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CONFIMI
Rassegna Stampa del 04/09/2014
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INDICE
CONFIMI
03/09/2014 Banca Finanza
Partenza prudente per i minibond
5
CONFIMI WEB
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO ECONOMIA
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Statali, contratto congelato anche l'anno prossimo Madia: non ci sono i fondi
8
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
L'appello antirigore degli economisti Bruegel: «Senza crescita impossibile rispettare
le regole»
10
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Prendetevela con l'euro Vi ha difeso troppo»
11
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Priorità alle imprese, la scelta di Draghi La Bce decide sulla spinta alla crescita
13
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ntv, azionisti a consulto sull'aumento di capitale
15
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Le torri della Rai in Borsa per 400 milioni
16
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Italia sorpassata dal Portogallo in competitività
17
04/09/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La doppia strada per ridurre il debito**
19
04/09/2014 Il Sole 24 Ore
La Bce taglia le stime di crescita e prezzi
22
04/09/2014 Il Sole 24 Ore
Piano privatizzazioni in alto mare
24
04/09/2014 Il Sole 24 Ore
Tagli di spesa per spingere su investimenti e infrastrutture
26
04/09/2014 Il Sole 24 Ore
La grande gelata dei consumi
28
04/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Spending review in salita il Tesoro studia il "piano B" per arrivare a 20 miliardi
30
04/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Nozze griffe-occhiali in crisi Safilo giù del 26% in Borsa E tremano tutti i produttori
32
04/09/2014 La Repubblica - Nazionale
Armistizio Lvmh-Hermès Arnault rinuncia alla scalata
34
04/09/2014 MF - Nazionale
Boom di Marchionne in Usa
35
04/09/2014 MF - Nazionale
Draghi ha i poteri per essere più audace
36
04/09/2014 Panorama
Ora Telecom spera in Francia e Cina
38
04/09/2014 Panorama
Capitalismo 5 tribù senza una bussola
39
04/09/2014 Panorama
Non illudetevi, anche Draghi è per il rigore
41
SCENARIO PMI
04/09/2014 ItaliaOggi
Società, giro d'affari bloccato Regge solo il settore manifatturiero
43
04/09/2014 MF - Nazionale
Intesa e Unicredit corrono grazie al voto di Bernstein
44
04/09/2014 Panorama
se c'è guerra non c'è business
45
CONFIMI
1 articolo
03/09/2014
Banca Finanza - N.9 - settembre 2014
Pag. 44
(diffusione:10000, tiratura:15000)
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CREDITO FINANZIAMENTI ALTERNATIVI ALLE PMI Banche e territorio
Partenza prudente per i minibond
A due anni dall'introduzione del nuovo strumento, il mercato vale appena 40 miliardi di euro.
iNINOSUNSERI
Una grande speranza che non si è ancora concretizzata. I minibond assomigliano un po' alle giovani
promesse dello sport che, nonostante le grandi potenzialità tecniche, non sono ancora riuscite a sfondare sul
mercato. Se ne parla molto e tutti capiscono che potrebbero essere i campioni del futuro essendo capaci di
mettere insieme esigenze assai diverse. Da una parte il fabbisogno finanziario delle imprese molto
penalizzato negli ultimi anni dal credit crunch. Dall'altra l'urgenza delle banche di diversificare il rischio.
Tuttavia i primi passi dei minibond appaiono ancora incerti. Le spiegazioni non mancano. Prima fra tutte la
giovanissima età (sono stati introdotti dal governo Monti con il decreto Sviluppo del 2012), ma soprattutto una
certa confusione legislativa che ha impedito, finora, la standardizzazione dello strumento. Sospesi fra
aspettative alte e realtà ancora modesta qual è il futuro dei minibond? Riusciranno ad affermarsi o si
limiteranno a essere una promessa mancata della grande finanza? E inoltre: in questa partita qual è il ruolo
dei confidi? I temi sono stati al centro del workshop Sistema bancario e fonti alternative di finanziamento per
le Pmi-Minibond; la funzione dei consorzi fidi nel nuovo scenario del credito che si è svolto nell'ambito del
convegno Finanziare la ripresa: le sfide del credito alle imprese Alla tavola rotonda hanno partecipato Paolo
Alticheri, responsabile global markets di Banca popolare di Vicenza; Gianandrea Bertello, corporate division
Bnl-Paribas; Massimo Gibin, responsabile servizio credito e finanza dei giovani imprenditori di Api Torino;
Andrea Giotti, direttore generale di Eurofidi e Danilo Rivoira, responsabile area crediti della Banca di credito
cooperatvo di Cherasco. Domanda: Quanto vale il mercato dei minibond e che cosa serve perché lo
strumento si affermi? Bertello. Da una stima che abbiamo fatto come Bnl il mercato dei minibond dovrebbe
valere 40 miliardi di euro. Per crescere ha bisogno di attirare grandi investitori istituzionali. Quelli italiani, però,
frenano perché la conoscenza del mercato è insufficiente. La loro prudenza rende ancora più cauti gli
stranieri. Tanto più che per le istituzioni estere c'è un doppio problema: il rischio azienda e il rischio paese. Il
loro ragionamento è corretto: se non ci credono gli operatori italiani nelle loro pmi perché dovremmo farlo
noi? Per sviluppare il mercato serve che gli investitori nazionali si convincano a intervenire in maniera
massiccia. Lo fanno ancora poco perché le competenze, data la novità dello strumento, sono scarse. Le
istituzioni devono trovare gestori adatti, ma anche le imprese devono attrezzarsi. I grandi fondi lavorano con
realtà strutturate. Fanno un investimento e poi aspettano la scadenza. L'impresa, invece, è abituata a trattare
con la banca che ha la possibilità di monitorare gior nalmente il cliente e quindi vedere eventuali problemi in
tempo reale. Un approccio molto lontano dal gestore il quale compra il bond e, per i successivi cinque anni
non se ne occupa. Quindi chiede trasparenza e molta organizzazione perché deve valutare bene i programmi
prima di investire. Le aziende italiane non sono abituate e questo rallenta lo sviluppo del mercato. D. Gli
investitori chiedono alle aziende trasparenza e capacità di comunicazione. Caratteristiche che poco si
adattano alla tradizione delle Pmi italiane. Come uscire da questo circolo? Gibin. Si parla di minibond e Pmi
con troppa enfasi. In Piemonte ci sono circa 450 mila imprese prevalentemente di piccole dimensioni.
Secondo gli analisti più accreditati le aziende che in Italia potranno utilizzare il nuovo strumento non superano
le diecimila unità. In Piemonte, quindi, non più di mille. Un target selezionato del quale non fanno certo parte
le piccole aziende ma solo quelle medie. Il panorama si stringe ancora perché stiamo parlando di realtà con
progetti di crescita. Insomma siamo in presenza di quelle eccellenze che le banche non si lasceranno certo
sfuggire. In queste condizioni è l'imprenditore ad avere il pallino in mano. Sarà lui a scegliere e naturalmente
sceglierà il credito ordinario. Sia perché il costo è minore sia perché ha più dimestichezza con lo sportello che
con il mercato. A quali condizioni, allora il minibond diventa competitivo? La risposta è semplice: la
CONFIMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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03/09/2014
Banca Finanza - N.9 - settembre 2014
Pag. 44
(diffusione:10000, tiratura:15000)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
comparazione può essere fatta solo con l'equity. Insomma se l'imprenditore ha già intenzione di aprirsi al
mercato per ottenere risorse fresche può darsi che prenda in considerazione il minibond come alternativa. I
parametri, in termini di trasparenza e di obblighi informativi sono sostanzialmente gli stessi. Con il bond
ottiene le risorse che cerca senza essere costretto a condividere la proprietà. Nessun problema di controllo e
nessun obbligo di aprire il consiglio d'amministrazione a estranei. D. Qua! è il ruolo dei confidi di fronte ai
minibond? Giotti. Noi abbiamo sempre spinto sulla strada dell'innovazione. Ho partecipato a tutti i convegni
organizzati da BancaFinanza e la strategia che ho illustrato è sempre stata quella di dare maggior spazio al
mercato nella triangolazione fra impresa, banca e confidi. L'anno scorso avevo illustrato una nuova iniziativa
per dare dare spazio all'investitore individuale. Un privato che investe in un'impresa può ottenere una
garanzia del confidi fino al 70%. In mente avevamo il vecchio zio che mette centomila euro nell'impresa del
nipote. Sembrava un'idea formidabile visto che la libertà contrattuale era molto ampia e alle spalle c'era
comunque la nostra garanzia In otto mesi abbiamo fatto solo due operazioni. Evidentemente il mercato deve
ancora maturare. D. Forse il problema è a monte. Lo zio che non investe nell'azienda del nipote non lo fa
tanto per mancanza di fiducia quanto perché ha il problema della esdt strategy. Insomma se vuole liquidare
l'investimento come fe? Altichieri. Bisogna creare un mercato secondario dei minibond ma è un'operazione
che non nasce con un colpo di bacchetta magica. È stato gettato il seme, bisogna aspettare che cresca. Il
percorso è reso impervio dalla tradizionale diffidenza dei nostri imprenditori verso il mercato finanziario. C'è
un dato importante: fra i primi 15 paesi Ocse siamo gli ultimi in termini di capitalizzazione di Borsa in
relazione al Pii. Quindi Massimo Gibin ha ragione quando dice che il minibond è adatto alle aziende che
hanno già in programma di quotarsi. Purtroppo sono poche quelle che vogliono farlo. Il minibond può essere
una palestra: l'imprenditore si mette sotto i riflettori e vede se è capace di reggere la sfida. Nel frattempo
raccoglie un po' di soldi. È evidente che il mercato crescerà tanto più rapidamente quanto prima si arriverà
alla standardizzazione dello strumento. Significa prodotti semplici e parametri facilmente riconoscibili in
termini di rating, di durata (cinque o sette anni), di modalità di rimborso (unica soluzione a scadenza o piano
di ammortamento). Infine la spinta a quotare tutte le emissioni. Solo così potrà nascere il mercato. D. Come si
pone una banca del territorio di fronte al nuovo scenario? Rivoira. Quotidianamente sono in contatto con gli
imprenditori. Vedo che il ruolo di banca territorio è di grande responsabilità. Abbiamo avviato un progetto di
lungo periodo che porterà risultati negli anni. La dimensione non è limite. L'anno scorso abbiamo collocato un
bond da tre milioni di euro di un'azienda che ne fatturava altrettanti. Quindi mi sento di smentire che la piccola
azienda non possa beneficiare di queste innovazioni e che le piccole banche non possano essere partner
importanti. Certo non tutte le aziende possono approcciare questa sfida. Occorre trasparenza e capacità di
comunicare. Dal canto nostro abbiamo partecipato alla creazione di un fondo per condividere il rischio con
altri partner. Proprio il fatto che non siamo soli conferma che l'abbiamo pensato come uno strumento per
finanziare lo sviluppo e non come alternativa al credito bancario. •
Foto: WORKSHOP Al workshop moderato dal giornalista Nino Sunseri che si è svolto al convegno di
BancaFinanza di Torino hanno partecipato: Paolo Altichieri (Banca Popolare di Vicenza), Gianandrea Bertello
(Bnl-Paribas), Massimo Gibln (Giovani Imprendiitori Api Torino), Andrea Grotti (Eurofidi), Danilo Rivoira (Bcc
di Cherasco).
Foto: GARANZIE «Un privato che investe in un'impresa può ottenere una garanzia del confidi fino al 70% »,
dice Andrea Giotti, direttore generale di Eurofidi.
CONFIMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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SCENARIO ECONOMIA
20 articoli
04/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Statali, contratto congelato anche l'anno prossimo Madia: non ci sono i
fondi
La Cgil: per i lavoratori una perdita di 4.800 euro
Antonella Baccaro
ROMA - Il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, mette la parola «fine» allo sblocco dei contratti
per oltre 3 milioni di dipendenti pubblici: resteranno fermi anche nel 2015: «In questo momento le risorse non
ci sono perché l'Italia è ancora in una situazione di difficoltà economica». Niente da fare, dunque. Il risparmio
per la spesa pubblica, secondo quanto cifrava il Def (Documento di economia e finanza) ad aprile,
ammonteranno a 2,1 miliardi.
La notizia dell'ennesima proroga, i rinnovi sono fermi dal 2010, scatena i sindacati: «Se il governo Renzi
pensa di umiliare ulteriormente i dipendenti pubblici» allora «la nostra risposta non potrà essere che la
mobilitazione» è la risposta immediata della Cgil Funzione pubblica, per bocca del segretario generale
Rossana Dettori, che annuncia: «Senza un passo indietro del governo, torneremo nelle piazze». «È
l'ennesima prova del bluff che sta dietro a un esecutivo che non sa fare neanche il minimo sindacale»
aggiunge il segretario generale della Cisl-Fp, Giovanni Faverin.
«Il governo sta cercando di portare avanti un'alleanza per aiutare chi ha più bisogno, al di là dei blocchi
precostituiti» si difende Madia. «In questa situazione di crisi - sottolinea - l'alleanza che facciamo è prima di
tutto con chi ha più bisogno. Il bonus di 80 euro è lo sblocco a chi guadagna di meno». Ma per la Cgil il bonus
non compensa le perdite subite dai dipendenti pubblici che ammonterebbero a 4.800 euro se la proroga
venisse confermata anche nel 2015: il fermo per l'anno prossimo vale circa 600 euro in meno, che vanno
sommati ai 4.200 euro di mancati aumenti registrati fino a oggi.
Un nuovo blocco della contrattazione nel pubblico impiego vorrebbe dire che «i contratti nazionali non
esistono più» commenta il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Ma anche che si chiude
definitivamente la forbice tra le retribuzioni pubbliche, tradizionalmente più ricche, e quelle private. Secondo
l'ultimo rapporto dell'Aran (l'agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego), nel 2010 la
retribuzione contrattuale media pro capite per impiegati e quadri pubblici era di 27.472 euro lordi contro i
25.531 del privato. Nel 2013 lo scarto si era ridotto già a meno di 500 euro: 27.527 euro nel pubblico contro
27.044 nel privato.
Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, attacca: «Togliessero i soldi agli enti locali, alle Regioni, ai Comuni e
alle aziende municipalizzate, non ai dipendenti statali. Stiamo ancora aspettando iniziative di Spending
review ».
Per la Uil il blocco dei contratti «è la classica goccia che farà traboccare il vaso e rischia di essere la miccia
che farà esplodere un autunno veramente caldo nel pubblico impiego».
Alza la voce anche il sindacato Cocer carabinieri che «non ha mai protestato sui blocchi contrattuali, perché
ritiene sia il giusto contributo da pagare per il risanamento del Paese» ma che chiede «la fine dell'ingiusto
blocco del tetto salariale, che si protrae ormai da quattro anni da parte di tutti i governi». Il Cocer,
«nell'esortare i vertici dell'Arma di ogni ordine e grado a un rigido rispetto delle norme contrattuali affinché al
carabiniere non venga più ordinato il prolungamento del servizio giornaliero oltre il normale turno di servizio
previsto, comunica che d'ora in poi effettuerà varie iniziative atte a denunciare le condizioni precarie in cui
operano i carabinieri».
Per il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, il governo «sembra essere in stato
confusionale» perché da una parte annuncia l'assunzione di 150 mila precari della scuola, dall'altra blocca i
contratti pubblici. «Il governo con una mano dà e con due mani toglie» commenta il coordinatore nazionale di
Sinistra Ecologia Libertà, Nicola Fratoianni, riferendosi al bonus di 80 euro.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
8
04/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Cerca di sedare gli animi il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, che a Skytg24 dice che il lavoro
del governo nel mese di settembre sarà «molto importante: non darei nulla per definito».
Intanto nella commissione Affari costituzionali del Senato è iniziato l'esame della delega di riforma della
Pubblica amministrazione. I senatori torneranno a riunirsi martedì, per l'ufficio di presidenza che deciderà il
calendario dei lavori. Il relatore conferma l'obiettivo, indicato ieri da Madia, di terminare l'esame del
provvedimento, da parte del Parlamento, entro la fine dell'anno. Al massimo entro febbraio.
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Fonti: Tesoro, Eurispes, Uil-Pa D'ARCO IL RINNOVO DEL BIENNIO 2009-2010 Il biennio dell'ultimo rinnovo
dei contratti pubblici nella parte economica LE BUSTE PAGA I DIPENDENTI PUBBLICI La variazione
dell'ammontare pagato per le retribuzioni dei dipendenti pubblici 2011 2012 2013 2014* -2,1% -1,9% -0,7% 0,7% Numero di occupati a tempo indeterminato Il personale a tempo Costo del lavoro dati in milioni di euro
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
2010 2011 2012 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 3.250.000 3.200.000
3.150.000 3.100.000 3.050.000 3.000.000 280.000 120.000 130.000 140.000 150.000 160.000 170.000
180.000 330.000 380.000 430.000 480.000 530.000 IL CONFRONTO La spesa per il pubblico impiego in
rapporto al Pil Danimarca Svezia Finlandia Francia Belgio Spagna Regno Unito Italia Paesi Bassi Austria
Germania 19,2% 11,5% 14,4% 11,1% 14,4% 10,0% 13,4% 9,7% 12,6% 7,9% 11,9% *stima
Le stime L'ultimo rinnovo
L'ultimo contratto del pubblico impiego è stato rinnovato nel 2010.
Per i sindacati l'ennesima proroga configura una perdita complessiva di 4.800 euro per i lavoratori del settore
pubblico, perché il blocco per il 2015 vale circa 600 euro in meno in busta paga, che vanno sommati ai 4.200
euro di mancati aumenti registrati fino a oggi. Per il governo il blocco si giustifica con la mancanza di risorse:
occorrerebbero 2,1 miliardi per il rinnovo, mentre il settore avrebbe già usufruito del bonus di 80 euro che è
rivolto ai lavoratori dipendenti, in base al reddito.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
9
04/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
L'appello antirigore degli economisti Bruegel: «Senza crescita impossibile
rispettare le regole»
Luigi Offeddu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES - «Sia per la Francia che per l'Italia sarà molto difficile raggiungere gli obiettivi di contenimento
del deficit nei prossimi anni. Inoltre, l'Italia non adempirà alla regola di riduzione del debito pubblico nell'arco
di tempo 2016-2019...». Da questa mattina, i presidenti designati della Commissione europea,
dell'Europarlamento e del Consiglio europeo, come i nuovi commissari europei, avranno sulle loro scrivanie
questa e altre previsioni non precisamente confortanti, contenute nel dossier intitolato «Appunti per la nuova
leadership europea». Si tratta di una lettera-appello, o meglio di una frustata siglata dagli studiosi dell'Istituto
Bruegel, un think tank di Bruxelles che ha come presidente onorario Mario Monti (il dossier sarà consultabile
anche sul sito Internet dello stesso istituto, www.bruegel.org).
Alle previsioni cupe, si uniscono comunque anche le proposte per uscire dal cunicolo della recessione:
project bonds, incremento degli investimenti pubblici in tutti i Paesi, sostegno più deciso a quelli privati.
Il dossier si apre con questo monito: «Senza crescita, diventerà impossibile rispettare le regole di bilancio».
Sembra così ribaltata la visione «merkeliana» dominante negli ultimi anni, la ricetta rigorista che ha sempre
affermato un preciso ordine di priorità: prima risanare i conti, e dai conti risanati ripartirà poi la crescita.
Naturalmente il documento non nega in toto questo principio, ma intanto accende i fari su tre Paesi che
necessitano «un'attenzione speciale per via della loro grandezza: Francia, Germania e Italia». Perché
«rappresentano due terzi della zona euro e metà del Prodotto interno lordo europeo». La Germania è «in
buona salute con una bassa disoccupazione e le finanze pubbliche sotto controllo. Ma il suo investimento
(pubblico, ndr ) resta alquanto debole...». La situazione in Francia e in Italia è invece «molto meno
promettente: la disoccupazione è pericolosamente alta e le finanze pubbliche sono eccessivamente sotto
sforzo». Conclusione inquietante, anche per i Paesi intorno: «Ulteriori difficoltà economiche in una di queste
due nazioni potrebbero riaccendere i problemi nella zona euro, dove la situazione economica rimane fragile».
Torna la solita domanda di gusto «sovietico»: che fare? Il dossier rammenta ai leader Ue e ai commissari
europei che «avete una capacità di azione limitata su questi tre Paesi (Germania compresa, ndr ). Per la
Francia e l'Italia, la Commissione ha a sua disposizione l'arsenale delle regole di bilancio, ma le dimensioni
degli stessi Paesi concedono loro un potere negoziale, e tutti lo sanno».
Viene allora proposta una medicina che, secondo gli studiosi del Bruegel, potrebbe curare il malessere di
Italia e Francia, ma anche quello della Ue intera: il Consiglio europeo dovrebbe spingere per un incremento
degli investimenti pubblici nella Ue «di almeno 100 miliardi nel 2015 e 2016». Circa una metà di questa
somma «dovrebbe essere il prodotto delle politiche nazionali di bilancio, attraverso l'incremento degli
investimenti pubblici e la creazione di nuovi incentivi per quelli privati». E ancora: «Voi dovreste inoltre
chiedere, a quegli Stati ancora dotati di spazio fiscale (cioè di manovra nelle manovre pubbliche, ndr ), di
fermare ogni esagerazione nella corsa al raggiungimento degli obiettivi di bilancio». L'altra metà dei
programmi di investimento dovrebbe essere perseguita a livello della Ue, «aumentando il capitale di base
della Banca europea degli investimenti e incrementando i project bonds».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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La lettera Per il think tank presieduto da Mario Monti l'Italia non terrà fede agli impegni entro il 2019
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Prendetevela con l'euro Vi ha difeso troppo»
Giuliana Ferraino
«The game is over», il gioco per l'Italia è finito, sostiene Martin Wolf, classe 1946, principe dei commentatori
economici sul «Financial Times» e autore di «The Shifts and the Shocks», il libro che analizza i cambiamenti
nell'economia globale e nel sistema finanziario e i drammatici effetti (gli shock) provocati dalla crisi economica
e finanziaria cominciata nel 2007, da oggi in vendita in Gran Bretagna. «Senza un ampio programma di
riforme strutturali a livello nazionale e un'effettiva politica per rilanciare la domanda nell'eurozona, coordinata
a livello europeo, sostenuta contemporaneamente da un'adeguata politica monetaria della Bce, l'Italia è
condannata a morire lentamente. Ed è un vero peccato, perché è un Paese straordinario che adoro, ma è
come se fosse su un altro pianeta», afferma Wolf, che ogni anno trascorre le vacanze nella sua casa vicino a
Lerici.
Se il libro affronta questioni di breve periodo e tematiche radicali di lungo termine, il tema dominante è il
pessimismo. Soprattutto quando Wolf analizza l'eurozona. «La moneta unica è stata una vera idiozia. La
cosa più sconcertante è che in nessuno Stato c'è stata una discussione seria sugli effetti reali che l'adozione
dell'euro avrebbe avuto sulla competitività delle imprese e del sistema Paese. Solo Gran Bretagna e
Germania hanno tenuto un vero dibattito. E infatti Londra saggiamente ha detto no all'euro, sapendo che
sarebbe stato un suicidio, mentre Berlino, aderendo, ne ha capito la portata e non solo ha deciso le regole,
ma ha fatto tutte le riforme necessarie per funzionare in un'unione monetaria. Gli altri Paesi sono stati pazzi.
Tutti pensavano che l'euro avrebbe risolto tutti i problemi, invece li ha messi a nudo». Certo, «la produttività
italiana ha smesso di crescere ben prima dell'euro, per la mancata modernizzazione del sistema produttivo,
per la resistenza delle aziende familiari, per la chiusura agli investimenti esteri, e la debolezza del mercato
dei capitali». La moneta unica e i cambiamenti nell'economia globale hanno però accentuato deficit e ritardi
strutturali.
Ormai l'euro c'è. Ma per ridurre la massiccia disoccupazione che affligge molti Paesi europei e far ripartire la
crescita in un quadro deflazionistico come quello attuale, senza dimenticare che «bisogna anche rimettere in
sesto il sistema bancario», gli strumenti sono «limitati e particolarmente difficili da usare». La soluzione? Non
può certo essere l'annuncio di un quantitative easing, cioè l'acquisto di bond sul mercato da parte della Banca
centrale, afferma Wolf. Innanzitutto perché «c'è una tremenda resistenza politica nei confronti di qualsiasi
misura anticonvenzionale, soprattutto in Germania». Personalmente Wolf sarebbe pronto a inondare il
sistema di liquidità, dice che lancerebbe «i soldi con l'elicottero», come ha fatto l'ex presidente della Federal
Reserve Ben Bernanke, ma riconosce che «un quantitative easing è molto difficile da realizzare in Europa, in
assenza di un debito federale, visto che non esistono gli eurobond». E anche se la Bce si spingesse a tanto,
«servirebbero parecchi trilioni di euro, tenendo conto che l'Eurotower dovrebbe comprare titoli del debito
pubblico in proporzione al Pil dei vari Paesi membri. Francoforte controllerebbe così una larga porzione non
solo del debito pubblico italiano e spagnolo, ma anche della Germania, spingendo gli interessi tedeschi
ancora più in basso».
L'altra faccia della moneta che complica terribilmente le cose è la competitività. «Un Paese a vocazione
manifatturiera come l'Italia, che deve recuperare competitività nei confronti della Germania. In un quadro di
bassa o zero inflazione non ha altra strada che far cadere in modo significativo i salari, una via che penalizza
ulteriormente i consumi. Oppure può aumentare in modo considerevole la produttività, una soluzione che
però fa crescere la disoccupazione nel breve periodo. È il dilemma competitivo italiano, che ha davanti a sé
uno scenario davvero terribile. Se oggi il premier Matteo Renzi mi chiedesse cosa fare, non saprei cosa
consigliargli», ammette Wolf. Sapendo bene che non c'è alternativa: il motore della crescita, nel breve
periodo, può venire solo dal «recupero di competitività dell'export». E tra salari più bassi e maggiore
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'analisi Il commentatore del «Ft» Wolf: l'Italia è condannata a morire lentamente senza un ampio programma
di riforme
04/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
disoccupazione, «è meglio la seconda ipotesi», dice auspicando una presa di coscienza collettiva per vincere
la resistenza dei sindacati: «Serve un senso nazionale di stato di crisi», un consenso a fare subito tutte le
riforme necessarie per cambiare l'Italia, che definisce «un disastro strutturale». Elenca: mercato del lavoro,
giustizia, università, mercato dei capitali, legge sui fallimenti. Ma aggiunge anche che sarà «incredibilmente
difficile evitare una ristrutturazione del debito pubblico». E continua: «Avete bisogno di un new game», un
gioco nuovo.
@16febbraio
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Foto: Il libro Si intitola «The shifts and the shocks» l'ultimo libro dell'editorialista del «Financial Times» Martin
Wolf. L'autore spiega che cosa dobbiamo ancora imparare dalla crisi
04/09/2014
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Il «Financial Times»: un new deal europeo. Milano guadagna l'1,89% Oggi Il direttivo della Banca centrale
europea si riunisce questa mattina a Francoforte Deflazione Mazzucchelli: «Nessun pericolo deflazione se si
depurano i dati dai prodotti energetici e alimentari»
Stefania Tamburello
ROMA - L'attesa sui mercati è finita. Il giorno di Mario Draghi e della Bce è arrivato: il Consiglio direttivo della
Banca centrale europea, infatti, si riunisce per riesaminare i suoi programmi alla luce di uno scenario
economico peggiore del previsto. Sul tavolo i governatori delle banche centrali dell'Eurozona avranno le
ultimissime previsioni degli economisti di Francoforte che segnalano il rapido e più accentuato rallentamento
dell'inflazione - che in alcuni Paesi come l'Italia è già approdato nella deflazione - e l'allargamento della
stagnazione che si è estesa anche alla Germania, una situazione opposta a quella Usa dove, secondo
l'analisi del rapporto della Fed, il beige book, la crescita è «moderata» ma «procede». In discussione poi ci
sarà l'iniziativa del presidente che ha voluto condividere con i leader politici l'urgenza di un'azione anticrisi e
che, per dirla col Financial Times che ieri ha dedicato alle mosse del banchiere italiano un lunghissima analisi
- si è fatto portatore di un «new deal europeo» proponendo ai governi «un patto monetario e di bilancio» a cui
però, avverte FT, non potrà mancare il sostegno di Berlino.
Le Borse ieri - anche sulla scia dello slancio di Wall Street determinato dai venti di pace del conflitto ucraino hanno manifestato fiducia sulle decisioni odierne dell'Eurotower, chiudendo tutte in guadagno, con Piazza
Affari in salita dell'1,89% prossima ai 21 mila punti, anche se le aspettative rispetto a qualche giorno fa si
sono ridimensionate. Soprattutto per quel che riguarda la realizzazione sin da subito di un programma di
quantitative easing , cioè di acquisto massiccio sui mercati in particolare di titoli pubblici che sarebbe
prematuro tecnicamente e politicamente per le reazioni negative che provocherebbe in Germania, dove
un'iniziativa di questo genere verrebbe vista come un improprio aiuto ai Paesi periferici poco virtuosi, Italia
compresa. Qualche operatore continua a puntare su un ulteriore taglio dei tassi di interesse di riferimento, già
allo 0,15%, un livello che lo stesso Draghi ha definito la lower bound , la soglia minima. «Qualcosa la Bce
dovrà pure fare dopo tanta attesa ed un taglio dello 0,10% o più, è possibile», dice per esempio Marco
Mazzucchelli, managing director della banca Julius Baer di Zurigo.
Assieme alla partenza della prima operazione di Tltro, cioè di prestiti a lungo termine alle banche a tassi
bassissimi (lo 0,10% in più del tasso di riferimento), condizionati alla concessione di finanziamenti a imprese
e famiglie (esclusi i mutui immobiliari), potrebbe essere annunciato l'avvio a breve - anche entro la fine
dell'anno o al massimo all'inizio del prossimo - dell'acquisto non di titoli pubblici ma di titoli privati bancari
cartolarizzati, rappresentativi di crediti e prestiti ad imprese anche piccole e medie e famiglie, gli Abs. I tecnici
della Bce stanno lavorando al progetto da tempo ma ultimamente hanno accelerato la preparazione,
chiamando anche in campo come consulente il colosso americano BlackRock. Draghi in una delle ultime
conferenze stampa ha detto che i titoli dovranno essere innanzitutto «semplici, trasparenti e reali» per evitare
di far riemergere i danni del passato, legati a quei derivati che hanno zavorrato i portafogli delle banche e
causato l'inizio della crisi, 7 anni fa. Oggi il consiglio dei governatori esaminerà l'ammontare del programma e
il dettaglio dei prestiti che potranno essere «impacchettati» e cartolarizzati dalle banche nell'auspicio che i
vari Paesi adeguino le regole per far ripartire il mercato di questi titoli. Non per nulla il tema cartolarizzazione
sarà discusso nei prossimi vertici dell'Ecofin di Milano e nel G20 finanziario di Cairns (Australia). «Più di
questo, Draghi e la Bce non possono fare. La politica monetaria ha preso le iniziative possibili, tanto più che
non c'è un pericolo reale di deflazione se si depurano i dati dall'incidenza dei prodotti energetici e delle
materie prime alimentari. Bisogna invece sostenere la domanda e questo occorre deciderlo a Bruxelles e
Berlino non a Francoforte» dice ancora Mazzucchelli. Ed un richiamo alle riforme strutturali da parte dei
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Priorità alle imprese, la scelta di Draghi La Bce decide sulla spinta alla
crescita
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governi ieri è arrivato da Sabine Lautenschlaeger, componente del Board della Bce.
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0,15
per cento
l'attuale tasso di interesse. Un livello che lo stesso Draghi ha definito
«la soglia minima»
+1,9
per cento
la chiusura ieri di Piazza Affari in attesa delle mosse della Banca centrale europea
Foto: Francoforte Il presidente della Bce Mario Draghi. Oggi la riunione della Banca centrale da cui si
attendono misure contro la deflazione
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Ntv, azionisti a consulto sull'aumento di capitale
Della Valle: Gasparri dice il falso, si dimetta
MILANO - Chi metterà soldi freschi in Ntv, la società che gestisce il treno ad Alta Velocità «Italo», in grave
crisi finanziaria? Il presidente e amministratore delegato Antonello Perricone, insieme con l'advisor Lazard ha
avviato contatti serrati tra gli azionisti del vettore alternativo alle Fs per risolvere i gravi problemi dell'azienda,
che ha cassa fino a dicembre. Tra una settimana circa tutti i soci - i fondatori Luca Cordero di Montezemolo,
Diego Della Valle e Gianni Punzo (insieme al 33,5%), le ferrovie francesi Sncf (20%), Intesa Sanpaolo (20%),
Generali (15%), Alberto Bombassei (5%) Isabella Seragnoli (5%), l'ex ceo Giuseppe Sciarrone (1,5%) saranno messi a conoscenza del nuovo piano industriale che vede la società di Italo ridimensionata nei ricavi
e nei margini dai passeggeri (ora sono 6,2 milioni), nonché nei dipendenti (per 300 circa dei mille attuali
pende l'incubo della mobilità). Su quella base si verificheranno le disponibilità a partecipare all'inevitabile
aumento di capitale, dopo 156 milioni di perdita in due anni. Per il 2015 è atteso il pareggio operativo mentre
già dal 2016 la società dovrebbe cominciare a guadagnare.
Ma gli azionisti, a queste condizioni, soldi non ne vogliono mettere. Già hanno versato 85 milioni in conto
capitale e hanno garantito 10 milioni di liquidità per far arrivare la società a fine anno, quando scadrà il
congelamento delle rate e degli interessi (standstill) ottenuto dalle banche, in primis Intesa Sanpaolo, sugli
781 milioni di debiti di cui circa la metà per il leasing dei 25 treni Alstom. Come garanzia gli istituti di credito
Intesa, Bnl, Mps, Banco Popolare hanno proprio le azioni della stessa Ntv. Di cui in sostanza potrebbero
diventare socie, nella peggiore delle ipotesi.
Per mettere capitali freschi i soci vogliono prima la garanzia di un mutamento del quadro regolatorio e e
regole certe sulla concorrenza con Trenitalia. Ntv l'ha sostenuto ieri in una lettera aperta al governo Renzi e
ai ministri competenti, cioè Maurizio Lupi (Trasporti) e Federica Guidi (Sviluppo economico), denunciando
anche «l'ostruzionismo» subito. L'ultimo cambio - con la recente eliminazione delle tariffe elettriche agevolate
(beneficio che risaliva al 1963) - inciderà nel 2014 per 15 milioni circa sui conti di Italo, pareggiando lo sconto
del 15% ottenuto sui 120 milioni di canone di accesso alla rete.
È dunque il governo, secondo Ntv, che può contribuire a salvare l'azienda. E ieri Della Valle è intervenuto
nella polemica con il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, che aveva invitato i clienti a non comprare
i biglietti di Italo: «Si è permesso di dichiarare pubblicamente il falso, augurando di fallire ad un'azienda
italiana che occupa oltre mille persone con età media di 28 anni. Gasparri si deve dimettere o deve essere
cacciato da chi ha l'autorità per farlo. Se rimarrà al suo posto con il silenzio del mondo politico vorrà dire che
alla fine sono tutti uguali, pronti a difendere le loro poltrone e i loro privilegi».
Fabrizio Massaro
fabriziomassar0
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Gli azionisti di NTV 33,5% Diego Della Valle Luca Cordero di Montezemolo Gianni Punzo Quote paritetiche
attraverso MDP Holding uno srl, MDP Holding due srl, MDP Holding tre srl 15% Generali (Winged Lion Fund)
5% Alberto Bombassei (Nuova Fourb srl) 5% Isabella Seragnoli (Mais spa) 1,5% Giuseppe Sciarrone (Reset
2000 srl) 20% Sncf (SNCF Voyages Développement sas) 20% Intesa Sanpaolo (IMI Investimenti spa)
Foto: Vertici Antonello Perricone, 67 anni, è presidente di Ntv
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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I negoziati Senza nuove regole i soci non sono disposti a ricapitalizzare
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Le torri della Rai in Borsa per 400 milioni
Pronto il decreto per il collocamento del 40-49% di Rai Way in Piazza Affari
Daniela Polizzi
Il decreto della presidenza del Consiglio è atteso a giorni in via Teulada a Roma. E' un passaggio cruciale per
la Rai perché sarà proprio quel provvedimento in gestazione in questi giorni al Mef a dare il via libera ufficiale
alla quotazione in Borsa della controllata al 100% Rai Way. Ossia la strada scelta per la privatizzazione della
società che gestisce le infrastrutture e gli impianti di trasmissione della televisione di Stato. Dal via libera del
governo partirà la locomotiva dell'Ipo, attesa a metà novembre in Piazza Affari. Una macchina che funziona
già a pieno ritmo. Ormai sembrano risolti tutti i nodi che rimanevano da sciogliere per quella che si profila
come l'unica privatizzazione dell'autunno. Visto che per il listing di Poste nella nuova era di Francesco Caio è
ormai scontato che bisognerà attendere l'anno prossimo.
Pronta è la squadra di coordinatori globali dell'offerta di Rai Way che include Credit Suisse e Banca Imi,
indicati già nell'estate (advisor Leonardo & co), e che adesso vede schierata allo stesso livello anche
Mediobanca. I tre istituti capofila saranno affiancati da Bnp Paribas e Citi, assistite dai legali di Clifford
Chance. Il filing a Consob e la domanda di ammissione a quotazione a Borsa italiana sono in calendario entro
metà ottobre. L'amministratore delegato di Rai, Luigi Gubitosi, vuole fare in fretta per cogliere la finestra di
metà di novembre, considerata la migliore, che sarà preceduta da una massiccia campagna pubblicitaria.
Già, perché Camillo Rossotto, direttore finanza della Rai e le banche hanno scelto di riservare una quota
corposa dell'offerta (fino al 20%) ai risparmiatori. La ragione è che il futuro titolo Rai Way - secondo il mercato
- avrà rendimenti stabili, tra il 6 e il 7%, equiparabili alle società di infrastrutture e promette una buona
«dividend story».
Sul mercato andrà una quota tra il 40 e il 49%, attraverso un'offerta pubblica di vendita. In pratica la Rai
potrebbe incassare tra 400 e 450 milioni se verranno confermate le valutazioni attuali di Rai Way tra 900
milioni e un miliardo. Pronto anche il contratto di servizio con la casa madre del valore di circa 170 milioni,
rinnovato a luglio per sette anni (prolungabile). Un elemento chiave visto che per ora l'83% dei ricavi Rai Way
vengono da Rai. La matricola avrà autonomia finanziaria con la nomina imminente di un direttore finanze. La
società delle frequenze potrà reperire fondi anche all'esterno (100 milioni i debiti infragruppo). La sfida verrà
dopo l'ipo con la conquista di nuovi clienti. Ed eventuali alleanze con concorrenti, facilitate dalla presenza di
azioni quotate.
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I numeri D'ARCO dal gruppo Rai 182 milioni da altri clienti 36,3 milioni 86,4 milioni (-2,5%) Margine operativo
lordo 11,8 milioni (+255%) Utile netto 2.300 stazioni di diffusione televisiva 80 punti di accesso in fibra ottica e
satellitari 21 nuclei operativi 23 sedi territoriali Ricavi 219,2 milioni (-2,4%) 100% controlla
900
milioni è il valore base di Rai Way. Può salire a 1 miliardo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Privatizzazioni Il calendario prevede l'offerta al pubblico e agli investitori istituzionali a novembre
04/09/2014
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Italia sorpassata dal Portogallo in competitività
Il World economic forum: «Pesano Fisco, giustizia e mercato del lavoro»
Rita Querzé
MILANO - Come se la cava l'Italia in tema di competitività? Non bene, a leggere il rapporto stilato come ogni
anno dal World economic forum.
L'indagine considera diversi fattori che alla fine si condensano in una posizione in classifica. L'Italia si
conferma quarantanovesima su 144 Paesi. Esattamente come l'anno scorso. Una stabilità che ribadisce la
nostra collocazione tra le economie europee più deboli. Fanno peggio solo Paesi come Bulgaria, Romania e
Grecia. Quest'anno ci hanno superato anche Lettonia e Portogallo. Inoltre restiamo sempre lontanissimi
leader europei in materia di competitività. Parliamo dei quattro entrati nella top ten: la Finlandia al quarto
posto, la Germania al quinto, l'Olanda all'ottavo e il Regno Unito al decimo. Difficili da agganciare anche il
Belgio (18esimo posto), l'Austria (21), la Francia (23) e la Spagna (35).
Da notare che l'Unione europea è esclusa dal podio, occupato nell'ordine da Svizzera, Singapore e Stati
Uniti. Viene da sé che per l'Italia mettersi in competizione rischia di essere un esercizio poco esaltante anche
fuori dal vecchio continente. Per fare qualche esempio, rimaniamo in coda dopo Oman e Turchia e lontano
oltre quindici posizioni da Cile e Porto Rico.
Il centro studi del forum con sede a Ginevra lancia un allarme: «La salute dell'economia mondiale è a rischio:
nonostante il rafforzamento della politica economica e lo sforzo dei Paesi a migliorare le riforme strutturali per
aiutare la crescita».
Tornando a noi, per indagare meglio sulle ragioni del disagio italiano non resta che osservare più da vicino i
parametri presi in considerazione dall'indagine. L'Italia evidenzia punti di debolezza sui fondamentali, come il
funzionamento delle istituzioni (106imo posto su 144), la ridotta efficienza del mercato del lavoro (136ima), la
pressione fiscale (134ima) e la criticità dell'attuale scenario macroeconomico (108ima). Tra i punti di forza,
invece la sofisticatezza del business (25ima) e le dimensioni del mercato locale (12ima).
Entrando ancora più nel dettaglio degli indicatori, l'Italia è penultima al mondo - posizione 143 su 144 - per la
capacità di soluzione delle cause legali ma anche per la trasparenza nelle scelte di governo, l'efficienza degli
incentivi fiscali verso gli investimenti e per la capacità che il Fisco ha di aiutare la creazione di posti di lavoro.
Peggio di noi solo il Venezuela.
Non basta. Pesa la valutazione sulla normativa per le pratiche di assunzione e licenziamento: qui siamo
141esimi, dietro di noi solo Zimbabwe, Sud Africa e Venezuela. Sempre in coda sono: la fiducia dei cittadini
verso i politici, la facilità di accesso al credito e lo spreco della spesa pubblica (tre capitoli al 139/mo posto).
Mentre, per il livello delle aliquote fiscali, il Paese è 134/mo, solo dieci posizioni dal fondo.
Le criticità evidenziate sono proprio quelle al centro del dibattito politico sulle riforme. D'altra parte, per il
modo in cui viene condotta, l'indagine rispecchia molto il «sentiment» di un Paese. A «dare il voto», infatti, è
un campione di manager e imprenditori (un centinaio in Italia) rappresentativo della classe dirigente di
ciascuno Stato. E di questi tempi gli italiani sono i più spietati giudici di se stessi. In Italia la ricerca viene
realizzata per conto del Wef dalla Sda Bocconi. «Dobbiamo tenere che la classifica rispecchia la percezione
che un Paese ha di se stesso - sottolinea Paola Dubini, che coordina il progetto insieme con Francesco
Saviozzi -. Come tali riflettono la nostra tendenza al pessimismo. E talvolta una certa sottostima del nostro il
grado di competitività. Certo, le percezioni contano. Lo scarso orgoglio dei manager rispetto a come funziona
il Paese penalizza un poco l'Italia».
Ultima annotazione: l'indagine è stata condotta in Italia nell'aprile scorso, a un mese dall'insediamento del
governo Renzi. Ma la diagnosi dei problemi resta attuale.
rquerze
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Il confronto La classifica condotta nel nostro Paese dall'Università Bocconi su un campione di 100 manager
04/09/2014
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La top 20 del Wef Svizzera Singapore Stati Uniti Finlandia Germania Giappone Hong Kong Paesi Bassi
Regno Unito Svezia La pagella dell'Italia Norvegia Emirati Arabi Danimarca Taiwan, Cina Canada Qatar
Nuova Zelanda Belgio Lussemburgo Malesia 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Istituzioni
Infrastrutture Sanità ed educazione Efficienza mercato Efficienza mercato lavoro Avanzamento tecnologico
Dimensione del mercato Sviluppo mercati finanziari 106a 73a 26a 22a 49a 136a 119a 38a 12a posizione
generale Fonte: World economic forum D'ARCO
04/09/2014
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La doppia strada per ridurre il debito**
Per gli immobili pubblici cambio di destinazione d'uso più veloce e trasferimento dei beni dai Comuni allo
Stato. Il ruolo di Rothschild I numeri Al 30 giugno 2014 il debito pubblico complessivo (inclusi i titoli pubblici)
era a quota 2.168 miliardi di euro
Mario Sensini
ROMA - Doveva entrare già nello sblocca Italia, ma è rimasto fuori come altre norme solo perché quel
decreto rischiava di divenire troppo pesante. Ma il nuovo meccanismo per favorire il cambio di destinazione
d'uso degli immobili è pronto, il governo Renzi lo considera uno dei passaggi fondamentali per riavviare
l'attività economica e valorizzare il patrimonio pubblico, e sarà inserito nel pacchetto della legge di Stabilità.
Nel frattempo il governo sta ripensando i rapporti con gli enti locali, andando oltre il federalismo demaniale. Il
sottosegretario al ministero dell'Economia Pier Paolo Baretta ha appena definito con i Comuni il trasferimento
di 9.000 immobili a titolo gratuito: se saranno venduti entro tre anni, lo Stato avrà il 25% del ricavato,
altrimenti saranno riacquisiti al Demanio.
Il governo di Matteo Renzi si muove sulla strada della valorizzazione e della dismissione del patrimonio
immobiliare. All'orizzonte non c'è nessun piano straordinario di abbattimento del debito pubblico, come ha
ricordato anche ieri il premier Matteo Renzi nell'intervista al Sole 24 Ore . Giocare tutto sulle dismissioni, date
le condizioni attuali del mercato immobiliare, sarebbe un suicidio, anche economico e non solo
«reputazionale». Piuttosto, quella che sta prendendo corpo, sempre con l'obiettivo di ridurre il debito, pare
una strategia articolata, basata su tre piani: la razionalizzazione degli immobili a uso governativo o comunque
pubblico, la valorizzazione e le dismissioni. E che potrebbe comunque prendere spunto anche dai tanti
contributi di economisti e banche d'affari arrivati sul tavolo di Palazzo Chigi, ultimi quelli del gruppo Rothschild
che hanno consegnato a Renzi alcune «idee» di metodo che potrebbero consentire un taglio del debito tra i
100 e i 300 miliardi.
In attesa che le dismissioni divengano appetibili, si prova intanto a valorizzare, anche superando i colli di
bottiglia della burocrazia e della normativa. In questo contesto, mettendo in campo anche i fondi immobiliari
pubblici come Invim.It, si potrà tentare qualche operazione di calibro importante nei prossimi mesi, sempre
per spuntare il debito. Renzi e Padoan non sembrano credere ai piani shock che da un giorno all'altro
possano abbattere quella montagna. Ma sanno che sul fronte del debito bisognerà intervenire, e anche molto
presto, se vorranno tempi un po' più lunghi rispetto a quelli concordati con l'Europa per arrivare al pareggio di
bilancio.
Dal 2015 scatta infatti la nuova regola del debito, quella che prevede la riduzione di un ventesimo l'anno della
differenza tra il livello attuale e il valore di riferimento dei Trattati del 60% del Prodotto interno lordo. Ma già
quest'anno si sarebbe dovuto fare qualche cosa per avvicinarsi al traguardo. Il che oggi sembra ancora più
difficile dopo la frenata del premier sulla cessione di ulteriori quote Eni ed Enel controllate dal Tesoro.
In ogni caso, nel 2014 il debito pubblico italiano raggiungerà il 134,9% del Pil, secondo il Documento di
economia e finanza di aprile, al suo settimo anno consecutivo di crescita (dal 2007). È vero che ha pesato il
pagamento delle fatture arretrate della Pubblica amministrazione, e che senza i prestiti alla Grecia saremmo
sette-otto punti sotto, ma siamo arrivati al record storico assoluto. Nel 2015, secondo i piani del governo
dell'aprile scorso, dovrebbe ricominciare la discesa, anche a ritmi piuttosto sostenuti. Secondo il piano di
aprile, si poteva scendere velocemente fino al 120% circa del 2018, sempre rispettando la regola del
«ventesimo».
Il peggioramento della congiuntura, però, è stato evidente. E se questo non ci espone a grossi rischi di
infrazione europea per lo sforamento del limite di indebitamento, perché il 3% non dovrebbe comunque
essere a rischio, l'impatto della congiuntura negativa potrebbe mettere l'Italia in seria difficoltà con il rispetto
delle nuove norme sul debito. Anche per questo, senza far affidamento sulle ricette miracolose, il governo si
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Le strategie Le ipotesi su una valorizzazione di circa 350 miliardi di euro del patrimonio per le dismissioni
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sta attrezzando.
Il prossimo passaggio sarà la facilitazione delle procedure per il cambio di destinazione d'uso degli immobili.
Era una delle norme inserite da Enrico Letta nel pacchetto «Destinazione Italia», ma come il resto è rimasta
lettera morta. Ora si appresta a essere resuscitata. E potrebbe non essere l'unica misura per agevolare la
valorizzazione e la dismissione degli immobili pubblici. La stessa legge di Stabilità, dicono al Mef, potrebbe
avere un capitolo specifico dedicato alla privatizzazione del patrimonio.
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DEFICIT in % sul Pil DEBITO PUBBLICO in % sul Pil -5,5 -3,7 -3,0 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 0 6 4 2 120 130 110 100 108,3 106,3 106,1 120,7 104,1 105,7 116,4
127 119,3 103,3 105,4 103,7 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
*Cassa depositi e prestiti S.p.a. detiene una partecipazione del 25,76% LE PRINCIPALI SOCIETÀ 31,24%
Consap 100% 100% 100% 100% 100% 99,56% 100% 100% 4,34%* Consip 30,20% Enav Ferrovie dello
Stato 70% Enel Eni Finmeccanica Cassa depositi e prestiti Poste Italiane Rai RadioTelevisione Italiana Anas
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Fonte: Mediobanca Securities 0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% Valore di
mercato Valore asset vendibili (in miliardi di euro) Stato Regioni Province Comuni Sanità Università Altri enti
loc. Altri Totale 62 11 29 227 25 10 4 57 7 2 1 1 0 3 3 25 425 42 I conti Edilizia, il portafoglio pubblico Le
partecipazioni del Tesoro -3,1 -3,1 -3,6 -3,5 -1,6 -4,5 -3,0 -0,8 -2,7 -3,4 -4,4 -3,0 132,6
Il termine / 1
Valorizzazione
delle attività
''Buona parte del patrimonio immobiliare pubblico è sottoutilizzato, poco redditizio ed è caratterizzato da una
costosa gestione e manutenzione.
Un programma di cessione dei beni disponibili e quindi non direttamente funzionali potrebbe essere oggetto
di valorizzazione passando attraverso strumenti di finanza immobiliare, quali società di gestione del risparmio
e fondi immobiliari, i quali da un lato consentono la raccolta di risparmio presso investitori istituzionali e
dall'altro permettono un'ottimizzazione della gestione degli asset.
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Il termine / 2
Destinazione
d'uso
''Un immobile può essere adibito a uso residenziale, commerciale oppure industriale. Per cambiare la
destinazione d'uso - mossa che può aiutarne la valorizzazione - è necessaria un'autorizzazione. Il cambio di
destinazione d'uso di un immobile (per esempio da magazzino ad abitazione, da negozio a ufficio, da box a
laboratorio) è una procedura che prevede due ordini di problemi. Da una parte occorre controllare che sia
urbanisticamente permesso il cambio di destinazione. Dall'altra bisogna accertarsi che siano osservate tutte
le norme igienico-sanitarie.
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Il termine / 3
Fondo
ammortamento
''Il Fondo di ammortamento è stato istituito nel 1993 con lo scopo di rimborsare o ritirare titoli di Stato dal
mercato per favorire la riduzione dello stock del debito. Qui confluiscono i proventi delle operazioni di
privatizzazione volte alla riduzione del debito pubblico. La legge finanziaria 2006 ha disposto la destinazione
dei maggiori proventi derivanti da dismissioni immobiliari alla riduzione del debito pubblico attraverso il
Fondo. Il fondo può acquistare sul mercato secondario titoli del debito pubblico da destinare a immediato
annullamento e rimborsare i titoli di Stato in scadenza.
04/09/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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04/09/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La Bce taglia le stime di crescita e prezzi
Alessandro Merli
Mario Draghi riunisce oggi il consiglio direttivo della Bce. Attese revisioni al ribasso delle stime per Pil e
inflazione dell'eurozona, assieme al varo delle prime misure non convenzionali anti-deflazione (acquisto di
Abs).
Alessandro Merli u pagina 5,
con l'analisi di Riccardo Sorrentino
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
La Banca centrale europea annuncerà oggi un taglio delle sue previsioni di crescita e di inflazione per
l'Eurozona, dopo che i dati e i sondaggi fra gli operatori economici degli ultimi mesi hanno rivelato una
debolezza superiore alle attese. Anche se la revisione delle stime rispetto a quelle di giugno accenuterà la
pressione per nuove azioni della Bce per contrastare la stagnazione e la minaccia di deflazione, è molto
improbabile che il consiglio decida oggi un piano di acquisto di titoli pubblici (quantitative easing), come quello
realizzato da altre banche centrali.
I segnali negativi sull'economia sono stati confermati ieri dall'indice Pmi sul settore dei servizi, che mostra un
indebolimento da 54,2 a luglio a 53,1 in agosto. L'indice composito, che comprende anche la manifattura, la
cui flessione era già stata annunciata nei giorni scorsi, è sceso da 53,8 a 52,8. Un dato sopra 50, precisa la
società Markit che elabora l'indice, segna espansione.
La raffica di cifre tutte negative uscite nelle ultime settimane costringerà la Bce ad abbassare le sue stime e
mette in dubbio le capacità di ripresa che, seppur graduale e modesta, era prevista dall'Eurotower per la
seconda metà dell'anno. A giugno, gli economisti della Bce avevano indicato una crescita dell'economia
dell'1% nel 2014, dell'1,7% nel 2015 (addirittura rivedendo al rialzo questa proiezione) e dell'1,8% nel 2016.
Da tempo, gli economisti del settore privato ritengono queste cifre irraggiungibili, anche se non si attendono
dalla Bce una riduzione drastica. Nei giorni scorsi, Unicredit ha abbassato la sua previsione di crescita per
quest'anno dall'1,2 allo 0,8% e per l'anno prossimo dall'1,7 all'1,2. L'indice Eurocoin elaborato dalla Banca
d'Italia che fotografa la situazione in tempo reale ha mostrato un nuovo calo in agosto. L'incidenza di fattori
geopolitici come la crisi russo-ucraina e le sanzioni a Mosca peserà sui prossimi mesi.
Sul fronte dell'inflazione, le ultime stime della Bce appaiono anch'esse fuori mira: a giugno lo staff
dell'Eurotower vedeva l'indice armonizzato dei pressi al consumo allo 0,7% nel 2014, all'1,1% nel 2015 e
all'1,4% nel 2016. Unicredit ha già limato le sue allo 0,5% per quest'anno e all'1% l'anno prossimo. Ad
agosto, il dato ha toccato il minimo di questo ciclo allo 0,3%, lontanissimo dall'obiettivo della Bce, di stare
sotto, ma vicino al 2 per cento. Nel frattempo, come ha ammesso il presidente, Mario Draghi, nel suo
discorso a Jackson Hole a fine agosto, anche le aspettative di lungo termine degli operatori sono scese per la
prima volta sotto il 2 per cento. Con i tassi vicinissimi allo zero e per i quali un taglio potrebbe avere qualche
effetto solo attraverso il cambio, la Bce ha optato per iniezioni di liquidità alle banche condizionate alla
concessione di prestiti all'economia reale (Tltro, la prima il 18 settembre) e un programa di acquisti di titoli
cartolarizzati (Abs), del quale ci si aspetta che Draghi riveli oggi qualche dettaglio in più e possibilmente la
data d'inizio. Intanto, il presidente della Bce ha sollecitato i Governi a fare le riforme strutturali e ad utilizzare i
margini di manovra nei bilanci. La stampa tedesca ha riportato ieri indiscrezioni secondo cui il Governo (che
nella prima metà dell'anno ha avuto un surplus di 16 miliardi di euro) si muoverebbe in questo senso con un
piano di stimolo, attraverso investimenti pubblici.
© RIPRODUZIONE RISERVATASTATI UNITI Un'operazione in tre tranche
La Fed ha iniziato ad acquistare titoli di Stato e Abs nel novembre 2008. Fino ad allora aveva in bilancio 700800 miliardi di bond. Il primo quantitative easing (Qe1) ha portato il totale di titoli nel bilancio della Fed fino a
2.100 miliardi di dollari. A novembre 2010 fu lanciato un secondo Qe da 600 miliardi. A settembre 2012 la
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Oggi la riunione del board: attese le mosse anti-deflazione di Draghi
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Il Sole 24 Ore
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Fed ha deciso di rilanciare gli acquisti (40 miliardi al mese), diventati 85 a dicembre. Gli acquisti verranno
azzerati in ottobre. GRAN BRETAGNA Subito dopo la Fed
La Bank of England ha iniziato ad acquistare titoli nel gennaio 2009, per migliorare la liquidità sui mercati. A
marzo 2009 questa politica si è trasformata in un vero e proprio quantitative easing che ha portato ad
acquistare titoli pubblici e privati fino a 200 miliardi di sterline. A ottobre 2011, la Bank of England ha ampliato
gli acquisti per ulteriori 75 miliardi. Altre tranche da 50 miliardi ciascuna sono state varate nel febbraio e nel
luglio 2012. GIAPPONE Target raggiunto
I primi acquisti sui titoli, dopo la Grande recessione, hanno avuto l'obiettivo di far deprezzare lo yen: 5mila
miliardi di yen nel 2010,altri 15mila, in due tranche
nel 2012. È stato il lancio dell'Abenomics che ha costretto la Banca a varare il
primo vero quantitative easing, programmando acquisti per 50mila miliardi di titoli di Stato l'anno con
l'obiettivo prioritario,
questa volta,di portare
l'inflazione al 2 per cento. Obiettivo che pare alla portata.
SVIZZERA Interventi sul cambio
La Svizzera ha affrontato la Grande recessione e le difficoltà di Eurolandia abbassando i tassi. È stato però
l'eccessivo apprezzamento del franco, sulla spinta di flussi di capitale in cerca di un porto sicuro, che ha
spinto la Bns a portare il range per il Libor a tre mesi tra lo zero e lo 0,25% e a porre un limite massimo per il
franco a 1,20 per un euro. Gli interventi per rispettare questa quota in realtà sono stati massicci fino al 2012,
poi le aspettative hanno mantenuto il cambio al livello desiderato. Le armi dei banchieri centrali
Foto: FEDERAL RESERVE BANK OF ENGLAND BANK OF JAPAN BANCA NAZ. SVIZZERA
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Il Sole 24 Ore
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Piano privatizzazioni in alto mare
Celestina Dominelli
Celestina Dominelli u pagina 9
ROMA
Non è uno stop definitivo alla possibile cessione di ulteriori pacchetti di Enel ed Eni in mano al Tesoro. Ma
certo la decisa frenata formulata dal premier Matteo Renzi nell'intervista rilasciata ieri al Sole-24 Ore («non
sono convinto che si debba partire da Eni e Enel, non vedo prioritario ridurre le quote dello Stato») ha
parecchio spiazzato l'Economia che, giusto la scorsa settimana, aveva provato a imprimere un'accelerazione
su questo fronte con un vertice presieduto dallo stesso ministro, Pier Carlo Padoan.
Non c'è alcuna resa dei conti tra il premier e l'ex capo economista dell'Ocse, va detto; i rapporti tra i due
erano e restano buoni pur nei distinguo. Ma, dopo le parole di Renzi, che ieri hanno fatto balzare entrambi i
titoli a Piazza Affari (+3,5% per Enel, +1,26% per Eni), i tempi per una nuova discesa dello Stato nel capitale
dei due gruppi si fanno sicuramente più lunghi.
I due troveranno una soluzione, è il refrain che viene ripetuto, come peraltro rimarcava lo stesso Renzi
nell'intervista, partendo da un obiettivo che nessuno vuole mettere in discussione e su cui Bruxelles vigila: i
2,1 punti percentuali di Pil, 30 miliardi di euro circa, che, Def alla mano, dovrebbero essere garantiti dalle
privatizzazioni da qui al 2017. Ed è chiaro che se quest'anno non si arriverà a centrare il target dei 10 miliardi,
nel 2015 il governo dovrà fare un super lavoro e non potrà permettersi ulteriori slittamenti per le Ipo di Poste
ed Enav, inizialmente previste per quest'anno.
Di sicuro, infatti, per il 2014, ci sono per ora solo i 3 miliardi già incassati dal Tesoro grazie al rimborso
anticipato dei Monti bond sottoscritti dal Mef a favore del Monte dei Paschi di Siena. A questi l'Economia
vorrebbe affiancare, entro fine anno, gli 800 milioni di euro garantiti dal trasferimento al Fondo strategico
italiano, braccio operativo di Cdp, del 13,7% detenuto dal Mef in STMicroelectronics. Il condizionale è
d'obbligo perché l'eventuale passaggio dovrà comunque rispettare i paletti fissati nello statuto del Fondo che
sbarra la strada all'acquisizione di società con i conti non in ordine e la joint venture italo-francese ha
recuperato solo nell'ultima semestrale dopo un 2013 chiuso in perdita. Cdp poi, si confida dalle parti del Mef,
potrebbe anche distribuire una cedola straordinaria dopo la cessione del 35% di Cdp Reti ai cinesi di SGCC
per 2,1 miliardi di euro. Ma quest'ultimo tassello - che, in base alle regole Eurostat, andrebbe a riduzione
dell'indebitamento netto e non del debito pubblico - dovrà comunque essere oggetto di confronto con la
Cassa che ha bisogno di equity per sostenere il suo piano industriale a supporto del Paese.
Il governo dovrà quindi trovare presto la quadra e dovrà anche stabilire come procedere per le partecipate
degli enti locali. Il premier ha fatto capire che, tra cessioni e aggregazioni, propenderebbe più per le seconde
con un ruolo di «promoter» per Cdp e Fsi. Una posizione condivisa dal presidente di Cassa, Franco
Bassanini, interpellato dal Sole-24 Ore. «Siamo da tempo favorevoli alla creazione di campioni nazionali sul
fronte delle utility. Però non bisogna lasciare ai singoli Comuni, attraverso partecipazioni di controllo, la
possibilità di decidere il bello e il cattivo tempo».
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LA FRENATA SULLA VENDITA DI QUOTE
«Non sono convinto che si debba partire da Eni e Enel. Non vedo prioritario ridurre le quote in società
con grandi potenzialità»
IL TAGLIO DEL DEBITO
«Le privatizzazioni si faranno e i target saranno rispettati. Esiste il tema di fare cassa: con Padoan
troveremo le soluzioni»
LE PARTECIPATE
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ENI ED ENEL SU IN BORSA DOPO LO STOP
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«Se vogliamo intervenire si fa in modo organico, non arzigogolato. Lo faremo con un disegno
strategico con la delega prevista dal Ddl Madia»
Foto: La galassia delle principali partecipazioni Le società direttamente partecipate dal ministero
dell'Economia e relative quote (*) CDP detiene una partecipazione del 25,76%; (**)detiene il 28,23% di
STMicroelectronics Fonte: ministero dell'Economia
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Tagli di spesa per spingere su investimenti e infrastrutture
Alberto Quadrio Curzio
La procedura che porta alla legge di stabilità inizierà a giorni e, purtroppo, non sarà una passeggiata né per il
governo né per l'Italia. Siamo infatti in recessione-deflazione più della media (alzata, si fa per dire, dalla
Germania!) dell'eurozona. La speranza sul programma del neo presidente della Commissione Juncker (e cioè
investimenti nell'economia reale e nelle infrastrutture per 300 miliardi in tre anni) viene smorzata dalla critica
tedesca all'apertura di Draghi su queste politiche espansive. Rimaniamo così in attesa sia della Bce per
l'erogazione di liquidità finalizzata al rilancio dell'economia reale, sia delle politiche della nuova Commissione
europea per spingere la crescita, sia della capacità dei governi di Paesi a crescita zero (o meglio negativa)
come il nostro di contrattare flessibilità di bilancio in cambio di riforme. Anche perchè,malgrado i limiti delle
nostre riforme, non è (tutta) colpa nostra se l'eurozona ha fatto la scelta sbagliata di rigore senza
investimenti.
Riformare l'Italia. Il governo ha piani ambiziosi che speriamo possa migliorare (anche accettando le critiche
costruttive) ed attuare. Per questo bisognerà analizzare bene il programma dei mille giorni, del «passo dopo
passo». Intanto le previsioni sulla nostra crescita, disoccupazione e sui saldi di bilancio peggiorano anche se
Renzi e Padoan rassicurano sul rispetto dei vincoli di bilancio europei. Intanto, il governo ha approvato lo
«sblocca-iItalia» che ha misure interessanti per la crescita,anche tramite le infrastrutture. Una parte non
piccola è però subordinata alle risorse finanziarie su cui aspettiamo la legge di stabilità.
A questo proposito consideriamo una questione (tra le tante) sulla quale si valuterà la capacità del governo
di fare le riforme durevoli. Si tratta della revisione della spesa pubblica, tema (tra gli altri) sul quale in una
serrata intervista si sono intrattenuti ieri qui il presidente del consiglio e il direttore del nostro quotidiano.
Razionalizzare la spesa. Il presidente Renzi ritiene di poter tagliare 20 miliardi nel 2015 per liberare risorse
da investire nella istruzione e nella ricerca.
Alberto Quadrio Curzio
All'ovvia preoccupazione che ciò si faccia con i tagli lineari, la risposta è stata che non sarà così perché ogni
ministero dovrà fare delle scelte e ridurre del 3% selettivamente la spesa. Lo speriamo e tuttavia riteniamo di
richiamare all' attenzione sulla necessità di seguire le «nuove proposte di revisione della spesa» (Nprs)
elaborate dal commissario nominato dal governo, Carlo Cottarelli e dai suoi collaboratori.
Non si tratta di limitare la discrezionalità valutativa del governo ma di avere una precisa mappa sui cui
muoversi. Le Nprs lo sono perché applicano all'Italia, su una serie di aree di intervento, le migliori pratiche
dell'Ocse già usate in altri Paesi.Ottenere dai ministri e dai ministeri una riduzione razionale della spesa è
pressoché impossibile senza avere un'indicazione precisa sulle opzioni di risparmi e riallocazioni.
Queste sono fornite proprio dalle Nprs di Cottarelli che punta su 59 miliardi di risparmi nei tre anni 2014-16. I
risparmi lordi massimi calcolati (che non considerano il calo indotto sulle entrate) sono di 7 miliardi nel 2014
(sui dodici mesi, ovvero 3,5 su sei che ci sono), di 18 nel 2015, di 34 nel 2016. Le Nprs sono su cinque
macro-aree di intervento con i relativi risparmi su ciascun anno del triennio: efficientamento (per 19,4
miliardi); riorganizzazioni (7,9); costi politica (2); riduzione trasferimenti (13,5); settori: difesa, sanità, pensioni
(15,1). Ciascuna macro-area è poi dettagliata per ogni anno e per varie voci di risparmio e di efficientamento
a livello statale e di enti locali. Qualcuno ha ironizzato (sbagliando) su alcune piccole voci di taglio spese che
mostrano invece la serietà delle Nprs perché anche la somma di micro-sprechi genera macro-sprechi.
Tre proposte-richieste al Governo. La prima è una proposta al presidente del consiglio. Data la struttura e la
declinazione delle Nprs, è necessario che la stessa venga utilizzata appieno nelle trattative con i ministri (e
non solo perché il presidente Renzi dice tra l'altro di voler mantenere Cottarelli nel suo incarico). Sarebbe
diversamente difficile discutere con i ministeri operazioni articolate di razionalizzazione della spesa. Né
bisogna correre il rischio di passare sbrigativamente ai tagli lineari (o quasi) che talvolta colpiscono anche
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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RISORSE E RIPRESA
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quelle spese necessarie dove non ci sono resistenze corporative.
La seconda è una richiesta al Governo. E cioè accertare entro il 12 settembre quando ci sarà l'eurogruppo (e
prima con Juncker) qual è la misura delle flessibilità chel'Italia può ottenere sui vincoli di bilancio europei.
Comprendiamo la riservatezza di queste trattative ma almeno un segnale che sono in corso sarebbe utile. La
questione è cruciale non per cambiare le Nprs ma per definire meglio il cronoprogramma delle misure
specifiche perché le riforme strutturali della spesa sono più lente ma più efficaci anche in termini di recuperi di
efficienza che si estende poi a tutto il sistema economico.
La terza è una proposta-richiesta. Non si rinvii il programma di razionalizzazione delle (quasi)aziende
partecipate dagli enti locali che noi abbiamo così denominato il 31 agosto su queste colonne perché molte
non sono imprese date le loro perdite croniche. La risposta del presidente Renzi nella citata intervista non
soddisfa. Condividiamo con lui l'obiettivo di voler passare dalle circa 8.000 a 1.000 e che la Cassa depositi e
prestiti con il Fondo strategico italiano potranno svolgere un ruolo importante al proposito.Tuttavia ci
aspettavamo che il presidente Renzi prendesse posizioni sui tempi e sulle modalità (chiusure, aggregazioni,
vendite, quotazioni) della ristrutturazione e/o che rinviasse al recente programma elaborato da Cottarelli e dai
suoi collaboratori che prospetta un risparmio a regime di 3 miliardi annui dalla razionalizzazione. Al quale per
noi si aggiungerebbe un notevole (e non misurato) aumento di efficienza delle economie locali che sono
cruciale per l'Italia
Una conclusione. Difficile dire se le nuove proposte di revisione della spesa pubblica elaborate da Cottarelli
andranno in porto, se l'Europa ci darà delle flessibilità di bilancio, se Renzi avrà la forza politica di ottenere
queste flessibilità e di fare le riforme. Se tutto andasse al meglio (e anche l'euro-Germania rinsavisse)
avremmo una proposta per le risorse che rimanessero disponibili. Spingere al massimo sugli investimenti (e
non solo con riduzione delle tasse) nell'economia reale, nella tecnoscienza e nelle infrastrutture per rilanciare
la crescita adesso e per garantirsi un apparato produttivo più moderno per il futuro. Cioè per quelle
generazioni che Renzi giustamente cita spesso.
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04/09/2014
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La grande gelata dei consumi
Ancora giù nel 2014: per la prima volta la grande distribuzione riduce gli spazi
Emanuele Scarci
In sette anni di grave crisi economica, il reddito pro capite disponibile è diminuito di 2.700 euro. Le famiglie
italiane hanno reagito riducendo di 100 miliardi di euro la spesa per i consumi di prodotti alimentari, di
abbigliamento e di prodotti dell'elettronica. È il quadro che emerge dal Rapporto Coop 2014 "Consumi e
distribuzione" presentato ieri a Milano. A segnalare i cambiamenti nelle abitudini e negli stili di vita dei
consumatori italiani intervengono anche altri indicatori. Per la prima volta nella storia, infatti, nel 2014 si è
ridotta la superficie di vendita della grande distribuzione, un fenomeno ancora in corso. Lo scenario del 2014
prevede consumi ancora in diminuzione. I primi segnali di una timida ripresa degli acquisti sono attesi solo nel
2015. Boom del ricorso a sconti e promozioni.
u pagina 11
Emanuele Scarci
MILANO
Sette anni di crisi hanno eroso il reddito pro capite disponibile di 2.700 euro e le famiglie hanno reagito
tagliando la spesa per consumi di 100 miliardi: la grande crisi dei consumi in Italia ruota intorno a questi due
dati, con ricadute negative sulle abitudini di acquisto e sugli stili di vita: è quanto emerge dal Rapporto Coop
2014 "Consumi e distribuzione" presentato ieri a Milano dai vertici della catena distributiva leader.
«La crisi è stata profonda ma era impensabile che non avesse una fine - sostiene Marco Pedroni, presidente
di Coop Italia -. Crediamo invece che nel 2015 possa esserci la svolta, a patto però che si operi per il
sostegno alla domanda interna con provvedimenti a favore delle classi più deboli, con investimenti strutturali
di ammodernamento del Paese e con politiche di riattivazione del credito alle imprese». Perché gli 80 euro
del bonus Irpef non sono passati dalle casse del supermercato? «Sono stati molto utili - ammette Pedroni senza il bonus sarebbe stato peggio, ma non poteva da solo invertire il trend. Sugli scontrini gli 80 euro non si
sono visti per il semplice fatto che la propensione al risparmio degli italiani è molto forte: nel biennio 2013/14
è cresciuta, con il 41% degli italiani che ha destinato il denaro disponibile al risparmio».
Nel Rapporto Coop 2014 si evidenzia che i consumi delle famiglie sono scivolati dai circa 900 miliardi del
2007 agli 800 di quest'anno. «La crisi ci ha tolto 100 miliardi di spesa per consumi - sottolinea Albino Russo,
direttore dell'ufficio studi Coop -. Anche se ora, dopo 13 trimestri di contrazione della spesa alimentare, la
caduta si è arrestata. Rimangono però i danni: oggi la famiglia media italiana spende il 20% in meno di quella
tedesca». Rimane una situazione di estrema debolezza: nel primo semestre del 2014 le vendite sono calate
dello 0,3% sia a valore che a volume. A livello disaggregato a fronte del -1/-1,5% del Centro Nord c'è il -3,1%
del Sud.
Il calo della spesa ha avuto ripercussioni anche sulle reti commerciali. «Per la prima volta nella sua storia sottolinea Pedroni - la grande distribuzione alimentare ha fatto segnare la prima riduzione dell'area di vendita:
-0,2% e nel 2014 subirà una contrazione più consistente. In crescita solo discount e superstore, ma, a parità
di rete, persino i discount mostrano i primi segnali di difficoltà delle vendite». Poi il presidente del gigante
della distribuzione (12,7 miliardi di ricavi e 1.200 negozi) cita anche uno studio Mediobanca da cui emerge
che nel 2013 la redditività della distribuzione (risultato d'esercizio/capitale netto) è precipitata al -0,5% mentre
l'industria ha spuntato un 7,7%. La gdo ha problemi di efficienza? «No - risponde Pedroni - la differenza sta
nel -6,1% tra prezzi al dettaglio e all'industria nel primo semestre, anche se ammetto per Coop errori nella
proposta commerciale: nel 2015 però sarà molto più innovativa». E il nuovo modello gestionale e
organizzativo della galassia Coop (vedi Il Sole 24 Ore del 10 luglio 2013)? «Stiamo unificando ruoli e
strategie commerciali - replica il top manager - Dopo il food, l'ortofrutta e le carni siamo passati al capitolo del
non food. Siamo fiduciosi». Dopo lo stop dell'Antitrust a Centrale italiana qual è il piano B? «Il suo ruolo si era
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Studio Coop: dal 2007 è calata di 100 miliardi la spesa per alimentari, vestiti ed elettronica
04/09/2014
Il Sole 24 Ore
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esaurito - risponde Pedroni - ora lavoriamo su un progetto di centrale europea».
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I NUMERI
800 miliardi
Spesa complessiva per consumi
Nel 2014 le famiglie spenderanno 100 miliardi in meno del 2007
-0,3%
Vendite nel primo semestre 2014
La contrazione è identica per le quantità e il valore
13 trimestri
Calo della spesa alimentare
Dopo 39 mesi consecutivi si è interrotto il calo degli acquisti food
Foto: Il quadro dei consumi e dei prezzi LE VENDITE DEL PRIMO SEMESTRE 2014 Totale Italia. Trend del
Grocery a valore e volume (vendite a prezzi costanti) L'EVOLUZIONE DELLA SUPERFICIE DI VENDITA
DELLA GDO ITALIANA L'area di vendita Iper + Super + Lis + Dis LA DINAMICA DEI PREZZI Variazione %
2008-2013 quantità e prezzi di vendita della Gdo - Fonte: Nielsen
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Verrebbe conteggiato anche l'impatto delle riforme Nel mirino Pa, giustizia e snellimento della burocrazia
Lunedì il premier incontrerà tutti i ministri e valuterà tagli del 3% per ogni dicastero
VALENTINA CONTE
ROMA. Un piano B. Un'altra spending review . O meglio, un metodo diverso da affiancare a quello classico
per assicurare risparmi di spesa senza tagliare.
Ma "cifrando", assegnando dunque un valore economico, alla buona amministrazione.
Quanto vale un bravo dirigente dello Stato, efficiente e scrupoloso?E un giudice che smaltisce e azzera il
suo arretrato? E gli uffici periferici accorpati? Se fosse possibile misurare la semplificazione burocratica, lo
snellimento delle procedure, la riorganizzazione delle sedi, forse il governo non sarebbe costretto a
individuare 12-13 miliardi di risparmi (al netto dei 34 già coperti quest'anno) esclusivamente in nuovi tagli alla
spesa pubblica da inserire nella legge di Stabilità di ottobre. Anzi, potrebbe permettersi il lusso di trovarne
ben di più, addirittura 20 di miliardi, il nuovo obiettivo di spending review rivelato ieri dal premier Renzi per il
2015 (con extra risorse per istruzione e ricerca). Ma si può cifrare l'attuazione delle leggi? Al ministero
dell'Economia ci provano. «Un'operazione di spending così profonda e radicale - con obiettivi qualitativi e
quantitativi importanti, 16 miliardi nel 2015 e 32 miliardi nel 2016, rispettivamente uno e due punti di Pil - si
può realizzare soltanto attraverso misure legislative nuove? Oppure una quota di risparmio può venire da una
più efficace azione amministrativa per attuare le riforme già fatte?», si chiede il viceministro Enrico Morando.
«Io dico che una quota di questi risparmi può anche derivare da attività di alta amministrazione, ovvero di
migliore attuazione delle leggi già approvate, dunque già incorporate nel bilancio a legislazione vigente».
Morando fa anche un esempio.
«Il decreto degli 80 euro è pieno zeppo di norme per la revisione della spesa a cui noi non abbiamo
associato particolari risparmi, ritenendo che a consuntivo si potessero cifrare quelle norme. Ora, a distanza di
qualche mese, avviata l'attuazione, possiamo e dobbiamo valutarle». Un altro esempio è l'unificazione degli
uffici periferici dello Stato, inserita nella riforma sulla Pubblica amministrazione. «Anche a questa norma non
abbiamo associato risparmi. Ma se non facciamo così, quei 16 e 32 miliardi non arriveranno mai».
L'idea insomma è di cambiare verso all'approccio della spending review . Da top down a bottom up : non più
dall'alto al basso, ma dal basso all'alto. Passando così dal modello francese a quello inglese, laddove Parigi
predilige un ministero dell'Economia regista assoluto del taglio alla spesa, mentre Londra "delocalizza" e
demanda ai ministeri (i departments , come illustra bene uno studio del Formez). Sono bottom up pure
Canada e Irlanda, mentre Olanda e Danimarca seguono un sistema misto tra i due.
«Guardiamo anche all'esempio della Svezia - prosegue Morando - e alla sua spending review radicale e
lunga: hanno preso le leggi, le hanno cambiate e poi hanno ottenuto risparmi, per una parte significativa,
dall'attività amministrativa».
Un'operazione del genere dove potrebbe trovare accoglienza? «Non nella legge di Stabilità che ospita solo
innovazione legislativa e dunque nuove norme. Ma nella legge di bilancio sì, contabilizzando lì questo tipo di
risparmi, maturati "dal basso". Forse è il caso di spostare l'attenzione dalla prima alla seconda. Tanto più che
nel 2016 si farà solo la legge di bilancio».
Per ora non si azzardano cifre. Né si intuisce il metodo di quantificazione che il ministero di Padoan potrebbe
individuare per dare un valore all'amministrazione virtuosa, visto che l'Analisi di impatto della
regolamentazione (Air), uno strumento esistente nelle pubbliche amministrazioni sin dal 1999, ad oggi non ha
prodotto risultati utili in tal senso. Il timore sullo sfondo, esplicitato dall'ex viceministro pd all'Economia
Stefano Fassina,è che alla fine il governo debba toccare la spesa sociale per portare a casa tutti i risparmi.
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Spending review in salita il Tesoro studia il "piano B" per arrivare a 20
miliardi
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Oltre a tagliare 2 mila partecipate (ricavando 500 milioni nel 2015), incidendo sulle centrali di acquisto,
introducendo i costi standard, in base alle indicazioni del commissario Cottarelli. Il premier Renzi ha
annunciato ieri che lunedì incontrerà «tutti i ministri con il ministro dell'Economia Padoan» e valuterà con loro
«tagli del 3% per ciascun ministero». Forse un assaggio di tecnica bottom up , dal basso. Oppure la vecchia,
cara logica, del taglio lineare demandato. L'obiettivo è quello, fate voi.
LE TAPPE COTTARELLI Il governo Renzi conferma il commissario chiamato dal precedente esecutivo Letta
per tagliare la spesa. È Carlo Cottarelli, dal 1988 all'Fmi OBIETTIVI I tagli alla spesa pubblica previsti nel
triennio 20142016 sono pari a 32 miliardi: 3 nel 2014, 13 nel 2015 e altri 16 nel 2016. Ieri Renzi li ha portati a
20 miliardi nel 2015 33 RACCOMANDAZIONI Sono quelle previste nel piano Cottarelli. Tra le altre misure, il
contributo sulle pensioni alte, i tagli alla sanità, la chiusura delle sedi regionali della Rai
IL VENERDÌ L'ERA DELLA DISEGUAGLIANZA La copertina del Venerdì, in edicola domani, è dedicata a
Thomas Piketty. L'economista francese denuncia che la distribuzione delle ricchezze è iniqua come nell'800
Le di!erenze di prezzo nella Pa per acquistare beni e servizi
Prezzi fuori convenzione Consip
90,09
78,14
210,52
16.993
9.308
0,020
5,196
39
331
231,95
20.096
9.904
0,047
5,412
214,95
587 anno 2013 Sedia operativa Prezzi in convenzione Consip euro euro Scrivania operativa con due
posizioni a!ancate euro euro Auto berlina media euro euro City car euro euro Telefonia mobile prezzi per sms
euro euro Carta da stampante A4 a risma euro euro Stampanti individuali euro euro Personal computer euro
euro FONTE MINISTERO ECONOMIA
Foto: Pier Carlo Padoan
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Nozze griffe-occhiali in crisi Safilo giù del 26% in Borsa E tremano tutti i
produttori
Gli effetti dell'addio di Gucci al contratto di licenza Il settore vale 3 miliardi l'anno con 16 mila addetti In Italia a
fine 2013 c'erano 869 produttori e ora potrebbe scattare la corsa al consolidamento Si aspettano le mosse
dei colossi Lvmh e Richmont che vendono prodotti da vista con i loro brand
SARA BENNEWITZ
MILANO. Duecentocinquanta milioni di capitalizzazione che sfumano insieme alla licenza per disegnare e
distribuire gli occhiali di Gucci. Ieri le azioni di Safilo sono crollate del 26% a 11,3 euro, nonostante che per
disdire con due anni di anticipo l'accordo con il gruppo di Padova, il colosso del lusso Kering abbia offerto
una penale di 90 milioni. Eppure la cifra pagata dal gruppo francese che controlla marchi come Saint Laurent,
McQueen, Brioni, Bottega Veneta e Pomellato, basta a coprire i due anni di mancati guadagni di Safilo, che
continuerà a produrre gli occhiali di Gucci fino al 2020, ma potrà risparmiare sui costi di design e distribuzione
della griffe. Solo che ieri il mercato temeva che l'esempio di Kering possa essere seguito anche da altri
colossi del lusso tra cui in primis Lvmh, che a Safilo ha delegato le licenze di Dior e Fendi. Inoltre gli analisti
facevano notare come con poca lungimiranza il primo azionista del colosso di occhiali, l'olandese Hal (43% di
Safilo), una anno fa abbia licenziato l'ex ad Roberto Vedovotto, senza nemmeno fargli firmare un patto di non
concorrenza. Proprio Vedovotto è il manager che Kering ha scelto per guidare la sua divisione eyewear per i
marchi di lusso e del lyfestyle, che nel 2013 ha registrato un giro d'affari di 350 milioni, di cui 250 realizzati
dalla Safilo.
MILANO. Se il settore del lusso rallenta la sua crescita, ecco che i grandi colossi cominciano a riportarsi in
casa alcuni pezzi della catena del valore che fino ad ora avevano demandato ad altri. Burberry lo ha fatto
coni profumi, Kering muove i primi passi negli occhiali, e ora c'è da scommettere che anche altre griffe
potrebbero emulare il loro esempio. Solo che l'occhialeria, più della cosmesi, è un'eccellenza tricolore dato
che tra i primi cinque colossi al mondo quattro sono italiani. Al primo posto c'è la Luxottica di Leonardo Del
Vecchio, che proprio ieri dichiarava al Financial Times di voler fare una joint venture con il gigante del lusso
mondiale Lvmh, segue Safilo e altre illustri realtà come De Rigo e Marcolin. Stando agli ultimi dati dell'Anfao,
in Italia vengono realizzate circa 3 miliardi l'anno di produzioni di alta manifattura (di cui 2,8 miliardi vendono
esportati in tutto il mondo) dando lavoro a circa 16mila addetti. «L'occhialeria implica una serie di specificità
produttive e distributive molto complesse e diverse rispetto al core business delle aziende di lusso - osserva
Claudia D'Arpizio, partner di Bain ed esperta del settore lusso difficili da internalizzare anche perché senza le
adeguate dimensioni di scala, non hanno la stessa marginalità. Tuttavia è naturale che molte grandi aziende,
oltre a Kering, in questo momento si stiano facendo una domanda sul segmento eyewear».
Ma al di là della convenienza di riportarsi in casa parte dei margini - visto che le royalties del settore
garantiscono ai grandi marchi del lusso in media un 10-15% netto rispetto ai ricavi- le scelte di ogni singola
griffe dipenderanno soprattutto da quali sono le prospettive di crescita dei prossimi anni e le disponibilità ad
investire anche in business con redditività inferiori. Inoltre bisogna avere le dimensioni di scala, come Kering i
cui marchi lo scorso anno hanno venduto 350 milioni di occhiali, oppure puntare sull'esclusività come Chanel
(100 milioni l'anno di montature) che tiene la produzione volutamente limitatae preferisce avere una
distribuzione selettiva. Prada, che nel 2013 con i suoi marchi ha venduto occhiali per circa 300 milioni di euro,
in passato aveva provato a farsi gli occhiali in partnership con De Rigo, ma poi aveva affidato la produzione e
la distribuzione delle sue montature a Luxottica. E oggi, stando a fonti vicine al gruppo che controlla marchi
come Church's e Miu Miu, Prada non avrebbe allo studio nessuno tipo di progetto sull'occhialeria. Stesso
discorso per Armani (circa 250 milioni di ricavi dagli occhiali), un gruppo che da sempre gestisce con
successo il rapporto con i suoi tanti licenziatari. Resta da capire cosa intendano fare altri colossi come Lvmh
o Richemont: visto il loro portafoglio marchi e la potenza della loro rete distributiva potrebbero avere diversi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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IL CASO
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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vantaggi da un'eventuale diversificazione. Di sicuro, dicono gli esperti, il settore dell'occhialeria rischia di
andare verso una maggiore concentrazione, proprio perché i gruppi del lusso che sono sempre più affamati di
crescita e più selettivi nella distribuzione, potrebbero pretendere dai loro licenziatari condizioni che solo i
grandi colossi saranno in grado di assicurargli. Questo potrebbe spingere a un consolidamento trai i vari
produttori (in Italia ce n'erano 869 a fine 2013), ma anchea integrare le fabbriche con le catene di occhialeria.
Solo Luxottica ha un modello integrato tra produzione e distribuzione, associato a un forte portafoglio di
marchi propri (Ray Ban, Oakley, Alain Mikly) che rappresenta oltre il 70% dei suoi 3 miliardi di produzione.
Pertanto se anche le griffe in licenza decidessero di farsi progressivamente gli occhiali in casa, per Luxottica i
rischi di perdere grosse fette di fatturato sarebbero limitati. Safilo, al contrario, realizza circa il 25% del suo
giro d'affari con i marchi di proprietà (Carrera e Polaroid) ed è poco diversificata nella distribuzione. Ma anche
per tutte le altre medio grandi aziende come Allison, De Rigo e Marcolin, il futuro è meno roseo che in
passato.
5 mar 2014 15 apr 2014 2 mag 2014 30 mag 2014 8 ago 2014 Ieri 17,30 14,19 17,21 17,12 14,10 11,88
SaÞlo crolla in Borsa
Foto: FINANCIAL TIMES
Foto: FT: LUXOTTICA COME IL LIVERPOOL '98 Il Financial Times, per esprimere I propri dubbi sul
triunvirato che guiderà Luxottica, ha ricordato a Leonardo del Vecchio la fallimentare stagione del Liverpool
del '98-99 (in foto, l'attaccante Michael Owen) guidato da due allenatori
Foto: IN ALLARME I produttori di occhiali sono in allarme per la crisi delle nozze con le griffe di moda
04/09/2014
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Il 14,7% del pacchetto rastrellato sarà distribuito ai soci, con ampi sconti fiscali sulle plusvalenze
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANAIS GINORI
PARIGI. La guerra più eclatante della moda francese finisce con un armistizio. Lvmh e Hermès siglano un
accordo in base al quale il colosso del lusso guidato da Bernard Arnault rinuncia alla scalata di Hermès di cui
aveva acquistato fino al 23,2% del capitale, pari a un valore di 6,4 miliardi. Secondo la mediazione del
tribunale commerciale di Parigi, sottoscritta dalle parti, Lvmh distribuirà ai propri soci le azioni Hermès in
portafoglio, riducendo la partecipazione in Hermès fino all'8,5%. Il gruppo Arnault e le società controllate
attraverso Christian Dior si impegnano anche a non acquistare azioni Hermès almeno fino al 2019. Si
chiudono così 5 processi (2 promossi da Lvmh e 3 da Hermès) dopo la "mini scalata" iniziata nell'ottobre
2010 all'insaputa di Hermès, che si è sempre opposta a questa partecipazione. Nonostante Lvmh abbia
sempre smentito ogni ostilità nei suoi investimenti, era stata sanzionata dall'Autorité des Marchés Financiers,
la Consob francese, con una multa record pari 8 milioni per non avere resi noti i progressivi acquisti. L'antica
selleria di Faubourg-SaintHonoré, fondata nel 1837 da Thierry Hermès e oggi guidata da Axel Dumas, 44
anni, rappresentante della sesta generazione, in questi anni siè opposta con tutti i mezzi all'ingresso di
Arnault nel capitale. Nel 2011 è stata creata la holding "H51", cassaforte di famiglia in cui il 51% delle azioni
di Hermès sono vincolate per 20 anni.
La battaglia finanziaria di Hermès contro il magnate della moda francese abituato a fare shopping di marchi e
aziende anche in Italia ha appassionato molti esperti del settore, anche per via delle forze in campo: Hermès
ha una notorietà mondiale ma un fatturato di 3,75 miliardi contro i 29,15 miliardi di Lvmh. Nella rivalità si
scontrano anche stili imprenditoriali diversi. Dopo il primo raid in Borsa, l'allora direttore di Hermès, Patrick
Thomas, trattò Arnault come un parvenu. «Noi non siamo lusso, ma qualità». Arnault, 63 anni, uomo più ricco
di Francia, ha deciso di deporre le armi, con qualche vantaggio. Oltre a risparmiare tutte le spese legali per i
contenziosi aperti, avrà un corposo sconto fiscale sui 2,8 miliardi guadagnati con l'acquisto delle azioni
Hermès: una somma che non sarà tassata come plusvalenza ma come dividendo. A partire da dicembre,
Lvmh distribuirà le azioni che detiene in Hermès ai propri azionisti (tra cui anche gli italiani Della Valle e i
fratelli Bulgari). La Borsa di Parigi ha premiato Lvmh, che ha messo a segno un rialzo superiore al 4%.
Hermès ha lasciato sul terreno oltre il 7% venendo meno l'appeal speculativo, anche se la maison di
Faubourg-Saint-Honoré ha accantonato un cash flow pari a 1 miliardo, ora probabilmente distribuito agli
azionisti. Lvmh, Dumas e Arnault si dicono soddisfatti per aver pacificato «le relazioni tra i due gruppi
rappresentativi del savoir faire francese». Hermès è un'azienda famigliare unica nel suo genere, con un
margine operativo pari al 32% (rispetto al 21% di Lvmh) e alcuni prodotti simbolo, come la borsa Birkin che si
vende a oltre 10mila euro. «Da Hermès non diciamo è caro, ma è costoso», dice Dumas per sintetizzare un
concetto di eleganza molto francese, poco esibitoe pacchiano. Per Arnault potrebbe non essere il capitolo
finale.
A n c h e q u a n d o a r r i v e r à all'8,5%, il magnate rimarrà il primo singolo azionista della Maison. E con
un futuro cambio di generazione alla guida dei due gruppi la battaglia potrebbe essere riaperta. I
PROTAGONISTI IL COMPRATORE Bernard Arnault, proprietario del polo del lusso Lvmh, ha acquistato fino
al 23,2% di Hèrmes IL FONDATORE Nel 1837, il sellaio Thierry Hèrmes apre una bottega a Parigi.
Raccoglierà il testimone nel 1878 il figlio Charles-Èmile IL MANAGER Axel Dumas è l'ad di Hèrmes
International dal giugno 2013 È nato a Parigi nel 1970 I SOCI Lvmh distribuirà ai propri soci le azioni di
Hèrmes. Tra i beneficiari anche la famiglia Della Valle (in foto, Diego)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Armistizio Lvmh-Hermès Arnault rinuncia alla scalata
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Pag. 1
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Boom di Marchionne in Usa
L'exploit è merito soprattutto di Jeep e Ram Truck e del ritorno di fi amma del consumatore americano per
suv e van. Ok anche i dati del Brasile. Vola il titolo Fiat (+2,7%) mentre l'ad vende stock option
Rosario Murgida MF-DOW JONES
(a pag. 2) Boom di vendite negli Stati Uniti per Chrysler ad agosto. Il gruppo ha battuto ampiamente le attese
degli analisti con una crescita di ben il 20% a 198.379 unità contro il +12% atteso e il titolo Fiat ha vissuto
un'eccellente seduta a Piazza Affari terminata con un balzo del 2,7% a 7,58 euro. Le performance sono state
trainate dagli incrementi registrati dai marchi Chrysler, Jeep e Ram Truck e ha portato il gruppo a segnare il
miglior agosto dal 2002 e il 53esimo mese consecutivo di crescita, una striscia di risultati positivi senza
precedenti nella storia del settore automobilistico statunitense. La crescita di agosto, dovuta anche alla buona
intonazione del mercato e al ritorno degli americani all'acquisto di suv e truck, prosegue lormai lungo
momento positivo negli Stati Uniti, fonte principale di redditivitià e crescita per l'intero gruppo Fiat Chrysler
Automobiles. Il marchio Jeep ha continuato a registrare risultati eccellenti, raggiungendo un livello record per
il mese di agosto, e le vendite del marchio Ram Truck sono cresciute del 39%», ha commentato il
responsabile commerciale per gli Stati Uniti, Reid Bigland. Tra i vari modelli del gruppo, sette hanno segnato
il miglior agosto di sempre: Jeep Cherokee, Patriot e Wrangler, delle Dodge Dart e Journey, della Chrysler
Town & Country e del Ram Cargo Van, a conferma delle forti performance del segmento Truck, in crescita
del 28% a 155.627 unità a fronte del calo del 3% a 42.752 unità delle auto passeggeri. Jeep, con 68.766 auto
vendute, ha conseguito un incremento del 49%, segnando il miglior agosto in assoluto e il più elevato
aumento percentuale tra i vari marchi Chrysler. Il nuovo Jeep Cherokee e il Jeep Patriot hanno entrambi
stabilito record di vendite mensili assoluti e l'aumento del 27% registrato dal Jeep Patriot è stato il più elevato
tra i vari modelli del marchio. Le vendite del marchio Ram Truck, che includono Ram ProMaster e Ram Cargo
Van, hanno conseguito un aumento del 39% a 46.594, segnando il miglior agosto dal 2005 e il miglior mese
dell'anno. Il brand Chrysler, grazie a 29.762 vendite, ha registrato un incremento del 4% e il miglior agosto
dal 2007 trainato dalla Chrysler 200 e dalla Chrysler Town & Country. Il marchio Dodge ha invece subito un
calo complessivo del 6% a/a a 49.895. Infine le vendite del marchio Fiat sono diminuite del 20% a 3.362
unità. Il calo è attribuibile a un richiamo che prevede la sostituzione degli airbag per le ginocchia sulle Fiat
500L negli Stati Uniti e Canada. Le attività di sostituzione inizieranno a breve. Le vendite di Fiat 500 sono
aumentate invece del 12% segnando il miglior agosto dal 2012. Chrysler, che ha chiuso il mese con scorte
per 471.930 veicoli, pari a 64 giorni di forniture, e una proiezione di vendite complessive per l'intero anno di
17,4 milioni di unità, ha chiuso i primi otto mesi dell'anno con 1.386.169 veicoli venduti e una crescita del 24%
a/a con 1.063.078 truck (+30%) e 323.091 automobili (-18%). Intanto l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, ha
ceduto 1.320.000 azioni Fiat ordinarie, a un prezzo unitario medio di cessione di 7,55241 euro, delle
4.666.666 azioni Fiat ordinarie attribuitegli in forza del piano di stock grant, (riproduzione riservata)
FIAT SPA
3 giu '14 3 set '14 6,0 7,5 7,0 6,5 8,0 quotazioni in euro 7,58 € +2,71% IERI
Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/fca
Foto: Sergio Marchionne
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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VOLA CHRYSLER AGOSTO RECORD: LE VENDITE SONO SALITE DI BEN IL 25% A QUASI 200 MILA
ESEMPLARI
04/09/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Angelo De Mattia
Mai come nei giorni che hanno separato il discorso di Jackson Hole di Mario Draghi dall'odierna riunione del
Consiglio direttivo della Bce si sono potute osservare tante previsioni, a volte tra loro nettamente discordanti,
e tante riflessioni sulle decisioni che oggi potrebbe adottare o rinviare l'Istituto monetario. Il favor iniziale, in
tali previsioni, per l'adozione del quantitative easing ha messo in moto nei mercati una specie molto limitata di
tale tipo di operazioni senza l'intervento della Banca centrale. Poi, a poco a poco, questa ipotesi è passata in
secondo piano in conseguenza di una più approfondita riflessione sui contenuti dell'intervento di Draghi e
sulle condizioni in esso indicate. Si è allora fatta strada l'ipotesi che la Bce riduca ancora i tassi ufficiali di
riferimento portandoli allo 0,05%, insomma in prossimità dello zero. Secondo alcuni previsori, una tale scelta
dovrebbe contribuire, con altre misure, a indebolire l'euro nei confronti soprattutto del dollaro e consentire il
miglioramento delle esportazioni dell'area della moneta unica. Tuttavia, non si vede una così grande
innovazione nell'ipotizzata riduzione del costo del denaro, essendo questo già a un livello attuale
assolutamente basso. Più vicini a ciò che effettivamente potrà essere deliberato sono coloro che si sono
concentrati sugli acquisti dei titoli cartolarizzati, le Abs, prevedendo che nella riunione in questione e, poi,
nella tradizionale conferenza-stampa saranno dettagliatamente indicate le norme e le procedure per tale
riacquisto, deciso solo in linea di massima nella seduta del 5 giugno scorso. L'argomento è delicato perché
queste operazioni dovranno avere a oggetto titoli che siano lontani mille miglia dalle cartolarizzazione che
sono state alla base, con i famigerati subprime, della crisi finanziaria globale: sarebbe veramente un patire la
sindrome di Stoccolma se non si fosse esageratamente scrupolosi in una decisione del genere. Sarà poi
opportuno che siano chiariti i termini del conferimento a BlackRock dell'incarico di consulenza sulla
progettazione di tali operazioni: un incarico che fa sorgere rilevanti perplessità per i potenziali conflitti di
interesse che potrebbe innescare. In più oggi verrebbero articolatamente presentate le procedure, insieme
con i vincoli, delle operazioni Ltro che decolleranno il 18 di questo mese. Sarà opportuno che sia studiato
come prevenire tutte le ipotesi di elusione dell'impegno, da parte delle banche, di fare rifluire all'economia i
rifinanziamenti ottenuti. Si tenga, comunque, presente che sono sempre disponibili le Omt, le operazioni di
acquisto illimitato, ma condizionato di titoli pubblici, deliberate dopo la famosa dichiarazione sull'euro del 26
luglio 2012 e mai finora attuate. Essendo in corso la fase conclusiva della predetta valutazione approfondita
degli asset delle banche e non essendo ancora chiari gli indirizzi di politica economica nei diversi Paesi e a
livello europeo, effettivamente non appare probabile l'introduzione del quantitative easing. Ciò non significa,
però, che non sia necessaria una terapia d'urto. E allora non deve affermarsi la linea di condotta secondo la
quale, se in ascesa, l'inflazione viene duramente e tempestivamente contrastata, mentre ciò non accade se
l'inflazione, come nel nostro caso, è prossima allo zero e, in alcuni Paesi, ha addirittura un valore negativo.
Per ottemperare al mandato sul mantenimento della stabilità dei prezzi, si pone alla Bce non una questione di
opportunità di intervento, bensì l'obbligo stringente di adottare tutte le necessarie misure per una risalita
dell'inflazione che sarebbe utile sotto diversi aspetti. In questa circostanza, non vi è materia per chiedere agli
Stati determinati comportamenti preventivi, dopodiché scatterebbero le specifiche operazioni della Bce. Il
mandato fissato dal Trattato riguarda la Banca centrale, che è tenuta a eseguirlo a prescindere dal
comportamento delle altre istituzioni; non farlo realizza una vera omissione. Dunque, altro che tessere la tela
delle relazioni tra i Paesi membri, altro che redigere un programma di politica economica e adoperarsi per
farlo accettare ai governi. Mai come ora, per la Bce, vi è da fare la propria parte; a maggior ragione, per aver
avuto il merito di aver salvato l'euro e l'Eurozona. Ascolteremo attentamente, in ogni caso, le dichiarazioni di
Draghi nella conferenza stampa, nella speranza che, se annunci saranno dati, questi siano poi seguiti a breve
termine dalle realizzazioni e, dunque, non siano più generici e temporalmente indeterminati. (riproduzione
riservata)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Draghi ha i poteri per essere più audace
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
Pag. 4
MF - Ed. nazionale
04/09/2014
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Foto: Mario Draghi
04/09/2014
Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 23
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Ora Telecom spera in Francia e Cina
Al termine della complicata avventura brasiliana la compagnia italiana cerca un socio stabile.
(Edmondo Rho)
Sarà un futuro internazionale quello di Telecom Italia, in bilico tra la Francia e Hong Kong. La compagnia
telefonica italiana si lecca le ferite, dopo essere stata sconfitta nel suo tentativo di integrare in Brasile la
controllata Tim Brasil con la Gvt del gruppo francese Vivendi: l'astuto finanziere bretone Vincent Bolloré,
presidente di Vivendi, dopo aver trattato a lungo con il management di Telecom Italia (assistito da
Mediobanca, advisor & azionista), ha scelto di vendere a un prezzo più alto Gvt agli spagnoli di Telefonica
(azionista a sua volta di Telecom Italia). Telefónica ha rilanciato arrivando a offrire 7,4 miliardi: e in parte
vuole pagare dando a Vivendi l'8,3 per cento proprio di Telecom Italia, «tradita» dal suo stesso azionista più
forte. Il presidente di Telefónica, Cesar Alierta, è stato categorico: «Non vogliamo stare in Telecom Italia» ha
detto, aggiungendo che «il non essere italiani» è stata la principale barriera per nuovi accordi con la
compagnia presieduta da Giuseppe Recchi. Il quale, ora, si ritroverà come socio forte quel Bolloré che ha
anche quote di Mediobanca (dove è salito al 7,5 per cento) e in Generali, a loro volta importanti azionisti di
Telecom Italia. Un nuovo scenario in cui può tornare d'attualità un'integrazione con Mediaset? «Non escludo
nulla, ma come opportunità commerciali. L'interesse a livello di operazione sul capitale compete ai soci» ha
dichiarato Recchi in un'intervista al Corriere della sera. Insomma, la palla è tra i piedi di Bolloré che, prima
ancora di entrare nel capitale della compagnia telefonica italiana, dice: «Saremo azionisti importanti e di
lungo periodo» (anche se Vivendi sta proprio uscendo dalle telecomunicazioni come dimostra l'operazione
brasiliana, ndr ). Torna così un'altra suggestione: la possibile integrazione con 3 Italia, operazione su cui
l'anno scorso vi erano state lunghe trattative tra Telecom Italia e Hutchison Whampoa (la multinazionale con
sede a Hong Kong che fa capo all'imprenditore cinese Li Ka-Shing, decimo uomo più ricco del mondo che
controlla 3 Italia). Il cda di Telecom Italia, all'epoca presieduto da Franco Bernabè, nel luglio 2013 aveva
stoppato il progetto in base a una relazione del management prendendo atto «che, allo stato, non ci sono gli
elementi necessari per avviare un negoziato». Ma da allora è cambiato tutto, anche se è passato poco più di
un anno. E se Li Ka-Shing dovesse tornare alla carica, magari per Bolloré potrebbe essere una nuova
occasione per un buon affare. © riproduzione riservata
Foto: Il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi.
Foto: Vincent Bolloré, presidente di Vivendi e socio di Mediobanca.
Foto: Li Ka-Shing, proprietario della Hutchison Whampoa, cui fa capo 3 Italia.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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SCENARI ECONOMIA
04/09/2014
Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 24
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Capitalismo 5 tribù senza una bussola
Il sistema è stato scosso da una serie di terremoti e ormai trasmette immagini incoerenti, tra gruppi che
emigrano a Londra, stranieri che calano dall'Est e nostalgie dell'Iri.
(Stefano Cingolani)
La strigliata di Sergio Marchionne e i rimbrotti di Giorgio Squinzi, le tirate d'orecchi di Diego Della Valle, la
delusione di Alessandro Benetton, le perplessità di Alberto Nagel: i protagonisti dell'industria e della finanza
che avevano scommesso sull'effetto scossa di Matteo Renzi, ora siedono sull'Aventino. È accaduto più volte
nella storia patria che il capitale abbia scelto il proprio campione politico e poi lo abbia mollato. La differenza
è che oggi, tra apolidi e fuggitivi, magnati in arrivo dall'altro mondo e multinazionali tascabili, vecchi salotti e
uno Stato riluttante, il capitalismo italiano è uno specchio rotto i cui frammenti rimandano immagini incoerenti.
Negli Anni 70, Gianni Agnelli, detto l'Avvocato, salì in plancia di comando, fino a presiedere la Confindustria.
Combinò pasticci come l'accordo con Luciano Lama per la scala mobile dei salari, tutti però gli baciavano la
pantofola. I ruggenti Anni 80 hanno visto entrare in campo i Condottieri, da Carlo De Benedetti a Silvio
Berlusconi, dai Benetton a Raul Gardini; è stata l'ultima generazione di imprenditori in grado di cambiare
l'agenda politica del Paese. Il decennio 90 ha messo al centro le banche, con il dualismo crescente tra Enrico
Cuccia alla guida della laica Mediobanca e Giovanni Bazoli campione della finanza cattolica. Dopo l'ingresso
nell'euro, già prima della Grande Recessione, il sistemaè stato scosso da una serie ininterrotta di terremoti e
sono scomparsi uno dopo l'altro i nomi che hanno fatto la storia. I frantumi di oggi vengono da lì, ma anche
da una vera e propria crisi d'identità. C'è un capitalismo che potremmo chiamare apolide, quello della Fiat, di
John Elkann e Marchionne, con la testa in America, il portafoglio a Londra e il cuore ancora a Torino. La
stessa strada imboccata, seguendo sentieri diversi, dalle famiglie Drago e Boroli che guidano la De Agostini
con Gtech, numero uno nel mondo dei giochi. Chi ha sciolto gli ormeggi, ha trovato l'isola del tesoro. Almeno
non s'è arreso, come Pietro Loro Piana che ha ceduto alle lusinghe di Lvmh o i Merloni che hanno venduto la
Ariston all'americana Whirlpool. Il capitale non ammette vuoti ed ecco irrompere i cavalieri della
globalizzazione. Arrivano gli oligarchi russi come Mikhail Fridman, patron di Wind,o Aleksej Mordasov
(Severstal) che ha preso la Lucchini; mentre Rosneft, compagnia petrolifera del Cremlino, possiede il 13 per
cento della Pirelli. Gli indiani scelgono l'acciaio (Lakshmi Mittal si interessa all'Ilva e Naveen Jindal ha
acquistato Piombino). I cinesi pacchetti strategici come l'Eni e l'Enel. Non assomigliano ai manchesteriani
della prima rivoluzione industriale e nemmeno ai robber barons, i «baroni ladroni», dell'Ottocento americano
(Carnegie, Astor, Rockefeller, Vanderbilt, J.P.Morgan). Sembrano centauri metà pubblici metà privati; in ogni
caso i nuovi rampanti sono loro. Eppure l'Italia resta un paese manifatturiero, il secondo d'Europa; cedere
ancora terreno significa impoverirsi per sempre. Esiste per fortuna una imprenditoria che si rinnova e diventa
internazionale senza troncare le proprie radici, ma anch'essa vive un dilemma esistenziale. L'esempio più
recente è Leonardo Del Vecchio che ha ripreso il pieno controllo di Luxottica licenziando il top manager
Andrea Guerra, alla vigilia di scelte vitali: la propria successione e nuove alleanze. A differenza dalle grandi
famiglie, questo «quarto capitalismo» non ha un sostegno tipo Mediobanca. È vero, il mondo dei salotti buoni
si reggeva su intrecci perversi che si stanno sciogliendo; e ciò significa apertura, concorrenza, mercato.
Come si fa, però, a nuotare da soli nell'oceano globale? Bazoli, banchiere e politico, forse l'ultimo della
specie, continua a difendere il capitalismo di relazione paragonandolo a una rete di solidarietà. Mentre torna
la nostalgia interventista e va di moda il libro della economista italo-inglese Mariana Mazzucato: Lo stato
imprenditore. Ma, anche volendo, chi può riportarlo in vita? L'Eni, l'Enel, la Finmeccanica, per non parlare
delle Poste e delle Ferrovie, sono guidate da uomini d'azienda, non di sistema. C'è la Cassa depositi e
prestiti, ancora in cerca d'identità. Chi vuole che resti il portafoglio del Tesoro grazie alla raccolta postale, chi
pensa di trasformarla in ciambella di salvataggio per imprese con l'acqua alla gola e chi in una banca di stato,
simile alla tedesca Kfw. L'amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, cammina sulle uova perché
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scenari _economia
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Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 24
(diffusione:446553, tiratura:561533)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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nessuno, né Renzi né il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, gli ha fornito la rotta. Che un governo
possa guidare il capitale ormai non lo crede nemmeno un paleomarxista, eppure i tedeschi vengono protetti
dal complesso bancario-industriale; i francesi dallo stato colbertista; gli spagnoli dall'Unione Europea (dai
fondi strutturali ai salvataggi bancari). E gli italiani? Ancora una volta procedono in ordine sparso, mentre
all'orizzonte si vedono già i dintorni di Caporetto. © riproduzione riservata
gli apolidi John Elkann alla guida della Fiat «globale».
vecchi salotti Giovanni Bazoli, baluardo del capitalismo di relazione.
lo stato riluttante Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cdp.
magnati dell'altro mondo Il russo Mikhail Fridman che controlla Wind.
famiglie al bivio Leonardo Del Vecchio di Luxottica.
04/09/2014
Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 27
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Non illudetevi, anche Draghi è per il rigore
Le indiscrezioni sulla telefonata con la Merkel hanno alimentato l'immagine di una Banca centrale europea
più flessibile rispetto alla cancelliera tedesca. Ma non è così: nel suo ultimo discorso il presidente della Bce è
stato chiaro, nessuna politica monetaria può sostituire le «riforme necessarie». E Renzi le sta facendo
davvero?
Ester Faia professore di economia monetaria e fiscale alla Goet
Hanno suscitato molta preoccupazione recenti colloqui tra Angela Merkel e Mario Draghi (si è ormai stabilito
che ha chiamato lui) per possibili influenze della politica, e in particolare delle idee di austerità,
sull'indipendenza della Banca centrale europea. Ma la cosa più importante è un'altra: chiarire se la strada
intrapresa da Draghi sia in contrasto con le prescrizioni europee. Draghi ha auspicato l'utilizzo degli strumenti
non convenzionali (usati fino a ora dalla Bce) per il futuro, nel caso che questi siano necessari, e ha
sottolineato che i vincoli europei prevedono già flessibilità nel caso che la crescita del Pil si riveli debole. Ha
tuttavia ribadito (parole testuali prese dal discorso fatto a Jackson Hole, negli Usa) che «nessuna politica
monetaria e fiscale espansiva può sostituire le riforme necessarie», indicando queste ultime come l'unica
soluzione alla crescita debole e ai problemi di bilancio. Draghi ha anche indicato alcuni punti cardine del
processo di riforma: liberalizzazioni dei mercati, possibilità per le imprese di ridurre il numero di ore per
lavoratore (anziché licenziare) in caso di scarsa crescita (sul modello della Germania e delle riforme Harzt,
varate oltre dieci anni fa), investimento nella formazione dei lavoratori. Nel suo discorso ha notato che, al
contrario degli Stati Uniti, in alcuni paesi europei gli aumenti di disoccupazione tendono a essere persistenti e
che lavoratori con bassi livelli di istruzione e formazione tendono a rimanere disoccupati più a lungo. La
ricetta delle riforme aggressive accompagnata da controlli sui bilanci funziona. Lo testimonia il caso spagnolo
che ha iniziato la ripresa da tempo e sta continuando sulla strada della crescita. Al contrario mancate riforme
o passi indietro nel processo delle riforme sono deleterie per la crescita. Lo dimostra la Germania che
quest'anno ha cominciato a rallentare la sua crescita a causa dei passi indietro fatti sul processo delle
riforme: mi riferisco all'aumento del salario minimo e all'abbassamento dell'età pensionabile. Il caso italiano è
particolarmente problematico visto che tra riforme mancate e riforme cambiate, l'Italia è l'unico Paese
europeo che non riesce ad agganciare la ripresa. Intanto lunedì 1° settembre Matteo Renzi ha «annunciato»
altre riforme... © riproduzione riservata Perfino la Germania frena per i passi indietro nelle riforme
Foto: Tra angela Merkel e Mario Draghi c'è stata una telefonata che, secondo lo Spiegel, sarebbe stata
aspra: la cancelliera avrebbe chiesto chiarimenti al presidente Bce sul tema della flessibilità.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/09/2014
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scenari _economia l'analisi
SCENARIO PMI
3 articoli
04/09/2014
ItaliaOggi
Pag. 27
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Giro d'affari bloccato per le società. Nell'ultimo anno, infatti, il fatturato si è ridotto ulteriormente dello 0,1%
con andamenti negativi in tutte le fasce economiche analizzate. Aumenta, inoltre, anche il numero di imprese
che hanno chiuso l'esercizio in perdita: nel 2013 il 28,8% delle società analizzate ha chiuso in rosso, lo 0,7%
in più rispetto al 2012. Questo il quadro delineato dal Cerved group, nel report sui conti economici delle
imprese italiane nel 2013. Nel dettaglio i dati del Cerved mostrano come, su 133 mila società analizzate, solo
quelle che operano nell'industria hanno invertito il trend negativo relativo al fatturato. Le imprese
manifatturiere sono, infatti, riuscite ad aumentare i ricavi dell'1,4% a fronte di un calo dello 3,3% del settore
dei servizi e del 3,3% del settore dell'edilizia. «In quest'ultimo settore, in particolare», ha sottolineato il
Cerved, «negli ultimi due anni è andato perduto quasi un decimo del fatturato complessivo». Non solo.
Mentre, nella maggior parte dei casi, la riduzione dei costi esterni ha superato quella dei ricavi, con effetti
positivi sul valore aggiunto che è risultato in aumento dell'1,8% nell'ultimo anno, nel settore delle costruzioni,
il calo dei costi è stato, invece, insuffi ciente a garantire un recupero del valore aggiunto, che risulta inferiore
dello 0,8% rispetto al 2012. Sempre sul fronte dei costi esterni, il miglioramento ha interessato soprattutto le
società con ricavi compresi tra i 2 e i 50 milioni di euro (2,3% dei casi) e le imprese industriali (1,8% dei casi).
In tutte le 133 mila società analizzate sono, poi, diminuiti, anche nel 2013, sia i costi sostenuti per le materie
prime (-2%) sia i costi sostenuti per l'acquisto di beni e servizi. In aumento, infi ne, anche il numero delle
imprese che hanno chiuso in rosso l'esercizio. Nel 2013 il 28,8% delle società analizzate è risultata essere in
perdita, lo 0,7% in più rispetto al 2012. A far registrare una contrazione di oltre il 30% le imprese operanti nel
settore dei servizi e le micro imprese, mentre scendono dello 0,6% le di imprese in perdita nell'industria e tra
le grandi società.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Società, giro d'affari bloccato Regge solo il settore manifatturiero
04/09/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Giudizi positivi degli analisti di Bernstein su Unicredit e Intesa Sanpaolo, entrambe in forte rialzo ieri a Piazza
Affari rispettivamente con un +2,87% e un +2,92%. Bernstein, in particolare, ha avviato la copertura del
comparto bancario europeo con una visione positiva focalizzandosi, per quanto riguarda l'Italia, proprio su
Unicredit e Intesa Sanpaolo. Sulla banca guidata da Federico Ghizzoni il rating è outperform con target price
di 7,4 euro. Gli esperti segnalano come il gruppo possa beneficiare della normalizzazione del costo del
credito in Italia, oltre alle forti opzioni di crescita in Centro ed Est Europa. La banca sembra correttamente
valutata sul 2016, ma Unicredit ha anche un attraente potenziale legato ai due aspetti citati. Anche su Intesa
Sanpaolo il giudizio è outperform con target di 2,9 euro per azione. L'istituto viene definito «a dividend paying
machine». Intesa si legge nella nota, è una delle banche italiane meglio gestite con una posizione di capitale
superiore e efficienze sul fronte costi e accantonamenti migliori rispetto ai competitor. A detta degli esperti la
banca dovrebbe beneficiare del recupero dell'economia italiana e in particolare del turnaround delle
piccole/medie imprese sia in termini di minori accantonamenti per perdite su prestiti sia per quanto riguarda la
crescita dei crediti. Infine Bernstein vede significativo upside sul fronte dei rendimenti con dividendi attesi,
pari al 30% della capitalizzazione dei mercato nei prossimi quattro anni.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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Intesa e Unicredit corrono grazie al voto di Bernstein
04/09/2014
Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 58
(diffusione:446553, tiratura:561533)
se c'è guerra non c'è business
Dalle primavere arabe alla crisi ucraina, le imprese italiane stanno subendo danni enormi. Ma non mollano.
Marco Ventura
Ma quanto ci costano le guerre, quanto ci costano le primavere arabe e la guerra in Ucraina? Un mare di
soldi che i nostri imprenditori, soprattutto piccoli e medi, hanno perso e perdono a dispetto del coraggio col
quale insistono a lavorare anche nelle zone più calde come la Libia. I cambi di clima in Libia, Tunisia ed
Egitto ci sono costati, con un calcolo sommario e per difetto, ben 2 miliardi e 623 milioni in tre anni (ma molti
di più se nel calcolo immaginiamo la crescita che ci sarebbe stata dal 2011 e non semplicemente il
riferimento al dato del 2010). Forte la diminuzione dell'export italiano anche verso la Russia e l'Ucraina nel
rinnovato clima da «guerra fredda» con l'Europa. In costante crescita dal 2010, tra gennaio e aprile 2014
l'export italiano verso Kiev è calato di 138 milioni rispetto allo stesso trimestre 2013 (da 568 a 430 milioni,
secondo i dati dell'Istituto per il commercio estero). Più pesante il bilancio con la Russia, che dal 2012 al 2013
aveva generato esportazioni per quasi 1 miliardo di euro in più, mentre solo nei primi tre mesi del 2014 c'è
stato un calo di 170 milioni rispetto allo stesso periodo del 2013 e precisamente da 3 miliardi e 288 milioni a 3
miliardi e 118 milioni. Cifre iperboliche, contenute solo dall'intraprendenza italiana che non si arrende neppure
di fronte alle bombe. Del resto il fenomeno è planetario, se nel 2013 l'impatto economico della violenza, e non
solo della guerra, sull'economia mondiale è stato di 9.800 miliardi di dollari, pari all'11,3 per cento del Pil
globale, come spiega la direttrice dell'Institute for Economics and Peace (Iep) con base a Sydney, Claudia
Schippa. «Dopo la Seconda guerra mondiale i livelli di pace erano costantemente migliorati, mentre dal 2008
abbiamo registrato un calo del 5 per cento. Inoltre è cresciuto moltissimo il livello di terrorismo, che genera
paura e sfiducia. Prima del 2001 i morti per terrorismo erano 2.500 in media l'anno. Nel 2013, circa 18 mila».
Il paese-simbolo è la Libia. Il 31 agosto 2010, quando Muammar Gheddafi fu accolto a Roma, sul «piatto»
c'era un programma di 1.700 chilometri di autostrade lungo la costa libica che valeva 5 miliardi di euro per le
imprese italiane. L'Eni aveva annunciato investimenti per 25 miliardi di dollari. Il preaccordo siglato da
Finmeccanica con i fondi sovrani libici per joint-venture in vari settori valeva 20 miliardi. E invece dal 2010 al
2011 il valore dell'export è crollato da 2,7 miliardi a 610 milioni. Le potenzialità della Libia e il coraggio dei
nostri imprenditori hanno fatto sì che nel 2012 fossimo già tornati a 2,4 miliardi, un record in valore assoluto di
oltre 2,8 miliardi. Ma col precipitare della situazione c'è poco da aspettarsi per il 2014. Accanto alle spine ci
sono le rose. Pier Luigi D'Agata, direttore generale di Assafrica & Mediterraneo (l'associazione delle imprese
che opera in quell'area), spiega che con le primavere arabe c'è stato «un ricambio delle classi dirigenti che
apre nuove opportunità, perché ha rotto rapporti consolidati con molte aziende non italiane. C'è stata e c'è
quindi la possibilità di nuovi accordie commesse. Se in Libia la situazioneè più difficile, la stabilizzazione in
Tunisia ha generato una presenza di imprese italiane superiore all'anno scorso». Spiega ancora D'Agata:
«Gli italiani hanno il pregio di non mollare, e questo paga. Paradossalmente, la situazione oggi meno rosea è
in Egitto: l'Italia sta recuperando il volume di export precedente alla primavera araba, il totale è stato infatti nel
2013 di oltre 2,8 miliardi di euro rispetto ai circa 2,9 nel 2010, ma nei primi quattro mesi del 2014 la dinamica
ha fatto registrare un segno negativo del 9,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso». Se in
Libia il problema è costituito dai cantieri fermi che hanno prodotto contenziosi, sequestri e danni, Tripoli resta
però un target fondamentale per l'Italia. Così come l'Egitto. «Tutto il Mediterraneo va seguito con molta
attenzione dalle nostre piccole e medie imprese, anche visti i problemi che si profilano in altri teatri»,
conclude D'Agata. Vedi Russia e Ucraina. © RIPRodUzIoNE RISERVAtA Fonte: elaborazione di Panorama
su dati Associazione Assafrica & Mediterraneo cara rivoluzione In tre anni tra Libia, Egitto e Tunisia le
primavere arabe hanno fatto perdere alle imprese italiane almeno 2 miliardi e 623 milioni di euro, di cui:
Tunisia: 849 milioni, Libia: 1 miliardo e 224 milioni, Egitto: 550 milioni
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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copertina
04/09/2014
Panorama - N.37 - 10 settembre 2014
Pag. 58
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Foto: Scene di devastazione per l'infuriare della guerra civile a Donetsk (Ucraina).
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/09/2014
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