GALLIZIOLI nei meandri

ROCCA 1 MAGGIO 2014
Marco
Gallizioli
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E
ssere insegnanti nella società contemporanea è operazione sempre
più complessa. Il ruolo del docente, infatti, è attaccato da più parti
e spesso ci si sente strattonati in
varie direzioni senza poter opporre resistenza. Da anni si assiste ad una lenta, ma inesorabile demolizione della figura
dell’insegnante, criticato dalle famiglie,
dalla società, dalla politica, dai suoi colleghi e, dulcis in fundo, dagli studenti. I genitori, spesso, imputano ai docenti di avere
scarsa sensibilità nei confronti dei propri
figli e, a volte, si sporgono oltre il limite della
difesa ad oltranza, senza comprendere che
sarebbe necessario agire di concerto per riuscire a stanare quella sorda indifferenza che
circonda alcuni adolescenti.
La società, poi, guarda con sufficienza alla
professionalità del docente, pensando che,
se ci si ritrova a svolgere tale occupazione, è
perché non s’è potuto scegliere nient’altro.
La politica, poi, ha fornito un ritratto imbarazzante del docente, contribuendo a minarne la legittimità sociale, mortificandone la
professionalità e, più in generale, sforbiciando sui budget scolastici senza alcun altro criterio se non quello del risparmio fine a se
stesso. Anche tra colleghi, poi, manca uno
spirito veramente collaborativo, basato su
un reale confronto relativo alle metodologie
e ai criteri valutativi, e finalizzato ad un arricchimento collettivo, mentre, al contrario,
vige un certo sospetto reciproco, il più delle
volte mascherato da un irenismo di circostanza. Gli studenti, poi, si sa, diffidano sempre anche del più amabile dei «prof», come,
d’altra parte, è anche giusto che avvenga,
secondo il classico gioco delle parti. Se è
ovvio che, all’interno del corpo docente, vi
sono insegnanti che non aiutano a superare
questi stereotipi, occorre anche riconoscere
che un’altissima percentuale dei professori
ora in servizio, svolge il proprio lavoro con
dedizione e accuratezza, nonostante tutti i
«nonostante» fin qui elencati.
una classe di fronte alla diversità
Ma, concentrandosi sulle provocazioni che
vengono dal basso, la complessità dell’insegnare oggi viene sollevata anche da un’altra
serie di questioni che, fino a non tanto tempo fa, rimanevano decisamente sullo sfondo nel rapporto tra docente e studenti. Una
tra le più importanti è quella relativa alla
presenza, in classe, di studenti che, nel corso del loro quinquennio di istruzione superiore, prendono coscienza della loro omosessualità o della loro differenza di genere e,
sempre più spesso, decidono di fare coming
out. Davanti a questa realtà, la scuola italiana è davvero arretrata e sprovveduta di mezzi. Con una certa ipocrisia tutta nostrana, la
questione della sessualità, intesa come dimensione di relazione e di affettività, è stata
sublimata nella scuola, sotto l’azione di veti
incrociati e di posizioni falsamente ideologiche. Questo silenzio, però, è anche coinciso con un’emersione sociale del fenomeno
che, da privato, sta divenendo, di anno in
anno, sempre più pubblico. Sdoganato dai
mass media e da internet, il tema dell’omosessualità porta un numero crescente di gio-
DIARIO SCOLASTICO
nei meandri
della differenza
ché ho cominciato a pensare a quali processi si sarebbero innescati e a come li avrei
potuti arginare, se non proprio gestire. In
primo luogo, poi, questa prosa asciutta, semplice, lineare, intrisa di sofferenza, ma anche di un certo orgoglio coraggioso, mi ha
dato la misura delle profonde trasformazioni sociali che, in questi ultimi anni, si stanno producendo anche nella sonnacchiosa
Italia. I nostri ragazzi, che guardano Mtv, la
rete, le serie televisive americane, che bazzicano sui social network, hanno più dimestichezza con certi capitoli del mondo affettivo di quanta non ne avessero i loro colleghi di solo dieci anni fa. Federico mi scriveva che era cosciente di quante difficoltà
avrebbe sollevato, ma era anche caparbiamente convinto che la menzogna di fingersi
altro da sé non lo avrebbe aiutato a crescere. Mi colpiva anche il fatto che Federico non
domandasse un mio parere, non esponesse
dei dubbi, non si presentasse come confuso
o indeciso, ma, al contrario, avesse le idee
molto chiare su ciò che sentiva e su come si
percepiva. Da me chiedeva solo solidarietà
e coerenza, quasi a verificare, con una sorta
di proprietà transitiva a livello morale, se ciò
che avevo sostenuto in classe in altre occasioni, relativamente ad episodi di discriminazione assurti agli onori delle cronache nazionali, fosse davvero ciò che pensavo, al di
là dell’ipocrisia della retorica. «Non mi sento diverso» – scriveva Federico in un passaggio che parafraso con beneficio d’inventario – «ma mi sento speciale, come lo siamo tutti», con una logica semplice e di cristallino nitore.
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vani a rivendicare la propria identità sessuale, quale essa sia, percorrendo sentieri non
sempre facili ed immediati, che creano reazioni, di grado differente, nelle varie componenti scolastiche e che, generalmente, finiscono con l’interpellare i docenti, i quali
quasi mai hanno risorse concrete per poter
gestire le situazioni in modo proficuo per tutti.
Un allievo che in classe arriva a dichiarare
la propria bisessualità od omosessualità stana in tutti gli altri allievi e nei docenti ogni
residuo di tendenza alla discriminazione,
generando una reazione a catena aperta a
qualsiasi sviluppo. In primo luogo, ovviamente, la discriminazione tout court è sempre in agguato, perché non tutti i compagni
sono pronti a confrontarsi con una realtà di
cui sono venuti a contatto, in precedenza,
solo attraverso stereotipi di bassa caratura.
Una notizia così, in un gruppo di adolescenti, crea una sorta di tzunami emotivo, le cui
onde lunghe vanno dalle reazioni astiose e
indisponenti, a quelle ironiche o sarcastiche,
dal silenzio impenetrabile, all’accettazione
e al sostegno. Se, poi, l’episodio si verifica in
una classe terminale, in una quarta o in una
quinta, la gestione delle dinamiche di gruppo risulta più semplice, ma se il coming out
ha luogo in una prima o in una seconda, la
situazione si complica notevolmente. Così,
quando Federico, mesi fa, mi ha comunicato, in un tema dalla bellezza amara e toccante, di aver deciso di aprirsi alla verità del
suo sentirsi gay in primo luogo con se stesso, poi con me, i genitori e i compagni, devo
ammettere di aver sentito i sudori freddi. Ovviamente, non per la notizia in sé, ma per-
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.
Veronica se non fossi gay ti sposerei
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DIARIO
SCOLASTICO
Se, in un primo momento, la classe non ha
dimostrato di reagire in modo scomposto,
col passare del tempo, alcune screziature
si sono cominciate a manifestare, in particolare in un gruppetto di compagni maschi:
battute, stoccate, forme di isolamento, niente di apparentemente grave o manifestamente violento, ma in ogni caso segni di
un fermento sotto la quiete di superficie
che, da insegnante di lettere, non potevo
non registrare, né ignorare. Ma in che modo
affrontare l’argomento? Con l’assenso previo dei genitori, ho deciso di chiedere ai
ragazzi di scrivere una lettera a Federico,
per parlargli con franchezza di ciò che non
avevano capito e anche di ciò che non potevano accettare. Ho sottolineato, poi, che
del sarcasmo gretto, figlio dell’ignoranza e
della paura, non avremmo saputo cosa farcene, e che, invece, con onestà avremmo
potuto aiutarci assieme a capire. Nessuno,
ovviamente, era obbligato a cambiare le
proprie opinioni, ma solo sollecitato ad interagire, a ricondurle nell’alveo di un dialogo aperto. Ovviamente, da alcuni ragazzi
sono piovute generalizzazioni a bizzeffe, alcune innocenti ed altre armate dalla penna
appuntita di qualche genitore intransigente o di qualche collega poco propenso ad
accettare che a scuola si offrisse spazio a
certe questioni. Ho deciso che avremmo
letto tutte le lettere ad alta voce, compresa
quella redatta da me, perché, come Federico, anche ciascuno di noi avrebbe dovuto
avere il coraggio delle proprie idee. Ho chiarito, poi, che Federico, pur essendo il destinatario delle missive, in realtà non avrebbe
dovuto diventare una sorta di imputato, né
dello stesso Autore di grande interlocutore, ma che, al contrario, tutti ci saremmo resi protagonisti, comLA RELIGIONE
mentando ed interagendo insieme. Il risulFAI DA TE
tato è stato sorprendente: da un lato, infatil fascino
ti, come anticipato, alcuni scritti contenedel sacro
vano le solite generalizzazioni, relative al
nel postmoderno
fatto che, pur essendo giusto che ciascuno
pp. 112 - i 13,00
viva come gli aggrada, è anche vero che
vedere due «maschi» o due «femmine» che
(vedi Indice
camminano per strada tenendosi per mano
in RoccaLibri
www.rocca.cittadella.org) non è «normale» e «fa schifo», o che, se si
«può arrivare a tollerare» che due persone
per i lettori di Rocca dello stesso sesso stiano assieme, però «spo• 10,00 anziché
sarsi e adottare un figlio, no è poi no!», ma,
• 13,00
dall’altro, alcuni ragazzi hanno esposto rispedizione compresa flessioni di una maturità davvero sorprendente. Per esempio Veronica, quattordicenrichiedere a
ne diafana e timidissima, mi ha commosso
Rocca - Cittadella
e reso orgoglioso, prendendo la parola con
06081 Assisi
voce insieme tremante e stentorea. Veronie-mail
[email protected] ca, fremente, vibrava di una stupenda indi24
gnazione e sosteneva, tra mille «cioè» e «comunque», con frasi spezzate e involute, un
ragionamento che filava liscissimo ugualmente: tutta la questione, voleva ribadire,
ai suoi occhi era assurda, perché Federico
era sempre lo stesso di ieri e che tutto questo parlare era una perdita di tempo; diceva che gli adulti dovrebbero essere più coerenti e lineari, perché parlano parlano, poi,
non appena uno dice che è gay non sanno
più come comportarsi. Veronica affermava, sempre più accalorata, che se si dispone di intelligenza è abbastanza facile osservare che sono i grandi a creare degli steccati e delle gerarchie, ad educare i bambini
a cogliere delle differenze che altrimenti
loro – i bambini – non vedrebbero.
Diceva che è lampante quanto si potrebbe
vivere meglio in un luogo nel quale tutti i
soggetti collaborassero per aiutarsi o, almeno, per rispettarsi a vicenda. E poi terminava con una frase lapidaria, lanciata contro la sordità, l’imbarazzo, l’inadeguatezza
del mondo degli educatori che ancora ricordo, letteralmente, perché tutti insieme,
in classe, l’abbiamo voluta annotare, dopo
averla ringraziata: «Vorrei essere educata
all’idea che possedere caratteristiche, abilità e qualità differenti dagli altri, sia solo
un motivo in più per essere amici, grazie!».
Veronica avrebbe voluto essere educata al
rispetto della differenza, al rispetto di quella diversità che vedeva costruirsi intorno a
Federico ma che, nel contempo, lei voleva
rifiutare, o meglio, non riconoscere come
tale. Veronica chiedeva alla scuola di saper
costruire una società migliore, nella quale,
pur nelle infinite rifrazioni ideologiche, religiose, individuali, le persone potessero convivere nel rispetto reciproco. Veronica tirava le orecchie ad un sistema-scuola incapace di educarla ad essere davvero migliore. E
con Veronica, anche Chiara, Andrea, Aurora, Marco e tanti altri hanno voluto testimoniare la loro adolescente indignazione per
un mondo, quello adulto, pieno di stereotipi
e ipocrisie. Hanno discusso anche con tratti
di stupenda veemenza con i loro compagni
più tradizionalisti, cercando di spiegare loro
perché quella di Federico non avrebbe dovuto essere una notizia e, così facendo, senza rendersene conto, spiegavano la stessa
cosa anche a loro stessi. E allora Federico,
sorpreso da tanta solidarietà, voltandosi con
un sorriso raggiante e contagioso verso Veronica, che aveva innescato tutto quel sano
putiferio, le ha detto, con un candore intonato ed ironico: «Veronica, grazie... sai, se
non fossi gay ti sposerei!».
Marco Gallizioli