Appunti Storia e Cittadinanza

Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15
Appunti di STORIA e CITTADINANZA
Appunti forniti dalla Prof.sa C. Stanizzi
DAL CONGRESSO DI VIENNA ALL’UNITÀ D’ITALIA
Il 22 settembre del 1814 fu convocato il Congresso di Vienna dalle potenze (Austria, Gran Bretagna, Prussia
e Russia) che sconfissero Napoleone Bonaparte con l’obiettivo di ripristinare l’assetto politico europeo
presente prima delle campagne napoleoniche. A questo congresso parteciparono ben 216 delegazioni
provenienti da tutta Europa, tra le quali anche la Francia con il ministro Talleyrand in veste di osservatore.
Dominatore indiscusso del congresso fu il primo ministro asburgico Metternich.
Il congresso si prefiggeva anche l’obiettivo di dare all’Europa un assetto stabile per impedire le mire
espansionistiche della Francia.
Vi era un solo modo per garantire la pace duratura in Europa: limitare il potere di ciascuna potenza in modo
che nessuna di esse risultasse troppo rafforzata rispetto alle altre.
Due furono i principi alla base del lavoro del Congresso:
 Il principio di equilibrio, volto ad impedire che uno Stato potesse imporsi sugli altri;
 Il principio di legittimità con il quale si restaurarono sui troni le dinastie regnanti prima delle
campagne napoleoniche.
La tendenza del Congresso fu quella di rafforzare l’assolutismo monarchico e di impedire la diffusione delle
idee francesi. Lo spirito della restaurazione fu perciò antiliberale e volto alla negazione del principio di
nazionalità (popolo sovrano).
L’Europa del Congresso di Vienna
Dopo aver riorganizzato l’assetto politico europeo bisognava preservarlo il più a lungo possibile. Nel
settembre 1815, su iniziativa dello zar Alessandro I di Russia, l’imperatore di Prussia e il sovrano d’Austria
firmarono il documento istitutivo della Santa Alleanza, patto questo che non vincolava i contraenti ad alcun
obbligo preciso e concreto. Il testo affermava che i sovrani si sarebbero prestato aiuto e soccorso in ogni
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luogo e in ogni occasione. In un secondo tempo aderirono alla Santa Alleanza anche altre potenze europee,
tra le quali la Francia.
Nel novembre del 1815, su iniziativa britannica, fu stipulata la Quadruplice Alleanza tra Gran Bretagna,
Russia, Prussia ed Austria, volta ad impedire che l’assetto e l’ordine delineati dal Congresso potessero
essere rotti. La Francia venne posta a sorveglianza speciale da parte dell’Alleanza e inizialmente rimase
esclusa dal “concerto europeo”.
Nel 1818 il Congresso di Aquisgrana riconobbe la Francia come una potenza e le concesse di far parte del
concerto. Nacque così la Pentarchia.
La risposta alla politica antiliberale del Congresso non si fece attendere I gruppi liberali, che chiedevano
l’instaurazione di governi costituzionali, erano una minoranza politica e sociale che faceva capo
principalmente ad esponenti intellettuali e della borghesia imprenditoriale. Questi gruppi non potendo
operare alla luce del sole si organizzarono in società segrete con attività cospirativa clandestina. In Italia la
società segreta più famosa era la Carboneria che aveva filiali in tutta la penisola. Negli anni 1820-1821, in
Spagna, in Portogallo e in Italia scoppiarono dei moti insurrezionali promossi da gruppi liberali i quali, però,
non ottennero l’appoggio delle masse popolari. Nella penisola iberica questi moti costrinsero i regnanti a
promulgare delle Costituzioni.
In Italia il 1 luglio 1820 scoppiarono dei moti insurrezionali che interessarono il Regno delle Due Sicilie. I moti
furono promossi da Michele Morelli e Giuseppe Silvati, due ufficiali carbonari, e ben presto dilagarono in
tutto il napoletano. Alla rivolta si unì anche Guglielmo Pepe, ex ufficiale napoleonico, assumendone il
comando. Il re Ferdinando I fu costretto a concedere la Costituzione. Il 15 luglio 1820 la rivolta esplose
anche in Sicilia dove il moto assunse, oltre al carattere costituzionale, soprattutto quello separatista. Il
governo di Napoli inviò Florestano Pepe il quale, per reprimere il moto, cercò di trattare con i rivoltosi, ma
invano. Fu inviato quindi Pietro Colletta il quale sedò la rivolta nel sangue (settembre 1820). Animati dagli
eventi accaduti in Spagna e nell’Italia meridionale, le società segrete lombarde e quelle del regno di
Sardegna intensificarono la propria attività cospirativa, ma nell’ottobre del 1820 la polizia austriaca arrestò
alcuni carbonari tra i quali Pietro Maroncelli e Silvio Pellico. Federico Confalonieri, capo della setta segreta
dei federati di Lombardia, decise di passare all’azione pensando di poter contare sull’appoggio di Carlo
Alberto, principe di Carignano, il quale nutriva simpatie per i gruppi liberali. Il moto piemontese fu guidato dal
conte Santorre di Santarosa. In Piemonte la guarnigione militare dei rivoltosi raggiunse Torino il 12 marzo.
Vittorio Emanuele I abdicò in favore di Carlo Felice il quale, trovandosi a Modena, affidò la reggenza a Carlo
Alberto. Questi concesse la Costituzione che sarebbe entrata in vigore a seguito dell’approvazione di Carlo
Felice.
Il re sconfessò l’iniziativa di Carlo Alberto e minacciò di unirsi alle truppe di Novara, fedeli alla Corona. In
Lombardia, invece, i piani di Confalonieri furono scoperti dalla polizia austriaca e l’insurrezione saltò. In
aprile Carlo Alberto al capo di un esercito piemontese e austriaco sconfisse i rivoltosi di Santorre di
Santarosa a Novara; così si conclusero i moti rivoluzionari del 1820-21.
L’Austria che era la più interessata a reprimere i moti, fece convocare a Troppau un congresso dove Austria,
Russia e Prussia proclamarono il principio d’intervento. In un Congresso a Lubiana fu deciso l’intervento
armato nel napoletano.
Il 23 marzo 1821 le truppe austriache abbatterono il regime costituzionale napoletano. Con il Congresso di
Verona fu dato mandato alla Francia di reprimere il regime costituzionale spagnolo che, nonostante
l’accanita resistenza dei gruppi liberali, cadde nell’ottobre del 1823. In Portogallo, invece, il regime
costituzionale fu soppresso dalle forze assolutiste interne, riorganizzatesi nel frattempo.
Nel 1830 scoppiarono in Europa nuove rivolte che determinarono in Francia e in Belgio una prima rottura
negli assetti stabiliti dal Congresso di Vienna.
In Francia scoppiò una rivolta popolare contro Carlo X il quale era intenzionato a ripristinare totalmente
l’antico regime. La “rivoluzione di luglio” portò sul trono francese il conte Luigi Filippo d’Orleans. La Francia
divenne così una monarchia costituzionale. In Belgio il 23 agosto 1830 a Bruxelles la popolazione insorse
chiedendo l’indipendenza dall’Olanda. L’intervento dell’Alleanza a difesa del re Guglielmo I fu impedito da
Luigi Filippo d’Orleans il quale affermò che per garantire la pace in Europa era necessario non intervenire. Il
Belgio divenne così uno stato indipendente e poté dotarsi di una Costituzione liberale. In Italia l’attività
cospirativa della carboneria non si era arrestata, ma era rimasta vitale soprattutto nell’Italia centrale.
Gli eventi parigini spronarono i gruppi liberali all’azione. La carboneria, grazie ad Enrico Misley aveva preso
contatti con Francesco IV duca di Modena il quale era intenzionato a costruire uno Stato nell’Italia centrosettentrionale sfruttando i moti liberali.
Nella rivolta diretta da Ciro Menotti furono coinvolte l’Emilia, la Romagna e le Marche. L’improvviso
cambiamento dell’atteggiamento di Francesco IV portò, però, all’arresto di Ciro Menotti ma non impedì lo
scoppio della rivolta. Grazie a questi moti, nei ducati di Parma e Toscana e in alcuni territori pontifici furono
instaurati dei governi provvisori; l’esercito dei rivoluzionari, però, non riuscì a resistere alla reazione
austriaca. Nell’Italia centrale furono così ristabiliti i sovrani preesistenti. Le cause principali dell’insuccesso di
questi moti furono il mancato appoggio sia delle masse popolari che di una grande potenza.
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L’insuccesso dei moti carbonari fu dovuto da una parte al metodo di lotta e dall’altra al mancato appoggio
popolare. Uno dei protagonisti del movimento nazionale italiano fu Giuseppe Mazzini, membro della
carboneria, il quale puntava alla costituzione di un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”.
Mazzini rifiutava l’idea di un’Italia federale; era convinto che uno Stato centralizzato avrebbe meglio
rappresentato l’unità nazionale. Secondo Mazzini il popolo aveva come missione quella di portare a termine
l’unità nazionale che non doveva essere realizzata da un sovrano italiano né con l’aiuto di una potenza
straniera ma attraverso un’insurrezione popolare.
Nel 1831 Mazzini fondò la Giovine Italia, un’organizzazione clandestina nazionale che doveva incitare alla
lotta popolare. La visione mazziniana, però, andava di là dei confini nazionali: da ciò la nascita della Giovine
Europa che fu fondata dallo stesso Mazzini nel 1838.
Il metodo scelto da Mazzini per la lotta fu quello del ricorso ai moti insurrezionali che avrebbero innescato
poi una sollevazione delle masse popolari preparate all’azione per mezzo della propaganda. I tentativi
insurrezionali promossi dai mazziniani si trasformarono tutti in pesanti sconfitte. I motivi di tali insuccessi
vanno principalmente ricercati nella propaganda di obiettivi che le masse popolari non recepivano come
propri e nell’incapacità di “convincere” le masse. Gli obiettivi indicati da Mazzini non coinvolgevano la
stragrande maggioranza della popolazione costituita da contadini (Mazzini, ad esempio, non affrontava il
problema della terra per loro fondamentale).
Tra i tentativi insurrezionali falliti vi è quello dei fratelli Bandiera che, non avendo ottenuto l’appoggio dei
contadini calabresi, furono catturati e fucilati dai Borboni.
In Italia, mentre i mazziniani “perdevano colpi” anche a causa del fallimento dei moti insurrezionali, si
andavano affermando, guadagnando consensi, i liberali moderati la cui visione prevedeva un processo
d’unificazione lento e senza spargimento di sangue: tale processo si sarebbe concluso con la nascita di uno
Stato federale.
Nel 1848 l’Europa fu nuovamente investita da un’ondata di moti insurrezionali. In Francia la situazione
politica ed economica era estremamente precaria a causa dell’atteggiamento di stampo conservatore
assunto da Luigi Filippo d’Orleans. Gli oppositori del sovrana e diedero vita alla “campagna dei banchetti”,
chiamata così perché i comizi politici venivano camuffati con banchetti offerti da esponenti antigovernativi. Il
tentativo da parte del ministro Guizot di impedire uno di questi banchetti sfociò in una rivolta popolare che
portò alla nascita della repubblica. Fu proclamato il diritto al lavoro e furono creati gli opifici nazionali volti ad
eliminare la disoccupazione. Fu anche introdotto il suffragio universale maschile. Gli opifici nazionali,
improduttivi e troppo costosi, furono ben presto chiusi dalla borghesia moderata, salita al potere, dopo aver
fatto sedare nel sangue dalla guardia nazionale una rivolta operaia.
Fu così varata una Costituzione moderata e la Francia divenne una Repubblica Presidenziale. Come primo
presidente della Repubblica fu nominato Luigi Napoleone.
I moti insurrezionali interessarono anche l’impero asburgico dove, promossa da studenti e insegnanti,
scoppiò nel 1848 una rivolta che da Vienna si diffuse in tutto l’impero per il passaggio all’offensiva dei vari
movimenti democratici. Tale offensiva ebbe come conseguenza l’abbandono di Vienna da parte di
Metternich prima e di Ferdinando I dopo e la costituzione di governi provvisori a Budapest e a Praga.
Insurrezioni scoppiarono nel 1848 anche in Germania dove si sollevò una rivolta che da Berlino si diffuse
nelle altre città tedesche. Fu quindi convocata un’assemblea costituente di Francoforte con lo scopo di
scrivere la Costituzione per la Germania unificata.
In Italia la rivolta scoppiò inizialmente a Venezia e a Milano che si ribellarono alla dominazione asburgica.
Anche l’Italia meridionale fu investita da moti insurrezionali. A Palermo scoppiò una rivolta che costrinse
Ferdinando II a concedere la Costituzione. La rivolta si propagò anche in altre città italiane costringendo i
sovrani a concedere anch’essi la Costituzione.
A Venezia, la rivolta fu guidata da Daniele Manin e Nicolò Tommaseo e portò alla proclamazione della
Repubblica di San Marco (17-03-1848).
La rivolta milanese (conosciuta anche come le cinque giornate di Milano) fu guidata da Carlo Cattaneo e
portò all’instaurazione di un governo provvisorio costituto dagli insorti.
La vittoria milanese spinse Carlo Alberto (sul trono dal 1831) a dichiarare guerra all’Austria. A lui si unirono
anche Pio IX, Leopoldo II e Ferdinando II; la guerra contro l’Austria divenne quindi una guerra nazionale (I
Guerra d’Indipendenza 1848-1849). Per i personali interessi di Carlo Alberto l’intesa si ruppe presto. Il regno
sabaudo, dopo qualche successo contro l’Austria, fu costretto a firmare l’armistizio con gli austriaci.
Nel 1849 nell’impero asburgico, grazie all’esercito fedele alla corona, fu restaurata la vecchia monarchia.
In Germania Federico Guglielmo IV rifiutò la corona offertagli dall’assemblea di Francoforte e ripristinò con le
armi la monarchia abbattuta dagli insorti.
In Italia la fine della “guerra regia" diede inizio alla guerra del popolo. Purtroppo la guerra dei democratici
ebbe dimensioni di gran lunga inferiori a quelle sperate da Mazzini.
Nel regno delle due Sicilie i borboni liquidarono la Costituzione prima concessa.
Nello Stato pontificio, a seguito della mobilitazione dei democratici e dei liberali, sorse nel 1849 la
Repubblica Romana governata da un triunvirato: Mazzini, Saffi ed Armellini, che intraprese una politica di
laicizzazione dell’ex Stato pontificio.
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In Toscana, i democratici costrinsero Leopoldo II a fuggire a Gaeta dove già si era rifugiato Pio IX. Anche la
Toscana fu governata da un triunvirato: Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni.
Mazzini, a seguito della situazione favorevole determinatasi, voleva accelerare il processo di unificazione,
ma trovò l’opposizione di Guerrazzi.
Carlo Alberto, timoroso per la caduta di prestigio della monarchia sabauda, piuttosto che sottostare alle
pesanti condizioni austriache imposte con la pace, decise di continuare la guerra. Una nuova sconfitta lo
portò ad abdicare a favore di Vittorio Emanuele II.
Intanto l’esercito austriaco occupò la Toscana consentendo a Leopoldo II di riprendere il potere.
La repubblica Romana cadde per l’intervento di Luigi Napoleone erettosi a difensore dei cattolici per
conquistarne l’appoggio.
L’ultima a cadere, dopo una lunga resistenza all’assedio degli austriaci, fu la Repubblica di Venezia.
L’unico stato italiano che non subì moti rivoluzionari fu lo Stato sabaudo. Alla guida del governo sabaudo vi
era Camillo Benso di Cavour, per il quale il regno di Sardegna, stringendo alleanze con potenze straniere,
doveva cacciare l’Austria dalla penisola per poter costituire un vasto regno dell’Italia Settentrionale. Tale
convinzione portò Cavour ad inviare in Crimea un contingente sardo; ciò consentì al regno sabaudo di
partecipare al Congresso di Parigi dove Cavour sollevò la questione italiana.
Di fronte all’ennesimo insuccesso dei mazziniani nella spedizione di Sapri, Cavour, nell’incontro segreto di
Plombiers, decise di allearsi con la Francia. Secondo gli accordi stipulati, Napoleone III (Luigi Napoleone
diviene imperatore nel 1852 con tale nome) sarebbe entrato in guerra a fianco del regno sabaudo solo se
quest’ultimo fosse stato attaccato dall’Austria. In cambio la Francia avrebbe ricevuto Nizza e la Savoia.
Cavour, per provocare l’Austria, fece disporre truppe sabaude lungo il confine con i territori austriaci.
Dopo un ultimatum austriaco respinto da Vittorio Emanuele II, l’Austria attaccò il regno di Sardegna (II
Guerra d’Indipendenza). Come da patti la Francia si schierò con Vittorio Emanuele II. Dopo una serie di
vittorie delle truppe sardo-francesi, Napoleone III propose all’Austria un armistizio in quanto nell’Italia
centrale esponenti filopiemontesi, saliti al potere, chiedevano l’annessione al regno sabaudo. Il 12 luglio
1859 a Villafranca fu siglata la pace tra Francia ed Austria. La pace prevedeva la cessione della Lombardia
da parte dell’Austria alla Francia, la quale successivamente la consegnò all’Italia, e la restaurazione
dell’ordine nell’Italia centrale. Nel 1860 nell’Italia centrale si tennero dei plebisciti con esito favorevole
all’annessione al regno sabaudo. Terminava così la prima fase dell’unificazione pensata da Cavour.
A questo punto entrarono in scena i mazziniani con l’organizzazione di una spedizione di mille volontari
guidati da Giuseppe Garibaldi, avente lo scopo di fare insorgere le masse popolari meridionali. La
spedizione partì da Quarto il 5 maggio 1860.
Garibaldi, sbarcato in Sicilia, piegò subito la resistenza delle male armate truppe borboniche e, in nome di
Vittorio Emanuele II, vi proclamò la dittatura. Dopo aver sedato nel sangue un moto contadino contro i
proprietari terrieri iniziò la risalita verso Napoli.
Garibaldi sbarcò in Calabria in località Rumbolo di Melito di Porto Salvo (19 agosto 1860) che costituisce la
parte più a Sud dell’Italia continentale. Nelle acque del mar Ionio, antistanti la dimora che scelse per le
proprie truppe (oggi denominata Casina dei mille e che al tempo apparteneva ai marchesi Ramirez), era
visibile sino a poco tempo fa la nave garibaldina “Torino” arenatasi durante lo sbarco frettoloso delle truppe,
avvenuto sotto il fuoco nemico delle navi borboniche e la resistenza di uno sparuto gruppo di fedeli ai
borboni prontamente messo a tacere. Nella Casina dei mille Garibaldi dimorò un paio di giorni per far
riprendere fiato alle sue truppe, sopportando anche l’attacco delle navi borboniche che non ebbe però alcun
esito. Di tale attacco è testimonianza una palla di cannone ancora oggi visibile sul muro di un balcone della
casina, mentre lo sbarco di Rumbolo è ricordato da una stele eretta nel punto esatto dello sbarco.
Da Melito di Porto Salvo i mille risalirono attraverso l’Aspromonte sino a Napoli dove entrarono il 7 settembre
1860.
Intanto, per paura che Garibaldi potesse giungere a Roma, Cavour inviò truppe piemontesi in Umbria e nelle
Marche, occupandole. Le truppe quindi si misero in marcia verso Napoli pronte a scontrarsi con Garibaldi il
quale però non era interessato a combattere contro di esse. Questi preferì attendere l’arrivo del re.
Nel frattempo nell’Italia meridionale si tennero dei plebisciti per l’annessione al regno sabaudo, che ebbero
esito favorevole.
Il 26 ottobre 1860, con lo storico incontro di Teano, Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II tutti i territori
da lui liberati. In epoca immediatamente successiva anche le Marche e l’Umbria furono annesse al regno
sabaudo per mezzo di plebisciti. L’unificazione nazionale prendeva così corpo, anche se essa non era
ancora completa perché il Lazio rimaneva territorio papale e il Veneto era in mano austriaca. Il 17 marzo
1861 Vittorio Emanuele II venne proclamato re d’Italia.
Con lo scoppio della guerra austro-prussiana del 1866, l’Italia si schierò con la Prussia con il premeditato
intento di sottrarre il Veneto all’Austria (III Guerra d’Indipendenza). La guerra ebbe esito negativo per l’Italia,
ma, grazie alle vittorie prussiane e alla pace di Vienna, il Veneto fu annesso al regno d’Italia.
Per il completamento del processo d’unificazione mancava soltanto l’annessione dello Stato pontificio,
operazione questa di difficile attuazione in quanto Pio IX non era in alcun modo intenzionato a rinunciare al
potere temporale. Di fronte a questo rifiuto del papa, Garibaldi e i suoi volontari tentarono per due volte di
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occupare Roma ma Napoleone III, protettore dello Stato pontificio, glielo impedì. Con la caduta di Napoleone
III a seguito della guerra franco-prussiana, truppe italiane guidate dal generale Cadorna entrarono a Roma
dopo essersi aperti un varco presso Porta Pia (20 settembre 1870), ponendo fine al potere temporale del
papa. Nel luglio 1871 Roma divenne la capitale del regno d’Italia.
L’unità d’Italia si era finalmente realizzata.
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GIUSEPPE MAZZINI
Uomo politico (Genova 22 giugno 1805 - Pisa 10 marzo 1872). Militante della Carboneria (1827-30), fu esule
in Francia e in Svizzera. Allontanatosi dall’ideologia carbonara, maturò il progetto della Giovane Italia,
secondo un principio repubblicano di nazione unita, composta di cittadini liberi ed eguali (Manifesto, 1831).
Recatosi in Inghilterra (1837) vi visse alcuni anni in solitudine e con una scarsa disponibilità finanziaria, ma
approfondendo il suo pensiero politico e la sua cultura letteraria. Dopo due anni, tornò alla politica, dando
vita alla cosiddetta “seconda Giovine Italia”, il cui programma prevedeva una maggiore partecipazione
popolare. Rientrato in Italia nel 1848, fu a capo della Repubblica romana, dedicandosi poi a tessere le fila di
moti e colpi di mano che però non ebbero successo. Costretto di nuovo ad espatriare, dal 1857 visse
principalmente fra Lugano e Londra, finché nel 1870 organizzò una spedizione per liberare Roma: fu però
arrestato e rinchiuso nel forte di Gaeta, da cui uscì amnistiato l’anno successivo. Animato da profonde
convinzioni repubblicane e democratiche, fu una delle maggiori personalità del Risorgimento italiano,
distinguendosi in modo particolare nella lotta per l'indipendenza italiana e per la formazione di uno stato e
una coscienza unitari.
Vita e attività
L'ambiente familiare contribuì a dare al futuro apostolo dell'unità una educazione severa nella quale ebbero
indubbî riflessi la formazione politica del padre, Giacomo, medico, e il rigorismo morale della madre, Maria
Drago, la cui concezione religiosa della vita era ricca di motivi giansenistici non infrequenti nella Liguria della
fine del Settecento. Giansenisti erano anche i due abati - Luca Agostino De Scalzi e, in un secondo tempo,
Stefano De Gregori - ai quali fu affidata la prima educazione di M. fino al 1819, anno della sua iscrizione al
primo biennio dell'università (corrispondente all'odierno liceo), nella facoltà di filosofia e belle arti. Passò poi
agli studî giuridici. Già coinvolto nei tumulti scoppiati a Genova il 21 giugno 1820, nel marzo 1821, con un
gruppo di universitarî, si recava dal governatore di Genova, Des Geneys, per chiedere la costituzione: "una
ragazzata", come scrisse Salvemini, giustamente non ricordata da M. nelle Note autobiografiche scritte nel
1861. Il generale clima di reazione dominante nel regno subalpino all'indomani del fallimento del moto
costituzionale si manifestò nel campo degli studî non tanto con la chiusura delle università di Torino e di
Genova per l'anno scolastico 1821-22, quanto con l'applicazione rigida di regolamenti (come quello
approvato da Carlo Felice il 23 luglio 1822) che mortificavano le coscienze, imponendo agli studenti di
frequentare con assiduità le funzioni parrocchiali e di confessarsi almeno una volta al mese, pena
l'esclusione dagli studî. In questo clima, M. portò avanti i suoi studî, conseguendo la laurea il 6 aprile 1827.
Durante gli anni universitarî M. si era legato ai fratelli Ruffini in un sodalizio in cui polemica letteraria e lotta
politica erano strettamente collegate nella convinzione che una nuova letteratura presupponesse un
rinnovamento morale e politico del paese. È questo il senso della collaborazione mazziniana all'Indicatore
genovese (1828) e, dopo la soppressione di questo, all'Indicatore livornese di F. D. Guerrazzi. L'evidente
ripresa di alcuni motivi settecenteschi circa il necessario impegno civile di ogni autentica letteratura avveniva
qui in chiave romantica. La stessa interpretazione di Dante da parte di M. (Dell'amor patrio in Dante,
composto nel 1826, ma pubblicato undici anni più tardi) è significativa in questo senso, quale prima
manifestazione di uno sforzo teso a creare una tradizione nazionale laica unitaria. Non per nulla più tardi da
parte della storiografia "democratica" - si pensi per tutti all'abate Luigi Anelli - si metterà in evidenza il
rapporto Dante-Mazzini, sino a fare di quest'ultimo l'interprete migliore delle idealità politiche dell'Alighieri. M.
militò nelle file della carboneria tra il 1827 e il 1830, svolgendo un'intensa attività cospirativa in Liguria e in
Toscana con Federico Campanella, G. Elia Benza, Carlo Bini, Giambattista Cuneo. Arrestato il 13 novembre
1830, in seguito alla delazione di Raimondo Doria, fu portato con gli altri incriminati nella fortezza di Savona,
dove rimase fino al termine del processo (gennaio 1831), concluso con l'assoluzione, per insufficienza di
prove, di tutti gli imputati. Dopo la sentenza, alcuni di questi - tra i quali M. - furono invitati a scegliere tra il
confino in qualche piccola località all'interno del regno e l'esilio. M. scelse l'esilio e fu a Ginevra, a Lione e a
Marsiglia. Durante la permanenza nel carcere di Savona M. avrebbe maturato il distacco dalla carboneria,
ormai "fatta cadavere", avviando il disegno della Giovine Italia. Obiettivo della Giovine Italia era una
repubblica unitaria "di liberi ed eguali", consapevoli di appartenere alla stessa nazione; mezzi per
raggiungere questo fine, una educazione che predicasse l'insurrezione e un'insurrezione dalla quale
risultasse un principio di educazione nazionale. A differenza dei moti precedenti ci si sarebbe dovuti basare
non su una classe sola ma sull'intera nazione e non si sarebbe dovuto far dipendere l'inizio del moto da aiuti
di altre potenze o di principi (proprio nel giugno 1831 M. aveva indirizzato a Carlo Alberto, successo appena
a Carlo Felice, un appello per invitarlo a mettersi alla testa della rivoluzione italiana, senza ottenere, com'era
del resto prevedibile e previsto, alcuna risposta). Questo differenziarsi dell'associazione di M. dal mondo
carbonaro e settario si accentuò col passar dei mesi, come dimostra il Manifesto della Giovine Italia, apparso
nel primo fascicolo dell'omonimo periodico pubblicato a Marsiglia nell'ottobre 1831; anche se non mancarono
temporanei accordi e vere alleanze, come quella del settembre 1832 con la Società dei Veri Italiani, fondata
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da Filippo Buonarroti, durata solo fino agli ultimi mesi del 1833. In quegli stessi anni M. tentò di diffondere la
Giovine Italia nel regno sardo, anche nell'esercito. Una delazione provocò arresti e fucilazioni (21 condanne
a morte di cui 12 eseguite; Iacopo Ruffini si suicidò in carcere), ma M. tentò ugualmente una spedizione
armata nella Savoia sotto la guida di Gerolamo Ramorino, fallita miseramente. M. reagì al grave insuccesso
allargando il suo programma con la fondazione della Giovine Europa (secondo l'Atto di fratellanza approvato
a Berna il 15 aprile 1834, era costituita dalla Giovine Italia, dalla Giovine Germania e dalla Giovine Polonia).
Nell'anno successivo M. fondò il periodico Jeune Suisse dove pubblicò, tra il 17 e il 24 febbraio 1836,
l'importante scritto Interessi e principi, nel quale si dimostrava che la speranza di un miglioramento materiale
non poteva far affrontare i rischi connessi a qualsiasi azione rivoluzionaria, che esigeva un principio "allo
stato di credenza", una fede. In quello stesso anno M. fu scosso da una grave crisi di sconforto ch'egli definì
la "tempesta del dubbio". Forse l'idea che inseguiva era un sogno e lo stesso concetto di patria un'illusione,
forse l'Italia, "esaurita da due epoche di civiltà", era "condannata a giacere senza nome e missione propria,
aggiogata a nazioni più giovani e rigogliose di vita". La crisi fu superata mediante la religiosa
consapevolezza che la vita è missione ed è guidata dalla sola legge del dovere, alla quale in nessun modo ci
si può sottrarre; ma la sua attività politica rimase ugualmente sospesa per circa tre anni. Nel frattempo,
costretto a lasciare la Svizzera, M. si recò in Inghilterra; giunse a Londra il 12 gennaio 1837 in compagnia di
Giovanni e Agostino Ruffini e di Angelo Usiglio. Egli intendeva proseguire la sua opera di proselitismo
politico, creando una corrente di simpatia per l'Italia, facendone conoscere le tristi condizioni. M. per vivere
non poteva far altro che scrivere e si impegnò duramente per trovare quotidiani e riviste disposti a pubblicare
la sua prosa. Esclusi i periodici conservatori e le stesse riviste liberali, egli poté contare sulla sola rivista
radicale, la London and Westminster Review, trimestrale, e sulle corrispondenze che da Londra inviava al
Monde e all'Helvétie. In queste condizioni, amareggiato dalla scarsezza di mezzi materiali e dalla solitudine,
M. trascorse quel primo periodo londinese, che ebbe un peso non trascurabile nella sua esperienza
culturale. "Il contatto con l'ambiente francese aveva vivificato il suo pensiero politico, il duro lavoro di
biblioteca nei primi due anni inglesi rinsalderà e soprattutto approfondirà la cultura letterario-filosofica
dell'esule" (E. Morelli). Nel 1839 M. riprese il suo programma politico: sorse quella che si è soliti chiamare
"seconda Giovine Italia". Il ritorno alla lotta politica era sorretto non soltanto da una ferma fede nel finale
inevitabile trionfo, ma soprattutto dalla impossibilità di sottrarsi al compito cui si era votato. La novità, rispetto
alla prima Giovine Italia, era costituita dalla maggiore attenzione rivolta agli operai: non bastava lavorare "pel
popolo", bisognava lavorare "col popolo". Questo tentativo di organizzazione operaia, che ebbe anche un
nuovo giornale, l'Apostolato popolare, organo dell'Unione degli operai italiani, se era assai lontano dal
tradizionale paternalismo dei moderati, non mutò il fondamentale carattere interclassista del movimento
mazziniano. Proprio mentre faticosamente M. riannodava le fila della sua organizzazione, allargandone il
raggio, un moto di ex carbonari nelle Romagne fece ritenere a due ufficiali della marina austriaca - Attilio ed
Emilio Bandiera, appartenenti all'Esperia, una società segreta collegata con la Giovine Italia - che fosse
venuto, nonostante il contrario avviso di M., il momento di agire. Ma il tentativo di portare la rivoluzione in
Calabria (dove nel marzo 1844 era stato domato un moto rivoluzionario) si concluse tragicamente il 25 luglio
1844 nel Vallone di Rovito, presso Cosenza, con nove fucilazioni. Diffidente nei confronti delle parziali
riforme che si tentarono in Italia, così come nei confronti delle proposte di V. Gioberti e di C. Balbo, se pure
nel settembre 1847 scrisse una lettera piena di speranze a Pio IX, M. si impegnò a scongiurare con un
messaggio il pericolo separatista dell'insurrezione palermitana (genn. 1848). Caduta la monarchia di Luigi
Filippo, M. si trasferì subito a Parigi, ove fondò l'Associazione nazionale italiana, i cui obiettivi erano: guerra
all'Austria per unificare la penisola e assemblea costituente eletta a suffragio universale. A Milano, libera da
due settimane dagli Austriaci, M. giunse il 7 apr. 1848; nel contrasto tra le tendenze politiche dominanti,
quella moderata, che voleva la fusione con il regno sardo, e quella repubblicana capeggiata da C. Cattaneo,
ostile alla fusione e al capo del governo provvisorio milanese G. Casati, M. assunse un atteggiamento assai
meditato: egli disapprovava nettamente l'operato dei moderati e la loro politica fusionista, ma riteneva
impolitico e pericoloso abbattere il governo provvisorio quando il problema più urgente era costituito dalla
guerra contro l'Austria, che era ben lungi dall'essere conclusa. Quest'atteggiamento portò alla clamorosa
rottura tra M. e i federalisti (30 aprile). Dopo le vittorie austriache, M. dovette rifugiarsi a Lugano; ma la
guerra di popolo, da lui proclamata, si svuotò nell'infelice insurrezione di Val d'Intelvi (ottobre 1848).
Rifugiatosi a Marsiglia, tornò in Italia, a Livorno; la sua proposta d'unione della Toscana, in mano al partito
democratico, con Roma, dal 9 febbraio 1849 repubblica, non fu accolta da Guerrazzi. M. si recò allora a
Roma dove giunse il 5 marzo di quell'anno. Il 29 marzo ebbe la notizia della disfatta di Novara che poneva
termine alla prima guerra d'indipendenza. In quello stesso giorno si istituiva a Roma un triunvirato (composto
da M., A. Saffi e C. Armellini), che fu l'animatore della difesa contro i Francesi durata dal 3 al 30 giugno
allorché i triunviri si dimisero. Il progetto mazziniano di far uscire da Roma l'esercito, l'assemblea e il
triunvirato per portare la guerra nelle province aveva trovato consenzienti soltanto Garibaldi, Pisacane e
pochi altri; a grande maggioranza era stata decisa la cessazione della difesa. Caduta Roma, M. si mise
subito al lavoro per unire tutte le forze disposte a lottare per l'indipendenza, l'unità e la libertà d'Italia,
accettando come mezzi la guerra e la costituente. Si fondò un Comitato democratico europeo (1850) che
attuò un concreto collegamento con i varî esponenti nazionali polacchi, russi, centro-europei e balcanici e un
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Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15
Appunti di STORIA e CITTADINANZA
comitato nazionale italiano che bandì un prestito per raccogliere fondi per la liberazione del paese. Questo
lavoro organizzativo fu particolarmente attivo in Liguria, in Piemonte e in Lombardia, dove vi furono tra il
luglio 1851 e la fine del 1852 circa un centinaio di arrestati: 10 furono impiccati a Belfiore, nei pressi di
Mantova, tra il 7 dicembre 1852 e il 19 marzo 1853. Tra la prima e la seconda serie di esecuzioni si ebbe a
Milano il moto del 6 febbraio, sull'opportunità del quale, in realtà, c'erano stati dissensi tra gli stessi
mazziniani. Il completo fallimento del moto segnò un duro colpo per M. che aveva sperato, questa volta, di
sommuovere gli strati popolari e il sottoproletariato della capitale lombarda per rinnovare il miracolo del
1848, in una situazione interna e internazionale del tutto diversa. Nel 1857, in concomitanza con la
spedizione di C. Pisacane finita tragicamente a Sapri, si portò a Genova per impadronirsi di armi con un
colpo di mano, ma il tentativo fallì e M., già colpito da una condanna a morte nel 1833, fu nuovamente
condannato in contumacia. Tornato a Londra, dal suo periodico Pensiero ed azione, deprecò l'alleanza
franco-piemontese, ma spronò i suoi aderenti a combattere contro l'Austria insieme con l'esercito regio.
Dopo Villafranca, inutilmente tentò di promuovere, da Firenze, una iniziativa di volontarî nelle Marche,
nell'Umbria e nel Regno di Napoli. Ancora a Lugano, poi a Londra, dopo l'impresa dei Mille tornò a Genova,
nascondendosi, ma la spedizione da lui promossa nell'Italia centrale fu fermata a Castel Pucci. Da Napoli,
dove nell'ottobre 1860 aveva fondato il Popolo d'Italia, amareggiato dall'ostilità che la sua presenza di "esule
in patria" provocava, per l'indirizzo ormai regio del Risorgimento, affranto da sofferenze fisiche, si recò a
Lugano e poi ancora a Londra. La sua posizione nei confronti del Regno d'Italia si può così riassumere: Italia
e non Piemonte, cioè italianizzare il Piemonte e non piemontizzare l'Italia, una nuova costituzione e non
l'estensione dello statuto albertino a tutto il territorio nazionale; liberare Roma e Venezia, giungere alle Alpi.
In contrasto anche con Garibaldi, del quale non approvò i tentativi per la soluzione della questione romana
del 1862 (Aspromonte) e del 1867 (Mentana), si irrigidì nella sua posizione repubblicana, specie dopo la
Convenzione di settembre (1864). Visse gli ultimi anni di vita tra Londra e Lugano, con brevi e furtivi
soggiorni a Genova e a Milano: la sua azione politica era ormai polarizzata su due temi: Roma e la
questione sociale. Roma non era per M. una città come le altre, da annettere, come si era fatto per il Veneto,
anche dopo una guerra infelice. Roma era un'idea, il simbolo di un'età che da essa avrebbe avuto inizio. Per
liberarla M. organizzò nella primavera 1870 una spedizione che sarebbe dovuta partire dalla Sicilia.
Arrestato mentre si preparava a sbarcare nel porto di Palermo, fu internato nel forte di Gaeta. Ne uscì
amnistiato e riprese il suo esilio. Fondò ancora la Roma del popolo (1871), per l'educazione degli operai,
riprendendo i temi del libro I doveri dell'uomo (1860) in polemica con l'Internazionale. Di essa M.
condannava l'irreligiosità, la negazione della nazione e della proprietà individuale, la lotta di classe. Gli
operai avrebbero dovuto tendere, invece, verso un ordine di cose nel quale la proprietà fosse frutto del
lavoro e nel quale il sistema del salario fosse sostituito dall'associazione volontaria, basata sull'unione del
lavoro e del capitale nelle stesse mani. Solo in questo modo si sarebbe potuto creare un sistema nel quale
l'utile della collettività precedesse l'utile dell'individuo. Quest'ultimo periodo fu per M. il più duro della sua vita.
Lasciata Londra, il 10 febbraio 1871, si recò a Lugano dove rimase circa un anno. Tornò per l'ultima volta in
Italia per finirvi i suoi giorni e, dal 6 febbraio 1872 alla morte, visse a Pisa, sotto il nome di dott. Brown,
accettando l'ospitalità di Giannetta Nathan Rosselli. Morì il 10 marzo 1872: la salma fu tumulata a Staglieno
(Genova).
Pensiero
Personalità di immenso fascino, il suo pensiero politico, se pur non si tradusse mai in un corpo ragionato di
dottrine, si chiarì, reagendo alle prime esperienze democratiche, incontrate soprattutto nell'ambiente
buonarrotiano di Ginevra, e a quelle carbonare dagli ambigui programmi riformatori, in una fondamentale
esigenza etica di rinnovamento della società. La consapevolezza che i valori morali possono attuarsi
soltanto trascendendo le particolarità individuali nella comunità immortale che è la nazione, deve dare alla
vita anche politica una tensione tutta religiosa. L'uomo, svincolandosi da ogni interesse materialistico, si
ritrova perciò nel suo popolo, e così i popoli in una fratellanza universale, essendo l'anima dei popoli la
manifestazione stessa di Dio. Perciò il principio della nazionalità come unica forma morale dell'esistenza del
popolo non è nella natura, nella razza, ma nello spirito, nella coscienza e nella volontà di essere nazione, e
la libertà è quindi diritto prima che dovere, impegno non di astratta teoria ma di azione, spinta se occorre al
sacrificio della propria persona, nella fede del valore imperituro di ogni testimonianza morale. Per questo la
politica è educazione, e l'insurrezione anche fallita è sempre vittoria dello spirito di libertà, affermazione della
vita-missione che solo nella nazione si attua e, senza compromessi, nel reggimento repubblicano. M.
contribuì alla formazione di una coscienza civile e politica in Italia; molti dei maggiori uomini del Risorgimento
sono passati attraverso il mazzinianesimo. E anche chi non vi era passato, come Cavour, e l'aveva anzi
costantemente e coerentemente avversato, nel dimostrare la necessità di Roma per l'Italia (discorso alla
camera del 27 marzo 1861), finiva inconsapevolmente per riprendere lo spirito, se non la lettera, di motivi
tipicamente mazziniani (l'Italia senza Roma "forma senz'anima", unità materiale non unità morale). Il
problema politico del Risorgimento acquistò con M. una dimensione religiosa: questo fondersi e confondersi
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
di motivi religiosi e politici non contribuì alla chiarezza concettuale, all'organicità e quindi alla diffusione del
suo pensiero, ma diede all'azione mazziniana vigore e tensione morale.
Opere
I numerosissimi scritti di M. sono stati pubblicati una prima volta, in 18 volumi, nell'edizione cosiddetta
daelliana (anche se presso l'editore milanese G. Daelli apparvero soltanto, tra il 1861 e il 1864, 7 volumi),
curati dallo stesso M. i primi 8 volumi, da A. Saffi tutti gli altri, meno l'ultimo, il 18°, pubblicato nel 1891 "a
cura della Commissione editrice". In occasione del centenario della nascita di M. fu costituita una
commissione incaricata di fare una edizione nazionale degli Scritti editi e inediti di M. che, tra il 1906 e il
1943, pubblicò 100 volumi divisi in scritti politici, scritti letterarî ed epistolario e un ultimo volume con scritti
letterarî e politici; a questi si sono aggiunti successivamente altri volumi. Tra il 1916 e il 1922 apparivano i 6
voll. del Protocollo della Giovine Italia.Brigate MazziniBrigate partigiane sorte dopo l'8 settembre 1943 per la
lotta antitedesca su iniziativa del Partito repubblicano italiano.Mazzini SocietyOrganizzazione politica
antifascista costituita negli Stati Uniti d'America dai rifugiati italiani attorno a C. Sforza, all'inizio della
seconda guerra mondiale, e della quale fu segretario generale dal 1940 al 1943 A. Tarchiani. Ebbe tendenza
democratica e anticomunista.
(Enciclopedia Treccani.it)
GIUSEPPE GARIBALDI
Patriota, generale e uomo politico (Nizza 1807 - Caprera 1882). Dopo aver aderito alla Giovine Italia e preso
parte a moti insurrezionali in Italia, visse alcuni anni (1835-48) in America, combattendo per l’indipendenza
in vari paesi. Rientrato in Italia, partecipò al governo provvisorio di Milano e, dopo la proclamazione della
Repubblica romana, nonostante i dissidi nati con Mazzini circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di
Casa Savoia, ricevette l’incarico della difesa di Roma. Sconfitto dai francesi, fuggì nuovamente all’estero
(1849). Al rientro in Italia (1854) si allontanò ulteriormente dalle idee di Mazzini, accondiscendendo a
divenire sostenitore della monarchia sabauda finché questa dimostrasse di credere fermamente nella causa
italiana e assumendo la guida dell’esercito sardo contro l’Austria (1858-59). Dopo l'annessione da parte del
Piemonte di Lombardia, Emilia, Toscana e Romagna, G. riavviò il processo di unificazione d’Italia, che
sembrava essersi bloccato nell’impossibilità di prendere Roma, con l’impresa dei Mille, che consentì di unire
il Mezzogiorno al Piemonte (1860) e quindi di giungere alla costituzione del Regno d’Italia (1861). Per le sue
imprese, nelle quali dimostrò di avere non solo rare doti militari ma anche indiscutibile acume politico, G. è
considerato uno dei più grandi artefici del Risorgimento italiano.
Vita e attività
La giovinezza
Secondogenito di Domenico, capitano mercantile, e di Rosa Raimondi; attratto dalla passione per il mare, fu
dapprima mozzo sul brigantino Costanza, poi navigò col padre e con altri armatori in Oriente. Comandava
una nave propria, quando nel 1833 in una locanda di Taganrog, sul Mar Nero, informato da G. B. Cuneo di
Oneglia dell'azione politica mazziniana fu "iniziato", come disse egli stesso, ai "sublimi misteri della patria", e
decise di dedicarsi alla causa nazionale iscrivendosi alla Giovine Italia. Imbarcatosi come semplice marinaio
con il nome di Cleombroto sulla fregata Des Geneys, per collaborare alla rivolta che avrebbe dovuto
facilitare la spedizione mazziniana in Savoia, fallito il moto nel febbr. 1834, fu costretto a fuggire; riparato a
Marsiglia vi apprese la sua condanna a morte (3 giugno). Si imbarcò allora per il Mar Nero; poi si arruolò
nella flottiglia del bey di Tunisi. Ritornato alla metà del 1835 a Marsiglia, vi ottenne il comando in seconda di
un brigantino diretto a Rio de Janeiro, dove giunse fra il dic. 1835 e il genn. 1836.
L'eroe dei due mondi
A Rio de Janeiro partecipò con altri italiani esuli alle riunioni della Giovine Italia. In seguito accettò col suo
amico L. Rossetti di far guerra di corsa a favore dello stato di Rio Grande do Sul ribellatosi al governo
brasiliano, e ne comandò poi la flotta da guerra. Al principio del 1842, costretto a riparare a Montevideo,
portò con sé Anita, già compagna di vita e d'ideali, che divenne sua sposa. Ma subito riprese a combattere a
favore di Fructuoso Rivera contro M. Oribe, sostenuto dal dittatore argentino J. M. de Rosas. Al comando di
una flottiglia fu costretto dalla flotta argentina, presso Nueva Cava (15 ag. 1842), a cercar scampo a terra. G.
ebbe il comando di una nuova flottiglia e, organizzata una legione italiana, risalì il Plata; l'8 febbr. 1846 si
segnalava brillantemente a S. Antonio del Salto. Richiamato a Montevideo (sett. 1846), gli giunse dall'Italia,
significativa del maturarsi dei tempi propizi per la libertà, la notizia della rivoluzione di Palermo, che lo
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
persuase a imbarcarsi, il 12 apr. 1848, con parte della legione. A Gibilterra, apprendendo che il re di
Sardegna si preparava a intervenire contro l'Austria, decise di approdare a Nizza, dove, con sorpresa dei
suoi compagni mazziniani, dichiarò "di non essere repubblicano, ma italiano".
La guerra del 1848-49
Accolto freddamente dal governo sardo, nel corso della prima guerra d'indipendenza al comando di un
gruppo di volontari si batté a Luino (15 ag.) e conquistò Varese, che poco dopo dovette abbandonare;
resistette a Morazzone (26 ag.), e poi, premuto dalle soverchianti forze austriache, riparò in Svizzera.
Tornato a Nizza, il 24 ottobre ne ripartì con alcune centinaia di volontari per la Sicilia, inviato da Paolo
Fabrizi; ma, fermatosi in Toscana (25 ott. - 8 nov.), offrì alla Repubblica Romana la sua spada; tenuto
dapprima in disparte, a Macerata, che lo nominò deputato alla Costituente, e poi a Rieti, fu chiamato a Roma
per l'ultima difesa contro i Francesi. Dopo il sanguinoso scontro del 30 apr. 1849 seguirono la breve
campagna contro l'esercito napoletano, interrotta per volere di G. Mazzini, e l'assedio, conclusosi con la
caduta della Repubblica. Garibaldi sfuggì all'accerchiamento e riparò a S. Marino (31 luglio), donde tentò di
raggiungere Venezia ancora libera. Ma attaccato da navi austriache sbarcò sulla costa di Magnavacca (ora
Porto Garibaldi), e, nel tragico inseguimento, vide morire la moglie Anita (4 agosto). Attraverso Romagna e
Toscana riuscì a raggiungere il territorio piemontese, dal quale, senza proteste, accettò l'espulsione.
Cominciava il suo secondo esilio (16 settembre). Ospite prima del console piemontese di Tangeri (nov. 1849
- giugno 1850), poi operaio in una fabbrica di candele a New York, riprese finalmente a navigare
nell'America Centrale, e tra il Perù, la Cina, l'Australia.
Per l'Italia con Vittorio Emanuele
Conquistato dalla politica realistica del governo sardo, nel 1854 G. tornò in Europa e, in seguito a un
colloquio segreto con Cavour (13 ag. 1856), pubblicamente dichiarò di voler mettere a base dell'unità italiana
la monarchia, aderendo alla Società Nazionale. Alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza, il 2 marzo
1859 s'incontrò con Cavour per accordarsi sull'organizzazione dei volontari; e in quell'occasione conobbe
Vittorio Emanuele. Al comando dei cacciatori delle Alpi, vinse il gen. Urban sotto Varese (26 maggio) e a S.
Fermo (27 maggio); protesse i fianchi dei Franco-Piemontesi ed entrò trionfalmente in Brescia (13 giugno).
Gli avvenimenti che seguirono alla pace di Villafranca raffreddarono i rapporti fra G. e il governo sardo.
Comandante in seconda delle truppe della lega militare formatasi fra Toscana, Romagna, Parma e Modena,
passò nelle Marche per estendere colà il movimento rivoluzionario, ma, richiamato dallo stesso Vittorio
Emanuele, depose il comando, ritirandosi a Caprera, dopo aver lanciato a Genova un manifesto agli Italiani
di violenta critica alla politica piemontese.
L'impresa dei Mille
Giuntagli nell'aprile del 1860 notizia della rivolta scoppiata a Palermo, col consenso almeno tacito del
governo si pose a capo della missione nota come spedizione dei Mille, che partì da Quarto nella notte dal 5
al 6 maggio 1860. Tappe dell'impresa furono: lo sbarco a Marsala (11 maggio), la battaglia di Calatafimi (15
maggio), la presa di Palermo (27 maggio), la battaglia di Milazzo (20 luglio), il passaggio dello Stretto di
Messina (19 agosto), la trionfale marcia attraverso la Calabria, l'ingresso in Napoli (7 sett.), la decisiva
battaglia del Volturno (1-2 ott.), l'incontro col re a Teano (26 ott.). Il 7 novembre entrò con Vittorio Emanuele
a Napoli; sacrificando ogni ambizione alla soluzione sabauda, che sentiva necessaria per l'unità, il giorno
seguente gli consegnò i risultati del plebiscito e il 9 ripartì per Caprera, rifiutando la nomina a generale e le
ricompense concessegli. L'impresa che univa il Mezzogiorno al Piemonte per formare di lì a poco il Regno
d'Italia, apparve subito come l'azione politicamente risolutiva del processo risorgimentale; anche dal punto di
vista tecnicamente militare, sia nello stratagemma della marcia avvolgente su Palermo, sia nella
dislocazione e nella manovra delle forze al Volturno, G. rivelò le sue grandi qualità di comandante, esaltate
dall'ascendente che esercitava sui suoi uomini. Intanto la morte di Cavour parve allontanare il giorno del
compimento dell'unità italiana. Le forze rivoluzionarie guardavano di nuovo a G. come all'uomo che sapeva
osare, mentre U. Rattazzi cercava di ripetere, in modi assai più ambigui, la politica svolta con tanto successo
da Cavour nel 1860. Dopo un vano tentativo di invasione del Trentino (Sarnico, maggio 1862), G. si recò a
Palermo (28 giugno), lanciò un proclama contro la Francia, e al grido di "Roma o morte" marciò verso Roma;
nell'Aspromonte (29 ag.) fu ferito e fatto prigioniero da soldati italiani. Amnistiato, nel marzo 1864 lasciò
Caprera per Londra, dove ebbe incontri con Mazzini e con A. I. Herzen, oltre che col Palmerston, e misurò la
propria straordinaria popolarità.
Gli ultimi anni
Scoppiata la terza guerra d'indipendenza nel 1866, accettò il comando dei volontari; entrò con essi nel
Trentino e li condusse alla vittoria (Monte Suello, 3 luglio; Bezzecca, 21 luglio). Dopo l'annessione del
Veneto, G. sentì ancor più urgente la conquista di Roma. Fermato a Sinalunga (24 sett. 1867) da soldati
italiani mentre organizzava una spedizione contro Roma, fu ricondotto a Caprera, ma, sfuggendo alla
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
sorveglianza della flotta italiana, ritornò sul continente e il 23 ottobre passò il confine con i volontari accorsi
all'impresa: a Mentana (3 novembre) le truppe francesi e pontificie lo costrinsero alla ritirata. Arrestato a
Figline e condotto nella fortezza del Varignano, il 25 novembre fu imbarcato, virtualmente prigioniero, per
Caprera, donde salpò solo per partecipare alla difesa della Francia (1870), ottenendo una vittoria a Digione
(21-23 genn. 1871). Negli ultimi anni della sua vita inclinò sempre più a un socialismo di tipo umanitario e
aderì all'Internazionale. In questo periodo aggiornò le sue Memorie autobiografiche, cominciate a Tangeri tra
il 1849 e il 1850, aggiungendovi una redazione in versi sciolti, e scrisse (1869-74) tre romanzi: Clelia o il
governo del monaco, Cantoni il volontario, I mille, e compose versi in lingua italiana e francese.
(Enciclopedia Treccani.it)
Lo stato che mantenne in vigore lo Statuto Albertino come venne ideato negli anni '40 fu il Piemonte di
Vittorio Emanuele II. Questo programma, confermato da l'editto di Moncalieri che ospitava molti esuli politici
provenienti da tutte le parti d'Italia, fece sì che l'immagine dello stato sabaudo venisse associata a quello che
fosse in grado di promuovere i moti rivoluzionari in grado di risolvere i problemi. Una svolta importante della
politica del regno sabaudo si può delineare nel gennaio del 1850 quando il nuovo governo guidato da
Massimo d'Azeglio si trovò ad affrontare un problema importantissimo che era quello del rapporto tra Stato e
Chiesa.
La camera aveva approvato un disegno di legge per ridurre i privilegi ecclesiastici, la legge Siccardi del
ministro della giustizia che l'aveva presentata. Il provvedimento di fatto eliminava il Foro Ecclesiastico, un
tribunale speciale riservato esclusivamente alle persone di Chiesa, e il diritto d'asilo per i luoghi sacri. La
legge Siccardi provocò numerose discussioni che interessarono il mondo ecclesiastico e Vittorio Emanuele
II. Questa legge provocò l'opposizione e l'osteggiamento anche di numerosi conservatori presenti in
Parlamento, ciononostante i moderati, guidati da Camillo Benso conte di Cavour, riuscirono a far passare il
testo anche al Senato.
Questa legge costituì una svolta nella politica piemontese, la votazione che si era svolta aveva dato vita al
nuovo gruppo parlamentare che era quello liberale moderato, costituito liberamente perché aveva votato
trasversalmente. Il gruppo aveva come avversari, da un lato, la destra ultrà cattolica, dall'altro lato la sinistra
democratica repubblicana. Cavour, che guardava molto il modello inglese, divenne subito il leader del
gruppo liberale democratico e affermava che vi era una forte connessione tra le libertà economiche e le
libertà politiche per cui le riforme atte a migliorare l'economia di un paese dovevano rinsaldare anche il
regime monarchico costituzionale perché solo questo poteva garantire uno stato sviluppato sotto ogni punto
di vista. Il Parlamento comunque avrebbe sempre dovuto rivestire una certa importanza e doveva essere,
soprattutto, l'espressione dell'opinione pubblica. Contrario a suffragio universale, Cavour proponeva un
sistema basato sul censo (i votanti dovevano appartenere ad un ceto medio elevato istruito e consapevole
delle proprie scelte politiche). Cavour alle forze liberali assegnava il compito di mediare tra i diversi interessi
della società. Per risolvere la questione nazionale escludeva la prospettiva rivoluzionaria. Non vedeva tra gli
obiettivi principali immediati la realizzazione di uno stato nazionale che comprendesse l'intera penisola
perché favorevole ad una gradualità, favorevole ad un regno di alta Italia sotto la dinastia dei Savoia mutò in
seguito i suoi obiettivi.
Il suo programma era volto alla realizzazione di un sistema politico efficiente, centralizzato e sotto il controllo
dei ceti dirigenti altoborghesi che promuovessero gli interessi della casa Savoia.
CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR
Nato a Torino nel 1810 da una famiglia dell'antica nobiltà piemontese che si era distinta nei secoli perché al
servizio dei Savoia. All'età di 10 anni fu iscritto all'Accademia militare dove diede prova di grande
intelligenza. Osservatore degli avvenimenti contemporanei, si addentrava nell'ambiente politico per
comprendere gli avvenimenti e, viste le disponibilità economiche, si recò spesso in visita all'estero per
confrontarsi con le differenti culture e per crescere intellettualmente. Completò la sua preparazione
attingendo ai principali pensatori dell'epoca. Quando nel 1847 il governo piemontese concessa la libertà di
stampa, Cavour fece parte del comitato che fondò "Il Risorgimento" ed è proprio scrivendo su questo
quotidiano che si affermò pubblicamente. Sfidò l'esitazione di tanti liberali moderati, sollecitò e poi approvò
con fermezza l'emanazione dello Statuto Albertino che concentrava in sé tutti i diritti che una nazione civile
avrebbe dovuto avere. Con l'elezione al Parlamento tra le file dei moderati, nel giugno del 1848, Cavour
iniziò la sua carriera politica in cui vide il culmine nel giugno del 1852 quando divenne primo ministro.
Quando nel 1850 Cavour venne chiamato a ricoprire il ruolo di ministro dell'agricoltura e del commercio, gli
fu anche attribuita la carica di ministro delle finanze per le sue doti, le sue capacità e la sua esperienza
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
all'estero. Tra il 1850 e il 1852 trascrisse numerosi importanti trattati commerciali con l'Austria, il Belgio,
Francia e d'Inghilterra ispirati tutti al principio del libero scambio che contribuirono a rafforzare la posizione
del Piemonte e confermarono la sua abilità diplomatica.
Per quanto riguarda la politica interna varò numerosi provvedimenti per riorganizzare la pubblica
amministrazione e la contabilità dello stato. Dal punto di vista fiscale ideò una politica tributaria molto severa
che cercò di favorire i settori economici più dinamici penalizzando le rendite improduttive. Dal Piemonte
nacque quindi un processo di modernizzazione del paese e di risoluzione della crisi economica pubblica.
Cavour mantenne i suoi principi da moderato anche se decisamente progressista, questo suo indirizzo
provocò lo sfaldamento del blocco di destra dal quale presero le distanze i conservatori. Cavour seppe
anche catturare la simpatia di numerosi personaggi della sinistra che facevano capo a Urbano Rattazzi e da
questa forma di trasversalità riuscì a raccogliere le simpatie sia di destra che di sinistra dando vita ad un
Parlamento che passò alla storia come una forma di connubio tra queste forze. Grazie all'avvicinamento dei
blocchi di destra e di sinistra si formò un'ampia maggioranza che lasciò fuori le posizioni estreme
consentendo l'avvio di una politica riformatrice. Il frutto di questo avvicinamento si concretizzò nel 1852 con
l'elezione di Urbano Rattazzi a Presidente della Camera dei Deputati. Parallelamente l'accordo tra Cavour e
Rattazzi pose in difficoltà d'Azeglio che era lontano dalle idee riformistiche che stavano prendendo campo e
nei mesi successivi alla nomina di Rattazzi la situazione si complicò dando l'avvio alla polemica tra
conservatori e progressisti attorno all'approvazione di una legge che istituiva il matrimonio civile. Dopo aver
allontanato Cavour dalle compagini ministeriali nel maggio 1852 d'Azeglio si ritrovò a rassegnare le
dimissioni. Il sovrano capì che vi era dentro ai progressisti un consenso minore e incaricò Cavour di formare
un nuovo ministero.
CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR (approfondimento)
Statista (Torino 1810 - ivi 1861). Ufficiale del genio (1827-31), fece il suo ingresso in politica nel 1847,
fondando il giornale Il Risorgimento. Deputato (1848, 1849), fu più volte ministro (1850, 1851) e presidente
del consiglio (1852). Nel 1860 assunse il pieno controllo diplomatico dell’impresa garibaldina, che
controbilanciò con le annessioni e i successivi plebisciti, cosa che gli consentì poi di far prevalere il suo
punto di vista (unitario ma monarchico) e di attuare la trasformazione giuridica del Regno di Sardegna nel
Regno d’Italia, facendo proclamare Vittorio Emanuele II re d'Italia (1861). Gettò poi le premesse di un’azione
volta a sanare i rapporti tra Stato e Chiesa ma morì prima di essere riuscito a portarla a compimento.
Animato da spirito liberale, C. fu tra le figure di maggior spicco del Risorgimento, tra i pochi uomini
dell'Ottocento italiano dotati di statura europea.
Vita e attività
Cadetto di Michele e di Adele de Sellon, destinato alla carriera delle armi, dal luglio 1824 paggio di Carlo
Alberto principe di Carignano, fu radiato nel 1826, per una certa giovanile insofferenza alle regole e per il
dichiarato liberalismo. Ufficiale del genio dal 1827, venne trasferito per punizione al forte di Bard per aver
manifestato consenso alla rivoluzione di luglio in Francia. Ciò lo spinse alle dimissioni (12 nov. 1831). La sua
fede politica raggiunse presto una base ferma: il juste milieu, l'avversione alla reazione e alla rivoluzione; più
lenta fu invece la ricerca di un ubi consistam nell'attività pratica. Pensò di raggiungerlo nell'agricoltura e,
amministratore dei beni di famiglia (i castelli di Santena e di Trofarello, le tenute di Leri e di Grinzana), vi
introdusse lo spirito di un uomo di affari moderno. In mezzo alla diffidenza dei circoli conformistici, C. si
inseriva così nel movimento riformatore subalpino, al quale cooperò sia con iniziative dirette (nel 1838-39
promosse asili e scuole d'infanzia; nel 1839 fu membro della commissione superiore di statistica; nel 1842 fu
uno dei fondatori dell'Associazione agraria), sia con la sua attività di pubblicista nella Bibliothèque
universelle di Ginevra, nella Revue nouvelle di Parigi, nell'Antologia Italiana di Torino. La riforma della legge
sulla stampa permise a C. l'ingresso nella politica vera e propria, con la fondazione (1847) del giornale
moderato Il Risorgimento, ove si fece patrocinatore di una costituzione, pur accentuando - soprattutto dopo
la rivoluzione parigina del 1848 - un'esigenza conservatrice (suffragio censitario e collegio uninominale). Le
Cinque giornate di Milano spinsero C. dai problemi di politica interna a quelli di politica estera e nel celebre
articolo L'ora suprema della monarchia sabauda caldeggiò l'intervento immediato a favore degli insorti. Eletto
deputato alle elezioni suppletive del 26 giugno 1848, battuto a quelle successive del 22 genn. 1849, si
mostrò favorevole all'intervento in Toscana contro il partito rivoluzionario e avverso alla ripresa della guerra
contro l'Austria. Rieletto il 29 marzo 1849, sostenne il ministero d'Azeglio contro le correnti di sinistra, ma
dopo il proclama di Moncalieri, alla cui preparazione non prese parte, e dopo le elezioni del 9 dic. 1849, che
segnarono la disfatta delle tendenze estreme, cambiò rotta politica individuando il pericolo non più a sinistra
ma a destra. Si era venuta consolidando, intanto, la posizione parlamentare di C., che aveva fatto la prima
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Alberto Vipraio Tiberi - 5a T serale 2014/15
Appunti di STORIA e CITTADINANZA
grande affermazione del suo programma il 7 maggio 1850 difendendo alla Camera le leggi Siccardi; entrato
l'11 ott. 1850 nel gabinetto d'Azeglio come ministro dell'Agricoltura e Commercio, realizzato - nei limiti del
possibile - il proprio ideale libero-scambista con tutta una serie di trattati commerciali (Francia, Belgio,
Inghilterra), il 19 apr. 1851 assunse anche il ministero delle Finanze e con un prestito all'estero e con nuove
tasse riuscì a risolvere il problema finanziario, svincolando il Piemonte dalla soggezione finanziaria ai
Rothschild. I problemi tecnici non distraevano però C. dalla politica generale e, di fronte all'atteggiamento
moderato di d'Azeglio, si accordò nel maggio 1852 col "centro sinistra" di U. Rattazzi (il "connubio"),
preparando così la caduta del gabinetto. Da questo momento ha inizio quella grande politica che doveva
portare al compimento del Risorgimento italiano. Costretto alle dimissioni dal presidente del consiglio il 16
maggio 1852, allontanatosi dalla scena politica con un viaggio all'estero, il 2 nov. 1852 C. fu designato da
Vittorio Emanuele II, che invano aveva tentato di affidare il governo al capo della destra Balbo, come nuovo
presidente del consiglio. Esplicò subito un'attività febbrile, attuando quasi del tutto, senza scosse brusche, il
libero scambio. Caddero molti privilegi dell'aristocrazia; furono assunti i migliori degli esuli politici
nell'amministrazione statale, vincendo le diffidenze dei subalpini; venne sancita la soppressione delle
corporazioni religiose e della manomorta, riportando una netta vittoria sul re, che aveva rifiutato di
sanzionare la legge e costretto C. a dimettersi (26 apr. 1855), ma aveva dovuto poi richiamarlo (3 maggio).
Con questa vittoria il regime parlamentare trionfava in Piemonte - almeno in politica interna se non in quella
estera - sul potere personale del re. Forte delle sue istituzioni liberali, il Piemonte si rivelava investito di una
missione nazionale: al raggiungimento di tale missione lavorò C. e fu l'alleanza con la Francia e l'Inghilterra,
del 10 genn. 1855, con la conseguente spedizione in Crimea, frutto della volontà di prestigio dinastico del
sovrano e di abile calcolo politico-liberale del suo ministro, a dare a C. il diritto di porre per la prima volta
diplomaticamente dinanzi all'Europa la questione italiana nel congresso di Parigi (8 apr. 1856). La
realizzazione del programma cavouriano procedette tuttavia con una lotta incessante su due fronti: contro i
clericali e i conservatori, divenuti minacciosi con le elezioni del 1857, e che C. contenne sacrificando
Rattazzi (14 genn. 1858) e agitando lo spettro del mazzinianesimo e del sovvertimento sociale, e contro i
mazziniani e gli ultrademocratici. Questi tuttavia fornirono a C. le migliori armi per la propria azione e
l'attentato di Felice Orsini contro Napoleone III contribuì a far presente all'imperatore l'urgenza di risolvere la
questione italiana. Si giunse così al convegno di Plombières del 21 luglio 1858: C. ancora non era
guadagnato all'idea unitario-nazionale e accettò la divisione della penisola in tre grossi stati. Scoppiata la
concordata guerra con l'Austria nell'apr. 1859, l'improvviso armistizio di Villafranca mise in pericolo tutto il
sogno di C., che preferì dimettersi e ritirarsi a Leri. Ma l'agitazione mazziniana-unitaria non era passata
invano; né per C. costituivano più limite alla sua libertà d'azione le precedenti linee di condotta diplomatica; il
movimento popolare per le annessioni dell'Italia centrale fornì a C., ritornato al potere il 21 genn. 1860, di
che risolvere radicalmente il problema. Annessi mediante plebiscito la Toscana e i ducati di Parma e
Modena (11-12 marzo), riconosciute alla Francia, previo plebiscito, Nizza e la Savoia (12-14 marzo), C. poté
perciò imporre il proprio piano diplomatico nell'impresa che Garibaldi stava per effettuare in Sicilia; e, dopo le
vittorie garibaldine di Calatafimi e di Palermo, per non lasciarsi sfuggire la direzione del movimento
nazionale, concepì e fece effettuare l'invasione delle Marche e dell'Umbria in modo da bilanciare i suoi
successi e da impedirgli una soluzione repubblicana dell'impresa. L'atteggiamento tenuto da Garibaldi nel
colloquio di Teano diede partita vinta a C.; risolto il problema garibaldino, avvenuti i plebisciti delle Due
Sicilie (21-22 ott.), delle Marche e dell'Umbria (4 e 5 nov.), C. poteva a buon diritto trasformare
giuridicamente il Regno di Sardegna in Regno d' Italia. Fece proclamare Vittorio Emanuele II re d'Italia (17
marzo 1861) e con le trattative svolte a Roma dal padre C. Passaglia e da O. Pantaleoni e con quelle svolte
a Parigi da O. Vimercati pose le premesse per la soluzione (ma la morte gli impedì di procedere per questa
via) del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa sulla base di quel principio di libertà religiosa, che era stato
la sorgente più intima del suo liberalismo. Si chiudeva così in assoluta coerenza tutta la sua vita ideale e
pratica. Uomo tenace, concreto, positivo, di ampie visioni di politica interna ed estera, C. diede una
soluzione diplomatica e monarchica al Risorgimento; da ultimo e nella fase conclusiva, in senso
risolutamente unitario (e qui è da vedere una sostanziale vittoria del programma di Mazzini). Qualcosa del
pathos mazziniano e dell'apertura democratica delle prime battaglie andò smarrita nella visione realistica del
sottile diplomatico, ma la profonda fede liberale che lo animava, la lealtà con cui tenne fede allo Statuto e
alla pratica parlamentare fecero sì che il nuovo Regno d' Italia sorgesse erede della passione liberalenazionale del sec. 19°.
(Enciclopedia Treccani.it)
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
I MOTI INSURREZIONALI E LO STATUTO ALBERTINO
Le Cinque Giornate di Milano, insurrezione preparata dai rivoluzionari, vide una partecipazione emotiva mai
vista precedentemente. A questo movimento rivoluzionario non parteciparono i ricchi e gli aristocratici, gli
stessi sconsigliarono vivamente la partecipazione ad essi. La rivoluzione scoppiò improvvisa il 18 marzo
1848 quando a Milano giunsero notizie delle sommosse popolari in corso a Vienna.
Il popolo milanese era in forte squilibrio nei confronti dell’esercito regolare austriaco, le proprie armi erano
recuperate e poco efficaci. I blocchi nelle vie della città erano costituiti perlopiù da mobilia proveniente dalle
abitazioni e la logistica proveniva da qualsiasi luogo ma il sentimento popolare fu così forte da determinare il
risvolto positivo dell’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano.
Il sovrano Carlo Alberto emanò la costituzione con lo Statuto Albertino che rimase in vigore fino al 1948. La
longevità di questo atto fu determinato dalla sua flessibilità e dalla possibilità di apportarvi modifiche (come
durante il periodo del fascismo).
Il periodo di suo massimo successo, il 1848, vedeva l’Italia Suddivisa in numerosi stati con loro autonome
costituzioni. A seguito dei movimenti rivoluzionari i sovrani concessero tutte le richieste formulate dai
rivoluzionari, riservandosi di ritirarle in seguito.
La stagione delle rivoluzioni fu un periodo molto proficuo perché vennero riconosciuti al popolo molti diritti.
Nel Regno di Sardegna lo statuto fondamentale venne promulgato il 4 marzo 1848. A differenza di quanto
accade negli altri stati italiani la carta costituzionale sopravvisse agli eventi storici, rimase in vigore nel
Regno Sabaudo fino al 1860 e dopo l’unificazione divenne la legge fondamentale del Regno d’Italia fino alle
soglie della nascita della Repubblica Italiana.
Di seguito il preambolo dello Statuto Albertino
CARLO ALBERTO
per la grazia di Dio
RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME
Ecc. Ecc. Ecc.
Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri
amatissimi Sudditi col Nostro proclama dell’ 8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare,
in mezzo agli eventi straordinari che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse
colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse
ferma Nostra intenzione di
conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione.
Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale
come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d’indissolubile affetto che stringono all’Italia Nostra
Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d’obbedienza e d’amore, abbiamo determinato di
sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedire le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera,
forte e felice si mostrerà sempre più degna dell’antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò
di Nostra certa scienza, Regia autorità , avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo
in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:...
In esso si afferma la gerarchia del regno ed, in particolare, il ruolo che deve avere il sovrano: padre leale che
mantiene le promesse ed esaudisce desideri ma allo stesso tempo ammette i condizionamenti quando ci
sono degli eventi straordinari. Se il re dovesse riconoscere dei limiti oggettivi al suo potere, nello statuto, si
ribadisce che la legge deve essere perpetua ed irrevocabile; praticamente il sovrano non ha il potere di
limitarla o abrogarla. La subordinazione del re alla legge è definita nell’articolo 7 secondo il quale il re fa i
decreti necessari per l’esecuzione delle leggi senza sospenderne l’esecuzione o criticarle.
Lo statuto sanciva tutte le libertà tipiche della costituzione dell’’800 quali l’uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge, la libertà individuale, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa (sia pure sottomessa ad una
legislazione che doveva impedirne gli abusi), il diritto di proprietà, la libertà di associazione (benché affidata
alla sfera privata). Per quanto riguarda la religione, con l’articolo 1 si conferma che il cattolicesimo è la sola
religione di stato sebbene gli altri culti sono tollerati.
Sempre nel febbraio 1848 Carlo Alberto emanò altre leggi chiamate "lettere patenti", ovvero più che leggi
erano disposizioni legislative in cui si estendevano i diritti civili anche alle comunità minoritarie come i valdesi
e gli ebrei.
La separazione dei poteri è imperfetta. Il potere legislativo spetta alle camere, il Senato di nomina regia e la
Camera dei Deputati nominata dal numero assai limitato di elettori. Al re viene relegato il potere esecutivo
esercitato dei ministri da lui nominati. Il potere giudiziario amministrato, in nome del re, dai magistrati da lui
designati. I ministri sono responsabili solo di fronte al re e non al Parlamento. Il limite è una monarchia
costituzionale ma non parlamentare come in Inghilterra.
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
L’articolo 9 della costituzione vincola il re a convocare una nuova assemblea parlamentare entro quattro
mesi dal suo ultimo scioglimento.
La flessibilità è la modifica della carta senza particolari procedure di revisione, le leggi ordinarie nel regno
potevano cambiare lo scritto della carta. Ciò permise un cambiamento in positivo dell’evoluzione
dell’istituzione parlamentare, ispirato più alla costituzione inglese. A cominciare da Cavour il regno fu nella
prassi parlamentare, ossia i governi erano responsabili davanti al Parlamento; allo stesso tempo già
nell’Italia liberale lo scarso valore dell’enorme contenuto dello statuto consentì spesso una legislazione che
limitava l’effettivo godimento dei diritti fondamentali. Questi diritti erano goduti solamente da alcuni, venivano
escluse le masse popolari.
Come già detto, lo statuto Albertino rimane in vigore anche nel periodo fascista visto il riferimento al potere,
perché le decisioni venivano prese da chi lo deteneva.
Nel periodo risorgimentale l’Italia conobbe un momento costituente che si verificò nel breve periodo della
Repubblica Romana del 1849 quando l’assemblea costituente elaborò una costituzione democratica molto
avanzata dove si riconfermavano le scelte istituzionali (l’Italia è una Repubblica e il popolo è sovrano) ma
non entrò mai in vigore perché la Repubblica Romana non ebbe un seguito e la costituzione venne
promulgata mentre i soldati francesi entrarono a Roma per ristabilire l’ordine e riportare il Papa al potere.
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
L'EUROPA E IL MONDO NEL SECONDO OTTOCENTO
Il nuovo volto del capitalismo e la seconda rivoluzione industriale
l'Inghilterra è protagonista anche nel secondo Ottocento con la seconda rivoluzione industriale. Con le
nuove tecnologie, che portano a nuove produzioni ed investimenti, vediamo che i settori più interessati sono
il settore chimico, elettrico e metallurgico. Cambiano le modalità di produzione, la fabbrica di dimensioni
contenute aumenta di grandezza per cui si espande la produttività e il proletariato industriale. Incominciano
ad organizzarsi le masse con la nascita dei primi sindacati e oltre al movimento socialista anche il mondo
cattolico diventa sempre più sensibile ai problemi sociali. Si produce e si commercia e il commercio diventa
sempre più importante, le importazioni ed esportazioni sono sempre più proiettate a livello mondiale. Oltre
l'Inghilterra anche altri stati vanno via via affermandosi assumendo sempre più importanza, tra questi la
Prussia, sotto la guida del cancelliere Otto von Bismarck che ottiene di riunione della Germania sotto il
secondo impero nel Reich ridimensionando l'importanza politica della Francia dopo la guerra tra Prussia e
Francia del 1870. Dal punto di vista economico anche la Germania si espande e si pone in concorrenza
serrata con l'Inghilterra. Oltre Europa, gli Stati Uniti, nonostante siano impegnati nella Guerra di Secessione
con gli Stati del Sud (1861-1865), assumono sempre più importanza dal punto di vista economico.
In oriente il Giappone reagisce all'aggressività occidentale e si trasforma a sua volta in una potenza
regionale.
Le Cina, invece, attraversa un periodo di grave crisi poiché diventa preda delle mire delle potenze europee.
L'Italia affronta i problemi della costruzione del nuovo stato unitario in cui sono evidenti profonde diversità
legate ai vari territori; il Nord recepisce le nuove regole dell'industrializzazione come le altre nazioni europee
mentre il Sud rimane legato al latifondo agricolo e fatica a svilupparsi. L'Italia comunque, nonostante le sue
arretratezze, si lancia alla conquista di colonie in Africa ma questo tentativo risulterà fallimentare per cui
negli ultimi anni dell'800 lo stato si ritroverà in una situazione di grave crisi economica e sociale che
culminerà con la pressione di alcuni movimenti rivoluzionari (Milano-1898 e con l'assassinio di Umberto I, nel
1900, ad opera dell'anarchico Antonio Bresci).
LA QUESTIONE SOCIALE
Insieme al capitalismo e alla commercializzazione nascono i primi problemi sociali rappresentati dai rapporti
tra imprenditore e lavoratore. Non esistendo nessuna legislazione che regolamentava il mondo del lavoro
nascono i primi problemi e le rivendicazioni sociali. Nella prima fase dell'industrializzazione, che va dal 1850
al 1870, riguarda la tecnologia, l'organizzazione finanziaria e le banche con il conseguente aumento delle vie
di comunicazione. Nella seconda fase, che va dal 1870 ai primi anni del '900, si assiste ad un imponente
aumento dell'industria dovuto alla scoperta di nuove forme di energia quali petrolio, elettricità, nuove leghe
metalliche e alla creazione di nuovi macchinari. Vi sono delle zone, sia in Europa che in Italia, dove si
concentra maggiormente la produzione industriale. In questi territori vi sono maggiori capitali da poter
investire, capitali che si concentrano sempre di più nelle mani di pochi. Nascono così i monopoli organizzati
in cartelli, o cosiddetti "Trust", anticamera delle multinazionali, che detenevano il controllo su determinati
prodotti.
Per quanto riguarda la finanza vediamo la crescita dell'importanza delle grandi banche che finanziano gli
imprenditori.
Dal punto di vista commerciale diventa fondamentale lo scambio tra i vari paesi delle materie prime da
utilizzare nelle industrie per la lavorazione e si sente la necessità di colonizzare nuove terre per
approvvigionarsi di una maggiore quantità di esse. Questo aumento del commercio può essere inteso come
una prima fase della globalizzazione nata dall'esigenza di incrementare la produzione e il commercio. Fin dal
1860 molti stati assunsero il sistema monetario aureo, le monete coniate dovevano corrispondere al prezzo
dell'oro stabilito a livello mondiale (corrispondenza moneta-oro). Gli stati concordarono nel non coniare più
monete di quanto oro possedessero nei loro caveau, perché l'oro doveva rimanere una garanzia.
L'espansione dell'industria e della tecnologia non assunse solo aspetti positivi ma anche di difficoltà. Gli
ultimi anni del 1800, nonostante questa positività e questo sviluppo, si aprirono all'insegna della prima vera
grande crisi del mondo dell'industrializzazione nell'era moderna. Denominata "Crisi della lunga depressione"
questo periodo negativo fece sì che le nazioni che non potevano più reggere alla situazione di crisi si
indirizzassero verso altri territori per colonizzarli e sfruttarli. Cominciano ad imporsi alcune nazioni che
costruiscono i nuovi imperi coloniali. Questa nuova corsa ai territori da conquistare viene ricordata come
"Imperialismo". Le potenze interessate sono, in primis, l'Inghilterra poi la Francia, il Belgio, la Germania, gli
Stati Uniti e il Giappone. Gli stati europei si indirizzarono verso l'Africa, nonostante l'Inghilterra avesse rivolto
le sue mire anche all'oriente, gli Stati Uniti e il Giappone si indirizzarono verso l'Asia e la Cina.
Con l'industrializzazione protagonista, oltre l'imprenditore, divenne anche il lavoratore che incominciò a
protestare reclamando i propri diritti. Il primo ad interessarsi dei diritti dei lavoratori fu il Movimento Socialista
che aveva acquisito degli elementi dal marxismo. Il Movimento Socialista incominciò ad organizzarsi in
associazione per i lavoratori che nascevano ovunque. Pian piano si rafforzarono all'interno delle nazioni e si
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
affiancarono sempre di più alla vita politica per potersi affermare e farsi ascoltare. I seguito queste
associazioni si organizzarono in partiti politici cercando di crescere anche a livello internazionale. La
questione sociale venne affrontata anche dalla Chiesa che richiamava le nazioni alla loro responsabilità;
sosteneva la giusta remunerazione dei lavoratori, l'utilizzo della ricchezza degli imprenditori per cause sociali
giuste, poiché a questo capitalismo si rapportava un liberismo sfrenato con un individualismo egoista.
Divengono evidenti le problematiche delle diseguaglianze sociali e aumenta il desiderio di redistribuzione
delle ricchezze. L’Enciclica Remu Novarum (sulle Nuove Cose) del 1891 di papa Leone XIII è un documento
innovativo che si occupa delle problematiche mondiali e dà consigli, ponendo la Chiesa come
un'associazione volta all'assistenza verso i più deboli e i bisognosi.
DESTRA STORICA E SINISTRA STORICA
Nei primi anni dell'unità d'Italia, 1871, il paese si trovava in una situazione di grande differenza tra la classe
dirigente e la popolazione. Per quanto riguarda la classe politica abbiamo la Suddivisione tra la Camera e il
Senato composto da senatori, della compagine di Destra, nominati direttamente dal re, di cui facevano parte
monarchici, cavouriani e liberali moderati. La Sinistra, costituita dai repubblicani e dai garibaldini, era più
vicina alle idee di Mazzini. Inizialmente, dal 1861 al 1876, il potere venne mantenuto dalla Destra che in
questo periodo ottenne il pareggio di bilancio. In attesa del completamento dell'unificazione si dovevano
risolvere i problemi tra la Chiesa e lo stato italiano. Inoltre si dovevano varare dei provvedimenti atti a
rendere validi i matrimoni civili come unici validi. Dal punto di vista culturale vi furono dei movimenti che
tentarono di staccare la cultura dall'ideologia religiosa perché molte scuole erano ancora appannaggio della
Chiesa cattolica. Per tutti questi motivi i rapporti tra stato e Chiesa non furono tranquilli.
Dal punto di vista economico la Destra Storica doveva fare delle scelte in senso liberale che non cambiarono
molto la situazione. Anche se furono emanati numerosi decreti per incrementare le infrastrutture, tra cui
strade, ponti, porti, poste e telegrafi che portarono molti industriali di altri paesi a venire in Italia per lavorare
ed investire.
Nel 1876, dopo il periodo della Destra Storica, il governo venne assunto dalla Sinistra Storica, anche se
c'era stato un breve periodo in cui qualche esponente della sinistra aveva governato fino al 1862 (Urbano
Rattazzi). La Sinistra al governo riformò il sistema elettorale e quello fiscale, cercò di combattere
l'analfabetismo riproponendo l'istruzione elementare per la maggior parte delle persone in forma gratuita ed
obbligatoria, introdusse una prima legislazione sociale a favore delle classi più deboli, Agostino De Petris
(primo Presidente del Consiglio di sinistra) inserì nel suo governo personalità che rappresentassero il
governo in tutte le regioni italiane e chiese l'appoggio, di volta in volta, ad alcuni gruppi per avere la
maggioranza (si può considerare questo l'inizio del tanto discusso attuale "Trasformismo").
In ambito economico la Sinistra, nel 1878, prese delle misure protezionistiche per salvaguardare la
produzione industriale del Nord, dal settore agricolo del Sud il protezionismo non ottenne buoni risultati. Per
migliorare i risultati dell'agricoltura occorreva investire del denaro per migliorare le attrezzature agricole, che
dovevano essere all'avanguardia per permettere di produrre meglio. Questi finanziamenti non vennero
concessi e l'agricoltura rimase bloccata con prodotti molto costosi. In più questo protezionismo portò ad
avere dissidi con la Francia, ciò determinò una diminuzione delle esportazioni con aumento delle merci e un
conseguente calo dei prezzi. Vi furono altre crisi economiche al termine dell'800 in concomitanza con il
periodo dei grandi spostamenti, le persone attanagliate dalla grave crisi cercarono di spostarsi in altre zone
dove lavorare e guadagnare generando il fenomeno dell'emigrazione, prevalentemente in America,
generando lo spopolamento di molte zone. Si incorse in ulteriori dissidi con la Francia per la problematica
delle colonie che la Francia possedeva nel Nord Africa sentendosi minacciata dall'idea colonizzatrice italiana
in Africa. L'Italia si alleò con la Germania di Bismark avvicinandosi all'Austria. Esistendo già un patto tra
Germania e Austria (la Duplice Alleanza del 1879) fra Germania, Austria e Italia venne firmata la Triplice
Alleanza (l'intento dell'Italia era di servirsi della Germania e dell'Austria per combattere contro la Francia).
Intanto de Petris avviò una politica espansionistica moderata, non possedendo grandi mezzi, mirata all'Africa
e principalmente all'Eritrea e, in seguito, indirizzandosi verso l'Etiopia (conosciuta come Abissinia). Questa
avanzata trovò una grande opposizione nell'imperatore dell'Etiopia, il 6 gennaio 1897 gli etiopi combatterono
contro gli italiani massacrandoli nella battaglia di Dogali.
Nel luglio del 1897 de Petris morì e a lui subentrò Francesco Crispi che decise di inviare militari in Africa
orientale avviando un'azione diplomatica con i sovrani africani. Quest'azione diplomatica si concretizzò con il
trattato di Uccialli del 1889. In base a questo trattato vennero definiti i confini dei territori che l'Italia avrebbe
colonizzato, all'Italia venne quindi consentito di governare in termini di protettorato anche in Somalia dove si
era finora spinta. Il protettorato non venne accettato positivamente e l'imperatore Negus Menelik, aiutato
dalla Francia, dichiarò guerra alle truppe italiane sconfiggendole ad Adua (1896).
Durante l'ultimo decennio del secolo l'Italia fu caratterizzata da scontri sociali a cui i governi reagirono con
pesanti misure verso i manifestanti. A Milano, nel 1898, il generale Beccaris avviò un'imponente repressione
verso il popolo che reagii violentemente nel luglio del 1900 con l'uccisione del re Umberto I per mano
dell'anarchico Gaetano Bresci.
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
CONCETTO DI SOCIETÀ DI MASSA
Nato nel 20º secolo e tuttora presente, può essere riassunto con:
l'espansione demografica;
lo sviluppo urbano;
la popolazione che partecipa sempre di più alla produzione industriale e al mercato;
l'allargamento dei consumi;
lo sviluppo di nuovi settori di servizi;
la nascita della burocrazia di stato;
maggiore partecipazione delle masse alla vita sociale e politica.
Alcuni studiosi hanno sottolineato questi aspetti, che sono comunque considerati positivi (la crescita del
benessere e il processo di democratizzazione).
Uno dei problemi della massificazione è rappresentato dal conformismo, il conformarsi alle idee altrui e il non
volersi esprimere con una propria idea, oppure adottare il medesimo stile di vita e di consumi.
La società di massa trovò le sue basi materiali nella fase di espansione economica a partire dal 1896 e
continuò, senza interruzione, fino al 1913, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. In questo periodo crebbe
la produzione e i redditi disponibili, aumentarono i prezzi e la rendita pro capite dei salari salì. Aumentò
anche il potere d'acquisto.
Lo sviluppo tecnologico riportò fiducia e il progresso sembrava ormai inarrestabile, la vita delle persone
cambiò notevolmente con molti miglioramenti. In Francia questo periodo venne chiamato “Belle Epoque”
(epoca bella), soprattutto perché il benessere collegato all'aumento della popolazione era collegato ad un
cambiamento dello stile di vita, anche in senso igienico e sanitario. Le persone erano più fiduciose e
consumavano di più, si moltiplicarono i divertimenti e crebbe il desiderio di uscire e divertirsi. Nacque anche
la società di massa. Con l'industrializzazione progredì anche la scienza e la medicina, migliorarono le
comunicazioni e, con l'inizio del '900, molte metropoli apparirono abbondantemente illuminate. È in questo
periodo che nei palazzi vengono utilizzati i primi ascensori.
Dal punto di vista sociale abbiamo la comparsa di comportamenti trasgressivi che portarono a consistenti
cambiamenti nella società stessa e dei valori morali comuni. È il periodo in cui l'uomo incominciò ad avere
delle crisi interiori che vengono avvertite nella letteratura, nell'arte e nella musica.
Caratteristica fu anche l'esplosione dell'irrazionalità con il nazionalismo esasperato che portò a sentimenti
accesi di nazionalismo, di antisemitismo e di xenofobia. Insieme all'antisemitismo nacque un movimento
chiamato Sionismo che mirava a creare una patria per il popolo ebraico, questa patria venne identificata
nella Palestina dove si diressero flussi migratori costanti ma i dissidi interni al paese, presenti tuttora, non
arrestarono la situazione.
Il Giappone, che era nell'era Meiji, si stava delineando come una grande potenza industriale. Era governato
dall'imperatore e la politica espansionistica portò il Giappone a combattere spesso contro la Cina a cui
sottrasse nel 1895 la Corea e Formosa con il trattato di Shimonoseki adottando una politica aggressiva.
Nell'impero cinese ci fu una reazione di tipo xenofobo ripiegando il malcontento contro i Boxers e, nel 1899,
nei confronti degli altri stati europei che replicarono soffocando le manifestazioni. Con il protocollo del 1901 il
paese venne diviso in parti controllate dagli stati europei.
La Russia del XIX secolo non si presentava aperta come gli altri stati europei ma come un paese piuttosto
arretrato, un grande paese agricolo dove vi erano ancora i servi della gleba, che erano i lavoratori, l'85%
della popolazione, sottoposti ancora alle angherie dei grandi proprietari terrieri che rappresentavano solo
l'1% delle persone (è facile comprendere come la ricchezza era detenuta nelle mani di pochissimi). Lo zar
Alessandro II guardava all'Europa e voleva rendere la Russia un paese moderno approntando tutta una
serie di forme come l'abolizione della servitù della gleba nel 1861, l'istituzione delle assemblee elettive
provinciali a cui partecipavano diversi esponenti della società per ascoltare maggiormente la popolazione.
L'abolizione dei servi della gleba non aveva ottenuto evidenti risultati perché i contadini non possedendo
denaro non potevano comprare le terre e rimanevano a lavorare sotto padrone. La loro condizione era di
una povertà assoluta. Dalle riforme furono escluse alcune province russe che non facevano parte
dell'impero, Alessandro II si comportò come un dittatore contro i polacchi, i lituani e gli ucraini.
Le riforme non portarono grandi cambiamenti in Russia. Dal 1860 alla fine del secolo vi furono numerose
proteste del movimento populista contro lo zar, in particolar modo degli studenti. Il movimento populista si
prodigò ad istruire le persone analfabete e che non riuscivano a comprendere in che cosa si dovesse
migliorare. Alcuni rivoluzionari fecero anche delle azioni terroristiche che culminarono con la morte di
Alessandro II che morì in un attentato nel 1881. Ad Alessandro II seguì prima Alessandro III, fino al 1894, e
poi Nicola II che venne destituito durante la Rivoluzione Russa. Con Nicola II si ritornò ad una dittatura
spietata, dove la polizia controllava di tutto. Le persone potevano essere condannate per un semplice
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
sospetto e si avviò un programma chiamato Russificazione già avviato da Alessandro II nei confronti di
determinati territori che non appartenevano all'impero russo come le province baltiche e la Finlandia. Questo
nazionalismo si sposava con il sentimento antisemita e si rinvigoriva nei momenti di crisi con i Progrom,
rivolte popolari con devastazioni e saccheggi verso le popolazioni ebraiche che si videro costrette a migrare
in America o a rivolgersi al movimento sionista per recarsi in Palestina.
La politica degli zar non accontentava nessuno, i dissapori si fecero campo anche nell’Intelligencija, la colta
classe d'elite russa. Si stava avviando una trasformazione importante che avrebbe influito i futuri momenti
che si sarebbero susseguiti nel '900, la Russia incominciò a guardare all'Europa industriale e si adottarono
delle misure economiche, quali il protezionismo e un intervento massiccio dello stato che in qualche modo
attirò gli industriali esteri. Nacquero dei centri industriali importanti: l'industria mineraria a Magnitogorsk negli
Urali, quello petrolifero a Baku, quello tessile nella regione di Mosca e quello meccanico e metallurgico a
Pietroburgo. Velocemente la Russia, all'inizio del 20º secolo, occupò il quarto posto tra i maggiori produttori
industriali mondiali. Come conseguenza, come già successo negli altri stati, si ebbe la crescita di un grande
divario tra gli industriali e i lavoratori. Molti socialisti russi, tra cui Georgij Plechanov e Vladimir Il’ic Ul’janov
detto Lenin fecero proprie le linee guida del movimento storico di Marx che poi si tradussero nelle teorie
socialiste utilizzate per avviare un processo rivoluzionario contro il sistema capitalistico. Mentre per
Plechanov chi avrebbe dovuto avviare la rivoluzione sarebbe dovuta essere stata la classe operaia
sostenuta dalla borghesia che si sarebbe dovuta affermare in Russia, Lenin sosteneva che la rivoluzione
comunista dovesse essere l'espressione della classe operaia e contadina e che dovesse essere condotta da
rivoluzionari di professione che, sicuramente essendo più competenti, avrebbero potuto portare il proletariato
alla vittoria. Le correnti che si formano nel Partito Operaio Socialdemocratico furono la corrente bolscevica,
che voleva la conquista del potere con la rivoluzione e l'eliminazione del capitalismo portando alla dittatura il
proletariato, la corrente melscevica che voleva l'abbattimento dello zarismo con la collaborazione della
borghesia liberale e la formazione di una repubblica costituzionale. Sia Plechanov che Lenin, come altri
intellettuali russi, furono costretti ad espatriare ma Lenin, dall'estero, cominciò ad organizzare il Congresso
del Partito Operaio Socialdemocratico Russo che si era costituito nel 1898. Questo congresso si tenne a
Londra nel 1903 ottenendo la maggioranza della corrente bolscevica di cui faceva parte Lenin contro la
minoranza melscevica. Nel 1903 in Russia si era anche costituito un Partito Costituzionale Democratico
chiamato “dei Cadetti” di cui facevano parte molte persone borghesi che volevano trasformare il paese in
una democrazia liberale detta Monarchia Parlamentare. All'inizio del '900 le forze di opposizione russe erano
costituite dai liberali, sostenute dai borghesi, e i socialisti rivoluzionari. Nel 1905 lo zar Nicola II pensò di
distogliere l'attenzione delle persone ai problemi interni della Russia adottando una politica di espansione del
paese verso l'estremo oriente ma espandendosi verso l'Asia e il Pacifico entrò in conflitto con il Giappone.
Aveva già trasformato la Siberia come zona di deportazione per tutti coloro che si opponevano al suo
controllo e aveva valorizzato questo territorio, si interessò ad altri territori cinesi settentrionali come la
Manciuria, dove venne costruita la ferrovia Transiberiana. Proprio per la Manciuria il Giappone attaccò la
base navale russa di Port Arthur nel 1904 affondando alcune navi, da questo attacco iniziò la Guerra Russo
Giapponese. Questo conflitto, desiderato dallo zar, gli diede il pretesto di fermare il Giappone e tutte le idee
rivoluzionarie ma l'andamento delle battaglie gli fece perdere ogni speranza perché il Giappone riuscì a
sferrare continue sconfitte alla Russia. Il presidente americano Roosevelt condusse i due paesi nel 1905 ad
un tavolo di pace dove venne firmato un trattato per la divisione dei territori. Il mito della vittoria dell'uomo
bianco sugli uomini di differente colore svanì e il Giappone ne uscì con onore annettendo la Corea del Nord
come protettorato. La Russia rinunciò all'espansionismo in Asia rivolgendo le proprie attenzioni verso i paesi
balcanici che erano già stati oggetto di interesse dell'Austria a danno del debole impero turco.
Ma se le sconfitte subite dal Giappone incrementarono i dissapori verso lo zar, con perdita di prestigio,
diedero vita a rivoluzioni condotte dalle masse nel 1905 a Pietroburgo. La folla venne duramente respinta
dalle truppe dello zar e quella giornata viene ricordata come "la domenica di sangue". I Soviet assunsero
una parte preponderante nella decisione che lo zar dovesse essere destituito. Il Consiglio dei Soviet,
promosso da tempo da Lenin, che si era formato da movimenti rivoluzionari costituiti da operai-contadino e
borghesi-intellettuali stabilirono che il popolo dovesse partecipare attivamente alla vita politica del paese e
dovesse avere la possibilità di esporre la propria opinione con l'avviamento del processo democratico in
Russia. Lo zar, trovandosi in opposizione su tutti i fronti, decise di dare alcune concessioni promulgando la
Costituzione, la libertà di parola, di associazione, di stampa, istituendo la Duma (Parlamento) che fu la prima
assemblea elettiva russa dotata solo di poteri consuntivi e non esecutivi. Questi iniziali piccoli cambiamenti
diedero alcuni vantaggi agli agricoltori e ai nobili. Le classi popolari invece non si accontentarono di queste
minime concessioni e reclamarono diritti più consistenti, le manifestazioni continuarono e vi fu un grande
sciopero generale ben organizzato che bloccò il paese per un lungo periodo. Lo zar cercò con le maniere
forti di sedare queste rivolte e soffocò il movimento riformatore intervenendo militarmente. Sciolse la Duma e
varò una nuova legge elettorale più restrittiva della precedente da cui nacque una terza Duma a
maggioranza conservatrice. Il governo cercò di costituire una base che portasse nuovamente il consenso
verso lo zar. Tra il 1906 e il 1910 il primo ministro Stolypin promulgò la riforma agraria che portò alla vendita
delle proprietà comuni che fino ad allora non si potevano vendere, stimolò la formazione di uno stato sociale
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agiato dove vi erano contadini liberati che si trasformarono in piccoli possidenti (kulaki) mentre rese
disponibile un'enorme quantità di manodopera per le varie attività industriali. Tuttavia queste riforme non
portarono miglioramento nella vita dei contadini che vivevano in condizioni precarie e di estrema povertà.
Chi si ribellava al governo veniva fucilato o deportato in Siberia.
LA CRESCITA ECONOMICA E L’IMPERIALISMO DEGLI STATI UNITI
Mentre l'Europa cresce dal punto di vista tecnologico ed industriale gli Stati Uniti mantengono un passo
maggiore verso il rinnovamento. Terminata la Guerra di Secessione incominciò il boom economico,
l'America divenne una delle potenze più importanti al mondo. La sua posizione geografica e la possibilità di
commercio e confronto con altri paesi, favorì la sua crescita ma ciò che contribuì maggiormente al suo
successo furono le ricchezze di materie prime. Carbone, ferro e petrolio furono, insieme all'alto numero di
uomini impiegati nel lavoro, i fattori favorevoli al suo sviluppo. Il Sud del paese fu fortemente proiettato verso
l'agricoltura e la forza lavoro beneficiò ancora della schiavitù, nonostante fosse stata decisa la sua abolizione
alla fine della Guerra di Secessione.
L'America fu anche all'avanguardia per la produzione di macchinari che venivano impiegati nell'industria.
In America, alla fine dell'’800, si avviò il processo dell'emigrazione. Dall'Europa e, in particolar modo dai
paesi sottosviluppati, si avviarono importanti flussi migratori. La manodopera fornita dalle persone che
arrivavano in America fu molto importante e necessaria. Crebbero le comunicazioni interne e le ferrovie che
facilitavano e velocizzavano i trasporti delle merci.
Oltre la ricchezza delle materie prime e di altri fattori favorevoli, ciò che aiutò e favorì l'industria americana fu
la base teorica. Frederick Taylor, con il suo “taylorismo”, diede un impulso positivo alle fabbriche e al loro
sviluppo. Con Taylor si affermò l'organizzazione del mondo del lavoro e l'introduzione del metodo della
catena di montaggio (parcellizzazione del lavoro). Già nel ’700 Adam Smith aveva avuto questa intuizione
per velocizzare il lavoro e prevenire gli infortuni.
L'industria americana ebbe un grande sviluppo anche nella costruzione di automobili, Henry Ford applicò il
principio del taylorismo.
L'industria statunitense fu molto libera ed autonoma nei confronti dello stato, non vi erano controlli né
interventi statali per cui l'iniziativa privata venne molto favorita a differenza di quanto avveniva in Europa ed
in altri paesi. Per questo motivo la potenza economica ed industriale era detenuta da pochi gruppi
capitalistici industriali. Si formano i primi sindacati ed assemblee che, tramite l'associazione dei lavoratori,
chiesero che lo stato intervenisse sull'economia con una tassazione di questi redditi imponenti in modo che
potessero essere controllati e sulla regolamentazione dell'immigrazione. Nascono i primi anti-trust e le prime
leggi sociali.
Vi furono anche altre leggi molto incisive come quelle del repubblicano Theodore Roosevelt
e del democratico Woodrow Wilson che prevedevano di sciogliere gli anti-trust e di venire incontro alle
esigenze dei lavoratori (con la diminuzione delle ore di lavoro), l'introduzione della tassazione progressiva
sul reddito e la diminuzione dei dazi protettivi.
Per quanto riguarda l'imperialismo negli Stati Uniti verso l'America latina, nel 1898 la Spagna aveva
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conquistato numerosi territori dell'America ,atina. Già nel 1895 gli Stati Uniti avevano pensato di prendere
possesso dell'America centrale osservando l'isola di Cuba che si era ribellata agli spagnoli, ma dopo la dura
repressione degli spagnoli nei confronti degli isolani e dopo l'esplosione di una corazzata statunitense nel
porto dell'Avana gli americani intervennero direttamente bloccando la Spagna su tutti i fronti fino alle
Filippine da una parte e a Portorico dall'altra. Ulteriori interessi degli Stati Uniti furono indirizzati a Panama e
in Messico.
L'azione imperialistica degli Stati Uniti si indirizzò inoltre al controllo delle Filippine, di Portorico, delle isole
Samoa e di Cuba e del canale di Panama. Interessati anche al Messico dovettero affrontare la Rivoluzione
Messicana iniziata nel 1910 e guidata da Francisco Villa detto Pancho ed Emiliano Zapata. Al termine di
questa rivoluzione si ebbe la costituzione democratica che non venne applicata completamente, tant'è vero
che i governi successivi la misero in pratica liberamente. Con l'intervento in Messico gli Stati Uniti avevano
ottenuto un corrispettivo politico, il presidente degli Stati Uniti, anche ai giorni nostri, per questo intervento si
riserva di intervenire direttamente nelle questioni dei paesi americani.
L'ITALIA GIOLITTIANA
Viene definita come tale per il periodo in cui governò Giovanni Giolitti. Dalla fine dell'’800 fu ministro, poi
primo ministro e politico protagonista dalla prima fase della prima guerra mondiale fino al termine di essa.
Con Giolitti si ebbero delle importanti riforme. Figura di primo ministro positiva per molti aspetti e negativa
per altri, rappresentato con due facce da molti giornali politici dell'epoca per definire incoerente la sua
politica. Spesso influenzato dai potenti del periodo, non vinse la sua battaglia di sviluppo del Sud. Positive
sono le considerazioni sulle sue riforme del lavoro, riguardanti l'orario di lavoro, il diritto allo sciopero oltre
che per il diritto all'istruzione e l'estensione al voto.
Dal punto di vista economico, le regioni dove era meno presente il fenomeno dell'espatrio, poiché
sussistevano condizioni economiche migliori, erano quelle della Savoia e quelle con uno sviluppo industriale
più avanzato, mentre quelle a più alto tasso erano quelle del Sud. L'Italia del periodo è da considerarsi un
paese prettamente agricolo dove lo sviluppo dell'industria è rapportabile al 19% e il terziario al 23%. Nel
1913 abbiamo un aumento del settore terziario e di quello dell'industria.
Le leggi a tematica sociale di Giolitti cercarono di aiutare la popolazione. Dopo la morte di Umberto I per
mano dell'anarchico Bresci, in un periodo in cui erano frequenti manifestazioni e scioperi dei lavoratori contro
il governo, divenne sovrano Vittorio Emanuele III. Il nuovo sovrano abbandonò la politica reazionaria del
padre e cercò di ripristinare la legalità della Costituzione del 1848 dello statuto Albertino, dopo la caduta del
1901 del ministero Saracco, che aveva scontentato sia la destra che la sinistra, il re affidò l'incarico di
formare il governo ad un rappresentante della sinistra, il giurista Giuseppe Zanardelli. Zanardelli avviò
questa politica antirepressiva, concesse un'amnistia ai condannati politici e dette più libertà di associazione.
Nel 1903 Zanardelli fu costretto a ritirarsi per malattia e l'incarico viene dato a Giovanni Giolitti che divenne
presidente del consiglio e questa carica gli venne rinnovata, salvo brevi interruzioni, per quasi un decennio.
Questo decennio prende il nome di età giolittiana.
Giolitti, liberale che faceva parte della sinistra costituzionale, rese possibile lo sciopero come manifestazione
di espressione dei lavoratori (presente anche prima, lo sciopero era spesso represso invalidandone il
risultato). Giolitti non attuò la precedente politica repressiva ma cercò di ascoltare le parti ed avviare delle
trattative tra i rappresentanti. Capì che si doveva intervenire con delle leggi adeguate in modo da rendere
agevoli le condizioni economiche e morali degli italiani. Il suo intento fu anche quello di modernizzare lo stato
aiutando l'industria, favorendo la crescita della forza lavoro nelle zone industriali e migliorando le qualità
tecniche nelle zone agricole. Nel corso di quel decennio vennero istituite nuove leggi per i lavoratori e
migliorate quelle esistenti, queste consideravano le categorie anziane dei lavoratori, le donne, i bambini e la
prevenzione degli infortuni. Venne esteso l'obbligo della scuola fino al dodicesimo anno di età, il riposo
settimanale, i lavoratori potevano presentare la propria candidatura alle elezioni. Venne stabilita un'indennità
parlamentare con un compenso per i deputati che dovevano sostenere delle spese. Fu suo intento adeguare
lo stipendio degli impiegati e dei lavoratori.
Altri interventi furono quelli sulla sanità pubblica, distribuendo gratuitamente il chinino, in campo igienico e
per il benessere generale. Questi miglioramenti influirono sull'abbassamento della mortalità e la popolazione,
che nel 1870 era di 26 milioni, aumentò nel 1913 a 36 milioni.
Buona parte della popolazione raggiunse un miglioramento del benessere generale e le rimesse dei migranti
superavano i 260 milioni di euro migliorando la liquidità delle casse dello stato.
Nonostante alcune disgrazie accadute in Italia in quel periodo, l'eruzione del Vesuvio del 1906 e il terremoto
di Messina nel 1908, si raggiunse il pareggio di bilancio mantenendolo e portandolo addirittura in attivo. Una
migliore politica sociale ed una adeguata amministrazione del denaro pubblico portò la nostra moneta ad
acquisire un grande valore, tanto da essere preferita alle monete d'oro nel mercato internazionale. Sentore
della valida situazione economica fu l'accrescimento del risparmio e dei depositi nelle banche che potevano
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Appunti di STORIA e CITTADINANZA
rilasciare prestiti alle imprese, al settore agricolo e all'artigianato. L'agricoltura beneficiò di politiche mirate, di
bonifiche di territori e di costruzione di canali di irrigazione. Inoltre le colture beneficiarono dei nuovi prodotti
chimici come i fertilizzanti e i diserbanti
Il ramo metalmeccanico, dal 1902 al 1913, vide una crescita mai raggiunta prima; in Italia i settori che
presero il sopravvento furono quello automobilistico, la Fiat fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899;
quello dei pneumatici, la Pirelli fondata a Milano; non per ultimo il settore idroelettrico.
Giolitti fu anche il promotore di opere pubbliche come l'estensione della rete stradale e ferroviaria, il
"miracolo ferroviario" descriveva l'aumento della rete sul territorio, si aprì il traforo del Sempione, si iniziò
l'acquedotto pugliese.
Viene istituito il Monopolio di Stato per le assicurazioni sulla vita sino alla gestione delle società private,
quest'iniziativa del 1911 venne discussa nell'opposizione di coloro che non desideravano la gestione
pubblica. In questa difficile situazione parlamentare Giolitti volle arrivare ad una trattativa cercando di limitare
le somme che venivano attribuite allo stato entro un certo tetto e cedendo al nuovo Istituto nazionale per le
assicurazioni le altre entrate.
Giolitti, dopo suo secondo governo, ebbe difronte i problemi irrisolti dell'arretratezza del Sud, la questione
meridionale che si trascinava già da tempo era diventato il problema dominante. Il vertice del problema era
rappresentato dall'analfabetismo, l'obbligatorietà agli studi fino al dodicesimo anno di età non riuscì ad
arginare la problematica scolastica del meridione, poche persone potevano permettersi di andare a scuola e
in Sicilia la metà delle persone erano analfabete, stessa situazione in Calabria e Basilicata. Altra
problematica del Sud era rappresentata dalla salute, malattie che portavano alla morte come la tubercolosi
mietevano 75.000 vittime l'anno. Da questo punto di vista, osservando le due italie, del Nord e del Sud,
erano evidenti grandi disparità e queste situazioni erano evidenziate dall'alto tasso di emigrazione delle
popolazioni del Sud verso gli altri paesi europei ed extraeuropei.
Il movimento femminista che si sviluppa alla fine dell'’800 vide una figura femminile molto importante, la
prima pedagogista donna, Maria Montessori. Sulle sue teorie si basano ancora parecchi asili e scuole
materne. Il metodo Montessori si basa sull'esperienza sensoriale dei bambini che per crescere, svilupparsi
intellettualmente e arrivare all'astrazione, al ragionamento, hanno bisogno di operare concretamente sulle
cose e di avere un contatto diretto sugli oggetti nella realtà. Anche tutto l'ambiente deve essere adatto
affinché il bambino possa fare queste esperienze come la psicomotricità che contribuisce allo sviluppo di
determinate aree del cervello.
Giolitti, nato come liberale, fu molto vicino al Movimento Socialista per i suoi interessi verso la società e le
problematiche dei lavoratori e al mondo cattolico per i disagiati. Capì che avvicinandosi a queste masse di
persone avrebbero ottenuto maggiori consensi da loro. Cercò di accordarsi con il Partito Socialista e nel
1903 offrì a Filippo Turati, che era considerato un riformista, un suo ministero in modo che la sinistra facesse
parte del suo governo. Questo suo desiderio non fu soddisfatto perché non si raggiunse un accordo. Nello
Sciopero Generale del 1904, che bocciava la politica del governo, si arrivò ad indire nuove elezioni che però
condussero all'indebolimento della sinistra, il Partito Socialista che capì l'impossibilità di ottenere i voti
necessari, si avvicinò alla figura di Giolitti.
Dopo lo Sciopero Generale Giolitti cercò di coinvolgere tutte le forze presenti e cercò di avvicinarsi anche
alla Chiesa cattolica affinché appoggiasse le sue riforme, in cambio la Chiesa era interessata a bloccare la
crescita del Partito Comunista (quella che Giolitti chiamava "la marea rossa" ma che era più vicina alla
sinistra estrema). La Chiesa, dopo l'enciclica di Leone XIII, che aveva mostrato una certa apertura su quello
che stava succedendo nel mondo, era propensa a questa collaborazione. Nel movimento dei cattolici era
presente un sentimento che si avvicinava al liberismo, non ammetteva l'arricchimento personale ma voleva
le masse partecipi di questo processo di miglioramento della società, all'arricchimento di pochi la Chiesa
esaltava la libertà di crescita e che il lavoro fosse considerato una merce regolata dalla domanda e
dall'offerta. Un cattolico attivo fu il sacerdote Romolo Murri che nel 1900 fondò il movimento che poi assunse
il nome di Democrazia Cristiana Italiana come partito politico sotto la direzione di Don Luigi Sturzo. Questo
movimento fondato da Murri non ebbe il consenso di Leone XIII e del suo successore Pio X perché non
volevano che i cattolici aderissero a un movimento politico con il governanti. Si parlò infatti di cauto
appoggio, valutato di volta in volta. Murri entrò in contrasto con i gerarchi ecclesiastici, venne eletto deputato
nel 1904 con l'appoggio dei radicali e dei socialisti e per questo motivo la Chiesa, non desiderando la sua
partecipazione, lo sospese dall'esercizio sacerdotale (sospeso “a divinis”) ed in seguito fu scomunicato. Don
Luigi Sturzo si andò convincendo della necessità di un partito laico cristiano staccato dalla comunità
ecclesiastica in modo che si potesse inserire nel tessuto sociale dello stato. Criticò i cattolici moderati
sostenendo che la Chiesa dovesse essere attiva con una sua programmazione ed una sua propria strategia
politica. Guido Miglioli e le sue Leghe Bianche guidarono un sindacato ispirato al cattolicesimo che
possedeva un grande consenso nelle campagne con le casse rurali e le associazioni contadine.
All'interno del Partito Socialista vi fu un ampio dibattito e prevalse l'idea rivoluzionaria. Giolitti capì che non
sarebbe riuscito ad arrivare ad accordi con gli estremisti e si rivolse alle forze cattoliche perché il Partito
Socialista si considerava ateo e anticlericale, inoltre questa forma di rivoluzione non riusciva a far progredire
il governo all'approvazione di alcune leggi. Provò ad avvicinare la figura di Pio X in modo da fargli accettare
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l'unità d'Italia con una maggiore tolleranza e limitare il “non expedit” (al momento della presa di Roma il Papa
aveva pronunciato il “non expedit”, i cattolici dovevano stare al di fuori delle faccende della politica italiana).
Pio X concesse alcuni candidati per le elezioni, con una scelta casuale e non vincolante per la Chiesa.
Questi candidati dovevano farsi eleggere nelle liste liberali.
Nel 1912 Giolitti estese il diritto di voto a tutti i maschi di almeno 21 anni, in grado di leggere e scrivere. Nel
suffragio universale maschile, che alzava la percentuale degli aventi diritto al voto al 22,3%, le donne ancora
non potevano votare. Stipulò con il conte marchigiano Vincenzo Ottorino Gentiloni il cosiddetto patto
Gentiloni in base al quale i cattolici avrebbero sostenuto l'elezione dei deputati liberali. In cambio avrebbero
ottenuto l'abolizione della politica anticlericale, decretando il rientro nella politica attiva dei cattolici. Questo fu
il primo patto che venne stabilito tra lo stato e la Chiesa dopo i fatti del 1870.
L'azione politica di Giolitti, che da una parte aveva introdotto e favorito tanti miglioramenti, per altri aspetti
raccolse molte critiche proprio perché già allora si intravedeva uno dei mali della nostra Italia tra cui la
corruzione della corte elettorale con l'acquisto dei voti in cambio di qualche promessa. Altro aspetto negativo
di questo politico fu il suo destreggiarsi tra partiti opposti facendo promesse ed accontentando entrambi,
cercò l'appoggio degli industriali, operai e braccianti mirando ad un forte consenso. Il suo atteggiamento
trasformista fu simile a quello di De Pretis. Oltre di corruzione, durante le lezioni, venne accusato di
intimidazione. Questi metodi elettorali, utilizzati insieme al clientelismo per il commercio dei voti, furono
utilizzati in particolar modo nel mezzogiorno e vennero denunciati da meridionalista Gaetano Salvemini.
Nonostante ciò, alla sua vita politica vennero sempre riconosciuti i benefici e i miglioramenti apportati alla
situazione italiana.
Per quanto riguarda la politica estera Giolitti decise di allontanarsi dai rapporti con Germania e Austria e di
intraprendere alleanze con la Francia e Inghilterra in virtù di un aiuto che avrebbero potuto recare all'Italia
nel suo ampliamento coloniale il cui intento di conquista della Libia, che era sotto dominio turco, era
fortemente spalleggiato dal Movimento Nazionalista. Nel 1912 la pace firmata con la Turchia riconobbe
all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica. Quest'intervento provocò una spaccatura del Partito
Socialista tra i riformisti, favorevoli al conflitto, e i pacifisti, contrari. Filippo Turati rimase alla guida dei
riformisti nel Psi, altri dettero vita al Partito Socialista Riformista Italiano.
Nel 1914 Giolitti cedette il governo al liberale moderato Antonio Salandra che si ritrovò a fronteggiare una
situazione sociale in fermento dietro la spinta di forti proteste operaie e contadine, la "settimana rossa".
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