2014 - CAI Sezione di Antrodoco

Janus
CLUBALPINOITALIANO
Oltre… la montagna
Distribuzione gratuita - salvo SPED. IN ABB POSTALE - ANNUALE € 15
Sezione CAI Antrodoco
Speciale
VALLE D’AOSTA
Il kit dell’escursionista
Kanchenzonga - ZEMU EXPLORATORY EXPEDITION: la Spedizione
internazionale sull’Himalaya indiano. #FAUNA - Il capriolo, piccolo cervide.
Bimestrale │VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 - N° 49
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CL BALPINOITALIA
luglioagosto2014
2
SOMMARIO
3
EDITORIALE
4-5-6
COVER STORY
Tornando Cantando. Dispaccio dall’Himalaya
7
SPECIALE SETTIMANA VERDE
Valle d’Aosta
8
NATURARTE
Valle d’Aosta: piccola regione, grande nella
ricchezza naturalistica
9
NATURARTE
Valle d’Aosta …non solo montagne!
10 - 11
L’INVITO DI JANUS
Il programma della Settimana Verde
Escursionismo e Alpinismo
12 - 13
MANGIA CHE TI PASSA
Piatti tipici valdostani
14
15
16 - 17
DA SAPERE
Valle d’Aosta: informazioni e contatti utili
CAI SALUTE
Tutta colpa dei piedi, forse
#FAUNA
Il capriolo, piccolo cervide
18
VETTE DI LIBRI/PROFILO CAI
19
L’AGENDA DEL FINE SETTIMANA
Janus
Oltre… la montagna
Periodico bimestrale
del Club Alpino Italiano
Sezione di Antrodoco
2014 - anno VIII - numero 49
Autorizzazione tribunale di Rieti
n. 8 del 10/05/2006
Direttore Responsabile Annalisa Nicoletti
Coordinamento redazionale: Eligio Boccacci
In redazione: Luca Cipolloni, Teresa Marinelli
Assistenti di Direzione: Dante Serani
Hanno collaborato a questo numero:
Cesare De Silvestri, Alberto Peruffo, Luca
Cipolloni, Teresa Marinelli, Anna Boccacci,
Marco Innocenti, Nicola Lattanzio, Dante Serani
Tutti i diritti di proprietà sono riservati
Stampatori: Seripoint srl
Villaggio Cotilia - 02015 Cittaducale
tel. 0746 60.50.42 - 0746 60.53.03
[email protected]
Copiright © 2009.
CAI Sezione di Antrodoco
Fondata nel 1997
Presidente : Roberto Marinelli
Sede sociale Via Savelli, 3 - 02013 Antrodoco (Ri)
Aperto il venerdì dalle 17 alle 18
Per info: Vittorio Blasetti 338.4685369
Janus è stampato per l’80% su carta riciclata.
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 2
@Cesare De Silvestri - Un mare di fiori. Castrelluccio di Norcia. 29 giugno 2014
Escursioni di foto. Invia il tuo scatto, noi lo pubblichiamo
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CL BALPINOITALIA
IN COPERTINA
Giochi di luce e di acqua
lungo il percorso al GoechaLa. Spedizione internazionale Himalaya indiano. Foto
di: Enrico Ferri
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Editoriale│10 minuti di silenzio
É il 21 giugno, sono all’incirca le dieci di sera. L’Auditorium Varrone di Rieti è
al completo. Posti liberi a sedere non ce ne sono più. All’ingresso molti accettano
di stare in piedi pur di esserci. Enrico Ferri, fotografo ed alpinista reatino tra i protagonisti della serata per la sua partecipazione alla spedizione internazionale sull’Himalaya indiano (a pag. 4 la Cover Story con l’ultimo dispaccio), chiede 10 minuti di silenzio
(minuto più, minuto meno) quanto necessario per osservare senza musiche di sottofondo, parole e distrazioni il suo racconto per immagini di un’esperienza fatta non solo
guardando all’insù, in profondità e all’orizzonte, ma anche a testa bassa e ad altezza uomo, attenti a dove mettere i piedi e mettendo a fuoco la natura, roccia, terra, legno, in
strati e strati di storia, la flora e i suoi colori.
Il tempo passa, le fotografie di Ferri sono penetranti, avvolgenti, taglienti. Risucchiano,
abbagliano, colpiscono, parlano. Noi in silenzio, pare senza troppa fatica.
Ora, se è vero che la platea era per lo più composta da alpinisti, escursionisti, amanti
della montagna, persone in qualche modo sensibili al tema, vero è anche che sempre di
umana specie parliamo (posso assicurarlo!) e come tali, “osservando” quel silenzio, qualcosa, volendo o meno, almeno a me, l’hanno detto.
Ero lì e quel silenzio non m’è sembrato affatto difficile, piuttosto necessario.
C’era bisogno di quel silenzio e di quella pace, troppo siamo travolti, senza sosta, da
confusione, caos, connessione, cose da fare, dire, tutte urgenti, sempre e prioritarie anche al silenzio. Chi parteciperà alla prossima Settimana Verde (da staccare e portare con
sé, lo Speciale da pag. 7) avrà l’occasione più facile di godere nuovamente di minuti di
silenzio “contemplando” - non esagero - la natura. Lo sanno molti dei soci CAI che partecipano alle escursioni con cadenza settimanale.
A chi resta in città, lavora, non si ferma mai oppure ha il telefono sempre accesso,
controlla di continuo la casella di posta elettronica, è sempre sui social, propongo un
esercizio che pare banale e semplice, ma non lo è: ogni giorni un minuto in più di silenzio. Per sé stessi. Isolati da tutto e tutti. Per tornare a respirare, sentire dove è possibile
la natura, in ogni caso il battito che abbiamo dentro. L’ideale sarebbe 15 minuti di silenzio al giorno, mi dicono. Un miracolo? ...mah, non si sa mai!
Annalisa Nicoletti
Direttore Responsabile
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Cover Story│Tornando cantando.
Dispaccio dall’Himalaya indiano
di Alberto Peruffo
….Non è necessario “salire montagne”, ma attraversarle, specie
se “salire” significa solo “salire in un punto” (il risultato puntuale), trascurando tutto il resto, l’ambiente, le relazioni con le persone (team, famiglia, gente del posto). A me interessa il risultato
perenne, complesso, aperto a più relazioni, visioni, variabili, luoghi, dove il risultato puntuale (come la cima di un monte) è pure
una lieta possibilità (ma non una necessità)”.
Alberto Peruffo, capo spedizione
Ultimo dispaccio digitale. Spedizione k.2014..it Alberto
Peruffo e compagni dopo 46 giorni in Himalaya
stanno per rientrare dalla spedizione che li ha condotti ad esplorare l’area sud-est del massiccio del
Kanchenzonga. Quello che segue è il dispaccio n.6
scritto da Peruffo il 27 maggio, da Gangtok, al
rientro dalla foresta e dalle Gole del Talung e pubblicato su altitudini.it.
Ora che siamo fuori dalla foresta, tutti sani e ancora in
forma, per difficoltà, isolamento, qualità e quantità delle montagne e dei ghiacciai attraversati, “credo” di aver
guidato una delle più importanti e affascinanti spedizioni esplorative himalayane degli ultimi anni. Ai piedi di
un 8000. Forse “la più”. Un privilegio. Proprio considerando la foresta, che ha precluso per secoli l’accesso
a questo paradiso nascosto, “the hidden paradise”, come l’ha definito il mio amico esploratore indiano Anindya Muhkerjee durante la perlustrazione del 2011.
Ho guidato un team eccezionale: a partire da Anindya
Mukherjee e Thendup Sherpa, che ci hanno aperto
la strada nelle impenetrabili vegetazioni delle Gole del
Talung. Per non parlare degli italiani - sempre positivi
di fronte alla grande complessità e ai disagi del particolare microclima - e del grande cuore sudamericano di
Cesar Rosales Chinchay.
La Cresta Zemu al Kanchenzonga Sud? La vetta più
alta al mondo ancora da scalare? In zona sacra? Dopo
mille peripezie burocratiche-logistiche, atti di fiducia,
siamo stati la prima spedizione ad ottenere l’onoreonere dal governo indiano per esplorarne l’accessibilità
dal versante più difficile da raggiungere e non ci siamo
mai tirati indietro nonostante le legittime perplessità dei
molti amici italiani e le continue complicazioni. La Cresta Zemu è stata il nostro polo attrattore e la nostra
“divinità” guida. Ispiratrice. Con i due grandi e misteriosi ghiacciai sospesi che conducono sul lato meno
conosciuto del Kanchenzonga.
Lo Sperone Sud allo Zemu? La prima possibilità presa
in considerazione? Un probabile suicidio. Non solo per
gli alti seracchi presenti pure nel punto più debole, ma
anche per la troppa neve che ha continuato a cadere
ciclicamente ogni giorno. Dal Colle Sella (5440 m), raggiunto in prima assoluta dopo aver travalicato
l’affascinante e valangoso Colle Tilman (una slavina
poco prima del nostro rientro ha cancellato le nostre
tracce), tutto ci è apparso chiaro, filmando valanghe
impressionanti e raccogliendo la notte fragori di crolli
terrificanti. Lo Zemu Gap, porta d’accesso diretto alla
Cresta Zemu (ramo di sinistra) è diventato invece una
roulette russa. Il seracco superiore si è inclinato rispetto
alla perlustrazione del 2011 di Anindya Mukherjee:
l’ampiezza della fessura rilevata durante la nostra ascensione sembra indicare un imminente crollo. La pesante
neve caduta, inoltre, causa ripetutamente valanghe sul
primo plateau di attacco. Di neve e di ghiaccio. Ci siamo allora alzati – dopo l’esplorazione di tutto il Tonghsiong Glacier – sul South Simvo Glacier, l’altro grande ghiacciaio sospeso e nascosto da chi percorre le orride Gole del Talung. Era la prima volta che degli uomini
entravano in questo paradiso di ghiaccio, “sospeso”.
Dalla Porta della Rivelazione Perenne (6036 m, altro
intaglio di difficile accesso mai toccato da piede umano
e dedicato a un concetto per noi importante di Fosco
Maraini) abbiamo gettato uno sguardo sopra lo Zemu
Gap scoprendo un passaggio di cui si intuiva la presenza, una chiave invisibile da altri punti di vista: un filo di
cresta che porta in alto rispetto a quanto detto sopra, il
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Nella pagina a fianco: Mappa finale della esplorazione con i luoghi raggiunti. Sopra: Enrico, Alberto e Francesco. Campo Simvo. Discutono le
strategie di salita (foto Davide Ferro) Sotto: Il gruppo al Campo Base Operativo. Ultima foto prima del rientro della spedizione.
Rispettando Guru Rimpoche. E avvalorando ogni sillaba del grande Milarepa: attraversare montagne selvagge
– senza mete precise, necessarie (aggiungo io) – è una
via alla liberazione. Il quinto tesoro del Kanchenzonga.
Primi approfondimenti e risultati
1. Il fatto più curioso. Abbiamo girato in lungo e in largo 3
ghiacciai himalayani, esplorato integralmente in prima assoluta 2 grandi ghiacciai pensili (e i rami minori), fatto decine di
migliaia di metri di dislivello e di chilometri lineari (il CBO è
stato mantenuto basso, in un punto cruciale a 3700 metri, per
strategia), scalato 7 cime vergini (2 molto difficili) e travalicato-raggiunto 7 colli (porte, intagli, passaggi tra ghiacciai), 3
dei quali mai toccati da piede umano. Il punto più alto
dell’esplorazione? Non è una cima, bensì un colle alto 6036
metri difeso da una muraglia di ghiaccio di 1000 metri che
credo difficilmente sarà raggiunto da altre persone: la Porta
della Rivelazione Perenne.
2. Una constatazione. Da quella vertiginosa porta-colle:
queste montagne racchiuse tra i ghiacciai Tonghsiong e South
Simvo, la loro grandezza, le loro creste, le continue avverse
condizioni meteo generate dalla foresta, la loro selvaggia e
dura bellezza, non è un luogo per uomini, ma per dei. E se
qualche uomo ci entra, deve essere molto prudente e rispettoso di ciò che queste montagne suggeriscono: non è un po-
sto per affermare la forza cieca dell’uomo, bensì per valorizzarne la prudenza e l’ascolto.
3. Team. Solo un team eccezionale poteva resistere a un
isolamento del genere. Il durissimo e pericoloso ritorno attraverso la foresta (rivegetata dopo 40 giorni e nel massimo
rigoglio della stagione, densa, umida, saponosa-scivolosa per
chilometri e chilometri di equilibri instabili e infiniti saliscendi) è stato una conferma del carattere eccezionale dei compagni e di dove ci eravamo cacciati. In una regione senza possibilità di soccorso e aiuto. Senza comunicazioni satellitari,
condizione impostaci dal governo. Anche una storta a una
caviglia poteva creare un dramma per uscire dall’intrico di
vegetazione. Solo le tue gambe sane potevano portarti fuori e
una grande condizione psicologica.
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Con un team del genere – la cordata di punta, le guide alpine
Francesco Canale (Centro Addestramento Alpino Sezione
Militare Alta Montagna) e Cesar Rosales (Guide Don Bosco
6000), davvero formidabile con salite in velocità e di alto
livello – se lo Zemu fosse stato possibile da sud, l’avremmo
raggiunto. Ma sono le montagne a decidere il nostro destino
e tutta la nostra forza (la compattezza-resistenza del team:
encomiabili Davide Ferro e Andrea Tonin, mai nelle retrovie, nonché la perseveranza professionale, per non dire stupefacente energia del fotografo Enrico Ferri, specie nelle
condizioni estreme della foresta) l’abbiamo riversata sui due
grandi ghiacciai sospesi che si generano dalla Cresta Zemu,
per poterla meglio studiare, con salite di cime vergini e di
colli tecnicamente più difficili, ma con pericoli oggettivi più
contenuti, facendo per qualità e quantità forse una delle più
grandi esplorazioni himalayane ancora oggi possibile ai piedi
di un 8000. E soprattutto ribaltando una stupida e perniciosa
ideologia (ricordo l’ingenua pubblicazione “Etica
dell’alpinismo”, SDPX, Manuali del CAI) che afferma:
l’alpinismo è raggiungere la cima di un monte. L’alpinismo è
molto di più. E le sue visioni vanno oltre il risultato puntuale.
Apicale. I nostri colli lo dimostrano. Ricordando che gli obiettivi ambiziosi hanno bisogno di lunghi corteggiamenti.
4. Il molto di più. I cinque tesori. Tra il molto di più ci
sono i “cinque tesori”: la cultura. La cultura depositata nei
luoghi e nelle persone. La cultura delle civiltà che ti ospitano
e dei componenti una squadra e che tutta insieme può fare
diventare l’alpinismo uno straordinario laboratorio di civiltà e
fratellanza. Se negli altri dispacci avevamo indicato i due primi tesori come “la natura senza l’uomo” e la “rispettosa oltranza dell’uomo”, e in questo inizio di dispaccio il 5° come
l’aforisma di Milarepa – “attraversare montagne selvagge è
una via alla liberazione” – quali saranno il 3° e il 4° tesoro,
strettamente connessi con gli altri, che Guru Rimpoche ha
sepolto in qualche luogo segreto del Kanchenzonga che forse
neppure corrisponde alla cima del monte?
Gli ultimi giorni siamo andati tutti in pellegrinaggio al tempio-eremo di Yongiotang, per poi raggiungere pure il Goecha-La. Una specie di lunga escursione di ringraziamento,
stupore e meraviglia. Un atto di spirito. Collettivo. Incredibile, a pensarci bene, per una spedizione dopo 40 giorni di fatiche. Nessuno di noi sapeva con certezza che proprio a mezzavia del ghiacciaio del Talung, sotto la Porta Maraini (che
collega in perfetta linea retta! il Goecha-La con lo Zemu Gap,
l’Occidente con l’Oriente), fossero presenti i resti dell’eremorifugio del grande profeta tibetano Guru Rimpoche. Ai piedi
del Pandim. Montagna bellissima e ora capiamo perché sacra.
Sembra che il grande profeta abbia scelto questo luogo inaccessibile, questo lato imperscrutabile della montagna, del
Kanchenzonga, per meditare e per formulare i suoi pensieri.
Questi altri due tesori io ho trovato avvicinandomi camminando lentamente verso questi luoghi. Il 3° la “sacralità concreta”, la percezione concreta del mistero che l’uomo nutre
nei confronti della natura, della grandezza e
dell’incommensurabilità delle cose, del creato, dell’altro da
noi. La percezione concreta del nostro limite nei confronti di
tale bellezza che può diventare all’improvviso brutale potenza, che in un solo attimo fagocita e annulla la nostra esistenza. In altre parole, il “sacro” è vivere concretamente sul limite
e il concetto stesso di religione – ossia il mettersi di fronte
all’assoluto, a ciò che ti scioglie, sia esso Dio o l’abisso – va
riformulato. La montagna può aiutare a farlo. Il 4° tesoro
vorrei invece configurarlo con i termini del maestro guida di
questa esplorazione: Fosco Maraini. Il tesoro della
“rivelazione perenne”, o dell’oralità perenne delle persone e
delle cose. Perenne e non puntuale, sottolineo. Non mi soffermo sull’aspetto religioso del concetto di Maraini. Leggetevi
Dren-Giong e le testimonianze degli amici, Corbaccio editore
2013. Ma in questa spedizione le persone e le cose, le montagne, hanno dimostrato di non essere dei semplici punti. Dei
risultati puntuali. Ma delle complesse relazioni organiche che
possono durare nello spazio e nel tempo molto di più di un
risultato puntuale. Come può essere la semplice cima di un
monte. O il tocca e fuggi delle relazioni superficiali con le
persone. Quante cose ci siamo raccontati tra noi oralmente
attraversando montagne, ho detto ai miei compagni mentre
scrivevo questo dispaccio. Cambiando i termini, non è necessario “salire montagne”, ma attraversarle, specie se “salire”
significa solo “salire in un punto” (il risultato puntuale), trascurando tutto il resto, l’ambiente, le relazioni con le persone
(team, famiglia, gente del posto). A me interessa il risultato
perenne, complesso, aperto a più relazioni, visioni, variabili,
luoghi, dove il risultato puntuale (come la cima di un monte)
è pure una lieta possibilità (ma non una necessità).
5. Inaccessibilità. Che me ne faccio di un risultato puntuale,
il salire la normale di un monte guardandomi i piedi, o di una
performance nuda e cruda, se non porta con sé a nuove visioni? Niente. Se non un autocompiacimento che dura
l’effimero attimo di un punto. Noi abbiamo avuto il coraggio
di partire per esplorare la parte inaccessibile del Kanchenzonga quando tutti ci dicevano di restare a casa, con la speranza
di avvicinarci ai Cinque Tesori indicati da Guru Rimpoche
durante le sue meditazioni (in chiave orientale) o di “fare
alpinismo come l’abbiamo sempre fatto”, caricandoci di bellezza e libertà (in chiave occidentale, come credo approverebbe Fosco Maraini). Speriamo di esserci riusciti e la condivisione sarà la prima corrispondenza con i nostri interlocutori.
6. Conclusione. Noi ci siamo divertiti (di-vergere) tantissimo attraversando-scalando montagne e ghiacciai meravigliosi
mai toccati da occhio umano e tessendo forti relazioni culturali con persone e luoghi. 50 giorni intensissimi (oggi eravamo al Namgyal Institute of Tibetology di Gangtok dove ci
aspettava la grande antropologa Anna Balikci per uno scambio di materiale su Vittorio Sella e Fosco Maraini e un primo
resoconto della spedizione). E stiamo “tornando cantando”.
Compatti. Rispettando alla lettera il consiglio di Giacomo
Albiero, mio maestro d’alpinismo. Quante altre spedizioni
possono dire così?
Molto ancora su: www.k2014.it
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Speciale
Valle d’Aosta
PROGRAMMA
Info e contatti
Tra natura e arte
I piatti tipici
I libri
Stacca e porta con te! 23 - 30 agosto 2014
NaturArte│Valle D’Aosta:
piccola regione, grande nella sua ricchezza naturale
di Luca Cipolloni
La Valle d’Aosta, incastonata nella corona alpina, è la
regione più piccola d’Italia dalla incredibile ricchezza
paesaggistica e naturalistica, aiutata forse dal fatto che
sia la regione meno densamente abitata, visto che più
della metà del suo territorio è compreso tra 1.500 e
2.700 metri di quota. Vanta parecchi primati come quello di essere considerata il tetto d’Europa dato che ospita
le più alte montagne delle Alpi, con ben venti vette che
superano i quattro mila metri; circa un quarto di tutti i
ghiacciai italiani si trova proprio in Valle d’Aosta occupando il 6% del territorio regionale; è la regione europea con la maggior concentrazione di aree protette tra
riserve naturali e parchi nazionali preservando un gran
numero di specie vegetali ed animali.
Territorio ricco dal punto di vista ambientale tra valli,
alpeggi ed alte montagne che i Valdostani sono soliti
dividere la regione in due zone: la pianura la “plaine” e
la montagna la “montagne”. La pianura corrisponde alla
valle principale della Dora Baltea, unico fiume della
regione, dove si trova la città di Aosta, il capoluogo,
punto, che in epoca antica, consentiva il controllo della
strada romana che portava in Francia attraverso i due
passi del Piccolo San Bernardo, che la collega alla regione francese della Savoia, e il Gran San Bernardo a circa
2.000 metri che la mette in comunicazione con il Vallese, celebre per il passaggio della via Francigena che collega il Nord Europa a Roma, ma fin dalla preistoria
passaggio di popoli. La restante parte di territorio definito “montagne” comprende tutte le vallate laterali dove vi sono i principali centri turisti invernali ed estivi,
come Courmayeur, Cogne, Valtournenche.
Tra le alte vette simbolo di vertigine e salita verso il
sublime, ispirazione e metafore di infinito per gli artisti
dell’Ottocento, campo d’azione per i giovani europei
che qui hanno scritto gloriose pagine dell’alpinismo
mondiale tra vittorie e disastrosi insuccessi si ricordano:
il Monte Bianco (4.810 m), il Monte Rosa (4.634 m.), il
Monte Cervino (4. 478 m.) e il Monte del Gran Paradiso (4. 061 m.), eleganti con i loro manti ghiacciai perenni che le avvolgono in un bianco abbraccio. Ghiacciai
perenni; se ne contano circa 210, ma dalle irregolari
pulsazioni, tra continui ritiri ed espansioni, messi a rischio dal riscaldamento globale. Si segnala per incredibile fascino il ghiacciaio del Miage, il maggiore del versante sud del Monte Bianco, il quale si sviluppa per 10
Km; è il più lungo d'Italia. Autentico ghiacciaio vallivo,
è alimentato da 6 lingue glaciali tributarie.
Piccola curiosità, perché nonostante tutti questi monti,
il gran numero di ghiacciai, Aosta è una delle città meno
piovose d’Italia proprio per la sua posizione, protetta
dai rilievi montuosi che ne bloccano le perturbazioni
provenienti da ovest e la stessa cosa accade per le correnti umide provenienti dalla Pianura Padana.
Regione che per la varietà di specie animali, vegetali e
floreali crea un unicum nel suo genere conservata da un
gran numero di riserve e parchi. Il Parco Nazionale del
Gran Paradiso si estende nei comuni di Cogne, Valsavarenche e Rhêmes, per 70.000 ettari, tra i tanti sintetizza
di più le caratteristiche del paesaggio valdostano. Storicamente è stato il primo parco nazionale italiano, e parte della zona fu già riserva reale di caccia del re Vittorio
Emanuele II fin dal 1859. Ai tempi delimitare una riserva equivaleva in un certo senso a proteggere la fauna, si
pensi soprattutto allo stambecco, la cui immagine è diventata il simbolo del parco. Si narra infatti che il re
esercitasse la sua arte venatoria soltanto nel mese di
agosto, e che la gran parte delle battute fossero
“truccate” per farlo divertire, risparmiando gli esemplari
femmine e i cuccioli, rendendo possibile una protezione
sistematica della specie. Nel 1920 l’erede di Vittorio
Emanuele II concesse in dono allo Stato la riserva, che
allora si estendeva per circa 2.100 ettari, e il parco vero
e proprio venne istituito nel 1922. Senza dimenticare
che tutto il Monte Bianco è inserito nell’Espace-Mont
Blanc, area protetta internazionale che si estende sulla
Valle d’Aosta, Savoia e Vallese. L’obiettivo principe
dell’Espace- Mont Blanc è quello della tutela del territorio e della promozione di uno sviluppo sostenibile. Il
massiccio appoggiato dalle tre regioni, Italia, Francia e
Svizzera, è stato inserito tra i siti patrimonio mondiale
dell’umanità, tutelato dall’Unesco, in quanto “sito eccezionale ed unico al mondo, luogo di nascita
dell’alpinismo”.
Lasciatevi trasportare dai colori e intensi profumi della
Valle d’Aosta, accompagnati dal fischiettare della marmotta, dall’alto volo dell’aquila reale che qui nidifica su
vertiginose rocce e tenete gli occhi aperti perché nei
prati, lungo i dirupi più difficili da raggiungere camosci
e stambecchi regali nella loro leggera andatura, pascolano indisturbati e nella stagioni estiva è semplice avvistarli. Buona avventura.
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...non solo montagne!
di Teresa Marinelli
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino...allora
Pont Saint Martin, porta d’ingresso in Valle d’Aosta,
costituisce la carta d’identità dell’intera regione...un
connubio di splendide montagne, resti di epoca romana e numerosi castelli medievali. Percorrendo, infatti,
da sud l’antica strada consolare delle Gallie, è proprio
un ponte romano a dare l’accesso al suggestivo paesino...ma rivolgendo al cielo lo sguardo rapito dalla bellezza delle montagne, ecco apparire anche i resti di un
castello feudale appartenente ai signori di Bard, potente e feroce famiglia valdostana. Le due epoche si intrecciano in una leggenda popolare che lega in qualche
modo il ponte romano al vescovo di Tours. Si narra,
infatti, che San Martino, di ritorno da Roma, restò
bloccato a causa di una piena del fiume Lys. Il diavolo
propose di costruire in una sola notte un ponte in cambio dell’anima di colui che per primo lo avesse attraversato. Il santo accettò, ma al mattino gettò un pezzo di
pane dall’altra parte del ponte ed un ignaro cagnolino
lo attraversò per guadagnarsi la ricompensa. Il diavolo,
infuriato per l’inganno, scomparve nel fiume, lasciando
così il ponte ai paesani. Questa leggenda è ancora viva
tanto da costituire il tema principale del Carnevale di
Pont Saint Martin, che si conclude proprio con il rogo
del diavolo sotto l’arcata del ponte.
Proseguendo lungo l’antica consolare, ci si imbatte invece nell’imponente e strategico Forte di Bard, edificato all’imbocco della valle su un’altura che sovrasta la
stretta gola della Dora Baltea. Costruito nel 1034 là
dove già i Romani avevano posto la loro difesa a protezione dei confini dell’Impero, passò definitivamente
nelle mani dei Conti di Savoia nel 1242 . L’avamposto
è noto per la sua fama di “inespugnabilem oppidum”,
in particolare per aver bloccato l’avanzata dell’esercito
napoleonico nel 1800. L’efficace resistenza suscitò,
però, tanta sorpresa ed indignazione tra i Francesi che
Napoleone lo fece radere al suolo per vendicare
l’offesa subita. Il Forte fu poi ricostruito nel 1838 ed
oggi si staglia sulla montagna in tutta la sua imponenza.
Più di cento sono castelli, masti e manieri disseminati
sul territorio a testimoniare l’importanza della vallata,
via di comunicazione per mercanti, soldati e pellegrini
che dall’Europa centro-occidentale si spostavano per
raggiungere Roma.
Tra tutti si distingue il castello di Fénis, uno dei pochi
non costruito per scopi bellici, ma come residenza signorile; era, infatti, la sede di rappresentanza della famiglia Challant, che la abbellirono con eleganti pitture,
simbolo di potenza e prestigio.
Nel punto in cui la valle si allarga e la Dora Baltea riceve le acque del torrente Buthier, abbracciata da possenti montagne si erge Aosta, che offre ai turisti i resti di
ogni epoca storica. Strappata nel 25 a.C. dai Romani ai
Salassi, antica popolazione gallo-celtica, porta il nome
dell’accampamento romano “augustae praetoria”, del
quale ricalca la planimetria. Ben visibile è ancora la cinta muraria, ma ciò che sorprende maggiormente è
l’integrità della Porta Praetoria, l’accesso principale
all’antica città, e dell’arco di Augusto. A sancire la continuità storica sono i segni sovrapposti delle diverse
epoche. In età medievale alla Porta Pretoria fu addossata una cappella della SS.Trinità…così come sull’arco
furono collocati prima un’immagine del Salvatore sostituita in seguito da un Crocifisso.
“…la vecchia Aosta di cesaree mura
ammantellata, che nel varco alpino
èleva sopra i barbari manieri
l’arco di Augusto…” (Carducci)
Piazza del Popolo
02013 Antrodoco (RI) - Tel. 0746-580023
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CAI
Il programma | Valle d’Aosta
ES
23 - 30 AGOSTO 2014
C UR S IO N IS MO
l’invito
di Janus
Programma Escursionistico
MONTE BIANCO
località /partenza
itinerario PROGRAMMA A
diff
dsl
tempi
Val Ferret
Arnovaz 1769m
Rifugio ELENA, 2060m (s.24/25)
Colle du GRAN FERRET, 2537m (s.25)
TETE DE FERRET, 2719m
TEE
291m
791m
964m
1:45/1:00
4:00/2:30
4:40/3:00
Val Veny
Cantina VISAILLE
Rifugio ELISABETTA, 2195m (s. 13)
COL DES PIRAMIDES (13/12)
o PIRAMIDI CALCAREE (anello)
T/E E
EE
500m
958m
500m
2:00/1:20
3:30/2:00
2:15/03:30
Al rientro visita ai Laghi di Combal e Miage
(fermata al bar Combal)
GRAN PARADISO
CERVINO
M. EMILIUS
Courmayeur
La PALUD, 1370m
Rifugio PAVILLON, 2174m (s.20)
Visita orto botanico
Possibilità di rientro in funivia
T/E
804m
2:30/01:40
Valsavarnenche
PONT, 1960m
primo giorno Rifugio Vittorio Emanule II
2800m s.1
T/E
770m
2:15/1:20
Val di RHEMS
Alpeggi di THUNEL
1868m
Rifugio BENEVOLO 2285m (s.13)
LAGO S.ELENA, 2675m (s.13c)
o LAGO di GOLETTA (s. 13d)
(cartelli in legno e bolli gialli)
T/E
E/EE E
417m
807m
832m
1:30/1:10
3:00/2:00
4:00/2:30
Valturnanche
Val MARTIN/MONTAZ
1495m
Rifugio BARMAS, 2175m
Interessante il passaggio sulla diga
con visita alla cappella Cigliana
T/E
712m
2:15/1:30
T
E/EE
720m
838m
2:40/1:30
3:00/1:45
TEE
205m
680m
863m
0:45/0:25
1:45/1:15
3:00/2:00
Valturnanche
CERVINIA, 2010m
Aosta PILA, 1850m
(in funivia da Aosta)
Rif. DUCA DEGLI ABRUZZI
a L'ORONDE CROCE CARREL
ALPE di CHAMOLE', 2154m
LAGO di CHAMOLE', 2325m (s.19a)
Rif. ARBOLLE, 2507m (19a - 22a)
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 0
Programma Alpinistico
MONTE BIANCO
GRAN PARADISO
localita/partenza
itinerario PROGRAMMA B
diff.
dsl
tempi a/r
ferr.
Val Ferret
ARNOUVAZ 1769m
Rif.DALMAZZI, 2569m
(sentiero 23, ometti/bolli gialli)
EEA
PD
820m
2:30/1:30
200m
Val Veny
Cantina VISAILLE
Rif. MONZINO, 2590m
( s.16) Partenza 1Km prima di VISAILLE,
direzione Casal di Freney, segnavia n°7
EEA
PD
1000m 2:30/1:45
180m
Val Veny
Cantina VISAILLE
Rif. BORELLI, 2310m
( s.19) Partenza 4Km prima di VISAILLE,
PORTUD, 1489m
EEA
PD +
821m
2:30/1:30
180m
Courmayeur La PALUD,
1370m
MONT DE LA BRENVA, 2300m
( s.20A) - Belvedere, palestra di roccia
EEA
PD +
260m
1:30/1:20
Valsavarnenche
PONT, 1960m
secondo giorno
GRAN PARADISO, 4064m
EEA
F
1330m 4:15/2:30
Valsavarnenche
PONT, 1960m
Punta TRESENTA, 3609m
EEA
F+
874m
Val di RHEMS
Rhems di NOTRE DOME,
1723m
Colle ENTRELOR, 3002m
(segnaletica gialla - 10 - alta via n°2)
NB: l'ultimo tratto potrebbe essere
ancora innevato, utili piccozza e ramponi
EE
1270m 3:30/1:50
Valgrisenghe 1700m
BECCA D'AOUILLE, 2605m "ferratabethazBovard" Possibilità di rientro a quota
PD/D
1900m/2100m - sentiero 17
CERVINO
Valturnanche
CREPIN/ CRET DU PONT
" Ferrata GORBEILLON"
(s.6 - controllo indicatori)
EEA
AD/D
Valturnanche
CHEMEIL- A.la BARMAZ,
1841m
GRAN TOURNALIN,3379m
Alta via 1, segnavia giallo 24,
ritorno per lo stesso itinerario fino a
q.28oom, poi sentiero 23;
EEA
Valturnanche
BREIL/CERVINIA -Località
AVUIL Rif. Carrel,1957m
SPERONE VOFREDE, 3131m
(s. 10 - s. 9; alta via 1)
EEA/A
D
2:45/1:50
4:00/2:30
02:00
805m
200m
1470m 4:45/03:00
1300
4:20/3:00
200m
In programma alcune escursioni di diverse difficoltà, dalle turistiche alle alpinistiche che si possono fare nella settimana verde in Valle d'Aosta. Prima della partenza saranno scelte da questo elenco alcune escursioni da abbinare ai sei
giorni di permanenza ad Aosta. I partecipanti sotto la propria responsabilità sono comunque liberi di organizzarsi
diversamente dal programma proposto. I tempi e i dislivelli salvo diversa indicazione sono da ritenersi sempre riferiti
alla partenza.
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 1
Mangia che ti passa│Piatti tipici valdostani
di Anna Boccacci
Piatti molto poveri, ricette contadine tramandate
nel tempo. La tradizione culinaria della Valle d'Aosta si
distacca fortemente dalla tradizione delle altre cucine
regionali italiane, mostrando invece grandi affinità con
le regioni transalpine limitrofe: la Savoia, l'Alta Savoia e
il Vallese. Si evidenzia l'assenza del frumento, che ha
portato al pane di segale. I prodotti locali sono essenzialmente cereali di montagna, prodotti caseari bovini e
caprini, carni e derivati di bovini, suini e di camoscio;
scarseggia l'olio, sostituito da burro ed altri grassi sia di
origine vegetale che animale. Gli ingredienti principali
sono rappresentati da rape, porri, cipolla, patate, castagne, mele e pere. La presenza del riso è localizzata nella
zona dell'alta val di Cogne e si deve all'origine piemontese degli abitanti. Tra i piatti tipici, spicca la zuppa
Valdostana a base di brodo di carne, con cavoli e fontina, insaporita con fettine di pane. Tra le zuppe tipiche
troviamo anche la zuppa alla valpellinense, a base di
pane bianco raffermo e fontina. I primi piatti sono sempre accompagnati dall’immancabile polenta, generalmente cucinata al forno e insaporita con sughi di lepre
o di cinghiale o condita con il burro. Anche la fonduta
di formaggi è un altro piatto tipico valdostano, a base
principalmente di fontina. Questo formaggio, ricavato
dal latte delle mucche risalirebbe, secondo la tradizione,
al 1270. La fontina viene prodotta in inverno e in estate,
in questo caso il colore del formaggio è più intenso, a
causa dal maggiore betacarotene assimilato dalle mucche al pascolo. Tra i secondi piatti, invece, spicca la
carbonade a base di carne rosolata al vino rosso, cucinato con panna, ginepro, pepe nero e timo. Tra i dolci
della cucina Valdostana troviamo il classico mont
blanc con castagne, cacao e panna montata e le caratteristiche tegole d’Aosta, biscotti di mandorle e nocciole
che vengono cotte su ripiani curvi, in modo da dare
loro la tipica forma delle tegole dei tetti delle case.
Caffè alla valdostana - Coppa dell’amicizia
La Coppa dell'Amicizia è una delle bevande più straordinarie
della Vallée, da bersi in allegra compagnia, al termine di una
giornata fredda, magari sulla neve.
La Coppa dell'Amicizia è il simbolo del calore con cui
il turista viene accolto in Valle d'Aosta. Come altri oggetti dell'artigianato locale, la "Coupe de l'Amitié" è
passata alla storia nella sua forma originale: bassa, larga
e munita dei caratteristici beccucci che servono per
bere "à la ronde". Passando di mano in mano, la
"Coupe" dispensa a ciascuno la propria razione di caffè
alla Valdostana, con un ampio margine per ripetere il
giro più e più volte. Difficilmente si beve sempre dallo
stesso beccuccio, e questo conferisce al rito quel tocco
di promiscuità che crea aggregazione e coinvolgimento.
Che crea amicizia, appunto. La Coppa dell'Amicizia
non va confusa con la Grolla, oggetto dalla forma più
allungata e di ben diverse origini. Un'antichissima leggenda valdostana vuole che la Grolla provenga nientemeno che dal mitico Santo Graal.
Ingredienti:
4 tazzine di caffè caldo
2 tazzine di grappa
1 tazzina di Ginepy
4 cucchiai di zucchero
1 arancia o 1 limone
Preparazione:
Mettere i liquori, lo zucchero, la scorza dell'arancia e
un po’ di succo d’arancia a scaldare in un pentolino,
finché lo zucchero non sarà sciolto. Intanto passate un
po' di succo di arancia intorno al foro del coperchio,
quindi cospargete di zucchero.
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 2
Versate poi nella coppa i liquori e il caffé e accendete il
fuoco all'interno. Dopo un minuto mettete il coperchio sulla coppa, cosicché si spenga il fuoco. Inco-
“Roberticola”
minciate il rito!!!
Tabaccheria - Edicola
La Fonduta
Lotto -Cartoleria
Marinelli Roberto
Via Marmorale, 73
(Salaria)
Antrodoco
TORCE
COLTELLI SPORTIVI
Tel.Fax: 0746.578079
E-mail: [email protected] ARTICOLIO PER LA PESCA
Ingredienti per 4 persone:
400 gr. di fontina
4 uova
70 gr. di burro
1/2 lt di latte
Pane casareccio q.b.
Sale e pepe q.b.
Preparazione:
Eliminate la crosta dalla fontina, tagliatela a fettine
sottili, raccoglietele in una terrina, versatevi il latte indicato (o anche di più perché il liquido deve ricoprire il
formaggio) e fate riposare per un’ora. Senza sgocciolarla troppo ritirate la fontina dal latte e mettetela in
una casseruola a fondo spesso. Unite il burro freddo a
pezzetti. Ponete il recipiente a bagnomaria e, sempre
mescolando, lasciate fondere il formaggio. Dapprima si
forma una massa compatta che poi si scioglierà lentamente. Quando il composto ha raggiunto una consistenza cremosa incorporatevi un tuorlo alla volta mescolando velocemente, quindi lasciatelo ancora a bagnomaria per 2-3 minuti in modo che il composto acquisti il suo tipico aspetto vellutato (a questo punto
decidete se, per una più giusta consistenza, è il caso di
aggiungere un po’ del latte dell’ammollo). Controllate il
sale e insaporite con un solo pizzico di pepe. Versate la
fonduta nelle ciotole tenute in caldo, e servitela con
fette di pane nero tostate a parte. conservate calde .
Per gustarla ancora meglio posate il tegame in tavola
su un fornelletto a spirito per mantenerla calda.
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 3
Valle d’Aosta│Da sapere
Informazioni e contatti utili
Oltre alle escursioni come da programma allegato sarà
organizzata una gita turistica in pullman, possibili mete
sono da scegliere in loco tra Ginevra, e/o il classico tour
dei Castelli. Un giorno sarà lasciato libero.
I partecipanti possono organizzare per proprio conto e
sotto la propria responsabilità qualsiasi attività che ritengono opportuna, sempre comunque fuori programma.
Equipaggiamento: scarponi, giacca a vento, cappello e
guanti pesanti, ed adeguata preparazione fisica, per chi è
interessato ad organizzarsi per effettuare escursioni alpinistiche e/o ferrate. Per le ferrate è necessario il kit completo: ghette, piccozza e ramponi.
In copertina
Speciale Valle d’Aosta:
Monte Cervino.
Foto: Eligio Boccacci
Sistemazione ad AOSTA (23 - 30 agosto 2014)
Hotel Turin (3 stelle)
Via Torino 14 - 11100 Aosta (AO) Italia
Tel. (+39) 0165/44593-41893
Fax. (+39) 0165/361377
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Trattamento di mezza pensione in camera doppia, con
riduzione famiglie per 3° e 4° letto. Viaggio in pullman
gran turismo, salvo adesioni compatibili.
Per ulteriori info contattare: Lorenzo CIANCA
tel 329/4113515 [email protected]
NUMERI DI EMERGENZA UTILI
SOCCORSO ALPINO PROTEZIONE CIVILE
Sede uffici Loc. Aeroport, 7/A – Saint Cristophe (AO)
PROTEZIONE CIVILE
tel 800 319319 (numero valido sul territorio nazionale)
SOCCORSO ALPINO VALDOSTANO
tel 800 800319 (numero valida sul territorio nazionale)
GUARDIA MEDICA U.S.L
Tel. 118 – sevizio notturno 20.00 -08.00
Festivi 24 ore su 24
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di Marilena di Michele
Corso Roma, 13 - Antrodoco (RI)
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 4
CAI Salute │Tutta colpa dei piedi, forse*
Mille miglia cominciano con un passo, diceva il filosofo
corpo. Gli orientali ci insegnano molto in questo senso.
Per la medicina alternativa la pianta del piede rappresenta tutto il nostro corpo e ad esso è collegata. E allora
che si fa? Da cosa cominciare? Intanto iniziamo a pensarci sul serio e in vista di imminenti e lunghe escursioni in montagna, possiamo imparare a trattare bene i
nostri piedi prendendo in considerazione alcuni di quei
semplici, ma importanti accorgimenti che possono aiutarci a preservare la salute dei nostri piedi ed il piacere
del camminare. Cosa fare per preparare al meglio i
piedi ad una camminata in montagna?
Scegliere la scarpa ed i tessuti giusti. In montagna
una scarpa non vale l’altra. Informatevi bene sulla difficoltà dell’escursione, sul tipo di percorso in programma, sulle ore di cammino e sulle temperature. In linea
generale la scarpa deve tenere bene caviglia e tallone.
Oggi per il trekking di calzature ne esistono molte e c’è
altrettanta informazione in merito. L’ideale è farsi consigliare da chi ha più esperienza e più passi alle spalle.
Contro il sudore, indossate calze di fibre naturali o con
solette assorbenti nelle scarpe. Uno stratagemma può
essere indossare un doppio calzino mettendo a contatto
dei piedi, solo cotone.
Attenzione alle unghie. Che non siano né troppo lunghe, né troppo corte e taglienti. Il taglio deve essere
squadrato e non intaccare gli angoli. In ogni caso tenete
Rinforzare e rilassare. Per rinforzare la muscolatura del piede approfittate quando possibile di camminare a piedi nudi su una superficie morbida (sabbia o
erba), è di per sé un buon allenamento e massaggio
plantare. Salite e scendete sulla punta dei piedi
nudi per rinforzare l’arco plantare oppure
provate a raccogliere dei piccoli oggetti con i
piedi per mettere in moto proprio i muscoli
estensori e flessori del piede e delle dita. E’
possibile che abbiate crampi alle dita proprio
per la poca abitudine a far lavorare tutto il
piede. Per rilassarli massaggiate l’arco plantare
con le nocche della mano, stirare prima le dita
e poi piegatele forte in avanti cercando di mettere in
evidenza le teste metatarsali (nocche dei piedi). Da seduti per terra, schiena contro il muro e gambe tese in
avanti e piedi in flessione dorsale, piegate lentamente in
avanti un piede con le dita piegate in avanti. Lentamente e espirando. Ruotate poi i piedi da una parte e
dall’altra per mobilizzare le caviglie. Un buon massaggio plantare passivo, infine, è muovere in tutte le direzioni un piede sopra una pallina. Continuate il rilassamento massaggiando anche polpaccio e cosce. Nella
camminata sono i muscoli motore.
A cura di
cinese Lao Tzu, ma se il passo è dolente, ci sarebbe da
aggiungere, non sarà facile né arrivare lontano, né gustarsi la camminata. Lo sanno bene gli escursionisti,
ancor più gli alpinisti e di sicuro, almeno una volta nella
vita, è capitato a chiunque di doversi fermare, rinunciare o proseguire a fatica, per via di scarpe troppo strette
o comunque scomode, cuciture taglienti, unghie antipatiche, vesciche, calli e duroni. Un po’ come il cuore, i
sentimenti, i nostri piedi sono più sensibili ed influenti
di quanto si voglia a volte credere e richiedono la nostra
attenzione e cura almeno quanto altre parti del nostro
sempre con voi cotone, forbicine e una limetta per curarli alla bisogna e prima di partire controllate che non
ci siano ferite e se ne trovate, mettetele al sicuro da ulteriori danni.
Coccolare. Valido sia prima che dopo è il pediluvio,
alternando acqua calda e fredda per riattivare la circolazione, prevenendo le vene varicose. Unite sale marino,
menta e lavanda per combattere la sudorazione. Massaggiate tutti i giorni i piedi con una crema idratante,
allevia tensioni e previene calli e duroni. Andate periodicamente dall’ortopedico per verificare le condizioni
delle dita e la posizione di appoggio, e non trascurate di
affidarvi di tanto in tanto ad un buon podologo, soprattutto se state per affrontare vette importanti.
*Le informazioni riportate sono a cura della redazione:
sono raccolte da esperti e prendono spunto da articoli
tecnici e siti di settore.
Rubrica sostenuta da
AVIS Comunale Antrodoco
Referente: Giampietro Mattei
Mobile: 3384363877 - e.mail [email protected]
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 5
#FAUNA│Il capriolo, piccolo cervide
di Marco Innocenti*
Parlare di fauna selvatica è sempre argomento affascinante ed allo stesso tempo scomodo. Sorvolando sul
fascino, la scomodità nasce dal fatto che gli animali selvatici sono presenti o sempre più presenti, si fanno vedere ed impattano in modo diverso sul territorio. Avvistamenti, incidenti con autoveicoli, ritrovamenti di piccoli o adulti feriti, danni ai coltivi da parte di ungulati ed
al bestiame da predatori. Inevitabilmente la loro presenza direttamente o indirettamente incrocia la sensibilità
di ognuno di noi. Ma esistono modi diversi di rapportarci agli animali ed in particolare alla fauna selvatica.
I diversi interessi, che ci legano alla natura ed alle attività ad essa connesse, la complessa comprensione dei
processi ecologici e sociali, che agiscono sui territori
montani e di media collina, rendono tutto più affascinante e problematico. Senza sminuire le visioni e gli
interessi di ognuno, senza dimenticare i danni che la
fauna può provocare alle attività agro-zootecniche nelle
aree marginali rurali, tralascerò in questi brevi articoli di
parlare della fauna selvatica come problema e di addentrarmi nel dibattito delle soluzioni gestionali, non perché
non sia importante farlo (anzi)
ma semplicemente perché
questi aspetti non vogliono
essere oggetto di questi contributi. D’altra parte proverò a
parlare di quelle specie che
generano da sempre intorno a
loro fascino e problematiche e
di quelle che a discapito della
loro diffusione sono sconosciute o confuse, pur ricoprendo ruoli ecologici importanti e generando biodiversità.
Capriolo, il piccolo cervide.
Per descrivere una specie in modo approfondito bisognerebbe partire da lontano e descriverne gli antenati, per poi
passare dalla distribuzione storica a quella attuale, spiegarne la classificazione,
tratteggiarne le caratteristiche morfologiche, fisiologiche (alimentazione e riproduzione), ecologiche (ambiente tipico, rapporti con altre specie compresa quella umana). Tuttavia proverò a illustrare in
poche righe, le peculiarità di una specie faunistica il capriolo (Capreolus capreolus), a mio avviso tra le più affa-
scinanti, che cinghiale (Sus scrofa) a parte, è l’ungulato
più diffuso nel nostro Paese.
Il capriolo è un animale legato ad ambienti con una notevole variabilità vegetazionale, caratterizzati da abbondante sottobosco. Predilige zone collocate a bassa quota (sotto i 1200 m), con boschi intervallati da spazi aperti. Detto questo, non ci si dovrebbe stupire come le
zone dell’Appennino centrale siano particolarmente
popolate da questa specie diffusa da Nord a Sud Italia.
Il capriolo così come altre specie selvatiche presenti in
Italia (cervo, camoscio, stambecco, muflone, cinghiale)
e specie domestiche di interesse zootecnico (bovini,
ovini, caprini, maiale) appartiene all’ordine degli ungulati con numero pari dita (artiodattili). Questo ordine raggruppa animali che poggiano il proprio peso corporeo
sulla punta delle dita e dove le unghie si sono modificate in zoccoli. Una caratteristica biologica è la ridotta
dimensione degli zoccoli che produrranno una piccola
impronta (la più piccola tra tutti gli ungulati selvatici
europei) appuntita e sottile di circa 4-5 cm x 3 cm (Foto
in alto a sinistra). che ritrovata nel terreno, diviene uno
dei segni della sua presenza. Impronte, o complessi di
orme, sono segni evidenti, ma non sempre facili da
riconoscere e da assegnare ad una specie; così è facile
confondere un’impronta di capriolo con quella di un
cervo piccolo. Il capriolo è un cervide, ovvero una
specie dotata di palchi presenti solo nei maschi, strutture ossee a rinnovo annuale analoghe e non equivalenti alle corna. I palchi (costituiti di cartilagine appoggiata su una base ossea) cadono ogni anno per poi riformarsi, si sviluppano dal quarto mese nei piccoli
maschi (agosto). Appena formate sono ricoperte da
pelle vellutata (velluto) che difende protegge e nutre la struttura in crescita che
via via diviene più dura a causa di un processo di ossificazione. A Febbraio il palco viene liberato dal velluto attraverso lo
sfregamento su piccoli arbusti che vengono scortecciati, questo è un segno indiretto che ci annuncia la presenza del capriolo in un territorio. Il capriolo è un
cervide di taglia media e i due sessi si
distinguono poco nelle dimensioni a differenza di ciò che accade nel cervo (Cervus elaphus).
Foto in alto: caratteristiche salienti piede capriolo (Ant sx ) (foto M.
Innocenti). Sotto: differenze morfologiche tra femmina con falsa coda
in inverno (a sx) e maschio (a dx) di capriolo. Pagina a fianco: piccoli
di capriolo non ancora svezzati (foto M. Innocenti)
Janus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 6
Nel periodo invernale quando il maschio non ha il palco, potrebbe non essere subito riconoscibile dalla femmina, tuttavia alcune caratteristiche ci possono dare
qualche indicazione, le più semplici sono: presenza del
pennello (ciuffo di peli) ben visibile sotto il ventre e la
forma della macchia bianca nel
posteriore (detta specchio anale)
che ha una forma diversa nei
due sessi. (Foto pagina a fianco
in basso). La coda in ambo i
sessi è assente (atrofizzata) per
cui è praticamente invisibile,
questo fatto, oltre alla diversa
forma del muso e alla differente
mole, permette di distinguere
velocemente il capriolo dal cervo che ne è invece provvisto.
Il capriolo possiede nel suo repertorio diverse vocalizzazioni.
Pensare ad un animale come il capriolo che emette una
vocalizzazione simile all’abbaiare di un cane è stravagante e bizzarro. Tuttavia l'abbaio, (tecnicamente definito scrocchio), è forse la più peculiare delle vocalizzazioni; è simile ad un suono cupo e ritmato molto simile
all'abbaiare roco di un cane ed è utilizzato dai caprioli,
maschi e femmine, in occasioni diverse tra cui situazioni di allarme. Ma se c’è una caratteristica biologica intrigante, propria anche ad altre specie (orso, martora, faina …) è il fenomeno dell’embriostasi una sorta di
“letargo” del feto. Dopo la stagione degli amori
(agosto) e la fecondazione, l’embrione non si impianta,
ma rimane ad uno stato di “riposo” e cessa di crescere.
A distanza di quattro mesi e mezzo dalla fecondazione,
lo sviluppo riprende regolare (in gennaio) fino al parto
che avviene in primavera. Ciò rende la gestazione del
capriolo molto più lunga (280-290 giorni complessivi)
di quella reale di crescita del feto (165±5 giorni). Questo affascinante meccanismo fisiologico permette al
capriolo di avere un maggior successo riproduttivo,
consentendogli di portare a termine la gravidanza
all’inizio della favorevole stagione primaverile, invece
che durante l’inverno. Alla nascita i piccoli caprioli, come tutti i cervidi, hanno un mantello maculato, con
macchie bianche (pomellatura), disposte su file longitudinali regolari, questa caratteristica che permane nei
primi due mesi ha uno scopo mimetico. (Foto in alto). I
piccoli, infatti, passano diverso tempo accucciati in piccole radure, ai bordi di camminamenti o nei prati in
mezzo la vegetazione e in caso di disturbo, rimangono
immobili accovacciati. Le naturali strategie difensive
della specie funzionano bene e la madre durante la giornata può allontanarsi e brucare a poca distanza, tornerà
dal proprio piccolo solo per nutrirlo.
menti del tutto naturali. Incontrare durante una passeggiata o qualsiasi altra attività nei mesi di maggio - giugno un piccolo di capriolo nascosto nell’erba, riconoscerlo come indifeso, abbandonato dalla madre e quindi
raccoglierlo è un’azione poco sensata. Nella maggior
parte dei casi, se il piccolo non è
ferito, è opportuno non manipolarlo affinché la madre ne riconosca l’odore ed è utile allontanarsi velocemente evitando che
la madre si allarmi e decida di
abbandonarlo.
Il capriolo (Capreolus capreolus) è
un ungulato artiodattilo, appartenente alla famiglia dei cervidi,
elegante e veloce. Dopo il cinghiale è l’ungulato più diffuso
nella penisola. Conoscerlo e riconoscerlo è doveroso in questo
momento di espansione della specie, in cui è sempre
più facilmente avvistabile nei territori dell’Appennino
centrale vocati alle sue caratteristiche ecologiche.
*Marco Innocenti è Medico Veterinario.
Come spesso accade la non conoscenza delle abitudini
di una specie ci spinge ad interpretare male comportaJanus l VIII LUGLIO - AGOSTO 2014 1 7
Vette di LIBRI Profilo CAI
Viaggio in Valle d'Aosta
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Arte e civiltà del cibo: le due tracce che permetteranno di costruire un viaggio vero e approfondito, i due temi forti che
mettono in risalto le specificità culturali di ogni Regione, cercando di ridefinire il giacimento artistico e gastronomico del
Valore Italia. Ogni volume è illustrato con immagini di iconografia storica, arte e reportage racconta un viaggio colto che si
spinge oltre le rotte del turismo di massa all'insegna delle quattro "T" (Terra, Territorio, Tradizione e Talento).
CLUBALPINOITALIANO
Nicola Lattanzio*
In viaggio con Tolstoj
Da Mosca alla Valle D'Aosta
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II ritrovamento di un diario molto personale è l'originale pretesto narrativo per raccontare il viaggio che il grande scrittore
russo Lev Tolstoj fece in Piemonte e in Valle d'Aosta nel 1857,
in compagnia di un giovane amico. Passato e presente si intrecciano, quando la protagonista si reca a San Pietroburgo per
gettare nuova luce sul passato della nonna, che alla fine dell'Ottocento aveva soggiornato nella Russia zarista, ormai vicina al
declino. Il romanzo permette di rivivere luoghi, paesaggi e atmosfere di regioni miracolosamente intatte: un vero e proprio
ecomuseo vivente e non artificioso e una notazione ai margini
del lavoro di ricerca che è la parte più significativa del Museo
della montagna di Bard.
Soluzione Sudoku n° 31
1
5
2
8
7
3
4
9
6
4
8
3
9
6
1
7
2
5
6
9
7
5
2
4
3
8
1
8
7
4
2
1
5
6
3
9
5
6
9
3
4
8
1
7
2
3
2
1
7
9
6
5
4
8
7
3
8
6
5
2
9
1
4
2
1
6
4
3
9
8
5
7
9
4
5
1
8
7
2
6
3
Iscritto al CAI dal 1981
Escursioni: in 40 anni di escursionismo
(1974/2014) circa 1000.
La prima vetta: M.Terminillo all'età di 13 anni da
scout.
L'ultima escursione: il 22 giugno scorso.
Il percorso più duro: Capanna Margherita
sul M.Rosa Testa Grigia, Adamello.
Il panorama indimenticabile: tramonto sul Gran
Zebrù dal rifugio Casati.
Tre cose indispensabili nello zaino: acqua,
bussola, giacca a vento, kit pronto soccorso.
Energia per camminare: passione, desiderio
di conoscere ed apprezzare tutto ciò che ci
circonda.
Un motto per il successo: conoscenza e
responsabilità verso gli altri.
Il CAI Antrodoco: Un'associazione dove aleggia
un valore come l'amicizia che è stato
fondamentale per la crescita della Sezione.
La passione per la montagna, di pochi giovani
è stata determinante alla nascita di un
movimento escursionistico sconosciuto nel nostro paese.
La montagna è per me fatica, sudore, silenzio
dove entro in simbiosi con tutta la natura che
mi circonda soprattutto quando percorro
i sentieri in piena solitudine.
*dal recente rinnovo del Consiglio Direttivo,
Nicola Lattanzio è Vice Presidente di Sezione.
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CLUB ALPINOITALIANO
│L’agenda del CAI - Speciale Agosto 2014
Programma Escursionismo e Seniores 2014
19 luglio
27 luglio
1, 2 e 3 agosto
E
E
Traversata notturna CITTAREALE - CASCIA da Cupello di Cittareale (Ri)
MONTI della LAGA - Cima della LAGHETTA, da Campotosto
E/EE
GRAN SASSO d’ITALIA, con CAI Ferrara
7 e 8 agosto E
9 agosto
MC
I Confini Papalini-Pontifici - TERMINILLO (Ri)
Mtb: Monte NURIA, Forca Jelli, da Antrodoco (Ri)
10 agosto T
Monte Boragine, e sagra braciola Cittareale (Ri)
10 agosto E
AG: Gran Sasso d’Italia - Rif. FRANCHETTI , da Prati di TIVO (Te)
12 agosto E
Peschio del Principe, serale da Canetra (Ri)
15 agosto EE/DC
XVII Ferragosto con il CAI Monte Giano e Cinno, da Antrodoco (Ri) + mtb
17 agosto E
Gruppo Velino-Sirente, Monte della Magnolia
19 agosto TC
Urbantrek: INTEROCREA, serale da Antrodoco (Ri)
23 - 30 agosto E/EE
31 agosto E
Settimana verde in Valle d’AOSTA
A.N.A.: Chisetta Alpina a Monte Giano - Antrodoco (Ri)
CAI
ES
C URS IO NIS MO
In via del tutto promozionale per le prime 2 escursioni sono ammessi (solo con difficoltà
T ed E) alla partecipazione anche NON SOCI: con versamento. Quota Assicurativa obbligatoria di 6 euro. Iscrizioni 36h prima dell’inizio escursione.
"Salaria. Quattro regioni
senza confini”
Editore CARSA
Prezzo di copertina
19,00 euro
15,00 (socio CAI)
Nata nell'ambito delle manifestazioni
per il 150° anniversario della fondazione del Club Alpino Italiano, la guida costituisce un utile strumento per
l'escursionista a piedi e in mountain
bike che, sulle orme dei viaggiatori di
un tempo, desidera scoprire il ricco
patrimonio di storia, arte e natura di
quella parte dell'Appennino Centrale
dove si toccano quattro regioni italiane: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria.
Per info: CAI Antrodoco
PAUSA SUDOKU N° 35
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