Il Cala SCUSA, AMERI I DIARI DEL CALCETTO ANTEPRIMA GRATUITA «Vertigini» Collana di narrativa a cura di Vera Bonaccini Anteprima gratuita di: Scusa, Ameri Prima edizione, luglio 2014 © 2014 Alberto Calandriello © 2014 Matisklo Edizioni Matisklo Edizioni www.matiskloedizioni.com ISBN: 978-88-98572-20-5 Matisklo Edizioni S.N.C. di Oddera Cesare & Vico Francesco Via Eremita 14 17045 Mallare (SV) [email protected] www.matiskloedizioni.com INDICE Introduzione IL CAMPO C'È SOLO ALLE 22 IL FASHION VICTIM OTTIME SCELTE GENTE ELEGANTE E SOLDATINI IL CAMPO DEL SACRO CUORE L'IMPORTANTE È FARE SPOGLIATOIO DE COUBERTEIN E MARCO MENGONI CAMPIONATI DEL MONDO E TORNEI AMATORIALI L'IMPORTANZA DEL MULTITASKING LE DIMENSIONI CONTANO FIORI E CALCI NEL CULO DAI CALA VAI ED INSEGNACI CALCIO VAI A PRENDERE LA COPPA CHE SCENDIAMO TOTÒ ED IL RIGORE DI DONADONI IL CLASSICO CENTRAVANTI BOA DAL CAMPO È TUTTO A VOI LA LINEA L'autore Il Cala SCUSA, AMERI I DIARI DEL CALCETTO In ricordo di Pippo che mi ha chiamato a giocare nei “giovani” e di Giacumìn che ha controllato che fossimo sempre al sicuro, nel campetto Ciao, buona domenica, ci vediamo sabato prossimo. La palla è sul dischetto; il portiere cerca di distrarmi, il pubblico percepisce il momento e tace, quasi a lasciarci soli nel momento decisivo. La Coppa dei Campioni è lì, all'imbocco degli spogliatoi, pronta per essere consegnata alla squadra vincente. Se segno, la Juventus vince; la lotteria dei rigori è arrivata all'ultimo giro e la pallina ce l'ho in mano io. Non credevo di riuscire ad essere così tranquillo, ma, del resto, non puoi immaginare come starai in certi momenti fino a quando non li vivi; quindi eccomi, pronto. Mentre arretro per prendere la rincorsa, i tifosi iniziano ad invocare il mio nome: Alberto, Alberto Sempre più forte: Alberto, Alberto!!! Sempre più forte: ALBERTO, ALBERTO!!!! ANCORA PIÙ FORTE: ALBERTO!!!!!! ALBERTO!!!!!!!!! Alberto sono le sette, scendi che è ora di alzarsi!!!!!! MAMMA, CAZZO!!!!! Un secondo, un secondo solo!!!! Mi giro nel letto, chiudo gli occhi: ti prego sogno, resta qua non te ne andare, resta!!!! Sto per tirare il rigore decisivo, STO PER VINCERE LA COPPA!!!!! Macché, svanito, anche stavolta!!!! Questo libro, beh insomma, questa serie di racconti, disgrazie, aneddoti, sventure, sfighe assortite nasce da quel sentimento di frustrazione lì, quello che si prova a sognare di essere ad 11 metri dal vincere la coppa più importante con la tua squadra del cuore e rendersi conto di averlo solo sognato. E mica è importante a che età io sia stato svegliato, no. Mia mamma, o chi per lei, ha interrotto la telecronaca e oscurato il mio rigore quando dovevo alzarmi per andare alle elementari, alle medie, al liceo; quando dovevo alzarmi per studiare gli esami universitari e quando dovevo prendere il treno per andare a lavorare. Anche mia moglie e le mie figlie mi hanno svegliato qualche volta, ora che ci penso. Belìn, o sono circondato da rompicoglioni insonni oppure ho, come dire, un chiodo fisso. Nick Hornby scrisse una cosa dietro alla copertina di “Febbre a 90”: si può amare una donna ed andare pazzi per 11 uomini? Sì, certo che sì; anche se magari la donna non la prende benissimo. Come tutte le passioni, anche il calcio deve per forza avere una valvola di sfogo, soprattutto se l'appassionato, cioè io, è irrimediabilmente negato per affrontare una benché minima carrierina in ambito calcistico, fosse anche solo una terza categoria. Se questo non succede, la passione diventa ossessione, ma, per fortuna, io avevo un campetto sotto casa ed una serie di amici con cui riempirlo. Riempirlo dei nostri sogni impossibili e della nostra voglia di sentirci Platini, Rumenigge, Mancini o chiunque fosse l'idolo di ciascuno di noi. Aggiungeteci poi, che nemmeno tra gli scappati di casa che eravamo, io potevo recitare un ruolo significativo, se non subendo l'onta peggiore: vai in porta. Non ricordo con precisione il momento in cui me ne feci una ragione, ma avvenne ed io buttai in quelle tute rattoppate ed in quei guanti bucati la voglia di sentirmi, se non Platinì, almeno Zoff, Tacconi, Peruzzi, Buffon. No, Van Der Sar no, per cortesia. Oggi, riesco a rileggere tutto questo con una certa autoironia, ma all'epoca, nelle varie epoche del mio finto professionismo calcistico, la cosa era difficile da gestire. La partita del sabato, che si è evoluta fino a diventare quella di cui racconto, non era una scusa per vedersi con gli amici e fare serata assieme, figuriamoci; era una questione di vita o di morte, era catarsi, era la finale di coppa, la valvola di sfogo, il tubo di scarico. Chi ha giocato a certi livelli probabilmente non capirà, perché il fatto di partecipare ad un campionato è, di per sé, appagante. Ma se lo scopo della tua settimana è la partita ROSSI – GIALLI, beh amico, c'è qualcosa che non torna, nella tua settimana (e nella tua vita, in effetti). Sono convinto che quei pomeriggi, diventati poi serate; quelle urla barbare per un gol o per una parata; quelle liti con persone che un'ora dopo erano sedute con te davanti a delle birre; beh, sono convinto che tutto questo abbia comunque un valore e porti con sé del romanticismo, dell'eroismo, dell'epica. Quindi, ripercorrendo una stagione di calcetto, cerco di celebrare quello che è stato un filo conduttore della mia vita da quando ero bambino, da quando ho iniziato, poi, a giocare “la partita del sabato”, fino ad oggi che, tutto sommato, un po' di strada l'ho fatta e un po' di cose mi sono successe, ma la borsa con dentro “la roba del pallone” c'è sempre stata “Fuori però che poi mi fai un casino con tutto quel fango”(concetto espresso da mamma, nonna e moglie, nel corso di almeno trent'anni). Esiste un detto popolare che afferma “se non puoi combatterli, fatteli amici”; io quel sogno, a sto punto, non credo che lo finirò più, ma, se non altro, mi ha dato la possibilità di farmi due risate, ripensando alle mille volte in cui ho sperato di renderlo concreto. IL CAMPO C'È SOLO ALLE 22 E quindi si inizia quella che, ad occhio, dovrebbe essere la ventesima stagione di calcio a 7 che il mio scultoreo fisico affronta sempre con le stesse persone o quasi. Vent'anni, belìn, Ottobre 1989; terza superiore, la partita del sabato pomeriggio 18.30 -20.30. Poi pizza e birra, sempre ubriachi in terza superiore, ogni benedetto Sabato. Sempre le stesse scene: pizzeria, birra da litro, casino. Figa? Zero, ovviamente. Ma vabbè, torniamo a noi; Gialli contro Rossi. Vent'anni, belìn. Ieri sera, dopo qualche settimana di tentativi non andati a buon fine, ecco i nostri eroi vent'anni dopo, con qualche capello in meno, moooolti chili in più, figli e figlie a ripetizione, scendere in campo (cit.) per una nuova stagione agonistica. Sera, oddio; a ben vedere sera 'sta cippa. Alle 22, PER ME CHE STO ANZIANO è notte fonda. Se va bene sono già in pigiamino a guardare qualche telefilm. Se va male sono già a letto. Se va malissimo dormo già. Ma il simpatico mondo del calcio amatoriale non ha soste e le prenotazioni fioccano di continuo, quindi il campo o lo prendi alle 22,00 o te lo meni. Ed eccoci qui; orazi, curiazi, bomboloni e sticazzi, 6 contro 6, amichevole precampionato a squadre miste. Immagino che chi mi conosce di persona lo sappia benissimo, ma io sono in gran forma, oh sì sì. Quando ho iniziato a giocare vent'anni fa, per ridere, dicevo che il giorno che avessi superato i cento chili di peso avrei fatto una festa. Vent'anni dopo sono qui che mi chiedo se per SCENDERE sotto i cento chili di peso basta una dieta o se devo farmi togliere qualche organo interno; ma uno pesante, eh? Almeno quindici chili di organo interno, direi. Ed in più, il mio è il tipico ruolo di movimento, adatto a chi ama il giuoco del calcio perché si corre, si suda e ci si stanca da matti, così le asprezze della vita scivolano via col sudore dei giusti. Io faccio il portiere. Nei campetti a sette. Ieri a cinque. Il che vuol dire che allargo le braccia e tocco i due pali della porta. Contemporaneamente. Il che vuol dire che, se in un attimo di incontrollabile entusiasmo, io saltassi, darei una tranvata sulla traversa. Ma io non salto mai, per fortuna. Il che vuol dire che basterebbe piantarmi per terra tipo i vecchi strumenti per l'allenamento dei boxeur e darmi una spinta ed io dondolerei destrasinistradestrasinistra per tutta la partita, che se va bene qualche pallonata la prendo ed evito i goal. Però nel corso degli anni ho sviluppato l'autoconvincimento di essere, a determinate condizioni e con determinate persone, credibile. Non dico forte, non dico bravo, ma credibile. In una banda di scarsoni faccio la mia porca figura, ecco. Un po' come la storia del cantare in un coro, che il mio amico Paolone tirò fuori secoli fa, secondo cui lui ed io eravamo sì stonati, ma adatti a cantare in un coro, perché non COSÌ STONATI, ecco. Bella cazzata sta cosa qui del coro, caro il mio Paolone, ma vabbè. Il momento della vestizione è sempre drammatico. Lungo e drammatico. Sarà che in vent'anni il 99% delle volte abbiamo giocato sui campi in terra battuta; sarà che non ho proprio TUTTA questa eleganza nel buttarmi, ma il mio abbigliamento quando gioco a calcio assomiglia tragicamente a quello di un guerriero medioevale, sia nel senso di pesantezza degli indumenti, sia nel senso di libertà dei movimenti che quei quattro/cinque chili di roba mi consentono. Nell'ordine, ieri indossavo: T-shirt (di Tom Waits, perché va bene che sono scarso e grasso, ma anche sui campetti deve emergere che di musica ne so. ECCOME SE NE SO). Maglia da portiere 1. Maglia da portiere 2 (eh lo so, ma poi mi si sbucciano i gomiti). Ginocchiere. Pantaloni da portiere lunghi. Pantaloni della tuta. Pantaloni da portiere corti (eh lo so, ma poi mi si sbucciano le ginocchia che sembro mia figlia all'asilo quando gioca in cortile). Così bardato inizio la partita chiedendomi se il fatto che è da fine Maggio che non gioco POTREBBE influenzare la mia prestazione. Tempo di chiedermelo e la temibile punta extracomunitaria avversaria mi piazza una morbida palombella sul palo lungo (sulle dimensioni GLOBALI della porta mi sono già espresso alcune righe fa). Nel tempo che io ci metto per buttarmi, gli altri undici, dopo aver raccolto la palla in fondo al sacco (cit.) riescono praticamente a giocare una buona metà del primo tempo. Mentre io mi slancio, esplosivo alla Peruzzi, sul palo lungo. Ok, il fatto che è da fine Maggio che non gioco SICURAMENTE influenzerà la mia prestazione. Ne prendo atto con amarezza ed inanello una serie di perle che solitamente faccio in quattro/cinque mesi di partite, tipo: 1) Passaggio indietro del difensore, carico il destro per rinviare, liscio il balòn, gol. 2) Esco dall'area ad infondere sicurezza alla squadra, rinvio fortissimo contro la tibia della temibile punta extracomunitaria avversaria, gol. 3) Esco a valanga contro Tabacco lanciato velocissimo a rete, sono in vantaggio di 80 metri in un campo che ne misura 35, praticamente Tabacco deve ancora cambiarsi mentre io sono a due passi dal pallone, esco in scivolata, liscio il pallone che si impenna, traversa ('rcaputtà). 4) Visto che nel campo a fianco si disputa un'altra partita, anch'essa di altissima qualità, mi ritrovo ad osservare una scena dove quattro/cinque ultratrentenni litigano sul modo in cui sono state fatte le squadre. Il mio interesse verso ogni forma di bruttura del genere umano fa sì che io mi isoli un secondo dalla partita in cui STO GIOCANDO (e che sto pagando, del resto). “Cala!!!!!” “Oh, dimmi?” “Ti hanno segnato!!!!!” “Bastardi.” 5) Mi si presenta davanti, spostato alla mia sinistra, un'agguerrita ala destra, salta il difensore e carica il tiro. Io, conscio dei miei tempi di reazione, mi preparo a buttarmi e nel mentre mi sbilancio tragicamente sulla destra, cadendo con la stessa delicatezza della statua di Saddam quando i 'Mericani gli avevano tagliato le gambe; l'ala destra soffoca un risolino, scuote la testa, tira sul col naso, si pettina, chiama casa, manda un paio di email e segna tra il tripudio della bravaggente. Ad onor del vero, però, la mia squadra (che comunque, alla fine, strappa un meritatissimo pareggio che, anzi, le va stretto quasi come a me il vestito del matrimonio) non è che mi lasci da solo in questa galleria degli orrori, eh? Il Capitano ieri non la picchiava in porta manco con le mani. Mogol ha una mira infallibile; non è facile riuscire a tirare la palla addosso al portiere e colpirlo SEMPRE nello stesso punto. Il Purpu è buono, non c'è un cazzo da fare; si vede che mentre noi giocavamo al Sabato sera e poi ci riempivamo di birra lui faceva una discreta carrierina nelle squadre semi dilettanti Vecchio Cuore Granata in un campo così piccolo soffre un po': lo vedi che fa la sua classica sgroppata sulla fascia e non ha manco il tempo di tirare il primo urlo alla Tarzan che è già finito contro la rete. Servirebbe mettere su quelle cose che usano gli skaters, così c'ha manco bisogno di girarsi, un capriolino e via L'Ingegnere ha il suo bel perché, indubbiamente; è da rivedere un attimo la tenuta muscolare, visto che dopo dodici minuti in cui percorre in tutto 8 metri fa uno scattino e si stira (Arbitro!!! Arbitro!!!!! CAMBIO CAZZO, CAMBIO!!!!!) Lo Dasso è incompatibile con me, vaccaboia, mi fa troppo ridere; in partite come queste, dove non è che abbondi la tensione agonistica, è un fiorire di cazzate: “Bravo Cala, quando va sul palo lasciala” e cose del genere, che, in effetti, non aiutano a ritrovare la forma migliore. Ma fa ridere. Però santo iddio, due cazzate potremmo tenerle anche per dopo, negli spogliatoi, quando l'acre odore di sudorepiediscelleculibagnati ci rende tutti ammisci. Ma non tutto va sempre per il verso giusto. L'autore Il Cala nasce Alberto Calandriello, 42 anni fa. Nel corso degli anni alterna tre grandi passioni: il calcio, la musica e quella che avete capito tutti cos'è, ma che oggi, con una moglie e due figlie, gli interessa sempre meno. È assistente sociale, juventino feroce, ama scrivere e fare polemica ed è terribilmente logorroico. Per circa vent'anni ha giocato nei “Rossi”, squadra di calcetto formata da amici di infanzia, nata come “squadra dei giovani” da contrapporre “ai vecchi”. Poi sono diventati “i vecchi”. Poi ha smesso. Fa parte dello “ZOO” di Albenga ed è presidente del “Mulino degli Artisti” di Tovo San Giacomo, due associazioni culturali che organizzano eventi di tipo musicale, letterario e quant'altro; grazie a queste due associazioni ha trovato una valvola di sfogo alla frustrazione di non avere alcun talento artistico, se non quello di dire o scrivere “belinate” su praticamente tutto lo scibile umano. Scrivere questo libro è stato come essere al pub davanti a delle birre, insieme agli amici, raccontando aneddoti e divertendosi insieme. Per non sentirsi troppo solo come unico uomo della famiglia, ha un gatto di nome Ciro. Ciro Tevez. Probabilmente dopo sto libro la smetterà. Ha un blog e se gli chiedete perché, vi risponderà “Perché no?”
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