ROCCA 1 MAGGIO 2014 Marco Gallizioli 22 E ssere insegnanti nella società contemporanea è operazione sempre più complessa. Il ruolo del docente, infatti, è attaccato da più parti e spesso ci si sente strattonati in varie direzioni senza poter opporre resistenza. Da anni si assiste ad una lenta, ma inesorabile demolizione della figura dell’insegnante, criticato dalle famiglie, dalla società, dalla politica, dai suoi colleghi e, dulcis in fundo, dagli studenti. I genitori, spesso, imputano ai docenti di avere scarsa sensibilità nei confronti dei propri figli e, a volte, si sporgono oltre il limite della difesa ad oltranza, senza comprendere che sarebbe necessario agire di concerto per riuscire a stanare quella sorda indifferenza che circonda alcuni adolescenti. La società, poi, guarda con sufficienza alla professionalità del docente, pensando che, se ci si ritrova a svolgere tale occupazione, è perché non s’è potuto scegliere nient’altro. La politica, poi, ha fornito un ritratto imbarazzante del docente, contribuendo a minarne la legittimità sociale, mortificandone la professionalità e, più in generale, sforbiciando sui budget scolastici senza alcun altro criterio se non quello del risparmio fine a se stesso. Anche tra colleghi, poi, manca uno spirito veramente collaborativo, basato su un reale confronto relativo alle metodologie e ai criteri valutativi, e finalizzato ad un arricchimento collettivo, mentre, al contrario, vige un certo sospetto reciproco, il più delle volte mascherato da un irenismo di circostanza. Gli studenti, poi, si sa, diffidano sempre anche del più amabile dei «prof», come, d’altra parte, è anche giusto che avvenga, secondo il classico gioco delle parti. Se è ovvio che, all’interno del corpo docente, vi sono insegnanti che non aiutano a superare questi stereotipi, occorre anche riconoscere che un’altissima percentuale dei professori ora in servizio, svolge il proprio lavoro con dedizione e accuratezza, nonostante tutti i «nonostante» fin qui elencati. una classe di fronte alla diversità Ma, concentrandosi sulle provocazioni che vengono dal basso, la complessità dell’insegnare oggi viene sollevata anche da un’altra serie di questioni che, fino a non tanto tempo fa, rimanevano decisamente sullo sfondo nel rapporto tra docente e studenti. Una tra le più importanti è quella relativa alla presenza, in classe, di studenti che, nel corso del loro quinquennio di istruzione superiore, prendono coscienza della loro omosessualità o della loro differenza di genere e, sempre più spesso, decidono di fare coming out. Davanti a questa realtà, la scuola italiana è davvero arretrata e sprovveduta di mezzi. Con una certa ipocrisia tutta nostrana, la questione della sessualità, intesa come dimensione di relazione e di affettività, è stata sublimata nella scuola, sotto l’azione di veti incrociati e di posizioni falsamente ideologiche. Questo silenzio, però, è anche coinciso con un’emersione sociale del fenomeno che, da privato, sta divenendo, di anno in anno, sempre più pubblico. Sdoganato dai mass media e da internet, il tema dell’omosessualità porta un numero crescente di gio- DIARIO SCOLASTICO nei meandri della differenza ché ho cominciato a pensare a quali processi si sarebbero innescati e a come li avrei potuti arginare, se non proprio gestire. In primo luogo, poi, questa prosa asciutta, semplice, lineare, intrisa di sofferenza, ma anche di un certo orgoglio coraggioso, mi ha dato la misura delle profonde trasformazioni sociali che, in questi ultimi anni, si stanno producendo anche nella sonnacchiosa Italia. I nostri ragazzi, che guardano Mtv, la rete, le serie televisive americane, che bazzicano sui social network, hanno più dimestichezza con certi capitoli del mondo affettivo di quanta non ne avessero i loro colleghi di solo dieci anni fa. Federico mi scriveva che era cosciente di quante difficoltà avrebbe sollevato, ma era anche caparbiamente convinto che la menzogna di fingersi altro da sé non lo avrebbe aiutato a crescere. Mi colpiva anche il fatto che Federico non domandasse un mio parere, non esponesse dei dubbi, non si presentasse come confuso o indeciso, ma, al contrario, avesse le idee molto chiare su ciò che sentiva e su come si percepiva. Da me chiedeva solo solidarietà e coerenza, quasi a verificare, con una sorta di proprietà transitiva a livello morale, se ciò che avevo sostenuto in classe in altre occasioni, relativamente ad episodi di discriminazione assurti agli onori delle cronache nazionali, fosse davvero ciò che pensavo, al di là dell’ipocrisia della retorica. «Non mi sento diverso» – scriveva Federico in un passaggio che parafraso con beneficio d’inventario – «ma mi sento speciale, come lo siamo tutti», con una logica semplice e di cristallino nitore. ROCCA 1 MAGGIO 2014 vani a rivendicare la propria identità sessuale, quale essa sia, percorrendo sentieri non sempre facili ed immediati, che creano reazioni, di grado differente, nelle varie componenti scolastiche e che, generalmente, finiscono con l’interpellare i docenti, i quali quasi mai hanno risorse concrete per poter gestire le situazioni in modo proficuo per tutti. Un allievo che in classe arriva a dichiarare la propria bisessualità od omosessualità stana in tutti gli altri allievi e nei docenti ogni residuo di tendenza alla discriminazione, generando una reazione a catena aperta a qualsiasi sviluppo. In primo luogo, ovviamente, la discriminazione tout court è sempre in agguato, perché non tutti i compagni sono pronti a confrontarsi con una realtà di cui sono venuti a contatto, in precedenza, solo attraverso stereotipi di bassa caratura. Una notizia così, in un gruppo di adolescenti, crea una sorta di tzunami emotivo, le cui onde lunghe vanno dalle reazioni astiose e indisponenti, a quelle ironiche o sarcastiche, dal silenzio impenetrabile, all’accettazione e al sostegno. Se, poi, l’episodio si verifica in una classe terminale, in una quarta o in una quinta, la gestione delle dinamiche di gruppo risulta più semplice, ma se il coming out ha luogo in una prima o in una seconda, la situazione si complica notevolmente. Così, quando Federico, mesi fa, mi ha comunicato, in un tema dalla bellezza amara e toccante, di aver deciso di aprirsi alla verità del suo sentirsi gay in primo luogo con se stesso, poi con me, i genitori e i compagni, devo ammettere di aver sentito i sudori freddi. Ovviamente, non per la notizia in sé, ma per- 23 . Veronica se non fossi gay ti sposerei ROCCA 1 MAGGIO 2014 DIARIO SCOLASTICO Se, in un primo momento, la classe non ha dimostrato di reagire in modo scomposto, col passare del tempo, alcune screziature si sono cominciate a manifestare, in particolare in un gruppetto di compagni maschi: battute, stoccate, forme di isolamento, niente di apparentemente grave o manifestamente violento, ma in ogni caso segni di un fermento sotto la quiete di superficie che, da insegnante di lettere, non potevo non registrare, né ignorare. Ma in che modo affrontare l’argomento? Con l’assenso previo dei genitori, ho deciso di chiedere ai ragazzi di scrivere una lettera a Federico, per parlargli con franchezza di ciò che non avevano capito e anche di ciò che non potevano accettare. Ho sottolineato, poi, che del sarcasmo gretto, figlio dell’ignoranza e della paura, non avremmo saputo cosa farcene, e che, invece, con onestà avremmo potuto aiutarci assieme a capire. Nessuno, ovviamente, era obbligato a cambiare le proprie opinioni, ma solo sollecitato ad interagire, a ricondurle nell’alveo di un dialogo aperto. Ovviamente, da alcuni ragazzi sono piovute generalizzazioni a bizzeffe, alcune innocenti ed altre armate dalla penna appuntita di qualche genitore intransigente o di qualche collega poco propenso ad accettare che a scuola si offrisse spazio a certe questioni. Ho deciso che avremmo letto tutte le lettere ad alta voce, compresa quella redatta da me, perché, come Federico, anche ciascuno di noi avrebbe dovuto avere il coraggio delle proprie idee. Ho chiarito, poi, che Federico, pur essendo il destinatario delle missive, in realtà non avrebbe dovuto diventare una sorta di imputato, né dello stesso Autore di grande interlocutore, ma che, al contrario, tutti ci saremmo resi protagonisti, comLA RELIGIONE mentando ed interagendo insieme. Il risulFAI DA TE tato è stato sorprendente: da un lato, infatil fascino ti, come anticipato, alcuni scritti contenedel sacro vano le solite generalizzazioni, relative al nel postmoderno fatto che, pur essendo giusto che ciascuno pp. 112 - i 13,00 viva come gli aggrada, è anche vero che vedere due «maschi» o due «femmine» che (vedi Indice camminano per strada tenendosi per mano in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) non è «normale» e «fa schifo», o che, se si «può arrivare a tollerare» che due persone per i lettori di Rocca dello stesso sesso stiano assieme, però «spo• 10,00 anziché sarsi e adottare un figlio, no è poi no!», ma, • 13,00 dall’altro, alcuni ragazzi hanno esposto rispedizione compresa flessioni di una maturità davvero sorprendente. Per esempio Veronica, quattordicenrichiedere a ne diafana e timidissima, mi ha commosso Rocca - Cittadella e reso orgoglioso, prendendo la parola con 06081 Assisi voce insieme tremante e stentorea. Veronie-mail [email protected] ca, fremente, vibrava di una stupenda indi24 gnazione e sosteneva, tra mille «cioè» e «comunque», con frasi spezzate e involute, un ragionamento che filava liscissimo ugualmente: tutta la questione, voleva ribadire, ai suoi occhi era assurda, perché Federico era sempre lo stesso di ieri e che tutto questo parlare era una perdita di tempo; diceva che gli adulti dovrebbero essere più coerenti e lineari, perché parlano parlano, poi, non appena uno dice che è gay non sanno più come comportarsi. Veronica affermava, sempre più accalorata, che se si dispone di intelligenza è abbastanza facile osservare che sono i grandi a creare degli steccati e delle gerarchie, ad educare i bambini a cogliere delle differenze che altrimenti loro – i bambini – non vedrebbero. Diceva che è lampante quanto si potrebbe vivere meglio in un luogo nel quale tutti i soggetti collaborassero per aiutarsi o, almeno, per rispettarsi a vicenda. E poi terminava con una frase lapidaria, lanciata contro la sordità, l’imbarazzo, l’inadeguatezza del mondo degli educatori che ancora ricordo, letteralmente, perché tutti insieme, in classe, l’abbiamo voluta annotare, dopo averla ringraziata: «Vorrei essere educata all’idea che possedere caratteristiche, abilità e qualità differenti dagli altri, sia solo un motivo in più per essere amici, grazie!». Veronica avrebbe voluto essere educata al rispetto della differenza, al rispetto di quella diversità che vedeva costruirsi intorno a Federico ma che, nel contempo, lei voleva rifiutare, o meglio, non riconoscere come tale. Veronica chiedeva alla scuola di saper costruire una società migliore, nella quale, pur nelle infinite rifrazioni ideologiche, religiose, individuali, le persone potessero convivere nel rispetto reciproco. Veronica tirava le orecchie ad un sistema-scuola incapace di educarla ad essere davvero migliore. E con Veronica, anche Chiara, Andrea, Aurora, Marco e tanti altri hanno voluto testimoniare la loro adolescente indignazione per un mondo, quello adulto, pieno di stereotipi e ipocrisie. Hanno discusso anche con tratti di stupenda veemenza con i loro compagni più tradizionalisti, cercando di spiegare loro perché quella di Federico non avrebbe dovuto essere una notizia e, così facendo, senza rendersene conto, spiegavano la stessa cosa anche a loro stessi. E allora Federico, sorpreso da tanta solidarietà, voltandosi con un sorriso raggiante e contagioso verso Veronica, che aveva innescato tutto quel sano putiferio, le ha detto, con un candore intonato ed ironico: «Veronica, grazie... sai, se non fossi gay ti sposerei!». Marco Gallizioli
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