news 478 - 26 gennaio 2014

newsUCIPEM n. 478– 26 gennaio 2014
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ABORTO VOLONTARIO
Il tweet di Francesco ai nascituri.
Chi le culle le riempie.
ABBANDONO
Abbandona il marito infermo: è reato.
ADDEBITO
e obbligo di mantenimento in favore della moglie tradita.
La relazione platonica come causa di addebito della separazione.
ADOTTABILITÀ
Introdotta una nuova nozione di abbandono
ASSEGNO DI MANTENIMENTO Padre divorziato fa carriera? Deve aumentarlo per il figlio.
Il sopravvenuto lascito ereditario comporta un aumento.
Aumentato. Le dichiarazioni dei redditi sono inattendibili.
ASSEGNO DIVORZILE
… e tenore di vita: la Corte Costituzionale rimuova un’aporia.
No all’aumento dell’assegno rispetto a quello di separazione.
C. A. I.
Le adozioni internazionali nel 2013.
CONSULTORI familiari UCIPEM Roma 1 consultorio la famiglia: apertura di un centro di ascolto.
DALLA NAVATA
3° domenica del tempo ordinario - anno A –19 gennaio 2014.
DECADENZA DALLA POTESTÀ Il tribunale ordinario non è mai competente per la pronuncia.
DIRITTI
Carta dei diritti della bambina.
FECONDAZIONE ARTIFICIALE Gli esami sugli embrioni? Non funzionano.
FRANCESCO Vescovo di ROMA
Alla Rota Romana: «Dietro ogni pratica c'è una persona».
Discorso ai partecipanti al congresso del CIF.
MINORE
Il minore conteso non può essere sentito come testimone.
NONNI
Pensiamo al ruolo dei nonni. Luisa e Paolo Benciolini.
Quale diritto dei nonni nel nuovo decreto sulla filiazione.
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NULLITÀ
SEPARAZIONE CONIUGALE
SINODO DEI VESCOVI
TASSE SULLA CASA
UNIONI CIVILI
VIOLENZA
La Cassazione conferma la nullità per riserva mentale.
Sì alla separazione per diversità culturali e caratteriali.
In ascolto delle relazioni d’amore.
Finte separazioni per pagare di meno. Ma attenzione al …
Famiglia e unioni: solidali, ma mai complici di confusioni.
Donazioni alla convivente non si restituiscono.
3 episodi in 3 anni non integrano il reato di maltrattamenti.
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ABORTO VOLONTARIO
Il tweet di Francesco ai nascituri.
“È un dono di Dio”, ha detto papa Francesco di internet, quando offre “maggiori possibilità di
incontro e di solidarietà tra tutti”.
Detto e fatto. Lo stesso giorno in cui è stato presentato il suo messaggio per la giornata della
comunicazione, il papa ha diffuso in inglese e spagnolo, via tweet, le seguenti parole: “Prego per la Marcia
per la Vita a Washington. Che Dio ci aiuti a rispettare sempre la vita, specialmente quella dei più
deboli”.
Al contrario di altri, questo tweet di Francesco non ha avuto risonanza sui media. È ciò che capita
all’attuale papa ogni volta che tocca gli argomenti tabù. L’aborto è uno di questi. Nell’esortazione apostolica
“Evangelii gaudium” vi ha dedicato due paragrafi taglienti, che però nell’entusiasmo dei commenti sono
stati praticamente ignorati, o al massimo ne sono state applaudite soltanto le ultime righe, là dove il Papa
denuncia “che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni
molto dure”.
Parole puntualmente assunte come una critica alla durezza di cuore dei movimenti pro-life nei
confronti delle donne che abortiscono. Quando invece si sa che è tutto l’opposto e che non ci vorrebbe meno
ma più mobilitazione pro-life per rimediare alla denuncia del papa.
La Marcia per la Vita di Washington, che sfila ogni anno nella ricorrenza della sentenza “Roe vs.
Wade” con la quale nel 1973 la corte suprema ha legalizzato negli Stati Uniti l’aborto, proprio a questo era
esplicitamente dedicata, come spiegato sul suo blog dal neopresidente della conferenza episcopale
statunitense, Joseph Edward Kurtz, arcivescovo di Louisville:
“Marciamo in ricordo di chi è caduto per l’aborto. Marciamo per i bambini senza voce, per difendere
il loro diritto alla vita, soprattutto per coloro che, come mio fratello George, sono nati con la sindrome di
Down e le cui vite troppo spesso sono considerate indegne di vedere la luce del giorno. Marciamo per le
donne che avendo preso in considerazione l’aborto, attraverso il nostro interessamento per i loro bisogni,
troveranno la forza di scegliere la vita”.
In più, quest’anno, la Marcia tendeva una mano amorevole alle donne che hanno difficoltà a
diventare madri, incoraggiate a optare per l’adozione.
La temperatura polare ha ridotto questa volta il numero dei partecipanti alla Marcia. Ma negli ultimi
due anni – proprio quelli del braccio di ferro tra la Chiesa cattolica degli Stati Uniti e Barack Obama –
associazioni e gruppi pro-life hanno visto non diminuire ma raddoppiare i loro partecipanti. E nel solo 2013
una settantina di interventi normativi e giudiziari nei vari Stati si sono mossi in difesa della vita dei nascituri.
“Se è vero che l’America ci precede, come sempre si dice, osserviamo bene anche su questo decisivo
fronte”, conclude un editoriale di Francesco Ognibene su “Avvenire” del 24 gennaio 2014.
http://www.mpv.org/mpv/allegati/22675/14012413bi.pdf
Sandro Magister
l’espresso on line
24 gennaio 2014
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it
vedi newsUCIPEM n. 470 – 1 dicembre 2013, pag. 15
http://www.ucipem.it/sito/sito/main.php?id=-1&ex=243&ir=175&it=3
Chi le culle le riempie.
Nel numero in distribuzione di "Sì alla Vita" un ampio rapporto delle attività dei Centri di Aiuto alla
Vita, delle case di Accoglienza e del progetto Gemma
Secondo un pregiudizio diffuso, il Movimento per la vita sarebbe costituito da moralisti che sanno
solo parlare contro. È vero che il popolo per la vita si oppone a politiche che favoriscono aborto, eutanasia,
eugenetica, selezione delle nascite, uteri in affitto… ma la realtà più profonda del Movimento per la Vita e
per la galassia di attività associazioni di cui è riferimento, è l’attività caritativa rivolta in particolare ai
nascituri, alle mamme, alle famiglie.
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Basta leggere Sì alla Vita la rivista che esce ogni mese da trentasei anni per vedere quante buone
notizie provengono dal mondo. Nel numero in distribuzione per esempio tra i tanti articoli di grande interesse
e attualità, c’è un servizio sulle buone notizie per la vita, le donne e la famiglia nell’anno 2013, ed in
particolare c’è un dossier in cui si riporta delle vite salvate, delle mamme e delle famiglie assistite, dai Centri
di Aiuto alla Vita, dalle case di accoglienza e dal progetto Gemma.
Pochi lo sanno, ma ci sono circa 4000 volontari silenziosi dei CAV, che ogni giorno, accolgono,
consolano, assistono, danno coraggio a mamme in difficoltà, e così, trasformano le intenzioni di interruzione
volontaria di gravidanza in nascite che riempiono di gioia e speranza.
Dal rapporto dei Centri di Aiuti alla Vita (CAV) si evince che sono stati 16.224 i bambini salvati nel
2012, per un totale dal 1975, di 155.000 bambini salvati. Si tratta di bambini e bambine il cui destino
sembrava segnato, ed invece….
Sono 35.870 le donne assistite, di cui il 41% incinte. Sono 48 le case di accoglienza, gestite da 34
associazioni locali. E ventimila i bambini nati grazie al progetto Gemma.
Di grande importanza la linea verde S.O.S. Vita (800.813000) a cui tutte le mamme in difficoltà
possono accedere. Un numero di telefono che salva la vita, che ascolta, comprende, accoglie chi chiama,
mettendolo subito in contatto con la rete di assistenza dei CAV.
Antonio Gaspari
zenit.org
19 gennaio 2014
http://www.zenit.org/it/articles/chi-le-culle-le-riempie
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ABBANDONO
Abbandona il marito infermo: è reato.
Corte di Cassazione, quinta Sezione penale, sentenza n. 2149, 17 gennaio 2014.
E' colpevole di abbandono d'incapace la moglie che lascia l'abitazione coniugale in cui viveva con il
marito affetto da malattia degenerativa del sistema nervoso e incapace di provvedere a se stesso.
Ad inchiodare la donna alle proprie responsabilità vi era la denuncia del suocero e le dichiarazioni
testimoniali dei vicini di casa.
La sentenza evidenzia che l'elemento materiale del reato - l'abbandono - è integrato dal lasciare la
persona indifesa esposta al pericolo: ratio della norma è quella di garantire la sicurezza dei soggetti
bisognosi di assistenza. Mentre oggetto giuridico è il pericolo per l'incolumità fisica derivante
dall'inadempimento di un obbligo legale di assistenza, l'elemento materiale (oggettivo) del reato è qualsiasi
azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di custodia e da cui derivi un pericolo anche
potenziale.
Annalisa Gasparre
persona e danno
22 gennaio 2014
sentenza
http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=44370&catid=234&It
emid=486&contentid=0&mese=01&anno=2014
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ADDEBITO
Marito infedele? Addebito nei suoi confronti e obbligo di mantenimento in favore della moglie tradita.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 929, 17 gennaio 2014.
Con la Sentenza in commento la Prima sezione della Cassazione è ritornata a considerare le
dinamiche fattuali connesse alla pronuncia dell’addebito della separazione alla condotta esclusiva di uno dei
coniugi. Il casus belli è costituito dal ricorso presentato in danno di una sentenza della Corte di Appello di
Roma che, in riforma di una prima statuizione del Tribunale di Rieti, aveva considerato rilevante come
elemento costitutivo dell’addebito l’apprendimento di una “relazione extra coniugale” che aveva portato il
“deterioramento” dei rapporti coniugali.
Nel primo grado, il Tribunale di Rieti aveva, al contrario, escluso l’esistenza del “nesso di causalità
tra la violazione dell’obbligo di fedeltà e la crisi coniugale”, pur dando, sin da allora, atto che dalla relazione
extra coniugale del marito, era nata una figlia.
Nella loro diversa valutazione i giudici dell’Appello, avevano riconosciuto come la vita coniugale
era apparsa serena sino al momento dell’apprendimento, da parte della moglie della nascita di un’altra figlia
per il marito, e ciò in quanto proprio da quel momento, anche se successivo nel tempo sia rispetto alla nascita
che all’instaurarsi del rapporto extra coniugale, la circostanza “dell’apprendimento della notizia
dell’adulterio e della nascita della prole” costituiva il punto di caduta della violazione dei doveri connessi
all’art. 143 del codice.
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Tant’è che proprio la considerazione della gravità di questi, da parte della moglie, ha portato
quest’ultima a considerare “insopportabile” la prosecuzione della convivenza matrimoniale, ed è sfociata in
continui litigi ed al successivo allontanamento del marito dalla casa coniugale.
Per la Corte di merito, dunque, il tempo trascorso dall’inizio della relazione coniugale e quello
trascorso dalla nascita della figlia, nata fuori dal matrimonio, non costituiscono affatto “acquiescenza” e o
tolleranza da parte della moglie, tant’è che solo dopo l’apprendimento della notizia, sono iniziati i litigi ed i
dissapori coniugali, che hanno portato alla soluzione della continuità della convivenza coniugale.
Nel confermare il ragionamento della Corte di Appello della Capitale, e nel rigettare, quindi i primi
due motivi del ricorso del marito, la Cassazione ha osservato come “l’attribuzione dell’addebito della
separazione personale al marito, appare ineccepibilmente ricondotta, dalla Corte distrettuale, al suo
antecedente reprensibile contegno, caratterizzato da una relazione extra coniugale, nel cui ambito è nata una
figlia. Tali circostanze erano state a lungo nascoste alla moglie, che ne era venuta a conoscenza tramite il
parroco, soltanto nell’anno 2003”.
Poste queste premesse, la Suprema Corte prosegue: “in proposito va osservato che, secondo il
costante orientamento di questa Corte (costante dal 1982 con la Sentenza SS UU n. 2494, 23 aprile 1982)
http://www.e-glossa.it/wiki/cass._civile,_sez._unite_del_1982_numero_2494_(23$$04$$1982).aspx
la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico
dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella
determinazione della crisi coniugale.”
Di conseguenza, il fatto che i giudici di Appello, avessero tenuto conto della sostanziale modifica
della serenità coniugale, solo dopo l’esser la moglie venuta a sapere della relazione e della nascita della
figlia, costituisce un ragionamento logico, ed in linea con quanto insegnato dalla giurisprudenza della Corte.
Rileva, infatti, la Cassazione: “non può tuttavia sottacersi che il venir meno all’obbligo di fedeltà
coniugale” in modo particolare se questo venir meno, comporta la nascita di una figlia nata, appunto, fuori
dal matrimonio “rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che determinando
normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della
separazione personale dei coniugi, e quindi circostanza sufficiente a giustificare “l’addebito della
separazione al coniuge che ne sia responsabile, sempreché non si constati la mancanza di un nesso tra
l’infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso” di fatti e circostanze che portino il
giudice a rilevare la preesistenza di un contesto di convivenza meramente formale, che in qualche modo
quindi, tolleri la relazione extra coniugale e la nascita di altra prole.
Nel caso sub judice, la Corte d’Appello di Roma aveva invece verificato come la “compromissione
del rapporto coniugale, anche sotto il profilo temporale era dipesa unicamente dalla rivelazione della grave
condotta” posta in essere dal marito.
Dice sul punto la sentenza di Appello: “a causa di tali fatti il rapporto fra i coniugi, che fino a quel
momento, dopo tanti anni di matrimonio, era stato sereno, è entrato gravemente in crisi, essendo scaturiti
litigi alla richiesta di chiarimenti, da parte della moglie, cui anche la nascita della bambina era stata
nascosta”.
Ne consegue che, la ricostruzione del nesso di causalità e l’attribuibilità esclusiva alla condotta del
marito, operate dalla Corte del merito, sono state ricostruzioni in linea con gli insegnamenti della Cassazione
ed hanno rispettato tutti i criteri dell’ermeneutica.
La notizia “conclamata” della relazione del marito e l’apprendimento della nascita di una figlia, nata
fuori dal matrimonio, possono dunque costituire, ove sino ad allora la vita coniugale si sia svolta in maniera
serena, elementi giustificativi, ex se, anche come “unico elemento perturbatore” della serenità coniugale, per
la pronuncia di un addebito esclusivo della colpa della separazione personale, in capo al coniuge che così
gravemente abbia violato il precetto di cui all’art. 143 del Codice Civile.
Giorgio Vaccaro
20 gennaio 2014
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/civile/famiglia/primiPiani/2014/01/i-figli-nati-fuori-dalmatrimonio-sono-condizione-sufficiente-per-l-addebito.html
sentenza in
www.divorzista.org/sentenza.php?id=7252
La relazione platonica come causa di addebito della separazione.
Da recenti sentenze emerge che il concetto di fedeltà ha confini più estesi rispetto alla dimensione
dell’intimità fisica della coppia in una relazione. La trasformazione dei costumi sociali ha fatto sì che, nel
corso del tempo, si evolvesse anche il diritto ed, in particolare, il corpus normativo dedicato alla famiglia e
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con esso mutasse altresì il novero dei comportamenti integranti la violazione dell’obbligo di fedeltà,
enunciato dall’art.143 del codice civile quale primo degli obblighi reciproci scaturenti dal matrimonio.
Pietra miliare nella metamorfosi del diritto in materia di famiglia è stata la pronuncia n. 126/1968,
con cui la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità dei primi due commi dell’art. 559 del codice
penale (che sanzionavano esclusivamente l’infedeltà della moglie, lasciando impunito l’uomo fedifrago) ha
precisato che “il principio che il marito possa violare impunemente l’obbligo della fedeltà coniugale, mentre
la moglie debba essere punita – più o meno severamente – rimonta ai tempi remoti nei quali la donna,
considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di soggezione alla
potestà maritale. Da allora molto è mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua
partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e dell’intera collettività è diventata molto più
intensa, fino a raggiungere piena parità con l’uomo; mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio è
rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di avanzata civiltà sia prevalso il principio della non
ingerenza del legislatore nella delicata materia. Il progressivo modificarsi dei costumi e della morale ha
comportato, quindi, non soltanto l’esigenza di aggiornare l’insieme delle norme di diritto da un punto di vista
formale, puramente redazionale, ma ha reso necessaria la reinterpretazione dei vari istituti così da adeguarli
alla mutevole realtà sociale.”
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html
Nel corso del tempo, è stato dunque rivisitato anche l’obbligo di fedeltà ed, in particolare, sono
mutati i comportamenti che, integrandone la violazione, determinano l’addebitabilità della separazione.
La Cassazione ha definito il dovere di fedeltà come l’obbligo che “consiste nell’impegno, ricadente
su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e
spirituale tra i coniugi che dura quanto dura il matrimonio e non deve essere intesa soltanto come astensione
da relazioni sessuali extraconiugali. La violazione dell’obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in
assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo
sufficiente l’esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i
coniugi ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti. Ciò
può avvenire anche dopo l’insorgere dello stato di separazione non essendo da escludere che questa lasci
sussistere tra i coniugi una (magari limitata) solidarietà, tale da giustificare la permanenza dell’obbligo di
fedeltà” (Corte di Cassazione – prima Sezione I civile - Sentenza n. 9287, 18 settembre 1997).
http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/sentenza.php?num=756
Dunque, oggi la nozione di “fedeltà” è intesa in senso ampio, avendo confini più estesi rispetto alla
mera dimensione dell’intimità fisica della coppia: se, da un lato, non pare ormai possibile negare
l’eventualità della formazione di coppie “libere” o “aperte” – nell’ambito delle quali i coniugi non reputano
l’esclusiva sessuale elemento imprescindibile della stabilità della relazione – tanto da indurre alcuni a
ritenere l’obbligo di fedeltà reciproca parzialmente disponibile a mezzo di accordo tra i coniugi, dall’altro
talvolta la separazione è addebitabile ad uno dei coniugi anche se lo stesso intrattenga con un terzo una
relazione meramente platonica incorrendo nella c.d. “infedeltà apparente”.
Una recente pronuncia della Cassazione ha, infatti, statuito che: “la relazione di un coniuge con
estranei rende addebitabile la separazione, ai sensi dell’art. 151 c.c., non solo quando si sostanzi in un
adulterio ma anche quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui
i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e comporti offesa alla dignità e all’onore
dell’altro coniuge”, escludendo che, nel caso di specie, la condotta della moglie integrasse gli estremi
dell’adulterio in quanto, anche per la distanza tra i rispettivi luoghi di residenza, il legame con il terzo si era
concretizzato solo in contatti telefonici o via internet e non era “connotato da reciproco coinvolgimento
sentimentale” (Corte di Cassazione – prima Sezione I civile - Sentenza n. 8929, 12 aprile 2013.)
http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=9348
Dunque è “infedele” anche il coniuge che, pur non commettendo, di fatto, adulterio, con il suo
comportamento dia l’apparenza di una sistematica violazione del dovere di fedeltà, a patto, ovviamente, che
il sospetto si fondi su elementi oggettivi e non scaturisca da pura immaginazione o patologica gelosia.
A questo punto, è doveroso, però, rimarcare l’importanza che assumono nella valutazione
dell’addebito le modalità con cui è posta in essere la relazione extraconiugale: non ogni “comportamento
infedele” – ampiamente inteso – del coniuge integra, infatti, l’ipotesi del tradimento, ma la violazione degli
obblighi coniugali rileva soltanto se animata dalla consapevolezza e dalla volontà di ledere l’onore ed il
decoro del proprio consorte, al quale, quindi, deve derivare un pregiudizio per la dignità personale oltre che
un’offesa della sensibilità.
Ciò che rileva è, quindi, il comportamento adultero, ostentato senza cautela dal coniuge, che rende
intollerabile la convivenza o comporta un grave pregiudizio all’educazione della prole e non già l’“adulterio”
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perpetrato quando tra i coniugi sia intervenuta una separazione, sia pure, di fatto, ovvero in ipotesi di
convivenza meramente formale essendosi, in tali ipotesi, già esaurita la comunione affettiva e spirituale che
dovrebbe caratterizzare il rapporto coniugale.
In altri termini, affinché la separazione sia addebitabile è assolutamente necessario che l’infedeltà
(reale o apparente, poco importa) sia causa o concausa della crisi coniugale.
Imprescindibile è, dunque, che il giudice non si limiti a valutare i comportamenti del coniuge
fedifrago ma, in base ad un accertamento rigoroso e bilaterale, prenda in esame il rapporto coniugale nella
sua interezza estendendo l’indagine anche alla condotta tenuta dall’altro coniuge.
Assai di recente, la Cassazione ha, in proposito, chiarito che “in tema di separazione personale tra
coniugi, il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all’art.
143 cod. civ., dovendo, per converso, verificare l’effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi
della situazione di intollerabilità della convivenza.
In particolare, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale in tanto può giustificare l’addebito
della separazione al coniuge responsabile, in quanto determini la situazione d’intollerabilità del protrarsi
della convivenza coniugale ma non anche se intervenga dopo che questa situazione sia già maturata e dunque
in un contesto di disgregazione della comunione materiale e spirituale” (Cass. n.27730 dell’11 dicembre
2013).
Iris Spinosa
leggi oggi
22 gennaio 2014
http://www.leggioggi.it/2014/01/22/la-relazione-platonica-come-causa-di-addebito-della-separazione
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ADOTTABILITÀ
Adottabilità del minore: introdotta una nuova nozione di abbandono.
Entrerà in vigore il prossimo venerdì 7 febbraio 2014 l’annunciata riforma della filiazione, che, oltre
a equiparare i figli nati da coppie sposate a quelli nati da coppie di fatto e cancellare la formulazione “figli
naturali dal Codice civile”, introduce una nuova nozione di abbandono.
Il decreto legislativo 154/2013, che ha dato attuazione ai principi stabiliti dalla legge 219/2012,
operativa dal 1° gennaio 2013, fa riferimento, infatti, alla mancata “assistenza morale” dei genitori nei
confronti del figlio.
In altre parole, per pronunciare la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, sarà
necessario d’ora in poi valutare anche l’omesso sostegno psicologico da parte dei genitori. Lo stesso minore,
tuttavia, sarà dichiarato adottabile solo nel caso in cui venga accertato che le regole di assistenza impartite ai
genitori siano state da essi disattese per loro responsabilità, o sia provato in ogni caso che le capacità
genitoriali non sono recuperabili “in un tempo ragionevole”. Tale omissione dei genitori nei confronti del
figlio è tuttavia scusabile solo nel caso in cui dipenda dal grave disagio economico della famiglia.
Un provvedimento, questo, che sembra rispondere all’esigenza di fare maggior chiarezza sulla
situazione di tanti minori in stato di disagio e difficoltà familiare, che pur avendo una famiglia alle spalle,
versano in uno stato di “abbandono psicologico”.
Ai. Bi. 21 gennaio 2014
http://www.aibi.it/ita/category/archivio-news
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Il padre divorziato fa carriera? Deve aumentare il mantenimento in favore del figlio.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 920, 17 gennaio 2014.
Come detto più volte, con la separazione prima e con il divorzio poi, il coniuge che risulta
economicamente più forte (in genere il marito) e' obbligato a corrispondere l'assegno di mantenimento in
favore della moglie (priva di redditi) e dei figli anche se maggiorenni ma non autosufficienti
economicamente.
Può accadere però che, a causa del verificarsi di determinate circostanze, sia in sede di divorzio ma
anche dopo, l'assegno di mantenimento venga ridotto oppure aumentato, il tutto dipende dal cambiamento
della situazione economica del coniuge obbligato (che in genere è il marito).
La regola generale è che i genitori sono tenuti ad adempiere l'obbligo del mantenimento in favore dei figli in
proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Per giurisprudenza consolidata, l'assegno di mantenimento può essere aumentato, nel caso in cui il
soggetto obbligato abbia un tenore di vita più agiato rispetto a quello avuto al momento della determinazione
originaria dell'assegno medesimo.
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E', infatti, di pochi giorni fa una sentenza della Cassazione che ha disposto a carico di un padre divorziato,
che nel frattempo aveva fatto carriera, l'aumento dell'assegno di mantenimento in favore del figlio
adolescente.
La Corte ha giustificato l'aumento prendendo in considerazione la posizione lavorativa del genitore,
che dall'epoca in cui fu dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, era divenuta più
prestigiosa; inoltre, nell'aumento dell'assegno di mantenimento sono state determinanti anche le accresciute
esigenze del minore.
In conclusione, nella determinazione dell'assegno, il cambiamento delle condizioni reddituali e
patrimoniali dei coniugi non passa inosservato.
Quindi, se i redditi del coniuge obbligato sono migliorati può essere chiesto un aumento dell'importo
dell'assegno così da assicurare ai figli lo stesso tenore di vita che avrebbero goduto se la disgregazione del
nucleo familiare non si fosse verificata".
avv. Barbara Pirelli StudioCataldi.it
24 gennaio 2014
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15050.asp
Il sopravvenuto lascito ereditario comporta un aumento dell’assegno di mantenimento.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 932, 17 gennaio 2014.
I beni lasciati in eredità al coniuge onerato dopo la cessazione della convivenza devono essere presi
in considerazione al fine di valutarne la capacità economica, eventualmente dando luogo ad un aumento
dell’assegno divorzile.
A deciderlo sono i giudici della Cassazione che ha respinto il ricorso di un ex marito contro la
decisione di merito che fissava in 400 euro mensili l’assegno di divorzio in favore dell’ex moglie e 400 euro
per ciascuno dei due figli, oltre le spese straordinarie.
Il suddetto importo era stato aumentato a seguito di un consistente lascito ereditario di immobili e
terreni in favore dell’uomo; i giudici di legittimità hanno quindi condiviso il ragionamento in base a cui tale
contributo fosse necessario al fine di garantire alla donna, sprovvista di fonti adeguate di reddito, un tenore di
vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio.
Correttamente quindi i giudici del merito avevano anche addossato al padre le spese straordinarie.
Conclude, infine, la Corte suprema, che i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la
separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale perché intervenuta
dopo la cessazione della convivenza, possono essere presi in considerazione ai fini della valutazione della
capacità economica del coniuge onerato.
Lucia Nacciarone
diritto.it
21 gennaio /2014
http://www.diritto.it/docs/5090240-il-sopravvenuto-lascito-ereditario-comporta-un-aumento-dellassegno-dimantenimento?ref_id=54630&ref_key=d0fe160c67facc32518b31dc2f6ed7f7&source=1&tipo=news
Le dichiarazioni dei redditi sono inattendibili e l’assegno deve essere aumentato.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1276, 22 gennaio 2014.
Lui è ortopedico e dentista. Attività di dentista celata, quindi le dichiarazioni dei redditi sono
inattendibili e l’assegno di mantenimento da versare a figlie ed ex moglie viene aumentato. 1000 Euro di
mantenimento per figlie e moglie.
Studio legale Sugamele - 25 gennaio 2014
sentenza
http://www.avvocatocivilista.net/sentenza.php?id=7285
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ASSEGNO DIVORZILE
Assegno divorzile e tenore di vita: la Corte Costituzionale rimuova un’aporia.
Tribunale Firenze ordinanza 22 maggio 2013
L'obbligo di assegnare al coniuge economicamente più debole un assegno volto a garantire il
medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio viola il principio costituzionale di ragionevolezza.
Esiste, infatti, una palese contraddizione logica oltre che giuridica - che appare irragionevole, secondo i
canoni della giurisprudenza costituzionale - fra l'istituto del divorzio, che ha come scopo proprio quello della
cessazione del matrimonio e dei suoi effetti, e la disciplina in questione, che, di fatto, proietta oltre
l'orizzonte matrimoniale il «tenore di vita» in costanza di matrimonio quale elemento attributivo e
quantificativo dell'assegno, prolungando all'infinito i vincoli economici derivanti da un fatto (il matrimonio)
7
che non esiste più proprio a seguito del divorzio, senza che vi sia necessariamente una giustificazione
adeguata sotto il profilo della tutela di interessi e diritti costituzionali o garantiti dalla Costituzione.
Il diritto vivente in questione appare quindi irragionevole perché conduce ad esiti palesemente
irrazionali in quanto incompatibili con la stessa ratio legis. Si può aggiungere scopo dell'art. 5 comma VI
della legge n . 898/1970, anche alla luce della sua formulazione letterale, era quello garantire all'assegno
divorzile una finalità assistenziale. Individuare il presupposto dell'assegno post-coniugale nello
sbilanciamento delle situazioni patrimoniali degli ex coniugi e poi quantificarlo nella cifra congrua a
«mantenere il tenore di vita coniugale», tuttavia, non costituisce un «arricchimento» della funzione
assistenziale indicata dalla legge, ma una sua alterazione, che travalica il dato normativo e la stessa
intenzione del legislatore. L'interpretazione prevalsa nel diritto vivente, infatti, non attribuisce più all'assegno
divorzile una funzione dì «assistenza» del coniuge più debole, bensì la garanzia, per quest'ultimo, di
mantenere per tutta la vita un tenore di vita agiato.
Massima a cura di Giuseppe Buffone.
ilcaso.it., Sez. Giurisprudenza, 9935 23 gennaio 2014
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9935.pdf
Divorzio | 23 gennaio 2014
No all’aumento dell’assegno divorzile rispetto a quello di separazione.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1275, 22 gennaio 2014.
Corretto il ragionamento dei giudici di merito. Se è vero che la determinazione dell’assegno divorzile
è indipendente dalle situazioni patrimoniali dei coniugi presenti durante la separazione, è pur vero che il
giudice deve comunque procedere alla verifica delle attuali condizioni economiche delle parti in rapporto al
pregresso tenore di vita coniugale.
Studio legale Sugamele - 25 gennaio 2014
sentenza
http://www.divorzista.org/sentenza.php?id=7284
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Le adozioni internazionali nel 2013.
Nel corso del 2013 la Commissione ha rilasciato l’autorizzazione all’ingresso in Italia per 2.825
bambini provenienti da 56 Paesi, adottati da 2.291 famiglie residenti in Italia.
Rispetto al 2012, si evidenzia dunque un calo pari al 9,1% per quanto riguarda il numero di minori
adottati, al 7,2% per quanto riguarda le coppie adottive.
La flessione registrata nel 2013 risulta minore a quella dell’anno precedente (-22,8% nel 2012) ed è
dovuta principalmente al rallentamento delle attività constatato in Colombia (come già evidenziato nel
2012); in Brasile e in Ucraina.
Andamento favorevole invece è stato registrato in Etiopia, Polonia e Vietnam. Il rapporto statistico
annuale sarà disponibile sul sito della Commissione nel mese di febbraio 2014.
Report sui fascicoli anno 2013 (dati provvisori)
realizzato in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti
Coppie adottanti anno 2013
Le coppie che hanno adottato minori stranieri al 31 dicembre 2013 sono state 2.291, con una media
di 191 coppie al mese (decremento del 7.2% rispetto al 2012 ovvero –178 coppie adottive).
Il maggior numero di coppie adottive, anche nel 2013, risiede in Lombardia (409 coppie, pari al
17.9% del totale), a seguire la Toscana (241 coppie, pari al 10.5% del totale). Seguono le coppie del Lazio
(240 coppie, pari al 10.5% del totale), del Veneto (224 coppie, pari al 9,8% del totale), della Campania (188
coppie, pari all’8.2% del totale), del Piemonte 149 coppie, pari al 6,5% del totale), quindi le coppie
dell’Emilia-Romagna (143 coppie, pari al 6,2% del totale) e quelle della Puglia (135 coppie, pari al 5.9% del
totale.)
Le coppie che hanno adottato nell'anno 2013 conservano le caratteristiche già segnalate
nell’anno 2012 (prevalenza di coniugi con titolo di studio medio-superiore, appartenenti a categorie
lavorative impiegatizie, delle libere professioni e degli insegnanti), con l’accentuazione di alcune tendenze in
atto già negli anni precedenti.
Minori autorizzati all’ingresso in Italia anno 2013.
8
Nel periodo gennaio-dicembre 2013 sono stati autorizzati all’ingresso in Italia 2.825 minori,
provenienti da 56 Paesi. Il dato evidenzia una diminuzione del 9% rispetto al 2012 ovvero –281 minori
autorizzati all’ingresso in Italia a scopo adottivo.
Federazione Russa, Etiopia, Polonia, Brasile, Colombia, sono i 5 maggiori Paesi di origine dei
bambini adottati dalle coppie italiane. La Federazione Russa resta il primo Paese di provenienza, con 730
minori entrati in Italia nel 2013, pari al 25.8 % del totale.
L’Etiopia, con 293 minori (10,4 %) è il secondo Paese di provenienza, seguito dalla Polonia con 202
minori (7.2%), dal Brasile con 187 (6.6%) e dalla Colombia con 179 (6.3%). 4
Nel 2013, i 1.591 minori provenienti da questi cinque Paesi rappresentano circa il 56,4% dei minori
adottati nell’anno dalle coppie italiane.
La Lombardia è la regione dove vanno a risiedere Il maggior numero di minori autorizzati
all’ingresso (488 minori, pari al 17.3% del totale), segue la Toscana (299 minori, pari al 10.6% del totale), il
Lazio (287 minori, pari al 10,2% del totale), la Campania (270 minori, pari al 9.6% del totale), il Veneto
(239 minori, pari all’8,5% del totale), la Puglia (184 minori, pari all’8.5% del totale) e la Sicilia (166minori,
pari al 5.9% del totale).
Questi dati confermano, come nel 2012, la stabilizzazione dell’incremento delle adozioni nelle
regioni meridionali, con il 31,1% del totale dei minori autorizzati all’ingresso nel 2013.
Con riferimento all’età, nel 2013 si è verificata una lieve diminuzione dell’età media dei minori
adottati (5,5 rispetto ai 5,9 anni del 2012). In particolare, nei sopraindicati cinque Paesi di provenienza, l’età
media è: 4,6 anni per quelli provenienti dalla Federazione Russa, 2,3 anni per l’Etiopia, 7.7 anni per la
Polonia, 7,9 anni per il Brasile e 6,5 anni per la Colombia.
Comunicato con allegato e statistiche
22 gennaio 2014
http://www.commissioneadozioni.it/IT.aspx?DefaultLanguage=IT
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Roma 1 - Consultorio La Famiglia: apertura di un centro di ascolto a Trastevere.
Si è aperto un altro nostro centro di ascolto, sede collegata o "figlia" della principale a via della
Pigna 13\a.
Il Centro di Ascolto Progetto PERSONA, Per essere relazione si trova nel cuore di Trastevere, a
San Francesco a Ripa.
Il centro offre servizio di Consulenza Familiare e di Mediazione familiare i giorni martedì, mercoledì
e giovedì nella fascia oraria 17.30-20.
I nostri operatori offrono consulenze in italiano, inglese e francese.
http://www.centrolafamiglia.org/index.php?option=com_content&view=article&id=86:apertura-delcentro-di-ascolto-a-trastevere-s-francesco-aripa&catid=7:news&Itemid=101http://www.centrolafamiglia.org
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DALLA NAVATA
Isaia
Salmo
1 Corinzi
Matteo
3° domenica del tempo ordinario - anno A –19 gennaio 2014.
08, 09 «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia».
26, 14 «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore».
01, 10 «Vi esorto, fratelli … a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano
divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire».
04, 17 «Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire”Convertitevi, perché il regno dei
cieli è vicino”».
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DECADENZA DALLA POTESTÀ
Il tribunale ordinario non è mai competente per la pronuncia di decadenza ex art. 330 c.c.
Tribunale di Milano, sezione IX, sentenza 11 dicembre 2013.
La Legge 219/2012 – riscrivendo l’art. 38 cit. – ha istituito, in capo al Tribunale ordinario, una
competenza cd. per attrazione nel senso di ricondurre al giudice ordinario la cognizione anche dei profili
inerenti alla limitazione della responsabilità genitoriale, che in via generale sono attribuiti alla competenza
del Tribunale minorile, in presenza di una precedente pendenza di un procedimento c.d. ordinario.
In altri termini, anche il Tribunale Ordinario può applicare l’art. 333 c.c. se è pendente un
procedimento di separazione o divorzio. La novella legislativa, sul punto, non ha portata innovativa:
9
recepisce e conferma una lettura dell’art. 333 c.c. che si era già affermata nella giurisprudenza di Cassazione.
Ciò vuol dire che, sia prima della legge 219/2012 sia certamente ora, il giudice ordinario può emettere le
statuizioni ex art. 333 c.c.
La Legge 219/2012 ha ampliato le competenze del giudice ordinario solo con riguardo alle
limitazioni ex art. 333 c.c. lasciando immutata l’esclusiva competenza del T. M. per le pronunce ex art. 330
c.c.; pronunce che il tribunale ordinario non potrebbe dunque emettere nemmeno se pendente un giudizio di
separazione o divorzio. Quanto è confermato dallo sfoglio dei lavori parlamentari, dalla lettera dell’attuale
art. 38 disp. att. c.c., e da un approccio sistematico alla questione che vede, al centro dell’azione ex art. 330
c.c., il pubblico ministero minorile, organo estraneo all’apparato giudiziario del tribunale ordinario.
Giuseppe Buffone
Il Caso.it, Sezione Giurisprudenza, 9865 08 gennaio 2014
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9865.pdf
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DIRITTI
Carta dei diritti della bambina.
In occasione del ventennio della Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia approvata a New
York il 20 novembre 1989 è bene rileggere un testo dimenticato o del tutto ignorato dai soggetti obbligati,
dalla famiglia alla comunità (art. 1), la "Carta dei diritti della bambina".
La Carta è stata presentata ed approvata al IX Congresso della Federazione Europea BPW (Business
Professional Women) tenutosi a Reykjavik (Islanda) nell'agosto del 1997, organizzato dall'International
Federation of Business and Professional Women (IFBP), ONG che collabora, fra le altre, con l'ONU,
l'UNESCO e l'UNICEF.
Questo documento, "regionale" e non vincolante, è stato elaborato in maniera "embrionale" con
l'intento di volgere al femminile i principali diritti sanciti nella Convenzione Internazionale del 1989,
soprattutto per dare seguito agli impegni assunti a conclusione della Quarta Conferenza Mondiale sulle
donne organizzata dalle Nazioni Unite nel settembre del 1995 a Pechino.
Seppure con un esiguo articolato (solo nove articoli), la Carta ha una sua portata innovativa, infatti,
si distingue dalla Convenzione di New York sotto vari aspetti a cominciare dall'enunciato iniziale, incisivo e
diretto "Ogni bambina che cresce in Europa deve avere il diritto di aspettarsi" (mentre nella suddetta
Convenzione bisogna arrivare all'art. 6 per leggervi "ogni fanciullo ha un diritto")e dall'art.1 "Essere trattata
con rispetto e giustizia dalla famiglia, dalle istituzioni educative e formative, dai datori di lavoro, dai servizi
sanitari e dalla comunità". Interessante nell'art. 1 l'escalation dei soggetti obbligati che richiama alla mente le
tappe della cosiddetta presa in carico di persone in difficoltà (detenuti, disabili, anziani, donne che hanno
subito violenza).
Per presa in carico s'intende l'assunzione di responsabilità nei confronti di una persona che ha
bisogno di una risposta in termini di trattamento. Ebbene nei confronti della bambina (ma dovrebbe essere
così per ogni bambino) è doveroso che quest'assunzione di responsabilità e la risposta ai suoi bisogni
avvengano sin dall'inizio della sua vita e da parte di tutti e non solo in caso di difficoltà in età adulta e da
parte solo di alcuni, per esempio a livello istituzionale.
Apprezzabile nel primo articolo il richiamo alla comunità, perché se si vuole permettere ad una
bambina di "diventare una cittadina a tutti gli effetti" (art. 5 Carta) alla quale si richiede, da adulta, una
cittadinanza attiva, responsabile o solidale, anche nella prospettiva europea, occorre che dapprima la società
sia accogliente e educante in tal senso.
Oltre all'incipit e al primo articolo sono significativi la nozione onnicomprensiva dell'educazione (tra
cui educazione sessuale, sostegno positivo), il richiamo ai principali soggetti educativi (la famiglia e la
scuola e non soltanto la famiglia come nel Preambolo della Convenzione di New York), il rilievo dato alla
specificità della pubertà (si veda, tra gli altri, il par. 2 della parte seconda delle "Linee di indirizzo nazionali
per la salute mentale" del 20 marzo 2008, che, però, non ha tenuto conto delle peculiarità dei due sessi) e il
riferimento alla sfera emotiva (sempre più considerata nel mondo giuridico).
Rilevante pure l'enunciato dell'art. 3 "giusta condivisione delle risorse sociali" (a differenza della
Convenzione di New York in cui si prevede di garantire dei diritti "nella più alta misura possibile", art. 6, o
"nella misura del possibile", art. 7), in cui per la seconda volta, dopo l'art. 1, vi è l'appello alla giustizia per
richiamare il valore della giustizia sociale prima di quella giurisdizionale.
A coronamento del testo soggiunge l'articolo di chiusura, l'art. 9 "Non essere bersaglio della
pubblicità che promuove il fumo, l'alcool e altre sostanze dannose", più mirato rispetto all'art. 17 lett. e della
Convenzione del 1989 ("promuovere l'elaborazione di appropriati principi direttivi destinati a tutelare il
fanciullo contro l'informazione ed i programmi che nuocciano al suo benessere"). Purtroppo quest'ultimo
10
articolo è uno dei più disattesi soprattutto se si intendono in maniera estensiva sia "pubblicità" sia "altre
sostanze dannose", per cui le bambine sono le prime destinatarie di messaggi sbagliati quali l'eccessiva cura
dell'immagine, della linea, dell'apparente perfezione tanto che si sta verificando l'abbassamento dell'età in cui
compaiono problemi di anoressia o il fenomeno di ragazze che chiedono l'intervento di mastoplastica
additiva come regalo per il compimento dei diciotto anni.
L'aspetto più menzionato è la salute, perché la tutela della salute di tutti, ma in particolare di quella
femminile sin dalla tenera età (essendo alcuni stati fisici e alcune patologie solo femminili), costituisce un
impegno di valenza strategica dei sistemi socio-sanitari per il riflesso che gli interventi di promozione della
salute, dalla prevenzione alla riabilitazione, hanno sulla qualità del benessere psico-fisico nella popolazione
generale attuale e futura (si pensi, per esempio, ai costi sociali dell'osteoporosi e quindi alla necessità di
un'adeguata alimentazione e di un corretto stile di vita sin dall'età infantile).
In alcune traduzioni della Carta colpiscono taluni aggettivi considerando che sono riferiti ad un
soggetto in età minore: protezione assoluta, giusta condivisione, pieni diritti, vera cittadina, maternità
responsabile. Eloquenti pure i riferimenti a comunità (art. 1), risorse sociali (art. 3), organismi sociali (art. 4),
perché è proprio nella relazione con gli altri, nella socialità che l'individuo asessuato diviene persona con una
propria dignità ed una propria identità, sessuale e non. A tale proposito la disaggregazione per età e genere,
indice di rispetto di ogni singola persona, richiesta dall'art. 8 solo nei dati delle statistiche ufficiali, si sta
sempre più affermando negli atti internazionali e comincia a comparire anche nella nostra legislazione, per
esempio nella normativa scolastica in cui si distingue tra bambini e bambine e tra bambini e adolescenti.
A livello regionale una delle regioni più impegnate a promuovere la Carta è la Regione Toscana,
mentre a livello statale si avverte la sensibilità verso le bambine in alcune iniziative e in qualche legge. Per
tutte è da ricordare la legge 9 gennaio 2006 n. 7 "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle
pratiche di mutilazione genitale femminile" ed il successivo "Progetto Aurora MGF io no", una campagna
nazionale che, tra le varie attività, organizza percorsi di consapevolezza indirizzati a uomini e donne.
Efficace è l'espressione "percorsi di consapevolezza", perché considerando il significato etimologico
di consapevole (dal latino cum e sapere, "chi insieme ad altri ha contezza di qualcosa", "chi ha piena
cognizione della cosa in discorso"), si può dire che se si vuole giungere al pieno riconoscimento dei diritti
delle bambine e delle donne occorre che sin dall'infanzia si sia consapevoli della differenza e della bellezza
della differenza (perché è questa che dà origine e sapore alla vita) per poterla affermare senza doverla
rivendicare.
Margherita Marzario StudioCataldi.it
17 gennaio 2014
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15005.asp
la carta
http://www.onde.net/caribambini/carta_bambine.html
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FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Gli esami sugli embrioni? Non funzionano.
Sempre più intrecciate, procreazione medicalmente assistita (Pma) e genetica umana, con tanti dubbi
e perplessità. Ne hanno scritto 22 esperti di settore in una recente pubblicazione sull’European Journal of
Human Genetics: «Questioni aperte di procreazione medicalmente assistita e genetica in Europa: ricerca,
pratica clinica, etica, questioni giuridiche e politiche». Se è fortissima la pressione per selezionare l’embrione
geneticamente "migliore" da trasferire in utero nella Pma, sono gli stessi autori a sottolineare quanto ancora
queste tecniche siano poco risolutive rispetto alle aspettative suscitate. Innanzitutto, è fondamentale la
consulenza degli specialisti per scegliere fra i tanti test disponibili quelli efficaci e adeguati alle singole
situazioni, e poi per essere in grado di leggerne correttamente i risultati. Il tutto con i limiti delle tecniche di
Pma, di cui è necessario essere consapevoli.
Gli autori sottolineano la necessità di informare sui rischi della Pma sia rispetto agli aspiranti genitori
che per il nascituro, e soprattutto «gli attuali limiti scientifici e le incertezze che ancora esistono attorno a
queste tecniche, e agli esiti immediati, a medio e lungo termine». Viene osservato che nella Pma e nella
genetica correlata molte novità vengono trasferite velocemente in fase clinica, quando invece sarebbe
necessario effettuare «ricerche di base, test clinici, studi di efficacia e sicurezza prima che nuove pratiche
cliniche divengano routine. Dovrebbe essere obbligatorio il follow up di bambini nati con le nuove
procedure». Tra l’altro, poiché i nati più "vecchi" da Pma hanno adesso 35 anni, e ne hanno solo 20 i primi
nati con la tecnica Icsi (cioè con l’iniezione di uno spermatozoo da parte dell’operatore in laboratorio
all’interno dell’ovocita da fecondare), non se ne conoscono ancora le eventuali conseguenze in età adulta, e
si ignorano anche effetti transgenerazionali, quelli verificabili solo dopo il passaggio di diverse generazioni.
11
Interessante poi, fra i tanti aspetti esaminati dagli autori, il bilancio che si traccia per alcune tipologie
di analisi preimpianto degli embrioni: Pgd e Pgs. La Pgd (Diagnosi genetica preimpianto) è usata per
individuare una precisa patologia negli embrioni formati, e scartare quelli che ne sono portatori. La Pgs
(Screening genetico preimpianto) invece è un’analisi meno mirata della precedente: individua la presenza
di cromosomi anormali negli embrioni. Detta così, sembrerebbe la panacea per tutti i mali, tralasciando il
"dettaglio" della soppressione degli embrioni malati e della scelta tutta eugenetica di quelli "sani", o
comunque dei "migliori". Ma l’articolo illustra bene i limiti di queste tecniche. Per entrambe è necessario un
prelievo di cellule dall’embrione per studiarne il Dna.
Non c’è molto tempo: l’embrione va trasferito entro tre-cinque giorni dalla sua formazione. Uno
stadio molto iniziale, complicato dal fenomeno del "mosaicismo": non tutte le cellule che lo compongono
hanno lo stesso Dna. Gli esperti spiegano che «nel 50% o più dei casi gli embrioni preimpianto mostrano
almeno due linee cellulari diverse. Quindi la cellula di cui si effettua la biopsia potrebbe non essere
rappresentativa dell’embrione esaminato». È un rischio più elevato se l’analisi viene fatta allo stadio in cui
l’embrione ha 7-8 cellule (terzo giorno, quando se ne prelevano una-due), e meno se invece viene fatto
successivamente, allo stadio della blastocisti, e si possono prelevare più cellule: il problema in questo caso è
che solo la metà degli embrioni formati riesce a raggiungere in coltura questo livello di sviluppo. Si cerca
allora di congelarli, soprattutto mediante la tecnica della vitrificazione, per potere avere più tempo per le
analisi.
Quindi l’embrione formato in laboratorio mentre è in coltura subisce una biopsia a tre o cinque
giorni di vita, per sicurezza dovrebbe essere vitrificato e poi eventualmente scongelato dopo che le analisi
hanno permesso di individuare quello "migliore", e a questo punto essere trasferito in utero. Ma non basta.
Siccome le analisi delle singole cellule «non forniscono informazioni sulla costituzione genomica delle altre,
né sul potenziale di sviluppo dell’embrione», nell’eventualità di una gravidanza saranno necessarie
comunque ulteriori indagini per verificare che effettivamente siano stati scelti gli embrioni "giusti", e quindi
si consigliano l’amniocentesi o la villocentesi, in attesa di procedure meno invasive e pericolose. E
comunque si precisa che, al momento, i dati disponibili mostrano che la Pgs, il cui uso si è esteso negli ultimi
anni, «ha significativamente abbassato il tasso dei nati vivi dopo Pma per donne con un’età materna elevata»:
dal 26% dopo procreazione medicalmente assistita senza Pgs, a un tasso del 13-23% con Pgs.
Dati assolutamente nuovi e rivoluzionari, che devono far riflettere. Anche perché anche sul divieto di
diagnosi preimpianto contenuto nella legge 40\2004 sarà chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale l’8
aprile 2014. Un giudizio che deve essere anche scientificamente informato.
Assuntina Morresi
avvenire
23 gennaio 2014
http://www.scienzaevita.org/rassegne/c6578f8f5f296397f4fa3565eeca5600.PDF
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Alla Rota Romana: «Dietro ogni pratica c'è una persona».
Il Papa ha ricevuto in udienza i membri del Tribunale sottolineato che il giudice ecclesiastico non
deve praticare una giustizia legalistica e astratta, ma deve sempre guardare alla persona che attende giustizia.
Il ministero dei giudici della Rota offre «un competente contributo per affrontare le tematiche
pastorali emergenti», si tratta di una «vera diaconia», «un vero servizio al popolo di Dio» in vista della
«piena comunione tra i singoli fedeli». Lo ha detto Papa Francesco, nella mattinata del 24 gennaio 2014,
durante l’udienza concessa ai membri del Tribunale della Rota Romana. «Non c’è contrapposizione tra la
dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale» ha detto Francesco.
Quindi, il Papa ha tracciato un profilo ideale del giudice ecclesiastico, partendo dall’aspetto umano.
Dimensione, ha spiegato, che si «esprime nella serenità di giudizio e nel distacco da vedute personali»: «Fa
parte anche della maturità umana la capacità di calarsi nella mentalità e nelle legittime aspirazioni della
comunità in cui si svolge il servizio. Così egli si farà interprete di quell’animus communitatis che
caratterizza la porzione di Popolo di Dio destinataria del suo operato e potrà praticare una giustizia non
legalistica e astratta, ma adatta alle esigenze della realtà concreta».
Non ci si può accontentare, quindi, di una «conoscenza superficiale della realtà delle persone che
attendono il suo giudizio”, ma il giudice “avvertirà la necessità di entrare in profondità nella situazione delle
parti in causa». Per quanto riguarda l’aspetto giudiziario, poi: «Oltre ai requisiti di dottrina giuridica e
teologica, nell’esercizio del suo ministero il giudice si caratterizza per la perizia nel diritto, l’obiettività di
giudizio e l’equità, giudicando con imperturbabile e imparziale equidistanza. Inoltre nella sua attività è
guidato dall’intento di tutelare la verità, nel rispetto della legge, senza tralasciare la delicatezza e umanità
proprie del pastore di anime».
12
Non dimenticare, infine l’aspetto pastorale: «In quanto espressione della sollecitudine pastorale del
Papa e dei vescovi al giudice è richiesta non soltanto provata competenza, ma anche genuino spirito di
servizio». Il giudice della Rota, ha soggiunto, è chiamato ad imitare il Buon Pastore «che si prende cura della
pecorella ferita, animato dalla carità pastorale: Siete essenzialmente pastori. Mentre svolgete il lavoro
giudiziario, non dimenticate che siete pastori! Dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono
persone che attendono giustizia».
R. S.
Roma sette
24 gennaio 2014
http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=11931
il testo integrale in
http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2014/january/documents/papafrancesco_20140124_rota-romana_it.html
Discorso ai partecipanti al congresso del Centro Italiano Femminile
estratti
passim
(…)
Infatti, nell’arco di questi ultimi decenni, accanto ad altre trasformazioni culturali e sociali, anche
l’identità e il ruolo della donna, nella famiglia, nella società e nella Chiesa, hanno conosciuto mutamenti
notevoli, e in genere la partecipazione e la responsabilità delle donne è andata crescendo.
In questo processo è stato ed è importante anche il discernimento da parte del Magistero dei Papi. In
modo speciale va menzionata la Lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, del beato Giovanni Paolo
II, sulla dignità e vocazione della donna, documento che, in linea con l’insegnamento del Vaticano II, ha
riconosciuto la forza morale della donna, la sua forza spirituale (cfr n. 30); e ricordiamo anche il Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace del 1995 sul tema “La donna: educatrice di pace”.
Ho ricordato l’indispensabile apporto della donna nella società, in particolare con la sua sensibilità e
intuizione verso l’altro, il debole e l’indifeso; mi sono rallegrato nel vedere molte donne condividere alcune
responsabilità pastorali con i sacerdoti nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, come nella
riflessione teologica; ed ho auspicato che si allarghino gli spazi per una presenza femminile più capillare ed
incisiva nella Chiesa (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 103).
Questi nuovi spazi e responsabilità che si sono aperti, e che auspico vivamente possano ulteriormente
espandersi alla presenza e all’attività delle donne, tanto nell’ambito ecclesiale quanto in quello civile e delle
professioni, non possono far dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia. Le doti di
delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano non solo una
genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma una realtà
senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile. E questo è importante. Senza questi atteggiamenti,
senza queste doti della donna, la vocazione umana non può essere realizzata.
Se nel mondo del lavoro e nella sfera pubblica è importante l’apporto più incisivo del genio femminile, tale
apporto rimane imprescindibile nell’ambito della famiglia, che per noi cristiani non è semplicemente un
luogo privato, ma quella “Chiesa domestica”, la cui salute e prosperità è condizione per la salute e prosperità
della Chiesa e della società stessa. Pensiamo alla Madonna: la Madonna nella Chiesa crea qualcosa che non
possono creare i preti, i vescovi e i Papi. E’ lei l’autentico genio femminile. E pensiamo alla Madonna nelle
famiglie. A cosa fa la Madonna in una famiglia. La presenza della donna nell’ambito domestico si rivela
quanto mai necessaria, dunque, per la trasmissione alle generazioni future di solidi principi morali e per la
stessa trasmissione della fede.
A questo punto viene spontaneo chiedersi: come è possibile crescere nella presenza efficace in tanti
ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro e nei luoghi dove vengono adottate le decisioni più
importanti, e al tempo stesso mantenere una presenza e un’attenzione preferenziale e del tutto speciale nella e
per la famiglia? E qui è il campo del discernimento che, oltre alla riflessione sulla realtà della donna nella
società, presuppone la preghiera assidua e perseverante.
E’ nel dialogo con Dio, illuminato dalla sua Parola, irrigato dalla grazia dei Sacramenti, che la donna
cristiana cerca sempre nuovamente di rispondere alla chiamata del Signore, nel concreto della sua
condizione. Una preghiera, questa, sempre sostenuta dalla presenza materna di Maria. Lei, che ha custodito il
suo Figlio divino, che ha propiziato il suo primo miracolo alle nozze di Cana, che era presente sul Calvario
ed alla Pentecoste, vi indichi la strada da percorrere per approfondire il significato e il ruolo della donna nella
società e per essere pienamente fedeli al Signore Gesù Cristo e alla vostra missione nel mondo. Grazie!
Sala Clementina
sabato, 24 gennaio 2014
il testo integrale in
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http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2014/january/documents/papafrancesco_20140125_centro-italiano-femminile_it.html
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MINORE
Il minore conteso non può essere sentito come testimone.
Tribunale di . Milano, sezione IX, ordinanza 11 dicembre 2013
Gli artt.155-sexies e 315-bis c.c., nel caso di processo che abbia ad oggetto diritti del minore,
prevedono che lo stesso debba essere “ascoltato” e non “interrogato”. In altri termini, il fanciullo deve essere
sentito nel procedimento senza assumere la veste di testimone. Che il minore debba essere sentito e non
interrogato – quando il processo ha ad oggetto suoi diritti – discende, invero, dalla nuova lettura
interpretativa che la giurisprudenza ha offerto, in tempi recenti, del ruolo del fanciullo nel processo conteso
che, ormai, è qualificato come «parte sostanziale».
Se il minore è, ormai, soggetto di Diritti e non più oggetto di diritto e se soprattutto è ormai parte
sostanziale del processo, ne consegue che questi non può assumere la veste di teste nel procedimento che,
come nel caso di specie, avendo ad oggetto il suo mantenimento, lo riguarda direttamente. In queste
procedure, il minore potrà essere ascoltato ma non interrogato. Alla luce delle considerazioni espresse, nel
procedimento in cui i minori siano parti in senso sostanziale, le norme di cui agli artt. 155-sexies e 315-bis
c.c. si pongono in rapporto di deroga e specialità rispetto alle previsioni di cui agli artt. 244 e ss c.p.c. e,
dunque, il fanciullo può essere ascoltato come parte ma non interrogato come testimone.
La testimonianza, in forma scritta, può essere concordata dai litiganti anche in momento successivo a
quello di ammissione delle prove dove l’esigenza e opportunità delle dichiarazioni scritte emergano in
conseguenza di sopravvenienze processuali. E’ solo necessario che il teste da escutere e i capitoli da proporre
al testimone siano stati ritualmente ammessi al processo, nell’ordinanza ex art. 183 comma VII c.p.c., nel
rispetto delle preclusioni processuali.
Giuseppe Buffone
Il Caso.it, Sezione Giurisprudenza, 9891 – 15 gennaio 2014
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9891.pdf
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NONNI
Pensiamo al ruolo dei nonni
Pensiamo al ruolo dei nonni. È la prima volta nella nostra struttura sociale che, nella relazione tra più
generazioni, la loro presenza assume un ruolo così importante e, al tempo stesso, variegato. Certamente con
grandi potenzialità positive, che vanno “ascoltate” e valorizzate: a partire dalla possibilità di trasmettere ai
nipoti valori ed affetti che non sono quelli propri dei genitori. L’attenzione riconoscente della coppia
coniugale verso i propri genitori è chiamata a rispettare e favorire questi contributi alla crescita dei loro figli,
contributi che certamente possono integrare, anche secondo le diverse modalità di relazione affettiva, il loro
compito educativo.
I nonni di oggi hanno vissuto stagioni straordinarie della vita della comunità civile e politica (basti
pensare alla formazione della Costituzione repubblicana) ed ecclesiale (il Concilio) ed hanno quindi la
responsabilità di testimoniarle alle generazioni successive. La conoscenza e la formazione ai valori della
democrazia dovrebbero passare anche attraverso queste relazioni all’interno delle famiglie. Inoltre una buona
relazione con la famiglia d’origine come pure la frequentazione con altri gruppi parentali aiuta la coppia ad
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evitare di chiudersi nell’isolamento e ad aprirsi ad altre realtà ed esperienze, nel rispetto delle rispettive
esigenze e sensibilità.
Luisa e Paolo Benciolini. In ascolto delle relazioni d’amore in “Coscienza” n.3-4\2013 pag. 8
http://www.meic.net/allegati/files/2013/09/25823.pdf
Quale diritto dei nonni nel nuovo decreto sulla filiazione.
Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (in G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014 - in vigore dal 7
febbraio 2014) - Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2
della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
http://www.lexitalia.it/leggi/2013-154.htm
Il legislatore italiano stenta a mantenere il passo con i tempi che hanno cambiato la vita di relazioni
nella società. Prevalgono interessi di gruppi o di clientela politica o peggio ancora interessi di casta curati e
gestiti dai soliti galoppini, pronti ad aggiungere o togliere una parola, spostare la virgola o il punto e virgola
nel momento in cui viene formulata la norma. Tanto basta a cambiare il senso della frase e a scaricare la
responsabilità attuativa sugli operatori del diritto, costretti a discutere sull’interpretazione autentica,
restrittiva o estensiva.
Mentre il medico studia, l’ammalato muore e la famiglia irreversibilmente sta attraversando questa
fase Il Decreto legislativo 154 di fine anno 2013, in attuazione della delega parlamentare sulla filiazione, che
entrerà in vigore il 7 febbraio 2014 prossimo, ha messo la parola fine sulla diatriba dei diritti dei minori e sui
conflitti di coppia. La legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso, mai attuato, è stata svuotata di
contenuto e messa da parte con un colpo di mano di fine anno.
Il legislatore, dopo l’introduzione del reato di femminicidio, colto in piena estate, il 14 agosto 2013,
quando tutti erano al mare, ne ha fatto un’altro a fine anno, mentre gli italiani brindavano per l’arrivo del
nuovo. Con la novella normativa è stato restaurato il solo diritto per il genitore collocatario e deciso che
l’altro deve stare “ a cuccia “ e deve solo “pagare “. E’ stato cancellato il conflitto, con opportuni
rimaneggiamenti normativi ed è stato, con sottile garbo, consigliato all’avvocatura di specializzarsi in altre
materie, perché il genitore non collocatario, quasi sempre il padre, non ha più diritti.
Gli avvocati saranno solo di genere femminile, come i magistrati e le procedure saranno una pura e
semplice prassi di rito, del tipo burocratico. Come si dice in gergo è cessata la materia del contendere. Un
cambio di passo richiede una forte presa di posizione, rivoluzionaria, da parte di tutte quelli che hanno a
cuore la difesa dei diritti, mettendo in atto un’azione forte a tempo indeterminato capace di fermare il Paese.
Esaminiamo l’aspetto che la nuova normativa ha riguardato i nonni. Guarda caso, l’attento legislatore ha
prestato più attenzione ad essi che ad uno dei genitori, “fatto fuori “ dal diritto di famiglia. MA vediamo
come e con quali effetti.
La precedente norma, art 155 c.c, intitolata.”provvedimenti riguardo ai figli” parlava del diritto del
figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori… e di conservare
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Al secondo comma
veniva data delega al giudice di disciplinare la materia in sede di separazione, in considerazione delle
situazioni conflittuali.
Una magistratura attenta avrebbe potuto in questa fase adottare prescrizioni e fissare un’idonea
direttiva sanzionatoria, per assicurare l’equilibrio dei rapporti e garantire il superiore interesse del minore,
imponendo il rispetto del valore assoluto del principio della famiglia, anche a quella cosiddetta allargata.
Invece la magistratura minorile è entrata nella guerra di genere col piede armato del bagaglio della cultura
personale, sotto la spinta di stimoli sensitivi di “stampo” femminista. Il disastro è sotto gli occhi di tutti e
continuiamo a pagare milioni di euro per gli errori giudiziari sanzionati dall’Europa. E quelli che sbagliano e
continuano a sbagliare siedono ancora al loro posto, intoccabili e pronti a sbagliare e a fare altri danni
incalcolabili. A fine d’anno, il Governo, abusando della delega conferita con la legge 219/2012, senza aprire
il pacchetto di norme bene confezionato dalla Commissione Bianca, lo approva e lo manda al Presidente
della Repubblica per la firma. Il Gran Vegliardo, garante dei principi costituzionali, il giorno dopo
capodanno, di corsa lo firma.
Che cosa è accaduto per i nonni? E’ accaduto che per questi è stato usato un trattamento di favore
(si fa per dire). Il legislatore ha trattato l’argomento con una norma nuova, l’art 317-bis nel D. Lvo 154 del
28 dicembre 2013, intitolandolo “rapporti con gli ascendenti “. Ma leggiamo il contenuto “Gli ascendenti
hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è
impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore
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affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica
l’articolo 336, secondo comma “.
Prescindiamo dal valore della grammatica e della sintassi, purtroppo con i nuovi innesti culturali ci
siamo abituati anche al nuovo linguaggio. La norma è una presa per i fondelli per tante persone anziane che
pensano di avere vinto la battaglia dopo lunghissime attese nei tribunali di genere.
Che cosa è cambiato? Nella precedente norma, art 155 c.c, il diritto era stato riconosciuto in testa al
minore e sappiamo come è finito. Sono scomparsi nella nuova norma, art.317-bis, i parenti di ciascun ramo
genitoriale. Zii, fratelli, cugini non esistono più. Per il nuovo legislatore esiste solo un genitore, la madre e i
nonni; gli altri devono stare ad assistere alle vicende e fare solo il tifo. Ma c’è di più. Essendo stato
privilegiato il genitore collocatario, i nonni dell’altro ramo, potrebbero subire le conseguenze e quindi
vedersi negati il diritto, dalla magistratura di genere. Così il minore vivrà, senza fastidi, in un solo ambiente
familiare. D’altra parte con la rivoluzione dell’aggiunta del cognome della madre o del suo solo cognome, la
teoria femminista si muove in questa direzione.
Al secondo comma la norma continua. “In caso di impedimento dell’esercizio del diritto, i nonni
possono rivolgersi al giudice del luogo di residenza abituale del minore”. Fatta la legge, trovato l’inganno, è
il motto che corre nelle aule di giustizia e negli studi degli operatori del diritto. Già è accaduto. Il 12 gennaio
di quest’anno 2014, la moglie separata di un mio assistito, ha comunicato di essersi trasferita in una città del
nord, stabilmente per ragioni di lavoro. Secondo il legislatore i nonni, distanti oltre 1.000 chilometri, che non
vedono il bambino già da un anno, per assurde, incivili resistenze della madre del bambino, dovrebbero fare
ricorso al Tribunale dei minori di quella città. Nel frattempo, la signora, appena viene a conoscenza della
notizia, sposta la residenza in un’altra città e lo può fare, per la buona posizione economica, mettendo le
persone anziane a correre da un Tribunale all’altro, fino a stancarle e a farle morire dal dolore. Altre
considerazioni alternative di rimedi, trovano il tempo che trovano e con magistrati che difettano, per i più, di
coraggio. Invece l’equilibrio si poteva salvare, prevedendo la possibilità per i nonni di ricorrere al giudice del
luogo della residenza del ricorrente.
Questa diversa disposizione, avrebbe fatto da deterrente, avrebbe mitigato le questioni e avrebbe
fatto effettivamente il superiore interesse del minore. Da quando è cominciato lo sfaldamento istituzionale e
l’attacco alla Carta Costituzionale si è inserita nella vita pubblica una cultura tesa a sopprimere valori,
principi, diritti generali e interessi collettivi. Con questo imbroglio normativo assisteremo sicuramente al
crescente aumento di crimini e di autodistruzione di genere, con conseguenze che pagheranno solo i minori e
la società e chissà che il dramma “della Bassa Valle d’Aosta” non sia addebitabile a questa stortura.
Gerardo Spira
diritto it
20 gennaio 2014
http://www.diritto.it/docs/58028-quale-diritto-dei-nonni-nel-nuovo-decreto-sullafiliazione?ref_id=54630&ref_key=d0fe160c67facc32518b31dc2f6ed7f7&source=2&tipo=news
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NULLITÀ
La Cassazione conferma la nullità del matrimonio concordatario, per riserva mentale.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1092, 20 gennaio 2014.
Il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il 22 febbraio 2010 dichiara la nullità del
matrimonio perché la moglie non era propensa ad avere figli. Confermata in Cassazione la nullità del
matrimonio pronunciata in ragione di una riserva mentale relativa all’indissolubilità del matrimonio ed
all’esclusione della procreazione, non conosciuta dal coniuge.
Premesso che la sentenza canonica di primo grado riportava una dichiarazione giurata della donna,
secondo la quale la stessa, prima del matrimonio, avrebbe manifestato al M. le proprie riserve, la Corte
ritenne comunque l’irrilevanza di tale circostanza, richiamando l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale
la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per
esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona matrimonii non può trovare ostacolo nell'ordine
pubblico ove detta esclusione sia rimasta nella sfera psichica del suo autore, quando sia il coniuge che
ignorava il vizio del consenso dell'altro coniuge a chiedere la declaratoria di esecutività della sentenza
ecclesiastica da parte della Corte d'appello.
Studio legale Sugamele - 20 gennaio 2014
sentenza
http://www.avvocatocassazionista.it/sentenza.php?id=7253
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SEPARAZIONE CONIUGALE
Si alla separazione per diversità culturali e caratteriali.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1164, 21 gennaio 2014.
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Non è necessaria la sussistenza di una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi,
essendo sufficiente che la condizione di disaffezione e distacco provenga solo da una delle parti.
Basta! Voglio la separazione! Non ti amo più!!! Questo è sicuramente il leitmotiv (motivo
conduttore) ripetuto più volte da uno dei coniugi quando ormai il matrimonio è colato a picco.
Spesso il non amare più il coniuge è legato al fatto che l'altro coniuge si sia innamorato di un'altra
persona. E' vero anche che questi momenti di disorientamento possono passare ma altre volte sono definitivi
al punto che proprio per questo si decide di cambiare vita scegliendo di stare accanto ad un'altra persona.
Altre volte però un matrimonio tende a fallire semplicemente perché i coniugi presentano differenze
caratteriali, culturali, di gusto e di scelte tali da rendere la convivenza intollerabile; quindi, l'insieme di tutti
questi elementi, conditi con una mancanza di comunicazione, portano alla frattura irreversibile del
matrimonio.
Quindi, per poter chiedere la separazione non è necessario che il conflitto relazionale sia attribuibile
ad entrambi i coniugi è sufficiente che il sentimento di insoddisfazione e di disaffezione dipenda da uno
soltanto anche se l'altro, nonostante le evidenti difficoltà comunicative, decida comunque di continuare il
rapporto.
Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione. In buona sostanza un coniuge non è obbligato a
vita a stare con l'altro coniuge quando le differenze caratteriali, culturali, religiose siano tali da rendere la
convivenza intollerabile.
L'amore di un coniuge verso l'altro può spegnersi definitivamente proprio per queste ragioni senza
che vi sia necessariamente l'intromissione sentimentale di un'altra persona; il vivere quotidianamente silenzi
o conflitti dettati dalla mancanza di comunicazione determinano inevitabilmente la "morte" di un
matrimonio.
Ovviamente, al coniuge che decide di separarsi per questi motivi non può essere addebitata la
separazione, quindi, se la decisione viene presa dalla moglie, e la stessa non sia dotata di redditi propri (cioè
non autosufficiente economicamente), ha diritto comunque all'assegno di mantenimento da parte del marito.
avv. Barbara Pirelli
StudioCataldi.it
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15039.asp
Studio legale Sugamele - 26 gennaio 2014
sentenza con estesa motivazione giuridica
http://www.divorzista.org/sentenza.php?id=7299
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SINODO DEI VESCOVI
In ascolto delle relazioni d’amore.
Con questo suggestivo titolo, Luisa e Paolo Benciolini pubblicano sul numero 3-4 del 2013 di
Coscienza, bimestrale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, un saggio sulla coppia e sulla
famiglia con analisi e valutazioni maturate in anni di ricerca e di esperienze condotte dalla redazione
della rivista Matrimonio insieme a don Germano Pattaro.
Ci pare importante riprendere queste riflessioni nei mesi di preparazione del terzo sinodo dei
vescovi che avrà per tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.
Ringraziamo quindi della possibilità che ci offrono di riproporlo ai nostri lettori con qualche
adattamento e articolato nei diversi argomenti.
Il gallo gennaio 2014
http://www.ilgallo46.it/in-ascolto-delle-relazioni-damore-1
Riprendiamo le parole del Concilio e avviciniamole alla vita delle donne e degli uomini di oggi.
estratti
passim
Ci è stato chiesto, dalla redazione di “Coscienza”, di proporre alcuni spunti di riflessione sul tema
della famiglia «a partire dalla vostra esperienza personale e pastorale». Questo contributo non intende,
quindi, situarsi, almeno prevalentemente, nell’ambito di una specifica competenza disciplinare, pur senza
ignorare il ruolo che la nostra personale formazione professionale ha svolto, e svolge tuttora, nei diversi
ambiti in cui tale esperienza si esprime.
Ci presentiamo. Siamo sposati da 50 anni, abbiamo tre figli, tutti sposati, e otto nipoti. La nostra
formazione si è sviluppata, in particolare, nella FUCI degli anni Cinquanta e Sessanta e, successivamente in
quel movimento ecclesiale che oggi è il MEIC.
Insieme abbiamo sempre avuto interesse per i problemi della spiritualità della coppia e fin dai primi
anni della nostra vita coniugale abbiamo fatto esperienza nei gruppi di spiritualità. Quasi a partire dalla stessa
epoca ci siamo impegnati nel lavoro di un consultorio familiare, dove operiamo tuttora. L’attenzione alle
esperienze delle coppie si è concretizzata anche nella partecipazione alla redazione della rivista
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“Matrimonio” e nella collaborazione, a livello diocesano, alle iniziative di formazione delle coppie
impegnate nella pastorale familiare.
in ascolto
«Ascoltare è il grande sacramento del Concilio», ha affermato, con la sua consueta profondità e
freschezza, Rosanna Virgili, così esplicitando il suo pensiero: «Ascoltare la Parola, ascoltare il mondo e
farsi veramente discepoli del mondo e della parola di Dio per seguire vie di felicità, via ragionevoli, sensate,
che diano a tutti gli uomini la possibilità di poter spezzare l’esperienza umana nel mondo». Ritroviamo, in
queste parole, una completa sintonia con le scelte redazionali di Matrimonio che già nel 1990 decideva di
porre come sottotitolo della rivista l’espressione «In ascolto delle relazioni d’amore». Ci è sembrato,
infatti, che la vita di ogni coppia dovesse essere da tutti considerata come un’esperienza da incontrare ed
accogliere nella sua originalità e ricchezza, superando riferimenti a “modelli” talora ancora persistenti in
ambito pastorale. E questo anche per le esperienze al di fuori della forma istituzionale del matrimonio.
Ascoltare il mondo, in particolare le relazioni d’amore – umanamente intrise di «gioie e speranze»
ma anche di fatiche, difficoltà e talora di sofferenze – è appunto l’atteggiamento con cui intendiamo offrire
all’attenzione dei lettori questo contributo, basato dunque su alcune esperienze che, pur nella loro differenza,
hanno in comune scelte di laicità responsabile, talora più specificamente in ambito pastorale ed ecclesiale,
altre invece proprie dell’impegno civile. Fondamentali riteniamo, in tale visione unitaria, due richiami al
messaggio conciliare. Dice la Gaudium et spes (n. 16) che «nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono
agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali che sorgono
tanto nella vita privata che in quella sociale». Il secondo messaggio è l’invito (quasi un “ammonimento”) dei
padri conciliari perché i laici «assumano la propria responsabilità» nell’affrontare questioni nelle quali «i
loro pastori» non sono necessariamente «esperti», in particolare in ordine «ad ogni nuovo problema che
sorge, anche a quelli gravi», per i quali «non possono avere pronta una soluzione concreta» (GS 43).
Sentiamo, dunque, che è compito anche nostro, e proprio perché laici sposati (e quindi in ragione di
un ministero specifico del quale la Chiesa che amiamo non può fare a meno ) impegnarci in una riflessione
meditata che va proposta con responsabile coraggio. (…)
dell’originalità di ciascuna coppia
Intendiamo iniziare questa analisi partendo dalla coppia. Nonostante in ambiente ecclesiale
l’attenzione venga, almeno prevalentemente, rivolta alla famiglia (e così avviene anche per la Settimana
sociale di Torino), è il caso di ricordare che è la coppia ad essere espressione della rivelazione dell’amore di
Dio al mondo, mentre la famiglia ne è il primo destinatario.
Ci soffermiamo a evidenziare le caratteristiche della coppia che vive un progetto di vita condivisa.
Ogni coppia è un originale, fatta da due persone originali: per questo non esistono modelli ripetibili e
adattabili a tutti. (…)
delle esperienze di convivenza
L’esperienza delle iniziative parrocchiali e diocesane, tradizionalmente chiamate “corsi per
fidanzati”, ci pone, ormai da tempo, dinanzi a realtà che non è più possibile ignorare o trascurare. Accade,
con sempre maggior frequenza, che molte, a volte la maggior parte, delle coppie che si presentano
convivono, anche da tempo, alcune hanno già figli. Tra le iniziative del nostro consultorio vi è, da qualche
anno, anche la proposta di incontri in accordo con il Comune di Padova, inizialmente rivolti a chi intende
sposarsi con rito civile, ma che abbiamo ritenuto di dover aprire, senza fare differenze, a “coppie con un
progetto di vita a due”. L’esperienza di questi momenti nei quali si confrontano persone e coppie che hanno
orientato le loro scelte verso opzioni istituzionali diverse (matrimonio civile, matrimonio religioso) o verso la
convivenza (temporanea o permanente) si è rivelata, per tutti i partecipanti, particolarmente ricca e
stimolante con l’assunzione di una maggior consapevolezza e responsabilità personale e coniugale. (…)
Riconoscendo che le circostanze e le motivazioni che inducono a scegliere questa forma di unione
fuori da quelle istituzionali (matrimonio civile o religioso) sono molteplici e tra loro difformi, la nostra
attenzione si è soffermata sull’esperienza delle coppie che vivono la convivenza come un periodo transitorio
verso un matrimonio che è già sullo sfondo delle possibilità future, anche se non ancora definito, e sulle
scelte della convivenza come condizione, almeno in prospettiva, definitiva.
Nel primo caso, la convivenza è scelta dunque perché si consolidi la relazione in una vita quotidiana
e concreta, per raggiungere una sufficiente stabilità lavorativa che consenta di trovare con oculatezza il luogo
in cui vivere e perciò dove investire le proprie risorse economiche nell’acquisto di una casa, dato che oggi
sembra questa la possibilità più vantaggiosa per il benessere della famiglia futura, ma che costituisce un
vincolo a un certo luogo e spesso con le famiglie di origine che aiutano i giovani ad accendere un mutuo nel
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presente e ad offrirsi come nonni accudenti i nipotini un domani. Coppie quindi che si danno e desiderano un
futuro che sfoci in un matrimonio che, in tempi ancora recenti, si celebrava con l’arrivo dei figli.
Sono giovani che sentono di assumersi una responsabilità talora controcorrente nell’ambiente
familiare e di gruppo: ambiente permeato di valori e indicazioni religiose in cui sono cresciuti e formati, in
cui sono inseriti, in cui credono. Consapevoli anche di dare un “dolore” al loro gruppo di appartenenza,
sentono che questo non è solo una moda ma una scelta vitale nel loro farsi coppia, in un contesto sociale e
culturale in cui non ci si rifà più a valori ma si struttura una prassi dentro la quale scorre anche la loro vita
che cercano ugualmente di rendere significativa. Ponendoci anche da un punto di osservazione non
strettamente sociologico, nasce un interrogativo: le convivenze che precedono il matrimonio, visto come
punto di arrivo soprattutto per i credenti, sono esperienze per loro natura negative?
Forse perché scalfiscono l’idea romantica di un amore libero e pieno di promesse che si sarebbero
realizzate, legato dalla nostra nostalgia ad altri tempi idealizzati, ci si dimentica che la tradizione dei ruoli
rigidi e precostituiti, complementari, di soggezione della donna e dei figli all’autorità di uno Stato e di un
padre esigeva un apparente affiatamento di coppia molto unita (appunto “indissolubile” più che fedele) più
sul piano dell’efficienza e della soddisfazione dei bisogni individuali che su quello di un amore fatto di
reciprocità e gratuità.
Il desiderio di costruire un progetto di vita condivisa parte dal fatto “rivoluzionario”
dell’innamoramento e di tutto l’aspetto emozionale e sentimentale che avvicina i due della coppia ma ha
bisogno di verifiche su un piano di realtà che aiutino la coppia a mettere insieme risorse, energie e forze per
realizzare questo obiettivo. Progetto quindi che implica una forte componente razionale.
Che due persone in nome di un amore ancora prevalentemente intuito e perciò idealizzato vogliano
farsi carico e coraggio di confrontarlo nelle piccole e grandi difficoltà del quotidiano, anziché vivere la loro
relazione come eterni adolescenti sempre un po’ disimpegnati, è proprio un fatto negativo?
È meglio che tutto ciò accada dopo il matrimonio o è meglio che sia il matrimonio ad esprimere e
raccogliere in sé questa consapevolezza sperimentata?
Perché altrimenti verrebbe il sospetto che questa decisione così importante nella vita di un uomo e di
una donna serva solo a legittimare l’uso della sessualità. Non è un po’ troppo poco? Sarebbe questo un
Sacramento? E una volta sposati, sarebbe come infilare un abito e tutto scorre liscio?
Ma la sessualità umana è una psicosessualità: ha a che fare con la nostra vita affettiva, con la nostra
razionalità, sensorialità e sensualità. Non è solo fisiologica frizione e fruizione dei corpi. Questo sembra lo
slittamento di tanti pronunciamenti di uomini di Chiesa: guardare più agli aspetti biologici della vita che alla
sua completezza dove tutti gli aspetti vivono integrati. No: la conoscenza di sé e dell’altro, l’accettazione
totale nonostante i nostri limiti esigono un lungo percorso fatto di intuizioni, comprensioni, paure e
delusioni, verifiche che si apprendono non tanto o non solo razionalmente, ma facendo esperienza di vita
comune. E non è percorso uguale per tutti (né tantomeno suggeribile a tutti), a causa della propria storia fatta
di sciabolate di luce e di ferite oscure che ci portiamo dentro.
Ma allora vivere insieme, in coppia, prima del matrimonio, è una colpa? Dove sta il male? Nel fatto
che per imparare a condividere la gioia comune i due si responsabilizzano anche di fronte alle difficoltà e ai
contrattempi del banale quotidiano? La sessualità non può esserci stata donata come un trabocchetto. È parte
costitutiva della nostra vita e ci invita ad un percorso continuo ed evolutivo della nostra personalità.
L’esercizio della sessualità, che è anche conoscenza di sé e del linguaggio amoroso e del proprio
orientamento sessuale, perché attivato prima del matrimonio è solo frutto di egoismo o edonismo?
Tale esercizio non si può sempre improvvisare a 30-40 anni, né può consentire in breve tempo uno
scambio sereno e felice dove apprendiamo la nostra identità di persona e di coppia. Di persona che incontra
la propria identità nel divenire in coppia. Non si ha forse ancora il sospetto che questo piacere abbia in sé
qualcosa di peccaminoso e che perciò debba essere “prudentemente contenuta” la sua espressione perché la
sua carica è un po’ rivoluzionaria e scarsamente controllabile?
E si può ignorare che il rapporto sessuale sta diventando “faticoso” e “non tanto desiderato” anche in
giovani coppie, travolte dai ritmi nevrotici di questa vita tutta proiettata fuori di casa nel lavoro o, addirittura,
alla ricerca angosciante di lavoro, nel compito educativo dei figli, nelle occupazioni domestiche per cui la
sera, e nei momenti di riposo, si crolla di stanchezza e di sonno?
Magari si riuscisse così facilmente a fare all’amore! (…)
Una riflessione estesa anche alle implicanze pastorali e, in particolare, nei casi in cui l’opzione si
prospetta come “definitiva”, porta a constatare che le scelte di convivenza coniugale esprimono, non
raramente, anche la denuncia di un modo scorretto di intervenire della comunità, sia ecclesiastica che civile,
che ha sottratto agli sposi la partecipazione personale e creativa. Non si può allora infierire sui giovani che
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non avvertirebbero più la dimensione sociale del loro amore, ma si devono coraggiosamente censurare la
società e anche la Chiesa per non aver valorizzato e rispettato abbastanza la dignità e la soggettività del
matrimonio. In effetti, chi coltiva il progetto di coppia stenta spesso a rendersi conto del perché
dell’istituzione. La considera più o meno insignificante o oppressiva. Quest’insignificanza non è addebitabile
solo ad una tendenza della mentalità giovanile, ma anche alle stesse istituzioni.
Se vogliamo affrontare lealmente la realtà delle convivenze, dobbiamo cessare di accusare e
incominciare ad accusarci, e soprattutto cercare di individuare strade perché gli sposi diventino soggetto e
siano, in quanto tali, significativamente partecipi alla vita della comunità.
Quello che oggi spaventa di più, nel matrimonio, è che esso obblighi due persone a stare insieme
anche quando l’amore tra loro è finito. In effetti, l’obiezione più forte che si muove al matrimonio religioso,
è la sua pretesa di indissolubilità: il legame dovrebbe durare anche quando non c’è più amore. Fa paura
l’irreversibilità di un eventuale errore. Chi può scommettere infallibilmente sulle proprie scelte? Se una
persona si accorge di essere caduta in errore, o per inesperienza o perché abbagliata dall’innamoramento che
ha annebbiato la vera conoscenza di sé e dell’altro, non può tornare indietro? Non può rifarsi una vita
affettiva?
Un legame così, che non ammette alcun errore o alcuna attenuante, sembra limitare la libertà di fare
in futuro scelte che potrebbero scoprirsi migliori e più confacenti al proprio carattere e ai propri sentimenti. Il
“per sempre” sembra incatenare il futuro di una persona e impedirle di vivere bene le possibilità del presente.
Forse si dovrà annunciare che il “per sempre” non è una legge che incatena e obbliga a stare dentro anche se
l’amore non c’è più, ma è uno spazio, una situazione nella quale l’amore può crescere. «L’amore non è una
cosa da fare in fretta», diceva Anna de Noailles. Il “per sempre” è un progetto di vita. Questa progettualità è
resa difficile proprio dalla carenza di futuro nella cultura giovanile.
In una visione più propriamente di fede, alla domanda “Dov’è Dio nelle convivenze?”, potremmo
rispondere sinteticamente con la splendida frase della Prima lettera di Giovanni, che intreccia fede e
amore: «L’amore è da Dio, quindi chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio». La sintesi che tutto
il Nuovo Testamento fa del volto di Dio, come ce lo ha mostrato Gesù, è che Dio è amore e quindi chi ama
non può non collocarsi dentro la relazione che Dio ha con noi. perché là dove si vive l’amore, c’è una
conoscenza di Dio che è unica. È un’affermazione di enorme libertà, ma anche di enorme responsabilità.
Libertà perché non si tratta di una definizione religiosa di Dio, l’amore è la realtà più “laica” che ci sia.
Ciascun uomo e ciascuna donna può viverla al di là di tutte le Chiese, al di là di tutte le classificazioni, al di
là di tutte le regole. L’amore ha questa dimensione straordinaria, che per fortuna non obbedisce alle nostre
schematizzazioni.
Una Chiesa che si limitasse a mettere etichette sull’amore, dichiarando quale è regolare e quale
irregolare, non sarebbe come Gesù. Egli non è venuto per etichettare, anche quando chiede una conversione
si coinvolge con la persona, si contamina con la realtà, per far capire dal di dentro che può essere fatto un
passaggio ulteriore. Una Chiesa che si preoccupa di dettare regole, non è la Chiesa di Gesù, che si è invece
preoccupato di incontrare le situazioni concrete, perché a tutti fosse possibile una maturazione, un
cambiamento.
È questo che la gente non capisce delle posizioni della chiesa, perché percepisce una Chiesa che dal
di fuori giudica.
…delle relazioni omo-affettive
Da sempre il nostro consultorio è stato aperto alle richieste di consulenza (e terapia) di persone
(uomini e donne) che intendono proporre problemi connessi all’omosessualità, termine al quale sarebbe forse
il caso di sostituire quello di “omoaffettività”, certamente più ampio e adeguato a comprendere un’ampia
gamma di vissuti e interrogativi che non possono essere ridotti al solo esercizio della sessualità. (…)
Abbiamo interamente condiviso l’opinione del teologo Giuseppe Trentin di Padova che «un buon
punto di partenza per affrontare la questione potrebbe essere partire dal concetto di dignità della persona,
come soggetto consapevole, libero e responsabile. L’antropologia personalista, sotto questo profilo, potrebbe
essere la via per superare tanto il pericolo del naturalismo biologico quanto quello, non meno grave, del
riduzionismo culturale. Nella persona natura e cultura sono indissociabili in quanto rappresentano due
dimensioni essenziali della sua identità. Ciò implica, a livello antropologico, il rispetto di alcuni beni
fondamentali, che hanno origine nei dinamismi e nelle inclinazioni della corporeità, e tuttavia tali dinamismi
e inclinazioni acquistano rilevanza morale solo in quanto si riferiscono alla persona e alla sua autentica
realizzazione. I cattolici che all’interno di una società pluralistica intendano dialogare e far valere in sede non
solo teologica, ma anche antropologica ed etica, il proprio punto di vista sull’omosessualità, come su altri
temi “eticamente sensibili”, non hanno, a mio parere, altri punti di riferimento che non siano, da una parte, il
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bene della persona, dall’altra una ricerca etico-normativa metodologicamente corretta che permetta di
individuare tra i diversi beni concreti, spesso in conflitto, quali scegliere e far valere per una sua autentica
valorizzazione e realizzazione.”
Del resto, già in precedenza, ponendosi la domanda “Dov’è Dio nelle convivenze?”, il teologo Dario
Vivian di Vicenza richiamava questa riflessione del cardinale Carlo Maria Martini “Se uno ha una
struttura omosessuale, sarà meglio che viva una realtà di coppia, che possa amare qualcuno” e un recente
intervento del vescovo di Vienna che disponeva il reintegro nel consiglio pastorale di una parrocchia di un
omosessuale convivente con un partner, scrivendo al parroco (che lo aveva escluso, benché eletto dalla
comunità) che, dopo aver invitato a cena la coppia, aveva trovato in quella persona una fede grande. (…)
chiediamo alla nostra Chiesa di porsi in ascolto
(…) Vorremmo che si abbandonasse definitivamente la visione giuridico-canonistica del matrimonio; che il
linguaggio pastorale sostituisse abitualmente il termine “indissolubilità” con quello di “fedeltà”,
accogliendo ed esprimendo una visione dinamica della relazione d’amore, la quale, nella povertà
dell’esperienza umana, tende a realizzarsi giorno per giorno, nella speranza che possa proseguire per la vita
intera; vorremmo, al tempo stesso, che si abbandonasse il riferimento ad una concezione puramente
biologistica, come se invocare la “legge naturale” potesse ignorare il compito affidato dal Creatore all’uomo
e potesse prescindere dall’apporto della sua capacità di “coltivare” le realtà terrene, capacità che nel tempo si
storicizza.
Rileggendo i testi conciliari con la sensibilità di oggi, vorremmo che si meditasse adeguatamente sul
prezioso significato del termine «casta intimità» (GS 49), quando il concetto di “castità” suona al mondo in
termini negativi e di privazione; che si approfondisse quello di «virtù fuori del comune», che sentiamo
ambiguo, nella misura in cui, da un lato, sembrerebbe esigere una particolare e non “comune” “virtù” perché
i coniugi possano «far fede agli impegni di questa vocazione» (GS 49), dall’altro sembrerebbe non
accogliere e considerare con attenzione pastorale le esperienze di fallimento che possono poi aprirsi a nuovi
e più maturi legami d’amore; vorremmo anche comprendere meglio quale significato assuma, per la nostra
sensibilità e spiritualità di oggi, l’affermazione dei padri conciliari che «è Dio stesso l’autore del
matrimonio» (GS 48).
Vorremmo ancora che la vocatività della coppia (LG 11), che si esprime nella vita condivisa
nell’amore, fosse accolta dalla Chiesa come luogo di conversione per assumere la dimensione sponsale.
Luisa e Paolo Benciolini
“ coscienza” n. 3-4\2013
testo integrale con note
http://www.meic.net/allegati/files/2013/09/25823.pdf
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TASSE SULLA CASA
Finte separazioni per pagare di meno. Ma attenzione al redditometro.
L’Italia si sa è il Paese dei furbetti e l’obiettivo principale è quello di pagare meno tasse. Negli ultimi
anni con l’aumento della tassazione sulla casa e la cancellazione dell’Imu sulla prima si è assistito ad un
incremento considerevole di “false separazioni”. Alla ricerca di un alleggerimento fiscale pro-famiglia sono,
infatti, sempre di più i coniugi che dichiarano di vivere in due diverse residenze, considerate come «prima
casa» per ottimizzare il carico tributario.
Per il direttore dell'Agenzia delle Entrate questo nuovo fenomeno “è una patologia di sistema”.
Attilio Befera ha sostenuto che quando c'è una separazione legale il Fisco ha le mani legate. Mentre invece,
in assenza di questo atto, il Comune non dovrebbe attribuire una diversa residenza. «Laddove lo scopriamo ha spiegato - interveniamo. Nel passato era un caso raro, ora sta aumentando per ovvi motivi. È una
patologia fiscale». Le famiglie realizzano così un modello fai-da-te di tassazione in favore della famiglia,
anticipando il «quoziente familiare» del quale si parla molto per l'Irpef ma che poi, per i suoi costi, nessuno è
riuscito a realizzare.
Per il ‘numero uno’ dell'Agenzia delle Entrate è però incomprensibile il comportamento dei Comuni
secondo i quali due coniugi sposati possano avere due diverse abitazioni principali. Questa scelta si
trasforma in un boomerang per le casse comunali, con la riduzione di gettito che sarebbe dovuto arrivare
dalla «seconda casa». Certo, l'uso dell'anagrafe come strumento di pianificazione fiscale non è nuovo. Nel
passato Lef, l'associazione per l'equità e la legalità fiscale che si batte contro l'evasione, ha calcolato che
«finte separazioni» consentono risparmi fino a 5.000 euro, fingendo di pagare il mantenimento.
Ma attenzione: con l'arrivo del nuovo redditometro, potrebbe esserci qualche problema in più. I
coniugi che abitano in due diverse prime case saranno considerati separatamente e quindi l'ammontare del
reddito, diviso in due, potrebbe non essere sufficiente a spiegare il tenore di vita, facendo scattare
l'accertamento.
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finanza utile 23 gennaio 2014
http://www.finanzautile.org/tasse-sulla-casa-finte-separazioni-per-pagare-di-meno-ma-attenzione-alredditometro-20140123.htm
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UNIONI CIVILI
Famiglia e unioni: solidali, ma mai complici di confusioni
Caro direttore, la regolamentazione delle unioni civili di cui tanto si dibatte richiede, perché sia
coerente e giusta, una preventiva distinzione delle situazioni.
Gli omosessuali si attendono di vedere pubblicamente riconosciuta la possibilità di una relazione
improntata alla stabilità affettiva, alla fedeltà, alla convivenza sotto lo stesso tetto, al mutuo aiuto economico,
materiale, fisico e morale. Non può essere assunto, evidentemente, l’impegno reciproco a mettere al mondo
dei figli.
E non è opportuno l’esercizio genitoriale di figli adottivi: anche alla luce di molti studi pedagogici e
psicologici è preferibile una genitorialità (anche adottiva) sessualmente complementare per provare ad
assicurare una crescita armoniosa dei bambini e dei ragazzi.
Resta poi incerta la questione della reversibilità pensionistica, che è stata pensata per la donna che
non lavora perché cresce i figli. Penso comunque ragionevole, come indicato dal mio partito, che si riconosca
per le unioni stabili omosessuali un particolare negozio giuridico, purché distinto dal matrimonio.
Diversa è invece la situazione degli eterosessuali. Domando: che senso ha, in questo caso, un
riconoscimento pubblico di un’unione civile "alla carta" dove si scelga entro il menù dei diritti e dei doveri
reciproci, cioè dove, ad esempio, un convivente è disposto al mutuo aiuto economico, ma non a quello fisico
e morale; a vivere sotto lo stesso tetto, ma non all’obbligo di fedeltà o di educazione della prole?
Di più: un "matrimonio di serie B" finirebbe per rivelarsi attrattivo per quanti preferiscono legami
deboli, purché con un qualche pubblico riconoscimento. Con il risultato, indiretto, di disincentivare a
sposarsi.
Preso atto che i figli nati fuori dal matrimonio oggi sono finalmente detentori di pari diritti, restano
almeno due altre questioni aperte.
1. la difficoltà a risposarsi dovuta ai tempi necessari per il divorzio. Se ci sono figli minorenni penso
comunque opportuno mantenere il tempo di riflessione attualmente previsto, prima dello
scioglimento del matrimonio.
2. i diritti del convivente stabile "debole", prevalentemente la donna. Riconoscere con legge l’impegno
a emanare decreti, che contengano contratti tipo (su materie quali l’abitazione, il contratto d’affitto,
la contribuzione alla vita domestica, il mantenimento in caso di bisogno del convivente, la proprietà
e la comunione o separazione dei beni, un testamento con clausole a favore del convivente,
l’assistenza in caso di malattia) determinerebbe la possibilità di stabilire importanti tutele.
In sintesi, il matrimonio tra un uomo e una donna va tutelato e promosso anche evitando confusioni con
altre situazioni. Per le unioni civili omosessuali è ragionevole un nuovo negozio giuridico, diverso dal
matrimonio, senza la possibilità di adozione. Per le unioni civili eterosessuali basta, eventualmente, una
legge che rimandi alla definizione di contratti tipo e di scritture private siglate davanti a un notaio, senza
necessità di registri o di altri riconoscimenti pubblici.
Stefano Lepri, Vicepresidente Pd al Senato
La sua analisi e le sue proposte, caro senatore Lepri, hanno il pregio della concisione e della
chiarezza. Ne apprezzo lo spirito e, soprattutto, la preoccupazione di distinguere bene le novazioni normative
possibili in tema di "convivenza" dalle regole e dalle prerogative proprie dell’istituto matrimoniale così come
anche la nostra Costituzione lo definisce.
Infatti, di "matrimoni di serie B" che facciano una concorrenza qualitativamente al ribasso al
matrimonio non si sente proprio il bisogno, e istituirli sarebbe un atto di autolesionismo sociale e civile.
Perché – come abbiamo dimostrato molte volte in questi anni, e come anche lei fa capire – si procederebbe a
una sottrazione di stabilità e di solidarietà, non certo a una ragionevole addizione di "diritti" davvero nuovi e
utili al bene comune. Per quella via si può solo rendere più fragile e precario un tessuto sociale purtroppo già
abbastanza precarizzato e infragilito.
L’idea di "contratti" che tipizzino alcuni accordi tra persone non coniugate e introducano ragionevoli
tutele solidaristiche è invece interessante. Su queste colonne abbiamo però sottolineato in diverse occasioni,
pungolati anche da lettori che ci sottoponevano casi concreti (come quello di due sorelle o due fratelli che
vivono insieme per una vita, o come quello di due anziane amiche che decidono di sostenersi
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vicendevolmente nella vecchiaia), che sarebbe profondamente ingiusto escludere dal novero di coloro che
sono ammessi all’utilizzo di simili strumenti contrattuali i conviventi che non hanno una relazione di tipo
sessuale.
Quanto alle convivenze stabili tra persone omosessuali e ai diritti che sul piano civile riguardano le
persone in esse coinvolte, se nonostante altre e fortissime urgenze si decidesse di metter mano alla materia,
credo che bisognerebbe smetterla di inseguire modelli di altri Paesi. Uno sport che non si riesce a
comprendere se non dentro la logica della grande campagna che in Europa e nelle Americhe si sta
sviluppando per arrivare, direttamente o con almeno un passaggio intermedio, al cosiddetto «matrimonio
gay», che include sempre un pur umanamente inconcepibile "diritto ai figli". Un diritto che, invece, non c’è
mai e per nessuno, non per un padre e una madre che un figlio lo possono mettere al mondo, non per due
persone dello stesso sesso che questo non possono farlo.
Non c’è un "diritto ai figli" perché – grazie a Dio, a una consapevolezza diffusa (anche se da tanti
tacitata) e a una civiltà giuridica faticosamente conquistata – i bambini non possono essere in alcun modo
ridotti a oggetti di un diritto altrui. Se proprio si vuol affrontare sul piano normativo la questione "coppie
dello stesso sesso", se proprio l’obiettivo è solo quello di far crescere la solidarietà sociale, si cerchi
insomma di individuare una "via italiana", costituzionalmente (e umanamente) sviluppata su un chiaro piano
non matrimoniale. Via che sinora non s’è vista né intravista. I cattolici, caro senatore, e lei per storia
personale e per cultura lo sa bene, hanno fede e valori che non si svendono, ma non hanno né mai hanno
avuto paura di partecipare alla realizzazione di una società più solidale. Farsi complici di confusioni
demolitrici, però, no.
Marco Tarquinio, direttore Avvenire
19 gennaio 2014, pag. 2
http://www.scienzaevita.org/rassegne/f4386858bce58125cb6fbbefb80a80b7.pdf
Donazioni alla convivente non si restituiscono.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1277, 22 gennaio 2014.
L’ex compagna che rinuncia alla carriera per amore non è tenuta alla restituzione di quanto speso da
lui durante la convivenza. I contributi economici del partner sono adempimenti doverosi in un consolidato
rapporto affettivo che implica forme di collaborazione e assistenza materiale La parte che ha spontaneamente
versato dei fondi alla convivente non ha diritto alla restituzione di quanto donato. La dazione di somme di
danaro alla convivente more uxorio è adempimento ad un dovere sociale e morale: irripetibilità della somma,
soprattutto se uno dei due conviventi vive una condizione di precarietà..
Per la Corte le «eventuali contribuzioni di un convivente all'altro vanno intese come adempimenti
che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non
implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale».
Studio legale Sugamele - 25 gennaio 2014
sentenza
http://www.divorzista.org/sentenza.php?id=7286
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VIOLENZA
Tre episodi violenza in tre anni non integrano il reato di maltrattamenti in famiglia.
Corte di cassazione – sesta Sezione penale – Sentenza n. 2326, 20 gennaio 2014
Non bastano tre episodi di violenza, due sul figlio e uno sulla moglie, in un periodo di tre anni per
configurare il reato di maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione annullando il
provvedimento di allontanamento dalla casa familiare, assunto in via cautelare dal tribunale di Roma.
Secondo la Suprema corta, infatti, “il reato de quo richiede per la sua configurazione, una serie
abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psicofisica, dell’onore, del decoro o
di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro
il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell’agente
di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.”.
Secondo la giurisprudenza elaborata dalla VI Sezione, invece, “fatti occasionali ed episodici, pur
penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni
contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di
essere inquadrati in una cornice unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all’art. 572
cod. pen.”.
Per queste ragioni l’ordinanza è stata annullata con rinvio e ora il tribunale competente dovrà
“argomentare in maniera più esauriente circa la possibilità di ravvisare nei fatti e negli episodi prospettati
dall’accusa pubblica e privata il reato di maltrattamenti.”.
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il sole 24 ore 20 gennaio 2014
sentenza
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/penale/sentenzeDelGiorno/2014/01/tre-episodiviolenza-in-tre-anni-non-integrano-il-reato-di-maltrattamenti-in-famiglia.html
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INFORMATIVA
in materia di protezione dei dati personali
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di accettare le nostre più sincere scuse se la presente non dovesse essere di Suo interesse.
In conformità con le nuove disposizioni italiane in materia d’invii telematici in vigore dal 1° gennaio
2004 (Testo Unico sulla tutela della privacy emanato con D. Lgs 196/2003 pubblicato sulla G.U. n. 174), con
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