNER
FORSE non sarà necessario riscrivere l'articolo 45 della Costituzione ("La Repubblica riconosce la funzione
sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata"); però questo
ingresso del finanziere statunitense George Soros nella Igd, fondo di gestione immobiliare controllato dalla
Lega delle Cooperative, in altri tempi lo avremmo definito un matrimonio contronatura.
Ma come? Il re della speculazione internazionale diventa terzo azionista di un fondo delle Coop "rosse"? Va
bene che Soros nel tempo libero si trasforma in filantropo liberal, ma qui ci sono di mezzo gli affari; nonché
l'assetto futuro del nostro depresso sistema economico.
Che frutti potrà mai generare un simile innesto? Desiderosi come siamo di attrarre investimenti stranieri nel
belpaese, non ci permetteremo certo di fare gli schizzinosi. Né indugeremo nella dietrologia sulla firma del
contratto con Soros, giunta proprio sei giorni dopo che il presidente della Lega Coop, Giuliano Poletti, è
entrato a far parte del governo Renzi in qualità di ministro del Lavoro.
La nomina di Poletti appariva come segno culturale adeguato alla durezza dei tempi: far ricorso
all'esperienza solidaristica su cui è fondato il movimento cooperativo per favorire la nascita di nuove imprese
e di nuovi strumenti di assistenza sociale. Avevamo equivocato? Le Coop sono divenute semplicemente un
nuovo "potere forte" che si cimenta in campo finanziario al pari degli altri? La domanda non è oziosa, e
l'arrivo di Soros ce lo conferma. Vivendo in un'epoca di scarsità permanente, dovendoci attrezzare per un
futuro di penuria, la buona pratica del mettersi insieme, aiutarsi a vicenda, superare l'individualismo
proprietario, è ritornata più che mai attuale. Là dove la politica si rivela inadeguata, sopperisce - dal basso - la
virtù autogestita della condivisione. Basta guardarsi intorno per constatare che la sofferenza sociale non
produce sempre solo lacerazione e solitudine. Parole antiche come mutuo soccorso, fratellanza,
cooperazione, riacquistano qui e là un significato concreto.
Affondano le loro radici nell'umanesimo cattolico e mazziniano da cui germogliarono le società operaie e
artigiane del primo movimento socialista.
Ma oggi di nuovo si avverte la necessità di un'economia capace di anteporre il benessere collettivo alla
rendita speculativa. Sarebbe davvero un peccato dover constatare che nel frattempo gli eredi di quella storia,
i colossi della cooperazione - non importa se "rossa" o "bianca" - sono diventati inservibili a tale scopo.
Al tempo in cui l'Unipol guidata da Giovanni Consorte si alleò con furbetti di ogni sorta nel tentativo di
acquisire il controllo di una banca, molti dirigenti della sinistra reagivano con stizza alle critiche: perché mai la
finanza "rossa" dovrebbe restare esclusa dalle partite che contano? Poi Consorte fu assolto. Tanto che ora
dà vita a un'associazione finalizzata a modernizzare la cultura riformista, e nessuno gli chiede più conto delle
decine di milioni incassati per consulenze estranee alla sua attività di manager della cooperazione. Difficile
eludere la constatazione di Luigino Bruni, tra i massimi studiosi dell'economia sociale italiana: «Viene da
domandarsi dove sia finito lo spirito cooperativo quando alcuni direttori e dirigenti di cooperative di notevoli
dimensioni percepiscono stipendi di centinaia di migliaia di euro».
Qualche anno dopo Consorte, l'Unipol ha rilevato l'impresa assicurativa della famiglia Ligresti con tutte le
partecipazioni societarie annesse nei "salotti buoni". Niente da ridire, ma sarebbe questa la sinistra
cooperativa e mutualistica che avanza? Ora viene il turno di George Soros associato a un fondo immobiliare
delle Coop specializzato in centri commerciali e ipermercati (1,9 miliardi di euro il patrimonio stimato). Va
rilevato che il settore immobiliare italiano suscita un rinnovato interesse nei gruppi stranieri. Soros non è il
solo a puntarci. Naturalmente ciò non ha nulla a che fare con la nostra emergenza abitativa: a fare gola sono
i nuovi grattacieli per uffici direzionali, l'edilizia di lusso e, per l'appunto, i centri commerciali. È verosimile che
tali investimenti speculativi funzionino da volano per uno sviluppo equilibrato? Piacerebbe sentire in merito
l'opinione dei manager della cooperazione e dello stesso ministro Poletti. Anche perché la loro
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La polemica
05/03/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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diversificazione finanziaria non ha evitato che la crisi sospinga varie cooperative in difficoltà a chiudere un
occhio su materie delicate, come i subappalti precari e sottopagati.
Accolto con un doveroso benvenuto il compagno americano, ci chiediamo che strana razza di capitalismo
verrà fuori dal suo incrocio con la finanza "rossa". Le buone pratiche diffuse della cooperazione, che sia di
produzione, distributiva o di cura alle persone, non attenderanno i dividendi di Borsa. La loro carica profetica
e soccorrevole si esprime altrove.
05/03/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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E il Lingotto avverte la politica: vogliamo stabilità Marchionne: "Il Jobs Act non cambia niente, con i sindacati
impegni già molto precisi" Si lavora per quotare a New York la nuova società entro il primo ottobre
pa.gri.
GINEVRA - Cinque nuovi modelli e un'apertura di credito al governo Renzi: «La Fiat - scherza Marchionne - è
sempre filogovernativa». Quello di Ginevra 2014 potrebbe essere il salone della ripartenza per il Lingotto
dopo gli anni bui in cui le notizie positive venivano solo d'oltre Atlantico. Al salone svizzero il gruppo di Torino
presenta la Jeep Renegade, il primo dei due piccoli suv che verranno realizzati a Melfi e che rappresenta,
insieme alle Maserati costruite a Gurgliasco, una parte del futuro degli insediamenti italiani del gruppo. Ora
che gli investimenti arrivano anche in Italia, che cosa chiede il gruppo degli Agnelli al governo? E come
giudica i progetti di riforma del mercato del lavoro annunciati dal presidente del Consiglio? «Al governo
italiano non riteniamo di chiedere nulla perché non crediamo che la situazione lo consenta», rispondono
Sergio Marchionne e John Elkann.
Per quel che riguarda il giudizio su Renzi, il presidente della Fiat aggiunge che «l'importante per noi è la
stabilità del governo». Quanto alla valutazione sul Jobs Act, è Marchionne a rispondere che «per noi non
cambia nulla perché abbiamo già preso impegni precisi con i sindacati». La spiegazione è tecnica: nel Jobs
Act si ipotizza di sostituire la cassa integrazione in deroga con il sussidio di disoccupazione. Ma la Fiat di
Marchionne non ha mai utilizzato la cassa in deroga proprio per non essere accusata di chiedere contributi
pubblici.
Sulle loro mosse future, i vertici del Lingotto rinviano gran parte delle risposte al Piano prodotto che verrà
illustrato il 6 maggio a Detroit. Ma già oggi Marchionne fa sapere di non essere intenzionato a chiedere
aumenti di capitale e sottolinea che un eventuale ricorso al bond per finanziare la fusione con Chrysler, «è
una delle ipotesi che valuteremo eventualmente dopo la quotazione a New York». Quotazione che dovrebbe
avvenire entro il primo ottobre «almeno questo è il nostro sogno. Dobbiamo lavorarci sodo».
Il resto è presentazione di modelli. Oltre alla Jeep Renegade arrivano la Alfieri (un prototipo Maserati), la
spider Alfa derivata dalla 4c, una nuova versione della 500 Abarth,e naturalmente la California T, ultima nata
di casa Ferrari, la prima sportiva del Cavallino con motore turbo dopo 25 anni.
Nello stand di Maranello, Luca di Montezemolo smentisce di essere pronto al decollo alla guida di Alitalia:
«Mi hanno chiesto di dare una mano nella trattativa e quando posso aiutare il mio Paese lo faccio volentieri».
Spazio invece alla nuova collaborazione con Apple che prevede una versione della FF equipaggiata con il
software dell'iPhone.
Negli stand della concorrenza la fanno da padronei marchi tedeschi. In casa Volkswagen si assapora il
sorpasso su Gm nella classifica dei costruttori anche se nella festa di apertura che precede il Salone, lunedì
sera, si è preferito mantenere unatteggia mento di prudenza. La casa di Wolksburg continua nel suo piano
che prevede la progressiva marcia di avvicinamento per conquistare la leadership mondiale entro quattro
anni.
Nel frattempo continuano gli investimenti: «Per l'ultimo modello della Lamborghini - rivela Walter Da Silva abbiamo scelto tra dodici diverse proposte. Abbiamo centinaia di progetti che portiamo avanti
contemporaneamente prima di scegliere le caratteristiche delle nostre nuove auto».
Negli stand si respira l'aria incerta della fine della fase più profonda della crisi. «È ancora molto presto per
dire che l'Europa ha superato il momento difficile», dice Marchionne.
Per la prima volta, però, osserva l'ad del Lingotto, «possiamo constatare che almeno la situazione ha
smesso di peggiorare». Un segno di speranza non solo per i costruttori, ma anche per i milioni di persone che
in tutta Europa legano i loro redditi a ciascuno dei mille modelli esposti negli stand del salone ginevrino.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Ora Fiat scommette sull'Italia "Ecco i 5 modelli per ripartire"
05/03/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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modelli
JEEP RENEGADE La piccola Jeep sarà costruita a Melfi in Italia e in Brasile MASERATI ALFIERI Per ora è
un concept, sarà costruita a Mirafiori ALFA ROMEO 4 C SPIDER Alla spider è affidato il rilancio del marchio,
nascerà a Modena FERRARI CALIFORNIA T Anche una partnership con Apple per rendere "smart" la Ferrari
ABARTH 695 BIPOSTO Sarà costruita in Polonia la nuova piccola sportiva
05/03/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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Marchionne: Fiat sostiene governabilità e stabilità
Elkann: fondamentale per ottenere risultati L'Ad: non abbiamo mai abbandonato l'Italia
Piero Bianco e Teodoro Chiarelli
Non vuole entrare nel merito della questione se sia stato giusto o meno che Matteo Renzi abbia silurato
Enrico Letta. Ma se non è un endorsement per il neo presidente del Consiglio, poco ci manca. ALLE PAGINE
8 E 9 Perché di un fatto si dice assolutamente sicuro: «Siamo sempre stati filo-governativi». Sergio
Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler, da Ginevra osserva la politica italiana con apparente
distacco. Eppure, insiem e al presidente John Elkann, non può fare a meno di rimarcare alcuni paletti.
Appoggiare Renzi? «Cercheremo di appoggiare qualunque governo. Il Paese ha bisogno di credibilità,
faremo di tutto per sostenerlo». Gli fa eco Elkann: «Per noi la stabilità politica è fondamentale. L'abbiamo
sempre auspicata e continuiamo ad auspicarla». Riprende Marchionne: «Non abbiamo mai espresso opinioni
personali o dell'azienda sul governo. Accettiamo la scelta che viene fatta e cerchiamo di appoggiare il
sistema creando opportunità per l'economia italiana». L'ad con il maglioncino nero scherza con i giornalisti
che chiedono a Elkann un commento sulla giovane età di Renzi. «Non domandatelo a John. Lui va per i 38 e
ha iniziato ben prima di Renzi che ne ha 39. Mi sembra scontato...». Fiat Chrysler Automotives si presenta al
Salone dell'Auto ginevrino in grande spolvero con la Renegade, la Maserati Alfieri, concept car nel solco della
"grande bellezza", l'Alfa Romeo 4C Spider destinata agli Usa e la Ferrari California T. Segnale che il gruppo
nato dall'unione tra Torino e Detroit ha ingranato la marcia giusta e si prepara ad affrontare in grande stile la
sfida dei prossimi anni. «Il piano industriale annuncia Marchionne - sarà presentato il 6 maggio a New York».
Una crescita e una ripartenza realizzata senza aiuti della Stato. «Non ho mai chiesto una lira al governo
italiano e non abbiamo intenzione di chiedere niente - incalza l'ad di Fiat Chrysler -. Anche perché non credo
che il Paese in questo momento sia capace di affrontare una richiesta di aiuti. Mancano i soldi? E' il problema
principale, ma non dò la colpa a nessuno». Incalzato dai giornalisti Marchionne sostiene che il Jobs Act, il
piano del lavoro di Renzi, non avrà particolare influenza su Fiat. «Ma non voglio minimizzare quello che il
premier sta facendo, bisogna appoggiarlo». Poi spezza un'ulteriore lancia: «La riduzione del cuneo fiscale
incoraggia il Paese». Gli accordi sottoscritti fra la Fiat e i sindacati, però, secondo Marchionne consentono
all'azienda di portare avanti autonomamente le proprie scelte. Sul Jobs Act dice di non avere chiari i dettagli,
ma aggiunge: «La cosa importante è riconoscere che la Fiat ha preso con i sindacati accordi che hanno
creato una base su cui andare avanti e creare stabilità. Per noi queste altre manovre su cui sta lavorando
Renzi avranno un impatto, ma non immediato. Nel senso che il nostro sistema deve andare avanti e
cerchiamo di tornare all'utilizzo di tutti i nostri dipendenti. La cosa importante è riconoscere che il nostro
impegno è invariato anche senza il Jobs Act che ha un altro obiettivo: quello di risolvere il problema della
disoccupazione in Italia e attirare capitali esteri». A questo proposito Marchionne ribadisce per l'ennesima
volta che Fiat non ha mai lasciato l'Italia. «Ci stiamo muovendo internazionalmente. Entro sei mesi, con la
partenza anche della 500X, spero di poter usare tutti i dipendenti di Melfi e parte dei cassintegrati di
Pomigliano. La Jeep Renegade e la 500X sono più che sufficienti per completare la capacità produttiva di
Melfi». L'ultima battuta sul ventilato prestito convertendo da 2 miliardi di euro che ogni tanto torna a galla.
«Non ho niente da dire, non ho mai confermato che lo faremo. Abbiamo varie opzioni: ne parlerò già a
maggio alla presentazione del piano industriale. Se si faranno operazioni di finanziamento le realizzeremo
non prima del quarto trimestre di quest'anno o nel 2015».
Hanno detto
SERGIO MARCHIONNE
Ci stiamo muovendo sulla scena mondiale entro sei mesi vorremmo lavorare con tutti i dipendenti
della fabbrica di Melfi JOHN ELKANN
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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AL SALONE DI GINEVRA
05/03/2014
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Per noi un clima politico stabile è fondamentale L'abbiamo sempre auspicato, continuiamo a farlo
Foto: Sergio Marchionne John Elkann ieri al Salone di Ginevra
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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05/03/2014
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L'Ue è pronta all'infrazione per Italia, Croazia e Slovenia Padoan: arriva la riscossa
MARCO ZATTERIN
L'Italia è nel terzo gruppo e non è sola», sussurra una voce europea. Ieri sera tardi i tecnici della direzione
Ecofin della Commissione Ue A PAG. 7 stavano ancora mettendo a punto gli ultimi dettagli del loro «Esame
approfondito» delle politiche macroeconomiche dell'Unione europea. Il testo era mobile, ma la sostanza
appare definita. Bruxelles lamenta l'ormai inaccettabile bassa competitività del nostro sistema economico, e
denuncia un processo di riforme né davvero ambizioso, né abbastanza efficace. Per questo, salvo colpi di
scena, potremmo ritrovarci stamane con Slovenia e Croazia fra i paesi «con squilibri eccessivi», papabili per
una procedura speciale che, alla lunga, potrebbe anche portare ad un'ammenda da 0,1% del pil. E' il secondo
passo del più stretto coordinamento delle politiche economiche e di bilancio che l'Ue ha disegnato per dare
alla moneta unica il sistema di governo senza cui è apparsa zoppa durante la crisi. martedì scorso il
commissario all'Economia, Olli Rehn, ha varato le sue previsioni invernali, le tabelle per 2014 e 2015,
riferimento per l'organizzazione corale delle iniziative di rilancio prese a livello nazionale. Oggi tocca
all'esame degli squilibrii macro riscontrati in 17 paesi (Italia, Germania e Francia comprese). L'intero processo
si chiama «semestre europeo». E' la cosa più vicina a fare tutti insieme le singole singole leggi finanziarie.
Mentre la squadra del finlandese ha alzato le prospettive di sviluppo per l'Ue, l'Italia è uscita con le ossa rotte.
La stima del pil 2014 è stato tagliata rispetto alle previsioni autunnali allo 0,7 allo 0,6 per cento, lo stesso
numero della Grecia, il che rivelato la fotografia di un sistema esausto, zavorrato da un debito immenso
(133,7% del pil) e da una competitività esile che brucia quote di mercato mondiale. Lo scorso novembre,
nell'inserirci fra i paesi squilibrati, la Commissione aveva ribadito che i maggiori difetti sono le scarse
prestazioni dell'export, punta dell'iceberg d'una limitata capacità di stare sul mercato che gonfi ala
disoccupazione, e l'elevato indebitamento pubblico. E' passato l'inverno e gli indicatori rimangano oltre la
soglia di guardia. Per questo, l'appello che Rehn lancerà oggi al governo Renzi fresco di incarico e di riforme
promesse, sarà ancora di ottenere e conservare un elevato surplus primario, condizione indispnesabile per
ridimensionare il debito con decisione. Oltre a ciò, dirà «riforme, riforme, riforme!». Nell'affrontare i paesi
«squilibrati», la Commissione ha tre scelte: può dire che tutto è tornato normale; può stabilire che gli squilibri
restano, ma non sono gravi; può sentenziare che persistono e sono eccessivi, scenario che apre la porta
d'una procedura di sorveglianza speciale. L'Italia, secondo le fonti, oggi è destinata a scivolare dal secondo al
terzo club, in buona compagnia dei vicini di casa adriatici. Nel caso, non c'è da essere sorpresi. Secondo una
fonte, Bruxelles ci rinfaccia un eccessivo livello di tassazione fiscale, una strategia di imposte sul lavoro non
sufficientemente vincolata alla produttività, una pubblica amministrazione caotica, una giustizia civile lenta e
incerta, un mercato interno da liberalizzare. Per Matteo Renzi potrebbe anche non essere una cattiva notizia.
Alla luce della sua stringente tabella di marcia riformista, un vicolo esterno può tornare utile. Oltretutto, in
presemza di scompensi è davvero difficile immaginare che l'Ue ci conceda sconti sui tempi del rientro del
debito, il che sarebbe utile per liberare soldi per crescita e lavoro. Se dunque oggi ci sarà il disequilibrio
eccessivo, Bruxelles chiederà a Roma un piano di azioni correttive che comprenda i termini di attuazione
delle nuove misure. Qualora il cammino vanga ripetutamente violato, e solo in ultima istanza, la Commissione
potrà proporre al Consiglio di imporre un'ammenda dello 0,1% di Pil all'anno, ovvero 1,5 miliardi ogni dodici
mesi. E' una ragione in più per rimettere davvero in moto il cantiere Italia.
0,1%
del Pil L'ammenda che Bruxelles potrebbe comminare all'Italia: 1,5 miliardi ogni anno
Foto: Sfiancate La competitività delle nostre imprese, dice l'Europa, è a zero: colpa delle riforme rinviate
troppo a lungo ALBERTO BEVILACQUA/ BUENAVISTA
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"Competitività, fate troppo poco"
05/03/2014
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FRANCESCO MANACORDA
Che cosa succederà se oggi - come pare probabile - arriverà l'annuncio che Bruxelles è pronta PAGINA a
mettere sotto osservazione l'Italia per le riforme che latitano? L'eterno dibattito su quello che andrebbe fatto e
non si riesce mai a fare per riaccendere la crescita e liberare le forze del Paese uscirà forse da una
dimensione finora compresa tra l'accademia e i dibattiti politici da talk show per entrare nella concretezza, e
nei vincoli, delle procedure europee. È uno scenario realistico, come racconta all'interno del giornale Marco
Zatterin. Fino alla scorsa notte, infatti, l'Italia era in fondo alla lista delle riforme attuate, assieme a due
partner come la Slovenia e la Croazia, fra i «bocciati» dalla Commissione europea. E oggi, a meno di ribaltoni
dell'ultimo minuto, potrebbe vedere sancita la sua grave insufficienza su questo fronte con tutto quello che ne
consegue: un periodo da «sorvegliata speciale», il monitoraggio della Commissione sulle azioni intraprese
per rispettare le sue richieste, fino all'ipotesi estrema di vedere l'Italia sottoposta a una procedura d'infrazione
simile a quella per deficit eccessivo, dalla quale per inciso è uscita appena lo scorso maggio. Condannati alle
riforme, insomma. Se accadrà non è detto che sia necessariamente un male. Per Matteo Renzi l'esistenza di
un «vincolo esterno» europeo potrebbe perfino trasformarsi in un mezzo per accelerare ancora di più quella
spinta riformatrice che finora ha ampiamente evocato. Per la Commissione e per i partner comunitari, però,
non è certo la riforma elettorale che il premier si prepara ad incassare quella che può rendere competitiva la
nostra economia. La lista dei compiti a casa che Bruxelles ci darà è più lunga e approfondita e forse più
scontata, visto che se ne parla da anni senza risultati apprezzabili: un sistema di ammortizzatori sociali che
privilegi la protezione del lavoratore rispetto a quella del posto di lavoro, misure mirate contro la
disoccupazione giovanile, un carico fiscale che non penalizzi il lavoro dipendente e l'attività d'impresa, un
contesto economico che attiri gli investimenti stranieri, maggiore competizione nelle professioni e nei servizi...
L'elenco potrebbe continuare, guardando anche a cosa ci chiedono il Fondo monetario internazionale o
quell'Ocse da cui arriva il nuovo ministro dell'Economia. Del resto, come ha detto nei giorni scorsi il
presidente della Bce Mario Draghi, «il problema non è cosa fare, ma farlo»; non ci sono insomma formule
magiche da scoprire, ma serve la volontà di applicare ricette già conosciute. Se un problema esiste, nella
condanna alle riforme per mano europea, è però quello che finora si è evidenziato nel campo della finanza
pubblica. L'ortodossia comunitaria ha visto l'austerità di bilancio come condizione imprescindibile, anche a
costo di mancare azioni di ripresa nelle economie del Sud Europa. Allo stesso modo un'agenda riformatrice
dettata da Bruxelles rischia di puntare molto sulla competitività e di non prendere in considerazione azioni
straordinarie di cui pure l'Italia ha gran bisogno come il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.
È un rischio che nei limiti del possibile andrà evitato.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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CONDANNATI A CAMBIARE
05/03/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Innovazione, l'Italia resta al palo Si salvano Emilia, Piemonte e Friuli
Nella classifica europea solo tre regioni "al passo", mentre il resto del Paese arranca ALL'AVANGUARDIA Le
Regioni promosse sono capaci di orientare i fondi e costruire la formazione IN DIFFICOLTÀ Nelle altre si fa
sentire la difficoltà di comunicazione tra imprese e burocrazia
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Innovatori «moderati», è la definizione, un modo per dire che l'Italia è
nella parte bassa della classifica e gioca un campionato che si ricorderà solo perché di retrocessione non s'è
mai parlato veramente. I bravi sono chiamati i «leader», i soliti noti, svedesi, danesi, tedeschi, finlandesi,
quelli che nel futuro investono sul serio. Noi inseguiamo distanti, ma non tutti, per fortuna. Mentre il paese
guarda avanti e arranca, Piemonte, EmiliaRomagna e Friuli sono agganciate saldamente all'Europa. Sanno
orientare i fondi, formano i giovani, studiano, programmano. Sono sistemi «al passo». Quelli che, con un po'
di impegno in più e uno stato vero dietro le spalle, potrebbero anche toccare il cielo. Non ci sono né sorprese,
né miracoli. Il quadro di valutazione sull'Innovazione pubblicato ieri dalla Commissione Ue rileva che l'Europa
sta colmando il divario con Usa e Giappone, ma le differenze sul piano della resa innovativa tra gli stati
restano considerevoli e si riducono lentamente. Soprattutto, la Corea del Nord, inarrestabili lepre tecnologica,
continua ad aumentare il divario che la separa dagli inseguitori: l'indice che misura tasso di crescita
dell'Innovazione è del 6% (periodo 200613); in Europa è del 2,7, meno di metà; visti i tempi, è interessante
notare che la Russia è negativa dell'1,8%. L'Italia non va bene, tuttavia qualche progresso l'ha fatto. La
Commissione nota che la prestazione innovativa del sistema è salita stabilmente sino al 2012, «salvo far
segnare un piccolo declino nel 2013»; la performance relativa rispetto alla media Ue è ora del 20 per cento
più bassa. Antonio Tajani, commissario europeo per l'industria, che la benzina che manca nel motore del Bel
Paese è quella delle riforme. «Quando c'è un fardello fiscale così forte sulle imprese è difficile investire molto
in innovazione e ricerca - ha spiegato -. La Commissione ha sempre raccomandato al governo italiano, e
credo continuerà a farlo, di ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo». Il Bel Paese, si legge nel
rapporto europeo, fa peggio della media su numerosi indicatori. «Una debolezza relativa la si riscontra nella
presenza di studenti di dottorato non Ue, come nella limitata collaborazione reciproca delle imprese che
innovano». Per contro, una buona evoluzione la si riscontra delle pubblicazioni scientifiche e nei ricavi che si
ottengono da brevetti e dalle licenze vendute all'estero. In fase declino, purtroppo, gli investimenti di venture
capital, la spesa per l'innovazione non legata alla ricerca & sviluppo. E' l'Italia, per farla breve. E in quanto
tale ha le sue grandi bellezze, sulla mappa sono le tre regioni in verde chiaro («al passo coi leader») nella
penisola tutta gialla («innovatrice moderata»), degli avanguardisti dello sviluppo, piemontesi, emilianoromagnoli, friulani. I primi sono nel gruppo vicino ai migliori da almeno quattro anni, gli altri sono appena
arrivati. Vero è che il Mezzogiorno sta recuperando ed è ora al livello della Lombardia. Però, nell'insieme,
viene fuori che l'Italia veste una livrea da leopardo con solo tre macchie innovative. «In Piemonte - argomenta
il commissario italiano - c'è un tessuto industriale forte che ha permesso di resistere meglio alla crisi rispetto
ad altre realtà nazionali». A suo avviso, «la presenza della Fiat è stata importante come tutto il sistema delle
piccole imprese, hanno fatto la differenza mentre il Paese faticava». La regione sabauda è in effetti la
migliore a livello nazionale per l'innovazione del business, per la capacità delle piccole imprese di evolversi
con progetti fatti in casa e la dote di saper introdurre i processi. E' regina, infine, anche per la qualità della
manodopera ad alta specializzazione. Chapeau! A parte invocare manovre di intervento sulla struttura
dell'economia, Bruxelles si propone di aiutare lo sviluppo tecnologico allargando i cordoni della borsa.
Riassume Johannes Hahn, responsabile Ue per le politiche regionali, che «più di 100 miliardi investimenti a
valere sui Fondi strutturali e di investimento saranno destinati alla ricerca e all'innovazione come anche alla
crescita digitale, alle piccole e medie imprese e allo sviluppo di energie verdi ed efficienti». Saranno iniezioni
mirate, per le quali serviranno progetti specifici. Serve una pubblica amministrazione che funziona e questi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Dossier / L'impresa che guarda avanti
05/03/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:309253, tiratura:418328)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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rimanda alle riforme. Quelle da fare per tornare a correre.
La classifica 0.800 0.700 0.600 0.500 0.400 0.300 0.200 0.100 Leader Modesti Moderati Emergenti Bulgaria
Lettonia Romania Polonia Lituania Croazia Malta Slovacchia Ungheria Grecia Portogallo Spagna Rep. Ceca
ITALIA Cipro Estonia Svezia UE Francia Austria Irlanda Regno Unito Belgio Olanda Lussemburgo Finlandia
Germania Danimarca Svizzera A E
La mappa Irlanda Francia Spagna Regno Unito Belgio Olanda ITALIA Svezia Polonia Croazia Grecia
Romania Bulgaria Portogallo Leader Emergenti Moderati Modesti Norvegia Danimarca Germania Repubbica
Ceca Ungheria Slovacchia
05/03/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
La cassaforte della Apple a un italiano
Antonio Pascale
Un giovane manager romano, Luca Maestri, cinquant'anni, sta per diventare chief financial officer del colosso
Apple. Descrizione lunga ma in sintesi e nella sostanza Maestri curerà le finanze (una liquidità-monstre pari a
160 miliardi di dollari) della Apple e questa sarà, si immagina, una sfida particolarmente impegnativa, visto
che Maestri sostituirà Peter Oppenheimer. Continua a pag. 24 Andrei a pag. 22 ROMA Una carriera lampo,
così come piace agli americani. Solo che lui, Luca Maestri, è nato e cresciuto a Roma dove si è anche
laureato. Oggi è il numero due designato di una delle più grandi aziende del mondo, Apple. È stato nominato
ieri nuovo cfo, l'equivalente del direttore finanziario che opera nelle aziende italiane. In pratica, a lui fa capo la
gestione della liquidità di Apple, valutata in 160 miliardi di dollari. Il cinquantenne Maestri succede a Peter
Oppenheimer, storico manager della Mela che lascia dopo aver ricoperto il ruolo di cfo dal 2003. Maestri è
entrato nell'azienda di Cupertino solo un anno fa, a marzo 2013, dopo una carriera ventennale come top
manager in General Motors, Nokia-Siemens e Xerox. Già si sapeva che sarebbe andato lontano, ed è lo
stesso Tim Cook, ceo di Apple, a raccontarlo: «Abbiamo incontrato Luca quando cercavamo un corporate
controller, e abbiamo capito subito che sarebbe stato un ottimo successore di Peter». Uno degli aspetti che
più pesa sul curriculum del prossimo direttore finanziario di Cupertino è probabilmente la sua conoscenza dei
mercati asiatici, che hanno un ruolo cruciale nelle strategie future di Apple. Maestri infatti, dopo essersi
laureato in Economia alla Luiss nel 1988 e aver conseguito un master in Scienze del management a Boston,
ha lavorato in America, in Europa e anche in Asia. FORMATO ALLA LUISS «Per noi è un grande orgoglio, è
il nostro Oscar»: non nasconde la sua gioia Giovanni Lo Storto, direttore generale della Luiss Guido Carli.
«Luca - commenta Lo Storto - ha vissuto e lavorato in molti Paesi, ma ha esportato all'estero il nostro
modello, quello che cerchiamo di insegnare all'università». Ma che non si parli di fuga di cervelli: «I confini
ormai non esistono più: bisogna preparare i nuovi talenti a fare bene nel loro Paese ma anche a confrontarsi
con nuove sfide altrove». A partire dagli inizi di giugno, Maestri affiancherà Oppenheimer per poi prendere il
suo posto alla fine di settembre. Un'eredità, quella di Oppenheimer, non facile da raccogliere. Il manager
entrò nell'azienda di Cupertino nel 1996, quando la rivoluzione degli iPod era ancora lontana e Apple viveva
un momento di grande crisi, poi superata grazie al ritorno di Steve Jobs. Durante la sua permanenza in
Apple, il fatturato annuo dell'azienda è passato da 8 miliardi a 171 miliardi. La palla ora passa all'estro
italiano. Andrea Andrei
Foto: Luca Maestri, nuovo direttore finanziario di Apple
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Nominato Maestri
05/03/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Tasi, aumenti confermati E la Chiesa non pagherà
Mano libera ai Comuni in cambio di detrazioni Esentati luoghi di culto e immobili del Vaticano
Gian Maria De Francesco
Roma La prima stangata del governo Renzi ha preso la sua forma definitiva. Anche se la Chiesa potrà
evitarla grazie all'esenzione totale. Il testo del decreto «salva-Roma», con il bollino della Ragioneria generale
dello Stato, consente ai Comuni di aumentare ulteriormente fino allo 0,8 per mille le aliquote Tasi «a
condizione che siano finanziate detrazioni d'imposta o altre misure relative alleabitazioni principali e alle unità
immobiliari a esse equiparate» tali da generare effetti equivalenti a quelli dell'Imu. In buona sostanza, però, il
maxiaumento serve a finanziare un contributo a favore dei Comuni di 625 milioni di euro per il 2014. Spetterà
a un decreto del ministro dell'Economia, di concerto con il ministro dell'Interno, individuare la quota di risorse
che spetterà a ciascun ente locale, tenendo conto dei gettiti standard ed effettivi dell'Imu e della Tasi.
Insomma, il finanziamento delle detrazioni si rivela una «maschera»: il decreto continua a foraggiare la spesa
corrente dei sindaci evitando, per quanto possibile, situazioni di dissesto finanziario. D'altronde, se il
provvedimento si chiama «salva-Roma», un occhio di riguardo per i sindaci era quasi obbligato soprattutto
considerando la precedente occupazione dell'attuale premier. Per quanto riguarda la Capitale sono
confermate le indicazioni emerse nei giorni scorsi. La gestione commissariale del debito di Roma si accolla
altri 115 milioni di oneri. Viene inoltre confermato il contributo di 350 milioni per il finanziamento della massa
debitoria. Lo Stato pretende, tuttavia, che la Capitale elabori un business plan contenente:dismissioni o
liquidazione delle partecipate chenon esercitino servizio pubblico (resta perciò in bilico la cessione in tutto o
in parte del 51% della utility quotata Acea), adozione dei »costi standard parametrati a quelli delle grandi città
italiane, tagli al personale delle municipalizzate in perdita previo accordo coi sindacati e liberalizzazioni del
trasporto pubblico locale e della nettezza urbana. Una delle notizie di principale rilievo, però, è rappresentata
dalla conferma delle esenzioni Tasi per tutti «i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto». La
Santa Sede non sarà tenuta al versamento dell'imposta per gli immobili di proprietà indicati nei Patti
Lateranensi. Confermati, infine, i 20 milioni di euro per garantire i servizi di pulizia e gli ausiliari in 3.500
scuole a marzo. E per i cittadini? A loro non resta che pagare la Tasi e la Tari (il nuovo nome della tassa sui
rifiuti). I Comuni dovranno stabilire le scadenze di pagamento (mediante il ricorso al modello F24 o al
bollettino postale) prevedendo almeno due rate semestrali e in modo differenziato per le due tasse in modo
da diluire la mazzata. Sarà comunque possibile il pagamento in un'unica soluzione entro il 16 giugno di ogni
anno.
0,8 Lo 0,8 per mille è il massimo aumento dell'aliquota che i Comuni potranno applicaresulla Tasinel 2014
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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LE MISURE La scadenza (anche per la Tari) è il 16 giugno
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MF - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Stefano Mazzocchi*
Sul piano fiscale, la voluntary disclosure, cioè l'autodenuncia degli asset detenuti all'estero, prevede la
rideterminazione dell'imponibile dichiarato, per cui al reddito calcolato nel Modello Unico originariamente
presentato dovranno essere aggiunti, per ciascun periodo d'imposta, gli imponibili conseguiti dalla gestione di
quest asset. Ma a chi può interessare questo provvedimento? Dal punto di vista sistematico distinguiamo fra
chi abbia un interesse diretto a prendere in considerazione la richiesta di autodenuncia con chi abbia, invece,
un interesse indiretto alla presentazione della voluntary disclosure. Nel primo caso, il diretto interessato alla
presentazione dell'autodenuncia potrebbe essere: - il soggetto che disponga della documentazione integrale
dei rapporti intrattenuti all'estero da presentare all'Ucifi che sarà l'ufficio finanziario delegato alla valutazione
della voluntary disclosure. Si ricorda che la presentazione di documenti falsi o incompleti potrebbe
determinare l'avvio di un procedimento penale per il richiedente; - il contribuente titolare di patrimoni
«esterovestiti», conseguiti o gestiti nel corso degli anni, sui quali le possibili azioni di accertamenti sono inibite
dallo scadere dei termini di prescrizione. A seconda della localizzazione fisica delle attività e delle sanzioni
comminabili, i periodi accertabili decorrono dal 2003 o dal 2005 in avanti; - la persona fisica che
contemporaneamente sia titolare di patrimoni esteri che tuttavia non siano mai stati alimentati, anche tramite
attività economiche svolte in Italia. Infatti, in caso contrario, l'attività o la società che abbia contribuito alla
movimentazione del conto estero potrebbe essere oggetto di una successiva verifica fiscale - penale; - colui
che detenga patrimoni e/o beni all'estero e abbia dei redditi imponibili in Italia di scarsa rilevanza con, magari,
ampi scostamenti rispetto al calcolo presuntivo, effettuato con lo strumento del redditometro. In questo caso,
il richiedente potrebbe beneficiare di aliquote marginali Irpef contenute e sistemare la propria posizione ai fini
del redditometro; - il soggetto che abbia ricevuto in eredità dei patrimoni finanziari consistenti che siano da
regolarizzare, al fine di permettere il loro rientro fra i confini italiani; - la persona che gestisca dei patrimoni,
solo ed esclusivamente, tramite investimenti di natura finanziaria dove, in questo specifico caso, a seconda
dei periodi d'imposta, la tassazione avvenga con imposte sostitutive e/o con ritenute a titolo d'imposta.
Esistono poi alcuni casi in cui è necessario e conveniente effettuare la voluntary disclosure poiché, magari,
un terzo abbia segnalato, all'interno della propria autodenuncia, delle movimentazioni finanziarie economiche, a beneficio di un'altra persona fisica, la quale quindi dovrà a sua volta presentare la disclosure
per beneficiare delle agevolazioni previste all'interno del noto provvedimento. Ecco, quindi, le situazioni che si
potrebbero creare: - un soggetto che risulti solo formalmente intestatario di patrimoni e/o di società offshore
vuole uscire da posizioni scomode, attribuendo ai reali beneficiari i patrimoni e i redditi solo formalmente a Lui
intestati. È ovvio che vi sia da parte del terzo un interesse indiretto a che il reale proprietario presenti l'auto
denuncia; - una persona viene a conoscenza che altri soggetti, correlati o collegati, hanno appunto aderito
alla richiesta di autodenuncia, avendo evidenziato, nella documentazione fornita all'Ucifi, di aver intrattenuto
dei rapporti esteri con quest'ultima che sarà, a questo punto, «coobbligata indiretta» alla presentazione della
domanda. Entrambi saranno, quindi, interessati a essere «allineati» sul piano documentale. A questo punto
sarà fondamentale valutare in via preliminare la possibilità di presentare la voluntary disclosure, poiché
l'autodenuncia, una volta presentata, non è più ritirabile né tanto meno ritrattabile. (riproduzione riservata)
*fiscalista e presidente Cna Consulenza
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Ecco in quali casi conviene davvero presentare la voluntary disclosure
05/03/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Edoardo Narduzzi
La disoccupazione ha toccato un nuovo picco che non registrava più dagli anni Settanta, quelli degli shock
petroliferi e dell'inflazione a doppia cifra. Quella giovanile è al record storico del 42,4%, un dato
impressionante che quantifica l'ammontare di pil potenziale sacrificato dall'Italia sull'altare della sua
incapacità di riformarsi. Certamente, parte della crescita della disoccupazione è da imputare al peggiore ciclo
recessivo dal secondo dopoguerra in poi. Oltre il 9% della ricchezza nazionale è stato bruciato dal 2008 per
colpa delle politiche economiche sbagliate dei vari governi che si sono succeduti. Ma è anche vero che, per
fare ripartire l'occupazione, l'Italia deve ripensare il suo modello di business, per dirla con il linguaggio
dell'imprenditoria. Per molti decenni la forza lavoro italiana è stata soprattutto occupata in settori focalizzati
sull'interno e protetti, cioè poco esposti alla concorrenza internazionale, come la pubblica amministrazione, le
banche o il settore dei trasporti. Il crollo della domanda interna e i vincoli europei alla spesa pubblica corrente
hanno rivoluzionato questo contesto. La pubblica amministrazione non può più assumere ad libitum agendo
come se fosse una sorta di ammortizzatore sociale, cioè quello che una distorta cultura politico-sindacale le
ha fatto fare per troppo tempo; le aziende di credito sono state progressivamente limitate nei loro processi
tradizionali di intermediazione dalle nuove tecnologie; la sanità deve garantire il pareggio di bilancio dei suoi
servizi e non può più generare deficit che ricadrebbero sulle spalle delle generazioni future. Il risultato è ora
sotto gli occhi di tutti: le imprese italiane hanno ristrutturato in profondità i rispettivi meccanismi di produzione
di beni e servizi, ridisegnando i fabbisogni occupazionali per adattarli al mondo nato con la nuova grande crisi
e la globalizzazione (si tratta ovviamente di tutti i settori tranne la pubblica amministrazione che resta
incapace di licenziare e di tagliare personale). I posti di lavoro scomparsi dalle banche, dalla sanità, dalle
telecomunicazioni o dalle assicurazioni certo non ritorneranno più tanto copiosi come lo sono stati nel
passato, per la semplice ragione che il contesto competitivo, anche all'interno dei confini nazionali, è stato
rivoluzionato. E il solo export non può bastare a far ripartire la domanda di lavoro, perché solo parte
dell'effetto delle maggiori esportazioni ha ricadute sull'occupazione all'interno. Quindi occorre battere nuove
strade. All'Italia servono nuove imprese nei nuovi servizi prodotti dall'innovazione. Peraltro sarebbero queste
aziende le uniche interessate al lavoro dei giovani. Bisogna allora trovare la determinazione per incoraggiare,
senza farsi troppo distrarre dalle sole crisi stile Electrolux, gli investimenti, anche internazionali, nei nuovi
settori del terziario avanzato, capaci peraltro di non servire esclusivamente la domanda interna. Insomma
serve il mappamondo davanti e il coraggio di rischiare il mare aperto. (riproduzione riservata)
Foto: Giuliano Poletti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/03/2014
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Per l'occupazione si punti sui nuovi settori