sardegna p aesaggi cultur ali - Università degli studi di Cagliari.

PROGETTI PER UNA CAPITALE EUROPEA
DELLA CULTURA 2019
SARDEGNA
IL TERRITORIO DEI LUOGHI
PAESAGGI CULTURALI
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE,
AMBIENTALE E ARCHITETTURA
UNIVERSITÀ DI SASSARI
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA,
DESIGN,URBANISTICA
3a SCUOLA INTERNAZIONALE
ESTIVA DI ARCHITETTURA
CAGLIARI, 4 – 13 SETTEMBRE 2014
CREDITI/
CREDITS
Promotori / Organizers
DICAAR Architettura, Università di Cagliari
DADU Architettura Design Urbanistica, Università di
Sassari
Comune di Cagliari – Assessorato all’Istruzione,
Politiche Giovanili, Sport, Cultura e Spettacolo
RAS, Assessorato degli Enti Locali, Finanze e
Urbanistica
Partners
MiBACT, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e
del Turismo
Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, Roma
Domus, rivista internazionale di architettura
Comitato di Direzione / Organizing Board
Emanuela Abis
Nicola Di Battista
Arnaldo Bibo Cecchini
Aldo Lino
Antonello Sanna
Coordinamento operativo e segreteria
organizzativa
Fiammetta Sau (responsabile), Susanna Curioni,
Sara Marcheselli, Giuseppina Monni, Francesca
Rango
Segreteria amministrativa
Maria Francesca Mura (responsabile), Oscar Mulleri
Grafica e comunicazione
Stefano Asili, Claudio Rossi
Webmaster
Sara Marcheselli
STRUTTURA DELLA SCUOLA
Lezioni magistrali
Joseph Rykwert, Francesco Venezia
Docenti invitati / Visiting critics
Juliette Bekkering, TU/e University of Technology
Eindhoven
Jordi Bellmunt, UPC Barcelona
Martin Boesch, Accademia di Architettura di
Mendrisio
Hans Kollhoff, International Bauakademie Berlin
Jose Morales, ETSA Sevilla
Joao Ferreira Nunes, Accademia di Architettura di
Mendrisio
Fernando Pérez de Pulgar Mancebo, EAM Malaga
Fernando Sanchez Salvador, Faculdade de
Arquitectura, Universidade de Lisboa
Jacques Sbriglio, Ecole d’Architecture de Luminy
Marseille
Johannes Petrus Antonius Schevers, TU/e University
of Technology Eindhoven
Zoran Djukanovic, University of Belgrade, Faculty of
Architecture
Docenti atelier / Design studios professors
Carlo Atzeni, Giovanni Azzena, Jordi Bellmunt, Martin
Boesch, Marco Cadinu, Alessandra Casu, Pier
Francesco Cherchi, Zoran Djukanovic, Luigi Fenu,
Marco Lecis, Aldo Lino, Giorgio Peghin, Fernando
Perez del Pulgar Mancebo, Alessandro Plaisant,
Fernando Sanchez Salvador, Simone Solinas
Co-docenti
Stefano Asili, Mario Casciu, Adriano Dessì,
Francesco Fallavollita, Tore Ganga, Betta Garau,
Silvia Mocci, Antonello Ottonello, Mauro Palmas,
Carlo Pisano, Rosanna Rossi, Marcello Schirru,
Pinuccio Sciola
Tutors
Alfonso Annunziata, Roberto Busonera, Stefano
Cadoni, Lino Cabras, Angelo Carcangiu, Silvia
Carrucciu, Lorenzo Ciccu, Dario Denurchis, Alberto
Gadaleta, Simone Langiu, Sara Marcheselli,
Francesco Marras, Francesca Oggiano, Federica
Orrù, Elisabetta Pani, Paolo Parodo, Daniela
Pisano, Paolo Putzulu, Luca Sanna, Verdina Satta,
Francesco Sedda, Claudio Sirigu, Marco Usai
Consulenza scientifica
Francesco Annunziata, Bruno Asili, Nada Beretic,
Alessandro Biggio, Marco Cadinu, Salvatore Cherchi,
Anna Maria Colavitti, Giuseppe Fara, Pierangelo
Loru, Benedetto Meloni, Giaime Meloni, Maria
Antonietta Mongiu, Paola Mura, Gian Giacomo Ortu,
Fausto Pani, Stefano Pira, Vincenzo Tiana, Sergio
Vacca, Marcello Verona
Relatori incontri tematici
Antonio Angelillo, Jordi Bellmunt, Martine Bouchier,
Enrico Corti, Zoran Djukanovic, Cristiano Erriu,
Alessandra Fassio, Giovanni Maciocco, Massimo
Mancini, Anna Maria Montaldo, Benedetto Meloni,
Philippe Nys, Gian Giacomo Ortu, Costantino
Palmas, Enrica Puggioni, Rosanna Rossi, Jacques
Sbriglio, Aldo Vanini
Spazio Domus
Silvia Bodei (responsabile), Cultarch Associazione
Culturale Architettura e Cultura
con la partecipazione di Maria Giovanna Mazzocchi
Bordone, Presidente Editoriale Domus
Si ringraziano per la collaborazione:
Inarch Sardegna, Inu Sardegna, Conzorzio Camù,
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Cagliari,
Ordine degli Architetti,Pianificatori, Paesaggisti
e Conservatori delle Province di Cagliari, Medio
Campidano e Carbonia - Iglesias, Cultarch, Unica
bookshop
Sedi della scuola estiva
Cagliari - DICAAR Sezione Architettura
Cagliari - Centro d’arte e cultura “Il Ghetto”
SARDEGNA.
IL TERRITORIO DEI LUOGHI
PAESAGGI CULTURALI
Scuola Estiva di Architettura/
Laboratorio Internazionale
LENTIUS,
PROFUNDIUS,
SOAVIUS
Arnaldo “Bibo” Cecchini
Io non amo moltissimo l’uso del termine capitale sociale, ma se si fa attenzione,
depurando il termine capitale dalle sue molte connotazioni e dal suo orientamento
meramente produttivo (l’insieme dei beni destinati a impieghi produttivi per
ottenere nuova produzione) e riconducendolo invece al concetto di “dotazione”, di
stock, questa espressione appare utile e feconda.
Un po’ come il capitale umano, ovvero la dotazione di conoscenze, competenze e
saper fare, che è essenziale per ogni politica di sviluppo, si può pensare che in
un’economia moderna in cui le relazioni tra gli individui possono fare la differenza
assume un particolare rilievo il capitale sociale, ovvero per dirla con Bourdieu “la
somma delle risorse, materiali o no, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene
grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di
reciprocità e mutuo riconoscimento“.
La presenza di capitale sociale influenza il processo di crescita, origina uno
sviluppo migliore e più durevole, fa crescere il capitale umano; una crescita
economica indiscriminata, che abbia come effetto collaterale il logoramento della
coesione sociale e un impoverimento delle opportunità di partecipazione, genera,
tra gli altri effetti negativi, un rallentamento dello sviluppo nel lungo periodo.
Se parliamo di sviluppo locale (auto)sostenibile siamo costretti a introdurre due
parole-valigia: identità e comunità.
Identità e comunità sono belle parole solo se usate come sostantivo plurale; non
esistono identità incontaminate (il meticciato è da sempre), ma molte realtà locali
hanno una loro concrezione storicamente determinata (spesso inventata o reinventata).
In realtà nessuno e nessuna appartiene ad una sola comunità e può definire sé
stesso sulla base di una sola identità.
“La stessa persona può essere senza la minima contraddizione, di cittadinanza
americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista,
donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista,
eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro,
militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz e profon¬damente
convinta che esistano esseri intelligenti nello spazio con cui dobbiamo cercare di
comunicare al più presto (preferibilmente in inglese). Ognuna di queste collettività,
a cui questa persona appartiene
simultaneamente, le conferisce una
determinata identità. Nessuna di esse
può essere considerata l’unica identità
o l’unica categoria di appartenenza
della persona. L’inaggirabile natura
plurale delle nostre identità ci
costringe a prendere delle decisioni
sull’importanza relativa delle nostre
diverse associazioni e affiliazioni in ogni
contesto specifico.” Sen 2006
La società, ovvero quella comunità
inclusiva ed ampia che – in epoca
moderna – in qualche misura si è
definita all’interno dei confini dello
stato-nazione, non è riconducibile
a “gli individui e le loro famiglie”
ed esprime l’insieme delle reti e
delle relazioni dentro cui gli esseri
umani, singolarmente e attraverso le
molte comunità cui appartengono,
organizzano e gestiscono la loro vita;
la società è in mutevole e precario
equilibrio; quando non riesce a
garantire un ragionevole ed accettabile
compromesso tra gli interessi e la
ripartizione del potere tra i diversi
soggetti, è facile preda di aspre
convulsioni, di conflitti laceranti.
In questo senso i termini identità,
comunità e l’insieme delle trame
IThe expression social capital is not one I like too much; but if we use it cautiously
and cleanse the word “capital” from its merely productive connotations (“the set of
goods used for a new production”), conferring to it the meaning of a special kind
(indeed, social) endowments, the expression may become useful and fruitful.
Just as the human capital (the stock of knowledge, competences e skills) is
essential for every development policy, one can argue that in a modern economy,
in which the quality of relations among people can make a difference, the social
capital assumes a particular relevance. To quote Bourdieu, the social capital is
“the aggregate of the actual or potential resources which are linked to possession
of a durable network of more or less institutionalized relationships of mutual
acquaintance and recognition.”
The presence of social capital influences the processes of development, giving
birth to a better and more enduring development, and expanding the human
capital itself: an indiscriminate economical growth, with its collateral effects of
undermining the social cohesion and impoverishment of the opportunities for
empowerment, engenders, among other negative effects, a slowdown of the long
term development.
If we speak of local (sustainable) development we have to introduce two abused
words: identity and community.
In Italian these two are invariable nouns, the same in singular and plural (l’identità
is the identity and le identità is the identities; la comunità is community, le
comunità is the communities), so my standard line is that I like the words identità
and comunità if we think them as plural nouns.
There are no pure and immaculate identities and communities (the mongrel is the
original state), but a lot of local communities have a concrete historical existence
(often invented or re-invented).
In point of fact, no one belongs to only one community and can define oneself with
just one identity. As Amartya Sen says:
“The same person can be without contradiction, an American citizen, of Caribbean
origin, with African ancestry, a Christian, a liberal, a woman, a historian, a novelist,
a feminist, a heterosexual, a believer in gay and lesbian rights, a theatre lover, an
environmental activist, a tennis fan, a jazz musician, and someone who is deeply
che la storia ha costruito contano,
servono a costruire fiducia, norme di
convivenza, relazioni, obbligazioni,
reciprocità, dono; ma senza altre
caratteristiche come l’apertura, la
tolleranza, l’ibridazione, lo scambio,
il viaggio, il capitale sociale che viene
costruito è solo del tipo che Putnam
chiama bonding (che crea legami) una
componente essenziale (ma anche il
suo possibile lato oscuro), mentre le
prospettive dello sviluppo locale sono
possibili solo in una dimensione di
relazione con il mondo, quel capitale
sociale definito bridging (che crea
ponti).
Sicuramente c’è una tensione
dialettica tra queste due forme di
capitale sociale, la prima delle quali
può facilmente manifestare una
terribile propensione al settarismo,
al conformismo, al controllo social
estremo (più che al familismo amorale
di Banfield mi viene in mente la
comunità di Dogville il filme di Lars Von
Trier o la comunità del New England
della Lettera scarlatta di Nathaniel
Hawthorne) mentre la seconda può
produrre omologazione e dissolvere i
legami.
Le situazione più sfortunate sono
quelle in cui entrambi i lati oscuri si
committed to the view that there are intelligent beings in outer space with whom it
is extremely urgent to talk (preferably in English).’
The same person can belong to each of these collectivities, but none exclusively
so. She herself has to decide, using her intelligence and judgment, what relative
importance to give to her various identities in any particular context.”
The society is always in a changing and precarious equilibrium and if and when
it is unable to assure a reasonable and accepted compromise amongst interests
and the sharing of power among different subjects, it is an easy prey of rugged
convulsions and lacerating conflicts.
By society here I mean an inclusive and wide community which – in the modern
age – to some degree defines itself within the borders of a nation state, cannot be
reduced to “individuals, men and women, and their families”, but encompasses the
whole set of networks and relationships in which human beings, individually and
through the many communities they belong to and use, organise and manage their
life.
In this sense terms like identity and community and their social fabric built by
history, define concepts useful to build trust, norms of coexistence, relationships,
obligations, reciprocity, gift; but without openness, crossbreeding, tolerance,
exchange, movement, the social capital we build is only of the kind defined bonding
by Putnam, which of course is essential, but has a dark side. The local development
is possible only with the openness to the world, and that means that we also need
the social capital of the Putnam’s bridging kind.
There is a dialectical tension between these two forms of social capital: the first can
easily show a terrible bent into sectarianism, into conformism, to the extreme social
control (more than the amoral familism of Banfiled, I have in mind the community
of the Lars Von Trier’s film Dogville or the community of New England from the
Hawthorne’s book The Scarlet Letter), while the second can produce homologation
and dissolve bonds; the most unfortunate situations are those in which the dark
sides of both forms sum up, in a night full of colourful tinsels.
To the communities it is of no purpose to become object of museums or of thematic
parks or to passively accept their dissolution.
Maybe we can avoid this destiny for Sardinia, our land that is so diversified in
sommano in un buio pieno di orpelli
colorati.
Alle comunità non serve né la
trasformazione in oggetto da museo,
né la riproduzione in parchi tematici,
né l’accettazione passiva della
dissoluzione.
Questo è quanto appare possibile in
Sardegna, una terra così articolata e
diversificata dal punto di vista fisico,
ambientale, culturale, sociale, con
molte storie e molte identità; non giova
dire che si è al centro del Mediterraneo
occidentale se non si agisce come
centro, o meglio come uno dei nodi,
dei tanti centri del Mediterraneo e
dell’Europa: vuol dire accessibilità,
qualità della formazione, infrastrutture
degne, vuol dire sovranità, vuol dire
apertura alla sponda Sud, vuol dire
qualità delle produzioni alimentari,
vuol dire investimenti in settori ad alto
valore aggiunto, vuol dire un politica
industriale basata sulle bonifiche e
sulla green economy (quella vera).
Vuol dire coraggio di pensarsi in una
dimensione nuova, con il passato che
non è una zavorra, ma un trampolino.
Vuol dire essere capaci di competere
(citius, altius, fortius), ma anche
di cooperare (lentius, profundius,
soavius).
Pensandosi come una grande realtà
territoriale a densità variabile che solo
mettendo insieme la sua capitale e
le sue campagne e le sue medie e
piccole,numerose città con storie e
percorsi autonomi, può essere al centro
della scena europea e mediterranea
(non solo europea, credo).
Le due Scuole di Architettura della
Sardegna si impegnano insieme in
questa Scuola estiva che – tra l’altro
– vuole offrire un sostegno di idee alla
campagna per Cagliari e Sardegna
capitale europea della cultura. Sono
certo che ne verranno proposte e
suggerimenti creativi e “cantierabili”.
o una modificazione pesante che può
essere accettata.
terms of environment, geomorphology,
cultures, social life, with a lot of
histories and identities; it is useless to
reaffirm that our island is the centre
of the Western Mediterranean Sea,
if we do not behave as a Centre, or
better as one of its nodes, one of
the many centres of this Sea and
of Europe: this implies accessibility,
quality of education and training, good
infrastructures, it means sovereignty,
openness to the North Africa, it means
quality in food production, investment
in high value-added productions, it
means integral recovery of polluted
industrial and military areas, it means
(real) green economy.
It means the courage to think in a new
dimensions in which the past is not a
deadweight, but a springboard.
It means being able to compete (using
the Olympic motto: citius, altius,
fortius), but also to cooperate (with
the inverse motto: lentius, profundius,
soavius), stepping forward as a great
territorial reality with variable density; a
reality that can be at the centre of the
European and Mediterranean stage,
only joining together its capital city (the
sole metropolitan area in the island),
its countryside, its copious number of
cities, medium and small, cities with
different historical paths and different
social and economical roles.
The two Sardinian School of
Architecture commit to work together
in this International Summer School
which, among other things, has the aim
to support with ideas and proposals
the campaign for the candidacy for
Cagliari (and Sardinia) as the European
Capital of Culture; we hope that ideas
and proposals will be at the same time
creative and feasible.
CULTURA,
CITTÀ,
TERRITORI. CULTURE,
CITIES,
TERRITORIES
Antonello Sanna
La Summer School 2014 prende spunto da un’opportunità
di straordinario interesse, la candidatura di Cagliari – e con
Cagliari, sostanzialmente, dell’intera Sardegna – a Capitale europea della Cultura per il 2019. Come sappiamo,
la candidatura non è stata impostata e interpretata come
un “evento” puntuale, per quanto rilevante, ma come un
“processo” di costruzione ed emersione delle qualità di una
città e di un intero territorio, che chiama in causa soggetti e
oggetti, spazio e società in una fase particolarmente delicata
e critica per l’intera Sardegna.
Proprio la Sardegna costituisce un paradigma particolarmente adatto ad illustrare ciò che intende Zygmunt Bauman,
quando ci ricorda che lo spazio, nella sua dimensione di
radicamento locale, va perdendo rapidamente terreno a
favore di quei processi globali che tendono a trascenderlo
a favore di una inarrestabile delocalizzazione. Ed in effetti,
la globalizzazione ha teso sinora a marginalizzare progressivamente la dimensione dello spazio e delle comunità locali,
specie nei territori periferici dell’occidente sviluppato, ed anzi
a trattare i luoghi ed il radicamento come un vincolo da cui
liberarsi piuttosto che come un’opportunità irripetibile. In
questo quadro, l’impostazione della candidatura come una
prospettiva di sviluppo centrata sulla cultura, sulla qualità
dei paesaggi, sull’innovazione, offre un’alternativa praticabile
(probabilmente l’unica) alla crisi dei territori periferici, che
le discipline dello “spazio abitato” devono saper cogliere e
interpretare.
In questo quadro, la Summer School si propone di essere
un Laboratorio dove mettere in discorso alcuni temi fondamentali per la qualità del territorio e per un nuovo modello di
sviluppo della Sardegna, tra cui:
The Summer School 2014 arises from an extraordinary
opportunity, the candidacy of Cagliari - and with Cagliari
substantially the whole of Sardinia – as European Capital of
Culture for the 2019. As we know, the candidacy has not
been set and interpreted as an “event”, even if very relevant, but as a “process” of construction and development
of the quality of a city and an entire region, which calls into
question subjects and objects, space and society throughout
the delicate and critical stage that the entire region is today
facing.
Indeed Sardinia represents a particularly appropriate
paradigm to illustrate what Zygmunt Bauman means when
he reminds us that the space, in its local roots, is rapidly
losing ground in favour of those global processes that tend
to overcome it towards a relentless process of outsourcing.
And in fact, the globalization process has tended, so far, to
progressively marginalize the character of the space and the
local communities, especially in the peripheral territories of
the developed countries, and moreover to treat the places
and the physical connections as a constraint rather than as
a unique opportunity. In this context, the construction of the
candidacy as a development perspective centred on culture,
landscape values and innovation offers a viable alternative
(probably the only one) to the crisis of the peripheral territories, that the “urban” disciplines must be able to understand
and interpret.
In this framework, the Summer School is aimed to be a
laboratory in which is possible to start to construct some
fundamental issues about the quality of the territory and a
new Regional development model, including:
1. il rilancio della cultura urbana.
La Sardegna è un’antica regione rurale, come la definì Maurice Le Lannou studiandola oltre 70 anni fa, e quindi ha sofferto
di una cronica debolezza della sua armatura urbana. Tuttavia, la Sardegna non ha prospettive di innovazione senza un grande
investimento nella rete urbana. E proprio la sua “urbanizzazione debole” può diventare la carta da giocare nel terzo millennio:
a Cagliari ed alle principali città della Sardegna è rimasta in dote una duplice identità, storica e ambientale, non schiacciata dalla “città del ventesimo secolo”, che deve essere interpretata come la risorsa per la rinascita. I nuclei storici possono
acquisire nuovi ruoli e significati, magari con la mediazione illuminante di una nuova “arte pubblica”, confrontandosi con i
paesaggi dell’acqua e delle terre; e questi, che si presentano spesso in forma destrutturata e degradata, hanno a loro volta
bisogno di essere reinterpretati in chiave contemporanea, con gli strumenti di una nuova ecologia;
2. una nuova relazione tra città e territorio.
Certamente dall’ultimo dopoguerra, ma probabilmente già dall’inizio dell’epopea mineraria, a metà ‘800, la Sardegna interna
si va svuotando di uomini e ruoli, a favore delle aree urbane e costiere. Alla crisi del presidio del territorio non si può porre
rimedio in forme regressive; occorre rafforzare le reti di scambio e servizio, lavorare per una nuova agricoltura che incorpori
le qualità del paesaggio cambiando positivamente il paradigma dello sviluppo, che interagisca con la dimensione culturale e
turistica per creare un circuito ecologico integrato. Il territorio rurale della Sardegna offre al progetto di paesaggio un modello
di straordinaria efficacia, quello delle reti dei centri minori densi e accorpati, che limita o annulla la dispersione insediativa e
genera quella relazione di opposizione-integrazione tra paese e campagna che è il “carattere” distintivo del paesaggio regionale e che ha costituito il modello ispiratore del piano paesaggistico; 3. i paesaggi culturali della lunga durata, tra conservazione e innovazione.
Nell’universo globale, la dimensione locale può collocarsi in modo non marginale solo se è portatrice di un progetto culturale
complesso, capace di generare crescita e innovazione a partire proprio dalla qualità dei luoghi. In Sardegna la “presenza del
passato”, i paesaggi della lunga durata, restituiscono un palinsesto complesso e tutt’altro che statico, fatto anche di continue
“modernizzazioni imperfette”, come dimostrano i paesaggi minerari, oggi progressivamente storicizzati e ricondotti ad una
dimensione quasi “archeologica”. La risignificazione di questi paesaggi in chiave contemporanea costituisce un obiettivo ed
insieme uno strumento fondamentale per un modello di sviluppo sostenibile.
1. the relaunch of the urban culture.
Sardinia is an ancient rural region, as defined by Maurice Le Lannou more than 70 years ago, therefore suffers from a chronic weakness of its urban structure. However, Sardinia has no prospects of innovation without a large investment in its urban
network. And his “weak urbanization” can become the card to play in the third millennium: Cagliari and the other mayor cities
of Sardinia preserve a dual identity, an historical and an environmental one, not crushed by the “city of the twentieth century”, which must be interpreted as a precious resource. The historical centres may acquire new roles and meanings, perhaps
with the enlightening mediation of a new “public art”, dealing with the landscapes of water and land; and also the latters
which are often neglected, need to be reinterpreted in a contemporary way, with the tools of a new ecology;
2. a new relationship between the city and the territory. Certainly from the last war, but probably from the beginning of the
epic mining activity in the mid of the 1800, the inner Sardinia is facing an emptying process of populations and activities in
favour of the urban and coastal areas. It is unrealistic to fight the ongoing crisis of the defence of the territory with a regressive strategy; it is necessary to strengthen the networks of exchange and service, working for a new agriculture able to
incorporate the quality of the landscape in order to change positively the paradigm of development, which interacts with the
aspect of culture and tourism to create an integrated ecological circuit. The rural area of Sardinia offers to the landscape
project a model of extraordinary effectiveness: the dense networks of smaller towns, able to limit or abolish the urban dispersion and create the relationship of opposition-integration between the urban and rural territories, is the distinctive”character”
of the regional landscape and has been the model that inspired the “Piano Paesaggistico”
3. The long-term cultural landscapes, between preservation and innovation. In the global universe, the local dimension
can be placed in a non-marginal position only if it represents a cultural complex project, capable of generating growth and
innovation, starting from the quality of the sites. In Sardinia, the “presence of the heritage”, the landscapes of long-term
reestablish a complex and dynamic palimpsest, composed by continuous “imperfect modernization,” as proved by the mining
landscapes, gradually being historicized and traced back to an almost “archaeological site”. The re-signification of these landscapes in a contemporary way is an objective and, together, a fundamental tool for a model of sustainable development.
Proprio per questo, e in questo quadro di riferimento, le scuole di Architettura di Cagliari e Alghero hanno scelto di unire
le proprie risorse, la propria capacità di interpretare con gli
strumenti del progetto alcune delle più stimolanti sfide della
contemporaneità. Per dieci giorni – dal 4 al 13 settembre –
oltre un centinaio tra allievi, docenti, tutor, visiting professors, provenienti oltre che da Alghero e Cagliari da Siviglia,
Belgrado, …., divisi in atelier di progettazione si misureranno con l’esercizio di “prendersi cura” di alcuni luoghi
esemplari per i temi di cui sono portatori e per le prospettive
progettuali che aprono.
For this reasons, and within this framework, the schools of
Architecture of Alghero and Cagliari have chosen to join their
resources and their ability to interpret, with the design tools,
some of the most exciting challenges of the contemporary
world. For ten days – from the 4th of September to 13th
- more than a hundred students, teachers, tutors, visiting
professors, coming from Alghero, Cagliari, Seville, Belgrade,
.... divided into design studios, will compete with the exercise of “take care” of some places, important case studies
for the issues and the design prospects that they are able to
highlight.
PER
L’ARCHITETTURA
FOR
ARCHITECTURE’S SAKE
Nicola Di Battista
Guardandoci attorno, abbiamo la
sensazione che oggi siano proprio
tante le persone che si occupano
di architettura: molti la fanno, tanti
la insegnano e molti altri ancora ne
parlano.
Il numero di chi, in un modo o nell’altro,
si occupa di questa disciplina è
salito negli ultimi anni in maniera
esponenziale, ma a questo non
ha corrisposto un innalzamento
della qualità della vita dell’uomo e
dell’architettura stessa. Per analizzare
questo fenomeno, conviene allora
partire di nuovo da una considerazione
semplice ed elementare, che è alla
base di questo mestiere: l’architetto
raccoglie dei contenuti fissati da altri
che, con il proprio lavoro, trasforma in
forme architettoniche. Forme in grado
di configurare il nostro ambiente di
vita, in una maniera più consona e
adeguata alle nostre abitudini, ai luoghi
in cui viviamo, alle nostre condizioni
economiche, ma anche alle nostre
aspettative, capacità, desideri e, infine,
ai nostri sogni.
Tutto questo è molto chiaro e
largamente condiviso, ma in realtà oggi
la maggior parte degli architetti, dei
professori, dei critici non sembra invece
particolarmente interessata a questo
tipo di considerazioni.
Looking around, one gets the sensation
that there really are a great many
people concerned with architecture
today. Many practise it, a lot of them
teach it, and plenty of others talk about
it.
The number of people who, in one
way or another, are concerned with
this discipline has risen exponentially
in recent years. But this has not been
matched by a rise in the quality of life
and of architecture itself.
To analyse this situation we may as
well start once again from a plain
and elementary consideration that
underpins this craft: namely, that the
architect gathers the contents fixed by
others, and then translates them into
architectural forms by means of his or
her work – architectural forms that can
configure the environment inhabited by
people in a manner adequately suited
to their habits, to the places they live in
and to their economic conditions, but
also to their expectations, capabilities,
desires and even dreams. All this is
very clear and widely shared, but in
truth, the architects, professors and
critics of today do not seem particularly
interested in this type of consideration.
So, if – after thousands of years
in which humankind has fixed and
sharpened this craft in order better
Ora, se il punto di partenza – dopo
migliaia di anni in cui l’uomo ha fissato
e affinato questo mestiere per meglio
rispondere agli obiettivi descritti sopra
– può ancora essere rintracciato nel
rapporto tra forma e contenuto, è
conveniente per noi soffermarci un po’
su questi due termini e capire come
vengano trattati oggi, come siano presi
in considerazione o meno. Se partiamo
dai contenuti, dal che cosa fare,
possiamo facilmente convenire che
non può e non deve essere l’architetto
a determinarli e fissarli o, per meglio
dire, non è al suo mestiere o alla sua
arte che bisogna rivolgersi per cercarli.
Sono piuttosto gli uomini che possono
e devono cercare i contenuti, in merito
al loro abitare su questa terra, a
prescindere dal mestiere che fanno; è
questa una prerogativa che essi non
possono delegare, ma che, al contrario,
devono necessariamente assumere in
prima persona, per poter formulare una
domanda precisa e chiara di cosa valga
la pena fare oggi in merito all’abitare,
la più chiara possibile affinché possa
essere condivisa da un numero di
persone sempre più elevato. Di fatto
e in realtà, spetta all’uomo, a tutti gli
uomini e non all’architetto, fissare i
contenuti di che cosa l’architettura
debba prioritariamente occuparsi;
ogni uomo ha il diritto e il dovere di
applicarsi in tale ricerca. Tutti hanno il
diritto di partecipare alla formazione
di un pensiero, di un sentimento
collettivo capace di definire al meglio le
aspettative e il desiderio di un abitare
migliore. Non parliamo qui di un abitare
generico e universale, ma al contrario
di un abitare specifico e particolare,
che non valga per tutti, ma, volta per
volta, solo per questa o quella comunità
di persone che lo condividono. Si
tratta oggi di andare oltre quella utopia
regressiva di un abitare universale e
unico, retaggio di un Modernismo da
tempo superato, ma ancora in uso,
per raggiungere invece un vero abitare
contemporaneo, liberato da ideologie
e da mode, dannose e temporanee,
affrancato così da futili invenzioni. Un
abitare nuovo, che possa finalmente
to meet the goals described above – the starting point can still be retraced to
the relation between form and content, it is worthwhile pausing to consider these
two terms and to see how they are treated today, how they are taken or not taken
into consideration. If we start from contents, from what to do, we can easily agree
that it cannot and must not be the architect who determines and fixes them, or
rather, that his craft or art should not be counted on to find them. All human beings
can and must look for the contents regarding human habitation on this earth,
irrespective of the job they do. This is a prerogative that humanity cannot delegate.
On the contrary, these contents must necessarily be assumed in first person,
so as to formulate a precise and clear question of what is worth doing today in
relation to habitation: the clearest possible question, in order for it to be shared
by increasingly large numbers of people. In fact and in reality, it is up to humanity
as a whole, and not to the architect, to establish the contents of what architecture
must deal with as a priority. Every man and woman has the right and duty to apply
themselves to that task. Everybody has the right to participate in the formation of
a thought, a collective sentiment that can best define the expectations of better
habitation. And here we are not talking about generic and universal habitation, but
on the contrary about a specific and particular kind that does not apply to all, but
depends on each different occasion, and on the community sharing it.
The question today is how to go beyond the regressive utopia of a universal and
single habitation – this is a part of modernism’s heritage that is by now superseded
but still in use. Instead we must achieve a truly contemporary habitation, freed from
harmful and temporary ideologies and fashions, hence from futile inventions.
We need a new habitation that can at last bring us fully into our time, not by
sacrificing any of the latest technologies that the new world can offer us, but
without touting or worse still idolising them either: by utilising them simply to help
us to live better, to attain in this way a mature habitation, aware of our history and
diversities, our places and our economic and civic scope.
Only in this way can we truly enter the third millennium without moving backwards,
but ahead, while consciously fixing the bases for a habitation that will respond
better to the needs and expectations expressed by specific larger or smaller
communities. And once established by someone, someway, somewhere, it will be
farci entrare pienamente nel nostro tempo, senza rinunciare
a nessuna delle ultime tecnologie che il nuovo mondo è
capace di offrirci, non facendone però delle bandiere o,
peggio ancora, degli idola, ma utilizzandole, semplicemente,
per aiutarci a vivere meglio, per raggiungere così un
abitare maturo e consapevole della nostra storia e delle
nostre diversità, dei nostri luoghi e delle nostre possibilità
economiche e civili. Solo in questa maniera si potrà davvero
entrare nel terzo millennio, non indietreggiando, ma
avanzando, nel fissare consapevolmente le basi di un abitare
capace di rispondere al meglio ai bisogni e alle aspettative
espressi da una certa comunità, più o meno ampia; basi che,
una volta fissate da qualcuno, in qualche maniera, in qualche
luogo, potranno coltivare l’ambizione di diventare obiettivo
per altri uomini, per altre comunità che abbiano voglia di
condividerle. A questo punto, una volta definiti i contenuti e
condiviso il “che cosa fare”, in merito per esempio all’abitare,
se vogliamo portare questi contenuti dal mondo delle cose
immaginate al mondo della realtà c’è bisogno che vengano
trasfigurati in forme, nel nostro caso in
forme architettoniche.
Quando parliamo di forme architettoniche, intendiamo parlare
di architettura, del risultato finale a cui giunge l’architetto
facendo il proprio lavoro. Conviene allora soffermarci un
attimo su questo argomento, per capire meglio di che tipo
di forma stiamo parlando, per comprendere in che cosa la
forma architettonica differisca dalle altre forme, quali siano
le sue specificità, quali le sue particolarità, tra le tante
forme che ci circondano. Affinché il lavoro dell’architetto si
possa compiere, abbiamo detto innanzi tutto della necessità
di fissare contenuti collettivi e condivisi a cui applicarlo:
stiamo parlando, quindi, di un mestiere, di un’arte, che si
possible to cherish the ambition to become an example for
other people and to other communities wishing to share
these bases.
At this point, once we have defined the contents and agreed
upon what has to be done for habitation, if we want to bring
these contents from an imaginary world to the real world,
they must be transfigured into forms, in our case architectural
forms. Now if we are talking about architectural forms, we
mean architecture, the final outcome that is reached by
architects through their efforts. It is worth pausing therefore
for a moment to consider this, in order better to understand
what type of form we are talking about, and in what way
architectural form differs from other forms, what are its
specificities and peculiarities, among the many forms that
surround us.
For the architect to be able to do his job, we have mentioned
first and foremost the necessity to establish the collective
and shared contents upon which he must set to work. We
are talking therefore about a craft, an art that can be offered
only as the answer to a precise, strong and well-expressed
question.
From this stems architecture’s principal characteristic of not
being free to do what it wants; architectural form cannot be
stated as the mere personal invention of the person who
makes it; architectural form must respond to the practical
and precise, collectively defined needs that differentiate it
from other forms created by humanity.
On closer inspection, it is precisely this restraint – which
seemingly does not allow architects to express themselves
freely – that supports it. What best supports architectural
form and gives the architect the privilege of imagining,
designing and sometimes realising it, is precisely this having
può dare solo come risposta a una domanda precisa, forte
e ben espressa. Da questo deriva la principale caratteristica
dell’architettura di non essere libera di fare quello che
vuole: la forma architettonica non può darsi come semplice
invenzione personale di chi la fa; la forma architettonica deve
rispondere a bisogni pratici e precisi, collettivamente definiti,
che la differenziano dalle altre forme create dagli uomini.
A ben vedere, è proprio questa costrizione – che
apparentemente non le permette di esprimersi liberamente
– ciò che la sostiene; è proprio questo dover rispondere al
bisogno ineliminabile degli uomini di abitare a sostenere
maggiormente la forma architettonica e a dare all’architetto
il privilegio di immaginarla, progettarla e, qualche volta,
realizzarla. Si capisce, a questo punto, come una forma
architettonica così realizzata non appartenga solo a chi la
fissa – in questo caso all’architetto –, ma a tutti, diventando
semplicemente forma collettiva, perché frutto del pensiero
e del lavoro di tanti. L’architettura, quindi, è trasfigurazione
di un contenuto in forma, dove non è possibile dare una
gerarchia tra i due termini, perché l’uno senza l’altro
semplicemente non può darsi, si appartengono a vicenda.
Da questo punto di vista, è più facile comprendere la crisi
della produzione architettonica contemporanea che ha invece
sempre cercato di separare queste due entità, accampando
maldestre scuse, strane e presunte autonomie creative o
anche indiscutibili parametri tecnico-funzionali.
In questa maniera, separando l’architettura dall’ingegneria,
il pensare dal fare, la teoria dalla prassi, sono diventati
tantissimi, come dicevamo all’inizio, quelli che oggi si
occupano di architettura; lavorando soltanto su una parte
di essa, nessuno si sente responsabile di quanto accade,
ognuno coltiva il proprio terreno. È chiaro a tutti che in questa
maniera non si avanza di un passo, che questo mestiere non
può svolgersi pienamente se non si verificano le condizioni
descritte sopra. Se fissare dei contenuti collettivi e condivisi
è, come abbiamo visto, necessario e indispensabile perché il
mestiere dell’architetto si possa realizzare, questo non è però
sufficiente e non garantisce il risultato.
Occorre che l’architetto, prima come uomo e poi come
professionista, sia in grado di assumere questi contenuti
e trasfigurarli in forme architettoniche, le uniche che alla
fine sono capaci di dirci se il suo è un lavoro ben fatto o
meno. Sappiamo che la forma non è l’obiettivo principale
dell’architetto. Il suo problema è, casomai, l’oggetto del
proprio lavoro – sia esso una casa, una scuola, una fabbrica,
un municipio, un museo o altro ancora – , e la forma ne è
il risultato. È perciò con questa piena consapevolezza che
può e deve essere fatto questo mestiere, e non altrimenti.
Forse è di nuovo, allora, il caso di sottoporre gli addetti ai
lavori a una necessaria e indispensabile domanda sul senso
della loro produzione. Se amiamo l’architettura, se siamo per
l’architettura, se la riteniamo indispensabile per la vita degli
uomini, è da qui che dobbiamo ripartire.
to respond to the unwavering need of human beings to
inhabit. Here, one understands how an architectural form
thus realised does not belong only to those who make it
materialise, in this case the architect, but to everybody. It
becomes a collective form, because it is the fruit of many
people’s thinking and work.
Architecture is the transfiguration of contents into form,
where it is not possible to establish a hierarchy for the two
terms, simply because one cannot exist without the other.
They belong to each other. It is easier now to understand
the crisis of the contemporary architectural output, which
has instead always tried to separate these two terms, with
clumsy excuses, strange and presumed creative autonomy,
or even indisputable techno-functional parameters.
In this way, by separating architecture from engineering,
thinking from doing, and theory from practice, the number
of people concerned with architecture, as we said at the
outset, has greatly increased. These people work only on a
part of it, and nobody feels responsible for what happens.
All tend to their own garden.
It is clear to all that in this way not one step forward can
be achieved. This craft cannot be fully performed if the
conditions described above do not occur. As we have seen,
fixing collective and shared contents is necessary and
indispensable to the performance of the architect’s craft,
but it is not sufficient in itself and does not guarantee the
result.
As a human being first, and then as a professional, the
architect must be able to take up these contents and
transfigure them into architectural forms – the only ones
ultimately able to tell us whether his or her work is well
done or not.
Certainly, form is not the architect’s main objective. His
problem is more likely to be the object of his work, be
it a house, a school, a factory, a city hall, a museum or
whatever. But although not the objective, it is undoubtedly
its result. So it is in this full awareness that our craft can
and must be performed, not otherwise.
Perhaps current architecture and those involved in it
should be asked a necessary and indispensable question
about the sense of their production. If we love architecture,
if we want to encourage it, in the firm belief that it is
indispensable to the lives of humankind, then that is where
we must start from again.
TEMI
PROGETTUALI
TEMA1
Coordinatori
Giovanni Azzena, Marco Cadinu,
Aldo Lino
Co-Docenti
Tore Ganga, Betta Garau, Marcello
Schirru
Tutores
Roberto Busonera, Dario Denurchis,
Luca Sanna
COSTRUIRE
I PAESAGGI
DELL’ARCHEOLOGIA,
DELLA STORIA,
DELLA NATURACALMEDIA NOA
“Quella notte Valentina sognò Bosa.
Dalla foce del fiume che scendeva al
mare, serpeggiando per la campagna
ricca di frutteti e di vigne, vedeva il
profilo bruno e diruto del castello;
ricordava di essere stata felice, giù
nei frutteti, o scendendo il fiume in
barca, tanti e tanti anni prima;
ma la felicità era un ricordo lontano,
sbiadito dal tempo”…
(Giuseppe Dessì, Paese d’ombre).
Narra una leggenda che Calmedia, immaginaria moglie del re Sardus figlio di Eracle libico, giunta nella vallata attraversata dal Temo, colpita dalla bellezza di quei
luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare una città che da lei avrebbe preso
nome. La città di Calmedia, nella località oggi detta Calameda, sarebbe diventata nell’antichità un fiorente centro culturale e commerciale e avrebbe per secoli
convissuto con la vicina Bosa, con cui si sarebbe infine confusa.
Le valenze archeologiche e storiche di questo sito, situato sulla riva sinistra del
Temo fino all’età bizantina, sono notevoli e s’intrecciano in un affascinante racconto, ancora non completamente dipanato, fra la storia romana (i primi vescovi
Emilio e Priamo erano stati trucidati sotto l’impero di Nerone e di Diocleziano)
e la storia tardo medioevale e medioevale. Storia che ci viene oggi testimoniata
dall’unica sopravvivenza monumentale, la basilica romanica di San Pietro, costruita nel 1073 da Costantino De Castra e ampliata nel secolo XIII da Anselmo di
Como. La strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont’ezzu, collegava
Bosa direttamente a sud con Cornus (presso l’abitato di Cuglieri, oggi Santa Caterina di Pittinurri) ed a nord con Carbia (Nostra Signora di Calvia, località situata
alla periferia sud di Alghero).
Molto importanti anche le valenze geografiche e paesaggistiche, rese particolarmente interessanti dal corso del fiume, che in questo tratto assume dimensioni
singolari, tanto che viene comunemente definito l’unico fiume navigabile della
Sardegna. Lo testimonia anche Alberto della Marmora “…questo fiume è navigabile ancora due miglia al di sopra della città, dov’esso serpeggia in mezzo d’una
larga vallata, tutta piena di ulivi e ben coltivata”. Paesaggio naturale che è stato
quindi e continua ad essere intelligentemente manipolato dall’uomo a scopo
agricolo e di piccolo coltivo, quel piccolo coltivo che in sardo viene chiamato
fuggimenta, a sottolineare il suo carattere di coltivazione stagionale, frequentemente rinnovata con specie diverse per conservare la fertilità del terreno. Come
in un qualsivoglia centro storico, le parcelle catastali delle diverse proprietà si
infittiscono stringendo i fronti; gli orti, attestati su lotti stretti e lunghi (per avere
sia un accesso dalla strada che un accesso dal fiume; l’accesso dal fiume con
un piccolo pontile in legno, l’accesso dalla strada con un cancello sormontato da
un festone di rose) restituendo così il disegno di una sottile (una sorta di randadu
A legend narrates that Calmedia, imaginary wife of King Sardus son of Libyan
Eracle, arrived in the valley of the river Temo, moved by the beauty of those
places, decided to settle down and build a city that would take her name. The
city of Calmedia, in the locality now known as Calameda, in the past become a
thriving cultural and commercial centre and have co-existed for centuries with
the neighboring Bosa, with whom it would have been in the end confused. The
archaeological and historical values of this site, situated on the left bank of the
Temo until the Byzantine era, are remarkable and intertwined in a fascinating
story, still not completely unravelled, between Roman history (the first bishops
Emilio and Priamo were killed during the reign of Nerone and Diocleziano) and the
late medieval history. This story today is proved only by the surviving monumental
Romanesque basilica of St. Peter, built in 1073 by Costantino De Castra and enlarged in the thirteenth century by Anselmo di Como. The coastal west road, that
crosses the Temo in Pont’Ezzu, connected Bosa directly to the south with Cornus
(near the town of Cuglieri, today Santa Caterina di Pittinurri) and to the north with
Carbia (Nostra Signora of Calvia, a town dispalced in the surroundings of Alghero).
The geographical and landscape values are also very important, made particu-
per usare la metafora del filet) trama
ai bordi del corso d’acqua con un
meraviglioso assortimento di colori e
di tessiture nell’alternarsi delle stagioni
che le diverse colture dei piccoli poderi
contemporaneamente restituiscono.
Non bisogna poi dimenticare l’aspetto
della cultura popolare e tradizionale. La
festività di San Pietro e Paolo continua
a essere una ricorrenza molto sentita
e partecipata con grande concorso di
popolo: segnano l’inizio della stagione
estiva e il concorso di popolo è cospicuo. È occasione, come anche altre
festività, per tenere viva la tradizione
della cultura popolare, di cui il cantu a
traggiu è una delle testimonianze più
interessanti. Alla radice del sentiero
lungo il Temo che porta a San Pietro,
si trova la chiesa di Sant’Antonio (già
sede del Convento dei Carmelitani prima che si trasferissero dall’altra parte
dell’abitato di Bosa lungo la strada
che portava a Sassari), la cui ricorrenza del 17 gennaio segna l’inizio della
lunga stagione del carnevale bosano
che, ancora oggi, è uno degli eventi
più significativi e importanti in tutta la
Sardegna.
Da tutte queste considerazioni è nata
l’idea di pensare un progetto di un
piccolo insediamento di residenza a
carattere temporaneo, destinato ad
accogliere e ospitare pellegrinaggio
religioso, turismo sociale e una foreste-
“That night Valentina dreamed Bosa.
From the mouth of the river down to the sea,
snaking through the countryside filled with orchards and vineyards, she saw the brown and ruined silhouette of the castle; she remembered that
she had been happy, down in the orchards, or sailing in the river by boat, many, many years before;
but the happiness was a distant memory, faded by
the time “...
(Giuseppe Dessì, Paese d’ombre).
ria per senzatetto. Un piccolo borgo, un semplice agglomerato di case minime, a significare che il paesaggio culturale
(archeologico, storico, naturale, antropologico) può essere
conservato solo se viene abitato e vissuto con le vocAzioni che la tradizione ha sedimentato nel corso dei secoli.
Poco discosto dalla chiesa di San Pietro era stato realizzato
qualche tempo fa un piccolo approdo: questa proposta
di progetto può recuperare anche questo intervento per
suggerire una fruizione turistica alternativa alle dominanti e
invadenti culture del turismo. Per dirla con le parole di Attilio
Mastino “… un sofisticato ed originale luogo di soggiorno,
tra mare e fiume, con una storia straordinaria che ancora
parla attraverso le pietre”.
Nella pagina precedente:
Chiesa di san pietro
In basso:
Bosa (foto storica)
Chiesa di san pietro
larly interesting by the river, that in this section assumes
remarkable dimensions, so that is commonly called the only
navigable river in Sardinia. Also Alberto della Marmora testifies it “... this river is still navigable two miles above the city,
where it winds in the middle of a wide valley full of olive trees
and well cultivated.” The natural landscape that was and
continues to be cleverly manipulated by man for agricultural
purposes and for small cultivations, that in Sardinian are
called fuggimenta, to emphasize their character of seasonal
farms, frequently renewed with different species to preserve
the soil fertility. As in any old town, the cadastral parcels of
the different properties thicken tightening their fronts; the
orchards, displaced in narrow and long lots (to have both
access from the road with a gate surmounted by a garland
of roses and from the river with a small wooden jetty) thus
express the sign of thin plots (a kind of randadu to use the
metaphor of the filet) on the edge of the river with a wonderful assortment of colours and textures of the seasons that
the different cultivations of small farms, at the same time,
return. It is important to not forget the aspect of the popular
and traditional culture. The feast of St. Peter and St. Paul
continues to be a very heartfelt and participated celebration
with great attendance of public: they mark the beginning of
the summer and the attendance of public is conspicuous.
It is an opportunity, as well as other festivities, to keep alive
the folkloristic traditions, of which the cantu a traggiu is one
of the most interesting. At the beginning of the path along
the Temo that leads to St. Peter, is located the church of St.
Anthony (formerly the seat of the Carmelite monastery, before they moved on the other side of the town of Bosa along
the road that led to Sassari) whose anniversary of the 17th
of January marks the beginning of a long carnival season
that, even today, is one of the most significant and important
in the whole of Sardinia.All these considerations led to the
idea of a project of a small temporary settlement of residence, designed to accept and accommodate the religious
pilgrimage, the social tourism and a guesthouse for the
homeless. A small village, just a cluster of minimum houses,
means that the cultural landscape (archaeological, historical,
natural, anthropological) can be preserved only if it is inhabited and lived with the vocations that the tradition has settled over the centuries. Not far from the church of San Pietro
had been made, some time ago, a small dock: the proposed
project can also recover this intervention in order to suggest
a tourist use that is alternative to the dominant and intrusive
cultures of tourism. To quote the words of Attilio Mastino “...
a sophisticated and original place of residence, between the
sea and the river, with an extraordinary story that still speaks
through the stones.”
TEMA2
IL CAMPO E LE
MURA. LA CITTÀ
TERRITORIO
NELLA VALLE DEL
CIXERRI
Coordinatori
Jordi Bellmunt, Giorgio Peghin
Co-Docenti
Stefano Asili, Carlo Pisano
Tutors
Alfonso Annunziata, Angelo Carcangiu,
Alberto Gadaleta, Daniela Pisano, Marco Usai
Collaboratori e Consulenti
Francesco Annunziata (Infrastrutture), Bruno Asili (politiche per il turismo),
Salvatore Cherchi (politiche e strategie territoriali), Giuseppe Fara (demografia),
Benedetto Meloni (sociologia urbana e rurale), Giaime Meloni (fotografia),
Giangiacomo Ortu (storia del territorio), Fausto Pani (scienze della terra)
Introduzione
Il progetto cerca di formulare un’idea
di paesaggio urbano, in un territorio
che si estende dalla città di Cagliari
sino al sistema del Sulcis-Iglesiente.
Una città-territorio potenziale capace
di esprimere una differente prospettiva
di sviluppo basata su un modello di
assetto territoriale non urbano-centrico
ma fondato sul sistema insediativo
preesistente e sui valori paesistici ed
ambientali del contesto. Una nuova mappa per la complessa realtà
polinucleata di relazioni e connessioni
nella quale si iscrive oggi Cagliari: un
nuovo spazio metropolitano che stende
la sua area d’influenza aldilà di quella
che fino ad oggi era la classica “area
metropolitana”.
Introduction
The project aims to elaborate the
concept of “the city in the landscape”,
in a territory that extends from the city
of Cagliari until the Sulcis-Iglesias. A
potential city-territory able to express a
different perspective of development,
not based on the compact city model
but on the existing urban system and
on the environmental and landscape
values. A new map for the complex
and polynuclear reality of relationships
and connections in which Cagliari is
today included: a new metropolitan
space that extends its area of influence
beyond what, until now, was the classic
“metropolitan area”.
La città territorio della Valle del Cixerru
Il luogo
La valle del Cixerri rappresenta una delle regioni della Sardegna maggiormente urbanizzate, considerando sia le polarità urbane che si attestano nei sui bordi – l’area metropolitana di Cagliari, le città di Iglesias, Carbonia, Portoscuso, il sistema
delle isole – sia il potenziale produttivo rappresentato dall’agricoltura – un comparto particolarmente importante per i numeri e per gli investimenti infrastrutturali
che nel tempo si sono attuati, come la diga del Cixerri – sia il comparto industriale
attestato sui due estremi della valle – quello industriale del polo di Macchiareddu a Cagliari e quello di Portoscuso - sia infine il fascio di infrastrutture stradali,
ferroviarie e portuali che consentono un’accessibilità diffusa e diversificata.
Questo territorio è oggi attraversato da dinamiche che hanno alterato l’equilibrata distribuzione tra insediamento, agricoltura, aree ambientali e infrastruttura di
matrice storica.
I movimenti demografici hanno visto un forte processo di depauperamento degli
insediamenti minori, fondamentale presidio nel territorio, con movimenti che
spostano la popolazione verso le fasce esterne metropolitane, contribuendo ad
accelerare quel fenomeno di “metropolizzazione” dell’area urbana cagliaritana che
oggi appare incapace di inserirsi in una chiara visione futura.
La produzione industriale, supportata da medie e grandi attrezzature e che complessivamente raggiunge un importante valore produttivo se riferito al contesto
regionale, appare il comparto maggiormente colpito dalla recente crisi economica,
con una perdita in termini di posti di lavoro e fatturato. La produzione agricola,
principalmente legata a coltivazioni estensive di seminativi, risulta incapace di
configurarsi come un’alternativa economica rilevante, ma potrebbe attivare una
nuova economia basata su un modelli di sviluppo delle filiere locali e nuove forme
di multifunzionalità agricola.
L’accesso alle risorse, infine, intese come servizi ed infrastrutture di natura sociale, assistenziale, economico-commerciale, sbilanciata verso i centri maggiori,
potrebbe al contrario distribuirsi lungo l’asse della ss130.
The place
The Cixerri valley is one of the most
urbanized area of Sardinia, considering
both the urban polarities which stood
in the edges - the metropolitan area
of Cagliari, the city of Iglesias, Carbonia, Portoscuso, the system of the
islands - the agricultural productivity - a
particularly important sector in terms of
figures and infrastructural investments
that have been implemented over time,
as the dam of the Cixerri - the industrial sector that is placed at both ends of
the valley - the pole of Macchiareddu
close to Cagliari and Portoscuso on the
other side - and finally the infrastructural bundle of roads, rail and ports
that allow a widespread and diverse
accessibility.
This area is today crossed by several dynamics that have altered the
balanced distribution of settlements,
agriculture, ecological and infrastructural areas structured through history.
The smaller settlements have seen a
depopulation process, which has undermined their role of protection of the
territory. Moreover the fast population
movement toward the outer metropolitan edge is accelerating the phenomenon of “metropolization” of the
urban area of Cagliari, which appears
incapable to define a clear vision for
the future.
The industrial production, that reaches
a significant percentage referred to the
I modelli
Questo studio , cerca di sperimentare, attraverso la ricerca progettuale,
modelli di trasformazione del paesaggio capaci di ristabilire un equilibrio tra
infrastruttura e paesaggio, tra processi
economici e processi ambientali. Per
una maggiore efficacia didattica, è
stato ordinato un percorso genealogico attraverso modelli urbanistici che
hanno affrontato il problema della
città come organismo territoriale. Nella
storia dell’architettura e dell’urbanistica alcuni progetti si sono confrontati
con la forma di una città che appariva
oramai oltre le tradizionali dicotomie urbano/rurale e città/campagna,
con la sua infrastrutturazione, con la
definizione del problema complesso
dell’organizzazione e della gestione,
in una visione spesso alternativa ai
processi in atto e comunque orientata
verso la definizione di proposte capaci
di superare le criticità della città contemporanea.
In particolare, gli esempi di strutture
urbane lineare sono apparsi adeguati
alla ricerca progettuale sia per la coincidenza con la forma e l’infrastruttura
della Valle, sia per la convinzione che
un’organizzazione lineare costituisca
un modello di urbanità democratica
nel quale le funzioni e le risorse sono
equamente distribuite secondo rapporti
costanti. Esempi che, nonostante il
differente contesto storico ed urbano
nel quale sono stati elaborati, costituiscono ancora oggi un riferimento per
la costruzione di una strategia organica
di riorganizzazione di sistemi urbani
complessi, in una realtà i cui i mutamenti rapidi ed imprevedibili tendono a
promuovere interventi adattivi e plurali,
spesso disorganici e scarsamente
orientati alla costituzione di un organismo urbano coerente; una condizione,
questa, che rischia di tradursi in una
sostanziale rinuncia al progetto come
strumento per la prefigurazione di
scenari futuri ed alternativi.
regional context, is the sector most affected by the recent economic crisis, with a
loss in terms of jobs and revenue.
The agricultural production, mainly based on the extensive cultivation of crops,
today is unable to be seen as a relevant economic alternative. The access to
resources, intended as social and economic services and infrastructures, is
increasingly losing ground in favour of the most attractive centres along the axis of
SS130.
References
This study researches new models of territorial design. The reflection on the theme
of a new urban spatial organization able to restore the balance between infrastructure and landscape, between anthropogenic and environmental processes led
us to retrace a genealogical journey through a series of historical urban models,
useful for understanding the problem of the city as a territorial body. The history of
architecture and urbanism is full of projects that have faced the project of a new
city-territory, with its infrastructure, with the definition of the complex problem of
organization and management, oriented towards the definition of proposals able to
overcome the problems of the contemporary city.
In particular, we have investigated examples of the linear urban structures due to
the linear nature of the infrastructure of the Valley, and to the idea that a linear
organization constitutes a democratic model in which the functions and resources
are equitably distributed. They are examples that, despite the different historical and urban context in which they were intended, are still a reference for the
construction of a comprehensive strategy for the reorganization of complex urban
systems, in a reality where rapid and unpredictable changes tend to promote
adaptive and plural methods of intervention; which is a condition that is likely to
result in a substantial abandonment of the design as a tool for the foreshadowing
of future and alternatives scenarios.
La matrice della città territorio:
Topografia e sistema idrico, Geologia, Aree a richio idrico, Edificato e
sistema ferroviario, Sistema stradale,
Uso del suolo
La città territorio
La natura radicale di questi processi e l’emergere di nuovi
paradigmi urbani richiedono un ripensamento della forma
e dell’idea stessa di città, capace di meglio comprendere
ed interpretare la magnitudine dei cambiamenti e le loro
potenzialità.
Il concetto di città territorio, che sintetizza la nostra proposta
per il territorio della valle del Cixerri, è un progetto radicale
di città che cerca di stabilire relazioni non gerarchiche tra le
diverse parti del territorio, tra l’infrastruttura, l’ambiente e
i luoghi dell’abitare, e creare un sistema alternato di spazi
colonizzati e luoghi dell’agricoltura, con ritrazioni e dilatazioni, estensioni e tagli.
Ci è sembrato utile supportare questa idea con un breve
glossario che riunisce alcuni dei concetti utilizzati. Il termine
città-territorio, ad esempio, che nel recente passato ha
stimolato non poche riflessioni, acquista oggi nuovi significati se ripensato nella sua sostanza formale e nei principi
che, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo
scorso, hanno definito il problema della dimensione e della
riorganizzazione dei sistemi urbani ad una scala nuova ed
articolata nel territorio. Ma anche altri concetti, come quelli
di conurbazione, campo urbano, regione urbana, megalopoli,
città diffusa, coniati per descrivere una differente condizione
urbana che si scosta fortemente dalle categorie interpretative della città storica, hanno contribuito a costituire un
nuovo lessico per urbanisti, sociologi, geografi ed architetti.
The city territory
The radical nature of these processes and the emergence of
new paradigms, require a rethinking of the very idea of the
city and its contemporary urban form, able to better understand and interpret the magnitude of the ongoing transformations and their potential.
The concept of city territory, which summarizes our understanding and interpretation of the territory of the valley
of Cixerri, is a radical project of the city, able to establish
non-hierarchical relationships between different parts of the
territory, between the places of the infrastructure and the
living ones, able to include different situations with some
colonized spaces and preserved ones, with retractions and
expansions, extensions and cuts.
We found useful to support the project with a short glossary
that brings together some of the used concepts. The term
city-region, for example, in the recent past has stimulated
many reflections, which, especially in the second half of the
last century, have introduced the problem of size and the
reorganization of urban systems at a new and articulated
scale in the territory. But also other concepts such as conurbation, urban area, urban region, megalopolis, urban sprawl,
are terms coined to describe a different urban condition
that shift consistently from the interpretive categories of
the historic town, that establish a new vocabulary for urban
planners, sociologists, geographers and architects.
Dall’alto:
Elmas
Valle del Cixerri Assemini
Siliqua
Musei (versi est)
VIE DELL’ACQUA
VIE DEL SALE
TEMA3
Coordinatori
Carlo Atzeni, Fernando Perez del Pulgar Mancebo
Co-Docenti
Adriano Dessì, Silvia Mocci
Tutors
Stefano Cadoni, Francesco Marras, Francesca Oggiano, Claudio Sirigu
Collaboratori e Consulenti
Anna Maria Colavitti, Stefano Pira
Le vie d’acqua, le strutture del sale, la città
Cagliari è una città d’acqua e ancora la sua struttura periferica ne conserva chiaramente le tracce.
Il sistema delle lagune, delle saline e della vie d’acqua che ne hanno regolato
storicamente e ne regolano tuttora gli equilibri idraulici, oltre che consentire i
trasporti di piccolo cabotaggio, è legato al mare con un nesso inscindibile. Le
attrezzature della produzione del sale, unitamente alla cortina di attrezzature
portuali commerciali e diportistiche, definiscono la linea di costa urbana.
La produzione e il trasporto del sale per millenni è stata una delle attività di
maggior rilievo per la città, collocata al centro del Mediterraneo e proprio i luoghi
e le trame finalizzate a questa coltura/cultura costituiscono uno degli elementi
paesaggisticamente più significativi per Cagliari.
Il canale di San Bartolomeo che regola lo scambio d’acqua fra le saline e il
mare, in prossimità del porto turistico, costituisce un passante che divide la città
segnando storicamente un limite tra la città consolidata (specie nelle espansioni
della seconda metà del novecento) e la sua proiezione verso sud in direzione del
crinale della Sella del Diavolo prima e del litorale del Poetto poi. Costituisce però,
allo stesso tempo, un raro connettore a percorrenza “dolce” dell’area metropolitana che, a seguito delle periodiche bonifiche delle sue acque e di quelle di
Terramaini a nord, vede la sua sede ospitare progressivamente attività sportive
nautiche molteplici e i suoi bordi i tratti di percorsi ciclo-pedonali più suggestivi
dell’area cagliaritana.
Il complesso delle Saline del Molentargius, del canale di San Bartolomeo coi
magazzini del Sale, unitamente al porto turistico di Su Siccu rappresentano un
transetto di paesaggio urbano straordinario sotto il profilo delle strategie di riqualificazione e ricucitura di due parti di città che ancora appaiono disconnesse.
Il sistema infrastrutturale periferico di Cagliari, costituito dall’asse mediano di scorrimento per diversi chilometri si attesta sul lato nord del tracciato del canale di
San Bartolomeo, mentre le vie di smaltimento del traffico dall’area di sosta dello
stadio Sant’Elia si collocano in adiacenza del canale sul lato sud, contribuendo a
inspessire la barriera urbana.
In prossimità di questo sistema che unisce il mare al complesso delle saline, per
uno sviluppo di circa due Km, si è strutturato un paesaggio urbano residuale esito,
Nella pagina precedente:
Viste panoramiche e a 45° dell’area
In basso:
Inquadramento dell’area
The water ways, the salt structures, the city.
Cagliari is a water-city and its suburban
structure still preserves clearly these
traces. The system of lagoons, salt
pans and water ways have regulated
the hydraulic equilibrium in the past
and also today, and it is connected
with the sea with a perpetual relation.
The salt-works, together with the commercial port facilities define the urban
waterfront of the city.
The production and the transport of
the salt has been for a long time one
of the most important activities of the
city, which is located in the centre of
the Mediterranean sea, and together
they represent a very significant landscape element for Cagliari.
The San Bartolomeo canal, which
regulates the water exchange between
the salt pans and the sea, might be
interpreted as the line that separates
the consolidated city (especially in the
urban expansions of the second half
of the 20th century) and its projection
towards the south in the direction of
the Sella del Diavolo and the Poetto
beach.
The complex of the Molentargius salt
pans, the San Bartolomeo canal and
the salt warehouses together with the
Su Siccu tourist port represent an
extraordinary strip of urban landscape
for strategies of recycling and connection of the two parts of the city which,
today, are still separated.
The peripheral infrastructural system
of Cagliari, defined for several kilometers by the peri-urban highway (asse
mediano di scorrimento), is located on
the north side of the path of the canal
of San Bartolomeo, and the roads that
lighten the traffic from the parking area
of Sant’Elia stadium are located just
close to the canal on the south side,
increasing the urban separation.
The sequence given by “peri-urban
highway-canal-secondary street”
becomes an infrastructural system
practically impossible to be overcome,
especially in the north-south direction.
In proximity of this system, for a length
of about two kilometers, it is located
Il canale di San Bartolomeo
nella topografia, di una forte modificazione dei suoli attraverso le colmate che nel secondo dopoguerra hanno rimodellato la linea di costa e l’area dello stadio.
Il costruito è frammentato sia dal punto di vista morfologico
sia funzionale; si presenta costituito da padiglioni sportivi,
spazi per l’alta formazione universitaria, attrezzature diportistiche, padiglioni militari e vaste aree inedificate attualmente
prive di un programma definito e attrattivo. Una successione
di episodi autonomi che non producono tessuto urbano né
luoghi di qualità.
L’articolazione generale di questo ambito è data da spazi in
sostanziale abbandono, spazi in attesa di diventare luoghi
per la città secondo un programma strategico integrato e
unitario prima e attraverso una serie di progetti puntuali di
qualità poi, sia alla scala delle architetture che dello spazio
pubblico. Un progetto di paesaggio sensibilmente misurato
al rapporto con l’acqua che struttura e ha strutturato nel
tempo l’area, è uno degli obiettivi posti alla base del lavoro
dell’atelier.
La disponibilità di spazi inedificati di valore paesaggistico
significativo, di archeologie industriali rilevanti (ad esempio
il padiglione Nervi), la prossimità con le attrezzature diportistiche di Su Siccu a est, la presenza di presidi per l’alta
formazione nell’area di Ponte Vittorio e culturali nell’area
della città del Sale a ovest, connotano l’intera area di lavoro.
Il programma più omogeneo oggi leggibile negli episodi con
una destinazione d’uso chiara è quello di una città dello
a residual urban landscape that is originated from a strong
modification of the soil through the remodeling of the coastline and the area of the stadium during the second post-War
period.
The urban fabric is fragmented both from a morphological
and a functional point of view, it consists of sports pavilions,
university facilities, boating equipments, military pavilions
and large unbuilt areas currently without a defined and
attractive program, a series of independent episodes that
do not produce nor urban fabric and qualitative places. The
general structure of this area is formed by spaces practically
abandoned, spaces waiting to become places for the city,
first of all according to an integrated and unitary strategic
program and then through a series of specific projects,
both at the urban and the architectural scale. One of the
fundamental objectives of the work of the atelier will be the
definition of a landscape project particularly sensitive in
relation with the water that has structured the area in the
course of time.
The availability of unbuilt areas that disclose significant
landscape peculiarities characterizes the project area along
with the presence of relevant industrial archaeologies, as the
Nervi Pavillion, the proximity to the recreational facilities of
Su Siccu toward east and to the academic district of Ponte
Vittorio together with the cultural centre to west. Today the
area is used mainly as a sport citadel with a series of scattered facilities, where the public and the private equipments
Padiglione Nervi, ex deposito del sale
sport diffusa ma frazionata, dove le attrezzature pubbliche e
quelle private si accostano più che integrarsi fra loro.
La sintesi di questi caratteri suggerisce l’idea che la riqualificazione possa e debba partire da un programma
strategico-funzionale rivolto a una nuova porzione di città
che attraverso l’integrazione fra benessere, loisir, sport e
cultura possa dare una risposta convincente e qualitativamente rilevante per ricucire due porzioni urbane per troppo
tempo separate. La presenza di alcuni grandi contenitori
attualmente dismessi e, in particolare il padiglione Nervi, ex
deposito del sale, consentirà di ri-generare luoghi e architetture storiche significative il cui riuso potrà essere occasione
per una discesa di scala progettuale. Il padiglione, infatti,
offre l’opportunità di affrontare una condizione generica e
allo stesso tempo specifica del paesaggio cagliaritano (il
rapporto tra edificio di grande scala e acqua); di ripensare
alla configurazione solo infrastrutturale del porto e del canale
in un sistema complesso di spazi e attività collegate che si
sviluppino oltre l’edificio e si proiettino nel prezioso spazio
tra esso e il bordo umido, ricercando una nuova interfaccia
attiva con la città.
Infine, l’attraversamento alle differenti scale, necessario a
risolvere la cesura urbana generata dal canale, costituirà
specifico ambito di approfondimento dell’atelier in integrazione con il gruppo di lavoro di tecnica delle costruzioni
impegnato nel progetto di ponti.
are close but not integrated.
The synthesis of these characters suggests a redevelopment
strategy that, integrating wellness facilities, leisure, sport
and cultural activities, may efficiently connect two parts of
the city that have been separated for too long.
The presence of some grand-scale containers, in particular
the Nervi Pavillion, the former salt stock, will allow to regenerate places and significant historical buildings whose re-use
will represent an occasion to work at a minor scale within
the general redevelopment strategy of the area.
TEMA4
CITTÀ
TRAMA
DI CULTURE
Coordinatori
Martin Boesch, Pier Francesco Cherchi, Marco Lecis
Co-Docenti
Francesco Fallavollita
Tutors
Lino Cabras, Silvia Carrucciu, Sara Marcheselli, Paolo Parodo
Collaboratori e Consulenti
Marco Cadinu, Paola Mura
In alto:
Il quartiere Marina
Nella pagina precedente:
Vista di Marina dai moli prima della demolizione
delle mura del porto
Città trama di culture.
Luoghi contemporanei per Cagliari multietnica
La scelta del tema dell’atelier nasce immaginando Cagliari
come “città della cultura”: un obbiettivo concreto nell’ottica
della candidatura per il 2019, ma anche un’aspirazione
senza scadenze, il desiderio di proiettare la nostra città e i
territori della Sardegna oltre il loro storico isolamento, oltre
i limiti geografici e i condizionamenti della crisi presente.
Cagliari, in alcuni dei suoi luoghi, è certo luogo denso di
cultura, non solo la propria, quella arrivata coi i suoi lenti
ritmi alla modernità, ma anche e soprattutto le nuove,
quelle che nell’attualità si sono per forza di cose incrociate
e sovrapposte, proprio nelle aree storiche della città. La
cultura sarda dunque, insieme alle molte culture importate:
arrivate nei secoli passati con i dominatori e oggi approdate
con gli immigrati e con i flussi turistici. La nostra idea di
“città della cultura” non è quindi legata a un’identità più o
meno superstite, da proteggere e da difendere, ha invece
la dimensione plurale di una trama viva e in divenire,
promettente e non risolta, ricca di speranze come di conflitti.
Luogo privilegiato dove sperimentare questa condizione è per
noi il quartiere di Marina. Lo è per la posizione geografica,
per il legame diretto con il porto, perché passaggio
obbligato dal mare al colle fortificato. Ma lo è soprattutto
per la trasformazione subita negli ultimi anni che lo hanno
trasformato da quartiere degradato a centro vivo, in cui si
incontrano i cittadini storici, le nuove popolazioni immigrate
e i turisti di passaggio. Per la forza della sua storia e per la
disponibilità e l’apertura, Marina è certo una delle aree della
città più dinamiche e in evoluzione, che ospita un processo
delicato, non privo di contraddizioni, che andrebbe preservato
per il suo eclettismo e per la molteplicità di vocazioni,
City as a culture’s texture.
Contemporary locations for a multiethnic Cagliari
The chosen theme was founded by imagining Cagliari as a
“city of culture”: a focus point of practical application for
2019, but also an aspiration without deadlines, the desire
to project our city and beyond the historical isolation of
Sardinia’s territories, as well as the geographical limits and
the constraints of the present crisis. Cagliari, in some of its
locations, it is certainly a place of remarkable culture, not
just its own one, that came slowly to modernity, but also and
especially the new ones. At the present time, they crossed
and overlapped right in the historical areas of the city. So,
Sardinian culture, along with the many imported cultures,
arrived with the rulers in past centuries and recently landed
with immigrants and with the flow of tourists. Our idea of a
“city of culture” is not so tied to a native identity, more or
less surviving, to protect and to defend; instead, it brings the
size of a plural texture, alive and evolving, promising and not
resolved, full of hopes as of conflicts.
Marina district is a special place to experience this condition.
It really holds such a character for the geographical position,
evitando che uno dei caratteri prevalga
– per esempio quello solo turistico e
speculativo - e annichilisca gli altri.
L’architetto guarda a questa parte
della città con vivo interesse e grande
speranza: lo fa come cittadino e come
uomo di cultura, ma anche come
tecnico. Le suggestioni evocate non
hanno un rapporto deterministico con
le architetture, con il disegno dei luoghi
di Marina, ma la forma della città può
interpretare e rafforzare una vocazione:
può servire gli usi che nell’attualità
è opportuno potenziare, e può, in un
senso più generale, definire il decoro
delle strade e delle case, dando figura
riconoscibile ai loro caratteri nel
presente.
Il nostro lavoro sul quartiere sarà
condotto su diverse scale: quelle
minori, analitiche e di dettaglio,
utili a definire spazi e usi minimi
con interventi contenuti e di natura
reversibile, e quelle maggiori, attraverso
la lettura della forma della città, il
completamento e il miglioramento
dei suoi spazi alla scala urbana,
l’identificazione dei percorsi di
attraversamento del quartiere e delle
loro connessioni con i luoghi ai suoi
margini.
Alla scala della città il quartiere è
il luogo di passaggio dal mare alla
rocca: verso sud il rapporto con le
aree storiche del porto, rapporto
evidente, ma ormai ridotto solo ad
un’aspirazione; verso nord il tema
dell’accesso a Castello, un percorso
da esplicitare e potenziare. La
prima questione impone una nuova
configurazione per la via Roma,
nell’attualità sacrificata al traffico
veicolare e ostacolo all’approdo
pedonale al mare: insieme ad un
ridisegno degli spazi della strada è
auspicabile una nuova strategia di
insediamento della città nell’area del
porto. Una volta ridefinito l’equilibrio
tra automobili e cittadini lungo l’asse
della via Roma, è da pensare un utilizzo
delle banchine capace di attrarre la
vita della città e fissarsi come meta dei
percorsi interni del quartiere. Questi
temi mettono in gioco una delle figure
the direct link with the port, obligatory passage from the sea to the fortified hill.
Particularly for the recent years changes, which have transformed it from a slum
district to a living center, where native citizen, new immigrant populations and
tourists meet. For the Strength of its history and the availability and openness,
Marina is certainly one of the most dynamic and evolving areas of the city. Marina
houses a delicate process, not without contradictions, which should be preserved
for its eclecticism and the multiplicity of vocations, avoiding one character prevail
on others - for example, that only tourism and speculative - and annihilate the other.
The architect looks at this part of the city with great interest and great hope. He
acts as a citizen and as a man of culture, but also as a technician. The evoked
suggestions haven’t a deterministic relationship with the architecture and the
design of the places of Marina, but the shape of the city can interpret and reinforce
a vocation. It can serve the uses that should be reinforced in the everyday
condition, and can, in a more general sense, define the streets and houses
decorum, giving a recognizable shape to their characters in the present.
Our work on the neighborhood will be conducted on different scales: the minor
ones, analytical and in detail, useful for defining spaces and uses with minimal
interventions and reversible nature, and the major ones, by reading the shape
of the city, the completion and improvement of its space at the urban scale, the
identification of paths crossing the area and their connections with the edge spots.
At the city scale, the Marina district is the place of transition from the sea to
the upper fortress, the “Castello” district. To the south the relationship with the
historical areas of the harbor, manifest relationship, but now reduced to only an
aspiration; on north side, the theme of the access to Castello, a path to clarify and
strengthen. The first issue requires a new configuration for the Via Roma, currently
sacrificed to vehicular traffic and pedestrian landing obstacle to the sea. Along with
a redesign of the street space configuration, is desirable to have a new strategy of
city life settlement in the port area. Once you have redefined the balance between
cars and people along the axis of the Via Roma, is has to be thought a new use of
the docks, capable of attracting the city life as a destination and to fix the internal
routes of the district. These issues bring into play one of the leading figures of
Eugene Delessert,
Vista dalle scalette di S. teresa, 1854
Dall’alto:
Sant’Eulalia prima dei restauri
Sant’Eulalia prima dei bombardamenti
Sant’Eulalia oggi
principali della modernità di Marina: la
sequenza dei portici costruiti all’inizio
del secolo scorso, elemento importato
ed estraneo alla storia della città, ora
così radicato e caratterizzante. La
seconda questione urbana, la risalita
verso Castello, deve essere affrontata
ad una scala più ravvicinata, con
interventi puntuali di miglioramento e
di evidenziazione dei percorsi storici:
la parte meridionale del quartiere è
interessata dalla connessione delle
vie di risalita con il mare e con i grandi
viali perimetrali del quartiere, quella
settentrionale dalla connessione diretta
con la rocca, dall’individuazione e
riconoscibilità dei percorsi privilegiati e
dal superamento dei forti dislivelli.
Scendendo di scala si passa da
considerare il quartiere nei suoi
rapporti con il resto della città ad una
analisi delle sue relazioni interne:
e a questo grado di lettura emerge
la particolare vitalità e l’intreccio
di culture descritto all’inizio. Negli
anni recenti Marina ha subito un’
importante trasformazione che si è
tradotta nell’intensificazione della sua
vita civile e dell’occupazione dei suoi
spazi pubblici. Si tratta di un fenomeno
ancora in divenire e che deve trovare
i suoi equilibri. Insieme ai cittadini
e ai turisti attratti dai locali per la
ristorazione, è accresciuta la presenza
di culture etniche diverse, con sempre
maggiore evidenza in alcune aree e
loro graduale nuova caratterizzazione.
Gli effetti di tali trasformazioni sono
evidenti anche in termini spaziali e
generano la richiesta di interventi nella
definizione dei luoghi, che ne precisino
la vocazione e rafforzino il senso di
decoro. In generale una strategia più
ampia andrebbe definita per l’intero
quartiere: una strategia utile non
solo alla risoluzione dei problemi più
evidenti dell’immediato, ma anche
capace di proiettarsi in avanti con
sufficiente respiro: per dare al futuro
di Marina la stessa forza e capacità
di adattamento dimostrata dal suo
passato.
Marina’s modernity: the sequence of
the arcades built at the beginning of
the last century, imported item and
alien to the history of the city, now
so deeply rooted and distinctive. The
second urban issue, the ascent way
to the castle, must be addressed at a
closer scale, with specific interventions
for improvement and highlighting of
historic routes: the district south is
interested by the connection of the
upward roads with the sea and with
the great perimeter avenues of the
district; the northern side issue is about
the direct connection to the rock, and
about the identification and recognition
of the most effective paths and the
overcoming of steep slopes.
Going down the scale, you go from
considering district relations with the
rest of the city to an analysis of its
internal components and relations:
and this degree of reading reveals the
vitality and particularly the weave of
cultures described in the beginning. In
recent years, Marina has undergone
an important transformation that
has resulted in the intensification of
its civilian life and employment of its
public spaces. It is a phenomenon
still in progress and must find an
equilibrium. Together with the citizens
and tourists attracted by restaurants
and café, has increased the presence
of different ethnic cultures, with
increasing evidence in some areas
and a consequent gradual new
characterization. The effects of these
changes are also evident in terms of
space and generate the call for action
in the definition of the area, defining
its vocation and strengthening the
sense of decorum. In general, a wider
strategy should be defined for the
entire neighborhood: a useful strategy
not only to the resolution of the most
immediate obvious problems, but
also capable of moving forward with
sufficient breath to give the future of
Marina the same force and adaptability
demonstrated by his past.
TEMA5
MOLENTARGIUS,
LA CITTÀ D’ACQUA
Coordinatori
Alessandra Casu, Fernando Sanchez Salvador
Co-Docenti
Antonello Ottonello, Mauro Palmas, Rosanna Rossi, Pinuccio Sciola
Tutors
Federica Orrù, Elisabetta Pani, Verdina Satta
Collaboratori e Consulenti
Maria Antonietta Mongiu, Sergio Vacca
L’ambiente dentro la città o la città dentro l’ambiente?
Le aree umide in Sardegna hanno rappresentato, da un lato, un pericolo a causa
della malaria e, dall’altro, hanno costituito la ragione dell’insediamento: è il caso
delle Saline per Sant’Antioco e Carloforte, del Calich per Alghero, e di Santa Gilla
e Molentargius per l’area urbana cagliaritana.
Esse costituiscono il recapito di sistemi idrografici, terminali di pianure o sul bordo
di archi collinari, e determinano le forme dell’insediamento nelle aree di gronda,
nella stratificazione di strutture della produzione e dell’abitare. Oppure, offrono
opportunità per funzioni urbane di più recente introduzione – il loisir – lungo le loro
sponde, spesso costituite da cordoni dunali.
In modo particolare nell’area di Cagliari (ma anche nella complessa area costituita
dai comprensori di bonifica e dalle espansioni urbane più recenti di Alghero), dove
a una “corona” di nuclei urbani ben definiti si è sostituita una conurbazione, le
aree umide costituiscono una nuova centralità, allo stesso tempo ambientale e
urbana, dove ciò che rimane – i lacerti – dell’ambiente originario è indistinguibile
da ciò che è stato costruito dall’uomo.
The environment within the urban or the urban into the environment?
In the past, ponds and wetlands in Sardinia represented, on the one hand, a
danger due to malaria and, on the other hand, the reason of the settlement: it is
the case of the Salt marshes in St. Antioco and Carloforte, of the Calich pond in
Alghero, and of St. Gilla and Molentargius in the urban area of Cagliari.
They constitute the delivery of river systems, terminals of plains or on the edge of
hills arches, and determine the forms of the settlement in the eave areas, in the
stratification of production and dwelling structures. Or they offer opportunities for
recently introduced urban functions – the loisir – along their shores, often made up
of dune ridges.
In particular in the urban area of Cagliari (but also in the complex constituted by the
reclaimed lands and the most recent urban expansions of Alghero), where a “belt”
of well-defined urban nuclei has been substituted by a conurbation, ponds and
wetlands are a sort of new centrality, environmental and urban at the same time,
where what remains of the original environment is not distinguished from what is
man-made.
A project for the edges?
The context requires then the project to redefine the concept of border, edge or
limit.
First of all, the edge of the wetland is not homogeneous: it can be either a shore, or
an eave.
This also implies the border can have different forms: a band, a varied shape… or a
pattern of punctual elements, or a strip crossed or penetrated by linear elements…
This means the edge, as an interface of integration and, at the same time,
separation, can react in different ways (that are design strategies): buffer,
subtraction, penetration, absorption, combination…
The project, then, can propose to strengthen the borders and highlight the limits,
or to make them fuzzy, permeable… Can the propose to cross them, through
strategies of “percolation” or using defined and distinguished elements. Or can
work with single elements, that can be absorbed or stay along the margin, or at
distance, to evocate a sort of buffer.
Un progetto per il margine?
Il contesto richiede dunque al progetto
di ridefinire il concept di bordo, margine
o limite.
In primo luogo, il bordo dell’area umida
non è omogeneamente definito: può
costituire una gronda oppure una
sponda. Ciò implica che il bordo può
assumere diverse forme: una fascia
lineare o dalla forma mutevole, oppure
un pattern di elementi puntuali, o
una striscia attraversata da elementi
lineari…
Ciò significa anche che il bordo,
interfaccia di separazione e, allo stesso
tempo, di integrazione, può reagire in
modi diversi (che divengono strategie
di progetto): buffer, sottrazione,
attraversamento, assorbimento,
combinazione…
Il progetto può dunque proporre di
rafforzare i bordi e sottolineare le
demarcazioni, oppure di renderli fuzzy,
permeabili… Può dunque proporre di
attraversarli, attraverso strategie di
“percolazione” o con elementi distinti e
definiti. Può, infine, occuparsi di singoli
elementi, che possono essere inglobati
o stare lungo la corona, oppure distanti,
a sottolineare una sorta di buffer.
Schizzi del paesaggista tailandese
Yossapon Boonsom
Alcune suggestioni
1. il superamento dell’insularità bio-geografica
La laguna occidentale di Santa Gilla e il sistema ambientale
di Molentargius, apparentemente separati da pareti, colli,
brani urbani e infrastrutture, sono collegati da corridoi
ambientali ai quali il progetto può restituire visibilità, offrendo
occasioni di riscatto a parti di città neglette e reiette.
Some suggestions
1. overcoming the bio-geographical insularity
The western lagoon of St. Gilla and the environmental
mosai of Molentargius, apparently separated by cliffs, hills,
urban fragments and infrastructures, are connected by
environmental corridors, to which the project can return
visibility, providing opportunities for redemption in neglected
or outcast parts of the city.
2. la nue (naturellement urbain environnement)
Molentargius nasce come vasca di espansione, nue che
raccoglie le acque del bacino orientale del Golfo degli Angeli.
Questo suo ruolo originario, equivalente alla piazza centrale
di Brasilia, è stato offuscato prima dall’uso saliniero e poi
dalla sostituzione delle acque meteoriche con quelle reflue.
Con i cambiamenti climatici questo suo ruolo originario
assume nuovamente importanza, richiedendo un progetto
urbano coerente.
2. the nue (naturally urban environment)
Molentargius was in its origins a sort of “expansion tank”, a
nue to collect the rain water of the eastern catchment area
of the Golfo degli Angeli. This former role, the same as the
central square in Brasilia, had been blurred firstly by the
salt exploitation and, later, by the substitution of rain- with
waste- water. Within the Climate Change this aspect becomes
important again, requiring a coherent urban project.
3. la “stella” di canali
La raccolta di acque reflue, paradossalmente, ha favorito la
crescita e l’arricchimento dell’avifauna e della bio-diversità.
Tuttavia, l’aumento dei nutrienti ha superato la capacità
di auto-depurazione e la resilienza di alcuni corpi idrici,
che forse necessitano interventi di phyto-remediation per
diminuire la presenza di sedimenti, oli, detergenti, acidi
che minacciano l’ecosistema. Questi interventi dovrebbero
riguardare gli immissari principali come i rii Saliu, Mortu, di
Selargius e Is Cungiaus.
3. a star made of canals
The collection of sewage, paradoxically, has favored the
growth and the enrichment of the avifauna and of the biodiversity. But the increase of nutrients has exceeded the
resilience and the capacity of self-purification of some
water bodies, that maybe need some interventions of
phyto-remediation in order to remove exceeding sediments,
detergents, oils, acids that threaten the ecosystem. These
interventions should focus on main tributary channels, such
as Saliu, Mortu, di Selargius and is Cungiaus canals.
4. la parete abitata
Non tutto il bordo interno del Molentargius funziona
come una gronda lagunare urbana: il sistema ambientale
comprende anche l’emergenza collinare di Monti Urpinu,
un parco urbano che con una parete ad elevata pendenza
delimita un bordo non esattamente abitato, ma destinato ad
4. the inhabited wall
Not all the inner edge of Molentargius works as an urban
lagoon eave: the environmental system includes also the
hill of Monti Urpinu, an urban park with sport facilities that,
through a wall-to-high slope, defines a border not exactly
inhabited, but intended for military purposes, and nowadays
A sinistra:
Serbatoio idrico località Serra Perdosa
Nella pagina precedente:
Molentargius - Saline
usi militari e oggi in via di dismissione:
il recupero e la riqualificazione di
quest’area potrebbero completare
la dotazione del parco urbano con
spazi da restituire alla cittadinanza,
da destinare ad attività culturali, allo
studio delle risorse naturalistiche,
ridefinendo e ridisegnando il bordo tra i
due differenti parchi.
being dismissed: the reclamation and
the rehabilitation of this area could
5. i templi dell’acqua
Dopo essere stato per due millenni
una macchina produttiva, il sistema
ambientale del Molentargius è
diventato una macchina urbana legata
all’acqua: non solo come occasione
di svago lungo la spiaggia che ne
costituisce la sponda meridionale,
non solo come risorsa paesaggistica,
orizzonte e landmark areale, ma anche
come macchina per la rigenerazione
della risorsa idrica urbana. Inoltre,
l’arco collinare che lo sottende è
punteggiato da elementi verticali, che
recano all’insediamento la risorsa
più preziosa: le torri dell’acqua, che
sorreggono i grandi serbatoi che
dissetano la città più recente. Questi
silenziosi monumenti, appartati
rispetto agli usi sociali eppure sempre
presenti nel paesaggio, landmarks
che annunciano spazi di vita, non
meriterebbero forse di essere riscoperti
e “celebrati” dalla cittadinanza come
luoghi di produzione artistica, culturale,
di eventi?
5. the temples of water
After being for two millennia a
production machine, the Molentargius
environmental system has become an
“urban machine” water related: not only
as a recreational opportunity along the
beach that forms the southern shore,
not only as a landscape resource,
horizon and areal landmark, but
complete the equipment of the urban
park with places to be returned to
citizenship, to be used for cultural
activities or to study the natural
resources, redefining, reshaping and
redesigning the fuzzy edge between the
two different parks.
also for the regeneration of urban
water resources. Moreover, the hills
arc that underlies it is “dotted” by
vertical elements, bearing the most
valuable resource for the settlement:
water towers, which support the large
reservoirs that quench the most recent
urban fabrics.
These silent monuments, secluded
from the social habits and yet always
present in the landscape, landmarks
that announce places in which people
live… Wouldn’t they deserve to be
rediscovered and “celebrated” by the
citizens, as places in which art, culture,
events take place?
TEMA6
Coordinatori
Zoran Djukanovic, Alessandro Plaisant, Simone Solinas,
Co-Docenti
Mario Casciu
Tutors
Lorenzo Ciccu, Simone Langiu
Collaboratori e Consulenti
Nada Beretic, Alessandro Biggio, Pierangelo Loru,
Marcello Verona
PAESAGGI
CULTURALI
MINERARI
Sostiene Gilles Clément che ogni organizzazione razionale di
un territorio produca un residuo. Partiamo da questo assunto per individuare alcune strategie rispetto alle quali orientare le prospettive di territori, che sono stati testimonianza
di significative economie, processi culturali e insediativi, ma
che hanno interrotto il tessuto di relazioni con i luoghi, disseminando “macerie” ambientali e sociali, conseguenti alla
dismissione delle attività estrattive ed alla debolezza delle
iniziative di valorizzazione dei siti di archeologia industriale,
finora promosse in maniera isolata.
Ripensare l’organizzazione futura di alcuni elementi del patrimonio geominerario secondo una logica di equità territoriale,
attraverso interventi mirati alle diverse scale, in cui alcune
situazioni assumono valenza di centralità urbana, mentre
altre riscoprono i valori generativi, apre occasioni favorevoli
per il coinvolgimento dei territori interni, per la loro contiguità con i nodi della matrice paesaggistico - ambientale. In
questo senso, gli interventi si concentrano sul superamento
della carenza di strutture e funzioni di riferimento per la vita
organizzata, tramite interventi per rendere accessibili, mettere in rete e organizzare la vita moderna di questi luoghi,
offrendo vantaggi di maggiore vivibilità e fruibilità per tutti i
luoghi e nuove forme di cittadinanza che coinvolgano abitanti stabili e temporanei.
I piccoli nuclei abitativi, infatti, possiedono le potenzialità per accogliere funzioni,
servizi e strutture urbane di supporto e contribuire, in questo modo, a rafforzare
l’utilizzo pubblico e rappresentativo dei siti minerari costieri, che necessitano di
interventi di riqualificazione ambientale e di messa in sicurezza, di recupero e
riuso inedito dell’edificato e di restauro monumentale di alcune strutture legate al
passato dei luoghi.
In secondo luogo, staccandoci dall’idea di cultura museale orientata all’oggetto,
proponiamo una prospettiva territoriale di accessibilità alla cultura mineraria come
un vero e proprio processo di produzione culturale attraverso la trasformazione
delle informazioni in conoscenza, prendendo in prestito alcuni processi propri del
mondo della biblioteca contemporanea, intesa come servizio e sistema a carattere
“glocale”, per dirla alla Bauman, estremamente dinamico e vitale, che si proietta
attivamente verso i suoi utenti e verso il territorio e che si aggiusta e si ridefinisce,
man mano che l’ambiente in cui opera si va modificando. Come tale, questo
sistema territoriale deve riorganizzarsi e gestire le sue componenti: gli aspetti
strutturali, i suoi fini istituzionali e le norme che disciplinano l’azione, le sue raccolte documentarie, le professionalità, le nuove tecnologie (e il conseguente digital
divide) e le attrezzature utilizzate, le risorse finanziarie, e così via.
Planu Sartu
Bugerrua
Cultural Mining Landscapes
As Gilles Clément argues, every rational
organization of a territory produces a
residue. Let’s start from this assumption to identify some strategies to
direct some prospects for territories,
which were proof of significant economies, cultural and urban processes as
well, but now they disrupted the fabric
of relationship with the places, scattering environmental and social “ruins”
resulting from the dismantlement of
mining activities and the weakness of
the initiatives for the enhancement of
the sites of industrial archaeology, usually promoted in an isolated manner.
Rethinking the future organization of
some elements of the geo-mining
heritage means to propose a logic of
territorial equality, through focused
interventions at the different scales, by
which specific situations take on the
value of urban centrality, while others
rediscover the natural generative
values, designing a territorial matrix of
strategic places and opening up favourable opportunities for the involvement
of the internal territories, for their
contiguity with the nodes of the matrix.
In this sense, all the interventions are
focused on the overcoming the lack of
facilities and features for the organized
life, through actions to make accessible, to network and organize the
modern life of these places, offering
advantages of better liveability and
usability for all the places and make
new forms of citizenship possible, by
involving temporary and permanent
residents in local projects. In another
sense, connecting the small hamlets
and rural residential areas to the coast
through urban structures, services
and supporting functions, can help to
enhance the public and representative use of the coastal mining sites,
which require actions for revitalization,
environmental restoration and safety,
recovery and innovative reuse for some
monumental structures and pathways
related to the past of the places.
Secondly, far from the idea of object-oriented museum culture, we
propose a spatial perspective to access
Masua
Galleria Henry
L’area di progetto da cui partire per
impostare la strategia territoriale comprende un waterfront molto articolato
e scarsamente accessibile per via delle
falesie a picco sul mare, che va da
Buggerru, attraversando l’approdo di
Cala Domestica, il Golfo di Masua e
il borgo costiero di Nebida, con i resti
delle laverie, dei magazzini e delle altre
strutture testimonianza dell’attività
mineraria, guardando verso l’interno
attraverso percorsi fuori, sotto e entro-terra, che abbracciano un territorio
più vasto di quello percepibile. Alcuni
spunti di riflessione:
1. Un primo ordine di elementi riguarda il ruolo istituzionale delle figure
preposte alla gestione del patrimonio
storico e ambientale, la costruzione
del corpo civico e la governabilità del
processo attraverso la realizzazione di
un processo gestionale collaborativo.
2. Un secondo ordine di elementi
riguarda le opportunità di convertire
una organizzazione (e una economia)
industriale in una organizzazione (e una
economia) ambientale.
3. Un terzo ordine di elementi riguarda
la costruzione di scenari progettuali
attraverso il confronto, con l’ausilio di
professionalità e competenze tecniche
(nel restauro, partecipazione, arte,
cultura, riqualificazione ambientale,
…) per costruire una dimensione
interattiva con i soggetti locali coinvolti
con maggiore continuità nella vita dei
territori e perseguire occasioni occupazionali attraverso la riorganizzazione
di nuove funzioni urbane e il reimpiego
delle competenze e delle esperienze
dei lavoratori delle miniere.
the mining culture as a genuine process of cultural production through the transformation of information into knowledge, borrowing some of the typical processes
of the contemporary library world, intended as a service and a “glocal” system, to
put Bauman, extremely dynamic and vital, which is actively projected towards its
users and to the territory and which adjusted and redefined itself, as the environment change. As such, this territorial system must reorganize and manage its
components: the structural aspects, its institutional purposes and the rules governing the action, its documentary collections, the expertise, the new technologies
(and the resulting digital divide) and the used equipment, the financial resources,
and so on.
The project area from which to set the spatial strategy includes an articulated
waterfront, poorly accessible because of the cliffs overlooking the sea, which runs
from the mining town of Buggerru, crossing the harbour of Cala Domestica, the
Gulf of Masua and the coastal hamlet of Nebida, with the remains of washery
buildings, warehouses and other structures evidence of the mining past, looking
inward through external, internal and underground pathways, that cover a larger
territory than perceptible. Some elements for thought:
1. A first order of elements concerns with the institutional role of the persons
responsible for the management of the historical and environmental heritage, the
construction of the civic body and the governability of the process through the
implementation of a collaborative management process.
2. A second set of elements concerns with the opportunity to convert an industrial-oriented organization (and economy) in an environmental-oriented organization
(and economy).
3. A third set of elements relates to the construction of project scenarios through
public debate, with the help of professional and technical skills (in restoration,
participation, art, culture, environmental restoration, ...) to build an interactive
dimension with local actors permanently involved in the life of the territories and
pursue employment opportunities through the reorganization of new urban functions and the reuse of skills and experiences of mine workers.
Masua
TEMA7
Coordinatori
Luigi Fenu
Tutores
Paolo Putzulu, Francesco Sedda
ATTRAVERSAMENTI
L’insediamento del sistema urbano di Cagliari, e in parte
dei centri abitati limitrofi insediati lungo gli stagni, ha avuto
come fondamentale determinante al contorno un sistema
idraulico non solo di stagni, ma anche di peschiere e di saline
storicamente nate per sfruttarne le potenzialità economiche.
Essi hanno dato una specifica impronta al rapporto fra la
città e il mare e, per il loro utilizzo, si è dovuto costituire
un reticolo di canali e di strade, spesso intersecantesi fra
loro, che ha poi costituito esso stesso una condizione al
contorno per la rete delle vie cittadine. E’ chiaro allora che
nell’intersezione fra le vie dell’acqua e quelle del sale, il
tema degli attraversamenti si è da subito posto sin dalla
creazione delle saline e del sistema idraulico che ne regola il
funzionamento, come testimoniato dai vari ponticelli che ne
attraversano i canali.
Ciononostante, il canale di Terramaini è ancora una barriera
importante che condiziona le modificazioni della città in
quella direzione, costituendo tra l’altro un invalicabile
confine per gli abitanti del quartiere di Sant’Elia, da sempre
ghettizzati lontano dalla città, che altrimenti avrebbero la via
Roma e il centro cittadino a un tiro di schioppo e a portata
di una piacevole passeggiata lungo il mare. A questo si
aggiunge il fatto che la destinazione dello stadio Sant’Elia e
dell’area dei suoi parcheggi, periodicamente in primo piano
sui media, nella vulgata della gente e nei sogni di diversi
imprenditori, interessati all’importanza non solo sportiva
di questo impianto, è sicuramente destinata ad un ruolo di
primo piano nello sviluppo della città, come già prefigurato di
recente per esempio con il concorso per la realizzazione del
museo Betile e con le proposte di Rem Kooholaas per una
riqualificazione dell’area.
In questa ottica, diversi sono i punti lungo il canale per i
quali sarebbe da valutare la necessità dell’attraversamento,
ma su tutti sicuramente si impone agli occhi dei cittadini la
necessità dell’attraversamento del canale quando, ormai diventato canale di San
Bartolomeo, si getta in mare nelle acque di Su Siccu. Qui si può quasi dire che
quella necessità percepibile agli occhi di tutti diventa di fatto strategica, perché
l’attraversamento del canale con un ponte è vitale per garantire la continuità del
lungomare nonchè la fine dell’isolamento della comunità dei cittadini di Sant’Elia,
finalmente collegati al centro della città attraverso la passeggiata lungomare e non
per mezzo delle direttrici, prevalentemente carrabili di viale Colombo, viale Diaz,
via della Pineta. D’altra parte l’amministrazione comunale ha già investito ingenti
somme per la realizzazione del lungomare sia sul lato via Roma-viale Colombo,
con la realizzazione della passeggiata a mare davanti agli edifici della Marina
Militare, sia sul lato Sant’Elia, con la bonifica delle aree prospicienti il mare e la
realizzazione già avanzata di quel tratto di lungomare. La impellente necessità di
un collegamento diretto fra queste due estremità del lungomare attraversando il
canale di san Bartolomeo sul suo sbocco a mare appare naturale e forse anche
scontata. La realizzazione di un ponte che in quel punto dialoghi con il contesto del
porto di Su Siccu, del molo di Levante e della marina di Sant’Elia, ma soprattutto
col padiglione Nervi (cioè i vecchi magazzini del sale) e con le architetture che
dovranno essere realizzate per una riqualificazione dell’area, è dunque il tema
principale degli attraversamenti fra le vie dell’acqua e le vie del sale.
Poiché un ponte non è un oggetto che viene calato dall’alto su un contesto a cui si
mostra insensibile, l’atelier “attraversamenti” è strettamente collegato all’ atelier
“le vie dell’acqua e le vie del sale”, sì che i due atelier lavoreranno, come si dice,
a contatto di gomito. La progettazione degli attraversamenti deve infatti avvenire
in stretta collaborazione e sintonia con il progetto urbano dell’area circostante il
canale di Terramaini e con la progettazione di interventi puntuali su specifici edifici
quali, appunto, il padiglione Nervi.
Canale di San Bartolomeo,
sbocco a mare
Bridging
The settlement of the urban system of
Cagliari, as well as of some of the close
villages settled near the basins around
Cagliari, has been highly determined
by the hydraulic system of basins, fish
farms and saltworks. To exploit these
saltworks, roads and channels were
built, the latter still being a barrier
for the roads of Cagliari and for its
expansion. How and where to cross
these channels is therefore a problem
since their construction.
For its size and length, Terramaini
Channel is the main barrier, that could
be crossed only through Ponte Vittorio
until the sixties of the past century.
The expansion of Sant’Elia suburb,
the construction of the most important
sports facilities near Sant’Elia, as well
as the construction of an urban bypass
made it necessary to cross the channel
through new pedestrian and highway
bridges. Nevertheless, Terramaini
Channel (also called San Bartolomeo
Channel in the area where it flows into
the sea in Su Siccu harbour area) is still
the main barrier that does not allow
Sant’Elia citizens to easily reach via
Roma and the city center.
Therefore, the “bridging” atelier,
together with the “salt channels and
waterways” atelier, will identify different
points where crossing the channel is
necessary. Nonetheless, crossing San
Bartolomeo Channel is becoming more
and more necessary just in the point
where it flows into the sea, because
it interrupts the boardwalk along the
seafront aimed not only by all Cagliari
citizens but especially by people living
in Sant’Elia to break their isolation.
Therefore, the main task of the
“bridging” atelier is to design a
pedestrian bridge crossing San
Bartolomeo Channel along the
boardwalk. This task will be carried
out working together with the “salt
channels and waterways” atelier,
whose important task in this area is of
course the reuse design of Nervi’s salt
warehouse.
La Scuola di Architettura dell’Università di Cagliari
amplia la sua offerta nel campo dell’alta formazione,
con l’istituzione della Scuola Estiva Internazionale
di Architettura, una struttura che vuole rispondere
alla domanda diffusa di trasformazione dei territori
attraverso un’esperienza di progetto e ricerca che
coinvolge direttamente giovani progettisti, laureandi
e studenti interessati a confrontarsi, teoricamente e
praticamente, con le principali questioni poste dalla
progettazione architettonica e paesaggistica dei
luoghi. La Scuola si articola in una serie di attività
(laboratori di progettazione, workshop, conferenze
e seminari) tra loro coerenti nelle tematiche e
negli obiettivi formativi e coinvolge direttamente
più università ed esponenti della cultura, dell’arte
e dell’architettura contemporanei, nel tentativo di
favorire un confronto disciplinare tra diversi modi di
lavorare e diverse culture progettuali.