Se si potesse catturare il piacere, Elena lo farebbe con gli occhi. Ventinove anni, di una bellezza innocente ma sfacciata, non sa ancora cosa sia la passione. Il suo mondo è fatto di arte e colori, quelli dell’affresco che sta restaurando a Venezia, la città magica dove è nata. Fino a quando incontra Leonardo, uno chef di fama internazionale, che irrompe nella sua vita travolgendo ogni cosa: la storia d’amore appena nata con Filippo, l’idea che ha sempre avuto di sé e, soprattutto, il suo modo di vivere il sesso. Perché Leonardo, inquilino inatteso nell’elegante palazzo in cui lei lavora, è arrivato per schiuderle le porte di un paradiso inesplorato di cui solo lui possiede le chiavi. I segreti della cucina, della materia grezza che nelle sue mani si trasforma in estasi per il palato, non sono gli unici che conosce: Leonardo sa che il piacere è una conquista per tutti i sensi, ha una forma, un odore, un sapore. E 3/564 guiderà Elena oltre i suoi limiti, fino al confine più dolce ed estremo dell’ossessione. Ma a una condizione: non dovrà mai innamorarsi di lui. Elena non ha scelta, può solo accettare il suo patto spietato e lasciarsi sedurre da quell’uomo dal passato oscuro, che sembra sfuggire al suo desiderio di legarlo a sé… Irene Cao è nata a Pordenone nel 1979. Ha studiato Lettere Classiche a Venezia, dove ha conseguito anche un dottorato in Storia Antica. Attualmente vive in un piccolo paese del Friuli. Con questo romanzo inizia la prima trilogia erotica italiana, che è già in corso di traduzione in Spagna, Germania e Brasile. Irene Cao Io ti guardo Proprietà letteraria riservata © 2013 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-58-64643-4 Prima edizione digitale 2013 da edizione maggio 2013 In copertina: Fotografia © Max Ash - www.maxash.com Fotografia dell’autrice © Al Bruni Art Director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Mauro De Toffol / theWorldof DOT www.rizzoli.eu 8/564 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata. Io ti guardo A Manuel, mio fratello 1 Il giallo assorbe la luce del sole, vira all’arancio per poi sfumare in un rosso acceso. Un taglio, quasi una ferita, lascia intravedere piccoli chicchi di un viola lucente. I miei occhi sono fermi su questo melograno da ore. È solo un particolare, certo, ma è anche la chiave dell’affresco. Il soggetto è il ratto di Proserpina, un’istantanea del momento in cui il severo signore degli inferi, un Plutone avvolto nella nuvola porpora della sua veste, afferra con forza i fianchi della dea che sta raccogliendo un enorme melograno sulle rive di un lago. 12/564 L’affresco non è firmato, per cui l’autore resta circondato da un alone di mistero. So soltanto che è vissuto all’inizio del Settecento e che dev’essere stato un autentico genio, considerando lo stile del disegno, la grana del colore e il delicato gioco di ombre e chiaroscuri. Ha studiato ogni singola pennellata e io sto cercando di non tradire il suo sforzo di raggiungere la perfezione. A distanza di secoli, il mio compito è interpretare il suo gesto creativo e riprodurlo nel mio. Questo è il primo vero restauro a cui sto lavorando completamente da sola. A ventinove anni la sento come una grossa responsabilità, ma ne sono anche orgogliosa: è da quando sono uscita dalla Scuola di Restauro che aspettavo la mia occasione, e adesso che è arrivata farò di tutto per non lasciarmela scappare. Perciò eccomi qui, da ore su questa scala, nella mia tuta di tela cerata, bandana rossa a contenere il caschetto bruno – ma qualche 13/564 ciocca ribelle si ostina a sfuggire e a cadermi sugli occhi – e sguardo fisso sul muro. Per fortuna non ci sono specchi in giro, perché senz’altro avrò il volto segnato dalla stanchezza e le occhiaie. Ma non importa. Sono le tracce visibili della mia determinazione. Mi guardo per un momento da fuori: sono proprio io, Elena Volpe, da sola nell’androne immenso di un palazzo antico e da tempo disabitato, nel cuore di Venezia. Ed è esattamente qui che voglio essere. Ho passato una settimana intera a pulire il fondo dell’affresco e oggi per la prima volta userò il colore. Una settimana è tanto, forse troppo, ma non ho voluto rischiare. Bisogna procedere con la massima cautela, perché è sufficiente un singolo tocco sbagliato per compromettere tutto il lavoro. Come diceva un mio professore: «Se pulisci bene, sei a metà dell’opera». 14/564 Alcune parti dell’affresco sono totalmente rovinate e in quei punti dovrò rassegnarmi a fare un nuovo intonaco con lo stucco. Colpa dell’umidità di Venezia, che penetra ogni cosa, la pietra, il legno, il mattone. Ma intorno alle zone danneggiate ce ne sono altre in cui i colori hanno conservato tutta la loro brillantezza. Stamattina, salendo sulla scala, mi sono detta: “Non scenderò finché non avrò trovato i toni giusti per quel melograno”. Ma forse sono stata un po’ troppo ottimista… Non so nemmeno quante ore siano passate, e sono ancora qui a provinare tutta la scala dei rossi, degli arancio e dei gialli senza un risultato che mi soddisfi. Ho già buttato via otto coppette di prova, in cui miscelo le polveri pigmentate con poca acqua e qualche goccia di olio per dare consistenza al composto. Sto per cimentarmi con la nona coppetta, quando sento uno squillo. Viene proprio dalla tasca della tuta. Purtroppo. È 15/564 inutile cercare di ignorarlo. Per poco non cado a terra, afferro il cellulare e leggo il nome che lampeggia con insistenza sul display. È Gaia, la mia migliore amica. «Ele, come va? Sono in campo Santa Margherita, vieni a berti una cosa al Rosso? Oggi c’è più gente del solito, è stupendo, dài!» dice tutto d’un fiato, senza chiedermi se sta disturbando o darmi modo anche solo di risponderle. Eccola, è già in piena fase mondana. Gaia lavora per i locali più di moda in città e nel Veneto, organizza eventi e feste vip. Inizia verso le quattro del pomeriggio e va avanti ininterrottamente fino a tarda notte. Ma per lei non si tratta solo di un lavoro, è una vera e propria vocazione: scommetto che lo farebbe anche se non la pagassero. «Scusa… che ore sono?» chiedo, cercando di arginare la sua valanga di parole. 16/564 «Le sei e mezza. Allora, vieni?» Il Rosso è un locale dove si ritrova la gioventù veneziana sfaccendata, quel tipo di persone che ha bisogno di una come Gaia per decidere cosa fare delle proprie serate. Oddio, è già così tardi? Il tempo è volato senza che me ne rendessi conto. «Oh, Ele… ci sei? Stai bene? Di’ qualcosa, cavolo…» Gaia urla e la sua voce mi buca i timpani. «Ti stai proprio rincoglionendo su quell’affresco… devi venire qui, immediatamente! È un ordine.» «Dài, Gaia, tra mezz’ora stacco, promesso» prendo un lungo respiro, «ma vado a casa. Ti prego, non arrabbiarti.» «Ma certo che mi arrabbio, stronza che non sei altro!» sbotta. Un classico. È il nostro gioco delle parti: passano due secondi ed è di nuovo serena e felice. Meno male che per tutti i miei no Gaia ha la memoria di un pesce rosso. 17/564 «Vabbè, senti, allora vai pure a casa, ti riposi un po’ e sul tardi andiamo al Molocinque. Ti dico solo che abbiamo due ingressi per il privé…» «Grazie del pensiero, ma non ci tengo a infilarmi in quella bolgia» mi affretto a dire prima che vada avanti. Lo sa che non sopporto la ressa, che sono quasi astemia, e che per me ballare significa, nella più rosea delle ipotesi, battere un piede tenendo il tempo – un tempo tutto mio, a dire il vero. Sono timida, non sono fatta per questo genere di divertimento, mi sento sempre fuori posto. Eppure Gaia non demorde: ci prova ogni volta a trascinarmi in una delle sue serate. E in fondo, anche se non lo confesserò mai, gliene sono grata. «Hai già finito di lavorare?» le chiedo, nel tentativo di allontanare il discorso da territori potenzialmente pericolosi. «Sì, e mi è andata da dio, oggi. Ero con una manager russa. Siamo state tre ore da 18/564 Bottega Veneta a guardare borse e stivaletti di pelle, poi alla fine l’ho portata da Balbi e lì la signorona si è decisa a comprare due vasi di Murano. Tra l’altro da Alberta Ferretti ho visto un paio di vestiti della nuova collezione che sembravano fatti apposta per te. Di un beige che starebbe un amore con il nocciola dei tuoi capelli… Un giorno di questi ci andiamo, così te li provi.» Quando non è impegnata a dire alla gente dove andare la sera, Gaia spiega alla gente come spendere i propri soldi: in pratica fa la personal shopper. È quel genere di donna che ha le idee chiare su tutto e una grande capacità di convincere gli altri. Così grande che c’è chi è disposto a pagare pur di farsi convincere. Non io, però: ho sviluppato gli anticorpi in ventitré anni di amicizia. «Certo che ci andiamo, così finisce che li compri per te, come sempre.» 19/564 «Prima o poi ci riesco a farti vestire decentemente. Con te la mia sfida è ancora aperta, mia cara, sappilo!» È da quando eravamo adolescenti che Gaia porta avanti questa crociata contro il mio modo, diciamo un po’ trasandato, di vestire. Per lei girare in jeans e scarpe basse non rappresenta una comoda alternativa, ma una scelta esplicita e incomprensibile di mortificarsi. Fosse per Gaia dovrei andare al lavoro tutti i giorni in minigonna e tacco dodici, e poco importa che io sia costretta a fare mille volte su e giù da pericolosissime scale da imbianchino oppure che ci rimanga per ore in posizioni che non definirei proprio confortevoli. «Ce le avessi io le tue gambe…» mi ripete sempre. E poi mi recita ogni volta il mantra di Coco Chanel: “Bisogna sempre essere eleganti, ogni giorno, perché il destino potrebbe aspettarvi all’angolo”. E infatti lei non mette piede fuori casa se non è perfettamente truccata, pettinata e accessoriata. 20/564 A volte è incredibile quanto siamo agli antipodi io e questa donna. Se non fosse la mia migliore amica, probabilmente non la sopporterei. «Però, Ele» torna alla carica, imperterrita, «stasera al Molo ci devi venire…» «Dài, Gaia, non te la prendere, ti ho già detto che non posso!» Quando s’impunta sulle cose mi fa venire i nervi. «Ma ci sarà Bob Sinclar!» «Chi?» le chiedo, mentre sulla fronte mi lampeggia la scritta FILE NOT FOUND. Gaia sbuffa, esasperata: «Il dj francese, quello famoso. Era in giuria alla Mostra del Cinema la settimana scorsa…». «Ah, allora!» «Comunque» prosegue come se niente possa scalfirla, «so da fonti sicure che ci saranno diversi personaggi al privé, tra cui, apri bene le orecchie…» fa una pausa studiata «… Samuel Belotti!» 21/564 «Oddio, il ciclista padovano?» gemo, esasperata, con un tono di disapprovazione totale. È uno dei tanti mezzi fidanzati “famosi” che Gaia ha seminato in qualche angolo d’Italia e del mondo. «Proprio lui.» «Io non capisco cosa ci trovi: è un cretino arrogante, non so proprio dove tu lo veda figo.» Anche in fatto di uomini Gaia e io non abbiamo gli stessi gusti. «Eh, lo so io dov’è figo…» sghignazza. «Vabbè…» sorvolo. «E lui ci sta?» «Gli ho scritto un sms. Non mi ha risposto, sta con la velina adesso» sospira, «ma non demordo, perché non è che mi abbia proprio dato un due di picche… credo stia solo temporeggiando.» «Non so come fai a conoscere certa gente, e forse non voglio nemmeno saperlo.» «Lavoro, cara mia, solo lavoro» dice, e posso immaginarmi benissimo il sorrisetto 22/564 malizioso che in questo momento avrà stampato in faccia. «Le pubbliche relazioni, si sa, richiedono molto impegno…» «Le parole “lavoro” e “impegno” dette da te suonano vuote, prive di significato» la provoco nascondendo un pizzico d’invidia. In questo vorrei assomigliarle almeno un po’, lo ammetto. Io sono tutta rigore e senso di responsabilità. Lei leggerezza e sfrontata incoscienza. «Tu non mi apprezzi, Ele. Sei la mia migliore amica e non mi apprezzi!» ride. «Vabbè, vai al Molo e divertiti. Anzi, attenta a non stancarti troppo, cara!» «Certo che mi dici sempre di no… ma tanto io me ne frego e continuo a martellarti, lo sai. Non mi arrendo, tesoro…» Certo che lo so. Questo teatrino è il nostro modo di dirci che ci vogliamo bene. 23/564 «È che adesso sono davvero in un brutto momento: non posso fare le tre, sennò domattina non mi alzo.» «Ok, stavolta ti lascio vincere.» Finalmente… «Questo weekend, però, promettimi che ci vediamo!» conclude, arrivando al punto. «Giuro. Da sabato sono tutta tua.» Anche la nona coppetta di rosso Tiziano è da buttare: ho avvicinato una punta di colore alla buccia del melograno e ancora non ci siamo. Mi rassegno a ricominciare da capo, ma un rumore alle mie spalle mi distrae. Qualcuno è entrato dal portone principale e sta salendo la scalinata di marmo: sono passi maschili, non c’è dubbio, per un attimo avevo temuto un’improvvisata di Gaia. Mi affretto a scendere dalla scala, facendo attenzione a non inciampare nelle coppette che ho 24/564 lasciato cadere alla rinfusa sul telo di protezione. La porta dell’androne si apre e sulla soglia compare la figura asciutta di Jacopo Brandolini, il proprietario del palazzo, nonché mio committente. «Buonasera» lo saluto con un sorriso di circostanza. «Buonasera, Elena» ricambia il mio sorriso, «come procede il lavoro?» Abbassa lo sguardo sul cimitero di coppette steso ai nostri piedi mentre si annoda all’altezza del petto le maniche del pullover – certamente di cachemire – appoggiato sulle spalle. «Molto bene» mento, e mi meraviglio della mia disinvoltura, ma non ho voglia di spiegargli dettagli che comunque non capirebbe. Però devo aggiungere qualcosa per darmi un tono professionale: «Ho finito la pulitura proprio ieri e da oggi posso dedicarmi al colore». 25/564 «Ottimo. Confido in lei, è tutto nelle sue mani» dice spostando lo sguardo dal pavimento a me. Ha gli occhi piccoli e azzurri, due fessure di ghiaccio. «Come sa, ci tengo molto a quest’affresco. Voglio che venga fuori al meglio. Anche se non è firmato, si vede che è di buona fattura.» Annuisco. «Chi l’ha dipinto era di sicuro un grande maestro» mi affretto a dire. Brandolini sorride rivelando una punta di soddisfazione. Ha quarant’anni, ma ne dimostra qualcuno in più. Porta un cognome antico – è il rampollo di una delle più note famiglie nobili veneziane – e anche lui dà l’idea di essere un po’ antico. È magrissimo, la pelle diafana, il viso scavato e nervoso, i capelli biondo cenere. E poi si veste da vecchio. O meglio, su di lui i vestiti fanno un effetto strano, un po’ rétro: per esempio, adesso indossa un paio di Levi’s e una camicia a mezze maniche azzurrina. Ma sembra quasi ci navighi dentro, esile com’è. E l’insieme ha 26/564 un qualcosa di anziano che non so spiegare bene. Eppure si dice che il conte con le donne riscuota un discreto successo. È molto ricco, non riesco a darmi altre spiegazioni. «Come si sta trovando qui?» domanda, guardandosi attorno a verificare che tutto sia al posto giusto. «Benissimo!» e mi sciolgo la bandana sulla nuca, perché mi rendo conto di essere proprio impresentabile così. «Per qualsiasi cosa chieda pure a Franco. Se le serve del materiale può mandare lui a prenderlo.» Franco è il custode del palazzo. È un omino tarchiato e molto simpatico, ma anche discreto e silenzioso. In dieci giorni di lavoro, mi è capitato di incrociarlo solo due volte, nel giardino della corte interna mentre innaffiava l’agapanthus, e davanti al portone d’ingresso intento a lucidare la maniglia di ottone. Non entra mai, sta sempre fuori e poi 27/564 intorno alle due del pomeriggio se ne va. È una presenza rassicurante. «Me la cavo benissimo da sola, grazie.» Mi accorgo troppo tardi che la mia risposta suona un po’ brusca, e mi mordo la lingua. Brandolini alza le braccia, arreso. «Comunque» si schiarisce la voce, «sono passato per comunicarle che da domani ci sarà un inquilino nel palazzo.» «Un inquilino?» No. Questo non è proprio possibile. Non sono abituata a lavorare con gente che mi gira intorno creando confusione. «Si chiama Leonardo Ferrante, è un famoso chef di origini siciliane» mi spiega lui, compiaciuto. «Arriverà direttamente da New York per l’apertura del nostro nuovo ristorante a San Polo. Come saprà, inauguriamo fra tre settimane.» Insieme al padre, il conte gestisce altri due ristoranti a Venezia, uno dietro Piazza San 28/564 Marco e uno, più piccolo, a ridosso del ponte di Rialto. I Brandolini ne hanno un altro a Los Angeles, oltre a due club privati, un caffè e un residence. L’anno scorso hanno aperto anche ad Abu Dhabi e a Istanbul. Insomma, non è raro trovare le loro foto sulle riviste patinate o di gossip che piacciono tanto a Gaia. A me di questa mondanità non importa nulla. Ma, soprattutto, un elemento di disturbo è l’ultima cosa di cui ho bisogno. «Abbiamo fatto i salti mortali per avere tutto in tempi rapidi e, come ben sa, la logistica veneziana di certo non aiuta» continua lui, senza notare il mio disappunto, «ma, vede, quando si desidera molto una cosa, gli sforzi non pesano più di tanto.» Anche le lezioni di vita, adesso. Annuisco meccanicamente con aria di approvazione. L’idea di dover lavorare con uno sconosciuto che gira nel palazzo mi irrita non poco. Come fa Brandolini a non capire che il mio è un 29/564 lavoro delicato? Che basta un nonnulla per farmi perdere la concentrazione? «Vedrà, si troverà benissimo con Leonardo, è una persona molto piacevole.» «Non lo metto in dubbio, il punto è che questo androne…» Non mi lascia il tempo di finire. «Vede, non potevo certo farlo vivere in una fredda stanza d’albergo» continua Brandolini con la sicurezza di chi non deve chiedere il permesso a nessuno. «Leonardo è uno spirito libero e qui si sentirà a casa, potrà cucinare quando vorrà, fare colazione di notte e pranzare di pomeriggio, leggere un libro in giardino e godersi il Canale dalla terrazza.» Stavo per fargli notare che l’androne dove lavoro dà accesso a tutte le altre stanze del palazzo, non ci sono disimpegni, e che quindi questo tizio dovrà per forza passare di qua, e chissà quante volte al giorno. Ma lo sa anche lui, solo che, evidentemente, ha deciso di 30/564 fregarsene. Dio, sto per avere una crisi di nervi. «Quanto dovrà rimanere qui, questo chef?» chiedo nella speranza di ricevere una risposta incoraggiante. «Almeno due mesi.» «Due mesi?!» gli faccio eco senza più preoccuparmi di nascondere il fastidio. «Sì, due mesi, ma forse anche di più, almeno fino a quando il ristorante non sarà completamente avviato.» Il conte si sistema di nuovo il pullover sulle spalle, poi mi guarda negli occhi, risoluto. «Mi auguro che non sia un problema per lei.» Come a dire “se lo faccia andare bene”. «Be’, se non c’è altra soluzione…» Che invece è il mio modo per dire: “non mi va bene per niente ma ci devo stare”. «D’accordo, allora non mi resta che augurarle buon lavoro» conclude tendendomi la mano sottile. «Arrivederci, Elena.» 31/564 «Arrivederci, signor conte.» «Mi chiami Jacopo, la prego.» Sta cercando di indorare la pillola accorciando le distanze? Gli concedo un sorriso forzato: «Arrivederci, Jacopo». Appena Brandolini è fuori, vado a sedermi sul divano di velluto rosso addossato a una parete. Sono nervosa, insofferente: ormai ho perso l’ispirazione. Non voglio sapere niente del suo ristorante, del suo chef blasonato, non me ne frega nulla di questa inaugurazione da mille e una notte. Voglio solo lavorare in pace, da sola, in silenzio. È chiedere troppo? Mi prendo la testa tra le mani e guardo le coppette piene di tempera secca che sembrano stare lì a rinfacciarmi il mio fallimento. Con grande sforzo decido di ignorarle. Al diavolo anche l’affresco! Sono le sette e mezza e la mia concentrazione è andata a farsi benedire. Basta. Sono stanca. Vado a casa. 32/564 Esco in strada e mi lascio avvolgere dall’aria umida e dolciastra di ottobre. Adesso comincia a sentirsi il fresco della sera. Il sole è quasi completamente calato sulla Laguna e si stanno accendendo i lampioni. Percorro le calli a passo veloce, con i pensieri che ancora faticano a liberarsi. Sembra siano rimasti intrappolati in quell’androne polveroso e temo che rimarranno lì per un bel po’, considerata la mia attitudine a rimuginare sulle cose. Me lo rinfacciano spesso, sia Gaia sia mia madre: dicono che quando mi gira in testa qualcosa mi assento, sono distratta, tra le nuvole. È vero, mi perdo volentieri dietro ai miei pensieri, li assecondo quando mi portano lontano… ma è solo una piccola evasione dal presente, un vizio tutto mio al quale non ho intenzione di rinunciare. Per questo adoro camminare da sola per la città: lascio che siano i piedi a guidarmi e la mente è finalmente libera, senza 33/564 che nessuno reclami di essere al centro della mia attenzione. Una piccola vibrazione con squillo mi riporta improvvisamente alla realtà. Sul display dell’iPhone, un sms da leggere. Bibi, vieni al cinema? Stasera al Giorgione danno l’ultimo di Sorrentino. Bacio. Filippo. Ecco qualcuno con cui ho voglia di passare la serata, anche dopo una giornata come questa. Ma non credo di avere energie sufficienti per trascinarmi fino al Giorgione. Sono davvero esausta e non mi attira l’idea di rinchiudermi per due ore in una sala. Ho bisogno di stravaccarmi su un divano. Rilancio: E se cenassimo a casa mia e poi ci vediamo un film? 34/564 Sono sfinita, non credo che mi godrei Sorrentino… Replica immediata. Ok. A dopo da te ;-) Conosco Filippo dai tempi dell’università. Ci siamo incontrati al corso di Architettura degli interni, io ancora matricola, lui già al terzo anno. Un giorno mi ha proposto di studiare insieme e io ho accettato. Mi sembrava qualcuno di cui potersi fidare, sentivo, in un modo ancora misterioso, che tra noi c’era una qualche affinità. Non avevo una ragione particolare, semplicemente lo sapevo. Siamo diventati subito amici. Andavamo alle mostre insieme, al cinema, a teatro. Oppure passavamo intere serate a chiacchierare. È da allora che Filippo mi chiama “Bibi”. Mi ripeteva sempre che assomigliavo alla Bibi di un fumetto giapponese, un personaggio un po’ goffo e con la tendenza a 35/564 rimuginare su tutto, perdendosi in fantasie contorte e senza senso. Dopo l’università, non ricordo nemmeno perché, ci siamo persi un po’ di vista. L’anno scorso ho saputo tramite Gaia che aveva cominciato a lavorare per Carlo Zonta, uno dei più noti architetti italiani, e che si era trasferito a Roma. Poi, un mese fa, come fosse passato solo un giorno da quegli anni che a me ormai sembrano lontanissimi, si è rifatto vivo con una mail: “Sono di nuovo a Venezia. Quanto tempo è che non andiamo al Museo Correr?”. Un invito che mi ha colto così alla sprovvista da farmi realizzare tutt’a un tratto quanto Filippo mi fosse mancato. Ho accettato al volo. Era la prima volta che ci rivedevamo dopo tanto tempo, eppure sembrava che niente fosse cambiato. Abbiamo passeggiato per le sale del museo con calma, soffermandoci davanti alle nostre opere preferite – io mi 36/564 ricordavo ancora le sue e lui le mie – e raccontandoci le nostre vite dal punto in cui le avevamo lasciate. Dopo ci siamo incontrati ancora, una volta a cena e un’altra al cinema. Ci siamo anche detti che sarebbe stato bello fare una rimpatriata con i compagni d’università, ma poi, chissà perché, non abbiamo nemmeno provato a organizzarla. Manca poco alle nove e il suono del citofono mi fa sgusciare fuori dal bagno, un filo di trucco sugli occhi e i capelli raccolti in una coda corta che definire approssimativa sarebbe senz’altro generoso. Mi obbligo a non pensare all’espressione che farebbe Gaia vedendomi conciata così. Apro la porta in jeans, canotta bianca e infradito, e mentre lo aspetto mi tuffo in una felpa oversize. È il mio look casalingo, ma sono certa che Filippo non si scandalizzerà… 37/564 Sale le scale di corsa, con due cartoni di pizza tra le mani. Quando arriva, lo accoglie la voce dolce e calda dell’ultimo cd di Norah Jones. «Dài, veloce che si freddano!» dice entrando. Butta a terra la sua tracolla, mi sfiora la guancia con un bacio e si scaraventa come un missile in cucina. «Fame?» Lo seguo a ruota e faccio spazio sul tavolo. «Sto morendo!» Ha già aperto un cassetto – indovinando al volo quello giusto, anche se sono anni che non mette piede nel mio appartamento – e ha trovato la rotella per tagliare le pizze. Si occupa prima della mia. Lo guardo. Il suo viso ha qualcosa di aperto e luminoso, quasi rassicurante: forse anche per questo ai tempi dell’università ci siamo scelti come amici. Occhi grandi e profondi, dal taglio allungato: sembrerebbe 38/564 asiatico se non fossero verde chiaro e se sulla testa non avesse quel cespo di capelli biondi e arruffati. «Verdure senza peperoni, come piace a te» mi dice porgendomi la pizza tagliata a spicchi. Giusto, si ricorda anche questo. Annuisco soddisfatta e lui mi fissa con quei suoi occhi che sono quasi un’anomalia e che catturano per forza lo sguardo. Stiamo per un secondo così, come imbambolati, poi Filippo torna a concentrarsi sulla pizza e io mi metto a cercare i bicchieri, tanto per fare qualcosa. È un attimo soltanto, ma entrambi ci siamo accorti che nell’aria c’è una strana elettricità. «Stasera sono vegetariano anch’io, così ti senti meno sola» scherza aprendo il secondo cartone. Sorride, scoprendo i denti bianchi e regolari. Un’altra cosa che mi piace di lui. Come la fossetta sulla guancia destra. 39/564 «Però, Bibi, te lo posso dire che la pizzeria sotto casa tua fa schifo?» «Sì, certo» rispondo addentando il primo morso, «ma tanto continuerò ad andarci lo stesso… è l’unico modo rapido e indolore che ho per nutrirmi.» «Non sarà arrivato il momento che impari a cucinare?» Faccio finta di rifletterci su un paio di secondi prima di rispondere. «No.» Prende un’oliva dalla sua pizza e me la tira addosso. Finito di mangiare, mentre preparo il mio infuso alla melissa, Filippo passa in rassegna i dvd sistemati alla rinfusa sull’ultimo scaffale della libreria. «E questo?» si mette a ridere. «Da dove salta fuori?» dice agitando in aria la custodia di Shall We Dance?. 40/564 «Oddio, deve averlo lasciato qui Gaia, parecchio tempo fa!» Mi nascondo il viso con un braccio. Mi guarda comprensivo: «Non c’è problema, per me… Puoi dirmelo se adesso ti piace questa roba, non devi vergognarti: ammetterlo è il primo passo per uscirne. A un amico puoi parlarne… posso aiutarti, se vuoi». «Scemo.» Il cinema è una delle passioni che ho sempre condiviso con Filippo. Spesso ci ritrovavamo a certi cineforum universitari, noi due da soli in sala a guardare fino ai titoli di coda film sconosciuti di ignoti registi di una qualche soporifera e altrettanto dimenticata avanguardia russa, mentre tutti i nostri compagni ci avevano già abbandonati da un pezzo per andare a bersi qualcosa in campo. 41/564 Filippo continua a scorrere i titoli dei dvd e tira fuori Una giornata particolare di Ettore Scola. «L’avrò già visto almeno quattro volte, ma mi va ancora. A te?» «Sarebbe la terza, quindi ci sto.» Filippo si lancia sul divano. Armeggia con il telecomando, borbottando qualcosa sulle nuove tecnologie. È buffo, mi fa sorridere. Lo raggiungo con due tazzone fumanti tra le mani. Le metto sul tavolino, lancio in un angolo le infradito, bevo un sorso della tisana dimenticando che scotta e mi brucio la lingua… poi mi lascio cadere anch’io sul divano, accanto a lui. Sullo schermo al plasma cominciano a scorrere i titoli di testa, mentre sento il ginocchio di Filippo appoggiarsi al mio. Quel contatto mi mette inaspettatamente a disagio, è come se mi rendessi conto solo adesso di quanto siamo vicini. Mi sistemo sul 42/564 divano, allontanandomi di qualche centimetro. Lui non sembra accorgersi di niente, forse è solo una mia paranoia… Il film va avanti dolce e amaro come lo ricordavamo. Lo seguiamo in religioso silenzio sorseggiando la tisana, che nel frattempo ha raggiunto temperature umane, e a volte mandiamo indietro per rivedere le scene più memorabili. Adesso Mastroianni e la Loren mimano alcuni passi di danza seguendo dei motivi sul pavimento. Con la coda dell’occhio vedo che Filippo mi sta osservando. Ma ho sentito il suo sguardo addosso da quando abbiamo iniziato il film. Caldo e avvolgente. Mi giro verso di lui e lo fisso: «Che c’è?». Sorride, come còlto in flagrante. «Stavo pensando che in questi anni non sei cambiata per niente.» Non smette di fissarmi. All’improvviso mi sento un po’ imbarazzata. 43/564 «E io che speravo di migliorare col tempo…» cerco di sdrammatizzare. «Be’, l’unico difetto che avevi l’hai eliminato, per fortuna.» Gli rivolgo un’occhiata interrogativa. «Valerio, il tuo ex.» Gli do un pugno sul braccio fingendo di essere offesa. Con Valerio mi ero messa al penultimo anno di università: Filippo non lo sopportava e non faceva niente per nasconderlo. “Troppo superficiale e immaturo per te”, me l’avrà ripetuto mille volte, fino all’esasperazione. «Ci ho messo un po’ a capirlo, ma alla fine avevi ragione tu» ammetto. «Da quanto tempo vi siete lasciati?» «Un anno e mezzo.» «E non c’è nessuno, adesso?» Dritto all’obiettivo. Non me l’aspettavo. «No.» 44/564 Chissà perché il silenzio che segue mi sembra opprimente. Vorrei avere una battuta pronta per smorzare questa tensione palpabile, ma non la trovo. Non so che cosa abbia in mente Filippo, ma so che io non ci avevo mai pensato. Almeno fino a ora. Sono troppo felice di averlo ritrovato come amico e non ho considerato affatto l’idea che possa esserci dell’altro. Ma a un tratto il mio castello di certezze sembra sul punto di crollare. «Questa è la mia scena preferita» dice Filippo voltandosi di nuovo verso lo schermo. Mastroianni e la Loren sono saliti in terrazza e stanno ripiegando le lenzuola stese ad asciugare. Forse ha capito il mio imbarazzo e mi è venuto in soccorso. È da lui una cosa del genere. Tiro un piccolo, silenzioso sospiro di sollievo. Cerco di distrarmi, magari sono solo mie fantasie e lui non si è messo in testa proprio niente. Mi concentro sul film e a poco a poco mi rilasso davvero. 45/564 Fuori ha incominciato a piovere ed è come se le gocce che cadono sul lucernario sfiorassero leggere anche il mio cuore. È una sensazione piacevole, e io ho una voglia irresistibile di abbandonarmi… All’improvviso, come se stessi riemergendo da un coma profondissimo, sento una voce delicata che mi sussurra: «Bibi, io vado». Apro gli occhi e vedo Filippo in piedi, chino sopra di me. I titoli di coda scorrono sullo schermo. Faccio per alzarmi. «Ma perché non mi hai svegliata?» «Shhh, resta lì.» Mi sistema dolcemente un plaid sulle spalle. «Ti rubo l’ombrello rotto.» «Puoi anche prendere quello buono.» «Non preoccuparti… non vado lontano.» 46/564 Mi accarezza la guancia con una tenerezza che non gli ho mai visto e mi sfiora la fronte con un bacio. «Ciao, Bibi.» 2 Stamattina ho deciso di prendermi una pausa dall’affresco. Ho una sfilza di noiosissime faccende domestiche da sbrigare. Diciamo che non sono esattamente la massaia perfetta. Dal cesto portabiancheria trabocca una montagna di vestiti appallottolati e mi rassegno a fare un paio di lavatrici. Poi passo in tintoria a ritirare un vestitino lasciato lì dall’estate e mi avventuro al supermercato per la spesa a modo mio: in sostanza, faccio il pieno di cibi pronti e surgelati, da sempre la mia specialità. Una volta a casa mi lascio tentare per un attimo 48/564 dall’idea di mettere un po’ di ordine in giro, ma la voglia mi passa subito: meglio lavorare, piuttosto. Così prendo le chiavi ed esco. Sulla strada per il palazzo passo da Nobili, ho bisogno di mezzo etto di polvere blu oltremare, nel caso non basti quella che ho. Il colore preferisco prenderlo da sola e verificare con i miei occhi che sia quello giusto. Se mandassi Franco, come suggerisce Brandolini, tornerebbe indietro ogni volta con la tinta sbagliata. Alle due del pomeriggio la calle su cui si apre l’ingresso del palazzo è deserta. Il vantaggio di lavorare come freelance in un edificio di cui praticamente io sola ho le chiavi – ecco, almeno fino a ieri… – è che se sono indietro sulla tabella di marcia posso lavorare anche di sabato, quando c’è meno gente in giro: non ci sono studenti, e i turisti si concentrano tutti a San Marco e a Rialto, abbastanza lontano da qui. 49/564 Inserisco la chiave lunga nella serratura del portone, la ruoto una volta a sinistra e due volte a destra e sento che gira a vuoto. Il portone è aperto e l’allarme non è attivo. Meglio così, perché in un’occasione è scattato per sbaglio e quella è stata l’unica volta che sono dovuta ricorrere a Franco. Probabilmente c’è proprio lui dentro. Salgo la scalinata in marmo e sospingo la porta di servizio, che si apre sul palcoscenico dell’androne. Ecco, il momento tanto temuto purtroppo è arrivato. Davanti a me si staglia una schiena massiccia, avvolta in una camicia rossa. È lui. L’inquilino. Non mi aspettavo fosse già qui. Sta osservando la parete affrescata e sembra quasi stregato. Immobile. Enorme. Ai suoi piedi, un borsone da viaggio che ha tutta l’aria di essere stato sbattuto in più di un aeroporto da cui spunta il lembo di una giacca di jeans. 50/564 Fingo un leggero colpo di tosse per segnalare la mia presenza, lui si volta e m’investe con uno sguardo così intenso che ho quasi voglia di arretrare. I suoi occhi sono di un nero impenetrabile, eppure, dietro le folte sopracciglia, emanano una luce che, non so come, mi lascia senza fiato. «Salve, sono Elena» dico recuperando un po’ di sicurezza e lanciando un’occhiata all’affresco. «La restauratrice.» «Ciao» mi sorride, «Leonardo, piacere.» Mi stringe la mano e sento la sua pelle ruvida sulla mia. Deve essere stato il lavoro a rendere così vissute le sue mani. «Jacopo mi ha parlato molto di te.» Occhiaie, labbra carnose, naso pronunciato, barba incolta e a tratti rossiccia, capelli scuri che non vedono le forbici da un po’: sembra uscito da un quadro di Goya. Avrà poco meno di quarant’anni, ma la sua presenza è solida e necessaria come quella di un albero secolare. 51/564 «È un dipinto di una sensualità unica» dice, voltandosi di nuovo verso la parete, e la sua voce rivela una lieve inflessione sicula. Ne approfitto per studiarlo nel dettaglio: indossa un paio di pantaloni neri di lino, come la camicia abbottonata a metà, sotto la quale s’intuisce una muscolatura possente. Sul petto abbronzato si intravede un ciuffo di peli scuri. Ai piedi porta un paio di sneakers sdrucite in più punti. Sembra racchiudere un’energia misteriosa e selvaggia, sul punto di esplodergli sotto i vestiti. «Tecnicamente si tratta di uno stupro» preciso. Quando non sono a mio agio e voglio mantenere le distanze tendo a comportarmi da maestrina, è più forte di me. Lui mi guarda e io abbasso gli occhi. Una fiammata d’imbarazzo mi incendia il viso. «Raffigura una scena della mitologia classica, il ratto di Proserpina» aggiungo in tono un po’ meno arrogante. 52/564 Annuisce, ancora assorto nella contemplazione dell’affresco. «Plutone rapisce Proserpina e la porta nell’Ade. Prima di riaccompagnarla sulla terra, dove rimarrà per sei mesi, le fa mangiare nove chicchi di melograno. È un mito legato al tempo e alle stagioni.» Uno a zero per il cuoco siciliano che conosce i miti classici: mi ha messa a tacere e me lo sono meritata. Leonardo si guarda intorno con aria ammirata e fa un lungo sospiro. Noto che al lobo destro ha un piccolo orecchino d’argento. «Certo che questo palazzo è davvero stupendo, è una fortuna essere qui, no?» Lo è stata fino a oggi, prima del tuo arrivo, penso, ma non troverei mai il coraggio di dirlo. «È tutto a posto, amico mio, possiamo andare» ci interrompe Jacopo. È sbucato all’improvviso dal corridoio a sinistra 53/564 dell’androne e, appena si accorge della mia presenza, si affretta a salutarmi: «Salve, Elena». «Buongiorno, conte… ehm… Jacopo.» Ho ancora qualche difficoltà a chiamarlo con il suo nome. «Vedo che vi siete già presentati.» «Sì» dice Leonardo. «Elena è molto gentile, mi stava spiegando il suo lavoro» mente per me – sono stata tutt’altro che gentile – e cerca la mia complicità con uno sguardo che però non ricambio. Brandolini sorride compiaciuto. «Vieni, Leo» lo prende per un braccio, «ti mostro le tue stanze. Ieri Olga è venuta a sistemare tutto.» Leonardo afferra il borsone da terra, se lo mette in spalla e fa per seguire il conte. Una preoccupazione mi assale al pensiero della donna delle pulizie. «Jacopo, mi 54/564 scusi…» la voce mi esce più stridula di quanto vorrei. «Sì?» Il conte si volta insieme a Leonardo. «Niente, volevo solo chiederle una cortesia.» Mi assesto su frequenze più cordiali. «Se può, dica a Olga di non pulire l’androne, la polvere potrebbe compromettere il restauro.» «Certo, non si preoccupi» mi rassicura lui. «Era già stata avvertita.» Sento di nuovo gli occhi di Leonardo puntati su di me. Cerco di ignorarli ma è impossibile, sembrano calamite. «Grazie» rispondo e mi volto per sfuggire al loro magnetismo. I due mi salutano e se ne vanno. Tiro un respiro profondo per scrollarmi di dosso quella strana sensazione di turbamento – ma non serve a molto – e mi metto subito all’opera: voglio provare il blu che ho comprato poco fa. Raggiungo il rubinetto 55/564 della cucina e riempio a metà la mia caraffa con filtro anti-impurità. Il calcare di Venezia è letale, nuoce gravemente alla resa del colore. Questo l’ho imparato da sola, purtroppo sul campo, ed è una scoperta di cui vado molto orgogliosa. Sento le voci e i movimenti dei due intrusi dall’ala destra del palazzo. Mi ci dovrò abituare, e non so ancora come. Spero che questo Leonardo sia un tipo discreto. Mi auguro che rimanga tutto il giorno al ristorante e che per il resto se ne stia buono nella sua stanza. Non lo voglio tra i piedi, la sua presenza mi mette a disagio. M’inginocchio a terra sul telo di protezione e inizio a miscelare tre coppette con quantità diverse di pigmento bianco e di blu. Il colore della veste di Proserpina non è troppo problematico, a differenza del melograno. Alla terza coppetta mi pare già di esserci vicina. È una prova, più che altro per assecondare le mie smanie incontrollate di perfezionismo e 56/564 per testare che il pigmento sia effettivamente di buona qualità. «Cara Elena, io vado.» Brandolini ricompare nell’androne poco dopo. È solo. «La lascio in buona compagnia. Vedrà, con Leo si troverà benissimo.» È la seconda volta che me lo ripete e non so perché mi pare di cattivo auspicio. Fa scorrere l’indice sulla maniglia della porta di servizio, come per sollevare un velo di polvere che non c’è. «Buon lavoro. Arrivederci.» «Arrivederci, signor conte… volevo dire, Jacopo.» Sono quasi le sei e Leonardo non si è ancora fatto vedere. Per un po’ ho sentito della musica classica provenire dal piano di sopra, ma poi ha smesso. Penso sia rimasto a dormire tutto il pomeriggio: arrivando da New York, dovrà smaltire il jet lag. A ogni modo, se resta nel suo covo e non esce più, a me fa soltanto piacere. 57/564 Entro in bagno per darmi una sistemata. Levo la T-shirt da lavoro e i jeans e indosso un paio di pantaloni puliti e una camicia di cotone che mi sono portata in una borsa da palestra. Questa è la mia idea di eleganza, checché ne dica Gaia. Stasera vado dai miei, una cena in famiglia per festeggiare il congedo di mio padre dalla Marina Militare, in attesa dell’annuncio ufficiale. Dopo quarantacinque anni di onorata carriera, il tenente Lorenzo Volpe si ritira a vita privata. Ironia della sorte, sono figlia di un ex marinaio e so nuotare a malapena. Colpa di mia madre, forse, che nelle estati al Lido, appena mi vedeva allontanarmi troppo dalla riva, si faceva assalire dalla paura che non tornassi più indietro. Sono sicura di avere ereditato da lei il mio carattere ansioso e, devo ammetterlo, un po’ paranoico. Mentre da mio padre ho preso la testardaggine senza limiti e la dedizione assoluta al lavoro. 58/564 So già che, quando varcherò la soglia di casa, mamma mi verrà incontro dicendomi che sono troppo magra, troppo stanca, troppo trascurata, nonostante i miei penosi tentativi di nascondere lo stress a colpi di fard e rossetto. Papà invece mi osserverà in silenzio per tutta la sera e, al momento di andare via, mi accompagnerà alla porta, impettito e con le mani dietro la schiena: «Tutto bene?» mi chiederà prima di lasciarmi uscire. «Se hai bisogno di qualcosa, guarda che noi siamo qui. Per te.» Io gli dirò di non preoccuparsi e gli darò un bacio sulla guancia, come al solito, e tornerò a casa serena e in pace con me stessa, come mi succede solo quando sto con loro. È tanto che non li vedo e ho proprio voglia di farmi coccolare. Sfrego le labbra davanti allo specchio per amalgamare meglio il rossetto che ho steso frettolosamente, risistemo tutto nel borsone e sono pronta. Prima di uscire do un’occhiata 59/564 furtiva alle scale. Leonardo sembrerebbe ancora barricato nelle sue stanze, non so se accennare un “arrivederci”. Forse non è il caso. Decido che non lo è. Esco dal portone di legno massiccio stando bene attenta a non fare rumore e una volta in strada mi giro istintivamente a guardare il palazzo. Al piano nobile la luce è accesa. Mi fa uno strano effetto pensare che da oggi non sarò più sola con il mio affresco. È il tardo pomeriggio di un’uggiosa ma insolitamente calda domenica veneziana. Con Gaia ci siamo date appuntamento al Muro a Rialto per l’aperitivo. Poco fa, al telefono, mi ha seriamente minacciata: «Se non vieni vestita da donna giuro che ti faccio cacciare dal buttafuori!». Di solito ignoro i suoi consigli, ma ogni tanto mi piace darle soddisfazione. Ora: di indossare un mostruoso tacco dodici non se ne parla nemmeno, 60/564 quindi ho optato per un sandalo in raso verde, tacco otto. E poi miniabito in seta senza spalline con blazer nero. Un gesto di grande coraggio, per me: più femminile di così non riesco nemmeno a immaginarmi (ecco, forse potevo osare un po’ di più con il caschetto da collegiale…). So già che me ne pentirò, comunque, perché a Venezia di sera ci si muove a piedi tra ponti e sanpietrini, i taxi costano uno sproposito e i vaporetti funzionano a rilento. Gaia dovrà riconoscermi il sacrificio. Al Muro c’è già il pienone, sono tutti stipati tra il bancone e le vetrate affacciate sul campo. L’idea di infilarmi in quel carnaio non mi esalta, ma devo farlo, almeno per dare un senso allo sforzo inumano di aver sopportato i tacchi fino a qui. Sgomitando riesco ad aprirmi un varco in mezzo alla folla davanti all’ingresso e, con due falcate da top model a fine carriera, sono dentro il locale sana e salva. Il caos regna sovrano – la 61/564 colonna sonora non è proprio delle più delicate – e l’ebbrezza è già ai livelli di guardia nonostante siano appena le sette. Essendo praticamente astemia, non riesco mai a integrarmi del tutto nelle situazioni di puro piacere alcolico. Mentre Gaia è capace di scolarsi tre mojito in un’ora senza dare segni di cedimento. Eccola, la regina della mondanità! Sta vagando da un tavolo all’altro, sfoderando con tutti il suo sorriso più ammiccante condito con saluti mielosi talmente acuti da sconfinare negli ultrasuoni. La coda di cavallo bionda svetta tra la folla: Gaia è già alta di suo, ma come al solito esibisce tacchi da combattimento. Adesso si è fermata al centro di un gruppetto di gente che conosco. Sollevandomi sulle punte, le faccio un cenno da lontano. Mi ha intercettata, per fortuna. Agita le braccia in modo concitato per invitarmi a raggiungerla. Urtando contro una 62/564 decina di persone, m’infilo nella mischia e sono da lei. «Finalmente! Dove diavolo eri finita?» Mi stampa un bacio sulla guancia. Poi, come da copione, lo sguardo le scivola verso il basso. «E quel sandalo? Verde stilosissimo… Brava, Ele, mi piace!» Esame superato. Almeno per stasera non dovrò vedermela con i buttafuori. «Allora, com’è andata con il tuo ciclista l’altra sera?» le dico all’orecchio, pizzicandole un fianco. «Non c’era.» Gaia fa una faccina affranta poco credibile. «Temo abbia altri pensieri in questo periodo…» «Ma dài?» dico, fingendo stupore. «Ah, ma non mi faccio mica inchiodare da Belotti! No no no, non se ne parla.» In un attimo ritrova la grinta. «Cioè… un posticino nel mio cuore ce l’ha sempre, ma lasciamo 63/564 che sia lui a decidersi. Se mi vuole, deve venire a prendermi.» «Sarà…» Continuo a non capire perché le interessi tanto quel tizio. I misteri insondabili dell’amore. O degli ormoni, nel caso di Gaia. «E comunque ieri sera al Piccolo Mondo ho beccato Thiago Mendoza. Hai presente, il modello di Armani? Ci siamo scambiati il numero.» «Non perdi tempo, vero?» Non so chi sia questa new entry, ma è tipico di Gaia reagire a una delusione lanciandosi in una nuova conquista. Scoppia in una risata sonora, poi continua, rivolgendosi anche al resto del gruppo: «Ragazzi, ho sete. Un altro spritz per tutti?». Il gruppo aderisce all’unanimità, Gaia mi prende sottobraccio e mi trascina di nuovo nella ressa. 64/564 «Nico, mi fai otto spritz all’Aperol?» chiede al barista, approdando al bancone e sbattendo le ciglia gonfie di mascara. «Subito, amore.» È tipico dei veneziani, uomini e donne, chiamarsi “amore” anche se ci si conosce da meno di un’ora. E Nico, barista aspirante attore, non fa certo eccezione. «E anche una Coca-Cola per la mia amica» aggiunge Gaia, anticipando i miei desideri. Il resto della compagnia intanto si sta avvicinando al bancone e, in men che non si dica, i bicchieri passano di mano in mano sfiorandosi per un brindisi. «Andiamo a fumare?» propone qualcuno. E il branco si muove pacifico verso l’esterno. Gaia resta con me e si siede sullo sgabello di fronte al mio. La Coca-Cola si sta facendo aspettare. «Ci raggiunge anche Filippo a cena?» chiede Gaia. 65/564 «Pare di sì.» «Mi fa piacere rivederlo.» Quando ho conosciuto Filippo, lei aveva già lasciato l’università da un pezzo. Gliel’ho presentato io, ma hanno subito scoperto di avere altre amicizie in comune: Venezia è abbastanza piccola, si finisce per conoscersi quasi tutti, soprattutto se si è malati di socialità come Gaia. A un tratto qualcuno la chiama dall’angolo dei divanetti. «Scusa, vado a salutare delle persone» dice saltando giù dallo sgabello. «Vai, vai» rispondo io. «Fai pure il tuo dovere!» Gaia mi strizza l’occhio ed è pronta a una mini sfilata nei suoi attillatissimi jeggings: ho scoperto da poco, ovviamente grazie a lei, che si chiamano così quei jeans aderenti ai limiti dell’asfissia. Gaia li indossa spesso, nonostante abbia il polpaccio un po’ grosso – il suo cruccio più grande. Mi godo lo 66/564 spettacolo dal mio sgabello: movenze da gatta e canotta in cotone effetto sbiadito che lascia poco spazio alla fantasia, anche se in verità è tutto merito del push-up imbottito, perché Gaia nature avrebbe soltanto una seconda (ma questo lo sappiamo solo io e gli uomini con cui è andata a letto). Nico mi porge finalmente la mia Coca. «Mi aggiungeresti un po’ di ghiaccio?» gli chiedo. «Vuoi anche il limone, amore?» «Sì, grazie.» Do il primo sorso dalla cannuccia quando sento vibrare il telefono. Un sms di Filippo. Bibi, sono in ritardo. Arrivo tra mezz’ora. Bacio Gli rispondo subito, sperando che si dia una mossa. 67/564 Ok, ti aspettiamo! Ho appena risposto, quando una mano mi sfiora la spalla nuda. Mi volto di scatto e davanti a me appare Leonardo Ferrante, l’inquilino. «Ciao, Elena» mi saluta. «È davvero piccola Venezia…» Ha quell’aria sempre sgualcita, camicia fuori dai pantaloni stropicciati, ma sembra sinceramente contento di vedermi. «Salve…» Sono presa alla sprovvista e mi sistemo meglio sullo sgabello. Non so se sono altrettanto contenta. Quest’uomo mi spiazza. Non riesco a prevedere nemmeno i miei pensieri in sua presenza. E non va bene. Si siede accanto a me senza essere invitato e mi punta addosso i suoi occhi neri. «Sei sola?» Mi sfiora il braccio con una mano e non so perché la cosa mi turba. «No, sono con degli amici…» rispondo agitando la mano in aria per far capire che 68/564 sono sparsi in giro, ma ci sono. C’è qualcosa in Leonardo che mi scuote, mi arriva dritto alla pancia come un colpo secco. Vorrei che se ne andasse. Forse. Si volta all’improvviso verso un gruppo di persone che sta prendendo posto a un tavolo. «Ragazzi, ordinate» dice con autorevolezza, «vi raggiungo subito.» Poi torna a me: «È tutta la squadra del ristorante, i miei collaboratori» mi spiega indicandoli. «Ah, ma se deve andare…» mi precipito a rispondere. «Ma no, mi fa piacere averti incontrata.» Quindi è ufficiale: nonostante io continui a dargli del lei, lui ha deciso univocamente di accorciare le distanze. «Che ne dici di darmi del tu?» continua. Aggrotto la fronte e mi guardo le mani. Neanche mi avesse letto nel pensiero. «Sì, certo…» mormoro. 69/564 Per buona educazione e per scacciare l’imbarazzo m’impongo di fare conversazione: «Ieri uscendo dal palazzo ho cercato di fare piano. Spero di non averti svegliato». E subito mi pento di quello che ho detto. In fondo, dovrebbe essere lui a preoccuparsi di non rompere le scatole a me. Perché mi sto quasi giustificando? «Tranquilla, quando dormo non sento nulla.» Capta lo sguardo del barista, che nel frattempo si è avvicinato. «Per me un Martini bianco.» Nico gli riempie il bicchiere e lui tira fuori il portamonete. «Pago anche il suo» dice facendo un cenno verso di me. «No, non c’è bisogno…» cerco di oppormi e già ho tuffato il braccio nella borsa. Lui mi blocca e il mio polso è minuscolo tra le sue 70/564 dita, il suo tocco è lieve ma deciso. Scuote appena la testa e io mi arrendo all’istante. «D’accordo… grazie.» Mentre sorseggia il Martini, fissa il mio bicchiere. «Come mai niente alcol?» «Sono astemia» mi giustifico alzando le spalle. «Male, molto male» sorride, un po’ obliquo. «Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere.» «Ma io non bevo solo acqua. Questa per esempio è Coca-Cola.» Leonardo ride, scoprendo denti bianchi e feroci. Ho come l’impressione che non rida per la mia battuta, ma di me. Poi prende un sorso dal suo calice e mi fissa, di nuovo serio. «Ti dà molto fastidio la mia presenza al palazzo.» «No…» rispondo in automatico, ma subito mi freno. La sua non è una domanda ed è 71/564 evidente che della mia falsa cortesia non se ne fa proprio niente. Provo a ricominciare: «In effetti avrei preferito restare da sola» azzardo con un po’ di coraggio. «Sono così, non riesco a concentrarmi se ci sono persone intorno. E poi i lavori di restauro andrebbero fatti in un ambiente il più possibile isolato.» Mi aspetto che dica qualcosa del tipo “capisco, cercherò di disturbarti il meno possibile”. E invece no. Resta lì a scrutarmi come se avesse appena capito qualcosa di fondamentale che invece a me sfugge. All’improvviso allunga una mano verso di me: d’istinto mi ritraggo – quand’è che gli ho dato il permesso di toccarmi? – ma le sue dita s’infilano tra i miei capelli, dove le punte sfiorano il collo. «Attenta, ti è caduto questo.» Tiene tra pollice e indice un mio orecchino. Resto a guardarlo un po’ inebetita, poi 72/564 mi affretto a prenderlo e lo riaggancio al lobo. «Capita spesso, sono difettosi» mi giustifico evitando il suo sguardo. Il mio viso si colora di tutte le sfumature di rosso. Ecco, adesso vorrei proprio che se ne andasse. Per fortuna uno dei suoi collaboratori lo chiama. Leonardo gli rivolge un cenno e poi si volta di nuovo verso di me. «Scusami, raggiungo la mia squadra» mi dice. «Ci vediamo domani.» «Certo. A domani.» Lo guardo unirsi al gruppo seduto al tavolo e mentre ricontrollo ossessionata l’orecchino fuggiasco provo a scrollarmi di dosso questa assurda sensazione d’imbarazzo. Poco dopo Gaia ricompare. È riuscita a liberarsi dai doveri delle pubbliche relazioni. Si accomoda di nuovo sullo sgabello e mi punta addosso uno sguardo quasi poliziesco. Mi preparo psicologicamente all’interrogatorio. 73/564 «Ele, tesoro…» e qui so già dove vuole andare a parare, «ma chi era quel tipo?» «Chi?» «Non fare finta di niente» mi zittisce, «quello con cui stavi parlando un minuto fa.» «È il tizio che Brandolini ha avuto la cortesia di piazzarmi nel palazzo. Si chiama Leonardo, fa lo chef.» La mia voce lascia trapelare un po’ di insofferenza. «Interessante…» Gaia lo osserva a distanza. «Ma quanti anni ha?» «E che ne so? Ci ho scambiato solo due parole.» «Certo che potevi presentarmelo… è sexy da morire!» «Mamma mia, Gaia, sei sempre a caccia!» Allargo le braccia. «E comunque non capisco cosa ci trovi, è un rude» dico guardandolo a mia volta. 74/564 «Di sicuro non è uno di quelli fatti con lo stampino, quello è un vero maschio, dài retta a me, Ele…» Gaia si morde il labbro. Cerco le parole per contraddirla, ma non le trovo. «Ragazze!» Una voce familiare mi salva dalla lezione di anatomia maschile in cui Gaia sta per lanciarsi. Filippo si fa largo tra la gente e ci saluta con due baci sulle guance. «Scusatemi, ho avuto una grana allo studio. Quel rompicoglioni di Zonta mi fa lavorare anche di domenica. Lui e i suoi clienti milionari… Gaia, da quanto tempo è che non ci vediamo?» «Circa due anni, Filippo. E per favore dimmi che non sono invecchiata, anche se non lo pensi.» Scoppiamo a ridere tutti e tre. Poi Gaia gli allunga uno spritz. «Adesso ti bevi questo e poi si va a cena.» 75/564 «Avete già deciso dove?» Filippo sorseggia il cocktail senza obiettare. «Perché non andiamo al ristorante vegetariano al Ghetto?» propongo. Dai loro sguardi capisco all’istante che la mia idea non è troppo gradita. «Ele» fa Gaia, «come dire… tu e le tue fisse sulla carne avete discretamente rotto.» «Vabbè, come non detto. Insensibile.» Metto su una specie di broncio, ma non me la prendo mai davvero quando è Gaia a fare commenti sulle mie manie vegetariane. «Andiamo al Mirai» interviene Filippo, «il ristorante giapponese a Cannaregio.» «Sì!» esclama Gaia. «Adoro il sushi, lì lo fanno da dio.» «Ok, così almeno posso mangiarmi un po’ di riso e verdure.» «Allora, tutti d’accordo?» Filippo mi guarda come a dire “spero di aver trovato un buon compromesso”. 76/564 Gli sorrido e annuisco. «Dài, andiamo!» Al Mirai la cena è stata piacevole. Alla fine abbiamo messo insieme un tavolo da dieci, dato che al Muro Gaia ha esteso l’invito a un po’ di gente che ha incontrato. Ovviamente era una mossa studiata. Sì, perché, finita la cena, la regina della notte è riuscita a trascinare tutti al Piccolo Mondo, una delle discoteche in cui fa la pr. Tutti, tranne me e Filippo. Appena io ho declinato l’invito, Filippo mi ha proposto di continuare la serata insieme e adesso stiamo vagando per le calli. C’è ancora gente in giro, la temperatura è ancora abbastanza mite da invogliarti a stare fuori. I bar sono affollati e di tanto in tanto vediamo qualcuno uscirne barcollando. Anch’io comincio a barcollare, e non per l’alcol, ma per colpa dei sandali che mi stanno torturando. 77/564 «Ti prego, non ce la faccio più, fermiamoci un attimo.» Non ho neanche finito di dirlo che già mi sono lanciata su una panchina vuota e sto frugando in borsa nella speranza di trovare un cerotto. Niente. Ci avevo anche pensato a prenderne un paio prima di uscire, ma poi l’ho dimenticato. Mi tolgo i sandali e i miei piedi sono rossi e gonfi, segnati dai solchi lasciati dai laccetti. Le crudeltà della moda. «Oddio, come li ho ridotti…» mormoro accarezzandomeli. Ma il caso è disperato. Filippo afferra il mio piede destro e se lo appoggia sulle ginocchia, costringendomi a ruotare tutto il corpo verso di lui. «Che fai?» domando sorpresa. «Pronto intervento» risponde lui, cominciando a massaggiare. Il suo tocco è terapeutico, sento il sangue che ricomincia a fluire. Per un po’ mi abbandono e lascio che le sue mani si muovano morbide su di me. 78/564 Piano piano, però, al sollievo subentra l’imbarazzo. Sono stesa su una panchina, nel cuore della notte, con Filippo che mi sta massaggiando i piedi. È una situazione un po’ strana… e il suo è un gesto troppo intimo per noi due. Lo guardo e mi accorgo che anche lui mi sta fissando. Ma non nel modo in cui lo farebbe un amico. I nostri volti sono abbastanza vicini, stiamo per baciarci, sento che sta per succedere, lo voglio ma un po’ mi fa paura, trattengo il respiro… Un cellulare squilla riportandoci bruscamente alla realtà. È il mio. «Ele, scusa l’ora. Stavi già dormendo?» È Gaia. «No, no…» L’incantesimo è rotto. Mi riapproprio dei miei piedi e mi affretto a rinfilarli nei sandali. Mentre li chiudo do un’occhiata obliqua a Filippo: sembra deluso, e forse lo sono anch’io. Ma non c’è più niente da fare, Gaia 79/564 reclama la mia attenzione, ormai: «Mi senti? Dove sei?». «Sì, scusa. Sono ancora per strada…» «Senti, sono nella merda! Ho litigato con Frank al Piccolo Mondo… è un pazzo, mi ha chiamata su negli uffici e ha cominciato a dire che l’ultima volta gli ho portato la feccia al locale. Me ne sono andata sbattendo la porta. Però ho lasciato le chiavi e tutto sulla sua scrivania.» «E non puoi tornare a prenderle?» «No, Ele, non lo voglio nemmeno rivedere quello stronzo. Ci torno domani, quando la discoteca è chiusa e lui non c’è. Ma stanotte… posso dormire da te?» «Certo, ti aspetto a casa, tra poco.» «Due minuti e arrivo.» Due minuti? Quindi era già sicura che le avrei detto sì. 80/564 Riattacco e mi volto verso Filippo: «Scusa, ma Gaia sta venendo da me, ha perso le chiavi di casa». Lui sorride, ma avverto nei suoi occhi un velo di rimpianto: «Non c’è problema, Ele, ti accompagno al vaporetto». Lo aspettiamo per un quarto d’ora quasi in silenzio, nell’aria l’imbarazzo per quel bacio mancato. Ci scambiamo qualche battuta di circostanza, tanto per sciogliere la tensione. Quando arriva il vaporetto, mi sembra un principe azzurro venuto a salvarmi e ci salto su volentieri, quasi di fretta. «Bibi… ti fai sentire, vero?» mi chiede Filippo dalla banchina. «Certo, a presto» gli rispondo agitando la mano. Poi scivolo via sull’acqua. Davanti al portone di casa trovo Gaia, ancora arrabbiata. Mentre saliamo le scale mi racconta per filo e per segno com’è andata 81/564 con Frank e io mi distraggo almeno un po’ dal pensiero di Filippo. Ogni tanto si scalda troppo e devo ricordarle di abbassare la voce: è tardi, nel palazzo stanno tutti dormendo. Mentre ci strucchiamo in bagno, noto lo sguardo di Gaia che m’insegue nello specchio. «Non è che mi stai nascondendo qualcosa, tu?» Eccola. Gaia la Grande Inquisitrice. «E cosa ti dovrei nascondere?» biascico lavandomi i denti. «Non so, tu e Filippo non me la raccontate giusta. Non è che ho interrotto qualcosa?» «Gaia, siamo solo amici.» Non ne è per niente convinta. «Mmm… secondo me gli piaci. Anzi, gli sei sempre piaciuta.» Alzo le spalle. «E a te lui piace?» 82/564 «Non lo so. Non ci ho mai pensato sul serio.» E sto dicendo la verità. Almeno, fino a stasera… Ci mettiamo sotto le coperte nel mio letto a due piazze e chissà perché la cosa ci rende improvvisamente allegre. Gaia mi lancia un cuscino in faccia e subito ci tornano alla mente alcuni pigiama party che facevamo da adolescenti. Ridiamo di quelle che eravamo allora e di come siamo diventate. Spengo l’abat-jour e ci auguriamo la buona notte. Ho appena preso sonno quando la voce di Gaia mi risveglia. «Ele…» «Eh?» le rispondo assonnata. «Ma quel Leonardo… dicevi che abita nel palazzo in cui lavori, vero?» «Sì.» «E dov’è, esattamente?» 83/564 «Te lo spiego domani. Adesso dormi.» 3 «Ele!» Qualcuno mi sta scuotendo la spalla. «Dài, Ele, svegliati!» La voce di Gaia mi riporta alla realtà di soprassalto. «Che c’è?» bofonchio con la voce impastata. «Cazzo, mi sono ricordata che devo andare a prendere Contini all’aeroporto… il regista… ha appuntamento all’atelier di Nicolao per i costumi del prossimo film.» Il profumo del caffè appena fatto m’invade dolcemente le narici. 85/564 «Ma che ore sono?» «Sono le sette e un quarto. Spero solo che il volo da Roma sia in ritardo…» Mi stropiccio gli occhi per vederci meglio. Gaia è già vestita e truccata. Non so come faccia a camminare ancora con gli stivaletti di ieri sera. «Devo scappare. Il caffè è pronto nella moka.» Mi dà un piccolo bacio sulla guancia. «Grazie per l’ospitalità.» «Figurati» mugugno girandomi su un fianco. «È bello essere presi a calci per tutta la notte.» Gaia mi scompiglia i capelli ed esce socchiudendo la porta, lasciandomi sola nella stanza a scrollarmi il sonno di dosso. La seguo con il pensiero lungo le scale, la immagino già attaccata al BlackBerry a parlare di vestiti, accessori e lustrini. Con uno sforzo che mi sembra disumano mi appoggio alla testiera del letto. Il mio 86/564 corpo scricchiola. Forse dovrei prendere in considerazione l’idea di andare in palestra con lei. Gaia non dimostra certo i nostri ventinove anni, è un’esplosione continua di energia. L’immagine di me che zampetto strizzata in leggings colorati davanti a uno specchio a ritmo di musica, però, mi spegne ogni entusiasmo da fitness. Mi toccherà convivere con le giunture scricchiolanti, me ne farò una ragione. Scendo dal letto e mi tuffo dentro l’armadio, dove recupero a caso una gonna e un maglioncino sportivi prima di sgattaiolare in bagno. Il primo chiarore di questa mattina di ottobre mi accoglie fuori dal portone. È una luce tenue, che scalda senza ferire lo sguardo. Oggi non prendo il vaporetto, da San Vio a Ca’ Rezzonico sono dieci minuti e ho voglia di gustarmeli tutti. 87/564 Mi abituo gradualmente alla luce del giorno. Gli occhi non mi devono tradire, non oggi che mi dedicherò anima e corpo a quel melograno: la mia sfida sarà trovare la sfumatura perfetta. Cammino senza fretta, a passo lento e rilassato; un po’ perché ho ancora i piedi doloranti da ieri sera e un po’ perché è impossibile non lasciarsi conquistare dalla calma di Venezia. Il primo ponte della giornata sta lì a ricordarmi che l’anima di questi posti è l’acqua, non certo la pietra. E mi piace fermarmi anche solo un momento a osservare la vita da quassù. Il rio di San Vio sotto di me è un canale stretto, bizzarro, una striscia che collega il Canal Grande alle Zattere, tagliando in due il sestiere. Da qui riesci a vedere le due facce di Venezia: San Marco da un lato, la Giudecca dall’altro. La Venezia dei turisti e quella dei veneziani. 88/564 Il campanile della chiesa di Sant’Agnese batte le nove. Accelero. Sono in ritardo. Mentre costeggio le Gallerie dell’Accademia, una donna bionda e sovrappeso mi chiede in inglese di scattarle una foto con il fidanzato. Non ne avrei proprio voglia, sono di fretta, ma le dico sì e così lei mi allunga la fotocamera spiegandomi quale tasto premere. Mi sistemo la borsa sulla spalla e divarico un po’ le gambe per assestarmi, mentre le loro espressioni si congelano felici nell’inquadratura. Clic. Messa a fuoco, primo scatto. Clic. Foto in posa, sorrisi a trentadue denti e uno scorcio da cartolina, probabilmente quella che sceglieranno per il loro album. Clic. La terza foto, inaspettata, quando si smette di stare in posa. La migliore. La coppia si scioglie dall’abbraccio e mi ringrazia svariate volte. Come tanti, sono venuti a Venezia non solo per visitarla, ma per provare a vivere la loro favola romantica. E ne hanno tutto il diritto. Almeno credo… 89/564 Accenno un sorriso e scappo via. Una brezza leggera mi scompiglia i capelli. Non punge ancora, ma è un piccolo anticipo dell’autunno che sta per arrivare. L’aria sa di cornetti caldi scongelati e di cappuccino, quel profumo intenso che accompagna i miei passi ogni volta che vado al lavoro a piedi. Non mi fermo quasi mai a fare colazione al bar. Di mattina non mangio, ho lo stomaco chiusissimo e poi, sennò, mi viene sonno. Oggi faccio una breve sosta alla tabaccheria del sottoportico per prendere una confezione di tronchetti alla liquirizia – mi aiutano a rimanere concentrata e a evitare cronici cali di pressione. La calle del palazzo sbuca direttamente nel Canal Grande. Bisogna fare attenzione a percorrerla, specialmente di notte. È una viuzza anonima, nascosta, poco illuminata e poco nobile, infestata in più punti da erbacce che si arrampicano sui muri. Non si direbbe che alla fine di questa lingua di ciottoli si 90/564 nasconda l’ingresso di uno degli edifici più belli di Venezia. D’altra parte, questa città è un’anomalia urbanistica. Tutto sembra in rovina, sul punto di sgretolarsi nell’acqua torbida. Ma allo stesso tempo tutto è vivo, tutto rapisce gli occhi con una bellezza che lascia senza fiato. Pennelli e tempere sono esattamente dove li ho lasciati sabato, nello stesso rigoroso ordine. Nessuno li ha toccati e questo mi tranquillizza. Anche l’affresco sta bene, non gli è successo niente. Sembra scontato, ma sono infinite le cose che possono succedere a un’opera in restauro quando viene lasciata incustodita. Ogni mattina mi assale l’ansia di trovarci sopra una bella macchia di umidità, una colonia di formiche o delle impronte umane. Dall’appartamento di Leonardo non provengono segni di vita. Forse è già uscito. 91/564 Indosso la divisa da lavoro e, conciata come un ghostbuster, sono pronta per cominciare. Quasi pronta… devo assolutamente rinfrescarmi gli occhi con il collirio. Per colpa di Gaia che non la smetteva di rigirarsi nel letto – e in verità anche di Filippo che continuava a ronzarmi in testa – non ho dormito bene stanotte e ho gli occhi che mi pesano come due palle di piombo. Per un momento la scena di Filippo che mi massaggia i piedi su quella panchina mi attraversa la mente. È stato ieri sera, ma mi sembra quasi di averla vissuta in sogno, adesso. Il ricordo è sfocato, non riesco a rivivere le sensazioni che si porta con sé. Strano. Estraggo la boccetta azzurra dalla tasca della salopette, reclino la testa all’indietro e lascio scendere due gocce nell’occhio destro e due nel sinistro. All’inizio il liquido brucia, ma in cinque secondi passa tutto e mi sento rinascere. 92/564 All’improvviso una risata maliziosa si diffonde nell’androne. Ho gli occhi ancora appannati, ma riesco lo stesso a vedere due sagome che avanzano verso di me. Si tengono per mano. Leonardo e… sbatto le ciglia per mettere a fuoco… e una donna bellissima, capelli vaporosi e pelle di porcellana, il corpo fasciato in un elegante abito corto di raso rosso che, oltre a esaltare le gambe toniche e snelle, le lascia tutta la schiena scoperta. Ha un portamento che farebbe invidia a Audrey Hepburn, lo sguardo soddisfatto e luminoso. «Buongiorno, Elena» dice Leonardo quando mi passano accanto. Non è vestito per uscire, indossa una felpa e le infradito. Un bizzarro contrasto con l’eleganza di lei. «Salve» rispondo con studiato distacco. La diva mi rivolge un cenno di saluto con la testa e segue Leonardo picchiettando con i tacchi sul pavimento. Si dirigono verso la rampa di scale che porta all’uscita, lui le 93/564 lascia scivolare una mano sulla schiena nuda con un gesto sensuale e insieme protettivo. Il contrasto tra la sua pelle scura e quella candida di lei è conturbante. Non posso impedirmi di pensarlo. È evidente che hanno passato la notte insieme, sembra quasi di sentire l’odore di sesso dietro di loro. Vorrei ributtarmi nel mio lavoro, ma vengo distratta di nuovo, questa volta da un boato fuori che all’improvviso fa vibrare le pareti. Sembra il motore di una barca. Incuriosita, scosto la tenda di una delle portefinestre affacciate sul Canal Grande e mi accorgo che un motoscafo bianco è attraccato al pontile del palazzo. E sopra c’è la diva: si è appena tolta i tacchi e si è infilata un giubbotto nero di pelle. Ora si avvicina al bordo e cerca Leonardo. Lui non si fa pregare e sporgendosi dal molo le sfiora le labbra con un bacio, poi leva la corda dal palo di ormeggio e la saluta con la mano. La diva inforca un paio di occhiali da sole neri, 94/564 aziona la leva sulla plancia e sfreccia via lasciandosi dietro una scia argentea. Sembra la scena di un film e invece è tutto vero, qui davanti ai miei occhi. Sistemo la tenda e torno immediatamente al lavoro. La cosa non m’interessa, mi ripeto, e cerco di pensare ad altro. Leonardo rientra subito dopo. Fingo di essere molto occupata mentre mescolo a caso alcuni pigmenti sforzandomi di tenere lo sguardo basso. Mi passa davanti senza dire una parola e in un secondo scompare nelle sue stanze fischiettando. Preparo un po’ di rosso, mi arrampico sulla scala e sono pronta a dedicarmi al melograno. Adesso spero di poter lavorare in pace, ma come al solito i pensieri vanno per conto loro e io mi ritrovo a rincorrerli. Chissà se quella era la donna di Leonardo o solo l’avventura di una notte… Non riesco a togliermi dagli occhi l’immagine di lui che le 95/564 sfiora la schiena nuda, e poi quel bacio così fuggevole, ma sensuale. Ora dal bagno mi arriva il rumore dell’acqua corrente. Poi una voce potente ma stonata gorgheggia una melodia che sa di estate e di mare. Leonardo se la sta prendendo comoda, sembra non avere troppa fretta di andare al lavoro stamattina. Mi volto per cercare un pennello e mi accorgo che è appena uscito dal bagno e sta venendo verso l’androne. A petto nudo. Ha un asciugamano blu attorcigliato in vita, i capelli bagnati, ed è scalzo. Ricorda un guerriero dell’antichità. Mi si avvicina, l’aria sfrontata, e il pavimento instabile traballa un poco sotto il suo peso. «Allora, Elena, come va?» «Bene, grazie» dico quasi sottovoce, ostentando indifferenza. Cerco di tenere lo sguardo incollato all’affresco. Mi sento a 96/564 disagio, piccola e in disordine nella mia tuta informe. Perché non va a vestirsi? «E i lavori?» Scuote i capelli e una nuvola di goccioline si libera nell’aria. Lo vedo con la coda dell’occhio. Fortunatamente è ancora a distanza di sicurezza dalla parete. «Insomma…» «Sai che sembri molto più a tuo agio su quella scala che sullo sgabello di un bar?» «Lo prendo come un complimento.» «Lo è, infatti.» Non accenna ad andarsene. Mi sento osservata, quasi sotto esame, e la cosa non mi piace. «Scusa, ma sono molto occupata…» dico voltandomi appena verso l’affresco. «Certo» risponde abbozzando un sorriso consapevole e sollevando le mani. «Non ti piace avere gente intorno quando lavori. Sei stata molto chiara ieri sera…» 97/564 «Appunto» farfuglio, mentre lo vedo allontanarsi verso la sua camera da letto. Ma non so se lo dico o lo penso soltanto. Appena resto sola, scendo dalla scala: ho bisogno di liquirizia. La presenza di qualsiasi altro individuo mi dà fastidio, la sua invece mi destabilizza. Faccio un bel respiro e con il mio tronchetto che si scioglie sulla lingua mi decido a ricominciare. Cazzo, il colore si è completamente seccato. L’avevo fatto troppo denso. Adesso devo svuotare le coppette, lavarle e ritarare le quantità delle polveri. Proverò a usare il pennello a punta piatta, almeno per la prima stesura, così mi sbrigo più in fretta. Salgo di nuovo sulla scala, ricontrollo da vicino la sfumatura dei chicchi e cerco di fissarmela bene in testa. Quindi provo una nuova miscela di rosso e viola. Dal corridoio alla mia destra sento avvicinarsi i soliti passi sicuri. Mi volto d’istinto: 98/564 stavolta è vestito. Indossa un paio di jeans strappati e una camicia di lino bianca – quest’uomo ha una dipendenza dal lino. Al collo una sciarpa di seta nera che svolazza a ogni suo movimento. Non so come faccia a non avere freddo. È ottobre, ormai… Si avvicina fino ad appoggiarsi con un braccio alla scala. Un fremito mi attraversa la schiena e mi fa perdere leggermente l’equilibrio. Non ho idea di cosa mi stia succedendo, ma non mi piace. «Io esco a fare acquisti per il ristorante» dice guardando all’insù. «Vado a Rialto, ti serve qualcosa?» «No, grazie, non mi serve niente.» «Sicura?» piega leggermente la testa di lato e la luce colpisce il suo orecchino facendolo scintillare. Anche i suoi occhi brillano in un modo strano. Sembrano quasi sorridere. Non ho mai trovato così sexy delle comuni rughette d’espressione ai lati degli 99/564 occhi. Oddio, lo spirito di Gaia si sta impossessando di me… «Sì, davvero. Non faccio complimenti.» Mi riprendo, voltandomi verso il muro per non restare imbambolata, ancora una volta. L’affresco adesso è la mia unica salvezza. «Ah, per andare a Rialto ti conviene prendere il vaporetto, così non rischi di perderti» aggiungo cercando di sembrare disinvolta. «Ma è così bello perdersi a Venezia!» Alza le spalle. «Lo dicevo solo per farti guadagnare tempo. Immagino avrai mille faccende da sbrigare.» «Certo, ma lascio che siano i miei collaboratori a occuparsi delle seccature. A me spetta la parte divertente del gioco.» Sorride, sicuro di sé. Dà l’impressione di qualcuno che ha fiducia assoluta nel proprio talento, qualcuno a cui le cose riescono naturalmente bene, senza troppo sforzo. 100/564 «In cucina ci sono cornetti e caffè ancora caldi, se vuoi fare colazione.» «No, grazie. La mattina non mangio quasi mai… E poi adesso non posso interrompere il lavoro.» «Come mai?» sembra incuriosito. «Devo restare con l’occhio focalizzato sul colore, altrimenti lo perdo.» Leonardo si passa una mano sul mento e mi fissa. «Il colore di quel melograno?» «Sì» annuisco, guardando davanti a me. «Sono giorni che ci sbatto la testa, mi sta facendo impazzire. Ha mille sfumature e tutte difficilissime da rendere, per non parlare del chiaroscuro…» Mi ritrovo mio malgrado a essere loquace, parlare del mio lavoro m’infervora. Leonardo deve essersene reso conto perché sta sorridendo. Osserva attentamente il melograno, poi me, come meditando qualcosa. 101/564 Mi zittisco all’improvviso, non so cosa stia pensando ma mi dico che non deve importarmi. Mi ha fatto perdere fin troppo tempo. Sto per salutarlo, quando una voce conosciuta mi blocca le parole in bocca. «Ele, sei qui?» Rumore inequivocabile di tacchi sulle scale. «C’è nessuno?» Leonardo mi guarda interrogativo e io gli faccio un cenno per comunicargli che è tutto sotto controllo. Gaia si materializza nell’androne: è passata a casa a cambiarsi, non ha più gli abiti di ieri sera ma è come sempre impeccabile. Saluta Leonardo, prima ancora di me. «Ciao…» «Ciao.» Lui ricambia con un piccolo inchino. «Sono passata a salutarti» mi dice poi con un sorriso innocente. Bugiarda. Da quando lavoro in questo palazzo non è mai venuta a trovarmi, nemmeno una volta. È qui solo per 102/564 lui, deve aver visto l’indirizzo da qualche parte a casa. Quando vuole, sfodera insospettabili qualità da investigatrice. Resto inchiodata alla mia scala, col cavolo che scendo. Se non altro da quassù posso godermi la scena nella sua interezza: «Ma tu non avevi un impegno importantissimo stamattina?» le chiedo per puro gusto sadico di metterla un po’ in difficoltà. «Già fatto! Ho anche recuperato la borsa al Piccolo Mondo» si affretta a rispondere e mi guarda per dire “cosa aspetti a presentarmelo?”. Mi accorgo che Leonardo la sta esaminando compiaciuto, una mano nella tasca dei jeans e un dito sulle labbra. «Lei è Gaia, la mia amica» dico. La mia presentazione suona stranamente solenne dall’alto. «Piacere, Leonardo.» Le stringe la mano con vigore. Ha un’espressione più sedotta o 103/564 divertita? Non saprei dirlo. Mi rimetto a mescolare il colore, per dimostrare che non sono interessata a ciò che avviene un metro e mezzo sotto di me. «Piacere…» sento la voce di Gaia e sono certa che sta sbattendo le ciglia maliziosa. Anche se non la vedo, è chiaro che sta dando il meglio di sé. All’improvviso la sento esclamare: «Che razza di lavorone stai facendo, Ele! È grandissimo, però stupendo…». La guardo stupita e sospettosa: non le è mai fregato niente di restauri e affreschi. «Non è vero?» aggiunge poi rivolta a Leonardo. Appunto: sta solo cercando un pretesto per attaccare bottone. «Elena ha una grande passione per il suo lavoro, si vede.» La vibrazione calda della sua voce sale fino a me. 104/564 Gaia intanto si è aperta un varco e svelta ci s’infila dentro: «E tu, invece, di cosa ti occupi?». «Sono uno chef. Adesso sto avviando il nuovo ristorante dei Brandolini.» So esattamente quali saranno le prossime parole di Gaia: “Lo chef… che bello!”. «Bel lavoro, lo chef.» Ho sbagliato, ma di poco. Sorrido, tanto non mi vedono. Gaia continua con le domande di rito: da quanto sei a Venezia, quanto ti trattieni, come ti trovi… Ridacchia e annuisce solenne ogni volta che lui dice qualcosa. Conosco a memoria tutto il suo arsenale di seduzione: occhi languidi, dita che giocherellano con i capelli, sorriso furbetto, labbra in fuori… Mi sporgo dalla scala per assistere allo spettacolo e forse anche per controllare che effetto fa su Leonardo. Sembra gratificato. 105/564 Anche lui, come tutti, vinto dal fascino di Gaia. Ma all’improvviso si ricorda di me e alza lo sguardo. Io mi ritraggo di scatto e faccio quasi cadere una coppetta di colore. «Forse ti stiamo disturbando, Elena?» Decido di essere un po’ acida: «Be’, fate un po’ voi…». Leonardo si rivolge di nuovo a Gaia: «Meglio andare, anche perché sono in ritardo. È stato un piacere, comunque». «Anche per me» replica lei, sciogliendosi come un cioccolatino al sole. Leonardo ci saluta, poi si affretta verso l’uscita. Gaia gli guarda il fondoschiena, io guardo Gaia e inevitabilmente anche il mio occhio cade sull’oggetto del suo interesse. Poi ci fissiamo a vicenda. «Non male…» Lo abbiamo pensato entrambe, ma è solo lei a dirlo. «Come fai a lavorare con uno così che ti gira intorno?» 106/564 «Come faccio a lavorare con voi due che flirtate qua sotto, vorrai dire!» replico indignata. «Fai anche la parte di quella che è venuta a trovare me… Sei senza vergogna…» «Qualcosa mi devo pure inventare, visto che tu non sei collaborativa. Vuoi scendere da quella scala, per favore?» «No.» Sospira, appoggia un piede sul sostegno della scala e un braccio su un gradino, guardando ancora nella direzione in cui Leonardo è andato via. «Comunque, Elena, quell’uomo lì è qualcosa di pazzesco. Devi ammetterlo, sennò ti butto giù.» Adotto la strategia dell’indifferenza. «Passami un po’ quella spugnetta, così almeno ti rendi utile.» Gaia esegue, poi si guarda intorno per studiare l’ambiente, dato che fino a ora non ne ha avuto il tempo. 107/564 «Lui abita di là?» chiede indicando il corridoio che conduce all’ala sinistra. «Sì.» «Hai mai visto il suo appartamento?» «No, perché?» «Non ci credo… non ti è venuta voglia di curiosare?» «No che non mi è venuta…» Un brivido di terrore mi scuote pensando a cosa sta architettando. «A me però sì» e s’incammina senza aspettarmi. «Gaia, torna subito qui!» le grido dietro, ma ovviamente è inutile. Sono costretta a scendere dalla scala. La rincorro. «Ma che vuoi fare? Smettila!» La raggiungo e le afferro la manica, ma lei è più forte e motivata e mi trascina con sé. «Dài, solo un’occhiata!» insiste, tutta eccitata. 108/564 Abbiamo già attraversato il corridoio e stiamo salendo le scale che portano al piano superiore, dove c’è la camera da letto di Leonardo. Non potendo fermarla, sono costretta a inseguirla per evitare che combini qualche disastro o, peggio, lasci tracce in giro. «Senti, mi metti nei casini, io qui ci lavoro!» provo a buttarla sul patetico, ma mi dimentico che il tema lavoro non ha molta presa su di lei. La porta della camera è aperta. La stanza è enorme come immaginavo, sembra una suite di un albergo di lusso. Il letto, al centro, è ancora sfatto, le lenzuola di seta aggrovigliate pendono da un lato. Ovunque una tappezzeria rossa e dorata, che si riflette infinite volte negli enormi specchi che occupano le due pareti ai lati del baldacchino. È un ambiente caldo ed elegante, arredato con un po’ di civetteria. E non è certo un caso che Brandolini gli abbia dato questa stanza… 109/564 «Che stile!» esclama Gaia. «Che casino!» le faccio eco io. È tutto in disordine. A quanto pare, Leonardo non si preoccupa troppo di mettere a posto. Sulla poltroncina di velluto rosso una decina di camicie sono ammonticchiate una sopra l’altra e due paia di pantaloni di lino sono buttati a terra sul tappeto persiano. «È normale che sia disordinato» fa Gaia con aria saccente, «è un artista.» «Veramente, sarebbe un cuoco» la smonto io, «e comunque questa storia del genio e sregolatezza è una gran cavolata, o solo una scusa…» «Sarà, ma nel suo caso è vera» ribatte decisa. «Dài, si capisce solo a guardarlo che ha una personalità eccentrica, che è un creativo.» «Ma dài? Quindi hai già capito tutto di lui.» «Certe cose sono evidenti. Punto.» 110/564 Sopra il comodino svettano una bottiglia stappata di Moët & Chandon e un vassoio d’argento su cui sono posati due bicchieri. Uno dei due con evidenti tracce di rossetto. Gaia mi lancia un’occhiata eloquente e io confermo quello che ha già intuito. «Stamattina c’era una donna con lui ed era chiaro che avevano passato la notte insieme.» Forse ho trovato il modo di disinnescarla, perciò infierisco: «Tra l’altro lei è bella, ricca e affascinante. Praticamente inarrivabile. Anche per te, cara… Perciò adesso andiamo.» «Mmm, il gioco si fa interessante…» Gli occhi di Gaia si accendono di curiosità. Mi sa che ho ottenuto l’effetto contrario. «Magari non è la sua compagna. Altrimenti vivrebbero insieme, no?» continua, aggrappandosi alle sue congetture. «È normale che un uomo così abbia più di 111/564 un’amante.» La prossima volta devo ricordarmi che a scoraggiarla peggioro solo la situazione. Invece di uscire dalla stanza, come vorrei fare io, Gaia si avvicina all’armadio e lo apre. Per un attimo l’occhio mi cade sul posacenere al centro di un tavolino intarsiato e mi accorgo che ci sono i resti di una canna. Non le dico nulla, dato che non vorrei alimentare ulteriormente il suo interesse. «È un fanatico del lino stropicciato» constata sbucando da un’anta dell’armadio. Poi si avvicina alla poltroncina sommersa di abiti e percorre con le dita i vestiti usati di Leonardo con aria sognante. «È elegante, ha gusto… e, fidati, è una caratteristica rara in un uomo.» «Adesso basta, mi hai scocciato!» sbotto, rinunciando a portare avanti qualsiasi strategia psicologica. «Andiamocene, per favore!» 112/564 Mi avvicino a Gaia per prenderle un braccio, quando le mie narici vengono gradevolmente pizzicate da un profumo intenso, potrebbe essere ambra. Lo percepisco in maniera nitida, subito: è l’odore di Leonardo, di cui sono impregnati i suoi abiti. Mi sento a disagio come se lui fosse qui. Tiro Gaia per la manica. «Eddài, smettila di rompere… Solo un attimo…» protesta lei cercando di liberarsi. All’improvviso un rumore all’esterno ci paralizza. Sentiamo una porta chiudersi con un cigolio. Oddio, Leonardo è già rientrato. «Lo vedi?» le ringhio in preda al panico. Ci precipitiamo fuori, volando giù per le scale. Una volta sbucate nell’androne – il fiato corto e il cuore a mille – quasi con delusione realizziamo che non è Leonardo, ma il custode del palazzo. Mi ricompongo in un attimo e lo saluto, disinvolta: «Buongiorno, Franco». 113/564 «Buongiorno, signorina. Sono passato a dare un’occhiata. Va tutto bene?» «Sì, grazie, nessun problema» la mia voce zoppica per la corsa di un attimo prima. «Stavo facendo vedere il palazzo alla mia amica che è venuta a trovarmi.» «Salve» dice Gaia, salutandolo anche con la mano. Franco posa su di noi uno sguardo benevolo, quello che, ne sono certa, riserva alle ragazze perbene. «D’accordo, allora io vado» conclude, avvicinandosi all’uscita. «Se le serve qualcosa…» «Grazie, Franco, non ho bisogno di nulla. A domani.» «Arrivederci.» Quando la porta si chiude, io e Gaia ci fissiamo negli occhi. Avrei voglia di stritolarla e invece sento i muscoli del viso cedere sotto la spinta di una risata. Scoppiamo a ridere coprendoci la bocca con le mani come 114/564 quando eravamo bambine e ne avevamo appena combinata una delle nostre. Mi sforzo di tornare seria: «Adesso però sparisci, chiaro?» le intimo in tono minaccioso. Mi rendo conto che è davvero tardi e devo assolutamente recuperare tutto il lavoro che non ho fatto. «Va bene, ti lascio in pace» Gaia fa per andarsene, ma prima di uscire si gira verso di me: «Però ci siamo divertite. E come sempre è merito mio…» dice, strizzandomi l’occhio. «Sparisci» sorrido. «Ciao, stronza.» Sono le sei passate e mi rassegno a tornare a casa, anche se la giornata non è stata produttiva come avrei voluto. È inutile, non si può lavorare con un simile viavai di gente! La mattina l’ho praticamente buttata, solo nel pomeriggio sono riuscita a ritrovare un po’ di concentrazione, ma ho messo da parte 115/564 il melograno, almeno per il momento, e ho fatto una prima stesura della veste di Proserpina. Quella, almeno, è venuta bene. Appena apro il portone sulla calle, mi rendo conto di aver preso troppo alla leggera l’allarme meteo lanciato ieri sera dal centro maree. L’acqua sta salendo a una velocità spaventosa. Dovevo andarmene prima, appena ho sentito la sirena tipo coprifuoco, ma non ci faccio quasi mai caso e penso sempre che l’acqua ci mette un bel po’ a salire, e alle volte non sale nemmeno. Stavolta sono stata davvero un’idiota. Gli stivali di gomma li ho lasciati a casa, giustamente – stamattina c’era il sole! È un classico: li porto con me solo quando non servono, un po’ come l’ombrello. Provo a fare qualche metro camminando in punta di piedi con le mie ballerine in pelle scamosciata nell’acqua che già comincia a scorrere a terra, lenta ma implacabile. È un’impresa. Raggiungo la fine della calle che 116/564 i piedi sono completamente fradici. Potrei cercare due sacchi di plastica e coprirmeli, legando i manici intorno alle caviglie. Ma mi sa che è già troppo tardi, considerando che in cinque minuti l’acqua mi sembra salita di almeno trenta centimetri. Mi metto in salvo su un muretto ancora asciutto per valutare il da farsi… anche se mi rendo conto che c’è ben poco da valutare. O procedo verso casa, sapendo che ci arriverò completamente bagnata e con i vestiti da buttare, o torno al palazzo con il rischio di rimanere intrappolata là dentro fino a tarda notte, quando la marea sarà calata. Mentre mi sto arrovellando su queste due opzioni, entrambe poco attraenti, Leonardo esce dal portone del palazzo fischiettando, gli stivali da pescatore ai piedi. «Ciao, Elena, cosa ci fai lì?» domanda, non appena si accorge di me abbarbicata sul muretto come un gatto idrofobo. 117/564 «Stavo tentando di tornare a casa…» rispondo cercando disperatamente di darmi un contegno. «Ma tu non eri al ristorante?» «Sì, ma sono rientrato verso le cinque» dice venendo verso di me e smuovendo metri cubi d’acqua sotto i suoi passi. «Solo che tu eri così immersa nel lavoro che non te ne sei accorta e io non ho voluto disturbarti.» «Ah.» Mi ha raggiunta. Da quassù sono alta quasi quanto lui. «Che vogliamo fare?» Osserva con circospezione il livello dell’acqua. «Ti do un passaggio fino a casa?» «E come?» «Tu aggrappati a me» ordina, battendosi una spalla, «che al resto ci penso io.» La proposta suona un po’ indecente. Lo guardo dubbiosa. Vorrei rispondergli: “Non preoccuparti, grazie, in qualche modo me la caverò”, ma nelle mie condizioni non sarei credibile. Temo che dovrò accettare. 118/564 «Ma sei sicuro? Ti faccio perdere tempo…» Sto per accettare… Respinge ogni obiezione con un gesto della mano e si gira mostrandomi la schiena. Ok, accetto. La sua schiena è grande, sembra una montagna da scalare. Sotto la solita camicia di lino si intravedono i muscoli. Sollevo un piede, lo rimetto a terra indecisa. Maledetta me, quando stamattina mi sono messa gonna e calze parigine. Mi sento goffa come quando alle elementari la maestra di ginnastica mi faceva arrampicare sulla pertica sotto lo sguardo crudele dei miei compagni di scuola. Ci riprovo, appoggio prima una mano sulla sua spalla, poi l’altra e lo stringo, lasciandomi andare con il resto del corpo contro la sua schiena. Leonardo mi afferra una gamba e se la allaccia intorno alla vita. E io faccio lo stesso con l’altra. «Pronta?» mi chiede. 119/564 «Penso di sì.» Il mio corpo adesso aderisce completamente al suo. «E tu? Ce la fai?» Ride. «Sei leggera come una piuma.» Mi blocca le cosce nude con le mani e, camminando con l’andatura di un titano, oltrepassa il primo ponte in un baleno. Sento il seno schiacciato contro i suoi dorsali, mentre gli circondo il collo con le braccia per non cadere. Ha un profumo buono, lo stesso che ho sentito oggi sui suoi vestiti. Ma sotto se ne intuisce un altro, più autentico e selvaggio, quello della sua pelle. Odore di vento e di mare. «Da che parte?» mi chiede, una volta superato il ponte. Gli indico la strada parlando a un centimetro dal suo orecchio, in un sussurro che non so perché ma ha qualcosa di malizioso, e lui riprende a camminare. Prosegue tranquillo, come se tutto fosse perfettamente normale, mentre io mi domando cosa diavolo sto facendo a cavalcioni di uno 120/564 sconosciuto. Tutto questo è assurdo, eppure non mi dispiace. Avverto una sensazione di calore che per un attimo mi fa desiderare di non scendere mai, di restare sempre incollata a Leonardo, e all’improvviso realizzo che il mio sesso preme contro il suo dorso: c’è solo la stoffa degli slip a separarci, visto che le calze non arrivano oltre il ginocchio. Sono sicura che Gaia pagherebbe oro per essere al mio posto, adesso. Oddio, sto per scivolare… «Sicura di essere comoda? Sei davvero leggerissima. Non ti sento quasi…» Mi stringe le gambe riassestandomi con un piccolo balzo. «Sì…» È forte, i suoi muscoli sono in tensione, il sangue caldo gli pulsa nelle vene. Le sue mani scivolano sulle mie cosce con una naturalezza che vince ogni mio imbarazzo. Sembra quasi che già conosca il mio corpo, e 121/564 questo mi lascia spaesata, non so cosa pensare. In calle della Toletta i netturbini stanno montando le passerelle di legno e, tra sorrisetti maliziosi e commenti coloriti, mi guardano come fossi una principessa araba sul dorso di un cammello. Come a dire “le gira bene a questa…”. Il mio disagio cresce insieme all’acqua, che sgorga senza sosta dai tombini e invade tutto, infradicia i muri, sbriciola le assi di legno. Per fortuna Leonardo non può vedere il rossore che mi sta accendendo le guance. Nei negozi stanno togliendo in fretta e furia la merce dagli scaffali più bassi. I commercianti urlano bestemmie da ogni angolo. L’acqua alta è tremenda, si prende tutto, non ha pietà per niente e nessuno. In effetti devo ammetterlo: a me è girata bene, oggi. Ecco, ci siamo. Il ponte di legno dell’Accademia si para davanti a noi. Da qui ho altri cento metri e sono a casa, e fortunatamente 122/564 da questo punto in poi il tragitto è tutto coperto dalle passerelle. Pizzico leggermente la spalla di Leonardo. «Puoi lasciarmi» gli dico, «da qui posso andare da sola.» Leonardo si ferma. «Sicura? Non mi costa niente fare qualche metro in più.» «Va bene così, davvero. Sei già stato prezioso…» Valuto per un momento l’idea di offrirgli qualcosa da bere a casa, ma non vorrei generare equivoci. Per oggi le distanze si sono accorciate abbastanza tra noi. Oltretutto casa mia è abbastanza un disastro e decido di evitarmi altri imbarazzi. «Fine del viaggio» dice, mollando la presa sulle mie gambe e sfiorando leggermente le mie mutandine. Senz’altro non se ne sarà accorto. Anzi, forse me lo sono proprio immaginata… Poi piega le ginocchia e, afferrandomi per le spalle, mi aiuta a scendere. 123/564 Balzo sulla passerella, rassettandomi i vestiti. «Grazie, mi hai salvata.» «È stato un piacere.» Lo guardo negli occhi. Davvero è stato un piacere? Perché per me credo proprio che lo sia stato. «Ciao, allora. Ci vediamo.» «Ciao, Elena, a domani.» Muove un passo nell’acqua torbida, poi si volta dicendo: «È stato bello camminare nell’acqua alta, sai? È sempre stata un’esperienza che avrei voluto fare… e non avrei mai immaginato di condividerla con te». Gli sorrido, mi sorride e mi lascia sola, mentre Venezia si fa accarezzare dalla marea. 4 Oggi non ho scuse: devo affrontare il melograno, anche se mi sento uno straccio. Ho avuto degli incubi tremendi tutta la notte e quando ho aperto gli occhi mi sono ritrovata sdraiata di traverso sul letto, il lenzuolo accartocciato e il cuscino a terra. Mi sono tirata su a fatica, con il cuore che pompava sangue nelle orecchie, e nemmeno venti gocce rilassanti al tiglio sono servite a qualcosa. Ho provato a fare stretching per sciogliere i muscoli indolenziti, ma quando ho realizzato che le punte dei piedi non mi erano mai sembrate così lontane, ho abbandonato l’idea. 125/564 Viste le condizioni fisiche e l’umore nero, per andare al lavoro ho deciso di prendere il vaporetto: di camminare, stamattina, neanche a parlarne. Mi appoggio alla scala e guardo il melograno dal basso. Mi esce un sospiro a metà tra la meraviglia e lo sconforto. Vorrei dirmi che sono carica, che sono sicura di farcela, ma non è vero. Ho paura che il restauro non venga perfetto come pretendo da me stessa, che alla fine dovrò accontentarmi di un risultato approssimativo, magari di un colore che non è proprio lo stesso, ma che tenta senza riuscirci di avvicinarsi all’originale. Già lo so: l’anonimo pittore verrà a trovarmi in sogno, la notte, accusandomi di aver rovinato il suo capolavoro. Mi passo le mani tra i capelli per scacciare questi pensieri stupidi e mi metto la bandana. Devo restare concentrata e finire in qualche modo questo dannato melograno. Se 126/564 continuo così rischio di perdere anche la visione d’insieme e compromettere tutto il resto. Il campanile di San Barnaba ha appena battuto le undici. Di solito a quest’ora faccio merenda come a scuola – in realtà sarebbe la mia tarda colazione – ma adesso non ho per niente fame. La mattinata è cominciata male e sembra continuare peggio. Ho perso anche il collirio, proprio adesso che ne ho bisogno. “Sei la solita testa per aria” direbbe mia madre, e avrebbe ragione. Lo cerco sul pavimento dell’androne perché potrebbe essermi scivolato dalla tasca, ma niente. Maledizione, e adesso? Vado in farmacia a prenderne uno nuovo? Certo, perché già sono stata produttiva finora… Vabbè, al diavolo il collirio. Mi faccio un leggero massaggio alle palpebre con i polpastrelli e poi salgo sulla scala ripetendo il mio nuovo mantra – ce la puoi fare, Elena – ed 127/564 ecco che sono di nuovo faccia a faccia con il melograno. Mi guarda con aria di sfida. Non ti temo, no, non ti temo affatto. Ho cominciato a lavorare da quasi un’ora, con scarsi risultati, quando una voce alle mie spalle rompe la fragile bolla di concentrazione in cui ero riuscita a chiudermi. «Ciao, Elena.» Ferrante, ci mancava solo lui. «Leonardo…» lo saluto con un cenno distratto sperando che non voglia interagire. Erano giorni che non lo incrociavo, da quando mi ha portata a casa sulle spalle. Da allora, però, me lo sono ritrovato spesso protagonista – mio malgrado – di certi pensieri segreti e inopportuni, che di solito reprimo puntualmente sul nascere. Lo spio con la coda dell’occhio: ha in mano un sacchetto di carta marrone, di quelli che si usano al mercato. 128/564 Guarda il dipinto grattandosi due volte il mento, poi si dirige verso il divanetto addossato alla parete e ci lancia sopra il sacchetto, che con un tonfo sordo rimbalza sul velluto dell’imbottitura. Dandomi le spalle si leva il giubbotto in pelle e rimane con una Tshirt bianca a maniche corte. La sua carnagione è scura, riarsa dal sole, i muscoli delle braccia scolpiti dalla fatica, le vene in evidenza. È un uomo molto bello. Non c’è che dire, devo dar ragione a Gaia. «Puoi scendere un minuto?» mi domanda. Mi giro verso di lui corrugando le sopracciglia e scuoto la testa. «Andiamo…» continua lui in tono deciso. «Voglio fare un esperimento.» «Che esperimento?» «Tu scendi, poi te lo dico.» Un sorriso ambiguo gli scivola dalle labbra. Non so cosa voglia fare, quello sguardo non è molto rassicurante, eppure il suo 129/564 invito ha qualcosa d’irresistibile, ne sono incuriosita. Il mio imbarazzo intanto cresce – ho il viso in fiamme, lo sento – e l’unico modo per vincerlo è decidermi a eseguire l’ordine senza fare tante storie. Perciò appoggio coppetta e pennello sull’ultimo ripiano della scala e a passi lenti scendo un gradino dopo l’altro. Ecco, sono davanti a lui, adesso. Leonardo mi studia, trapassandomi con lo sguardo. «Bene» fa un profondo sospiro, «ora devi chiudere gli occhi.» «Eh?» deglutisco. «Posso sapere che intenzioni hai?» «È solo una prova» m’incoraggia con voce suadente. «Ma se funziona, mi ringrazierai.» Mi accorgo che le mie mani stanno tremando leggermente. Non è normale che quest’uomo venga qui a interrompere il mio lavoro e a darmi ordini e io sia incapace di replicare come vorrei. C’è qualcosa di 130/564 magnetico in lui, qualcosa che non ho la facoltà di controllare e tantomeno di respingere. Faccio un lungo respiro. Poi un altro, lasciando andare le braccia lungo i fianchi e, adesso sì, chiudo gli occhi. Mi affido a lui, immagino di non avere altra scelta. «Devi giurarmi che non li riapri fino a quando non te lo dico io.» «Ok» annuisco. «Mi sento un po’ stupida.» «Fidati, Elena» mi rassicura. La sua voce è più dolce, ora. Sento che muove qualche passo. Si sta allontanando da me. Poi, un rumore di carta stropicciata, srotolata. Presumo che stia frugando nel sacchetto. Sbircio tra le palpebre ma Leonardo mi dà le spalle e non vedo niente, tanto vale richiuderle. Mi domando se non sia il caso di avere paura, in fondo quest’uomo è un perfetto estraneo per 131/564 me… no, a pensarci bene non credo di dover avere paura. In realtà mi viene da sorridere. «Vedo che ti stai divertendo… bene! Meglio così» commenta. Oddio, se ne è accorto. Ora sta venendo verso di me. Si è fermato a pochi centimetri dal mio viso – così sembrerebbe – riesco perfino a sentirne il respiro. «Adesso non pensare a niente. Ascolta soltanto» ordina con autorevolezza. Un rumore secco mi arriva diretto all’orecchio destro. È un suono indecifrabile, dapprima duro e poi più morbido. Di qualcosa di vivo che si rompe, si spacca a metà con un crepitio. «Cos’è?» domando sorpresa. «Devi indovinare, è questo il gioco.» Intuisco che sorride, il suo fiato aleggia sul mio viso. Si fa sempre più vicino. «Senti l’odore.» 132/564 Avvicina l’oggetto misterioso al mio naso e inspiro. Un profumo particolarissimo mi scuote, scendendo fino alla gola. Sa di muschio, di terra… di materia viva. «È un frutto?» azzardo. Leonardo non risponde. Mi prende dolcemente le mani e le gira con i palmi all’insù. Un brivido caldo mi attraversa la schiena, perdendosi nella fessura delle natiche. «Toccalo» sussurra. Mi posa nelle mani due semisfere. Piego leggermente le dita per sentirne meglio la consistenza. Fuori è liscio e insieme rugoso, mentre dentro riconosco al tatto un groviglio denso di chicchi rivestiti da una pellicola leggera che si lacera in più punti. Forse ho capito. «È un melograno?» «Adesso lo scoprirai.» Leonardo mi libera le mani. «Apri la bocca, assaggia.» 133/564 Esito, non mi piace l’idea di non vedere cosa sto per mettere in bocca, ma faccio come mi dice. Alcuni chicchi mi scivolano freschi sulla lingua. Hanno un sapore acidulo, pizzicano un po’ e sotto i denti sento una polpa soda e zuccherina dall’anima legnosa. «Ora apri gli occhi» dice Leonardo. Schiudo lentamente le palpebre. Lui è di fronte a me e mi guarda con aria soddisfatta. «E questo è un melograno vero. I più dolci vengono dalla Spagna, sai?» dice tenendo il frutto tra le mani. «Penso che tu abbia bisogno di ripartire da questo per arrivare a quello» e indica il melograno sull’affresco. Lo guardo anch’io, mentre i semi in poltiglia mi gironzolano ancora in bocca. Quel dettaglio che prima era solo un reticolo di forme e colori è all’improvviso qualcosa di vivo. Ce l’ho in bocca, nelle narici, nella pancia, più che nella testa. E mi sembra di vederlo davvero per la prima volta, di poter 134/564 svelare il suo mistero. Non so che cosa dire, sono completamente spiazzata. Cerco aiuto nello sguardo di Leonardo. Lui mi sorride. «A volte gli occhi non bastano per vedere tutto, non trovi?» Annuisco, ancora incerta. «Credo di aver capito cosa vuoi dire…» «Allora ti conviene rimetterti subito al lavoro. Ti lascio tranquilla» e fa per andarsene. Muove dei passi in direzione del corridoio, ma all’improvviso torna indietro, come se avesse dimenticato qualcosa, forse il sacchetto con i melograni o il giubbotto. E invece no. Abbassa un istante lo sguardo, fruga in una tasca dei jeans e ne estrae il mio collirio. «L’ho trovato ieri nella mia stanza» spiega porgendomelo. «Forse potresti averne bisogno.» 135/564 Impietrita, prendo in mano la boccetta. Adesso vorrei soltanto fare un buco nel pavimento, sotterrarmi e non uscire mai più. «Grazie, l’ho cercato tutta la mattina» dico disinvolta, tentando invano di mascherare l’imbarazzo che sento crescermi dentro. «Non so davvero come ci sia finito, nella tua stanza» continuo, e intanto le guance mi stanno andando a fuoco. Di nuovo. Vorrei trovarmi un valido alibi, ma non sono mai stata brava a mentire. Quella cretina di Gaia… E io più cretina di lei ad andarle dietro! Adesso lui starà pensando che sono un’impicciona, o peggio, una maniaca, perché è ovvio che ai suoi occhi sono io l’autrice del misfatto. Leonardo mi rivolge uno sguardo complice, come se potesse leggermi nel pensiero. Alza le spalle divertito e mi regala un sorriso amichevole, che vuol dire “stai tranquilla, non è successo niente”. Poi, senza aggiungere altro, se ne va, lasciandomi lì impalata al 136/564 centro dell’androne. E io sono indecisa tra fare finta di niente e correre a nascondermi dove nessuno può venire a cercarmi. Esco dal palazzo che è quasi buio, i lampioni si sono già accesi lungo la calle e l’aria fresca di ottobre mi costringe a sollevare il bavero dello spolverino. Mi sto sistemando i capelli da un lato, quando una voce, quasi un sussurro, mi chiama. «Psss… Bibi!» È la voce di Filippo. Se ne sta seduto sulla vera da pozzo al centro del campiello. Appena incrocio il suo sguardo scivola giù e atterra sul selciato, scrollandosi il trench grigio fumo. «Non voleva più mollarti quell’affresco…» Mette in tasca il telefono e si avvicina. «Giornata produttiva» rispondo, ma decido di sorvolare sull’esperimento di Leonardo. «Come mai da queste parti?» 137/564 «Sono passato a salutarti» dice, sistemandosi sulla spalla la tracolla del notebook. «Non ti ho chiamata perché so che non rispondi quando sei al lavoro.» «Vabbè, magari a te avrei risposto» e gli do una spallata giocosa. Ci incamminiamo verso campo San Barnaba. Sono felice che Filippo sia qui. Lui ha la straordinaria capacità di rilassarmi e mettermi subito a mio agio. «Devo dirti una cosa» si gratta la nuca come a cercare le parole. I suoi occhi s’intristiscono in un istante. «Che cosa?» «Domani devo ripartire per Roma. E restarci» dice tutto d’un fiato. «Ah, però…» Non so come reagire alla notizia. Forse per lui è buona e non è il caso di manifestare quella punta di dispiacere che sento salirmi in gola. «Non mi avevi detto niente…» 138/564 «L’ho saputo due ore fa» allarga le braccia, in segno di resa. «Decisione del capo. Ha pensato di spedire me alla sede di Roma, perché secondo lui sono il più qualificato.» «Suona come una promozione.» «Così pare, almeno a detta di Zonta. “Prendilo come un avanzamento di carriera” mi fa, scagliandomi dei documenti sulla scrivania con il solito atteggiamento arrogante.» Filippo affonda le mani nelle tasche e fissa lo sguardo su un punto indefinito all’orizzonte. «Aumento di stipendio e, ovviamente, soggiorno spesato. Mi sa che è una proposta di quelle che non si possono rifiutare…» dice imitando la voce di Marlon Brando nel Padrino. Ma non sembra molto felice. «E non sei contento?» gli domando a bruciapelo. «Sì, sono contento» risponde lui. «Solo che è successo tutto all’improvviso, mi ero 139/564 appena risistemato a Venezia e, adesso, via di nuovo…» Mi guarda e per un momento spero che aggiunga “e poi non vorrei lasciarti”, ma mi impongo subito di smetterla. È il suo momento, è la sua carriera, l’obiettivo per cui ha tanto sudato… Devo essere felice per lui e mettere da parte l’egoismo. «Per quanto tempo dovrai stare via?» gli chiedo cercando di non risultare piagnucolosa. «Non lo so di preciso, ma di sicuro si parla di mesi… e il primo periodo sarà totalmente frenetico» fa un respiro profondo, come per prepararsi a una confessione. «Lo studio ha ottenuto la partnership per la messa in opera di un edificio progettato da Renzo Piano.» «Cavolo, Fil, congratulazioni! E cosa aspettavi a dirmelo?» La notizia non è solo buona, è addirittura eccezionale. Purtroppo. Gli scocco un bacio leggero sulla guancia. «Questa è l’occasione della tua vita.» 140/564 Filippo sorride composto. La sua modestia è disarmante ed è un lato di lui che mi piace molto. Lo so che è fiero dei suoi risultati, ma non è di quelli che se ne vantano. Non si monterebbe la testa nemmeno se gli chiedessero di riprogettare l’Empire State Building. «Senti, adesso ho una cena con i colleghi dello studio. L’hanno organizzata per salutarmi prima della partenza.» Dal suo sguardo capisco che non ne ha molta voglia ma che deve andarci più che altro per cortesia. Peccato, speravo di passare almeno la serata con lui. Ma mi conforta intuire che anche per lui è lo stesso. «E noi? Non ci staremo salutando così, vero?» protesto. «Mi dispiace, Bibi» mi dice con voce contrita, abbassando lo sguardo. «Domani, tra preparativi e partenza, non credo che avrò molto tempo.» 141/564 «Cavolo, Fil…» è tutto troppo veloce per me. Lui mi solleva il mento e mi sorride incoraggiante. «Però ti aspetto. Devi venire a trovarmi a Roma.» «Certo che vengo» rispondo con una smorfia. «Dammi solo il tempo di sistemarmi e organizziamo un weekend. Ok?» «Ok.» Ma la cosa non mi consola del tutto. «Sono contento che sei triste, lo sai?» E mi sposta dalla fronte una ciocca di capelli. «Per me è lo stesso. Non sono bravissimo a mostrarlo. Adesso scappo, però, sennò quelli mi linciano… o peggio, rischio di trovarli già ubriachi fradici.» «Mi mancherai un sacco.» «Anche tu.» 142/564 Ci abbracciamo forte, quasi se con quella stretta volessimo imprimere sui nostri corpi la traccia l’uno dell’altra. Poi ci scambiamo due baci profondi sulle guance e restiamo a guardarci per un momento, incerti. Forse vorremmo entrambi un bacio diverso, ma subito distogliamo lo sguardo e ci rimettiamo i panni degli amici di vecchia data. «Vado. Ci sentiamo presto.» «Buon viaggio, Fil. E buona fortuna.» Un altro abbraccio veloce e poi ci separiamo incamminandoci verso gli angoli opposti del campo. Ci giriamo ancora una volta a salutarci con la mano e poi via, per strade che adesso divergono. Mentre cammino a passo lento sulla via di casa, mi assale un’enorme tristezza. Mi sembra una grave ingiustizia che Filippo debba andarsene proprio ora: ci eravamo appena ritrovati e stavamo iniziando a capire molte 143/564 cose di noi. Stupidamente, mi accorgo solo adesso di quanto sia stata importante la sua presenza negli ultimi due mesi. Da più di un anno sono sola, nel senso che non c’è nessun uomo nella mia vita, ma questa condizione non mi è mai pesata molto. Mi sono scoperta più autonoma e indipendente di quanto pensassi. Ma poi è arrivato Filippo e l’ho sentito vicino come nessun altro. Per la prima volta dopo tanto tempo ho avuto seri dubbi sulla mia vocazione da single. È un attimo e mi appare davanti agli occhi, crudele, l’immagine di Valerio, l’ultimo ragazzo che ho avuto, un amore nato nel periodo spensierato dell’università e finito al primo impatto con la vita adulta. Ripensandoci mi domando se quello che amavo seriamente fosse lui o solo la sicurezza posticcia della nostra relazione. Dopo la laurea ho iniziato a detestare il mio lavoro precario, ero piena di dubbi sul futuro e sempre 144/564 insoddisfatta, e lui ha rappresentato in quegli anni uno dei miei pochi punti fermi. Avevo così tanto bisogno di crederci che non mi accorgevo di quanto fosse più fragile di me, non capivo che le nostre due debolezze non facevano una forza. Lasciarlo è stato molto doloroso, ma col senno di poi credo di aver fatto la cosa giusta per entrambi. Valerio rappresentava soltanto la mia via di fuga dalla realtà. Il problema è che a volte questa via di fuga può apparire maledettamente simile all’amore. Ma troncare con lui, ora ne sono certa, ha segnato il mio ingresso nel mondo degli adulti. E sono orgogliosa di essere stata io a prendere la decisione. Sono arrivata a casa. Basta pensare al passato. È passato, appunto, e adesso sarebbe sensato cominciare ad aprirsi alle cose nuove che mi aspettano. Se solo avessi avuto più tempo da trascorrere con Filippo, forse la nostra amicizia – anche se in questo 145/564 momento ho delle serie difficoltà a definire così il nostro rapporto – si sarebbe trasformata in qualcos’altro. Chissà, magari non tutto è perso, magari ci ritroveremo lo stesso, in qualche modo. Quello che è certo è che mi mancheranno le nostre uscite, i nostri dibattiti sui film, le nostre cenette, le nostre risate. Mi mancherà tutto di lui. È inutile negarlo, ora. Dopo cena indosso la mia divisa da casa e mi butto sul divano a fare zapping. Sto dormicchiando davanti a un documentario sugli animali della savana, quando suonano alla porta. Guardo l’orologio: è quasi mezzanotte, chi può essere a quest’ora? Sbircio dallo spioncino un po’ timorosa e mi ritrovo davanti una testa bionda. E, più giù, gli occhi verdi di Filippo. «Ehi, ciao!» gli faccio, aprendo la porta un po’ spiazzata. 146/564 «Passavo di qua e volevo vedere se eri ancora sveglia» mi dice lui con un sorrisetto malizioso. «Sì, stavo guardando un po’ di tv» gli rispondo facendomi da parte. Filippo entra e io lo seguo in sala. Ha uno strano modo di fare, è teso, impacciato. Gli indico il divano e mi siedo accanto a lui. È di un pallore quasi cadaverico, mi sta facendo preoccupare. «Qualcosa non va?» domando con circospezione. «No, ma mi andava di parlare un po’ con te prima di…» «Fil, non è che ci stai ripensando? Non vuoi più partire?» lo anticipo. «No, non è questo…» «E allora cos’è?» «Sei tu, Elena.» 147/564 Sono io. Bene, adesso è tutto chiaro: Filippo ha deciso di dichiararsi e vuole farlo poche ora prima di trasferirsi in un’altra città. Perfetto: io non sono per niente pronta, indosso i vestiti peggiori del mio guardaroba e non ho neanche lavato i denti. «Non volevo partire senza farti sapere quanto ci tengo a te» continua. «Guarda che lo so quanto mi vuoi bene.» Non trovo niente di meglio da dire, poi cerco di alleggerire il tono della conversazione con un sorriso e gli scompiglio i capelli. Spero quasi che si fermi qui, che non aggiunga altro. «No, non lo sai.» Mi blocca la mano e ci posa dentro un bacio profondo. Il calore delle sue labbra si propaga attraverso il mio braccio e arriva dritto al cuore. Poi, senza dire niente, si avvicina e mi bacia anche sulle labbra, leggero, incerto, quasi mi chiedesse il permesso. 148/564 Io non indietreggio, anzi mi faccio più vicina. Ce l’hai il mio permesso, Fil. Le sue labbra allora diventano più audaci e la sua lingua si muove piano a cercare la mia. Le sue mani, così delicate, mi tengono ferma la testa e afferrano i miei pensieri, imprigionandoli tutti nello spazio che ora manca tra noi. Chiudo gli occhi, trattengo il respiro. Ci stiamo baciando davvero, ora. Filippo si stacca e mi guarda dritto negli occhi. «Avrei voluto farlo mille volte, Bibi. Ma non ero sicuro che lo volessi anche tu.» «Io non aspettavo altro.» Ci baciamo ancora e ancora, senza saziarci, senza il coraggio di dire niente. Poi, delicatamente, Filippo mi fa stendere sul divano e si sistema accanto a me. Continuando a baciarmi, infila una mano sotto la mia felpa e mi sfiora un seno con la punta delle dita. Io rabbrividisco a quel contatto. Mi guarda come se fossi la cosa più preziosa al mondo, quasi non credesse ai propri occhi. E anch’io 149/564 stento a credere che, dopo tante esitazioni e occasioni mancate, adesso siamo qui, stretti ed emozionati, con una sola notte da passare insieme per recuperare il tempo perso. «Ti ho sempre desiderata. Dal primo momento» mi bisbiglia in un orecchio, prima di tornare a baciarmi con ancora più trasporto. La sua mano adesso scorre sulla mia pelle e mi accarezza i seni, soffermandosi per un istante sul piccolo neo a forma di cuore che ho proprio sotto quello sinistro. Filippo si mette a cavalcioni su di me e mi sfila felpa e maglietta in un solo gesto. Sotto non ho niente e sono un po’ a disagio, distolgo lo sguardo e cerco l’interruttore della lampada per fare buio. Adesso vedo la sua sagoma chinarsi piano su di me, sento la bocca che trova i capezzoli già turgidi e li succhia piano, quasi fossero di zucchero. Mi sento sciogliere sotto di lui. Gli passo le dita tra i capelli, godendomi quell’istante di dolcezza pura. 150/564 Cerca la patta dei miei jeans e la apre. Contraggo i muscoli del ventre mentre la sua mano si fa strada nei miei slip. Accarezza il clitoride continuando a baciarmi il seno. È una sensazione deliziosa, che avevo quasi dimenticato. Si ferma, ma solo per strapparmi i jeans di dosso, insieme agli slip. Anch’io gli tolgo la maglietta, intanto Filippo si libera da solo dei jeans. Adesso siamo nudi, nella semioscurità posso intravedere il suo torace snello e definito e il suo sesso eretto, puntato verso di me. Sto per andare a letto con Filippo, mi ripeto silenziosamente, sta succedendo ora, qui, a casa mia, ma ancora faccio fatica a elaborarlo. I pensieri viaggiano più lenti dei nostri corpi. Lui intanto ha ripreso a stuzzicare il mio clitoride, le dita si spingono tra le labbra e poi salgono su, a riempire il vuoto. Mi ritraggo un po’, colta di sorpresa. «Va tutto bene?» mi domanda Filippo. «Sì» lo rassicuro. 151/564 È da quasi un anno che non lo faccio e a dire il vero sono un po’ agitata. Filippo aspetta che io sia pronta, poi si stende su di me e, tenendosi il sesso con una mano, mi penetra lentamente, poco alla volta, senza fretta. Quando è completamente dentro emette un respiro più profondo e comincia a muoversi a ritmo regolare. Gli cingo il collo con le braccia e lo bacio sulla bocca, accompagnandolo con il bacino. Mi lascio cullare dal suo movimento e mi abbandono. Non ricordavo che potesse essere così bello. Così pieno. L’incontro dei nostri sessi sprigiona brividi di piacere, che diventano via via più intensi. Fino a quando Filippo spinge con un po’ più di forza e io mi aggrappo a lui quasi con violenza, emettendo un piccolo gemito. Ed ecco un orgasmo liquido e dolciastro che si propaga dentro di me con un’onda lunga. Tremo tra le sue braccia, perdo totalmente il controllo, il senso del tempo e di dove mi trovo. È sorprendente che Filippo mi stia regalando 152/564 questo. Sono felice. Come non lo ero da tempo. Filippo si china a baciarmi e muove ancora il bacino, cercando il proprio piacere. Anche lui sta godendo, adesso, posso sentire il suo sesso pulsare nel mio mentre mi crolla addosso con un grido quasi liberatorio. Ci baciamo e ci abbracciamo stretti, un po’ stupefatti. Non ci sono parole per noi, in questo momento. Abbiamo fatto l’amore ed è stato bello. Nessuno dei due ha voglia di chiedersi cosa succederà domani, non adesso. «Elena» dice Filippo tenendomi il viso tra le mani. «Voglio dormire con te stanotte.» «Sì» rispondo sottovoce. Ci alziamo dal divano tenendoci per mano, con le gambe ancora un po’ tremanti lo conduco fino al mio letto e ci mettiamo sotto le coperte. Il sonno ci coglie mentre siamo ancora abbracciati. 153/564 Apro gli occhi e la stanza è invasa da una luce azzurrina. Ieri non ho chiuso le persiane e dalla finestra entra il chiarore dell’alba. Mi giro verso Filippo, ma lui è già in piedi che si sta rivestendo. Mi sorride. «Ritorna a dormire, è ancora presto. Io devo andare a fare i bagagli.» Non gli do ascolto e mi metto a sedere contro la spalliera. Ci guardiamo, consapevoli che adesso dirsi addio sarà ancora più difficile. Filippo viene a sedersi accanto a me e mi mette a posto i capelli che sono sicuramente tutti arruffati. Oddio, non voglio lasciargli come ultima immagine di me il disastro che sono quando mi alzo dal letto la mattina! «Niente facce tristi, Bibi.» «Non hai paura che abbiamo complicato tutto, Fil? Forse abbiamo fatto la cosa giusta al momento sbagliato.» 154/564 «Forse sì, ma non me ne pento. Ti volevo. E ti voglio ora.» «E cosa facciamo, adesso?» «Non dobbiamo prendere una decisione per forza. Abbiamo tutto il tempo. Bibi, non illuderti che questo sia un addio…» «No, certo…» rispondo, anche se non ne sono per niente sicura. «È che le grandi decisioni mi mettono ansia, lo sai.» «Lo so, ma noi non abbiamo fretta. Quando ci ritroveremo riprenderemo da qui.» «Quindi stiamo rimandando tutto a tempi migliori?» «Sì, almeno finché io sono a Roma e tu a Venezia.» «Mi sembra la scelta più saggia, Fil.» «È l’unico modo per non impazzire, Bibi.» Ci abbracciamo stretti e ci baciamo per l’ultima volta, poi lui si alza. Vorrei alzarmi 155/564 anch’io per accompagnarlo ma lui mi blocca. Mi sistema meglio il copriletto addosso. «No, rimani qui, al caldo.» Un ultimo bacio sulla fronte e poi scompare oltre la porta della stanza. Mi sdraio di nuovo e mi copro fin sopra i capelli. Vorrei mettermi a dormire e spegnere il cervello, ma è del tutto inutile, ho già mille pensieri che mi frullano in testa. Questa notte passata con Filippo è stata tenera ed emozionante. Mi domando se potrei davvero innamorarmi di lui. C’è sempre stata un’intesa speciale tra noi… Ma basterà? Devo cercare di capirlo, perché non posso permettermi il lusso di fare un errore e poi tornare indietro, non con Filippo. Devo restare lucida, scoprire se sto scambiando l’affetto per qualcosa di più profondo. La distanza di certo ci peserà, ma forse è la prova di cui abbiamo bisogno per capire la vera natura dei nostri sentimenti. 156/564 Mi giro e rigiro nel letto smaniosa, crogiolandomi a lungo nelle mie inutili analisi – una notte di sesso e sono già diventata paranoica? – e alla fine mi rassegno ad alzarmi e vado in cucina per farmi un tè. Sul tavolo, incastrato sotto la fruttiera, c’è un foglio bianco. È un disegno, il ritratto di una donna sbozzato a matita. Sono io. Giro il foglio e nell’angolo in basso leggo una scritta, in una grafia regolare e curata. Come sei bella… Dormivi così bene, stanotte… Appena sotto, una firma: Filippo. Mi lascio cadere sulla sedia, con le braccia lungo i fianchi. Reclino la testa all’indietro ed emetto un profondo sospiro. Non vale, Fil. Come faccio a restare lucida se tu fai così? 5 Filippo è partito da tre giorni. Mi ha telefonato appena arrivato a Roma e l’altro ieri ci siamo visti su skype. «Bibi, non ti voglio perdere. Non ora» ha chiuso la conversazione. Dobbiamo cercare di sentirci spesso, ci siamo detti, anche se sappiamo bene che non basteranno mail e telefonate a non farci avvertire la lontananza. Da tre notti dormo male. Durante il giorno riesco a rimanere concentrata sul lavoro, ma puntualmente, appena mi metto a letto, mi 158/564 assalgono dubbi, pensieri e, a volte, mi sembra di sentire l’odore di Filippo, di quell’unica notte nostra. Come andrà a finire tra noi? Ci può essere un domani, ho qualche diritto a sperarlo, dopo mesi di solitudine voluta, o si è trattato solo di una notte, appunto, in cui ci siamo lasciati trasportare dall’emozione della partenza? Cosa proviamo davvero l’uno per l’altra? Ma soprattutto: cosa sento io? Come se non bastasse, a non farmi chiudere occhio stanotte si sono messe anche le due gatte della vicina, la signora Clelia. Quella vecchia zitella le tiene segregate tutto l’anno nel suo bilocale da trenta metri quadri, ma quando le micie vanno in calore è normale che impazziscano, e allora le lascia libere in strada. I loro strazianti mugolii hanno messo a dura prova il mio sistema nervoso e il mio amore per gli animali. Alle quattro del mattino non ne potevo più, e con due occhiaie olimpiche mi sono affacciata alla finestra, rassegnata spettatrice 159/564 dello show notturno giù in campo: attorno alle gatte di Clelia, cinque o sei randagi stavano ingaggiando una lotta furiosa per guadagnarsi il diritto all’accoppiamento. Un groviglio di schiene inarcate, sbuffi, pelo rizzato, e poi artigli, denti e miagolii acuti. All’improvviso le gatte si sono abbandonate al loro desiderio, anche se non sono riuscita bene a intuire chi con chi, in quell’orgia animale. Stamattina Clelia le starà cercando isterica per tutto il vicinato… e tra due settimane le micie si ripresenteranno a casa magre, tutte graffiate, ma felici. Beate loro! Un trillo dell’iPhone mi riporta bruscamente alla realtà. Appoggio il pennello sul telo di protezione e mi affretto a controllare senza nemmeno levarmi i guanti in lattice: ho già un’idea di chi possa essere. E infatti è Filippo, mi ha mandato un mms. Scarico subito la foto: è un suo primo piano con gli occhi ancora un po’ gonfi di sonno e un 160/564 sorriso fiducioso con sullo sfondo un edificio supermoderno, o meglio un cantiere. Buongiorno, Bibi. Io già operativo. E tu? Mi manchi. Riguardo la foto un po’ malinconica. Anche lui mi manca. L’idea di andare a trovarlo mi stuzzica sempre di più e devo ammettere che il pensiero che possa fare nuove conoscenze nella capitale mi rende piuttosto gelosa. Forse è arrivato il momento che anch’io mi butti nella mischia per guadagnarmi la mia avventura erotica. Strofino sulla manica della tuta il display del cellulare e rispondo. Io inchiodata al solito affresco, ma almeno sta venendo bene… Mi manchi anche tu. Ti bacio. 161/564 Poi mi scatto una foto con un pezzo di affresco sullo sfondo e la allego al messaggio. A dispetto delle notti insonni e dei miei turbamenti, il restauro sta procedendo bene. Sarà che con il tempo mi sento più sicura, sarà che l’esperimento di Leonardo ha funzionato (perché ha funzionato, non posso non dargli questo merito), sarà che a forza di provare le cose prima o poi riescono… insomma sembra un miracolo, ma il melograno oggi ha finalmente assunto la sfumatura giusta, quella che rincorrevo da giorni. «Stiamo battendo la fiacca qui…» Una voce familiare mi arriva improvvisamente alle spalle. Mi volto e trovo Gaia sulla porta, la borsa firmata che penzola da un braccio e il passo sicuro sui soliti trampoli. Non è possibile! Nonostante tutte le raccomandazioni e le minacce è tornata alla carica. Le ho raccontato l’imbarazzante epilogo della nostra bravata e le ho detto di non farsi più vedere da queste parti, e invece eccola di 162/564 nuovo qua con la sua solita espressione sfrontata, di chi non ha nulla da temere. Impugno il pennello imbrattato di tempera e glielo punto contro: «Vade retro, Satana» le intimo. Poi realizzo: «Come cavolo hai fatto a entrare? Non era chiuso il portone?». «Ho corrotto il custode sotto.» Gaia mi fa l’occhiolino. Niente, anche il buon Franco si è lasciato comprare dalle sue moine. «Esci immediatamente! Sto lavorando, ho mille cose da fare e non voglio casini» le dico tutto d’un fiato, agitando il pennello contro la sua camicia di seta. Gaia alza le mani e sfodera quel sorriso con cui pensa di conquistare il mondo: «Ele, dài… tante storie per un collirio?». «Per un collirio?! Sono le cazzate che mi fai fare…» Rimetto a posto il pennello, ma mi accorgo subito che ho fatto un errore: ai suoi occhi deve sembrare una resa. Infatti si avvicina in cerca di complicità. 163/564 «Andiamo… a me non sembra così grave.» Mi concentro a pulire alcuni strumenti per recuperare professionale autorevolezza, lei si china a cercare il mio sguardo. Sembra che la mia insofferenza la diverta. «Comunque, se Leonardo non se l’è presa, vuol dire che le nostre attenzioni sotto sotto gli fanno piacere, no?» Fingo di riflettere con una mano alla tempia: «Oppure che ci considera due povere sfigate su cui non vale la pena infierire». «Mai sottovalutare il narcisismo di un uomo» replica Gaia, con aria saputa. «A tutti piace essere corteggiati…» «Questa sembra presa dal manuale dello stalker.» Leonardo si materializza proprio in quel momento come una divinità calata dall’alto in una tragedia greca, solo che indossa jeans stracciati e giubbino nero in pelle. A Gaia 164/564 s’illuminano gli occhi, a me vanno a fuoco le guance. «Buongiorno» ci saluta cordialmente: non sembra essersi accorto delle nostre reazioni, entrambe preoccupanti, ognuna a suo modo. «Buongiorno» rispondiamo in coro. Leonardo dà un’occhiata all’affresco e mi sorride complice. «Quello ha tutta l’aria di un melograno…» «Già» annuisco. «A forza di provare e riprovare…» dico rimanendo sul vago. Evito qualsiasi accenno all’“esperimento”, salvandomi preventivamente dalla curiosità di Gaia. Poi mi metto a raschiare con energia il colore da una coppetta, sperando di sembrare molto indaffarata. Leonardo si rivolge a Gaia: «Vieni spesso a trovare Elena?». «In realtà passavo di qua…» 165/564 “Viene spesso a trovare te” penso, continuando a infierire sul colore secco nella coppetta. Nonostante mi tenga in disparte, la conversazione tra i due decolla senza intoppi. Leonardo sembra gratificato dalla presenza di Gaia, sicuramente ha capito di essere il suo bersaglio. Forse ha ragione lei, il mondo è pieno di bellocci egocentrici che vogliono solo essere adorati. A un tratto, però, si volta verso di me. «Dimenticavo di dirvi una cosa importante» si passa una mano tra i capelli: «Siete tutte e due invitate alla serata d’inaugurazione del ristorante». Io smetto di grattare, impiego una frazione di secondo a risintonizzarmi sui loro discorsi. «Ah, sì? E quando sarà?» chiede Gaia trepidante, ostentando il suo tono più disinvolto. 166/564 «Tra una settimana esatta. Mercoledì prossimo.» Certo, ci manca solo questa. Apro la bocca per dire “Mercoledì prossimo? Peccato, siamo già impegnate…”, ma Gaia mi precede: «Grazie, accettiamo volentieri! Vero, Elena?». Senza nemmeno guardarmi si affretta a estrarre il BlackBerry dalla borsa. «Guarda, me lo segno subito sul calendario.» Facendo volare le dita sui tasti aggiorna l’agenda e poi, colpo da maestra, ne approfitta per chiedergli il numero. «Nel caso ci fosse qualche contrattempo all’ultimo minuto…» specifica con un sorrisetto malizioso. È talmente uno spettacolo vederla in azione che resto ipnotizzata e quasi mi dimentico di arrabbiarmi con lei. Gaia è il mio modello irraggiungibile in fatto di tecniche di rimorchio. Subito dopo vengono le gatte di Clelia. 167/564 Leonardo, quasi avesse intuito la mia perplessità, mi scocca un’occhiata d’incoraggiamento: «Sia chiaro, vi aspetto tutt’e due». Io annuisco ma non ci credo mica tanto. Mi fissa serio. «Ho visto quanto ti appassiona il tuo lavoro, Elena. Ed è così anche per me. Per questo ci terrei a farti vedere quello che faccio.» Lo dice come se gl’importasse davvero. Non riesco a non credergli. Sono un po’ sorpresa, quindi cerco di darmi un tono. «Non so… è che in questo periodo ho tanto da fare…» Leonardo torna a rivolgersi a Gaia, anche se continua a guardare me: «Conto su di te, Gaia. Trova il modo di trascinartela dietro. A mercoledì, ragazze». Quindi se ne va, lasciandoci in due stati d’animo diametralmente opposti: entusiasta lei, confusa e turbata io. 168/564 «Perché gli hai detto di sì?» le ringhio contro, ritrovando tutte le buone ragioni per avercela con lei. «Perché non c’era motivo di dire no.» Semplice e lineare, come solo lei sa essere. Incrocio le braccia sul petto. «Io non vengo, sappilo. Non mi faccio invitare a cena dopo la figura di merda dell’altro giorno.» «Ancora con questa storia?» sbuffa Gaia. «Dài, Ele, secondo me Leonardo se n’è già scordato. Passiamo una bella serata, mangiamo bene, magari conosciamo gente interessante…» «Nemmeno se mi preghi in aramaico.» «Guarda che se non vieni tu non vado neppure io.» «Morirò dal dispiacere!» «E mi fai perdere un’occasione così? Bell’amica che sei! Io per te lo farei…» 169/564 «Non cominciare col ricatto morale.» Gaia lancia un’occhiata al suo orologio con il quadrante tempestato di Swarovski. «Senti, adesso devo andare. Tu intanto riflettici, poi ne riparliamo.» Non capisco per quale misteriosa interferenza il mio “decisamente no” arrivi alle sue orecchie come un “probabilmente sì”. «Ok, basta che ti togli dalle scatole» la liquido senza più ribattere. Per quanto mi riguarda, la conversazione finisce qui. «Hai davvero detto ok? Ho sentito bene? Sì, hai detto ok!» Gaia mi punta contro l’indice laccato di rosso. «No, volevo dire…» Non mi dà modo di replicare. «Ormai l’hai detto. Me lo devi e basta. Ti chiamo!» Mi soffia un bacio con la mano e corre via quasi volando con i suoi tacchetti zebrati sul pavimento antico. 170/564 È ufficiale: la odio. 6 «Il rosso ti dona di più» dice Gaia, spingendomi davanti allo specchio del soggiorno. «Guardati, sei stupenda!» Mi alzo sulle punte e faccio mezzo giro su me stessa, ma la mia immagine riflessa mi fa storcere il naso. Non sono convinta. Questa sera ci sarà la tanto attesa – almeno da Gaia – inaugurazione del ristorante di Brandolini: è per questo che sto girando per casa mezza nuda alla disperata ricerca di qualcosa di decente da mettermi. Gaia mi sta appresso da due ore, è sfiancante. Nel timore che ci ripensassi all’ultimo momento, è piombata 172/564 da me già vestita, truccata e pettinata di tutto punto, trascinandosi dietro un trolley e due maxibag piene di abiti e accessori. E ora vorrebbe impormi il look che lei ha scelto per me. «È troppo corto, Gaia» protesto, puntando le dita sulle mie cosce. «Mi sembra di non avere niente addosso… e poi questo rosso è un pugno nell’occhio.» Gaia scuote la testa e alza gli occhi al cielo: «Sei senza speranza. Tu di moda non capisci proprio niente…». «Dài, fammi riprovare il Gucci nero» le dico, preparandomi all’ennesimo scontro frontale con lo specchio. Gaia si muove felina sui sandali turchese, rigorosamente in tinta con il minidress di raso che indossa, e va a prendere il mio vestito nell’altra stanza. «Tieni» sbuffa, lanciandomi l’abito addosso. «Fa’ come vuoi. Se ci tieni a passare inosservata…» 173/564 Mentre lei è in bagno a ritoccarsi il trucco, mi sfilo il vestito rosso e, allontanandomi dallo specchio per evitare un incontro ravvicinato con il mio corpo pallido e poco tonico, mi rimetto velocemente il nero. Un’occhiata da lontano a figura intera, una da vicino a mezzo busto, un giro completo sul posto. È lui, ci siamo. Mi convince di più, anche se credo che nulla potrebbe mai starmi davvero alla perfezione. «Però è un po’ troppo scollato!» protesto a voce alta per farmi sentire da Gaia, riaggiustandomi il corpetto sul seno. «Assolutamente no» ribatte lei, facendo capolino dalla soglia del bagno. «Ti sta benissimo. Il Prada rosso era meglio, ma anche questo Gucci non scherza…» Appoggio le mani sui fianchi e tiro in dentro la pancia. La mia dieta a base di pizza e surgelati non è proprio il massimo per la linea, devo ammetterlo. «Sarei curiosa di 174/564 sapere dove li hai recuperati. Questi vestiti costeranno una follia.» «Semplice, li ho noleggiati su un sito» ammicca lei. Lancio un’ultima occhiata allo specchio assassino e cerco di autoconvincermi: con questo vestito sto bene, sono carina… dài, almeno presentabile. «E il reggiseno? Ce ne vorrebbe uno senza spalline.» Guardo Gaia sperando che trovi la soluzione. «Ma per chi mi hai presa, per una dilettante?» Gaia estrae da una delle due maxibag un push-up a fascia in pizzo nero e me lo sventola davanti agli occhi. Lo indosso e come per magia il mio seno acquista una taglia. Mi guardo dubbiosa: non sarà un po’ volgare il pizzo in vista? «Tieni.» Gaia mi sistema sul collo una sciarpina di seta bianca. «Ma non ti coprire proprio tutta, solo un po’.» 175/564 Sorrido. Se capisce le sue clienti come capisce me, è la personal shopper più diabolica del mondo. «E adesso passiamo alle scarpe» continua frugando in una delle borse. I piedi cominciano a farmi male al solo pensiero. «Paciotti in raso nero, tacco dodici» sentenzia Gaia mostrandomi un paio di trappole a forma di sandali. «E non si discute.» «Sì, vabbè…» una risata isterica mi esce di bocca, «poi mi serve un deambulatore per camminare.» «Su, Ele, per una sera non muori!» Tiro un lungo sospiro. «D’accordo, però me li metto un secondo prima di uscire. Se posso evitare un po’ di martirio…» «Fai come vuoi, ma così non avrai tempo per abituartici… peggio per te!» E intanto estrae dal trolley uno spaventoso armamentario da make-up artist. 176/564 «Adesso, cara mia, trucco e parrucco» dice con un sorriso trionfante. La guardo sospettosa. «Vacci piano, però…» le ordino. Di solito non mi trucco molto, forse perché non ho mai imparato veramente come si fa e le poche volte in cui mi cimento ho sempre l’impressione di fare danni. Eppure le regole base sono le stesse del restauro: prima si pulisce bene, poi si prepara il fondo, quindi si stende il colore e alla fine si lucida. Solo che farlo su una parete è un conto, sul mio viso è tutta un’altra storia. Gaia inizia a passarmi il correttore sotto gli occhi, poi prende il fondotinta a lunga tenuta e lo picchietta con una piccola spugna in lattice. Di lei mi fido. Ne sa abbastanza in materia per realizzare un buon lavoro. Mi studia il viso, prendendomi il mento tra le dita. «Hai un piegaciglia?» domanda. 177/564 «Secondo te?» «Non ti ho mica chiesto se hai un vibratore, eh!» «Qui sei tu l’esperta…» «E infatti ce li ho tutti e due» rivendica con orgoglio. «Come li vuoi i capelli?» continua, mentre mi spolvera gli zigomi di fard. «Riga di lato e via.» Non ci tengo a farmi torturare con mollette e forcine, anche perché poi è mal di testa assicurato. «Mmm… però provo a farti qualche onda per ammorbidire il caschetto. Stasera dovrai sembrare una vera diva.» Non ho più scampo. Dopo due ore e mezza di preparativi, siamo finalmente pronte. Gaia è già scesa in campo a fumarsi una sigaretta. Infilo un trench leggero, recupero uno scialle di seta, la pochette argento e incastro i sandali sotto 178/564 il braccio. Spengo le luci, chiudo a chiave la porta e scendo le scale scalza. Appena mi vede sbucare dal portone, Gaia spegne il mozzicone sotto il plateau. Allaccio le trappole ai piedi e andiamo. Che dio mi assista! Sono le nove e mezza di sera e in campo San Polo, all’ingresso del ristorante, c’è già la fila. Il party è blindato, nel senso che solo chi ha ricevuto l’invito può entrare. Per Gaia questo è un buon segno, significa che dentro c’è solo gente selezionata. Io non lo so, non sono esperta di mondanità: la mia unica speranza per questa serata è di non inciampare e franare rovinosamente addosso a qualcuno. Arrivate davanti all’arco dell’ingresso, mostriamo gli inviti al buttafuori in doppiopetto nero. Sembra un agente dei servizi segreti, capelli rasati e auricolare nell’orecchio. Dà un’occhiata distratta agli inviti e subito 179/564 dopo scosta la cordicella rossa che chiude il passaggio. «Prego» dice, lasciandoci entrare. «Grazie» rispondiamo in coro. Gaia mi strizza l’occhio, già eccitata: è nel suo elemento, lei. Superato il primo varco, percorriamo il tappeto rosso steso nella corte interna illuminata da fiaccole e lumi. Il flash di un fotografo quasi mi acceca. Prego solo di non essere entrata nello scatto, perché proprio in quel momento mi stavo sistemando goffamente la chioma da diva. Maledico Gaia per avermi fatto le onde e soprattutto per averle riempite di lacca. Le dita ci restano incastrate dentro senza scampo. Due modelle fasciate in impeccabili tubini neri spuntano i nostri nomi dalla lista degli ospiti e ci augurano di trascorrere una buona serata. 180/564 All’interno l’ambiente è caldo e suggestivo, arredamento da casa patrizia veneziana con dettagli arabeggianti. Il ristorante è disposto su due piani, quello inferiore è circondato di vetrate che si aprono su un giardino interno. La musica di sottofondo è morbida, accoglie senza essere invadente. Una schiera di camerieri si aggira tra la gente reggendo vassoi colmi di calici di champagne. Ne prendo uno per bagnarmi appena le labbra e dopo pochi istanti lo metto in mano a Gaia, che si è già scolata il suo. Sbuchiamo in giardino, dove restiamo letteralmente incantate: è una festa per gli occhi, questo posto, gli ospiti si muovono tra fiaccole e lanterne di carta sospese a mezz’aria, che rendono l’atmosfera davvero magica. Studio le persone intorno ai tavoli, notando un’esplosione di chiffon, seta, pizzo e taffetà. Solo i continui flash dei fotografi provano a rompere l’incantesimo. C’è anche 181/564 una piccola troupe televisiva: la giornalista, microfono alla mano e cameraman al seguito, si aggira tra la gente per raccogliere qualche commento entusiasta sulla serata. Viene anche da me, specificando che lo speciale andrà in onda su una nota emittente tv, ma io le faccio capire che non è il caso. Solo al pensiero stavo già diventando paonazza. Gaia è su di giri. Saluta persone a me ignote, sfoderando a destra e a manca sorrisi ammiccanti. «Scusa, ma li conosci?» le domando. «Un po’» risponde. «Alcuni solo di vista, ma è sempre bene farsi notare.» Scuote la testa rassegnata e mi rivolge uno sguardo come a dire “devo proprio insegnarti tutto”. In effetti, da lei avrei da imparare, ammesso che io voglia davvero allargare i miei orizzonti sociali. Mi guardo un po’ in giro e studio la situazione. Ma in fondo cosa 182/564 c’entro io con questa gente? Dire che mi sento un pesce fuor d’acqua forse è solo un eufemismo. Due uomini poco distanti ricambiano il mio sguardo con un sorriso. Cos’avranno da ridere? Forse sono molto spettinata, o ho del dentifricio sulle labbra… mi nascondo dietro un cameriere facendo finta di non vederli. All’improvviso mi ricordo di avere addosso davvero poca stoffa e mi sistemo lo scialle di seta sulle spalle. Gaia intanto è sparita. Rientro all’interno per cercarla e intravedo Jacopo Brandolini da lontano: finalmente un volto familiare. Non sono mai stata tanto felice di vederlo. Sta conversando animatamente con un gruppetto di persone, ma mi ha riconosciuta e ci salutiamo con un cenno della mano. Sto per raggiungerlo, quando un boato di applausi si leva dal pubblico. Le persone che erano ancora in giardino si affrettano a rientrare e tutti si voltano verso una pedana al 183/564 centro della sala, dove un uomo elegante in smoking annuncia la performance: «Signore e signori, ho l’onore di presentarvi un uomo che ha fatto della cucina un’arte, uno spettacolo per gli occhi come per il palato: lo chef Leonardo Ferrante». Le luci si abbassano, l’atmosfera si surriscalda nell’attesa. Le note di un violino riempiono l’aria mentre dei fari azzurrognoli si accendono su un soppalco dove compare una bellissima violinista in abito rosso. Con le splendide mani affusolate, fasciate in guantini di pizzo nero, impugna un violino elettrico in vetro trasparente che s’illumina di luce blu al tocco dell’archetto. Riconosco quell’abito e anche la donna. Forse è solo una mia fantasia, ma mi sembra la stessa che ho visto uscire dal palazzo qualche tempo fa insieme a Leonardo. La diva del motoscafo. È lei, ne sono sicura. 184/564 «Ele, hai visto?» Gaia ricompare come per magia al mio fianco. «La tipa che suona è famosa.» «Ah, sì?» «È Arina Novikov, la violinista russa. Ha fatto un concerto all’Arena di Verona sabato scorso.» «Be’, è lei la tipa che ha passato la notte con Leonardo» le dico pregustandomi la sua sorpresa. «Eh?» «La donna del motoscafo.» «Davvero?» «Sì sì, sono sicura.» «Cavolo!» Gaia sembra divertita, il fatto di dover competere con questa specie di dea non la preoccupa affatto, anzi la eccita. Lei è fatta per le sfide. Ora la violinista sta attaccando l’inconfondibile tema dell’Inverno dalle Quattro 185/564 stagioni di Vivaldi ed è semplicemente struggente. Al contrario di Gaia io non riesco a guardarla senza pensare che è cento volte più bella e più talentuosa di me. Ma ora gli occhi di tutti si rivolgono al centro della sala, rapiti da una nuova apparizione. Leonardo guadagna la sua postazione mentre scrosciano gli applausi. Indossa una giacca nera con collo alla coreana, ornata da bordure e bottoni bianchi. Arrotolata sulla fronte, una fascia di seta bianca contiene i suoi capelli fluenti, facendolo sembrare un guerriero orientale. È davvero una presenza magnetica. Un faro giallo lo illumina da dietro e due fontane di fuoco si accendono ai lati della scena. Sul crescendo di Vivaldi la performance ha inizio. Gaia mi fa segno di avvicinarci per avere una visuale migliore e, sgomitando tra la folla, riusciamo ad avanzare di qualche metro. Ora siamo proprio sotto di lui. 186/564 Leonardo impugna il coltello e inizia a tagliare a fette sottilissime un trancio di pesce spada, ancorandolo sul ripiano di marmo con una mano. Mi è familiare quella sicurezza nella presa e il ricordo vola subito a quando mi ha tenuta aggrappata alla sua schiena affondandomi le dita nelle cosce. Mentre il ritmo della musica aumenta, Leonardo cosparge le fette con quelli che da dove ci troviamo hanno tutta l’aria di essere semi di papavero. Scendono impalpabili dalle sue dita sicure e si depositano sulla carne rosa del pesce, punteggiandola di minuscole gocce nere. Poi Leonardo sminuzza un peperone rosso fino a farne polvere iridescente e con la precisione e la velocità di una macchina taglia alla julienne finocchio, zucchine e sedano. Resto quasi senza fiato: è un maestro. Mi giro un attimo verso Gaia, cercando la sua complicità, e mi accorgo che anche lei è 187/564 stregata, gli occhi fissi su di lui, la bocca socchiusa in un’espressione di stupore. Leonardo adagia le fette di spada in tanti bauletti di pasta brisée, decorandoli con l’impasto di verdure e briciole di buccia d’arancia. È estremamente concentrato, sicuro dei propri gesti, la mascella contratta, le vene in evidenza sulle tempie. Plasma e trasforma la materia con mani d’artista, la sua è a tutti gli effetti un’arte, le sue creazioni sono piccoli capolavori da ammirare e, non ho dubbi, da gustare. Leonardo seduce con il cibo e ne è consapevole, lo usa per ammaliare i sensi e la mente. Per un istante incontro i suoi occhi scuri e ho l’impressione che mi rivolga un impercettibile sorriso. Non so se è solo la mia immaginazione, ma un brivido di piacere mi solletica la nuca. La musica è ora sul crescendo finale. Leonardo adagia su un tagliere degli scampi battuti a crudo, poi alcuni filetti sottili di ricciola. Lavora la polpa del pesce come se 188/564 avesse un fluido tra le mani, fino a formare tanti piccoli cuori divisi a metà. Infine cosparge le rotondità con fiori di zagara, pepe e semi di sesamo. Tutto viene poi disposto scenograficamente su tre eleganti piatti da portata, mentre sull’ultima nota di violino Leonardo rivolge un sorriso appena abbozzato al pubblico. Parte subito l’applauso, potente e prolungato. Leonardo ci ha conquistati. Tutti. Finita la performance, la gente si disperde nel giardino, dove la cena viene servita sui tavoli da buffet. Insieme a Gaia seguo la massa, avventurandomi alla ricerca di qualche prelibatezza tra finger food dalle forme e colori più vari. Davanti ai nostri occhi un trionfo di stravaganti, geniali pietanze in miniatura, destinate a essere prese con due dita e gustate in un solo boccone. Penso al tempo che ci è voluto a prepararle e a quanto velocemente verranno consumate. In fondo è 189/564 solo questo che le differenzia da un’opera d’arte: sono il frutto di una mente creativa e del lavoro sapiente delle mani, ma non sono fatte per durare. «Leonardo è stato magnifico» commenta Gaia, addentando un filetto di salmone in mantello di cozze. «Incredibile… Hai fatto bene a trascinarmi qui» rispondo, «non avrei mai immaginato uno spettacolo così.» Passo in rassegna gli assaggi, ma mi rendo conto che, per quanto deliziosi a vedersi, sono un affronto al mio credo vegetariano. Cicale di mare ripiene di salmone marinato, ostriche su gelatina di spumante con salsa allo zenzero, crostini di pane con foie gras e petto di piccione. Belli, stupendi, forse buoni, ma non per me. Mi limito ad assaggiare le uniche due proposte vegetariane: una cialda di parmigiano con radicchio e castagne, e poi le coste di sedano verde con robiola, pere e noci. Comunque, come mi 190/564 succede quando non sono troppo a mio agio, non ho molta fame. E poi la performance di Leonardo mi ha lasciata, non so perché, con lo stomaco stretto. Gaia mi prende per un braccio e mi chiede: «È quello laggiù Brandolini?». Lo individuo accanto a due bionde che si spendono in sorrisetti licenziosi e occhiate feline. «Sì, è lui. Sempre accerchiato da donne, il conte.» «Però… non è male» commenta Gaia. La guardo per controllare se è seria. Lo è. «Ha qualcosa di particolare, si vede che ha classe. Un altro che mi avresti dovuto presentare… ma se aspetto te…» Lo osservo cercando di capire cosa ci possa vedere in lui, ma mi rendo conto che non sono obiettiva: Brandolini è il mio datore di lavoro e, rigida come sono io in queste cose, non riesco a considerarlo sotto altri punti di vista. All’improvviso alle sue spalle compare 191/564 Leonardo. Si è tolto la fascia di seta dalla fronte e al posto della divisa da chef indossa una delle sue camicie di lino stropicciato, bianca. Jacopo gli stringe la mano e gli dà un’amichevole pacca sulla spalla, complimentandosi. «Ci ha viste?» domanda Gaia, piazzandosi davanti a me e dandogli la schiena. Lo sbircio da sopra la sua spalla mentre parla con il conte e il suo harem. «Non mi pare.» «Che dici, andiamo a salutarli?» «Aspettiamo che si liberi, magari.» Gaia beve impaziente dal calice. «Mica vogliamo farci rovinare la piazza da quelle due…» «Aspetta, le hanno salutate, stanno venendo verso di noi» bisbiglio. Leonardo avanza nella nostra direzione, precedendo Brandolini. Saluta prima Gaia – 192/564 lei si volta fingendo sorpresa, è ufficialmente il mio mito – poi viene da me e mi bacia sulle guance. È la prima volta che succede, registro il ruvido della sua barba rossiccia e il tocco fuggevole delle dita su un fianco. «Complimenti, è stata un’inaugurazione spettacolare» dico al conte stringendogli la mano. «Tutto merito del grande chef.» Brandolini fa un sorriso soddisfatto indicando Leonardo, poi punta lo sguardo su Gaia, squadrandola dalla testa ai piedi. Leonardo interviene tempestivo: «Lei è Gaia, la nostra pr» e mi toglie così dall’impiccio di una nuova presentazione. «Piacere, Jacopo» il conte le dà la mano e abbozza una specie d’inchino. «Piacere» ammicca Gaia. «Quindi ti occupi di eventi…» dice Brandolini, palesando un vivo interesse. Non 193/564 capisco perché a Gaia dia subito del tu e a me continui a dare del lei. «Sì, io e la mia socia abbiamo un’agenzia. È cominciata un po’ per gioco ma poi è diventato un vero e proprio lavoro.» Gaia domina la scena sicura. «Sono certo che lei potrebbe esserti di grande aiuto, Jacopo» interviene Leonardo. «Perché non le racconti dei tuoi progetti per promuovere il locale?» Il conte coglie la palla al balzo e si mette a parlare fitto con Gaia, che sembra piuttosto gratificata dalle sue attenzioni, anche se continua a lanciare occhiate in direzione di Leonardo. Lui intanto mi si avvicina e mi avvolge con lo sguardo. «Sei molto bella stasera» dice con voce morbida. «Grazie» mi limito a rispondere, cercando di capire se è sincero o se è pura cavalleria. 194/564 «Anche se» si accarezza il mento, «devo dire che la tuta da lavoro ti dona altrettanto.» «Oddio, non direi proprio…» «Credimi. Non sono esattamente il tipo di uomo dal complimento facile.» Gli credo, una spolveratina all’ego non fa mai male. Per un momento dimentico perfino i piedi doloranti e cerco di darmi un tono raddrizzando la schiena e aprendo le spalle. La conversazione tra Gaia e Jacopo intanto si è fatta sempre più vivace, i due ridono e si scambiano sguardi d’intesa. Sembra si conoscano da una vita. A un tratto, però, un cameriere si avvicina a Brandolini e gli sussurra qualcosa all’orecchio, lui si volta prontamente verso Leonardo e lo afferra per un braccio. «Leo, dobbiamo andare. Ci aspettano i Zanin per discutere dei vini.» 195/564 Ecco, il mio momento di gloria è già finito. Mi sgonfio come un palloncino bucato. «Ragazze, sono mortificato» si scusa il conte, «ma il dovere chiama. Però ci vediamo sicuramente più tardi» e un’occhiata eloquente si posa sulla scollatura di Gaia. Dopo che se ne sono andati, Gaia mi tempesta di domande su Leonardo. Vuole sapere per filo e per segno cosa ci siamo detti. «Ci stava provando con te?» mi domanda alla fine. Ecco dove voleva arrivare. «Non dire scemenze.» «Ele, ti mangiava con gli occhi!» «Figurati!» «Tranquilla, non ci resto mica male… Primo, non sono una tipa gelosa, secondo, posso sempre consolarmi con il conte» e mi fa l’occhiolino. «Come sei magnanima.» 196/564 «Per un’amica questo e altro» sorride, sorniona. «Comunque Jacopo è davvero un bel tipo, mi piace.» Se lo dice lei… Ma davvero Leonardo potrebbe essere interessato a me? Se l’ha notato anche Gaia, forse… No, probabilmente l’ha detto solo per incoraggiarmi. «Ele, hai il rossetto un po’ sbavato.» «Vado in bagno a rimetterlo, mi accompagni?» «No, ti aspetto seduta qui» si accomoda su una poltroncina sotto il gazebo. «Mi gira un po’ la testa, mi sa che ho esagerato con lo champagne.» «Sicura che non ti serve aiuto?» «Sicura, vai» e mi spedisce via con uno spintone. «Ok, però tu non ti muovere.» 197/564 «Tranquilla, non ne avrei la forza» sorride lasciando scivolare le braccia lungo i poggioli. Quando torno dal bagno, ovviamente Gaia è sparita. La cerco tra la folla, in giardino, in mezzo ai tavoli, poi dentro, persino al piano superiore, ma niente… sembra essersi volatilizzata. Alla fine torno in giardino e mi rassegno ad aspettare. Prima o poi dovrà passare di qua, mi dico. Dopo qualche minuto, mi siedo, estraggo l’iPhone dalla pochette e le invio un sms minatorio. Poi provo a chiamarla, ma il suo telefono è spento. Chissà dove si sarà cacciata! E con chi, soprattutto… Mentre continuo a cercarla con lo sguardo, Leonardo all’improvviso si materializza. Si siede accanto a me e mi guarda con occhio indagatore. «Allora, ti è piaciuta la serata?» 198/564 «Sì, moltissimo.» Mi tiro giù il vestito cercando di convincerlo a fare il proprio dovere: coprirmi. «Hai mangiato?» «Be’, qualcosa…» «Qualcosa?» Fa una faccia scandalizzata. «Mmm… è che sono vegetariana. Da anni.» «Ah.» Sorride. Cosa ci sarà di così divertente nel fatto che sono vegetariana? Cerco di deviare il discorso. «Mi è piaciuto lo spettacolo, sai? Le tue creazioni sembrano opere d’arte. Così belle che quasi dispiace mangiarle.» Lui piega la testa di lato. «E chi l’ha detto che una cosa bella non può essere mangiata?» butta lì guardandomi con occhi strani, che nascondono qualcosa: «Più una cosa è bella e più mi viene voglia di mangiarla…». 199/564 Perché ho l’impressione che si riferisca a me? All’improvviso mi prende una mano e si alza. «Vieni, voglio farti assaggiare qualcosa di speciale» dice mentre mi trascina qualche metro più in là, vicino a un tavolo su cui sono appoggiate diverse varietà di rum e cioccolato. «Queste le ho appena fatte.» Leonardo afferra da un vassoio una pralina di cioccolato finemente incisa con motivi floreali, sembra un piccolo gioiello. La avvicina alla mia bocca. «Avanti» mi esorta, con uno sguardo che uccide. Apro la bocca, sento il cioccolato spezzarsi sotto i denti e liberare una dolce crema dalle note agrumate. Trattengo con la lingua quel gusto meraviglioso, che sprigiona una voluttà così intensa da risuonare in ogni parte del corpo. 200/564 «È buonissimo.» Guardo Leonardo completamente disarmata. Credo che sul viso mi sia rimasta un’espressione da stordimento postorgasmo e mi auguro che non sia troppo evidente. «Ci ho messo qualcosa che ormai dovresti conoscere bene» mi confida lui con un sorriso malizioso. Spalanco gli occhi per la sorpresa, credo di capire che cosa intenda. «Eh, già… succo di melograno. Mescolato a estratto di arancia e fiori di zagara» e mi passa il pollice sul labbro superiore, probabilmente per togliere un residuo di cioccolato. Oddio, mi sa che ha ragione Gaia, ci sta provando. All’improvviso mi ricordo di lei e per smorzare la tensione frugo nella pochette alla ricerca del cellulare. Cerco di chiamarla, ma ha ancora il telefono spento. Leonardo mi guarda accondiscendente. «Se stai cercando Gaia, l’ho vista andare via 201/564 con Jacopo» mi avverte. «E non credo che tornerà» aggiunge divertito. «Quindi mi ha lasciata qui da sola?» «Non sei da sola, sei con me» mi corregge corrugando le sopracciglia. Se voleva tranquillizzarmi non c’è riuscito. Una parte di me è lusingata dal suo interesse, ma l’altra, terrorizzata, vorrebbe fuggire all’istante. «Comunque, si è fatto davvero tardi» osservo con un sorrisetto nervoso, «è meglio che vada.» «Ti accompagno per un pezzo.» «Non serve, avrai sicuramente da fare.» «Possono sopravvivere anche senza di me» liquida la questione con un gesto della mano. «E poi ho proprio voglia di fare una passeggiata.» Ha negli occhi la soddisfazione di un predatore che stringe tra i denti la sua vittima. Non ho scampo. 202/564 Percorriamo un lungo tratto di strada in silenzio, inoltrandoci per calli che conosco a memoria, in cui mi muovo con la sicurezza di un gatto nonostante il buio. I piedi mi fanno male, ma cerco di non darlo a vedere imponendomi un’andatura dignitosa. La strada è deserta e dai canali risale un vapore denso che invade le narici e si insinua sotto pelle fino alle ossa. Poi, a un tratto, come se qualcuno avesse finito di costruirla in quell’attimo, ci troviamo di fronte alla basilica dei Frari. «Lì dentro è conservato il dipinto di Tiziano che mi piace di più» dico, giusto per riempire un silenzio che mi mette a disagio, indicando la chiesa con un cenno del mento. «Ogni tanto mi rifugio qui a guardarlo… non so perché ma sono convinta che mi possa ispirare.» «Dài, entriamo, sono curioso» propone lui. 203/564 «Figurati, non si può. È chiusa di notte.» «Non penso sia un problema.» Nella sua voce non c’è ombra di esitazione. In un secondo Leonardo individua una porta secondaria che conduce alla sagrestia e, senza troppo sforzo, la apre. S’intrufola dentro prendendomi per mano e trascinandomi dietro di sé. Perché non riesco a dirgli mai di no? Ho paura, potrebbe scattare l’allarme o potremmo essere visti da qualcuno. Insomma, è una cosa proibita. Sono elettrizzata e insieme molto spaventata. Dalla sagrestia sbuchiamo nella navata laterale e raggiungiamo l’altare centrale, dove è posizionata la pala dell’Assunta. Dentro è completamente buio, ma l’illuminazione sopra la tela è rimasta accesa, insieme a una telecamera di sicurezza – almeno così mi sembra. Perfetto! Verrò arrestata per violazione di spazi consacrati. 204/564 «Ecco, il dipinto è questo» gli dico cercando di non pensarci. «È enorme. Non me lo aspettavo così grande.» «Sì, è alto quasi sette metri.» «È potente, c’è molto rosso» commenta Leonardo con sguardo ammirato. «Tiziano all’epoca aveva fatto un azzardo» annuisco. «Nessuno aveva mai vestito di rosso Maria che sale in cielo.» «È il motivo per cui ti piace così tanto?» «Non solo… è la tensione verticale che lo attraversa tutto, dal basso verso l’alto» gli spiego mimando l’andamento del quadro con le mani. «Vedi quell’apostolo di spalle, che tende le braccia verso la Madonna? Sembra che la stia scagliando in aria e che dia il via al suo moto ascensionale verso il cielo.» «Quindi è questo che ci vedi.» «Sì.» 205/564 Siamo spalla contro spalla e il contatto con lui mi provoca uno sciame di brividi. Incontro i suoi occhi per un istante, ma mi volto subito verso la pala e continuo a parlare. «C’è un dettaglio interessante. Se noti, il volto della Vergine non è del tutto illuminato e ciò significa che non è ancora ascesa all’Empireo: l’ombra è un richiamo al mondo terreno, a cui la Madonna rimarrà legata finché non avrà completato la sua salita.» Leonardo annuisce e continua a osservare il dipinto in silenzio. Forse gli interessa davvero quello che sto dicendo… Mi piacerebbe sapere cosa gli sta passando per la testa – perché è evidente che qualcosa sta pensando – ma non oso chiedere. «Adesso però andiamo» lo imploro, «prima che arrivi qualcuno ad arrestarci.» Una volta fuori, riprendiamo a camminare. Sono io a dettare il passo e la direzione, 206/564 Leonardo mi scorta fiducioso e paziente come se non avesse nient’altro da fare. All’improvviso mi rendo conto che è rimasto un po’ indietro; mi volto e lo vedo appoggiato al parapetto di un ponte. Sta guardando una gondola, piena di luci colorate. Lo raggiungo. Mi accorgo solo adesso che non stava guardando la gondola: i suoi occhi sono attratti dall’acqua. «Chissà cosa c’è là sotto, ci hai mai pensato?» mi chiede. Guardo in basso anch’io e mi rendo conto che in effetti non me lo ero mai domandato. «Questa città è talmente impegnata a stare a galla che uno non si preoccupa mai di cosa ci sia, nel suo cuore profondo» rifletto a voce alta. Tace per qualche istante che mi sembra lunghissimo, poi si gira verso di me e mi domanda, in un sussurro: «Non ti piacerebbe scoprire cosa si nasconde al fondo 207/564 di ogni cosa?». Adesso mi sta fissando con i suoi occhi scuri, penetranti. Una luce ferina gli attraversa lo sguardo, ma è solo un attimo e poi, con un sorriso gentile, si stacca dalla balaustra e si rimette a camminare. Lo seguo un po’ turbata. La vicinanza di quest’uomo, il modo in cui mi parla e mi tocca, il suo profumo inebriante, tutto di lui mi mette una strana agitazione addosso. Siamo quasi arrivati a casa e già mi preparo al momento in cui dovremo salutarci. Proverà a baciarmi? L’immagine di Filippo mi rimbalza come una pallina di gomma nella testa, ma subito scompare, è come se non riuscissi a trattenerla. Poi mi dico che sto correndo troppo con la fantasia. Forse Leonardo sta con quella, la diva del motoscafo, forse stasera aveva solamente voglia di farsi una camminata e non ha nessuna intenzione di baciarmi. Ma a essere sincera con me stessa, questa seconda ipotesi mi lascia un po’ delusa. 208/564 «La violinista è la tua fidanzata?» mi sfugge di punto in bianco. Quasi non mi rendo conto di averlo detto a voce alta. Leonardo mi guarda e fa un mezzo sorriso. «No, Elena… non sono uno da fidanzate.» «Ah, capisco.» In realtà non capisco un bel niente. Cosa significa che non è “uno da fidanzate”? Che vuole stare solo? Che non è fatto per la vita di coppia? Per un attimo m’illudo che mi dia qualche indizio per decifrare questa frase un po’ criptica, ma rimane in silenzio. E io mi guardo bene dal rivolgergli altre domande. Ho osato fin troppo. Finalmente siamo sotto il portone di casa. «Grazie, sono arrivata.» «Di niente. Accompagnarti a casa sta diventando una piacevole abitudine» dice con voce calda e musicale. «Allora, ciao» mi avvicino di un passo. Leonardo mi posa una mano sul viso intrecciandosi una mia ciocca di capelli intorno 209/564 a un dito. Sento il respiro spezzarsi. Sta puntando i suoi occhi nei miei e con un po’ di coraggio sostengo il suo sguardo. Poi la mia attenzione precipita sulle sue labbra. Ho voglia di sentirle sulle mie. Ma lui abbassa le palpebre, sorride in quel suo modo obliquo e lascia scivolare la mano sulla mia spalla. «Ciao, Elena, è stata davvero una bella serata.» Mi sfiora la fronte con un bacio leggero e arretra di qualche passo, poi si volta e si allontana affondando le mani nelle tasche della giacca. Resto a guardarlo stordita, neanche avessi preso uno schiaffo. Salgo le scale di corsa. Mi precipito in casa, mi strappo il vestito di dosso e lo scaravento sul pavimento. Mi infilo una maglietta a caso e senza nemmeno struccarmi mi rifugio a letto. 210/564 La mia mente inizia a girare a vuoto e i miei occhi contemplano il soffitto. Che stupida sono stata a pensare che uno come Leonardo potesse interessarsi a una come me. Sei una povera illusa, Elena! Eppure non riesco a togliermi dalla testa certi suoi sguardi, quel dito sulla bocca e quella mano che affonda tra i capelli… Basta, Elena, dormi. Altrimenti domani non ti alzi e l’affresco non lo finisci più. Afferro l’iPod sul comodino e mi infilo le cuffiette. È venuto il momento della musica tibetana. A mali estremi… Di solito mi fa piombare nel sonno più profondo. ’Notte, Elena. E smettila di pensare. 7 Stanotte ho dormito profondamente, come non mi succedeva da tempo. Sarà stata la nenia tibetana o la stanchezza accumulata nei giorni scorsi, fatto sta che sono piombata in uno stato di semicoma e mi sono risvegliata stamattina come se avessi viaggiato nel tempo. Appena ho aperto gli occhi, però, i pensieri si sono ripresentati puntualissimi all’appello, esattamente dal punto in cui avevano smesso di tormentarmi ieri sera: Leonardo mi è precipitato addosso con tutto il suo carico di seduzione e inafferrabilità. Con grande 212/564 autocontrollo mi sono imposta di liberarmi di lui e di recuperare un minimo di lucidità. Ora, mentre sono al lavoro, riguardando i fatti a mente serena – si fa per dire – mi rendo conto che ieri sera mi sono lasciata suggestionare e trasportare come al solito dalle mie fantasie: Leonardo mi ha solo trattata in modo molto galante. Che poi mi abbia sedotta, anche senza volerlo, è tutta un’altra storia. Una storia che devo togliermi subito dalla testa. Quando passerà di qui, lo saluterò come tutte le mattine, come se quella passeggiata notturna non ci fosse mai stata e io non avessi provato nessuna delle emozioni che purtroppo non riesco a impedirmi di rivivere. Anche ora. Dovrò fare uno sforzo immenso – sono o non sono una campionessa di autocontrollo? – ma Leonardo non se ne accorgerà nemmeno perché lui, al contrario di me, non ci sta di certo pensando. E adesso, Elena, concentrati sul tuo lavoro. 213/564 Poso a terra gli attrezzi e guadagno il centro dell’androne, a circa due metri di distanza dall’affresco. Ogni tanto devo fermarmi a controllare da lontano la resa dei colori, per capire se sto andando nella direzione giusta. Punto lo sguardo sullo sfondo, poi lo focalizzo sul melograno che, visto da qui, sembra quasi tridimensionale. È venuto bene, sono fiera di me. Faccio due piccoli passi indietro e urto contro qualcosa. Non faccio in tempo a girarmi che due mani potenti mi cingono da dietro. Leonardo! Un inconfondibile profumo d’ambra mi riempie le narici mentre il mio corpo aderisce al suo, imprigionato in una dolce morsa. Senza dire una parola, mi affonda il naso tra i capelli e annusa il mio odore, poi si china in avanti e mi deposita un bacio profondo sul collo. Il contatto ruvido della sua barba mi solletica il viso e uno sciame di brividi caldi si propaga sulla mia pelle, il 214/564 ventre s’infiamma per l’inatteso ed eccitante tocco delle sue labbra. Sono stordita: non avevo nemmeno il coraggio di sperarlo e invece lui mi vuole. Eccolo qui, è venuto a prendermi. Mi scioglie la bandana sulla nuca, scagliandola a terra con un gesto violento. Poi mi afferra con forza i capelli e sussurra all’orecchio il mio nome. «Elena…» La sua voce è intensa. Mi sento avvampare e non ho la forza per dire nulla. Sento che tutte le mie fantasie più inconfessabili stanno per prendere corpo. Ma lo voglio davvero? «Abbiamo un problema…» Le sue labbra premono sul mio orecchio. Lo voglio… Mi accarezza la guancia, sfiorandomi con le dita fino al mento, poi lascia scivolare la mano sulla zip della mia tuta, aprendola fino all’altezza dei seni. 215/564 Il mio respiro accelera, insieme al battito del cuore. «Un problema serio…» continua con voce sempre più calda e sensuale. «Io ti voglio.» Mi gira di scatto, come fossi una bambola incapace di opporre resistenza. Silenziosa lo assecondo, ma non appena incrocio i suoi occhi abbasso lo sguardo. Mi afferra il mento con due dita, sollevandolo verso di sé. Poi mi prende il viso, stretto tra le mani, e affonda la lingua nella mia bocca. Sta baciando me. Ora. Non è possibile. Nessuno mi ha mai conquistata così. La forza, la violenza di questo bacio mi fanno girare la testa. Sto per perdere il controllo, lo sento. Senza abbandonare le mie labbra, con un rapido gesto fa scendere tutta la zip e mi libera dalla salopette, che atterra tra tempere, spugne e pennelli. Ho solo un secondo per realizzarlo, ma è già troppo tardi, e poi mi 216/564 ritrovo anch’io stesa su quel pavimento sporco di polvere e intonaco, in mezzo agli attrezzi da lavoro gettati alla rinfusa. Sembra un sogno, ma è tutto reale: il freddo delle piastrelle, il calore del mio corpo e del suo, e non c’è altro che io desideri in questo momento. Prima che possa rendermene conto, Leonardo è a cavalcioni su di me. Mi afferra entrambe le mani con una delle sue e mi blocca i polsi sopra la testa con le dita, come a impedirmi ogni tentativo di fuga. Nel farlo urta alcune coppette di tempera e un fiotto di colore si rovescia a terra. Rosso porpora sul pavimento, sulle sue mani, sul mio braccio pallido. Lo sento scorrere sotto di me, lungo un fianco. Faccio per alzarmi, non sopporto questa sensazione di sporco addosso, ma lui mi spinge giù con uno strattone. «Cosa vorresti fare, Elena?» mi sussurra. «Mi piace da morire questo colore» e mentre lo dice, con le dita macchiate di tempera, mi 217/564 accarezza tutta, dalla testa al ventre, lasciando tracce sanguigne sulla mia faccia e sulla maglietta bianca. Sono in suo potere e una paura e un desiderio folli mi martellano il cuore. Mentre mi bacia, ho una visione lucida di tutto: di me, di lui, di questo palazzo vuoto, e di quello che stiamo per fare. Esitante, stacco le mie labbra dalle sue. «Potrebbe entrare qualcuno…» mormoro con un filo di voce. «Shhh. Non pensare a niente.» Leonardo mi trapassa con lo sguardo e mi chiude la bocca con un dito. È convinto dei suoi gesti. La sua sicurezza mi eccita. Mi strappa via i jeans e la T-shirt. I suoi occhi mi stanno addosso, avidi. La sua lingua è di nuovo dentro la mia bocca, sfacciata. Ho voglia di lui e incomincio a spogliarlo, con una disinvoltura che non so spiegarmi, che non è mia: gli sbottono piano la camicia e gli 218/564 slaccio la cintura in cuoio. Sotto è completamente nudo, non porta i boxer. Nudo ed eccitato, pronto a entrare dentro di me. Si china fra le mie gambe, allargandole appena con le mani. Le bacia, insaziabile, e con la lingua sale lentamente lungo l’interno delle cosce, fino ad afferrarmi con i denti gli slip di pizzo nero che, guidati dalle sue mani, finiscono a terra vorticando. Meno male che stamattina non ho messo le mie solite mutandine di cotone da palestra… La sua lingua è sempre più vicina, scivola dentro di me e io sono già bagnata, mi apro piano al tocco delle sue mani. «Sai di buono, come immaginavo. Lasciati mangiare…» Con la lingua fruga, esplora, e io non riesco a trattenere alcuni gemiti di puro piacere. «Brava, Elena, così…» La sua voce è gonfia di desiderio. 219/564 Gli sollevo la testa tirandolo piano per i capelli, mentre lui finisce di spogliarsi, liberandosi dei pantaloni che in un istante sono accanto alla mia tuta. Allargo ancora le cosce, lasciandogli premere il suo sesso duro e liscio contro le mie labbra turgide. Non so più chi sono. Ho paura e allo stesso tempo non vorrei mai che Leonardo smettesse di fare quello che sta facendo. Ha la fronte corrugata, i muscoli tesi, un’energia prepotente da liberare tutta dentro di me. Mi penetra con una sola spinta violenta. Resta immobile, abbassa gli occhi e incontra i miei, offuscati di desiderio, narcotizzati. «Elena…» mi sussurra, mordendomi un orecchio. «Ti sento. È quello che vuoi anche tu.» Chiudo gli occhi e sospiro: «Sì, lo voglio». La mia voce è rotta dall’eccitazione. Comincia a muoversi piano dentro di me, quasi avesse paura di rompermi, con una 220/564 lentezza che mi devasta. Poi una spinta più energica, più profonda, che mi riempie. Stringo i denti e gemo. Leonardo accelera, ma solo un po’, e il mio respiro si fa corto, il mio petto si alza e si abbassa convulsamente, mentre le mie gambe si stringono a lui in uno spasmo. Aumenta ancora il ritmo del bacino, continuando a baciarmi il collo. Mi sta mangiando. «Godi, Elena.» E questa volta suona come un ordine. Ma non ce n’è bisogno… Sento il suo peso su di me, con le mani mi tiene i polsi bloccati. Mi ha fatto sua prigioniera, una prigioniera che non ha nessuna intenzione di fuggire. Mi manca il fiato, il sangue scorre impazzito nelle vene e affluisce tutto tra le gambe. Un piacere insidioso e inarrestabile ha preso vita nel mio ventre, poi esplode fulmineo diffondendosi ovunque. Per un lungo momento ogni molecola del mio corpo si trasforma in puro orgasmo. Un grido mi esce 221/564 spontaneo e incontrollato e a mala pena riesco a soffocarlo. Perché ora quel grido sono io. Anche se continuo a non riconoscermi. Sono sconvolta, stupita di me: non pensavo di poter godere così tanto. Leonardo viene a sua volta, con un gemito quasi animale vicino al mio orecchio, sul volto ha un mezzo sorriso. È ancora più bello, così. Ed è per me che sta godendo. Restiamo abbandonati uno dentro l’altra per un tempo che non riesco a quantificare. Occhi contro occhi. Bocca contro bocca. Pelle contro pelle. Ci respiriamo. È un suono vivo, sanguigno. Un suono che in me libera fiumi di emozione. «Non ti muovere» mi ordina poi, sottovoce. Si stacca da me, si distende al mio fianco e mi bacia, prima sul petto, poi sulla fronte, poi sulla bocca. Quindi mi passa il braccio sotto la testa. Nudi, rimaniamo stretti per un 222/564 po’, incuranti del pavimento freddo, della polvere, delle tempere sparse a terra. Ho la guancia appoggiata sul suo petto. Mentre respira, il mio viso si alza e si abbassa sul suo torace. Un senso di totale appagamento e insieme di smarrimento si contendono il mio cuore, la mia mente. Faccio fatica a ritrovarmi. Dove sono, chi sono? Di chi sono? L’Elena di solo un’ora fa adesso mi sembra lontanissima, irreale. A un tratto sento un soffio leggero sul collo. «No, ti prego» mugugno, «così mi fai venire i brividi, ho freddo» e mi chiudo su me stessa come un riccio. Leonardo ride, mi abbraccia da dietro, avvolgendomi tutta e riparandomi con il suo calore. «Vogliamo salire in camera mia?» Sì. No. 223/564 Non so nemmeno io cosa voglio adesso. Sono troppo scombussolata per formulare qualsiasi ragionamento. Poi mi viene in mente l’ultima volta che ho fatto del sesso: con Filippo. E quasi mi sembra che le due esperienze non abbiano nulla in comune. O forse sono io che ho perso completamente la lucidità e ho bisogno di restare sola per metabolizzare quello che è successo. «Meglio se torno a casa» mi precipito a dire. Mi sollevo a fatica, la testa gira un po’, ma riesco lo stesso a mettermi in piedi. Recupero la T-shirt impiastricciata e la infilo senza reggiseno, trovo gli slip incastrati tra una coppetta vuota e un flacone di solvente e metto anche quelli. Leonardo si alza dopo di me. In piedi, nudo, è ancora più imponente. Ha le spalle larghe e i fianchi stretti, le natiche sode, i muscoli delle gambe lunghi e possenti. E gli occhi neri che ridono: le rughette d’espressione ai lati addolciscono il suo sguardo 224/564 virile, che trasuda ancora voglia. Resto ad ammirarlo, rapita da quella fisicità così prorompente e, mentre indossa i pantaloni, noto un tatuaggio tra le sue scapole. È un simbolo strano, una specie di carattere gotico che non riesco bene a decifrare. Ha la forma di un’ancora, ma potrebbero benissimo essere delle lettere intrecciate tra loro, legate da una corda. Sa di mare e ha un aspetto quasi antico. E come tutto quello che riguarda Leonardo, ha un che di tragico e segreto. Sono quasi tentata di chiedergli che significato abbia, ma quando lui si volta verso di me, non ne ho il coraggio. Si avvicina infilandosi la camicia che lascia aperta sul petto e mi sfiora un braccio. «Ehi, va tutto bene?» «Sì» dico, un po’ imbarazzata. Il pensiero vola alla nostra passeggiata dopo l’inaugurazione, lui che per tutta la sera non mi stacca gli occhi di dosso, mi accompagna fino 225/564 a casa, e poi mi lascia così, con il sapore amaro della delusione in bocca. «Perché non hai provato a baciarmi, ieri sera?» gli domando. «Perché era quello che ti aspettavi» replica afferrandomi i fianchi e premendo il mio corpo contro il suo. «Certe cose te le godi di più quando sei impreparato.» Ha ragione lui. Ieri sera ero sovraccarica di ansie e aspettative e forse non mi sarei lasciata andare fino in fondo. Dunque Leonardo intuisce perfettamente i miei stati d’animo e si diverte a manipolare i miei desideri. Non so come questo mi faccia sentire, di certo non è rassicurante. Avverto il bisogno di allontanarmi per un po’ e di mettermi al riparo dal suo sguardo così penetrante. Mi libero con dolcezza da quell’abbraccio. «Già… Io adesso… vado.» 226/564 Finisco di raccogliere i miei vestiti e, dopo essermi sistemata alla meglio, mi affretto a uscire, portandomi dietro un rebus insolubile di domande senza risposta. Ho passato la giornata in uno stato quasi di trance. Per tutto il tempo mi sono mossa dentro casa come un automa, cercando di impegnarmi in cose pratiche ma con il pensiero che correva continuamente a Leonardo. Di tanto in tanto le emozioni provate con lui poche ore prima prendevano di nuovo corpo, formando piccole spirali dentro la pancia. E stringendomi lo stomaco senza pietà. Sono le nove di sera, adesso. Ho appena finito di mangiare quei quattro chicchi di riso basmati che mi sono preparata con meticoloso zelo, nel vano tentativo di distrarmi. Accendo l’iPhone, che avevo lasciato spento di proposito. Volevo stare da sola a riordinare i pensieri, senza nessuna interferenza esterna. Il display s’illumina, vibra una volta, poi 227/564 un’altra e un’altra ancora, lampeggiando a intermittenza. Tre sms, tutti di Filippo. Bibi, come va? Perché non rispondi? Non preoccupare… Ci sentiamo su skype stasera? farmi Sento una specie di fuoco sul viso e una fitta potente allo stomaco. Quel po’ di riso che ho mangiato diventa improvvisamente piombo. Sono stata tra le nuvole fino a ora ed ecco che i messaggi di Filippo mi riportano alla realtà. “Scusa, ma non ho potuto risponderti perché ero impegnata a fare l’amore con un altro”: se fossi onesta fino in fondo è quello che dovrei scrivergli. Ma evidentemente – e non posso fare a meno di stupirmi di questo – non lo sono. Con un po’ di apprensione mi siedo sul divano e accendo il notebook. Filippo è in linea, mi ha già inviato un messaggio su skype. Non amo molto le videochiamate, ma è 228/564 l’unico mezzo che abbiamo per vederci e, dopo quello che è successo oggi, non so proprio che effetto mi farà vederlo con questo filtro. Faccio un bel respiro profondo, clicco sul tastino verde e faccio partire la chiamata. Lui risponde immediatamente e me lo vedo comparire davanti, un mezzo busto che non gli rende giustizia: il suo viso è diverso, più scavato, la barba di qualche giorno. Ha un’aria sfatta. «Bibi, dov’eri finita, oggi?» esordisce un po’ preoccupato. «Hai letto i miei messaggi?» La sua voce e il suo volto familiari mi riscaldano immediatamente il cuore. La presenza di Filippo, seppur virtuale, ha il potere di rassicurarmi, mi riporta alla concretezza della mia vita, a certezze che non possono tradirmi. 229/564 «Sì, scusa, mi si era completamente scaricato il cellulare e non avevo con me il caricabatteria. Poi sono tornata a casa tardi.» «Sempre incollata al tuo affresco?» «Eh, già…» deglutisco, soffocando in gola l’imbarazzo. Non sono brava a mentire. «Mi avevi promesso che non ci saresti morta sopra» mi rimprovera. «Però sono felice che ci stai dando dentro, così potrai finire prima del previsto.» «Speriamo.» Stiro le labbra in un sorriso poco convinto. Adesso, alla sensazione di sicurezza si mescola un po’ di disagio. E senso di colpa. Lui mi vede, nonostante la barriera della lontananza, perciò mi sforzo di scacciarli via entrambi. In fondo non ho tradito nessuno e non ho fatto niente di male, mi dico. «E tu, hai lasciato crescere la barba? Stai bene, così!» Effettivamente qualche pelo sul viso gli dona, sembra più vissuto, più sexy 230/564 anche. Perché Filippo è sexy, non devo dimenticarmelo. «Non ci crederai, ma certe mattine non ho neppure il tempo per farmela.» Si passa una mano sulla guancia. «Sono incasinatissimo con il lavoro!» «Renzo Piano ti ha messo sotto?» Sorrido alle sue espressioni buffe. «Guarda, lascia stare… L’ho intravisto una sola volta, durante un sopralluogo al cantiere, e poi non ci ha più degnati della sua presenza.» C’è un momento di silenzio, in cui mi domando che senso abbia questa conversazione. Sto parlando con Filippo come se niente fosse, come se tra noi tutto fosse rimasto uguale e invece da stamattina qualcosa in me è profondamente cambiato. Rilancio con una domanda qualsiasi, cercando di non pensarci. «Allora, come si sta a Roma?» 231/564 «Si sta bene, Bibi, ma manchi tu. Per il resto, sembra sempre primavera.» «Che invidia…» «Sai che hai gli occhi scintillanti stasera?» se ne esce tutto a un tratto. «Sembri più bella del solito.» Oddio, ho la faccia di una che ha appena fatto sesso. Cerco di contenere il rossore che sento salirmi sul viso. «Grazie…» «Lo sai, Bibi? Continuo a pensare alla notte che abbiamo passato insieme…» Ha abbassato un po’ la voce, ora. «Ho una voglia pazzesca di dormire abbracciato a te.» Mi mordo un labbro. «Be’, anche tu mi manchi.» E forse, se fossi rimasto qui, l’amore l’avrei fatto ancora con te e non con Leonardo. Amore… sesso, diciamo. O forse no… chi può saperlo? 232/564 «Vero che ci stai pensando a quel weekend a Roma?» «Sì…» mento, sperando che non se ne accorga. «È che devo ancora organizzarmi.» «Va bene.» Leggo la delusione nei suoi occhi. «Ma non ragionarci troppo…» si raccomanda. Cerco disperatamente di cambiare discorso. «Stasera che fai?» «Mi toccherà finire un disegno di lavoro» sbuffa. «E magari, visto che sono ispirato, poi ne faccio un altro di te. Di come ti ricordo quella notte…» «Ehi, così mi monto la testa, però…» Sorrido, ma sono un fascio di nervi. «Dài, ti lascio lavorare.» «Ok. Ma non facciamo passare un’altra settimana senza sentirci. Poi mi manchi e faccio brutti pensieri…» 233/564 «Ok.» «Bibi…» mi guarda negli occhi, come se mi avesse davvero di fronte «… ti voglio bene.» Poi stampa un bacio sulla webcam. Lascio andare un lungo sospiro. «Anch’io.» Ora non riesco più a sostenere il suo sguardo. La notte è fatta per le preoccupazioni, i tormenti, le inquietudini. Ma al mattino, sotto l’acqua calda della doccia, vedo le cose più chiaramente. Partorisco sempre le mie idee migliori in quei dieci minuti, mentre mi godo il getto bollente che lava via tutti i pensieri. Così, mentre mi insapono i capelli, nelle narici l’odore sensuale dello shampoo all’olio di mandorla, riduco tutto alla scelta più semplice: oggi non andrò al lavoro. Non ho alcuna intenzione di ritrovarmi di fronte Leonardo. Non saprei cosa dirgli e, 234/564 soprattutto, cosa aspettarmi da lui. Peraltro non ci siamo mai scambiati il numero di cellulare – fortunata coincidenza! – quindi non potrà cercarmi e a me non verrà la tentazione di inviargli un messaggio. In qualche modo questo mi fa sentire al sicuro. Ieri è stato bellissimo, impetuoso, non voglio negarlo, sarei ipocrita. Ma è successo tutto così in fretta e inaspettatamente che ancora non riesco a crederci. Fare sesso con lui mi ha precipitata in un baratro di sensazioni nuove e travolgenti e non riesco ancora a venirne fuori. In più, la telefonata con Filippo ha contribuito ad aumentare la mia confusione. Ecco perché stamattina me ne sto a casa e faccio finta di prendermela comoda. Farò le pulizie – ce n’è sempre bisogno, e quindi non è neanche una scusa – e poi andrò al supermercato a fare la spesa, considerato che il frigo è di nuovo vuoto. Così magari mi distraggo un po’. 235/564 All’improvviso suona il citofono. Credo di sapere chi sia. Solo lei tiene premuto il pulsante per dieci secondi netti e ininterrotti. Alzo il ricevitore, preparandomi al peggio. «Gaia?» «Ma quanto ci metti a rispondere?» Mi fora i timpani con una voce stridula. «Posso salire o c’è un uomo nudo nel tuo letto? Oddio, non che questo sia un problema per me…» «Sali. La porta è aperta.» E adesso che faccio? Le racconto tutto o no? Mi sto ancora arrovellando quando vedo Gaia venirmi incontro con la sua inconfondibile falcata felina. «Come mai ancora a casa? Sono passata a cercarti al palazzo…» «Oggi non vado al lavoro.» 236/564 «Ehi, ma stai male?» mi domanda studiandomi la faccia. Decido di lasciarglielo credere, perché mi rendo conto che spiegarle la verità sarebbe davvero faticoso. E adesso non ho le energie. Più che una bugia è un’omissione, mi dico, e questo mette a tacere la mia coscienza. Almeno un po’. «Sarà che deve arrivarmi il ciclo… Ho un po’ di mal di testa» rispondo, e per rendermi più credibile mi butto sul divano, coprendomi le gambe con il plaid di patchwork decorato a margherite e cuori. Me l’ha regalato mia madre lo scorso Natale, dopo averci speso due mesi e mezzo di ago e filo (e qualche diottria) per realizzarlo. È diventata la coperta delle giornate malinconiche e sonnolente. «Stamattina mi sono svegliata già con l’emicrania.» Abbozzo un’espressione sofferta e Gaia si accovaccia ai piedi del divano. 237/564 «Povera la mia amichetta…» Mi accarezza la guancia quasi con compatimento. Forse sto esagerando con questa sceneggiata, mi sto facendo prendere la mano. Aggiusto il tiro: «Però già sto meglio». «Hai preso qualcosa?» «Ma no, non serve. Tra un po’ starò bene, è sempre così.» «Te l’ho detto un miliardo di volte: tu devi staccare ogni tanto» scuote la testa con aria severa, «quell’affresco ti farà diventare matta.» Forse non solo l’affresco… «Comunque io ero passata per darti delle news da urlo.» Gaia assume improvvisamente un’aria maliziosa e si siede accanto a me spostandomi le gambe. «No…» Ho già capito tutto. «Jacopo Brandolini!» 238/564 Annuisce, tutta soddisfatta. «È successo la sera dell’inaugurazione» dice sprizzando felicità. «A proposito, scusa se sono sparita in quel modo. Ma tanto tu mi conosci…» All’improvviso mi ricordo che mi ha piantata nel bel mezzo della serata e metto su una faccina arrabbiata. «Infatti, volevo proprio dirtelo: stronza.» «Lo so, lo so, ma era per una buona causa…» Gaia alza le mani come a difendersi. «E forse Leonardo ci sarà anche rimasto male, ma in qualche modo è stato lui a farci ritrovare…» «Cioè?» «A un certo punto viene da me e mi fa: “C’è il buffet dei dolci, non vai ad assaggiarli?”. Gli spiego che sto aspettando te, ma lui insiste, dice che alcuni vanno assolutamente mangiati caldi.» Gaia sta conquistando tutta la mia attenzione. 239/564 «Alla fine mi decido a dargli retta» continua, «vado al buffet, e lì chi mi trovo? Jacopo in persona, sembrava quasi che mi stesse aspettando. Ci mettiamo a parlare e poi ho perso la cognizione del tempo…» E così Leonardo aveva architettato tutto e ha spinto Gaia nelle braccia di Jacopo per restare da solo con me! L’entusiasmo di questa scoperta mi provoca un brividino involontario di compiacimento. «Insomma: questo Brandolini, com’è?» le domando, riportando subito l’interesse su di lei. «È simpatico, brillante, terribilmente galante. Mi sembra così diverso da altri uomini che ho frequentato… mi piace.» Mio dio, Gaia ha già gli occhi a cuore. «Ma l’avete fatto?» azzardo. «Be’…» Abbassa un secondo lo sguardo, poi lo rialza e un sorriso trionfante le 240/564 illumina il viso. «… sì, ovvio che l’abbiamo fatto! Per chi mi hai presa?» Le sferro un leggero pugno sulla spalla, ridendo. «Mi ha invitata a casa sua. Abita in un palazzo che è una meraviglia, dietro Rialto, con gli affreschi e i soffitti a cassettoni. Mi sembrava di essere in una favola, giuro, una cosa tipo Cenerentola al ballo. Ero anche un po’ in soggezione, e lo sai che non mi capita quasi mai…» La ascolto, incantata dal suo modo di condire i racconti. Almeno sta riuscendo a distrarmi da altri pensieri. «E quindi?» «E quindi mi ha conquistata, non potevo dirgli di no» sospira, «anzi, mi correggo, non volevo dirgli di no.» «Ma come si è comportato?» «Direi strabene…» Dalla sua faccia capisco che Brandolini deve saperci fare. «Non la solita scopata e via. È stato molto dolce, 241/564 premuroso, si preoccupava che stessi bene…» dice con sguardo sognante. Per un momento ripenso alle carezze di Leonardo e di nuovo una piccola scossa mi attraversa la pancia. «Che dici, gli stai dando una seconda possibilità? Vi rivedrete?» «Chiaro, Ele! Mi ha già invitata a cena domani…» È come se la felicità le svolazzasse tutt’intorno e sono sinceramente contenta per lei. «Allora, se ne valeva così tanto la pena, ti perdono per avermi dato buca» le dico in tono solenne. «Vabbè, ma basta parlare di me… E tu cos’hai fatto dopo? Non è che mi stai nascondendo qualcosa?» «Niente, ho preso e sono tornata a casa.» Ma perché sto mentendo alla mia migliore amica? Forse glielo dovrei dire? Da un lato vorrei tanto, ma ho ancora bisogno di 242/564 rimettere in ordine le idee e ho paura che a parlarne con qualcuno, anche con Gaia – che è come una sorella per me – farei ancora più caos. Mi mordo le labbra come per impedirmi di pronunciare il nome di Leonardo. In compenso decido di confessare un’altra piccola verità. «Senti, devo dirti una cosa.» Gaia si raddrizza di colpo. Sembra che all’improvviso le siano spuntate le antenne. «Sentiamo, sono tutta orecchie.» «Riguarda Filippo.» Gaia mi scruta e ha già intuito quello che sto per dire. «Be’… l’abbiamo fatto.» «Alleluja!» esclama, battendo le mani. «Aspetta però, non correre. È successo tutto così in fretta, la sera prima che lui partisse. Non ci siamo fatti promesse e non si sa come andrà a finire…» 243/564 Si mette a saltellare sul divano. «Che t’importa di come andrà a finire! L’importante è che sia cominciata.» Poi si zittisce e mi guarda perplessa. «Ma non sei contenta?» «Sì, però voglio andarci piano. Con Fil potrebbe essere qualcosa di veramente importante, non ho voglia di rovinare la nostra amicizia per niente…» Faccio un respiro profondo. «E comunque, finché lui è a Roma non è il caso di iniziare una storia, su questo siamo d’accordo tutti e due.» «Troppe paranoie, Ele, come tuo solito. Si vede che siete fatti l’uno per l’altra, io l’ho sempre detto.» Abbozzo un sorriso. So che Filippo potrebbe essere la persona giusta, quella con cui costruire un rapporto solido e profondo. Basterebbe solo che io lo volessi. E forse lo volevo, prima che Leonardo arrivasse a scombussolare tutti i miei piani e i miei desideri. Adesso come adesso, non lo so più 244/564 cosa voglio. Ma tutto questo Gaia non può neanche lontanamente immaginarlo. «Nel frattempo vi state sentendo?» «Sì, ci siamo parlati proprio ieri su skype.» «E comunque dài, Ele, Roma non è mica oltreoceano. Io per Belotti mi sono lanciata nelle Fiandre» dice tutta convinta. Gaia si è spesa in viaggi assurdi per quel ciclista che, francamente, non so ancora quale collocazione abbia nella sua vita. «Secondo me dovresti andare a trovarlo e fargli una sorpresa» continua a pungolarmi. «Ci penserò.» «E invece no. Non devi stare tanto a rifletterci» mi bussa leggera sulla testa. «E spegnila questa, qualche volta! È per quello che ti fa male.» Sorrido. A essere sincera, se prima ce l’avevo per finta, adesso il mal di testa mi è venuto davvero. Sono così confusa che vorrei 245/564 solo mettermi a dormire e non pensare più a niente. Gaia si alza dal divano e si mette la borsa a tracolla, segno che è pronta a uscire. Sono quasi sollevata. «Vado. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami.» «Non preoccuparti, sto bene.» «Sì, certo… Lo diresti anche se ti trovassi agonizzante sul pavimento.» Ti prego, non parlare di pavimenti: non riesco a non pensare a Leonardo, a quel rosso ovunque, per terra, sul mio corpo… «Ciao, e chiamami per raccontarmi la cena con Jacopo.» «Certo, ti tengo aggiornata.» E mi lascio stritolare da uno dei suoi uraganici abbracci. Dopo che Gaia se n’è andata, vado a fare quattro passi in direzione del museo Peggy Guggenheim. Sono quasi le due del 246/564 pomeriggio e a quest’ora non c’è molta gente in giro. I turisti stanno affollando i ristoranti e i veneziani di Dorsoduro sono impegnati nell’immancabile appuntamento con la pennichella. Ho voglia di farmi accarezzare dal sole tiepido di ottobre che oggi ha una splendida luce giallo-rosa. Cammino a passo veloce fino a Punta della Dogana e, tornando indietro, faccio una sosta a campiello Barbaro, uno dei luoghi della città che amo di più. È una piazzetta poco conosciuta, lontana dai soliti circuiti. Quando i pensieri mi girano a vuoto nella testa, a volte vengo qui, e succede sempre qualcosa di magico, chissà perché. Mi siedo sull’ultimo gradino del ponte di pietra, dove il sole ha depositato tutto il suo calore, e appoggio la schiena al muretto di mattoni da cui spunta qualche filo d’erba. Da qui sembra tutto più dolce, i raggi vestono i due alberi spogli di tante piccole stelle lucenti. Al centro del campiello c’è un’aiuola 247/564 piena di rose: è incredibile, fioriscono sempre, anche d’inverno. È inutile tentare di negarlo o, peggio ancora, di reprimerlo: cuore e pensieri sono un groviglio inestricabile, in questo momento. Non so letteralmente dove sbattere la testa. Più che pensieri, in realtà, sono immagini di Leonardo, fotogrammi sfocati che mi attraversano la memoria: i suoi occhi misteriosi e quelle sue rughette d’espressione ai lati, le mani forti, il corpo nudo e prepotente sopra il mio. Poi quel suo tatuaggio. E all’improvviso, sono colta da uno strano presentimento: sento che con Leonardo potrei farmi del male, che il prezzo da pagare per partecipare a questo gioco sia la mia dannazione. E Filippo? Che ruolo ha in tutto questo? Anche per lui provo qualcosa di forte, ma profondamente diverso: l’intesa tra noi ha un sapore familiare, conosciuto, è un legame soprattutto intellettuale e affettivo. Il sesso 248/564 con lui è stato tenero e delicato, come può esserlo tra due persone che si conoscono da tempo e si vogliono bene. Con Leonardo, invece, è stato una specie di scontro carnale, dettato solo dal desiderio dei nostri corpi, qualcosa che non mi era mai successo prima. E forse è per questo che non riesco a smettere di pensarci. Distolgo lo sguardo dalle rose e mi soffermo sull’acqua del canale che scorre lenta sotto di me. Ha un colore poco incoraggiante, è torbida, ma mi fa meno impressione del solito. All’improvviso, anche l’idea di rivedere Leonardo mi incute meno timore. La verità è che, nonostante tutto, io lo voglio ancora. E tra mille dubbi è questa l’unica certezza. 8 Oggi è il gran giorno. Rivedrò Leonardo e gli parlerò, gli spiegherò chi sono e cosa voglio da lui. Non è mai successo che fossi io a prendere l’iniziativa con un uomo, non so neanche come si fa, non sono brava come Gaia a farmi avanti e a dichiarare i miei desideri. Però stavolta devo provarci, stavolta è diverso. Ho come l’impressione che avere Leonardo richiederà più coraggio del solito da parte mia. Esco dalla doccia e mi fermo davanti allo specchio. Con una mano elimino un po’ di vapore ed eccomi qua. Sono sempre io. Il 250/564 viso rotondo, gli occhi scuri un po’ arrossati dall’acqua, il caschetto bruno che gocciola sulle spalle. Eppure qualcosa è cambiato. Da ieri un nuovo desiderio si è fatto spazio nel mio mondo, una sorta d’inquilino molesto che sta dando fastidio ai vecchi condomini. Cercherò di fingere che sia una mattina come le altre, mi comporterò come sempre. Devo convincermi che sto semplicemente andando al lavoro, anche se so benissimo che in realtà sto andando da lui. Mi scrollo di dosso tutti i pensieri e finisco di prepararmi per uscire. Mi asciugo i capelli, indosso dei jeans morbidi e un maglioncino di lana sottile, mi butto il trench sulle spalle e prendo il vaporetto fino a Ca’ Rezzonico, compro “la Repubblica” all’edicola del sottoportico, raggiungo il palazzo e salgo le scale. Ogni tappa della mia routine è un passo verso Leonardo. Ma quando arrivo al palazzo, lui non c’è. 251/564 Provo a chiamarlo: nessuna risposta. Per un po’ mi metto ad aspettarlo nell’androne, speranzosa di vederlo sbucare all’improvviso dal bagno con l’asciugamano attorcigliato alla vita, ma niente. Allora mi rassegno a chiedere a Franco in giardino e lui mi risponde di non averlo visto. Evidentemente stamattina è uscito presto. È la prima e sola ipotesi che riesco a formulare. Così eccomi qui in campo San Polo davanti al ristorante di Brandolini, indecisa se entrare. Il cuore dice sì, la testa dice no, in lotta con quell’unico pensiero che mi tormenta da ore: voglio rivederlo. La porta è aperta, è come se mi chiamasse a sé, basterebbe oltrepassarla. E infatti è quello che faccio. «Sbrigatevi a portare dentro quelle sei casse, le voglio qui tra un minuto… E un po’ di attenzione, cazzo! Sono bottiglie di Sassicaia che costano come la macchina che sognate e 252/564 che non avrete mai! Questa è l’ultima volta che facciamo un ordine alla vostra cantina…» La voce di Leonardo. E il tono non è certo incoraggiante. Non capisco bene da dove arrivi: all’interno del ristorante, data l’ora, non c’è ancora nessuno se non qualche cameriere. Uno di loro mi ha notata e già mi viene incontro con un’espressione di cortese rifiuto, “siamo chiusi, torni più tardi” si prepara a dirmi, ma io lo anticipo. «Buongiorno, cercavo Leonardo.» L’occhiata che mi rivolge, per quanto mascherata da una professionalissima discrezione, lascia trapelare una certa curiosità. Voglio solo vederlo e… parlargli, ripeto a me stessa. Venendo fin qui mi sono preparata un bel discorsetto, che ho stampato in testa. «Mi pare sia là fuori» risponde il cameriere, indicando un giardino interno. «Grazie» mormoro, e mi lancio verso la portafinestra che immette nel giardino. 253/564 Leonardo non si accorge subito della mia presenza. È solo, evidentemente i poveri fattorini hanno finito in fretta il loro compito e si sono volatilizzati. Sta parlando al cellulare con qualcuno e, a giudicare dalla faccia corrucciata, non dev’essere una telefonata molto piacevole. All’improvviso riattacca, ma gli rimane per qualche istante sul viso un’espressione grave e pensosa, lo sguardo a terra fisso su un punto indefinito. È la prima volta che lo vedo così accigliato e non saprei dire che cosa possa turbarlo tanto. Nemmeno oserei chiederglielo, dato che non appena mi vede il suo volto torna a essere sorridente come sempre. Mi saluta con naturalezza, come se fosse normale trovarmi qui. «Come mai sei sparita?» mi chiede, avvicinandosi di qualche passo. «Ti avrei chiamata, se solo avessi avuto il tuo numero…» 254/564 «Già, non ce lo siamo mai scambiati» dico guardandomi i piedi. Fatico un po’ a sostenere il magnetismo dei suoi occhi. «Be’, facciamolo adesso.» Ha ancora il cellulare in mano. Tutt’a un tratto ho l’impressione di non ricordare il mio numero. Poi, con uno sforzo sovrumano, lo richiamo alla mente e glielo dico come se dovessi fare lo spelling di una parola complicata. Leonardo lo memorizza e mi fa uno squillo. Fortuna che ho disattivato la suoneria con il verso dell’anatra. «Non hai risposto alla mia domanda» continua, studiandomi. «Come mai non sei venuta al lavoro ieri?» Ecco un ottimo gancio per cominciare il mio sermone. Mi passo una mano tra i capelli e mi schiarisco la voce. Sono pronta. «Avevo bisogno di stare un po’ da sola. Sai, quello che è successo l’altro giorno mi ha un po’ scombinata» dico tutto d’un fiato. 255/564 Leonardo non sembra affatto impressionato. Un sorrisetto strano aleggia sulle sue labbra e una sorta di divertimento perverso accende i suoi occhi. «Per questo volevo parlarti…» ma subito m’interrompo. Il cameriere di prima ci passa accanto, Leonardo gli fa un cenno e lui annuisce. Sta lavorando e forse io gli sto rubando del tempo. «Se sei impegnato, possiamo trovarci in un altro momento» metto le mani avanti. Lui si guarda intorno per un attimo. «Ne ho ancora per una mezz’ora, qui. Devo sistemare alcune questioni.» Poi fa cadere lo sguardo sul cellulare e resta per qualche secondo immobile, come inseguendo un’idea. «Ti va di aspettarmi alla chiesa dei Frari? Ti raggiungo lì verso le undici.» «Va bene» rispondo, anche se la sua proposta mi lascia abbastanza di stucco. Nessuno mi ha mai dato appuntamento davanti 256/564 a una chiesa, tantomeno ai Frari. «Perché proprio lì?» azzardo a chiedergli. «Be’, perché è un bel posto.» Sono seduta da un quarto d’ora su uno scomodo banco di legno in terza fila, nella sontuosa navata centrale della basilica dei Frari. Nell’aria, un profumo d’incenso mescolato al fumo dei ceri votivi. Fuori aveva cominciato a tirare vento forte, così ho deciso di entrare. Spero che nessuno mi noti: me ne sto qui composta e raccolta, ogni tanto guardo verso il portone d’ingresso. Il pensiero che Leonardo debba arrivare a momenti mi gonfia lo stomaco di ansia ed eccitazione. Non vedendomi fuori, capirà da sé che sono dentro, in ogni caso adesso ho il suo numero e posso sempre chiamarlo. Mi guardo intorno e mi sento come un’imbucata a una festa. Tra i banchi c’è qualcuno che prega mentre alcuni visitatori gironzolano silenziosi e discreti, la maggior 257/564 parte si ferma a guardare la magnifica pala dell’Assunta di Tiziano. Con la luce del sole è ancor più bella. I raggi filtrano dalle vetrate disegnando incredibili riflessi sul dipinto e i colori sembrano più vivi che mai. «E così aver fatto sesso con me ti avrebbe scombussolata…» sento sussurrarmi all’orecchio. Leonardo è arrivato e si è seduto al mio fianco. Io mi volto di scatto, con il sangue che ricomincia subito a pulsare. Mi fissa, aspettando che vada avanti dal punto in cui mi sono interrotta. «Sì, è così» ammetto. Poi prendo un respiro profondo. «Forse perché è stato del tutto inaspettato. Di solito non sono una che si lascia andare così facilmente, ma tu…» esito. Il mio discorso non mi viene in soccorso, tutt’a un tratto mi sembra privo di senso, superato. «Ecco, vedi, non so bene come dirtelo…» «Hai già qualcuno, è questo che stai cercando di dirmi, giusto?» È diretto, schietto, 258/564 mi obbliga a buttare fuori le cose come stanno, senza fronzoli e giri di parole. «No, non è proprio questo» scuoto la testa. «Fino all’altro ieri pensavo di volere qualcun altro… ma adesso non ne sono più così sicura.» L’immagine di Filippo mi si materializza davanti e in questo momento mi sembra come il mio bel discorsetto: una cosa che appartiene al passato. Me ne rendo conto e ho una specie di fitta al cuore. «Allora, cosa c’è, Elena?» m’incalza. «C’è che mi è piaciuto molto. Forse troppo. Ho provato a convincermi che sia stato solo un cedimento, un colpo di testa, uno dei pochi che io abbia fatto, e che noi due non c’entriamo niente l’una con l’altro. Insomma, mi piacerebbe credere che è solo il caso di finirla qui. Ma continuo a pensarti e… voglio che succeda ancora.» 259/564 Ecco, l’ho detto, anche se non è da me, anche se non sono parole da pronunciare sul banco di una chiesa! Mi sento andare letteralmente in fiamme. Leonardo non ha nessuna reazione, almeno in apparenza, e questo non fa che aumentare il mio imbarazzo. Per qualche lunghissimo istante i suoi occhi vagano sulla pala dell’Assunta. Io sono in apnea, aspetto che parli come un imputato in attesa della sentenza definitiva. Poi, senza dire niente, mi prende per mano e mi porta proprio sotto il dipinto. Ci sono altre persone accanto a noi, Leonardo si mette alle mie spalle e mi parla piano in un orecchio. «Sai perché ti ho chiesto di vederci qui, Elena?» Scuoto la testa, completamente smarrita. 260/564 «Perché questo dipinto mi è entrato dentro, dopo che me ne hai parlato tu. Ci ho pensato molto da quella notte.» Alzo lo sguardo sulla pala. «Credo di sapere perché ti piace così tanto: tu vorresti essere come quella Madonna» continua Leonardo, sfiorandomi i capelli con il suo respiro leggero. «Vorresti stare lassù nel tuo mondo, lontana da qualsiasi cosa che possa farti male. In fondo credi di essere destinata a questo.» Guardo la figura della Madonna, così distante, serena, invulnerabile. Mi rendo conto che ha ragione, anch’io vorrei sentirmi così. Leonardo incombe su di me, sento il suo calore addosso ed è una sensazione stranamente eccitante, qui, in questo posto sacro, tra questa gente che quasi non si accorge di noi. Continua a parlarmi all’orecchio come un demone. 261/564 «Adesso guarda l’apostolo. Quella notte mi hai detto che sta invocando la Vergine e che sembra darle lo slancio verso il cielo.» «Infatti, è così.» Bene, almeno le nozioni di storia dell’arte non mi hanno abbandonata insieme a tutte le altre certezze. «E se ti sbagliassi?» Mi stringe con forza le spalle. «A me piace pensare che la stia richiamando, invece, che voglia trattenerla sulla terra, riportarla alla sua natura carnale…» Non ci avevo mai pensato. Osservo il dipinto da una prospettiva completamente ribaltata, ora, e mi rendo conto che, per quanto surreale, anche questa può essere un’interpretazione. Ma non riesco ancora a capire dove Leonardo voglia arrivare. Gli ho appena detto che desidero fare di nuovo l’amore con lui – non so con quale coraggio – e lui mi risponde proponendomi una nuova esegesi dell’Assunta. Sono davvero confusa e temo che le ginocchia non reggeranno per molto. 262/564 «Perché mi dici tutto questo?» gli chiedo con un filo di voce. Non resisto più. Mi prende per i fianchi e mi gira verso di sé, impadronendosi del mio sguardo. «Perché io voglio essere quello che ti riporta sulla terra, Elena.» È talmente vicino che i nostri volti si sfiorano. Mi guardo intorno, sperando che nessuno si accorga di noi. Ma lui non si cura degli altri e continua a soffiarmi addosso parole infuocate. «Anch’io ti voglio, di nuovo, altre mille volte. Ma a modo mio. Voglio vedere cosa nascondi dietro questa tua maschera così eterea, così cerebrale… voglio conoscere la vera Elena. Voglio sconvolgerle la vita.» Deglutisco. Sconvolgermi la vita. A guardarlo ora si direbbe che ne è perfettamente capace e mi corre un brividino lungo la schiena. 263/564 «Quando ti ho incontrata la prima volta, tutta concentrata su quell’affresco, la tua timidezza, la tua aria innocente mi hanno stregato. È stato un richiamo irresistibile. E non posso farci niente, non avrò pace finché non te le avrò strappate di dosso.» All’improvviso sento un fuoco accendersi nel petto. È come se mi avesse iniettato un liquido incendiario. «Ma tu devi lasciarmi fare. Devi permettere che sia io a guidarti… voglio insegnarti tutti i modi in cui si può provare piacere…» La sua voce, adesso, è un ibrido seducente tra un gemito e un sussurro. Sono ammutolita, non credo di aver capito davvero cosa mi sta proponendo. Posso soltanto intuirlo, e ha tutta l’aria di un accordo, un patto maledetto che mi cambierà profondamente l’esistenza e non sono così sicura di voler accettare. Ma sono tentata, con ogni fibra del mio corpo, come si può esserlo solo da qualcosa d’ignoto e pericoloso. 264/564 Leonardo intuisce il mio smarrimento e, afferrandomi per una mano, mi trascina fuori dalla chiesa attraverso l’uscita laterale. Sbuchiamo in una calle nascosta e chiusa. Mi spinge contro il muro scrostato della sagrestia e mi solleva il mento. «Hai capito cosa sto dicendo, Elena?» «Non ne sono sicura…» mormoro. «Se è l’amore romantico che stai cercando non sono io la persona giusta. Se stai pensando a una scappatella da una routine noiosa, be’, sei fuori strada, Elena. Quello che ti sto proponendo è un viaggio, un’esperienza che ti cambierà per sempre.» Ansimo, cerco di liberarmi dalla sua presa, anche se allontanarmi da lui è l’ultima cosa che vorrei al mondo. «Mi occuperò di te, ti insegnerò che il tuo corpo non è fatto per inibizioni e tabù, e ti mostrerò come usare i tuoi sensi, tutti, per un solo fine: godere. Ma tu dovrai affidarti 265/564 completamente a me ed essere pronta a fare quello che ti chiederò.» Qui si ferma, punta i suoi occhi dentro i miei. «Tutto. Anche se ti sembrerà assurdo o sbagliato.» Il suo tono non è autoritario, no. È suadente, dannatamente irresistibile. Se mi stesse proponendo di ballare o di bere un bicchiere di vino, credo che lo farebbe allo stesso identico modo. «Ho bisogno di pensarci» lo imploro. «Io… non so cosa rispondere… ora…» «E invece devi scegliere qui. Adesso.» È irremovibile. «Perché è la prima prova che devi superare. Prendere o lasciare.» Trattengo il respiro, chiudo gli occhi e mi preparo come se dovessi tuffarmi da una scogliera. Un salto nel vuoto, ecco cosa sto facendo, io che non so nemmeno nuotare, io che ho sempre preso le mie decisioni con la 266/564 massima cautela, che non sono mai stata un tipo da colpi di testa. Sto facendo la cosa più insensata della mia vita e forse, proprio per questo, la più giusta. «Va bene» dico con il cuore in gola. «Va bene?» ripete lui. «Sì. Sono pronta.» Apro finalmente gli occhi. Sono ripiombata qui, tra le sue braccia, e sono ancora viva, per il momento. Leonardo mi sorride e mi bacia con avidità, infilandomi tutta la lingua nella bocca ancora impastata di emozione. Si stacca un momento e mi guarda negli occhi, quasi per assicurarsi che io ci sia davvero, poi riprende a baciarmi, ancora più famelico, mordendomi le labbra. La sua mano s’insinua lasciva dentro i miei jeans e arriva sicura là dove non dovrebbe, scatenando un vortice di piacere. «Voglio che oggi, mentre sei al lavoro, mi pensi intensamente e che fai da sola quello 267/564 che ti sto facendo io, fino a venire» mi sussurra continuando ad accarezzarmi. «No, ti prego…» protesto. «Io non credo sia una buona idea… mi imbarazza troppo, non riuscirò mai a…» Leonardo tronca il discorso, coprendomi la bocca con una mano e infilzandomi con uno sguardo assassino. «È proprio per questo che devi farlo. Sono io che decido, tu devi fidarti senza discutere. Ricordi cos’hai appena accettato?» La mia volontà è improvvisamente annullata. «Va bene. Ci provo.» «Brava, Elena. Così mi piaci…» Continua a frugare tra le mie gambe e con l’altra mano mi tormenta un capezzolo. Distolgo lo sguardo pieno di voglia, sono già bagnata ed eccitata, ma non credo che farlo da sola mi darà lo stesso piacere. Non sono abituata a toccarmi. 268/564 La mia voglia aumenta, vorrei che andasse fino in fondo, ma all’improvviso Leonardo si stacca da me, lasciandomi frastornata e inappagata. Il sorrisetto sadico sulle sue labbra mi dice che l’ha fatto di proposito. «Devo andare, ci vediamo stasera al mio rientro.» Si appoggia con entrambe le mani al muro e avvicina il volto al mio. «Ricordati, Elena: da questo momento tu sei mia.» Mi posa un altro bacio sulla bocca e fa per andarsene. «Leonardo…» Lo blocco afferrandolo per un braccio. «Dimmi solo perché. Perché fai tutto questo.» Piega la testa di lato, un sorriso candido e diabolico gl’increspa le labbra. «Perché ne ho voglia. E perché mi piaci da morire.» Registra il mio sconcerto e sospira, come a cercare altre parole. «Ascoltami bene, Elena: tutto quello che faccio o che scelgo di non fare è puro 269/564 edonismo. Non ho altre spinte o motivazioni a parte questa. Non credo nella forza delle idee né tantomeno nella morale. Ho vissuto abbastanza per sapere che il dolore ti arriva comunque, senza che tu te lo sia procurato. Quindi, dato che non lo puoi evitare e che la felicità assoluta non esiste, quello che resta è il piacere. E io lo ricerco con un’ostinazione che devi ancora conoscere.» Sono senza parole. Adesso nei suoi lineamenti vedo la durezza di chi ha lottato e una sofferenza nascosta e indelebile, come il tatuaggio che ha sulla schiena. Ma vedo anche fame di vita e il coraggio di chi non si è mai arreso in quello sguardo fiero e in quel sorriso che sembra sfidare il mondo intero. Sei un mistero, Leonardo, un enigma che adesso non ho alcuna possibilità di risolvere. Ma ci sto comunque. E da oggi sono tua. Durante tutta la giornata non riesco a pensare ad altro. Mi stacco dall’affresco più 270/564 volte e mi rifugio in bagno per provare a fare quello che Leonardo mi ha ordinato, ma è una tragedia. Mi sento sporca. Anzi, mi sento proprio in colpa, anche se non so bene con chi. Evitando di guardarmi allo specchio, abbasso la cerniera della salopette finché riesco a intravedere quella dei jeans. È la terza volta che ci provo. Chiudo gli occhi e penso a Leonardo, ai suoi baci pieni, al suo corpo nudo sopra il mio, poi infilo timidamente una mano dentro gli slip lasciandola scivolare sul monte di Venere. Le mie labbra sono secche e mute, rifiutano drasticamente quel contatto. Non rispondono ad alcun tocco, quasi a voler respingere la mia mano così insicura. Riapro gli occhi e sospirando mi siedo sul bordo della vasca, lasciandomi cadere le braccia sulle ginocchia. Mi rendo conto di non avere molta confidenza con il mio corpo, sono piena di blocchi e inibizioni. Forse perché non ho mai provato davvero a 271/564 darmi piacere da sola, ho sempre lasciato fare agli altri, ai pochi uomini con cui sono stata… e sinceramente ora, dopo essere stata con Leonardo, non so se quello fosse veramente il massimo a cui si potesse aspirare. Cerco di nuovo la concentrazione, ma non appena tento di allungare la mano, un trillo del cellulare m’interrompe brutalmente. Sbircio nella tasca esterna della salopette e vedo comparire sul display il nome di Filippo. Incredibile. Perché mi fai questo squillo proprio ora, Fil? Mi stai controllando a distanza? È già tutto abbastanza complicato così… All’improvviso mi sento ridicola. Basta, ci rinuncio. Non sono come Leonardo mi vede, ecco tutto. O forse liberare la mia sensualità non è un obiettivo che posso raggiungere da sola. Mi sono tolta la tuta da lavoro e sto per tornarmene a casa, frustrata. La prima tappa 272/564 del mio viaggio erotico si è rivelata un fallimento. Da vigliacca, vorrei dileguarmi prima che Leonardo rientri, ma il lavaggio degli attrezzi si rivela più difficoltoso del solito. Così lui arriva prima che io riesca ad andarmene e mi ritrovo avvolta dal suo abbraccio. Non posso dire di non averlo sperato almeno un po’… «Ciao, Elena. Hai niente da dirmi?» mi chiede in un sussurro. Vorrei mentirgli, dirgli che è andata benissimo e che ho il fuoco in ogni parte del corpo, ma non ce la faccio. E poi credo che la mia faccia parli da sé. «Ci ho provato.» «Ci hai provato.» Mi scruta, serio. «Però…» faccio un respiro, temendo la sua reazione, «non è andata proprio benissimo.» «Vieni, saliamo in camera mia.» Non sembra arrabbiato. Forse se l’aspettava e questo mi ferisce ancora di più. Titubante, mi lascio 273/564 prendere la mano e lo seguo. Non so che cos’abbia in mente, ma mi sento al sicuro quando mi stringe in quel modo. Conosco questa stanza. C’è più o meno lo stesso caos del giorno in cui mi ci sono intrufolata con Gaia. Il letto è sfatto. Mancano lo champagne e le canne, ma si respira la stessa aria voluttuosa, e poi quel profumo intenso di ambra che ha impregnato le pareti e le lenzuola. Leonardo mi spinge sul letto. Lui rimane in piedi, davanti a me. «Spogliati» ordina. «Voglio vedere quello che sai fare.» Mi siedo sul bordo del letto, ancorando le mani alle lenzuola. Un rivolo di sudore freddo mi scende lungo la schiena. Lo specchio di fronte a me è una presenza inquietante e il pensiero che la violinista sexy dal corpo perfetto è stata qui mi fa sentire 274/564 male all’istante, ancora prima di provare a fare qualsiasi cosa. «Avanti, Elena» m’incoraggia Leonardo prendendomi la testa tra le mani. «Spogliati. Non stai facendo niente di male.» Spogliarmi davanti a un uomo non è mai stato semplice e naturale per me. Mi fa sentire a disagio, mi ha sempre causato quell’imbarazzo che mi portava a spegnere la luce già durante i preliminari. Esporre la mia pelle agli occhi di un altro, insomma, la trovo un’impresa ad alto tasso ansiogeno. Lentamente mi alzo in piedi e sono davanti a lui. Con le mani che tremano mi tolgo la Tshirt e rimango in reggiseno, ma dallo sguardo severo di Leonardo intuisco che devo levarmi anche quello. Lo sgancio da dietro e lui mi aiuta a sfilarlo dalle braccia. «Impazzisco per il tuo seno, è così… morbido e pieno.» Lo accarezza, delicato. Poi mi bacia un punto dietro la nuca talmente 275/564 sensibile che al tocco della sua lingua mi si piegano le ginocchia. «Adesso devi fare da sola, però.» Lascio scivolare la mia mano tra l’incavo dei seni e inizio ad accarezzarne uno, stringendolo con le dita intorno al capezzolo. «Così, Elena… Ora dedica un po’ di attenzione anche all’altro» mi ordina, baciandomi di nuovo il collo. Cerco di rilassarmi e faccio quello che mi chiede. È come se i suoi gesti e le sue parole m’incoraggiassero ad avere più fiducia nel mio corpo. «Brava…» Ha gli occhi lucidi di desiderio. Mi afferra un braccio e lo accosta al mio ventre. «Adesso scendi lenta con la mano. Mettila dentro.» Mi sento ancora più nuda e vulnerabile di quando ero sotto di lui. C’è qualcosa di fortemente erotico e proibito in tutto questo. 276/564 L’ansia mi sta stringendo lo stomaco, ma so che non posso fermarmi ora, non voglio. Con la mano mi faccio spazio tra i jeans e inizio a muovere le dita avanti e indietro, come se pizzicassi le corde di una chitarra. Sono certa che gli piaccia stare a guardarmi. Io, invece, mi sento inerme, totalmente in balìa di quegli occhi che sembra vogliano divorarmi. «Tu sai come darti piacere meglio di chiunque altro» mi rassicura. «Impara a conoscerti…» Si avventa su di me e mi solletica con la mano attraverso i jeans. Riesco a sentirlo. Appoggia i polpastrelli sul lato esterno delle grandi labbra e spinge all’insù in modo da avermi tutta tra le dita. È un massaggio profondo, che mi accende di passione. Leonardo si leva la camicia e mi strappa via i pantaloni e le mutandine. Poi si siede sul bordo del letto e mi trascina a sé, 277/564 facendomi appoggiare la schiena al suo petto nudo. Si piega in avanti inondandomi il collo di brividi, al contatto con le sue labbra morbide. Il suo respiro arriva sui miei capezzoli, che reagiscono subito. L’immagine del mio corpo nudo si riflette nello specchio e mi aggredisce brutale e violenta come uno schiaffo. Non riesco a sostenerne la vista e giro la testa di lato. Leonardo mi afferra il mento e mi fa voltare di nuovo verso la mia immagine doppia. «Guarda quanto sei bella, Elena. Devi amare il tuo corpo, devi esserne orgogliosa, perché ti dà piacere. E lo dà a me.» Ci provo, ma è difficile. La vista della mia carne nuda, del mio sesso esposto, della mia posa lasciva non mi riempie di orgoglio, ma di vergogna. Leonardo mi prende una mano e la appoggia sopra il mio sesso umido e caldo. «Continua a toccarti» mi sussurra all’orecchio. «Non fermarti.» 278/564 Eseguo a occhi chiusi, almeno così vinco l’imbarazzo. Lentamente sento le labbra inumidirsi, mentre Leonardo appoggia le mani, che adesso sono cosparse di olio, sui miei seni. Un delizioso profumo di rosa accarezza la mia pelle. Le sue dita si muovono leggere sul mio corpo fino a far scorrere tra indice e medio la punta dei miei capezzoli turgidi. Li stringono, ora, mentre le sue mani premono sui miei seni, e sembra quasi vogliano dare forma a un impasto che chiede di essere modellato. C’è solo Leonardo, solo con lui riesco a provare questo piacere indescrivibile. «Sulla punta delle dita. È lì che devi essere ora. Con tutta te stessa.» Mi afferra il polso e me lo appoggia appena sopra il monte di Venere. La mia mano esplora, spinta dal desiderio di conoscere, ma procede ancora insicura. «Adesso prova con le mie dita… se ti dà più piacere…» mi sussurra, scostando una 279/564 mano dal mio seno. «Ma voglio che sia tu a farlo. Ancora per un po’.» Afferro con delicatezza la sua mano e lascio scivolare dentro di me le sue dita, premendo su e giù lungo il clitoride. Poi a un tratto Leonardo si libera dalle mie mani. Inizia con una carezza lieve e morbida che sfiora appena l’interno delle cosce, e non si spinge più in là finché non allargo le gambe completamente e il mio bacino comincia a inarcarsi. Allora fa scivolare le dita tra le labbra esterne solleticandole con un piccolo movimento circolare e una leggera pressione. Chiude un labbro fra pollice e indice, stringendolo delicatamente alla base, poi percorre con i polpastrelli il mio sesso, dal basso verso l’alto, descrivendo la curva di una parentesi e ripete lo stesso nell’altro verso. Un’onda di piacere si propaga attraverso tutto il mio corpo. Quando comincio a muovermi al tocco delle sue dita, mi accarezza il clitoride con 280/564 una pressione leggerissima, poi scende ancora finché le mie labbra non lo invitano a entrare. «Adesso apri gli occhi, Elena» mi mormora all’orecchio. «Voglio che mi guardi.» Sollevo le palpebre come un sipario e l’immagine del mio corpo, imprigionato nel suo, mi si ripresenta davanti. I nostri sguardi s’incrociano nello specchio mentre Leonardo inserisce dolcemente il dito medio dentro di me e lo usa per disegnare tanti piccoli cerchi, allargando delicatamente la mia carne. Vinta, mi lascio andare. È il segnale inequivocabile – come se ce ne fosse stato bisogno – che può spingersi oltre. A quel punto muove il dito più a fondo: è tutto dentro di me. Si ferma e gioca ancora un po’. Adesso ne voglio di più e lui lo capisce all’istante. Aspetta che l’apertura si rilassi, e poi aggiunge un altro dito, regalandomi una divina sensazione di pienezza. Nello specchio il mio viso è trasfigurato dal piacere e tutti i miei 281/564 muscoli sono tesi in uno spasmo, come se una corrente di energia li attraversasse dall’interno. Non mi riconosco, quasi: è la prima volta che mi guardo godere. Leonardo mi sorride dallo specchio, come se intuisse i miei pensieri. Quando comincio ad ansimare, flette le dita a L spingendo sulla base del clitoride, con un movimento che mi sta dicendo senza parole “vieni qui”. Anche i suoi occhi lo dicono. Adesso entrambi stiamo assistendo allo spettacolo di me che mi lascio venire. «Sì, Leonardo…» gemo. La testa gira, i sensi cedono, completamente persi nel tormento erotico. «Più forte!» lo imploro. Mi aggrappo alle sue spalle dietro di me, mentre lui aumenta il ritmo delle dita dentro, e mi schiaffeggia delicatamente il monte di Venere con l’altra mano. «Ti piace così?» 282/564 «Sì, mi piace…» mugugno. Sono un coagulo di desiderio. «Ancora, ti prego… non fermarti.» Ora sono io a chiederlo a lui. Lui continua il suo torbido gioco. È un tormento che mi devasta, mi porta allo sfinimento. E lui ne è perfettamente padrone. Il mio corpo si dimena, sussulta senza più freni. Sono al culmine dell’eccitazione e gemo senza più inibizioni. Ancora e ancora. E poi un urlo roco, che mi fa crollare sotto le sue dita e inarcare violentemente la schiena contro il suo petto, mentre uno sciame di minuscole schegge si sparpaglia dentro di me. Leonardo mi abbraccia stringendomi forte e mi riempie di piccoli baci sul collo. «Brava» mi mormora contro la bocca. «Questo significa godere.» 283/564 Sono riversa sul letto, sazia e spossata. Lui mi guarda compiaciuto e io mi copro con il lenzuolo. Sorride. «Ti dà così tanto fastidio essere guardata?» «Già…» annuisco debolmente. So che non ha senso perché fino a un momento prima ero completamente nuda tra le sue braccia. Eppure adesso sento il bisogno di proteggere la mia intimità, di metterla al riparo sotto questo lenzuolo. «Allora questo sarà il prossimo tabù da cui liberarti. Perché a me invece piace molto guardarti.» La sua voce è dolce. È sdraiato accanto a me, la camicia aperta sul petto, la testa appoggiata nella piega del gomito. Un’idea sfuggente attraversa i miei pensieri. Ho appena imboccato una strada folle. Folle ma terribilmente eccitante. Mi seduce con il gusto del proibito e un po’ mi 284/564 spaventa. Non so dove mi porterà, per ora so solo che voglio percorrerla fino in fondo. Guardo Leonardo, la sua espressione è mutevole, ogni volta diversa. Non so come, ma i suoi lineamenti non mi risultano mai familiari, è come se li scoprissi sempre da una prospettiva nuova. Chi è davvero quest’uomo? Cosa l’ha portato da me? Ho come l’impressione che non saprò mai rispondere a queste domande. Ma sono divorata da una curiosità che non mi dà pace. E sto perdendo anche il controllo di quello che dico. Bene. «Hai avuto molte donne nella tua vita?» gli chiedo senza giri di parole. Mi ha già detto di non essere uno da fidanzate e il modo in cui conosce e fa vibrare il mio corpo rivela una grande esperienza. Lui non sembra affatto sorpreso dalla mia domanda. «Ne ho avute molte, sì.» Fa un sospiro profondo e si distende sulla schiena, con le mani dietro la nuca. «Ma i sentimenti 285/564 non sono esattamente il mio forte, te l’ho detto.» All’improvviso mi sembra si sia rabbuiato. Poi si volta di scatto verso di me e mi guarda serio. «Non sei l’unica, Elena, se è questo che vuoi sapere. Non aspettarti che io ti sia fedele.» Vorrei nascondermi sotto il lenzuolo. Mi sento stupida e infantile. Lui deve rendersene conto perché mi guarda un po’ disorientato: «Credevo fosse chiaro…». «Certo, è chiaro» mi affretto a dire con un sorriso. In realtà mi sento di aver subìto un torto, ma con uno sforzo sovrumano me la faccio passare. “Da me non avrai l’amore romantico”: me l’ha detto chiaro e tondo, devo solo mettermelo bene in testa. «Comunque ora sarà il caso che vada» aggiungo sollevandomi dal letto e portandomi dietro il lenzuolo. 286/564 Mi rivesto rapida e Leonardo mi accompagna alla porta. All’improvviso mi sento insopportabilmente soggiogata da lui, quasi schiacciata dalla forza che emana. Si ferma sulla soglia e mi sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Tutto bene?» mi chiede premuroso. «Sì» rispondo, anche se, in tutta sincerità, non ne sono sicura. «A domani, allora?» Non faccio in tempo a dirgli di sì che la sua bocca si incolla vorace alla mia. Mi prende con forza il viso tra le mani e il suo bacio diventa più intenso. Poi mi allontana e mi guarda come se volesse studiarmi. «Ho in mente qualcosa di speciale per te» mi sussurra, misterioso. «Vieni presto.» «Certo…» rispondo stordita. Non vedo l’ora che sia domani. 9 Intorno a me, solo buio e silenzio. Mi ha lasciata qui nuda, legata a una poltroncina, un fazzoletto di seta nera a coprirmi gli occhi. Mi sento piccola al centro di questa stanza enorme, il salone delle feste, il più grande del palazzo. Stamattina, mentre venivo da Leonardo, non sapevo davvero cosa aspettarmi, ho pensato a mille scenari diversi, consapevole che comunque lui sarebbe riuscito a stupirmi. 288/564 E ci è riuscito. Come sempre. Mi ha aperto la porta ed è comparso sulla soglia con quell’espressione sicura che non lascia scampo. Non ha chiesto nulla, mi ha solo attirata a sé e mi ha baciata, poi mi ha presa per mano, guidandomi attraverso scale e corridoi fino a questo salone. Si è fermato al centro e ha cominciato a spogliarmi. Il cuore mi martellava nel petto, pensavo stessimo per fare l’amore, lo desideravo con tutta me stessa. Avrei voluto che mi abbracciasse e che annullasse con il proprio corpo la mia nudità, che mi rendeva impacciata e nervosa. «Girati» mi ha detto invece. E io ho obbedito. Mi ha bendata prima che potessi dire qualunque cosa, annodandomi dietro la nuca un fazzoletto nero che aveva nella tasca dei pantaloni. «Oggi non hai bisogno della vista, Elena. T’insegnerò a vedere in un altro modo.» 289/564 Mi ha fatta sedere, mi ha legato i polsi ai braccioli non so bene con cosa – potrebbero essere le nappe delle splendide tende di broccato di questa sala – e lo stesso ha fatto con le caviglie, ancorandole ai piedi della sedia. «Che intenzioni hai?» gli ho chiesto con la voce rotta. «Shhh… questo non è il momento delle domande» mi ha risposto in un sussurro. Mi ha coperta con un lenzuolo ruvido, di quelli che si usano per nascondere le tele degli artisti, quasi fossi una sua creazione, lasciando esposti il viso e il seno. Mi ha accarezzato una guancia e poi ho sentito i suoi passi allontanarsi. Sono qui da più di un’ora. Almeno, credo sia passata un’ora, dato che ho sentito una volta le campane di San Barnaba. 290/564 All’inizio è stato solo smarrimento, e pensieri fuori controllo. Ero nel panico, disorientata, mi sembrava di subire una tortura senza senso. Mi sono maledetta per essermi messa in questa situazione e per aver accettato quel patto infernale. Volevo solo liberarmi e scappare. Poi ho capito. L’odore di questa stanza mi è penetrato lentamente nelle narici, sottile e insistente: legno antico, polvere, umidità. Il velluto dell’imbottitura ha cominciato a solleticarmi la schiena, mentre una brezza leggera è entrata da una delle finestre – un brivido sottile ha percorso tutto il mio corpo rendendomi i capezzoli appuntiti e duri. E anche dal silenzio, lentamente, sono emersi i suoni: le voci del Canal Grande, il brontolio lontano dei vaporetti, una goccia caduta non so dove, il mio respiro divenuto quasi assordante. 291/564 Leonardo mi ha bendata perché la mia vista è vorace. Consuma tutto, non lascia scampo agli altri sensi. Il mio sguardo è sottoposto ogni giorno a infiniti stimoli: il mio lavoro, le mie passioni, la città in cui vivo. Sono ventinove anni che mi drogo della bellezza di Venezia, che mi nutro di marmi, stucchi, tempere e pietre. Il mondo lo leggo solo attraverso gli occhi. E adesso sono coperti di nero, addormentati, narcotizzati. Mi bastava questa sola via per conoscere le cose. Ero felice e sicura. Prima d’incontrare lui. Un raggio di sole filtra attraverso le imposte e regala un po’ di tepore alla mano destra, intorpidita. Non lo vedo, ma sto provando a sentirlo. Ci sto provando, a osservare il mondo senza occhi. Oltre gli occhi. Dove c’è la vera Elena, quella che Leonardo vuole. Adesso le caviglie cominciano a farmi male e anche i polsi. Il sangue fatica a raggiungere 292/564 le estremità. Una lacrima sottile mi scivola da sotto la benda fino alle labbra – è calda e salata – quando avverto un lieve fruscìo. Percepisco una presenza nella stanza. «Leonardo? Sei tu?» mi agito sulla poltroncina. Sento i suoi passi avvicinarsi. Da quanto tempo è qui? Da quanto mi sta osservando? Adesso è in piedi di fronte a me, riesco ad avvertirlo, mi arriva il calore del suo corpo e quell’inconfondibile profumo d’ambra. «Leonardo, liberami… ti prego…» Non mi risponde. Solleva un lembo del lenzuolo e lo fa scivolare via con lentezza esasperante. Adesso sono nuda, completamente esposta, impotente. Per un tempo che mi sembra infinito avverto i suoi occhi che esplorano ogni parte di me. È un tocco indelicato, pungente, che provoca piccole scosse sotto pelle. Mi ferisce e mi eccita allo stesso tempo. 293/564 All’improvviso, la sua voce è vicinissima al mio orecchio. «Ti sto guardando, Elena. Ovunque.» Vorrei dirgli che mi piace essere guardata così, che non lo sapevo e l’ho scoperto ora, ma devo inghiottire un grumo di saliva e non riesco a parlare. Deve essersi inginocchiato davanti a me, le sue mani sulle mie cosce. Poi labbra calde e umide si posano sulle mie. Scendono lente sul collo, sento la sua barba contro la mia guancia, sul mio seno, contro il mio ombelico. Barba che sfiora, solletica, punge e tormenta. Il suo orecchino striscia contro la mia spalla. E poi di nuovo le sue labbra sono sopra le mie, la lingua preme arrogante aprendosi un varco tra i denti e irrompe nella mia bocca. Un’onda sfacciata mi scuote il ventre e poi scende, liquida e insidiosa. Vorrei sentire il resto del suo corpo, cingergli le spalle con le 294/564 mani, ma posso solo aprirle e chiuderle, impaziente. «Rilassati, Elena.» Leonardo mi soffia sul viso. «Solo io posso usare le mani, oggi.» Deve avere lo sguardo torbido, ardente di desiderio, lo so, anche se non posso vederlo. Quel sorriso enigmatico, crudele, gli aleggia sul volto. Percorre con le dita i tratti del mio viso, fino al mento. Mi afferra i capelli, liberandone alcuni dalla benda. La sua lingua dentro il mio orecchio. Sangue che ribolle nelle vene. «Anche se non mi vedi» la sua voce è velluto, risuona intorno a me, dentro di me, «puoi sentirmi, lo so.» Leonardo si rifugia nell’incavo del collo e mi annusa, si beve il mio odore. «Devi solo fidarti dei tuoi sensi… Elena…» Poi qualcosa di fresco, di vivo mi sfiora, scende languidamente dal collo alla gola, 295/564 fino al seno, soffermandosi sui capezzoli. È qualcosa d’inatteso, bagnato, e sono le sue mani a guidarla. Me la fa scorrere lungo le cosce, tra le gambe, e poi di nuovo su, fino a posarla sulla mia bocca. «Leccala» intima con voce diabolica, «piano…» Socchiudo le labbra e faccio quello che mi dice. Non ho mai assaggiato un’arancia in questo modo. Ha il gusto acre del peccato, il suo sapore si mescola al mio. Adesso Leonardo sta rubandone il succo dalle mie labbra, seguendone la scia fin sotto il mio ombelico. Sento le sue mani fare resistenza contro le mie gambe, che istintivamente vorrebbero chiudersi. Vorrei muovermi, sottrarmi a questa dolce tortura, ma non posso. Le sue dita sono dentro di me. Separa con il medio le piccole labbra e con l’indice e l’anulare le piccole dalle grandi. Sprofonda il 296/564 medio nel mio nido, poi me lo porta alla bocca e me lo fa succhiare. Il mio sesso bagnato della voglia di lui. Mi scioglie una caviglia. Ancoro il polpaccio al suo fianco e mi apro, per fare spazio a ciò che verrà. Ma Leonardo inaspettatamente si ritrae. Sento una goccia di liquido freddo atterrare sul mio ginocchio e da lì scivolare fino al piede. Poi la stessa goccia densa sulla bocca, spalmata dalle dita di Leonardo. Sa di alcol e liquirizia. «Lo sai che non bevo…» mormoro a fatica. «Non credo ne morirai» mi sussurra, la voce rotta dal piacere. Me ne dà ancora, direttamente dalla bottiglia. È un sapore forte, violento, al quale non sono abituata. Mi sottraggo con una smorfia, un po’ di liquido cola sul mento e sul collo. Leonardo ride e mi provoca raccogliendolo con le labbra. 297/564 «Elena…» sibila quasi al mio orecchio, «non sei un angelo puro e senza vizi… pensa solo a godere, adesso.» Mentre parla infila di nuovo la mano tra le mie gambe facendomi sussultare. Prende un sorso a sua volta, mi avvicina a sé premendo dietro la nuca e me lo passa in bocca. Il liquore scende assassino in gola. È buono, dolce e amaro insieme. Fuori rinfresca, dentro è fuoco. «Ti piace, vero? Lo so…» Mi penetra con la lingua e la muove intorno alla mia. Poi mi afferra la testa e la abbassa. Uno sciame di puntini bianchi ronza nel nero dei miei occhi. Tutto gira, mi sento stordita. «Leccami.» Il suo ordine è dolce, gravido di promesse. Sono in bilico tra la paura di sempre e il desiderio di adesso. Lo sfioro con la lingua come si sfiora il pericolo. Assaporo la sua 298/564 voglia prepotente. È duro, la pelle tesa. Cresce pulsando. Pochi istanti soltanto e poi, appoggiandomi una mano sulla fronte, mi allontana il viso dal suo sesso impaziente e, con un gesto deciso, mi libera l’altra caviglia. Le sue dita scorrono rapide lungo le mie gambe, premendo e massaggiando, come per riportarle in vita. Le mie braccia precipitano senza preavviso lungo i braccioli della poltroncina, Leonardo ha sciolto tutti i nodi. Sono libera. Libera di toccarlo. Libera di fare ciò che desidero. Sollevo una mano verso la benda, ma lui mi blocca. «No. Questa rimane.» È un ordine. Stringe il nodo per assicurarlo bene alla nuca. «Ti prego» lo imploro. «No, Elena… non ti conviene» mi sussurra, stampandomi le labbra calde e umide sugli occhi coperti. 299/564 Poi, catturandomi i fianchi, mi solleva e mi prende in braccio. Mi spinge contro la parete, stringendomi più forte. Sento i suoi palmi affondare nelle mie natiche. Il suo sesso scivola nel mio e si fa spazio con spinte esperte, senza fretta. Sento il suo respiro nel mio orecchio. «Tu non ti conosci ancora. Ma ci arriverai, senza accorgertene.» La sua voce vibra di desiderio. Il mio respiro si sintonizza con il suo. E ora il piacere brucia come fuoco nei nostri corpi sudati. Infine mi adagia a terra, sul telo che prima mi copriva, e si sdraia sopra di me, sprofondandomi dentro. Mi lascio penetrare, stavolta più a fondo. Gemiti, sempre più affannosi. Sospiri. Graffi. Strette. E poi, di nuovo, respiri corti, vertigini. Tutto cede, si frantuma sotto i colpi della sua carne, del suo desiderio. Leonardo mi cerca il piacere dentro le viscere, lo trova. L’orgasmo si accende 300/564 improvviso e io contraggo i muscoli come a trattenerlo, ma esplode violento e implacabile, invade tutto, dalla punta dei piedi fino alle ossa del cranio. Mi aggrappo con le unghie alla sua schiena mentre ci precipito dentro. Mi sento gemere. Ho perso totalmente il controllo, non sono più io, non sono più la Elena che conoscevo. Sono l’impotente spettatrice di me stessa. Leonardo scivola fuori dal mio corpo bagnando di sé il mio seno, poi crolla accanto a me ansimando. Burro. È così che mi sento adesso. Un abbandono viscido e sensuale mi tiene incollata al pavimento. Non voglio muovermi, comunque. Piccoli brividi mi corrono ancora lungo la schiena. Una mano dolce mi accarezza il viso e mi libera gli occhi dalla seta nera. Sbatto debolmente le palpebre nella luce fioca del pomeriggio. Non riesco a vedere bene, all’inizio, ma poco a poco la pupilla si 301/564 riabitua e si dilata. Questa stanza mi sembra diversa da quella di sempre, come se emergessi ora da un sogno e non fossi mai stata qui. Le vetrate sul Canale, i lampadari di Murano, il velluto delle sedie, le statue dei due Mori agli angoli del caminetto. Niente è come prima. L’odore della polvere si mescola a quello del sesso. Il mio sguardo incontra quello di Leonardo, che mi sorride come qualcuno che ti stava cercando e finalmente ti ha trovato. «Eccoti» dice piano, rassicurante, pulendomi il seno con un lembo di tessuto. «Sei ancora più bella, adesso.» Non ho la forza di parlare. Gli sorrido passandogli una mano tra i capelli, mentre lui si abbassa per riempirmi l’ombelico con un bacio delicato. «È stato così terribile per una volta non guardare e lasciarsi guardare?» mi chiede, appoggiandomi la bocca sulla spalla. 302/564 «È stato bellissimo» sussurro con un filo di voce. Ho paura di rompere quell’incanto. «Tutto questo bisogno di controllo è pura illusione, Elena. È quando ti abbandoni a te stessa che diventi ciò che sei veramente.» Mi accarezza la fronte e mi sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «E quello di oggi è stato solo un piccolo assaggio…» Mi sorride, poi mi dà una leggera pacca sulla spalla. «Adesso girati, voglio massaggiarti la schiena.» Obbedisco, ancora indolenzita. Lui mi avvinghia i fianchi con le ginocchia e lascia libere le mani di viaggiare senza direzione sulla mia pelle nuda. Sento i muscoli riprendere vigore. Non so che ore sono, non ho più contato i rintocchi delle campane. So solo che tra un po’ dovrò andarmene. So che, mentre camminerò per queste calli troppo strette e affollate, sentirò ancora il profumo di Leonardo. Non mi lascerà, m’inseguirà violento fino al 303/564 portone di casa, mentre salirò le scale leggera, sospinta dai pensieri. Quell’odore mi farà compagnia per il resto della giornata e niente potrà lavarlo via. «Dove sei, Elena?» mi pizzica le spalle, come se volesse destarmi dal vortice di pensieri in cui sono sprofondata. «Sono qui. Ma tra poco vado.» Tra poco vado, ma per un po’ rimango. Perché adesso sto bene dove sono, in questo quadrato di luce che allaga il pavimento, il mio corpo nudo, il suo, e niente altro. 10 Non vedo Leonardo da giorni. All’improvviso è scomparso, non un messaggio, non una chiamata e io mi trascino in giro con questo strano senso di amputazione addosso. Non è passato molto tempo dal giorno del nostro patto – se così si può definire – eppure è già diventato indispensabile. Sto vivendo una dipendenza che non ho mai sperimentato, aspetto il nostro prossimo incontro come se non ci vedessimo da mesi: sono sua e vorrei esserlo ancora di più. Nessuno mi aveva mai presa in modo così viscerale. 305/564 Al palazzo non si è visto. Ho sbirciato in camera sua (mi comporto come una paranoica, e non è da me) e c’era il solito disordine, le solite lenzuola stropicciate, le solite camicie sparse sul tappeto. Ho provato a chiamarlo al cellulare, ma sono stata freddata dalla voce anonima della segreteria, che mi consigliava di provare più tardi. Ed è quello che ho fatto, senza però ricevere mai risposta. Leonardo sembra sparito nel nulla e il suo silenzio mi riempie di domande. Ma ce n’è una che più delle altre non mi dà pace: e se si fosse già stancato di me? Ho formulato le ipotesi più assurde. Ogni tanto me lo immagino riverso su un letto d’ospedale con una flebo al braccio, ma il minuto dopo lo penso in una lussuosa stanza d’albergo che gode tra le braccia di un’altra. Magari mi ha scaricata per starsene con la violinista statuaria: è più che plausibile, in fondo. 306/564 Il lavoro non aiuta a distrarmi: la mano non è ferma, gli occhi non mettono a fuoco e la mente inventa mille congetture. Mi chiedo se tornerò mai a essere felice come ero stata lì, a contatto con la sua pelle nuda. Ma sopra ogni cosa mi chiedo se in questi giorni abbia mai pensato a me come io penso a lui. Come a un’ossessione. Sto tornando in vaporetto dall’isola di San Servolo. Per non morire di pensieri sono andata a vedere la retrospettiva di un noto fotoreporter svedese. Non so se sia stata una grande idea. Le immagini dei paesaggi iraniani rapivano gli occhi, ma mentre ero lì e mi aggiravo sola tra le stanze affollate di gente non ho potuto fare a meno di pensare a Filippo. Di solito ci andavo con lui alle mostre ed era straordinario condividere sempre le opinioni su tutto e capirsi al volo con uno sguardo. A volte lui aveva il coraggio di starsene intere ore appoggiato a un muro, 307/564 moleskine e stilografica alla mano, a ricopiare didascalie, schizzare bozzetti, scrivere appunti. Allora io sbottavo e, dopo avergli requisito il suo amato taccuino, lo strattonavo fuori. Ridevamo come matti. Però, se Filippo fosse qui, sarebbe tutto più complicato, adesso. Una leggera nebbia si adagia sulle acque della Laguna, mentre il giorno sta affondando silenzioso all’orizzonte. Mi godo il tramonto dal vaporetto e ho l’impressione di spostarmi nel cielo insieme al sole. A quest’ora, nell’aria di Venezia si diffonde sempre una strana nostalgia. Scendo alla fermata di San Zaccaria, urtando contro la gente accorsa sul pontile. Intorno agli imbarcaderi dei vaporetti di solito le persone e i loro pensieri sembrano particolarmente vicini e convergenti. Siamo tutti marinai, anche se ci stiamo solo spostando da un quartiere all’altro della stessa città. 308/564 Ho deciso che passerò a salutare i miei, così magari ne approfitto anche per consumare l’unica cena della settimana degna di tale nome. Dopo giorni d’inappetenza inizio a sentire lo stimolo della fame, ma non sono ancora dell’umore giusto per affrontare il supermercato. Se andassi a fare la spesa, adesso, rischierei di riempire un intero carrello di biscotti al cioccolato, pentendomene solo dopo averli pagati e averne ingurgitato un pacco strada facendo. Cammino a passo veloce sotto i portici del Florian, al riparo dalla folla, lasciando Piazza San Marco ai turisti e alle loro fotografie. Sfidando il vento freddo che taglia la faccia, arrivo in campo Santa Maria del Giglio e suono al citofono di casa Volpe. Mi risponde mia madre, e dalla voce sembra al settimo cielo. Non si aspettava la mia visita. Salgo le scale e mi lascio avvolgere dal profumo dello strudel di mele appena sfornato. Mia mamma è una cuoca eccezionale. Se non 309/564 ci fosse stata lei a nutrirmi, è probabile che in tutti questi anni di stretta fede vegetariana sarei morta di fame. Mi levo il giubbotto e spizzicando un angolo di strudel affondo nel divano. Accendo lo stereo, perché giusto questo mi è consentito: niente tv prima delle nove di sera è sempre stata una regola ferrea in casa Volpe. Ecco perché sono cresciuta senza cartoni animati e a suon di compilation di Mina e Battisti. Mia madre mette a riposo l’impasto degli gnocchi alla zucca – altra sua specialità – e dalla cucina mi raggiunge in soggiorno e inizia a bombardarmi di domande sull’inaugurazione del ristorante di Brandolini. Non la vedo da allora ed ero sicura che mi avrebbe fatto il terzo grado sull’evento del mese. Glielo racconto a grandi linee, ovviamente senza menzionare Leonardo, e lei sembra insaziabile. Vuole sapere tutto su chi c’era e chi 310/564 non c’era e pretende ogni dettaglio sugli ospiti presenti. «Ho letto sul giornale che c’era un cuoco famoso…» m’incalza, in attesa di una risposta che la soddisfi. «Ma sì, mamma, è il tipo che sta nel palazzo dove restauro l’affresco.» Rimango sul vago, ma sento già le guance andarmi a fuoco. Se sapesse cosa fa la sua bambina con quel “cuoco famoso”… Mi sistemo la sciarpa. Non me la sono tolta per nascondere un segno inequivocabile che Leonardo mi ha lasciato sul collo. «E quindi com’è?» continua con quel suo tono inquisitorio. «L’ho incrociato solo poche volte» abbasso lo sguardo sul tappeto, «ma a quanto pare cucina bene.» «E cosa c’era da mangiare?» «Molti assaggi di finger food, roba ultrasofisticata… ma niente di paragonabile con 311/564 quello che mi cucini tu, mamma» la rassicuro con un sorrisetto ruffiano. Gongolando si dà dei colpetti ai capelli che da vent’anni tinge con la stessa tonalità di castano ramato. Ogni volta che qualcuno le fa un complimento sulla sua cucina, mia madre va in estasi. «Ma non ti togli la sciarpa?» Eccola, lo sapevo. Non le sfugge niente. «È che ho un po’ di torcicollo e mi tiene caldo» dico fingendo un’espressione sofferta. «Tesoro, devi coprirti di più con questa umidità!» «Forse è colpa dell’affresco. Sono stata troppo in quella posizione scomoda sulla scala.» Aiuto, non riesco a reggere la scusa del torcicollo, al pensiero di me avvinghiata a Leonardo. «Chiaro, se hai sforzato i muscoli, poi è un attimo ritrovarsi con una bella contrattura» dice lei tutta convinta. 312/564 Ti prego, mamma, non continuare. Tu non lo sai – e non lo vuoi sapere – quali muscoli ha sforzato la tua bambina. Cerco di cambiare argomento. «Dov’è papà?» «È andato al negozio di ferramenta.» «Per cosa?» «Chissà» scuote la testa, rassegnata, «da quando è in pensione si dedica al bricolage.» «Bene. Allora gli dirò di costruirmi una nuova libreria, visto che sulla mia non c’è più un angolino libero.» «Faresti di sicuro la sua felicità. Sembra che si diverta parecchio a trafficare con il suo trapano nuovo.» È in questo preciso istante che sento squillare il telefonino nella borsa. Guardo l’iPhone su cui lampeggia un numero che inizia con 041, il prefisso di Venezia. Chi potrebbe chiamarmi da un fisso che non ho memorizzato in rubrica? Oddio, sarà lo 313/564 studio dentistico che vuole ricordarmi dell’appuntamento di domani. «Pronto?» rispondo con tono distratto. «Ciao, sono io.» Una voce potente arriva dall’altra parte. La sua voce. Lancio uno sguardo rassicurante a mia madre– come a dire “va tutto bene, una chiamata di lavoro” – e sguscio nella mia vecchia camera. Il cuore mi pulsa nelle tempie. «Leonardo…» Mi appoggio al termosifone e guardo fuori dalla finestra. Per un attimo ho l’impressione che il tempo si congeli e che l’acqua del canale sottostante smetta di scorrere. Appoggio la fronte al vetro: «Ma dov’eri finito? Ho provato a chiamarti un sacco di volte». «Lo so» dice lui. «Ho pensato che non volessi vedermi più» aggiungo con voce incerta. 314/564 «Ma no, Elena, non correre… Sono stato in Sicilia» continua lui con tono pacifico. «Era una questione urgente e sono dovuto partire senza preavviso. Tutto qua.» «Almeno una chiamata potevi farla» insisto con una punta di rabbia. Lui prende un respiro. «Non ti aspettare chiamate da me, Elena. Non ti aspettare una routine da fidanzati. Devo muovermi liberamente, per questo non voglio legami.» È così, dunque, molto più semplice di come avevo immaginato. Poteva inventarsi qualsiasi scusa e invece me lo dice brutalmente: non si è fatto sentire perché non ha voluto. E io devo starci, prendere o lasciare. «Sono al ristorante» continua. «Sono rientrato da un’ora e sei la prima persona che chiamo.» «Per dirmi cosa?» gli chiedo secca, l’orgoglio ferito. 315/564 «Vieni qui. Ti aspetto a mezzanotte, dopo la chiusura.» «Perché?» Prendo il telefono con l’altra mano e mi pulisco il palmo sudato sui pantaloni. Mi sto agitando. «Perché ho voglia di vederti.» Ho l’impressione che stia sorridendo della mia ritrosia. «Vieni vestita da sera e molto affamata. Ceniamo insieme.» Dà già per scontato che gli dirò di sì. Come sempre. Vorrei avere la forza di dirgli di no, invece, tanto per darmi un tono e per vendicarmi di essere stata abbandonata in quel modo. Ma è inutile prendersi in giro: ho troppa voglia di vederlo anch’io. «D’accordo. Ci vediamo dopo.» E al diavolo l’orgoglio. «A più tardi.» La chiamata s’interrompe. Stringo così forte il telefono che le dita mi fanno male. Sono felice che si sia rifatto vivo, non 316/564 aspettavo altro, ma mi sento sempre più insicura, in balìa dei suoi disegni oscuri. Chissà che cosa aveva da fare di così urgente in Sicilia per eclissarsi in quel modo? Non so perché, ma all’improvviso vorrei piangere. Non so niente di Leonardo, del suo passato o di quello che fa quando non è con me. Nonostante io conosca ogni centimetro del suo corpo, il suo mondo interiore rimane un mistero per me. Mi ci vuole un po’ a riprendermi e, prima di tornare in sala, vado in bagno a controllare lo stato del mio viso. Il fuoco che ho dentro è salito tutto sulla fronte e un’onda umida si è insinuata morbidamente tra le mie gambe. Il solo fatto di pensarlo mi provoca una reazione fisica. Ho voglia di lui, da morire. Mentre rientro in soggiorno, trovo mia madre china sul ripiano di marmo della cucina a rollare gli gnocchi con la forchetta: un’abilità che ogni volta mi lascia sgomenta. 317/564 «Chi era al telefono?» domanda, continuando a tagliare pezzi d’impasto. Ci penso solo un istante e sono già pronta a mentire. «Era Gaia.» «Come sta? È tanto che non la vedo…» Mi preparo già a un altro interrogatorio. Ho un improvviso flashback del liceo, di quando tornavo a casa esausta dopo una giornata di scuola, e lei mi chiedeva dei voti che avevano preso i miei compagni, o di che cosa avevamo discusso durante la lezione di italiano. Se non ero particolarmente in vena, ci pensava lei a riempire i silenzi, parlando degli acciacchi delle sue amiche, di com’era stato antipatico l’impiegato delle Poste o del fatto che aveva incontrato la mia maestra di terza elementare dal fruttivendolo. Non è cambiata molto da allora. «Gaia sta bene, è sempre molto impegnata.» Mi avvicino all’appendiabiti e prendo 318/564 il giubbotto. «Scusa, mamma, ma non posso fermarmi a cena.» «Ma come? Scappi così?» Aggrotta la fronte in segno di disapprovazione e mi guarda di traverso. «Avevo preparato anche la macedonia, perché lo so che la frutta tu non la mangi mai.» Poi mi lancia un’occhiata circospetta. «Elena, sei così pallida… Sicura di stare bene?» Pallida? A me sembrava di andare a fuoco poco fa. Merda. Che abbia capito qualcosa? Al liceo non volevo mai dirle quali ragazzi mi piacevano, altrimenti mi avrebbe tartassata di domande. E anche adesso non dirò nulla, la mia bocca rimane sigillata su certi argomenti. Ho quasi trent’anni e vorrei ancora che i miei genitori mi stimassero, che avessero un’immagine pulita di me. E mia madre, una donna che trova la chiave della propria vita nella ricetta dello strudel e nei centrini ricamati, non capirebbe mai una 319/564 relazione come quella tra me e Leonardo. Non la capisco nemmeno io, a dir la verità. «Sì, sto bene, mamma. Sarà questo torcicollo a farmi sembrare un cencio.» Mia madre si guarda in grembo e si liscia la gonna. C’è rimasta male. Prima alimento le sue speranze e poi le dico che non posso fermarmi a cena. Essere figlia unica è un lavoro a tempo pieno, non ci sono fratelli e sorelle che mi diano il cambio quando mi tiro fuori dai giochi. «Dài, non te la prendere…» Mi avvicino e le stampo un bacio sulla guancia. «Gaia ha insistito, lo sai com’è fatta. Mi deve parlare di una cosa importante.» «Cosa c’è di così importante?» Ci sta riprovando. Forse ha intuito che c’è dell’altro oltre a Gaia e vuole vedere se cedo. «Non lo so, mamma, ma sembrava una cosa urgente… Scappo.» 320/564 «Va bene, fa’ la brava.» Alla fine si rassegna, ma prima che me ne vada mi mette tra le mani un contenitore pieno di gnocchi alla zucca. «Mettili in frigo, durano anche domani. E mangiali!» Avrei potuto restare a cena dai miei e andare da Leonardo più tardi, ma non mi piaceva l’idea di passare senza soluzione di continuità dal focolare domestico alle grinfie del mio pigmalione. Sarebbe stato troppo traumatico. Di rimanere da sola a casa non se ne parla neanche, mi logorerei nell’attesa. Così ho chiamato Gaia e le ho chiesto di cenare insieme. Lei ha accettato al volo. L’ultima volta che ci siamo sentite la sua storia con Jacopo andava a gonfie vele, ma immagino che ci siano aggiornamenti degni di nota, e lei è ansiosa di raccontarmeli. Indosso biancheria intima nera, comprata qualche giorno fa in una merceria del centro. Calze autoreggenti e un vestito di pizzo, 321/564 anche lui nero, che avevo nell’armadio e non mettevo mai. Me l’ha regalato Gaia, non mi ricordo in quale occasione, ma l’ho sempre considerato troppo corto e scollacciato. Stasera, però, mi sto vestendo perché Leonardo possa spogliarmi più tardi e questo pensiero mi spinge a osare. Con Gaia c’incontriamo alle Oche, una pizzeria alle Zattere. All’ingresso c’è un bel po’ di coda, quindi propongo di andare al ristorantino qualche metro più avanti. Non voglio arrivare tardi all’appuntamento con Leonardo, ma Gaia insiste, muore dalla voglia di pizza e mi promette che se la situazione non si sblocca in tempi rapidi farà una scenata. Questo sì che mi rassicura. La studio un po’: stasera è più raggiante del solito, ha i lineamenti distesi e i capelli in piega perfetta. Ai lobi le pendono due vistosi orecchini di perle e oro bianco. «Ho qualcosa in faccia?» mi domanda, dandosi dei colpetti sulle guance. 322/564 «Stavo solo guardando i tuoi orecchini. Molto belli…» «Vero? Me li ha regalati Jacopo» dice con un sorriso a trentasei denti. «Brandolini non sbaglia un colpo, eh…» Sorride, non vedeva l’ora che toccassi il tema. «Mi ha portata in un resort sulle colline toscane e abbiamo passato un weekend magnifico. Ho conosciuto un sacco di gente del suo giro, pensavo fossero degli snob e invece…» Va avanti a raccontare per un po’, riempiendo così la noia dell’attesa. Infine mi domanda com’è andato il mio fine settimana. «Benissimo» rispondo. «Ho lavorato. Ci ho dato dentro con l’affresco.» «E Leonardo l’hai più incontrato?» mi domanda distrattamente, mentre ci conducono a un tavolo al piano superiore. «Io non lo vedo dalla sera dell’inaugurazione. 323/564 Dovremmo tornarci una volta al suo ristorante!» Il cuore mi salta un battito nel petto. «Si potrebbe fare, certo.» Cerco di rimanere sul vago, ma per poco non inciampo sulle scale. Raggiungiamo il tavolo e quando mi tolgo il soprabito la sorpresa si disegna sul volto di Gaia. «Finalmente ti vedo con quel vestito!» Mi osserva compiaciuta sotto le luci, facendomi girare su me stessa. «E anche con il trucco stai bene. Brava, ogni tanto mi ascolti: quella stronzata dell’acqua e sapone è morta con le femministe negli anni Settanta.» «Io ti do sempre ascolto» ribatto, sorridendo. «Come no…» e inzuppa una costa di sedano nel pinzimonio. «Anche la collana è bella. Un po’ vistosa, ma ci sta tutta.» Peccato che non sappia cosa si nasconde sotto. Comunque, avere l’approvazione di Gaia 324/564 rafforza le mie speranze di piacere a Leonardo. Il cameriere arriva al nostro tavolo a prendere le ordinazioni. Lei chiede una pizza rucola e bresaola, io un’insalata. Leonardo mi ha detto di arrivare affamata, non voglio rovinarmi l’appetito. Gaia mi guarda stupita. «Non prendi altro? Mi fai sfondare di carboidrati da sola?» Tento di rabbonirla: «Te l’ho detto, ho praticamente cenato dai miei. Lo conosci lo strudel di mia madre…». «Ah, lo strudel della Betta… Vabbè, per stasera ti perdono.» Parla a me, ma sta guardando il cameriere, che è ancora in piedi accanto a noi e che, non posso darle torto, è proprio un bel ragazzo. Lui sorride e lei ricambia, civettuola. «Mi raccomando, la pizza… che sia ben cotta.» Si sposta i capelli da un lato. 325/564 Il cameriere ammicca e poi se ne va. Gaia non perde lo spettacolo del suo fondoschiena fasciato nei pantaloni aderenti. «Guarda che è troppo giovane per te» le dico, infischiandomene che lui sia ancora a portata d’orecchio. «Che cosa?» risponde lei con aria innocente. «Oh, dài, non stavo flirtando. Ma solo perché è gay, sia chiaro.» Scoppiamo a ridere. Nonostante Brandolini, Gaia resta un’incorreggibile mangiatrice di uomini. Sono io a essere diversa: le ho sempre raccontato le mie storie, ma di Leonardo non ce la faccio a parlarle. Dovrei spiegarle che la nostra non è proprio una relazione, che tra noi c’è una specie di patto, un gioco perverso, in cui lui ha tutto da guadagnare e io una cosa sola da perdere: me stessa. No, credo che Gaia non approverebbe, anzi, si preoccuperebbe per me e mi consiglierebbe di lasciar stare. Ma io non voglio lasciar stare, non ancora. 326/564 «Senti, raccontami di Filippo…» se ne esce a un tratto, picchiettandosi gli angoli della bocca con il tovagliolo. «Quando l’hai sentito l’ultima volta?» «Un bel po’ di giorni fa, via skype. È presissimo dal lavoro.» «Mamma mia, fareste una bella coppia solo per questo voi due. Siete due workaholic!» Agita le braccia in aria. Poi si protende in avanti e mi fa, tutta seria: «Ele, te l’ho già detto, tu dovresti osare un po’ di più con lui». «Non lo so…» dico, gli occhi fissi sulla tovaglia. Filippo in questo momento mi sembra così lontano. Gaia fa una smorfia. «Ma perché sei così controllata? Rilassati e ascolta le tue emozioni, per una volta…» «Te l’ho detto, è la distanza che mi spaventa…» oltre al fatto che faccio sesso con un altro. 327/564 «E allora vai a trovarlo! Oppure potresti farci qualcosa via skype, per esempio…» continua in tono sempre più malizioso. «Ma smettila, ti pare che Filippo sia il tipo…» «Ommioddio, Ele, svegliati! È un uomo anche lui… non sarà molto diverso dagli altri.» «Piantala, ora!» Mi nascondo dietro al tovagliolo. E, puntuale, ecco che ho davanti agli occhi l’immagine di me riflessa nello specchio mentre mi do piacere tra le braccia di Leonardo. Per fortuna arrivano le nostre ordinazioni. Azzanno il primo boccone d’insalata e so già che farò uno sforzo immenso per finirla tutta. Ho lo stomaco chiuso e questa roba mi sembra irrimediabilmente insipida. Ora ho in mente solo l’odore e il sapore di Leonardo, qualcosa che sa di ambra, di mare e di terre lontane. Mi domando cosa mi aspetti dopo, 328/564 al nostro appuntamento, ma scaccio il pensiero. Per distrarmi, cerco di far parlare Gaia. «Insomma, allora Jacopo ti piace proprio. Ma, fammi capire: il ciclista che posto ha nella tua classifica del desiderio?» Inaspettatamente, Gaia cambia espressione. Non pensavo di toccare un tasto dolente. «Belotti purtroppo non l’ho ancora dimenticato.» Sospira. «So che è in ritiro con la squadra, adesso, ma prima o poi mi richiama, vedrai.» Sono sorpresa, non pensavo che i suoi sentimenti per quel tipo fossero così tenaci. «E poi cosa faresti, liquideresti di punto in bianco Brandolini?» le chiedo. «Non lo so, forse per stare con lui lo farei.» Adocchia il cameriere e chiede il conto facendo uno scarabocchio in aria. «Ma per ora mi tengo stretta Jacopo.» 329/564 «E fai bene» commento. Tra il conte e il ciclista io faccio il tifo per il conte. «Andiamo a berci una cosa allo Skyline?» propone recuperando d’un colpo la consueta spensieratezza. Sfoggio la battuta che mi ero preparata in anticipo: «Non posso, domani mi alzo presto per lavorare» dico con la voce impastata di finto sonno e sfodero uno sbadiglio a regola d’arte. «Ci avrei scommesso le mie Manolo Blahnik che mi avresti detto di no.» Bene, la mia interpretazione è stata convincente. «Però promettimi che appena arrivi a casa accendi il computer e cerchi Filippo su skype.» «Ok… se è sveglio.» Ci salutiamo all’angolo del ponte. Abbraccio Gaia e la ringrazio per la serata. Faccio qualche passo in direzione di casa mia, ma 330/564 non appena ci siamo separate svolto alla seconda calle a destra e mi metto a correre. Verso una tentazione a cui ormai non so più resistere. Costeggiando il Canal Grande arrivo in campo San Polo. Dei palazzi che vi si affacciano solo pochi sono ancora illuminati, la maggior parte è ormai sprofondata nella penombra. L’oscurità è resa ancora più densa dalla tipica nebbiolina preinvernale che smussa gli spigoli e sbiadisce i colori. Ho freddo, le mani ghiacciate, ma dentro di me sento un vortice caldo. Mi sono levata la collana e anche la sciarpa che ora non hanno più ragione di rimanere sul mio collo. Ora voglio appartenergli con ogni centimetro di pelle. Il ristorante è chiuso. Chiamo Leonardo al cellulare. Non risponde, ma in un attimo vedo la sua ombra sulle vetrate dell’ingresso. Apre la porta, ed eccolo comparire sulla 331/564 soglia con la solita aria stropicciata, l’aria di chi ha poca fiducia nel mondo e molta in se stesso. Mi tira dentro afferrandomi per la vita e mi stampa sulla bocca un bacio profondo. «Benvenuta.» Mi aggrappo alla sua schiena come a una roccia sicura. Mi ha tormentata, se n’è andato senza lasciare tracce, ma adesso eccolo qui, tra le mie braccia, e ho già scordato tutto. Guidandomi attraverso i tavoli della sala con passo sicuro mi conduce nel suo regno. La cucina. È un posto che incute un po’ di timore, così asettico e ordinato, immerso nella semioscurità: chissà che inferno va in scena qui mentre gli ospiti sono comodamente seduti in sala ad aspettare le loro ordinazioni. Sembrerebbe quasi un laboratorio se non fosse per un angolo del bancone apparecchiato per due e illuminato da un fascio di luce arancione. Più in là, sullo stesso 332/564 bancone, alcuni vassoi nascosti sotto coperchi d’argento. Posate, piatti e bicchieri sono essenziali e lucidi come strumenti di precisione. Effettivamente sembra il set di un esperimento, più che di una cena. «Questo è il tuo posto.» Leonardo mi sfila il soprabito e mi fa sedere su uno degli sgabelli, poi siede a sua volta. «Non mi era mai capitato di mangiare nella cucina di un ristorante. Anzi, penso proprio di non esserci mai entrata» dico, guardandomi intorno incuriosita. «Dovresti vederla di giorno, piena di persone, di rumori, di movimento. Ma io la preferisco di notte, quando è vuota e silenziosa.» Lascia scorrere lo sguardo sul mio vestito. «Sei molto elegante» osserva, appagato. Poi si sofferma sul collo. «E quel segno?» «Me l’hai fatto tu…» e istintivamente mi copro con una mano. Leonardo me la sposta 333/564 e, allungandosi verso di me, ci posa sopra le labbra calde e morbide. «Sei anche affamata?» chiede poi, porgendomi un aperitivo a base di fragole e champagne. «Abbastanza» rispondo, mentre i nostri bicchieri si toccano tintinnando. In realtà ho una morsa allo stomaco. Vorrei lui, non il cibo. Mi bagno appena le labbra e poi poso il flûte sul bancone. «Quello devi berlo tutto» mi rimprovera sornione e minaccioso insieme. «Non posso. Mi gira la testa già al secondo sorso, lo so.» «Bene. Mi toccherà riportarti a casa in spalla un’altra volta.» Sorride, ma dal suo sguardo capisco che non posso rifiutare. Mi faccio scivolare un sorso di aperitivo sotto la lingua e, non appena scende giù, lo stomaco mi si accartoccia 334/564 come una foglia secca. Brucia, ma devo riconoscere che è buono. «Non è proprio solo un sacrificio, vero?» mi chiede, bevendo a sua volta. Annuisco e continuo a sorseggiare lo champagne. Leonardo prende un cubetto di ghiaccio dal cestello e me lo strofina sul collo, poi traccia una scia fino alla curva del seno e ci passa sopra con la lingua. Il mio corpo è immediatamente percorso da un brivido, i capezzoli s’inturgidiscono, reclamano una lingua, dei denti che li tormentino. Ma non è ancora il momento, la mia voglia deve attendere. Lui ha qualcos’altro in mente. «Stasera, Elena, sarà il palato a guidare il tuo piacere» mi sussurra. «Voglio che dimentichi i tuoi gusti e le tue abitudini e che provi tutto, anche cibi che non ti piacciono, o che non ti sono piaciuti fino a ora.» Mentre parla, solleva il coperchio d’argento da un piatto colmo di ostriche marinate. Ecco cos’ha 335/564 in mente: vuole distruggere i miei tabù a tavola. Ma non ci riuscirà. «Ti prego, no» lo imploro con gli occhi socchiusi. Non so se posso farcela. A un certo punto della mia vita, quando ero ancora adolescente, ho cominciato a percepire tutto ciò che era vivo come qualcosa di non commestibile. Insomma, da allora per me mangiare la carne di qualsiasi animale è come avere la morte nello stomaco. Sarò un po’ melodrammatica, me ne rendo conto, ma è così. «Le ostriche le ho già assaggiate. E ti assicuro: mi fanno vomitare» dico nella speranza di impietosirlo. Scuote la testa, impassibile. «Le esperienze passate non contano, adesso. Lascia che siano solo i tuoi sensi a giudicare. Qui e ora.» Con decisione afferra un’ostrica e me la accosta alle labbra. Esitante strappo il mollusco con i denti e sento la carne molle sciogliersi tra la lingua e il palato. Sembra ancora viva. E non sa di morte, come temevo, 336/564 ma di mare, un gusto sfacciatamente femmineo e intrigante. Mando giù un po’ stupita e scopro solo adesso un retrogusto di arancia candita. «L’accostamento con i canditi è un mio segreto.» Leonardo mi guarda come se fosse consapevole di ogni mia sensazione mentre ne mangia una a sua volta. «Hai visto? Sei sopravvissuta… forza, prendine un’altra.» Esitante, scelgo un’altra conchiglia e stavolta stacco il mollusco con la lingua, come se stessi dando un bacio lascivo. Mi sento risucchiata dal suo sguardo magnetico ma la cosa non mi inibisce, anzi, mi eccita. Senza smettere di guardarmi, afferra una bottiglia di Valpolicella già aperta e ne versa in due calici alti. «Ora assaggia questo.» Bevo il vino denso e scuro. È forte, aromatico, scalda il cuore e poi sale a portare scompiglio nella testa. Leonardo si alza a 337/564 prendere altri due piatti, mentre io scivolo in una piacevole ebbrezza. Osservo il suo corpo imponente muoversi con sorprendente agilità e un sorriso senza senso mi affiora sulle labbra. Quando lui si volta, tento di dissimulare appoggiando il mento su una mano. «Sei già brilla… ma mi piaci anche così. E non provare a nasconderlo» mi rimprovera tornando verso di me con l’aria di chi ha colto un bambino con le mani nella marmellata. Posa i piatti sul bancone e mi studia: «Sei bellissima con le guance rosse e gli occhi lucidi». D’istinto mi specchio nel riflesso del vassoio che copre il piatto e mi accorgo che ha ragione: il mio colorito ha acquistato sfumature rossastre soprattutto sugli zigomi e il mio sguardo ha una luce strana, un po’ liquida. Ma la cosa mi diverte. Sto ancora analizzando la mia immagine, quando Leonardo solleva il vassoio e scopre il piatto. Una tartare di carne rossa si mostra in tutta 338/564 la sua sfacciata mostruosità: inorridisco. Mi ritraggo d’istinto, cercando di reprimere una smorfia di disgusto mentre l’odore del sangue, misto alle spezie, invade le mie narici. Guardo Leonardo smarrita e lui annuisce, inflessibile. «Sì, Elena. Devi mangiarla. Cruda.» Bevo un altro sorso di vino, per farmi coraggio. Magari serve a prepararmi ai sapori forti, penso. Ma non ce la faccio, è troppo per me. Deglutisco saliva. «Non provare a immaginare che gusto ha» mi suggerisce Leonardo, «scoprilo e basta.» Poi infilza la forchetta nella sua tartare e ne assaggia un pezzo, intinge due dita nella salsa allo zenzero e me la spalma sulle labbra. Mi pulisce passandoci sopra la lingua, che in un attimo si fa strada nella mia bocca umida di voglia. Insieme al suo sapore sento, sottile ma insistente, quello della carne mista allo zenzero. 339/564 Prende una forchettata dal mio piatto e me la porta alla bocca. Oppongo una misera resistenza ed ecco quel sapore violento e sanguigno sul palato. Quasi per riflesso condizionato mastico e mando giù, ma lo stomaco si ribella, si contorce in uno spasmo. Svelta, cancello tutto con un sorso di vino. Leonardo studia ogni mia reazione. «Avanti, Elena. Riprova. Se qualcosa non ti piace al primo assaggio non è detto che non possa piacerti al secondo. Non c’è niente di innato o istintivo nel piacere: bisogna arrivarci piano, conquistarlo.» Abbasso lo sguardo sul piatto, stringendo i pugni. Poi, per un atto di pura volontà, afferro la forchetta e prendo un altro boccone. Stavolta assaporo la carne più a lungo, respirando con calma. Non so se sia buona o no, ma sa di proibito, ha il gusto ambiguo delle regole infrante. A poco a poco mi faccio coraggio, ne prendo ancora. E ancora. Non riesco a crederci: sto mangiando carne, dopo 340/564 anni, dopo averne scordato persino l’odore, ed è un gesto animale, feroce, primitivo. Lo faccio perché Leonardo me lo chiede e perché è così che anch’io mi sento, sotto il suo sguardo famelico: carne, preda, istinto. E devo ammetterlo, mi piace. Questo nostro mangiare uno di fronte all’altra e guardarci e bere vino è già fare l’amore. È come se ci nutrissimo l’uno dell’altra. Abbiamo finito la tartare e Leonardo sta già condendo con olio e peperoncino un’insalata di finocchi, arance e olive nere. Poi la gira con le mani. Mi bracca con gli occhi e io non scappo, aspetto che venga a prendermi, senza fretta. Mi sento audace e indifesa allo stesso tempo, in uno stato di abbandono e onnipotenza. È lui o il vino? Non lo so più, e non m’importa. Ho perso il controllo e non voglio ritrovarlo, qualsiasi cosa abbia in mente, voglio che la faccia. Mi mette un po’ d’insalata nel piatto e mentre l’assaggio si fa più vicino. Il fuoco del 341/564 peperoncino mi scende in gola, mischiandosi all’acre dell’arancia, all’amaro dell’oliva e al fresco del finocchio. «Preparati, Elena, perché la prossima cosa che mangerò» Leonardo mi soffia sul viso «sei tu.» La sua mano scivola sotto la gonna, supera il bordo delle calze autoreggenti, fino a raggiungere gli slip. S’insinua lasciva sotto l’elastico e mi penetra senza riguardo. La forchetta mi cade di mano e resto senza fiato. Tra le mie gambe il peperoncino rimasto sulle sue dita irrita, accende come un fuoco. Cerco di sottrarmi, completamente spiazzata, ma Leonardo mi blocca. «Non scappare, è inutile» mi intima. Quindi mi sfila le mutandine e le fa cadere a terra, mi divarica le gambe allontanando le ginocchia con le mani e si accovaccia davanti a me. La sua bocca si unisce al mio sesso in un bacio famelico. Succhia, assapora, lecca. 342/564 Adesso il pungente della sua barba ispida e rossiccia diventa tutt’uno con quello del peperoncino, e io mi afferro con le mani al bordo del bancone, sopraffatta da questo dolce tormento. Leonardo riemerge a un tratto per guardarmi, quasi volesse ammirare l’effetto che ha su di me. «Non ti fermare, per favore…» lo supplico. Voglio che continui a divorarmi in quel modo sublime. Le sue labbra umide e rosse si piegano un istante in un sorriso perverso, poi tornano a posarsi sul mio clitoride, mentre gli occhi restano incollati ai miei e la lingua ricomincia a farsi spazio e ad accarezzare. La sua bocca sul mio sesso, le sue mani sulle mie cosce, il suo sguardo nel mio. È un paradiso di lussuria che non avrei mai pensato di conoscere. Porto due dita alla bocca e comincio a succhiarle, mugolando e dimenandomi senza più freni. L’incendio divampa sempre più potente, arrivo all’apice del piacere reclinando 343/564 la testa all’indietro e lanciando un urlo profondo, poi crollo sul bancone, tra piatti e posate. Leonardo si rimette in piedi, passandosi la lingua sulle labbra. Lo vedo mentre riemergo dal mio orgasmo con gli occhi ancora annebbiati. Trovo la cosa sensuale e divertente insieme. Poi i nostri sguardi s’incrociano, ci sorridiamo e ci mettiamo a ridere. Se è stato il vino a regalarmi questa sensazione di pienezza e felicità, rimpiango tutti questi anni di stupida astinenza… Ma non credo sia solo questo. Adesso che Leonardo mi abbraccia e mi bacia, lo so con certezza. «Sei bella. E quando ridi lo sei ancora di più» mi sussurra. Le viscere mi si aggrovigliano all’istante e prima che possa controllarmi mi ritrovo a desiderare che mi tenga così per sempre. 344/564 Dopo un po’ mi scosta da sé e mi prende il viso tra le mani. «La cena non è ancora finita. Manca il dessert. Te la senti?» «Sì.» Avrei risposto così qualunque cosa mi avesse chiesto. Estrae dal frigorifero una bottiglia, e quando la posa sul bancone leggo il nome sull’etichetta: Picolit. «Questo è un vino che amo molto» mi dice mentre lo apre. «Viene da un vitigno raro. Per un difetto congenito solo pochi acini arrivano a maturazione. A vederli, i grappoli sono scarni, sembrano malati, non diresti mai che ci si possa tirar fuori qualcosa di buono. E invece senti qua» conclude versandomene un po’. Ne prendo un sorso e quello che sento è una struggente dolcezza. «È squisito» commento. «Questo vino è la prova che anche nell’errore e nel difetto può nascondersi 345/564 qualcosa di sublime. Basta avere la pazienza di scoprirlo.» Mi posa un bacio sulla bocca con le labbra morbide, poi dalla tasca dei pantaloni estrae il suo fazzoletto di seta. Per un momento penso che voglia bendarmi di nuovo, ma lui si affretta a rassicurarmi. «Non preoccuparti, non è per gli occhi, stavolta.» Mentre mi parla con quella sua voce irresistibile, mi gira per legarmi i polsi dietro la schiena. Poi beve un sorso di vino e mi accosta il bicchiere alle labbra. Bevo come se fosse ormai la cosa più naturale del mondo. Dal freezer tira fuori un vassoio. Dopo averlo innaffiato di Picolit, me lo mette davanti. Un cilindro di sorbetto al cioccolato fondente in tutta la sua peccaminosa bellezza. «Coraggio. Assaggialo.» Un sorriso beffardo si disegna sul suo viso. 346/564 Mi chino in avanti e inizio a leccarlo, prima piano, poi con voracità crescente. Sento il cioccolato sciogliersi sotto il calore della lingua. Leonardo mi abbraccia da dietro e mi accompagna in questa danza lenta. Sento il suo sesso duro contro le natiche, il petto muscoloso preme contro la mia schiena, mentre la lingua mi scivola leggera sul collo. Avverto il peso e l’assenza improvvisa di ogni pensiero. Il Picolit ha ravvivato la mia ebbrezza e Leonardo ha riacceso il desiderio. All’improvviso si stacca da me. Vedo con la coda dell’occhio che si toglie la camicia e i pantaloni, poi mi solleva il vestito con calma. Sotto sono già nuda e bagnata e quando mi penetra mi spalanco per accoglierlo. È inebriante sentirlo dentro di me, è come accogliere l’universo intero. Il suo sesso vorace si nutre del mio. Mi sembra di essere già lì lì per esplodere e non vedo l’ora, ma allo stesso tempo desidero che duri per sempre. Esce ed 347/564 entra in me seguendo le note di una musica veloce e i miei fianchi hanno voglia di muoversi e accompagnare il suo movimento. Presto mi perdo in un nuovo orgasmo, in un deliquio di saliva, sudore e gemiti. Leonardo non mi dà quasi il tempo di riprendermi, mi slega le mani e mi fa voltare. «Adesso tocca a te, Elena» dice, mettendomi una mano sul suo sesso eretto e appoggiandosi al bancone. Con un po’ di esitazione comincio ad accarezzarlo, prima piano, poi sempre più forte. M’inginocchio davanti a lui e mi bagno labbra e lingua con un po’ più di saliva. Il suo sesso mi sta chiamando a sé. Lo afferro alla base, tendendo la pelle con il pollice e l’indice, mentre con la mano libera gli accarezzo l’interno delle cosce e i testicoli. Lo lecco due volte, lasciando scendere la mia saliva lungo la linea del fuoco, poi inizio a succhiarlo. 348/564 Leonardo mi tiene dolcemente la testa e comincia a scivolare piano avanti e indietro nella mia bocca, assecondando il mio oscillare. Sta crescendo in me, solleticando il mio piacere liquido. Mentre salgo verso l’alto, faccio qualche piccola torsione con la testa, poi mi concentro sulla sommità, posando la punta della lingua sotto il bordo inferiore del glande e premendo dolcemente sul frenulo. «Sì, Elena, così» geme. «Mi piace quello che stai facendo.» Lo guardo. Ha gli occhi e la bocca socchiusi. Sta godendo. Anche a me piace sapere di poter prendere quest’uomo grande e possente e ridurlo a un grumo di piacere. Mi fa sentire potente. Continuo così fino a quando Leonardo libera un gemito più forte e io sento che sta venendo. Lascio che lo faccia nella mia bocca e accolgo il suo getto caldo mentre il sesso pulsa ancora tra le mie labbra. Quando ha finito, mi stacco dolcemente, lui mi prende per 349/564 le spalle e mi fa alzare, mi stringe per la vita e mi guarda. Ho ancora il suo sperma in bocca. Non l’ho mai fatto, ma stavolta mi domando come sarebbe ingoiarlo. Perciò smetto di immaginarlo e lo faccio, semplicemente. È dolciastro e viscido, ma ha anche un gusto conturbante, come ogni parte di Leonardo. Adesso lo so. Non sono io. O forse sì, questa sono io, e devo imparare a scoprirmi, a fare i conti con questa Elena che sembra abbia dormito per ventinove anni dentro di me. Lui mi sorride quasi stupito, poi posa la fronte sulla mia. «Ora conosci anche il mio sapore, Elena» e mi riempie la bocca con un bacio. Appoggio la testa al suo petto e ascolto il cuore battere. È un suono calmo, regolare, potrei stare a sentirlo per ore. Mentre ci stiamo rivestendo, ripenso ai giorni passati senza Leonardo, alla freddezza 350/564 di quel distacco, e poi alla profonda intesa che c’è adesso tra noi, alla naturalezza con cui ci siamo ritrovati. Vivo sempre una sorta di spaesamento con lui: gli ho affidato la mia vita più intima e segreta, eppure continuo a non conoscerlo. È come se avesse una doppia anima, un lato solare ed edonista, quello che ama mostrare, e un lato misterioso, un’ombra nera che tiene gelosamente nascosta, ma che gli resta inevitabilmente incollata addosso e che solo chi non lo conosce bene può non vedere. Mi giro a guardarlo e l’occhio mi cade su quello strano tatuaggio che ha tra le scapole. Mi avvicino e lo sfioro con le dita, so che lì è custodito il suo segreto. «Quando te lo sei fatto?» azzardo. Il suo volto si rabbuia all’istante e diventa di pietra. «Non voglio parlare di questo» risponde, seccato e cupo. 351/564 «Ma così non fai che aumentare la mia voglia di sapere» gli faccio notare. «Lo so. Ma purtroppo quella dovrà restare insoddisfatta» e si rimette svelto la camicia. Poi d’un tratto mi fissa, come se ritenesse necessaria una precisazione. «Ci sono cose che voglio tenere per me, Elena. Non c’è bisogno che sappiamo tutto l’uno dell’altra.» Tra noi può esserci sesso, nient’altro, è questo che mi sta dicendo. Mi cucio la bocca, non voglio fargli capire che faccio fatica ad accettare questa condizione. La cucina è diventata improvvisamente gelida. «Dài, ti accompagno a casa» mi dice tornando a essere gentile. Ma si capisce che ha fretta di andarsene. Senza perdere tempo m’infilo il soprabito e lo precedo verso l’uscita a passi svelti. Prima che possa aprire la porta, però, mi afferra per un braccio e mi tira a sé. «Senti, 352/564 Elena… mi dispiace se sono stato brusco.» Mi stringe così forte che quasi mi fa male. Interdetta, sollevo lo sguardo sul suo volto e ci trovo un’espressione sofferta che non gli avevo mai visto prima. «Ma tu devi farmi una promessa.» «Quale?» «Che non t’innamorerai mai di me.» Perché mi stai dicendo questo, adesso? La domanda la faccio in silenzio, più a me stessa che a lui, mentre me ne sto lì a fissarlo con gli occhi sbarrati. «Lo dico per te…» continua Leonardo, affondando le dita nelle mie braccia. «Perché io non m’innamorerò di te. E se un giorno mi accorgerò che sei troppo coinvolta, sarà tutto finito. Ti giuro che non avrò ripensamenti.» Deglutisco per cercare di sciogliere il nodo che ho in gola. Mi calo nel ruolo di donna forte ed emancipata. Ho anch’io il mio orgoglio. 353/564 «Va bene, eri stato chiaro fin dall’inizio» dico, sperando di risultare tranquilla e sicura. «Allora, prometti» mi strattona, senza allentare la presa. «Sì, te lo prometto.» Finalmente mi lascia e insieme usciamo all’aria aperta. Mi massaggio le braccia e lo seguo silenziosa, lungo la calle. Certo che non m’innamorerò, mi dico, mentre una rabbia impotente mi contorce le viscere. Non so niente di lui, è sfuggente, lunatico, perfino brutale. E io sono una donna indipendente, perfettamente in grado di portare avanti una relazione sessuale senza complicare tutto con i sentimenti. Andrà avanti ancora per un po’ e poi ognuno per la sua strada, come ci eravamo detti fin dall’inizio. Non m’innamorerò di lui. Non m’innamorerò di lui. 354/564 Me lo ripeto ancora e ancora, fino a quando le parole non perdono significato e la mia non rimane che una vuota preghiera. 11 Sto tornando a casa dal cinema. Al Giorgione davano il terzo film di una rassegna dedicata a Tornatore e ci sono andata, da sola. Soltanto Filippo sarebbe riuscito a sorbirsi le due ore e mezza di Baarìa insieme a me, ma lui non è qui e io lo sento sempre più lontano. I nostri rendez-vous su skype si sono un po’ diradati negli ultimi tempi, soprattutto per colpa mia. La sua lontananza fisica si riflette anche nei miei pensieri, e ogni tanto ho come l’impressione di aver cominciato a dimenticare il suo volto, di non ricordare più nemmeno la sua voce. 356/564 Nella mia mente c’è un pensiero dominante, adesso: Leonardo. Tutto mi riporta a lui, è con me qualsiasi cosa io faccia. Non riesco a liberarmene. Mentre ero in sala e mi lasciavo rapire da quei paesaggi bruciati dal sole, da quei volti scavati dal vento, non ho potuto non pensare alla Sicilia. Alla sua terra. Chissà che facce hanno i suoi genitori, i suoi amici, qual è il paese in cui è nato e cresciuto. Perché sto sognando di andarci, un giorno? Magari insieme a lui? Basta. Sto viaggiando con la fantasia e non va bene. Non posso lasciarmi sedurre dall’idea dell’innamoramento. Devo mantenere il controllo della situazione, razionalizzare, separare cuore, mente e corpo. È passato più di un mese da quando l’abbiamo fatto la prima volta e non so come andrà a finire, forse molto male per me. Ma non ho intenzione di rinunciare a lui, voglio viverla fino in fondo quest’avventura. 357/564 Sono le dieci di sera, fuori fa freddo, le luci natalizie che illuminano i palazzi si riflettono nei canali. Mancano quindici giorni a Natale e non mi sembra vero, il tempo è letteralmente volato. Sento un fischiettio nella calle, poi una voce maschile – «A n’vedi!» – seguita da un chiacchiericcio malizioso. Due ragazzi con un marcato accento romano mi passano accanto e, dopo avermi sfacciatamente spogliata con gli occhi, mi sorridono compiaciuti e si mettono a parlottare tra loro, dileguandosi alle mie spalle. Mi è capitato anche l’altro giorno con un tizio che passava per strada e si è voltato incrociando i miei occhi. La cosa mi ha sorpresa, non ci sono abituata. Prima di Leonardo non mi succedeva così spesso, forse perché ero io a evitarlo inconsciamente, tenendo in qualche modo le persone a distanza. Non sono più la stessa, ho addosso un’energia nuova, sensuale. E devono essersene accorti anche gli altri, perché mi pare 358/564 che mi guardino in modo diverso. Io stessa mi guardo allo specchio quasi compiacendomi dell’immagine che riflette – non sono più quella di prima, ma mi piaccio. Questo è certo. Il mio corpo nudo non è più una visione da evitare, ma qualcosa di intimo e familiare, un paesaggio che abito senza più inibizioni. E non ho più paura di metterlo in mostra o di usarlo per provocare: lingerie in pizzo nero, scarpe con il tacco, un trucco leggero o i vestiti scollati non sono più un tabù per me. È stato Leonardo a farmi riscoprire una femminilità a cui prima non facevo caso. Volendo a tutti i costi essere donna per lui, lo sono diventata anche per me stessa e per gli altri. Prima di ritornare a casa, faccio una piccola deviazione, allungando il percorso di qualche centinaio di metri. A passi lenti mi avvicino al retro del palazzo di Brandolini, solo per avere la sensazione di essere più vicina a lui. Da qui riesco a vedere le stanze di 359/564 Leonardo al piano superiore. C’è luce dentro. Ho la tentazione di suonare il citofono, ma so che così verrei meno al nostro patto. Aspetto sempre che sia lui a chiamarmi, che sia lui a farmi la proposta indecente, e in certi momenti queste attese mi pesano da morire perché io avrei voglia di vederlo sempre. Alzo lo sguardo verso quelle finestre, in contemplazione. Dài, Leonardo, affacciati e dimmi che mi vuoi. Sono qui per te. A un tratto vedo passare dietro i vetri un’ombra nera, ma non è la sua. È la sagoma di una donna, lo capisco dalla curva del seno e dalla chioma lunga e fluente. Una donna nuda… la violinista! Sono sicura che è lei. Il cuore salta un battito e il sangue smette di circolare nelle vene. Non sto sognando, sta accadendo tutto sotto i miei occhi. Con un nodo in gola e le gambe che tremano percorro la calle che sbuca sul Canal Grande, quasi prefigurandomi la sorpresa 360/564 con cui dovrò fare i conti. E infatti è proprio come immaginavo: sul pontile davanti al palazzo è attraccato il motoscafo bianco. Quel motoscafo. Mi sento come se avessi preso uno schiaffo in piena faccia. Stringo i pugni con tutta la forza che ho, affondando le unghie nei palmi. Vorrei piangere, ma le lacrime non scendono, strozzate nel grumo di rabbia che mi cova dentro. Non sei l’unica, Elena. Non aspettarti che io ti sia fedele. Le parole di Leonardo mi risuonano nella testa come un mantra. Insopportabili. Lui mi aveva avvertita, è stato chiaro da subito. Ma sono lo stesso fuori di me e il fatto di essere stata preparata non attutisce il colpo. Un pugno è un pugno e fa male anche se lo hai visto arrivare. Avrei voglia di cospargerle il motoscafo di benzina, a quella stronza, e poi buttarci sopra un cerino acceso, come nei film. Oppure di attaccarmi al campanello per 361/564 interrompere il loro idillio e ricoprirli d’insulti entrambi. Invece me ne vado, raccolgo i pezzi e batto in ritirata, ferita e impotente. Sono passati lunghi giorni e notti ancora più lunghe da quella sera. Leonardo è scomparso di nuovo e io evito di andare al lavoro negli orari in cui lui è al palazzo. Non so più cosa pensare. Forse non dovrei proprio pensare. I desideri incontrollati di vendetta o, peggio, di rivendicazione a lungo andare hanno lasciato spazio a una profonda tristezza. Nonostante tutto Leonardo mi manca e la sua assenza mi ferisce più di ogni altra cosa. Non voglio credere di averlo perso per sempre, non posso accettare che quella donna me l’abbia portato via. Ogni notte mi addormento pensando a lui, sapendo già che i suoi occhi neri infesteranno i miei sogni. Lo odio, ma dimenticarlo è impossibile. 362/564 Poi, una mattina, quando ormai non ci spero più, ricompare all’improvviso. È quasi mezzogiorno e sto facendo una rifinitura sull’affresco. L’iPhone nella tasca della mia tuta squilla una volta. Un nuovo sms. Alle 17 ai Mendicoli. Ti voglio in gonna e autoreggenti. È Leonardo, dannatamente sicuro di sé, come sempre. Le mani mi tremano un po’ mentre digito la risposta. Aspettami. Ci sarò. Cos’altro avrei potuto rispondergli? Che sono stufa di lui e non voglio più vederlo? Non è vero, dunque mentire a me stessa non servirà a niente. Così, su due piedi, decido che gli lascerò condurre il gioco, del resto non ho molta scelta. Non farò scenate, non avanzerò inutili pretese, ma ho bisogno di guardarlo negli occhi per capire se qualcosa è cambiato nel 363/564 patto che c’era tra noi. E, soprattutto, se sono davvero in grado di accettarne le condizioni. Manca poco alle cinque e il buio è quasi calato del tutto. Non so perché Leonardo abbia voluto darmi appuntamento proprio a San Nicolò dei Mendicoli, uno degli angoli più dimenticati della città. Siamo in pochi a conoscerlo, ma io l’ho sempre trovato molto suggestivo, uno di quei luoghi che ti restano impressi per la loro estraneità dal resto del mondo. Quando frequentavo l’Istituto di Architettura ero costretta a passare di lì per raggiungere la sede delle lezioni. Ogni tanto, all’inizio dell’estate, per ripararmi dalla calura insopportabile mi rifugiavo in chiesa e me ne stavo seduta al fresco a leggere un libro, lasciandomi cullare dalla musica sacra che arrivava ininterrottamente dal pulpito dietro l’altare. Da quel che mi risulta, questa è l’unica chiesa di Venezia dove un disco registrato gira ventiquattr’ore su ventiquattro, 364/564 saturando l’aria di note celestiali. Ma ancora mi sfugge il motivo per cui Leonardo abbia scelto il campo dei Mendicoli, anche se forse un motivo preciso non c’è. Spero solo che sia puntuale, perché vestita in questo modo non resisterò a lungo: le autoreggenti non sono certo le calze ideali per questo clima, ormai invernale. Nonostante mi sia bardata con il cappotto da zarina lungo fino ai piedi, mi sento nuda e il freddo umido mi risale sulle gambe, inondandomi la schiena di brividi. Leonardo è in orario. Non sono neanche le cinque e lui è già lì. Ha lo sguardo perso nell’orizzonte, il corpo coperto da un lungo pastrano stile Keanu Reeves in Matrix. Appena mi vede, si precipita verso di me e mi saluta con un abbraccio e un bacio impetuoso. «Sei sempre più bella… mi sembra di incontrare ogni volta una donna diversa» dice, radiografandomi dalla testa ai piedi. 365/564 Lo scruto. I suoi occhi scuri sono sempre gli stessi, emanano quella luce calda che scioglie il ghiaccio intorno al cuore. Essere di nuovo tra le sue braccia è come tornare a casa. «Perché ci vediamo qui?» domando, distogliendo lo sguardo verso il campanile della chiesa, che ora batte le cinque. «Perché mi piace. Questo posto l’ho scoperto per caso qualche giorno fa, andando al pontile di Santa Marta per ricevere un carico di merce.» Si guarda intorno, scaldandomi il viso con entrambe le mani. «È bello, sembra un po’ fuori dal mondo.» «È vero.» Abbiamo gli stessi pensieri. Devo iniziare a preoccuparmi? Poso le mie mani sulle sue e per un istante dimentico quella donna nuda alla finestra della sua camera, i pensieri tristi degli ultimi giorni e gli incubi che hanno popolato le ultime notti. Quando mi bacia so soltanto una cosa: che mi vuole ancora. E anch’io lo voglio. 366/564 Restiamo fermi all’angolo a baciarci un po’, prima di entrare nell’enoteca qualche metro più avanti. Non ho voglia di vino, ma Leonardo ha insistito perché entrassimo. La sua mano si posa sulla mia schiena e scende rapida sul sedere mentre mi spinge verso il bancone. Il locale è quasi deserto, così gli occhi curiosi del gestore sono tutti per noi mentre ci sediamo sugli sgabelli. Anche se dentro di me muoio ancora di gelosia, godo delle effusioni di Leonardo, delle sue dita tra i miei capelli, delle sue gambe allacciate alle mie. Guardiamo la carta dei vini e poi scegliamo un Pinot grigio. Leonardo paga, con i calici in mano sgusciamo all’esterno e usiamo il muretto che costeggia il canale come tavolo d’appoggio, alla maniera dei veneziani. Sono abbastanza rilassata, adesso, ma basta uno sguardo troppo insistente di Leonardo su una ragazza che ci passa davanti perché un rigurgito di gelosia torni ad 367/564 avvelenarmi il sangue. Ero partita con l’idea di non fare scenate ed ero convinta che avrei mantenuto fede al mio proposito, ma è davvero dura. Bevo un sorso di vino e riappoggio il calice sul muretto guardando verso l’altra sponda. Il mio volto è serissimo, lui se n’è accorto. «Che c’è?» domanda, scuotendo la testa. «L’ho vista, sai…» E il nodo di rabbia che avevo dentro si scioglie all’istante, riversando fiele nello stomaco. Leonardo cade dalle nuvole. «Chi hai visto?» «Smettila, dài. Non c’è bisogno di bugie inutili tra noi, no?» Mi volto verso di lui con occhi fiammeggianti. «La tua amante, ho visto. Nella tua stanza, un po’ di sere fa.» Faccio un sospiro e indietreggio di qualche passo. Leonardo strabuzza gli occhi, poi sul suo viso ricompare subito un’espressione calma e 368/564 rilassata. «E così ti sei messa a spiarmi» sghignazza. «Attenta a cosa potresti scoprire, Elena» e mi accarezza il naso con l’indice. Afferro la sua mano e l’allontano da me bruscamente. «Almeno dimmi chi è, cosa significa per te…» «Si chiama Arina» precisa. «… Arina o come diavolo si chiama!» L’immagine di quella donna mi si para davanti e mi sento irrimediabilmente piccola e perdente. La sicurezza che credevo di aver conquistato negli ultimi tempi svanisce in un secondo. «Hai continuato a vederla per tutto questo tempo?» gli domando. «Certo che ho continuato a vederla, è una mia amica. Ma siamo andati a letto solo un paio di volte» dice in tono provocatorio, con una pacatezza che mi dà sui nervi. La facilità con cui ottengo risposta mi spiazza. Leonardo non ha niente da 369/564 nascondere perché non mi deve niente, è questo il punto. Gli occhi mi diventano lucidi e bruciano per le lacrime di rabbia che trattengo con una determinazione d’acciaio. Lui mi attira a sé afferrandomi per un fianco, e mi tiene il viso con una mano. «Elena, non fare così. Vuoi sapere cos’è quella donna per me? È un’avventura, un viaggio, come ogni altra…» «E io? Sono anch’io uguale alle altre?» «No, non lo sei.» Mi guarda dritto negli occhi. «Perché ogni viaggio è diverso, ognuno bello a suo modo.» «Ma non ti basto.» Dritta al punto. «Perché ragioni così? Non capisco perché arrivi a trarre queste conclusioni… Se tu avessi altri amanti, io sarei felice per te, non avrei niente da ridire.» Sembra quasi alterato dalla mia rigidità. «La gelosia è una gabbia che ti dà solo l’illusione di possedere l’altro. Ma i desideri non li puoi imprigionare» 370/564 sentenzia mentre mi fa prigioniera del suo abbraccio. Vorrei divincolarmi e tempestarlo di pugni. Odio lui e la sua libertà e allo stesso tempo lo invidio. Vorrei essere capace anch’io della sua apertura mentale, ma è difficile liberarsi dagli schemi che ormai si sono appropriati del tuo modo di pensare, dai modelli interiorizzati. D’altra parte, se adesso si mettesse a farmi grandiose promesse di fedeltà non gli crederei mai fino in fondo. Devo guardare in faccia la realtà: Leonardo non sarà mai solo mio, non potrò mai chiuderlo in un recinto. Posso solo sperare che nel suo girovagare continui a tornare da me. Camminiamo in direzione di campo Sant’Angelo. Io resto silenziosa e un po’ scostante, Leonardo mi cinge un fianco e aspetta che il broncio mi passi. A un tratto sollevo lo sguardo e scorgo una figura familiare a qualche metro di distanza. È Jacopo 371/564 Brandolini e sta venendo nella nostra direzione. Mi sciolgo rapida dalla presa di Leonardo, proprio mentre il conte si accorge di noi. Oddio, ci domanderà che ci facciamo qui e non abbiamo nemmeno il tempo per inventarci una storia! «Ciao, Jacopo!» lo saluta Leonardo, tranquillo come sempre. «Oh, buonasera.» Il saluto è rivolto a entrambi. Vedo gli occhi di Brandolini descrivere una curva fino al mio viso. «Come mai da queste parti?» Sposta il borsello di cuoio da una spalla all’altra e ci rivolge un sorriso sorpreso. Io rido nervosamente. «E lei?» domando. È un disperato tentativo di strappare due secondi. Sono terribilmente tesa, un disastro assoluto. «Vado dall’unico sarto decente che è rimasto in città. Mi fa le camicie su misura.» Effettivamente, ora che ci penso ha tutte le 372/564 camicie con le iniziali JB ricamate sul polsino. Cavoli, non riesco a smettere di muovere la gamba destra. Sono troppo agitata. Calmati, Elena. Non vi ha visti mentre eravate abbracciati. Respira. «Stavo tornando da Santa Marta, ero andato a controllare l’arrivo di un carico» dice Leonardo. È perfettamente padrone della situazione. «E ho incontrato Elena davanti alla chiesa…» «La chiesa di San Nicolò dei Mendicoli…» intervengo con slancio. «Il prete sta cercando un restauratore per un lavoro.» E tu ti presenti in minigonna, autoreggenti e stivali col tacco? Ragiona, Elena. Mi chiudo per bene il cappotto. «Sa, penso che per Natale avrò finito, al palazzo…» «Già, l’affresco è riuscito davvero bene, ha fatto un ottimo lavoro, Elena» ribatte Brandolini, apparentemente soddisfatto. 373/564 «Grazie.» Sto per aggiungere qualcosa per congedarmi, ma lui è più veloce. «Vi offro qualcosa da bere?» domanda, indicando un bar alle nostre spalle. Io balbetto e mugugno qualcosa d’incomprensibile. Poi sposto lo sguardo su Leonardo, implorando aiuto. «Grazie, ma devo proprio scappare al ristorante» si divincola con infallibile destrezza. «Magari un’altra volta.» Mi faccio coraggio e mi tolgo d’impaccio anch’io. «Io mi fermerei volentieri, ma devo ancora finire lo shopping natalizio, purtroppo.» È la prima scusa che mi salta in testa. Leonardo sta facendo di me una terribile bugiarda. «D’accordo, allora ci vediamo al palazzo» e ci congeda, stringendoci la mano. Ancora non capisco come faccia a portarsi a letto Gaia e a mantenere questa formalità con me 374/564 che, come immagino presuma benissimo, so tutto di loro. «Arrivederci» lo salutiamo. Rimaniamo a guardarlo finché non lo vediamo entrare nella sartoria sull’altro lato della fondamenta. Tiro un sospiro di sollievo. «Che coincidenza…» commenta Leonardo. «Venezia è piccola» aggiungo io restando sulle mie. «Ormai te ne sarai accorto.» Ma lui mi attira di nuovo a sé e mi scocca un bacio sulla guancia. Aver condiviso quella piccola recita ci ha inevitabilmente resi complici e ora si sente autorizzato ad annullare la distanza che avevo messo tra noi. Io mi giro subito indietro per controllare che Brandolini non sia ancora nei paraggi e lui ride della mia prudenza. «È andato via, stai tranquilla… E comunque non ci sarebbe niente di male se ci vedesse.» 375/564 «No, infatti. Ma io non ci tengo affatto a passare per una delle tue amanti» dico aggrappandomi al mio malumore e riprendendo a camminare. Con la coda dell’occhio lo vedo scrollare le testa e venirmi dietro con un’espressione tra il rassegnato e il divertito. Un po’ ci speravo. Camminiamo fianco a fianco ancora per un po’ e ci ritroviamo in calle dell’Avogaria. C’è un cartello su un muro: SCUOLA DI TANGO. Una volta ci sono stata insieme a Filippo, quando eravamo nella fase musicale Carlos Gardel. Una serata disastrosa. Dopo esserci massacrati i piedi di pestoni, entrambi avevamo capito di non essere affatto portati per il tango. Leonardo mi supera e si mette a camminare all’indietro in modo buffo, davanti a me. Che strano, in qualche modo anche questo è un tango. «Per quanto devi tenermi il muso, 376/564 ancora?» mi domanda cercando il mio sguardo. «Non lo so» rispondo imbronciata. «Sei una bambina, lo sai?» si ferma di colpo e io vado a sbattere contro il suo petto. Mi chiude tra le sue braccia forti. Sono in trappola. «Dammi un bacio e facciamo la pace» mi ordina ridendo. Un po’ scappa da ridere anche a me, ma mi trattengo. «No.» In realtà muoio dalla voglia di baciarlo. «Allora, me lo prendo da solo.» Mi bacia premendo la lingua contro i miei denti, che restano chiusi per protesta. Senza scoraggiarsi mi spinge contro il muro, s’insinua sotto il maglione e mi accarezza il seno. «Lasciami» dico senza troppa convinzione. «No.» 377/564 Le sue dita scorrono sulla mia pelle nuda e io vibro come uno strumento sensibile al suo tocco. Con la lingua lambisce il mio collo e sale su, disegnando spirali concentriche nelle mie orecchie. Mi sto sciogliendo in un lento, piacevole tormento e mi dimentico di tutto il resto. Finalmente mi arrendo e apro la bocca per lasciar entrare la sua lingua, con una mano gli accarezzo la nuca, mentre l’altra scivola sul suo sesso. Ha voglia di me, lo sento dentro la stoffa dei pantaloni. «Andiamo a casa» gli sussurro in un orecchio. Invece lui mi prende per mano e mi trascina fino a un portico che si apre su un lato della calle, quasi una piccola galleria che immette in una corte chiusa, sprofondata nel silenzio. Si muove con sicurezza, come se conoscesse questi posti. Nel portico c’è un vecchio portone incassato nel muro. Leonardo mi spinge contro il legno e, afferrandomi per 378/564 le natiche, preme il mio bacino contro il suo facendomi sentire la sua eccitazione. «Cosa vuoi fare?» gli domando temendo la risposta. «Quello che vuoi fare anche tu» risponde mordendomi il collo. «Qui?» «Perché no.» All’improvviso il mio cellulare squilla. Riesco a muovermi quanto basta per tirarlo fuori dalla tasca del cappotto e controllare chi sia, promettendomi di non rispondere comunque. Oddio, è Brandolini. Guardo Leonardo senza sapere che fare. «Rispondi» mi suggerisce lui con nonchalance. Eseguo un po’ preoccupata. «Pronto?» dico, cercando di sembrare naturale. «Elena, salve.» Il conte ha la solita voce pacata. Nel frattempo Leonardo infila una 379/564 mano sotto la mia gonna. «Prima dimenticavo di dirle che, se ha bisogno di una referenza con don Marco per il lavoro ai Mendicoli, posso intercedere. Lo conosco bene.» Non sono sicura di aver capito tutta la frase. Mi vuole raccomandare al prete? La mano di Leonardo accarezza leggera i miei slip, mentre l’altra stringe forte il mio seno sinistro. Trattengo un gemito. «Ah, grazie.» La mia voce è rotta dal desiderio. «Lo faccio con piacere. Ormai mi fido di lei.» «È molto gentile, ma preferirei aspettare. Non sono ancora sicura di quel lavoro… Scusi, ma non la sento bene…» Fingo che non ci sia campo. In realtà lo sento benissimo, ma ora la mano di Leonardo ha oltrepassato il pizzo degli slip e si sta facendo strada nel mio sesso umido. «Adesso devo proprio salutarla.» 380/564 «D’accordo, Elena» conclude Brandolini. «Ci vediamo nei prossimi giorni.» «Certo. Arrivederci.» «Sei andata benissimo» grugnisce Leonardo, cercando le mie labbra e continuando a spingere le dita dentro di me. Spengo il cellulare e lo lascio scivolare nella tasca del cappotto mentre lui fa scorrere la lingua tra i miei seni, in mezzo alla scollatura della camicetta, poi sposta una coppa del bustino nero e mi succhia un capezzolo. «Dài, ti prego. Può vederci chiunque…» provo a oppormi. «Lo so» mi zittisce, «è proprio per questo che siamo qui.» E così capisco che era tutto premeditato, uno dei suoi esperimenti: mi ha portata in questo posto per sottopormi a un’altra delle sue prove, per sfidare il mio senso del pudore. 381/564 La situazione ormai è completamente fuori dal mio controllo. Leonardo mi solleva un po’ la gonna, già corta di suo, e mi strappa via gli slip, lacerandone il bordo con le mani. Adesso sono nuda dalla vita in giù. Ho una paura folle che qualcuno possa scoprirci, ma l’idea allo stesso tempo mi eccita. Leonardo si slaccia i pantaloni e lascia uscire il suo sesso gonfio e duro. Mi spinge nell’angolo tra il portone e lo stipite di marmo e mi solleva una gamba. Con le mani mi afferra il sedere e in un attimo è dentro di me. Siamo entrambi coperti dal suo ampio pastrano, Leonardo resta immobile qualche istante, come per farmi assaporare la sua voglia, poi comincia a muoversi avanti e indietro, lentamente. Sto morendo di piacere. È un’agonia che vorrei non finisse mai, qualcosa che si apre piano dentro di me e risale lungo la schiena fin nella testa. Gemo, incapace di trattenere l’esplosione del mio godimento. 382/564 Leonardo continua a baciarmi la bocca e il collo, anche se sono mezza nuda nell’aria gelida, il suo corpo contro il mio sprigiona un calore immenso. A un tratto sentiamo delle voci avvicinarsi, ci blocchiamo di colpo, Leonardo mi spinge ancora di più contro il muro, rimanendo dentro di me. Respiriamo piano, i nostri volti sono vicinissimi e il mio cuore batte all’impazzata contro il suo petto. Due uomini passano nella calle e superano il portico senza accorgersi di noi. Guardo Leonardo terrorizzata, mentre lui sorride sfrontato. Non appena avvertiamo i passi allontanarsi, mi solleva l’altra gamba prendendomi praticamente in braccio e riprende a muoversi con ancora più vigore. «Cosa stiamo facendo, Elena?» Mi provoca. «Se ci vedessero, una brava ragazza come te…» mi sussurra diabolico. È tutto così folle, perverso, eccitante. Non capisco più niente, so solo che sto godendo. 383/564 E poi adesso, del resto, non m’importa più niente. Gli stringo le gambe intorno alla vita e gli afferro una ciocca di capelli ribelli, gemendo nel suo orecchio. «Maledetto.» Mi penetra con una spinta più violenta. Gemo, più forte di prima. Un nuovo, dolce tormento cresce dentro di me, con scosse profonde che mi fanno sussultare. Sento l’orgasmo avvicinarsi, scomposto e sfrenato. Senza riuscire a controllarmi, emetto un urlo rauco e potente che subito Leonardo blocca con la sua mano forte. Continuo a urlare nel suo palmo, incurante di tutto, mentre la vista si annebbia e una lacrima calda mi cola dall’angolo di un occhio. Leonardo viene subito dopo, esala un gemito cavernoso, sprofondando dentro di me e affondandomi la testa sul collo. Mi tiene ancora un po’ così, a cavalcioni su di lui, mi bacia dolcemente gli occhi chiusi, 384/564 senza muoversi, indugiando qualche istante. I nostri respiri affannosi adesso si mischiano ai suoni della città, che man mano riemergono: il motore di un vaporetto in lontananza, una finestra che sbatte da qualche parte, il vociare delle persone nel campo vicino. Quando mi desto da questo sonno estatico, Leonardo scivola piano fuori da me, sostenendomi mentre poso a terra un piede dopo l’altro. Un alone caldo si è sparso intorno a noi e sale verso l’alto, svanendo nell’aria umida dell’inverno. «Adesso sì, possiamo andare a casa» commenta, sorridendo. Sorrido a mia volta e scuoto la testa, rassegnata, divertita, stupita. Ci rivestiamo in fretta. Lui deve andare al ristorante e io me ne tornerò a casa. Mi abbasso la gonna e noto i miei slip a terra, strappati. Li guardo incerta e non mi azzardo a raccoglierli. 385/564 Leonardo lo fa per me e se li mette in tasca, prendendomi per mano mi conduce fuori dalla corte. «Stai meglio senza» mi dice strizzandomi l’occhio. Poi si esibisce in un bacio che si conclude con un morso. Non ho la forza per rispondergli. Quest’uomo mi disarma ogni volta. Devo rassegnarmi a fare la strada così, senza niente sotto, tranne l’odore del sesso. Va bene, Leonardo. Di nuovo, hai vinto tu. 12 Sono sveglia da un paio d’ore. Me la sono presa comoda con la colazione, cosa che non faccio quasi mai: mi sono preparata un buon caffè, ho tagliato un po’ di frutta di stagione e spalmato di Nutella un paio di fette biscottate. Posso dirmi soddisfatta. Ora sono seduta davanti al mio MacBook e ho un disperato bisogno che qualcuno mi dica cosa fare. Guardo fuori dalla finestra. Gli alberi di campo San Vio sono addobbati con fiocchi rossi e di notte risplendono di lucine gialle, mentre sull’ingresso della pizzeria campeggia una stella cometa luminosa e un 387/564 po’ kitsch con la scritta AUGURI. Il tempo è volato e mancano solo cinque giorni a Natale. Anch’io ho tirato fuori le solite decorazioni e ho sistemato il mio albero ecologico, ma quest’anno c’è una novità: ho dipinto le palline di vetro dell’Ikea con i versi d’amore di alcuni poeti famosi. È un albero di Natale romantico, una piccola concessione al mio cuore imbavagliato. Torno a guardare il computer. Un’unica immensa ragione mi spinge ad accenderlo, ora: Filippo. Non ho più risposto alla sua ultima mail. Non ce l’ho fatta. Peccato che dopo lui mi abbia riscritto diverse volte, domandandomi con sempre più insistenza che fine avessi fatto, invitandomi di nuovo a Roma. Sento di averlo tradito. Anche se non è il mio fidanzato e abbiamo deciso di comune accordo di non stare insieme, i sensi di colpa mi strozzano lo stesso la gola quando penso a lui. 388/564 Ho deciso. Ora gli scrivo. La pagina bianca si spalanca davanti a me e io lascio i pensieri liberi di andare dove vogliono mentre le dita li seguono docili. Da: Elena Volpe A: Filippo De Nardi Oggetto: Con il cuore Mio caro Fil, eccomi a scriverti di nuovo dopo un lungo silenzio. Non è stato un periodo facile per me. Potrei accampare delle scuse, ma sarebbe inutile mentirti: la verità è che dovevo trovare il coraggio di parlarti con tutta la sincerità che meriti. Fil, ho conosciuto un uomo del quale non posso più fare a meno. Non so spiegarlo a me stessa né tantomeno agli altri, ma voglio provarci. Non stiamo insieme, tra noi c’è un legame brutalmente carnale. Lui mi ha presa e mi 389/564 ha sconvolto la vita, si è messo in testa di farmi superare i miei blocchi e i miei limiti, quasi per sfida o per gioco, e io gliel’ho permesso. È successo che ho imparato a godere come non avevo mai fatto, che i miei sensi si sono risvegliati e adesso lo reclamano disperatamente. Mi ha liberata, in qualche modo, ma ora non riesco più a tornare quella di prima. È una sorta di ossessione, penso a lui in ogni momento della giornata e a ogni incontro il mio desiderio di rivederlo diventa più forte. Non pretendo che tu mi capisca, mi rendo conto che tutto ciò possa sembrare assurdo. Mi dispiace tantissimo, ma credo che per ciò che siamo, o per ciò che abbiamo immaginato di essere, vedersi a Roma sarebbe qualcosa di più che una semplice vacanza, sarebbe l’inizio di un rapporto che avrei voluto, ma che ora non riesco 390/564 più a immaginare. Non posso, Fil. Non posso davvero. Mi odierai, lo so, e non vorrai mai più rivedermi. Mi sta bene, me lo merito, e non farò niente per oppormi. Adesso ho solo bisogno di vivere questa cosa fino in fondo, ovunque mi porterà. Perdonami se dopo questa lettera sparirò di nuovo nel silenzio. Bibi Ho scritto di getto, quasi in uno stato di trance, ed ecco i miei pensieri nudi, messi quasi contro la mia volontà nero su bianco. Ho scritto più per me che per lui, ora mi è chiaro. Rileggo la mail ancora due volte e faccio un giro per il soggiorno, come per prenderne le distanze. Mi risiedo e il mio dito indugia sulla tastiera. Il tasto INVIO non mi ha mai fatto così paura. Se davvero leggesse questa 391/564 lettera, Filippo resterebbe ferito, ma almeno saprebbe la verità. All’improvviso un avviso di skype mi segnala che è on line. Dopo qualche secondo mi scrive un messaggio: Bibi, ci sei? Possiamo sentirci? Mi sento sporca, come se fossi stata sorpresa a rubare. Rispondo di sì e accetto la sua videochiamata. Non è a casa, da quel che vedo. Mi sta chiamando da un luogo di Roma che riconosco all’istante. «Buongiorno, Bibi! Vieni a prenderti un tè da Babington’s?» è la prima cosa che mi dice con quel sorriso che arriva dritto al cuore. I suoi occhi verdi luccicano al sole. Con che coraggio posso ferire questo principe azzurro? «Magari, Fil!» Mi assesto sulla sedia, un po’ a disagio. «Ma sei in piazza di Spagna?» 392/564 «Sì, seduto sulla scalinata.» Rotea il monitor e la vista panoramica su Trinità dei Monti si staglia davanti ai miei occhi in tutto il suo splendore. Sembra di stare in un film di cui lui è il regista. «Vedi?» «Che spettacolo! È sempre stupenda…» L’ultima volta ci sono stata proprio insieme a lui, in una gita di studio al terzo anno di università. «Allora, quando ti decidi a venire?» Eccoci. Sapevo che me l’avrebbe chiesto, ma non so cosa rispondergli. «Prima o poi…» dico, nascondendo il tormento dietro un sorriso. «Hai finito con l’affresco?» «Sì, oggi è l’ultimo giorno» sospiro. «E allora vieni per Natale, no?» «Ma tu non torni?» ribatto, ed è un misero modo per eludere ancora la domanda e prendere tempo. 393/564 «Il 27 lavoro, purtroppo» sbuffa, sollevando le spalle. «Dài, Bibi, vieni. Mi manchi, non mi trascurare…» Oddio, non riesco a sostenere il suo sguardo. Anche tu mi manchi, Fil, ma non allo stesso modo. Troppe cose sono cambiate da quando sei andato via. «Fil, non posso a Natale.» Ho un nodo in gola adesso, ma riesco ancora a controllarlo. «È che la Vigilia ho il cenone di famiglia…» cerco di convincerlo con un’espressione sofferta. «I miei ci tengono, lo sai come sono. Già li vedo poco…» «Ho capito… Natale con i tuoi…» dice con un sorriso rassegnato. «Sono io l’unico figlio stronzo che boicotta le riunioni di famiglia.» «Tu non sei stronzo.» «Dici?» «Sì.» L’unica stronza qui sono io. Sorride sornione, poi si volta all’improvviso, come se avesse visto qualcosa o 394/564 qualcuno. «Devo lasciarti, adesso. Sta arrivando l’assistente di Renzo Piano per discutere del progetto» e mi soffia un bacio con la mano. «Ok, buon lavoro, allora.» «Grazie, anche a te.» Mi guarda dritto negli occhi, come se volesse leggerci qualcosa. O forse è solo la coscienza sporca che mi rende paranoica. «Ci risentiamo per gli auguri di Natale… e comunque non mollo la presa: spero di vederti presto» conclude. «Anche io.» Ricambio il bacio, mentre vedo il suo viso scomparire. Chiudo skype e sullo schermo del MacBook si materializza di nuovo la lettera, come una nuvola minacciosa in un cielo limpido. Adesso mi sembra una completa follia averla scritta. Cosa mi è saltato in mente? Non posso escludere Filippo dalla mia vita. Per lo meno, non così, non con una fredda mail. Non se lo merita. 395/564 Il cursore si sposta sul tasto ELIMINA. Clicco senza pietà e senza dubbi. Sì, la voglio eliminare questa mail. E voglio eliminare i sensi di colpa, le insicurezze e gli obblighi morali troppo pesanti che finiscono per schiacciarmi. Sarò ipocrita ed egoista, ma ho bisogno di sapere che Filippo c’è, ho bisogno di credere, in un angolino della mente, che noi due abbiamo ancora qualcosa da darci. Se un addio dovrà esserci ci sarà, ma non ora. Non in questo modo. Mi tornano in mente le parole di Leonardo, quando mi ha detto che i desideri non possono essere chiusi in gabbia. Fuori dalla gabbia, ora me ne rendo conto, c’è il caos emozionale, ma ormai ci sono e tornare indietro è impossibile. Nel primo pomeriggio mi preparo per uscire; mi lavo i capelli e mi vesto con cura, come per un’occasione importante: e questa, in effetti, lo è. Ho finito il restauro 396/564 dell’affresco e ora sto andando a riconsegnare le chiavi del palazzo. A giudicare dal lauto compenso accreditato sul mio conto corrente – superiore a quanto pattuito – Brandolini dev’essere rimasto più che soddisfatto del lavoro. Vorrà dire che per il primo anno da quando mi sono laureata potrò finalmente fare i regali di Natale senza l’ansia del portafoglio… È una bella soddisfazione. Varco il portone d’ingresso e salgo in fretta le scale per raggiungere l’androne. Eccolo, l’affresco mi accoglie con il suo gioco di colori finalmente vivi e brillanti. Sfodero un sorriso silenzioso e mi avvicino di qualche passo per osservarlo meglio. Mi abbandono alla fantasia che l’anonimo pittore mi compaia davanti e mi offra qualche chicco di melograno in segno di ringraziamento. Quanti giorni di prove e frustrazioni mi è costato quel particolare! Probabilmente, senza l’aiuto di Leonardo, non sarei mai 397/564 riuscita a trovare la sfumatura giusta. È grazie a lui che i miei occhi hanno vissuto un cambiamento e hanno imparato a guardare non solo quel melograno ma tutto il mondo in modo diverso. Questo affresco ha accompagnato gli ultimi mesi della mia vita, la mia trasformazione e mi fa un certo effetto, ora, staccarmene. La prossima volta che tornerò in questo palazzo – se ci tornerò – non sarà più per lui, ma per Leonardo. Mi basta richiamarlo un istante alla mente ed ecco che, come in un incantesimo dannato, si materializza nell’androne, facendomi saltare il cuore in petto. È sempre così quando ci incontriamo. «Ciao» gli dico, «stavo giusto pensando a te.» «Ah, sì? E cosa pensavi?» si avvicina, lo sguardo sull’affresco. «Che senza questo restauro non ci saremmo mai conosciuti.» Mi volto di poco e 398/564 incontro i suoi occhi scuri. Le rughette ai lati mi dicono che sta sorridendo. Avrei voglia di baciarlo, ma aspetto come sempre che sia lui a fare la prima mossa. «Sei stata brava, Elena. È davvero molto bello.» «Dovremmo festeggiare.» Non resisto e mi giro. Sto per avvicinare la mia bocca alla sua, ma non appena sollevo i piedi sulle punte lui si stacca, lasciandomi di sasso. «Festeggeremo al mio ritorno» dice in tono composto e risoluto. «Al tuo ritorno?» Sgrano gli occhi. Dentro di me devo ancora digerire il rifiuto. «Stai partendo?» «Stasera, per la Sicilia.» «Per quanto tempo?» «Non lo so, lo deciderò quando sarò lì.» Ha lo sguardo annebbiato, quasi cupo. Improvvisamente lo sento freddo e distante. 399/564 «E il ristorante?» azzardo. «Ho lasciato un sostituto.» Alza le spalle. «I miei collaboratori sono autonomi, ormai.» La notizia mi travolge. Mi ero già fatta mille idee – forse sarebbe più corretto parlare di fantasie – su queste vacanze di Natale, ho detto di no a Filippo anche perché speravo di passare tutto il tempo con Leonardo. E invece… «Ma devi proprio?» domando, cercando di mascherare la mia disperazione. «Lo voglio» risponde, lo sguardo determinato. «Almeno una volta all’anno, ovunque io sia nel mondo, torno in Sicilia.» «Hai delle persone care, lì?» «Ho il mio passato.» Gli farei altre domande, ma mi mordo la lingua. Leonardo non sopporta intrusioni nella sua vita privata e il legame con la sua terra, proprio per questo, rientra in una sfera assolutamente intima e inviolabile. 400/564 «Cerca di divertirti anche senza di me.» Mi prende il mento con una mano e si sforza di sorridere, come per sfuggire alla piega che ha preso il discorso. Vorrei dirgli di non andare o di portarmi con sé, non sopporto l’idea di separarmi da lui per così tanto tempo. «Almeno mi telefonerai?» è tutto quello che ho il coraggio di chiedere. Scuote la testa. «No, Elena. Preferisco che non ci sentiamo finché sono via.» «Perché?» Lo afferro per un braccio. So che non dovrei insistere, ma mi serve una spiegazione. «Perché ho bisogno di staccare, di stare solo. Perché la mia vita non è solo quella che faccio qui e non voglio mischiare le cose.» Il suo sguardo non ammette repliche. «Ti chiamo io appena torno.» Mi fa un’ultima carezza e si dirige verso le scale, senza voltarsi indietro. 401/564 Sono stordita. Se n’è andato, senza scuse e giustificazioni. Mi ha lasciata qui con l’ennesimo magone da inghiottire e le braccia inermi lungo i fianchi. Basta. Devo fuggire immediatamente. Cerco il custode in giardino e gli consegno il mazzo di chiavi. «Arrivederci, Franco, e buone feste» lo saluto in fretta, senza perdermi in troppi convenevoli. «Anche a lei, signorina, buon Natale.» Franco fa mezzo inchino come è sua abitudine. «Stia bene.» Alzo la testa, un’ultima occhiata verso quelle finestre, e poi via, mi precipito nella calle a passi veloci. Addio, affresco. Addio, Leonardo. È il giorno della Vigilia e mi è costato uno sforzo sovrumano sopravvivere a questi giorni di euforia festaiola dopo essere stata 402/564 scaricata in quel modo. Il pellegrinaggio di rito da un negozio all’altro a comprare regali d’indubbia inutilità e vedere tutta quella gente felice e indaffarata mi ha fatto cadere in uno stato di profonda malinconia: io che di solito amo il Natale, adesso lo odio con tutta me stessa. Ma sono riuscita comunque a sopravvivere a questi quattro giorni. Anche se so che il peggio deve ancora arrivare. Sono le otto di sera e tra meno di un’ora sarò a casa dei miei per il tradizionale cenone con i parenti. Se supero anche questo posso considerarmi quasi salva. Alle nove e un quarto, dopo aver perso un vaporetto e consumato mezzo tacco degli stivali nuovi per essermela fatta tutta a piedi, mi ritrovo davanti alla porta di casa Volpe. Suono il campanello con un po’ di difficoltà, oberata di pacchetti. Mi apre mia madre, avvolta in un tailleur rosso ciliegia, l’espressione un po’ 403/564 preoccupata. «Elena! Ti avevamo quasi data per dispersa! Aspettavamo solo te.» In sottofondo sento già il vociare dei parenti sulle note di Mariah Carey che gorgheggia le solite canzoni di Natale. «Scusa, mamma, ho perso il battello.» In un solo gesto riesce a baciarmi, togliermi il cappotto, buttarlo sull’appendiabiti, sistemarmi i capelli e farmi sentire in colpa. «Tesoro, non sarà un po’ troppo corta quella gonna?» domanda, lanciando uno sguardo perplesso al mio vestito di pizzo, lo stesso che avevo indossato per la cena con Leonardo nella cucina del suo ristorante. «Non mi pare» rispondo con nonchalance. «Ti lamenti sempre perché non metto mai le gonne… ecco, stasera ti ho accontentata.» Entro in sala da pranzo e per un attimo sono sfiorata dall’idea di fuggire: davanti a me è schierato, intorno al tavolo delle feste, un plotone in assetto da guerra di parenti 404/564 che scalpitano, brandendo in aria le posate, come se non mangiassero da una settimana. Scaccio il pensiero con un movimento della testa. È tutto sotto controllo, Elena, ce la puoi fare. Non manca nessuno: la nonna, le zie, i cugini, mia madre è riuscita a corrompere persino zio Bruno, lui che è sempre in giro per il mondo con i suoi amici gay. Faccio un saluto generale, raccogliendo sorrisini a destra e sinistra, e guadagno in fretta il mio posto. Ovviamente mi hanno piazzata di fianco a mia cugina Donatella, che è quasi mia coetanea. Ma lontanissima per tutto il resto. A venticinque anni ha sposato Umberto, il clone veneziano di Flavio Briatore, e l’anno dopo aveva già sfornato la piccola Angelica, che adesso di anni ne ha sette e sembra una Barbie in miniatura. Siede alla mia sinistra e mi saluta con la mano. «Ciao, zia!» 405/564 Le faccio una carezza sulla testolina e le sorrido stringendo gli occhi, falsissima. «Elena, sei splendida» dice Donatella, dandomi due baci e inondandomi del suo nauseante profumo all’iris giallo. «Grazie, anche tu sei in gran forma.» «No, non dirlo nemmeno. Ho messo su cinque chili.» Fa un’espressione disperata e scostando la gonna mi mostra un pezzo di coscia. «Guarda, tutti qui.» Ecco, ha cominciato. Tutti gli anni la stessa solfa, ma quest’anno davvero non sono in vena di sorbirmi i suoi discorsi insulsi. Devo salvarmi, prima di arrivare a disquisire sull’ultimo ritrovato in campo di creme anticellulite. «Cosa ti ha portato Babbo Natale?» domando a sua figlia, cercando di cambiare discorso. 406/564 «Il cellulare nuovo» risponde, mostrandomi orgogliosa un iPhone di ultima generazione. «Bello…» Cosa se ne faccia, alla sua età, francamente lo ignoro. «Posso vedere il tuo, zia?» E smetti di chiamarmi zia, ti conosco a malapena, bambina. Tiro fuori dalla borsa il mio iPhone. Lei fa un’espressione sorpresa prendendolo tra le zampe. «Ma questo è il quattro! Non lo sai che adesso è uscito il cinque?» domanda scandalizzata. Brutta impertinente viziata e odiosa. Per un momento ridivento bambina e mi prende una voglia incontrollata di tirarle i capelli. Esibisco un altro sorriso di plastica e decido di ignorarla, rivolgendo la mia attenzione all’antipasto appena uscito dalla cucina. Ovviamente, secondo la tradizione di 407/564 casa Volpe, la Vigilia è di magro, perciò tutto sarà a base di pesce. Baccalà mantecato, capesante gratinate e crostini di salmone. Mia madre gongola tra i complimenti del parentado. Per non farmi patire la fame, come al solito in queste occasioni, ha preparato solo per me un menu vegetariano. Ovviamente lei è ignara della mia recente conversione alla carne e, per evitare domande e non vanificare le sue premure, decido di sorvolare. «Grazie mamma, sei un tesoro» le dico sgranocchiando qualche grissino e prendo una piccola porzione del risotto al radicchio rosso che ha cucinato con tanto amore per la sua bambina. Osservo i miei parenti uno a uno. Mi sembra di avere a che fare con un gruppo di estranei: non ho voglia di stare qui, voglio tornare alla mia vita, almeno a quello che è stata negli ultimi due mesi. Ogni giorno che 408/564 passa senza Leonardo mi sembra un giorno sprecato. Mi verso un bel calice di Prosecco, magari mi mette un po’ d’allegria. Mia madre mi guarda come se all’improvviso mi fossero spuntate le squame. «Elena, cosa fai?» domanda, inorridita. «Perché? È proibito, adesso?» Le rivolgo uno sguardo innocente e mi riempio il bicchiere. «Ma da quand’è che bevi vino?» Non molla la presa e questa sua insistenza mi irrita. Non tollera che qualcosa sfugga al suo controllo e alla sua approvazione. «Da adesso, se non ti spiace» rispondo seccata. «Se devo essere sincera un po’ sì…» «Non rompere, mamma» la zittisco bruscamente. Mia madre mi guarda incredula e anche mio padre. Un silenzio pesante cade sulla tavola. La nonna, che è un po’ sorda, domanda a uno dei miei cugini che cosa 409/564 succede, mentre la zia si sistema il tovagliolo sulle ginocchia tossicchiando. Mi guardo intorno leggermente pentita. Ho esagerato, di solito non rispondo così, sono sempre carina e accondiscendente in casa. Adesso capisco che non sono loro gli estranei, sono io a essere cambiata. Per fortuna zio Bruno mi viene in aiuto. «Dài, Betta, il vino fa buon sangue» dice, mollandole un pizzicotto sul braccio. «E poi alle feste bisogna brindare!» Alza il calice e fa cin contro il mio, strizzandomi l’occhio. «Hai ragione, alla nostra!» continua mio padre, sollevando a sua volta il bicchiere. Dall’occhiata che mi rivolge capisco che mi ha perdonata. La cena continua senza altri intoppi fino al panettone, seguito dallo scambio degli auguri e dei regali. Ricevo un cuscino di patchwork fatto da mamma – dovrebbe fare pendant con la coperta che mi ha regalato lo scorso anno – un berretto di lana, due paia 410/564 di calzettoni fatti a mano, una sciarpa di cachemire. Evidentemente, ho l’aria di una persona freddolosa. Ma per il gelo che sento adesso non serve la lana. Appena ne ho l’occasione, do un bacio di riconciliazione a mia madre, saluto i parenti e me ne scappo a casa. Felice di aver sbrigato la pratica e di restare sola. È quasi l’una. I campanili di Venezia annunciano festosi la fine della messa di Natale, mentre i pochi gondolieri ancora al lavoro si affrettano a staccare dall’ultimo giro di barca. Cammino velocemente cercando di concentrarmi sulla nuvoletta di vapore creata dal mio respiro. Non voglio pensare. Ma prima di aprire il portone di casa, alzo gli occhi al cielo e guardo le stelle. Chissà se anche Leonardo le sta guardando. Il giorno di Natale, nel tardo pomeriggio, vado a trovare Gaia, che abita in un piccolo loft vicino ai Giardini della Biennale. Ogni 411/564 tanto, sotto la finestra della sua camera spunta qualche strana installazione, come l’ultima opera di un artista brasiliano, una fila di totem in plastica bianca che la notte s’illuminano di lucine fluorescenti. Più che totem sembrano buffi pupazzi di neve e, anche se non credo proprio fosse nelle intenzioni dell’artista, fanno molto Natale. A Gaia come regalo ho comprato un cofanetto ricoperto di glitter con all’interno un mascara volumizzante di Lancôme e un piegaciglia di Shu Uemura. Lei va matta per queste cose e sono sicura che apprezzerà. Appena apre la porta, mi stritola in uno dei suoi energici abbracci, facendomi quasi sbattere contro la gigantografia di Marilyn Monroe appesa al muro. «Buon Natale!» mi augura tutta felice e mi precede verso il salotto ciabattando. Solo a casa sua non porta i tacchi. «Anche a te, Gaia!» rispondo togliendomi il cappotto. 412/564 «Vieni, mettiamoci comode sul divano» mi dice e spegne la tv. Ogni volta che mi siedo sul suo costosissimo divano in pelle bianca non posso fare a meno di pensare alle cose barbare che ci fa con i suoi amanti. «Non è che per caso sei guarita dalla tua malattia e ti va un Bellini?» domanda. «Ok.» «Brava, così si fa!» Mi guarda, positivamente stupita dalla mia scelta alcolica. Scompare nella zona cucina e, quando ritorna con il vassoio e i calici, noto che porta un brillante all’anulare. «E quello?» le domando subito. «Me l’ha regalato Jacopo» dice, avvicinandolo al mio viso. «Un anello di fidanzamento?» Sgrano gli occhi. «Be’, un anello.» 413/564 «Gaia, non fare la finta tonta» la rimprovero. «Ok, lo ammetto. Jacopo vuole fare le cose seriamente.» «Ma tu no» concludo il suo pensiero. «È un po’ troppo presto, non credi?» mi guarda in cerca d’approvazione. Sembra in difficoltà. Non è innamorata davvero – mi sarebbe sembrato un miracolo, visti i pochissimi precedenti – glielo leggo in faccia. «Ma allora perché hai accettato un regalo così importante?» «Cosa dovevo fare, scusa?» si giustifica. «Darglielo indietro? A Natale?» «Non lo so, Gaia, ma forse è il caso che ne parliate.» «Guarda che io a Jacopo ci tengo» dice sorseggiando l’aperitivo. «Sarà. Ma forse tieni di più a qualcun altro che non si fa mai vedere…» 414/564 Ho colto nel segno. «Leggi» mi dice allungandomi il BlackBerry. È l’ultimo sms di Belotti. Buon Natale, piccola. Prima o poi vengo a prenderti. Gli occhi di Gaia sono a forma di cuore, adesso. In un altro momento l’avrei messa in guardia, avrei recitato la solita parte dell’amica seria e un po’ bacchettona che ti riporta alla realtà e ti dice cosa è giusto fare. Ma ora la capisco come mai prima d’ora e non me la sento di rimproverarla. «Ma verrà davvero a prenderti?» chiedo. «Chi lo sa» risponde lei, con la faccia speranzosa. Non ha sensi di colpa nei confronti del povero conte, non le importa che possa soffrire a causa sua. A lei interessa solo essere felice. Insieme a Belotti, possibilmente. Forse per la legge dell’attrazione, a quel punto arriva uno squillo anche sul mio 415/564 iPhone. In cuor mio, coltivo un’unica speranza. Dio, fa’ che sia Leonardo. «Chi è? Chi è?» squittisce Gaia, curiosa. Leggo il messaggio e cerco di nascondere la delusione. «Ah, è Filippo. Mi fa gli auguri di Natale.» «E lo dici così?» Forse non l’ho nascosta abbastanza bene. «Perché, come dovrei dirlo?» «Con un po’ più di entusiasmo, Ele!» Mi scrolla affettuosamente le spalle. «Che succede? Non sei più convinta di lui?» «Ma no, figurati» mi precipito a dire. «Un po’ mi manca…» Lei mi guarda perplessa. «Solo un po’? Guarda che Fil è un tipo in gamba. Secondo me è l’uomo giusto per te.» Oddio, Gaia, non complicarmi la vita anche tu! Ho una tale confusione nella 416/564 testa… Filippo è l’uomo giusto, ma non è lui che desidero in questo momento. «Si vedrà…» mi limito a dire. «Rispondigli subito» mi ordina, «io intanto vado a prenderti il regalo.» Digito una risposta un po’ fredda e formale, ma me ne accorgo solo dopo che l’ho inviata. Quando sollevo lo sguardo, Gaia è di nuovo in salotto con un sorriso trionfante. «Voilà!» Mi consegna il pacchetto e io faccio altrettanto con il suo. Ovviamente Gaia strappa via la carta in un nanosecondo. A giudicare dalla sua faccia ho fatto centro, il regalo le è piaciuto. Io, invece, sono sempre stata una di quelle che ci mette una vita ad aprire i pacchetti: procedo con calma, mi piace assaporare la sorpresa. Scuotendo leggermente l’involucro, ipotizzo che possa trattarsi di un olio per il corpo, o un profumo, il rumore sembra quello di una bottiglia di vetro. 417/564 «È inutile che tenti di indovinare, non ci arriveresti mai…» dice Gaia tutta eccitata. Finalmente apro la scatola e divento paonazza. «Un vibratore?! Di cristallo?!» «Finto cristallo, a essere precisi.» Lo prendo in mano e non so se essere arrabbiata, divertita, scandalizzata, disperata. Alla fine, mi metto a ridere, non c’è altro da fare. Gaia ride con me, ha ottenuto l’effetto desiderato. Ecco, siamo in una scena di Sex & the City. «Visto che non ce l’hai e che non l’avresti mai comprato, l’ho fatto io per te.» Aziona l’interruttore con fare esperto, ammiccando. «Dicono che sia fantastico in azione…» «Be’, è sicuramente molto chic.» Scuoto la testa, guardando l’oggetto riflettere la luce sulla parete. «Ma non ti offendi se non lo uso, vero?» 418/564 «Mai dire mai. Comunque è sempre bene averne uno…» risponde lei convinta. «Be’, almeno non è il solito paio di calze» dico con studiata aplomb. Ridiamo ancora e nel mio cuore penso che solo con Gaia si può passare un pomeriggio di Natale così. Non appena ritorno a casa, però, mi assale di nuovo la tristezza e quella sensazione d’impotenza che arriva quando non puoi avere quello che vorresti. Per quanto tenti di scacciarlo, Leonardo domina implacabile i miei pensieri. Perché è stato così duro? Perché continua a essere sempre così evasivo, a circondarsi di ombre e misteri? Per un momento sono sul punto di chiamarlo o di scrivergli un messaggio, ma poi per sfuggire alla tentazione spengo il telefono. Appoggio la borsa con il regalo di Gaia sulla scrivania. Estraggo il vibratore dalla 419/564 scatola e mi affretto a nasconderlo in bagno. Cosa me ne faccio di questo affare? Ho voglia di Leonardo. Ed è un desiderio che nient’altro può saziare. 13 L’ultima cosa che mi sento fisicamente ed emotivamente in grado di affrontare adesso è una seduta di restauro completo di me stessa in vista del veglione di Capodanno all’hotel Hilton. Sono stati Gaia e Brandolini a invitarmi, e ogni mio tentativo di declinare la proposta si è rivelato inutile. Dovrei essere grata alla mia amica e al suo “fidanzato”, ma con l’umore che ho l’idea di fare da terzo incomodo per tutta la serata mi butta a terra. Sono sola, senza Leonardo, e lo sarò anche circondata da una folla festante. Mi sento scontrosa e ostile, forse perché sono anche 421/564 un po’ meteoropatica e adesso uno spaventoso cielo plumbeo mi sta minacciando dalla finestra. Stasera avrei preferito di gran lunga rimanere a casa in pigiama a guardare un film avvolta nella mia coperta di patchwork, rischiando il diabete con un’indigestione di After Eight. E invece eccomi qui a lottare davanti allo specchio. Lisciarmi i capelli, depilarmi tutta, passarmi la crema rassodante sul seno e sulle cosce, indossare lingerie rossa, colorarmi le guance di fard, stendere sulle palpebre dell’ombretto iridescente e sulla bocca del rossetto a lunga tenuta. Tutto questo per chi? Aveva un senso farlo per Leonardo, per essere attraente ai suoi occhi, ma adesso mi sembra totalmente inutile. Chissà cosa starà facendo e con chi sarà ora! Sono in astinenza da lui e comincio a volerne sempre di più, con l’avidità di una tossica. Peccato che 422/564 nessun pusher possa procurarmi la mia droga in questo momento. Il citofono suona. Devono essere Gaia e Jacopo, arrivati puntualissimi per prelevarmi e trascinarmi a forza al loro Capodanno festoso. «Scendo subito» dico svogliata al ricevitore. «Ok, sbrigati» risponde Gaia, già su di giri. Do un ultimo sguardo allo specchio sistemandomi una ciocca ribelle – è davvero ora di ridare una forma a questo ex caschetto – e mi precipito sulle scale stando attenta a non inciampare nel mio cappotto. Apro la porta e trovo Gaia e Jacopo mano nella mano. «Non sarà il caso di prendere un ombrello?» domando. Poi alzo lo sguardo e nel buio dietro di loro noto un’ombra familiare. 423/564 «Macché ombrello, si vedono le stelle.» La sua voce è inconfondibile e mi arriva come una carezza inaspettata. Gaia mi strizza l’occhio e Brandolini si scosta per farmi passare. Filippo è qui, davanti a me, bardato nel suo Burberry verde. Non riesco a crederci, per un attimo ho l’impressione di sognare. «Fil! Che ci fai qui?» «Sono tornato» fa lui, sfoderando uno dei suoi splendidi sorrisi. Sentimenti contrastanti si contendono il mio cuore creando una confusione eccitante e inaspettata. Poi su tutti prevale un’immensa tenerezza e ho improvvisamente voglia di abbracciarlo. Invece me ne sto impalata con le braccia penzoloni. Che si fa in questi casi? Ci si bacia? Quello di qualche mese fa era stato un addio appassionato, ma nel frattempo è successo di tutto e io non so se… Per fortuna è Filippo a rompere gli 424/564 indugi, si avvicina e mi sfiora appena le labbra con un bacio leggero, subito notato da Gaia. Adesso sì, lo abbraccio con la disperazione di una naufraga. Gli sono grata per essere qui e a Gaia per questa bellissima sorpresa. Sono sicura che c’è il suo zampino dietro tutto questo. Lungo la strada Gaia e Jacopo ci precedono, tenendosi a qualche metro di distanza. Filippo mi offre il braccio e io mi ci aggrappo, godendomi il calore del suo corpo. «Sono felice che sei qui» dico. «Anch’io.» «Ma quando sei arrivato?» «Praticamente due ore fa.» Lo guardo meglio, sotto la luce fioca di un lampione. Il suo viso senza barba è un po’ scavato, porta i segni delle notti passate a lavorare, ma i suoi occhi risplendono più di sempre. «Pensavo che avessi da fare a Roma.» 425/564 «Sì, ma un paio di giorni sono riuscito a prendermeli.» Poi mi sorride. «Avevo troppa voglia di vederti.» Anch’io avevo voglia di rivederlo, ma l’ho realizzato solo adesso. Fino a questo momento ero troppo impegnata a pensare ad altro. «Solo due giorni?» gli domando. «Purtroppo sì. Il 2 devo essere di nuovo al lavoro. Sono degli schiavisti. E io mi lascio schiavizzare.» Rallenta il passo e stacca per un istante il braccio dal mio, guardandomi negli occhi. «Sei davvero contenta di vedermi? Dalla faccia che hai fatto prima non si direbbe tanto…» È così sensibile da notare ogni sfumatura nei miei stati d’animo. L’avevo scordato. «Certo che sono contenta» gli dico stirando le labbra in un sorriso. «È che non me l’aspettavo…» 426/564 Un freddo improvviso mi prende alla schiena. Non è la brezza invernale, no. È che non sto dicendo tutta la verità. Sono felice di vederti, Fil, ma mentre eri via mi sono ammalata di qualcun altro e non so se tu ora puoi guarirmi. Riprendiamo a camminare, io sempre stretta al suo braccio. Mi riprometto silenziosamente di dimenticare Leonardo almeno per qualche ora e di vivere questo momento con serenità. Adesso sono felice di non aver mai inviato a Filippo quella mail. Se l’avessi fatto, tutto questo non sarebbe mai capitato. E se sta capitando, significa che il destino, almeno per stasera, è dalla nostra parte. Saliamo tutti e quattro su un motoscafo alle Zattere e in due minuti abbiamo attraversato il canale della Giudecca e siamo davanti all’ingresso dell’Hilton. È strano vedere la città da qui, è come averne una prospettiva capovolta. Scivoliamo sulla passerella di 427/564 velluto rosso e, grazie alla complicità di Brandolini, oltrepassiamo l’ingresso blindato, con tanto di buttafuori spocchiosi. Non ero mai stata in questo posto. È un albergo lussuosissimo, al di sopra di ogni aspettativa, il personale è estremamente elegante, dai modi formali ai limiti dello stucchevole. Dopo una sosta al guardaroba e un primo giro di cocktail, raggiungiamo il nostro tavolo, accodandoci ad alcune persone del giro di Brandolini. La sala è grande e finemente decorata. Ci sono almeno cinquanta tavoli, gli ospiti sono euforici, ma nel modo in cui lo è la gente molto sofisticata: si comportano come se ci fosse una videocamera di sorveglianza costantemente accesa. «Gaia si è messa a frequentare l’alta società» osserva Filippo accostandosi al mio orecchio. Anche lui, come me, non è abituato a tanto sfarzo. 428/564 «No, è l’alta società che si è messa a frequentare Gaia…» rispondo io. Ci sorridiamo, complici. La cena prosegue senza intoppi, piacevole, e scopro che gli amici del conte sono meno spocchiosi di quel che potessi pensare. Gaia aveva ragione. Obbligo me stessa a dispensare qualche sorriso e a non pensare troppo, ripetendomi che in fondo è solo una serata. Il fatto che accanto a me ora ci sia Filippo mi fa sentire in qualche modo al sicuro, e più passano i minuti più mi sembra di ritrovare con lui l’intesa di sempre. A un certo punto mi accorgo che lo sguardo gli è caduto sulla mia scollatura. Ora che ci penso non mi ha mai vista in abito da sera, questa è la prima occasione elegante a cui partecipiamo insieme. La cosa mi diverte e, invece di coprirmi come avrei fatto di solito, sostengo il suo sguardo. «Ti piace il mio vestito?» gli chiedo. 429/564 Lui si riscuote, leggermente imbarazzato. «Stai benissimo… ma non è solo il vestito. Sei diversa, Bibi, come sbocciata.» «Brindiamo ai cambiamenti positivi, allora» gli dico sollevando il mio bicchiere di vino e toccando il suo. Filippo non mi ha neanche mai vista bere. E infatti è stupito: «Bevi anche, adesso?». «Eh già, la nostra Elena è una piccola alcolizzata… Era ora!» interviene Gaia, unendosi al nostro brindisi. Filippo sorride un po’ confuso. «Pensavo che fossi astemia» mi guarda incuriosito. «Non hai brindato nemmeno alla tua laurea.» «Lo pensavo anch’io» alzo le spalle prendendo un sorso pieno, «ma forse mi sbagliavo.» Come mi sbagliavo su tante altre cose. «Ok, allora alle novità» e anche lui manda giù il suo vino. 430/564 Mentre beviamo allegramente addentando tartine e vol-au-vent, fingo di interessarmi alle frivole conversazioni che mi ronzano intorno e continuo a sorridere. L’alcol comincia a fare il suo effetto, mi sento leggera e rilassata, proprio quello che volevo. A un certo punto, però, urto per sbaglio una bottiglia di vino, rovesciandola sul vestito della ragazza seduta di fronte a me. Un cameriere accorre a riparare il disastro mentre i miei commensali, per fortuna, non badano troppo al mio imbarazzo e prendono l’accaduto come pretesto per un altro brindisi. La ragazza non è molto divertita, però, e mi fulmina con un’occhiataccia. «Stai bene, Bibi? Non è che hai un po’ esagerato?» mi sussurra Filippo premuroso. «Un pochino…» rispondo, premendomi una tempia con una mano. Temo di essere brilla, forse il vino lo reggo molto meno di quel che pensavo. «Sono un disastro, eh?» 431/564 «Uno splendido disastro» mi strizza l’occhio. «E poi quella aveva pure la faccia da stronza.» Che bello averlo qui, penso tra i fumi dell’alcol. Che bello essere coccolata e apprezzata anche quando combino casini. Solo Filippo sa farmi sentire così. Nel frattempo Gaia si è alzata e ha raggiunto il centro della sala insieme ad altra gente della nostra tavolata. Il dj ha appena messo un motivetto dance che so piacerle tanto, di David Guetta o qualcosa del genere. La mia amica si muove con grazia maliziosa, perfettamente padrona del proprio corpo, risplende di luce sulla pista da ballo, avvolta nel miniabito in chiffon paillettato, i capelli le si arricciano un poco per il sudore, le guance sono rosee, perlate. Mi viene voglia di ballare, io che di solito non lo faccio mai, e mi alzo per raggiungere il gruppetto. Trascino con me Filippo, nonostante le sue proteste. 432/564 «Senza discutere!» gli dico imperativa, tirandolo per una manica. Mi viene in mente la famosa serata alla scuola di tango, che si era risolta in un pestaggio collettivo di piedi, e so che anche lui sta pensando a questo, mentre muove sul posto qualche passo ingessato, sorridendomi di continuo. Scoppio a ridere forte, non sono davvero più in grado di controllare nulla. Filippo mi chiede cos’ho, ma io non riesco a rispondere. È un’ilarità improvvisa, immotivata, esasperata. Anche Gaia se ne rende conto e, divertita, si avvicina e mi prende per i polsi. «Sei già ubriaca, Ele?» «Spero di sì» le rispondo asciugandomi le lacrime. Ma ora non so più se sono lacrime di felicità o di disperazione. Qualche minuto prima della mezzanotte saliamo tutti sul terrazzo per assistere ai 433/564 fuochi d’artificio. Mi sono sempre piaciuti i fuochi e non solo guardarli, anche farli. Ricordo quando, da bambina, alla fine dell’anno spendevo tutti i risparmi del mio porcellino rosa per comprare girandole e petardini, e poi insieme a papà ci divertivamo come matti a farli esplodere nel cielo. Le mie amiche dicevano che non era una cosa da femmine, ma mio padre sembrava non curarsene e io ero felicissima di condividere quel momento con lui. Il nero della notte ora si è schiarito un po’ e s’intravede qualche stella. La visuale che si ha da quassù è a dir poco spettacolare, sembra di essere dei puntini sospesi tra acqua, terra e cielo. È arrivato il fatidico momento del conto alla rovescia. Gaia e Jacopo si mettono davanti, a ridosso delle guglie, mentre io e Filippo rimaniamo indietro, in un angolo più appartato. «Cinque.» Filippo mi cinge forte la vita. 434/564 «Quattro.» Mi accosto di più al suo corpo. «Tre.» Mi guarda. «Due.» Sollevo il mento. «Uno.» La sua bocca è a pochi centimetri dal mio viso. «Buon anno!» Lo diciamo insieme, guardandoci negli occhi, e lasciamo le nostre bocche libere di cercarsi e trovarsi. È il primo vero bacio di questa sera e c’è dentro tutta la tenerezza che avevo dimenticato. Filippo stappa la bottiglia di Moët & Chandon che tiene in mano e ne beviamo qualche sorso a canna, mentre i fuochi d’artificio illuminano di colori la città e il canale ai nostri piedi. Ammiriamo lo spettacolo in silenzio per diversi minuti. 435/564 «È il momento di esprimere un desiderio» mi sussurra a un tratto Filippo. «Ok.» Chiudo gli occhi per concentrarmi. Per quanto sia bello questo istante con lui, per quanto mi sforzi di cercarne uno diverso, ho un solo desiderio in mente: Leonardo. Quando riapro gli occhi, vorrei piangere. «Fatto?» mi domanda Filippo. Annuisco e sfuggo subito al suo sguardo. Gli strappo la bottiglia di mano e mando giù un altro sorso. «E tu? Hai espresso il tuo?» gli chiedo cercando di sorridere. «Non c’è bisogno. Il mio desiderio è già qui» mi dice stringendomi e baciandomi ancora. Mi sento morire. Sono l’essere più meschino che possa esistere. Mi aggrappo a quel bacio con tutta me stessa, lo carico della stessa forza con cui vorrei chiedergli perdono. 436/564 Filippo mi tira a sé, tenendomi contro il suo petto. Restiamo così non so per quanto tempo, mi sembra di aver fatto un lungo viaggio da cui sono già tornata indietro. Ora che i fuochi sono finiti, gran parte delle persone è tornata di sotto e solo alcuni si attardano ancora sul terrazzo. Sento il calore di Filippo mescolarsi al mio, sotto i vestiti i nostri corpi sono vicinissimi e il sangue mi bolle nelle vene. Sarà che sono su di giri per il vino, ma all’improvviso ho una voglia matta di fare l’amore con lui. Non so se è per desiderio o rabbia, per gioia o disperazione, so solo che stanotte voglio dimenticarmi tutto ed essere sua ancora una volta. Alle conseguenze penserò domani. Così gli afferro il volto tra le mani e inizio a baciarlo con brama, affondandogli tutta la lingua nella bocca e appoggiandogli una mano tra le gambe. Filippo, però, mi allontana da sé e mi guarda sconcertato. 437/564 «Cosa c’è? Non ti va?» gli chiedo. «Sì che mi va…» risponde lui, guardandosi intorno. «E allora?» gli sussurro, spingendolo in un angolo più buio del terrazzo. «Bibi, ci guardano.» Gli piace, lo so, ma è troppo imbarazzato. «E tu lasciali guardare.» Gli afferro una mano e me la appoggio sul seno. «Ma cosa ti prende, stasera?» dice, gli occhi verdi accesi da una luce che non ho mai visto. «Mi prende che ho voglia» dico in tono di sfida, e mi scosto una spallina del vestito, lasciando intravedere un seno. «Ma che fai? Copriti.» È sgomento, contrariato, e mi ricopre in fretta. «Perché sei così rigido?» Io invece sono stizzita e frustrata. Leonardo non mi avrebbe fermata. Leonardo non mi avrebbe detto 438/564 queste cose. Leonardo mi avrebbe presa qui, contro questo muro. Leonardo, Leonardo, non riesco a pensare che a lui, dannazione! “Perché non fai qualcosa per farmelo dimenticare?” vorrei urlargli addosso. «Sei completamente ubriaca» mi dice, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. È molto più sexy quando è arrabbiato… la sua mascella è più squadrata. Adesso è quasi per ripicca che lo voglio, il suo rifiuto mi eccita, sento il bisogno di scandalizzarlo, di sbattergli in faccia la nuova Elena, non più sua, ma di un altro. Gli slaccio la cintura, con gesti impazienti. «Avanti, Fil! Mi vuoi o no?» Mi blocca all’istante stringendomi il polso. «Smettila, Elena. Stai esagerando» sibila. Non mi chiama mai Elena. Sembra stravolto. «E allora esageriamo!» gli faccio eco, spazientita. «Non puoi lasciarti andare per una volta?» 439/564 «Smettila, ho detto.» «Cos’è, devi pensarci su? Vogliamo prenderci del tempo anche per questo?» Adesso sono arrabbiata e incattivita e non riesco a fermare le parole che mi escono dalla bocca come veleno. «Dov’è la passione, Fil, non c’è mai una cazzo di decisione che non sia ragionata, non c’è mai un po’ di sana follia tra noi? È sempre tutto così scontato!» L’ho detto, l’ho urlato, e già me ne pento. Filippo mi guarda incredulo. «Io mi sono fatto sei ore di viaggio per vederti» mi dice pallido, a denti stretti. «Ma pensavo fossimo qualcosa di più di una scopata sulla terrazza di un albergo.» Mi prendo il viso tra le mani. Adesso mi vergogno da morire. Arretra di qualche passo, gli occhi spenti. Non vuole più il contatto con il mio corpo. 440/564 «Non so cosa ti sia successo in questi mesi, Elena, ma io non ti riconosco. E quello che ho visto stasera… non mi piace.» Fa per andarsene, ma lo trattengo per un braccio. «Scusami, non volevo…» Lui si divincola. «Sì che volevi.» Mi guarda gelido, i pugni serrati. «Hai detto quello che pensavi, è fin troppo chiaro. Ti auguro buon anno.» Poi si precipita verso le scale che conducono all’uscita. Non posso più fermarlo e non ci provo nemmeno. Sono senza forze, mi accascio contro il muro, la testa mi gira e i conati salgono dallo stomaco, ma fortunatamente riesco a controllarli. Faccio dei respiri profondi e con calma mi rialzo, trascinandomi a passi incerti all’interno, fino al nostro tavolo. Me ne vado anch’io, a questo punto è inutile rimanere. Recupero la mia borsa e saluto in fretta Gaia e Brandolini, senza fornire spiegazioni. Per fortuna Gaia è più sbronza di me, non si è accorta della sparizione di 441/564 Filippo né delle mie condizioni disastrose. Mi ripete ancora «Buon anno» e, dopo avermi pizzicato il sedere, mi lascia andare. Eccomi qui. Sola, nel mio appartamento da single, alle tre di mattina del primo gennaio, con la prospettiva di vomitare da un momento all’altro e un cerchio alla testa che non mi dà tregua. Bell’inizio d’anno. Senza Leonardo. E, adesso, anche senza Filippo. Cos’ho fatto per meritarmi tutto questo? Mi sento stanca, consumata: ho già fatto la mia scelta ma il destino si diverte a prendermi a schiaffi. Voglio quello che non posso avere. Reggendomi a stento sulle gambe barcollo verso la cucina, cerco qualcosa che possa assorbire l’alcol che mi gira nello stomaco. Trovo un po’ di pane e me lo caccio in bocca senza domandarmi da quanto tempo sia lì. Poi entro in bagno e apro il rubinetto della vasca, versandoci dentro qualche goccia di olio essenziale. Me ne scappa un po’ troppo 442/564 ma non ci faccio caso. Mentre aspetto che si riempia, torno in salotto e il mio sguardo è attratto dall’albero di Natale con le luci ancora accese. Mi siedo sul pavimento e resto a guardarlo. Su una pallina leggo uno dei versi che io stessa ci ho scritto sopra: Odio e amo. Mi chiedi come sia possibile. Non lo so, ma sento che è così e mi tormento. Catullo Sto per piangere. Mi si allenta il nodo alla gola. Sono una stupida sentimentale con gli occhi rossi, una bambina che ha giocato a fare la donna e ha combinato solo guai. Mi libero del mio abito sgualcito e di quella stupida lingerie sexy in pizzo rosso, li lascio cadere sul pavimento mentre torno in bagno. Poi m’immergo lentamente nella vasca piena, mettendo sotto anche la testa e sciogliendo nell’acqua le lacrime. 443/564 Eccola, la nuova Elena. Sola, confusa e colpevole. Vittima e carnefice di se stessa. 14 Le vacanze sono finite, finalmente, e io mi sono lasciata alle spalle il vecchio anno con riconoscenza ma senza rimpianti. Nonostante abbia iniziato quello nuovo in maniera catastrofica, devo guardare avanti. Ho evitato il solito elenco dei buoni propositi, ma mi sono ripromessa che questo sarà l’anno delle scelte coraggiose. Innanzitutto voglio ricominciare alla grande con il lavoro. Ho fatto qualche colloquio, ma sembra che a Venezia per il momento non si muova nulla di interessante. Allora ho contattato la professoressa 445/564 Borraccini, direttrice dell’Istituto di Restauro con cui ancora collaboro, e lei mi ha proposto un progetto a Padova: partecipare ai restauri della Cappella degli Scrovegni, insieme a una squadra sotto la sua supervisione. Un lavoro prestigioso, da curriculum, ma si tratterebbe di fare tutti i giorni avanti e indietro con il treno, perciò valuterò meglio dopo aver fatto il colloquio. Poi mi sono iscritta in palestra, non so con quale coraggio, a dire il vero. Il martedì ho pilates, il lunedì e il giovedì seguo il corso di zumba. Ovviamente riesco meglio nel pilates, forse perché non c’è molto da fare oltre a qualche stiramento sul posto. Certo, non sono il massimo dell’elasticità, ma almeno adesso riesco a toccarmi le punte dei piedi con le dita. Sulla zumba, invece, stenderei un velo pietoso. È stata Gaia a convincermi e maledico il giorno che le ho detto sì. L’istruttrice è una pazza, poi in sala non riesco a non guardarmi allo specchio e a sentirmi ridicola 446/564 in mezzo a quest’orda di donne scatenate che sculettano e si dimenano a un ritmo frenetico, mentre io resto indietro di almeno mezza sequenza sul tempo. Ogni volta finisco la lezione rantolando, ma devo riconoscere che alla fine mi sento leggera, stanca nel senso migliore del termine e quasi divertita dalla mia stessa goffaggine. Sul fronte sentimentale, invece, la situazione è davvero in stallo. Dopo quella tremenda notte di Capodanno, Filippo non mi ha più cercata. Gaia continua a chiedermi con insistenza i motivi del nostro distacco e io ho sempre sorvolato, facendo la vaga. Le ho detto che abbiamo deciso di non sentirci per un po’ senza raccontarle il mio exploit, senza dirle che sono stata io a portarlo alla rottura. Sono stata davvero imperdonabile con Filippo, credo di avergli detto quelle cose solo perché inconsciamente volevo allontanarlo da me, indurlo a detestarmi. Ci sono riuscita, alla fine, e sapere che 447/564 tra noi è finita ancora prima di cominciare mi lascia l’amaro in bocca. Mi resta però il dubbio assillante di aver perso un’occasione per essere felice, ma non posso farci niente se il mio cuore va in un’altra direzione, adesso. E si ritorna sempre a Leonardo. Non so più come trattenere il desiderio folle che ho di chiamarlo, ma resistere è l’unico modo per riaverlo. Il tempo che mi separa da lui a volte mi sembra insopportabile, ma sono fiduciosa: ormai le feste sono finite da un pezzo e so che a breve sarà di nuovo qui. Di nuovo insieme. Io e lui, anche se non so bene in che misura. Ma, in fondo, di certe cose è meglio non conoscere la misura esatta. Sono appena tornata dalla palestra e mi sembra di volare: tutte le tossine che avevo in corpo se ne sono andate dopo un allenamento che ha fatto stramazzare al suolo perfino Gaia. Stasera posso strafogarmi 448/564 senza sentirmi troppo in colpa. Mi sto preparando dei tramezzini con rucola e bresaola – ebbene sì, ormai non è più un problema – brie e noci, gorgonzola e carciofini, due per tipo. Li sto gonfiando all’inverosimile, come fanno alla Toletta, il bar di Venezia che serve i tramezzini più buoni del mondo. Mancano pochi minuti alle otto, quando il citofono di casa suona. Chi sarà? Non aspetto nessuno. Lascio sul piatto il coltello sporco di brie e leccandomi le dita vado alla porta a rispondere. «Sì?» domando. «Leonardo.» Una voce ferma e potente. La sua. Oddio, sto per sentirmi male. D’istinto mi guardo allo specchio alla parete. Sono un disastro: jeans stracciati, ciabattine di lana merinos e felpa Adidas scucita che uso per stare in casa. La stessa dal liceo. E meno male che 449/564 non ho addosso il pigiama in pile con gli orsetti polari. «Leonardo?!» chiedo per essere sicura di non stare sognando. «Sì. Ti va di aprirmi?» Aspetta un attimo che mi cambio. Anzi, un paio d’ore. Così mi restauro. «Sali.» Premo l’interruttore e nel frattempo corro in bagno a passarmi sulle guance un filo di cipria compatta. Ho dei capelli che Gaia non esiterebbe a definire inguardabili. Ma non c’è tempo. Li raccolgo in una coda improvvisata. Sta salendo le scale. Non pensavo sarebbe arrivato così, senza nemmeno una telefonata di preavviso. Non sono preparata. Ho il cuore che scoppia e le gambe che tremano, ma devo dimostrarmi sicura, a mio agio, non voglio fargli capire quanto mi è mancato, anche se forse lui già 450/564 lo immagina ed è perfettamente inutile nasconderglielo. Gli apro la porta cercando di rivolgergli un’espressione di moderato stupore. «Che sorpresa…» «Quella che aspettavi» risponde lui vanificando tutti i miei sforzi. È così sexy, la barba di qualche giorno, i capelli spettinati e la carnagione leggermente più scura del solito. «Vieni» gli dico, invitandolo dentro con un cenno del capo e trattenendo a stento la voglia di saltargli al collo. Avanza di pochi passi verso il soggiorno, abbandona a terra la sua sacca verde militare e mi sfiora la guancia con un bacio distratto, guardandosi intorno. «Come sei stata senza di me?» «Bene.» «Bugiarda.» 451/564 Mi attira a sé e mi bacia ancora e ancora. Si sposta sul collo e poi, prendendomi con forza il viso tra le mani, mi spinge contro il ripiano della cucina e affonda la lingua nella mia bocca. Perché non si lascia afferrare, Leonardo, perché non vuole essere mio? Quanto mi sono mancate queste labbra voraci, queste braccia forti, questo corpo profumato d’ambra e di vita… Ma perché non posso disporne ogni volta che mi pare? Non mi trattengo e rispondo con lo stesso desiderio. «Mangi così?» mi chiede a un tratto, staccandosi dal mio abbraccio dopo aver visto sul tavolo un tagliere con sopra una fetta di pane spalmata di brie. «Sì. Adoro i tramezzini fatti alla veneziana.» Leonardo scuote la testa con un sorrisetto sprezzante. Sarà anche un cuoco di classe ma nessuno può sminuire i miei tramezzini. 452/564 «Fidati, sono buonissimi…» insisto, convinta. Leonardo si mette a ridere, come se avessi appena detto un’assurdità. «Sentiamo se sono davvero buonissimi» sibila, imitando la mia voce. E addenta un tramezzino brie e noci, assaporandolo lentamente. Mi sento sotto giudizio, una qualunque concorrente di MasterChef che sta per essere buttata fuori dalla trasmissione, con l’unica differenza che Leonardo oltre che severo come i giudici del programma è anche tremendamente sexy e per questo inibisce ancora di più. Mi guarda con occhi che non promettono nulla di buono. Poi sospira e mi attira a sé, prendendomi per la vita. «Brava» commenta, leccandosi le labbra, «quasi quasi ti prendo come assistente.» 453/564 «Grazie, ma ho già un lavoro. Più o meno…» rispondo. Lui mi dà una sculacciata. «Comunque, se hai fame ce ne sono altri…» dico indicando il tagliere. «Ok» risponde. Si leva il giubbotto di pelle e ci spostiamo sul divano. Si muove perfettamente a suo agio, invece a me fa un effetto un po’ strano averlo qui, in casa mia. È la prima volta. Deve essersi ricordato la via dal giorno dell’acqua alta… Agguanta un tramezzino rucola e bresaola, mentre io stacco un angolo di quello gorgonzola e carciofini. Mastico svogliatamente, all’improvviso mi è passata la fame. Ho voglia di lui. «Non ti va più?» mi domanda. «Certo che mi va» mento senza riserve. Poi, all’improvviso, ho un’idea. «Vado a prendere qualcosa da bere? Ho una bottiglia di Dom Pérignon di là…» 454/564 «E da quando tieni dell’alcol in frigo? Ti tratti bene, signorina…» commenta, annuendo. Mi alzo dal divano e con la scusa di raggiungere la cucina, sgattaiolo velocemente in bagno e mi abbasso gli slip per controllare la situazione. Tiro un sospiro di sollievo. Ho il seno gonfissimo, devono arrivarmi, ma sarebbe un peccato se fosse proprio stasera… Mi sistemo la coda davanti allo specchio, o almeno ci provo, poi recupero lo champagne e torno in soggiorno. «Eccomi.» Appoggio il Dom Pérignon sul tavolino e cerco due calici. Leonardo mi segue con lo sguardo mentre stappa la bottiglia. «Tutto bene?» chiede, mentre gli porgo i bicchieri. «Sì» rispondo sedendomi di nuovo sul divano. Si vede così tanto che non sto più nella pelle? Il corso accelerato di dissimulazione 455/564 che mi sono autoimposta nelle ultime settimane non deve aver dato grandi risultati: è impossibile nascondere le emozioni che lui mi provoca. «A cosa brindiamo?» domando. «A noi» risponde guardandomi negli occhi e facendo tintinnare il suo bicchiere contro il mio. Poi si alza ed estrae un pacchetto bianco dalla sacca. «Questo è per te, direttamente dalla Sicilia» dice. Un regalo. Questa proprio non me l’aspettavo. «Grazie» mormoro un po’ imbarazzata. «Ma io non ho niente per te…» «Avanti, aprilo» taglia corto Leonardo. Scarto l’involucro con meticolosa cura. Sembra avvolgere qualcosa di morbido. «Com’è andato il viaggio?» gli domando, intanto. 456/564 «Molto bene» risponde lui, telegrafico. Ha lo sguardo perso nel vuoto, non vorrei sbagliarmi ma sembra quasi malinconico. Qualcosa di grande deve legarlo alla sua terra. Qualcosa che a me non è dato sapere. Libero il secondo strato di carta e un lembo di tessuto liscio spunta sotto le mie dita. Lo stendo appoggiandolo al torace, come si farebbe per srotolare un poster. Abbasso gli occhi per ammirarlo. È un meraviglioso mantello in seta nera con un cappuccio rifinito in raso. «Si chiama armuscinu» mi spiega Leonardo, prima che possa fargli qualsiasi domanda. «È fatto a mano. Un tempo le donne siciliane lo indossavano per uscire di casa ma ora non si trova tanto facilmente.» «È davvero bellissimo» commento, stringendolo al petto. Dev’essere una cosa rara. Mi perdo tra i fermo immagine dei film di Tornatore: non sono mai stata in Sicilia e sono la mia unica fonte. 457/564 «Si poteva portare in due modi.» Leonardo me lo appoggia sulle spalle. «Con il cappuccio giù, quando si andava a sbrigare affari. Oppure con il cappuccio in testa» e mi copre il capo, «quando si andava in chiesa e a trovare persone importanti.» Sorrido. Con questo pastrano addosso mi sento una matrioska. Altro che Monica Bellucci in Malèna! Leonardo mi sistema come uno stilista che prepara la sua modella, poi mi ammira, anche lui divertito. «Assabinidica, donna Elena. Ti sta molto bene.» Non so cosa rispondere e faccio un piccolo inchino. Lui si avvicina e ne afferra un lembo. «Ma stai ancora meglio senza niente addosso…» Mi sfila il mantello, poi la felpa, poi la maglietta di cotone. Soffia delicatamente sui miei seni nudi e subito i capezzoli s’inturgidiscono. Si siede sul divano e facendomi 458/564 voltare mi accoglie nello spazio tra le sue gambe. Mi lascio massaggiare dalle sue mani esperte, sento le sue dita salire morbidamente intorno al collo e poi scendere fino ai fianchi disegnando tanti piccoli cerchi lungo la colonna vertebrale. Poi mi tocca leggero i seni. Il mio corpo è tutto percorso da un’ondata di brividi. «Hai un profumo così buono. Così dolce.» Il suo naso mi sfiora l’incavo del collo, insieme alla sua lingua rovente. Il sangue mi si riscalda all’istante nelle vene. Lo voglio da impazzire. «Mi sei mancata, Elena» continua a sussurrarmi piano. Mi bacia la nuca e si avvicina fino a imprimersi tutto, con il petto, le guance, la bocca contro la mia schiena. Riposa qualche istante su di me. Poi mi giro, non so resistere al richiamo della sua bocca. Gli tolgo il maglione sfilandolo dalla testa, mi metto a cavalcioni su di lui e continuo a baciarlo 459/564 finché non mi rovescia sotto di sé. Con le mani mi afferra le cosce e in un attimo la sua bocca è di nuovo su di me. Morde vorace il mio sesso attraverso i jeans, mentre le mie dita s’intrecciano ai suoi capelli. Gemo, e il piacere si espande inarrestabile. All’improvviso mi solleva e mi rovescia su una spalla come un sacco. Sono a testa in giù, aggancio le mani alle tasche dei suoi jeans per tenermi. Ma mi sento sicura tra le sue braccia forti. «Dove mi porti?» chiedo ridendo. Imbocca il corridoio con sicurezza, come se conoscesse casa mia da sempre. «Voglio vedere la tua stanza.» Infila la porta semiaperta e mi scaraventa sul letto. «Carina. Mi piace» commenta, guardandosi intorno e tormentandomi un capezzolo. Ho il cuore a mille e il desiderio mi sfreccia nelle viscere. Mi strappa di dosso i jeans e 460/564 gli slip, poi lecca lentamente, dalla parte bassa del mio sesso fino in cima, aprendosi la strada verso il clitoride. Sono bollente. Mi vuole con un ardore che non ho mai conosciuto in nessun altro, è questo che mi dicono le sue labbra esperte, instancabili. «Sai di buono, Elena. Di pane caldo. E, dentro, di sale.» La sua lingua si spinge più a fondo, sembra insaziabile. E io mi sento scomparire nel nulla, come se di me percepissi soltanto il mio sesso scosso da convulsioni e fremiti di piacere. All’improvviso si solleva, gli occhi carichi di desiderio, i muscoli del petto in tensione. Velocemente si libera dei vestiti e si butta sopra di me, immobilizzandomi i polsi con le mani. Mi penetra con una spinta vogliosa e impaziente e inizia a muoversi a un ritmo serrato, ansimando. Come una molecola nel mezzo di una trasformazione alchemica, faccio un salto in 461/564 un’altra dimensione. I nostri due corpi uniti sprigionano un’energia così intensa da disorientarmi. Sembra che la nostra separazione abbia aumentato il desiderio, tanto da farci vivere qualcosa di travolgente, sconcertante, violento. Adesso Leonardo mi gira. Lo assecondo, aggrappandomi alla testiera del letto. Gemo senza sosta e mi muovo per andargli incontro, sentendo le sue mani sui fianchi e il suo sesso nel mio. Ha preso un ritmo sfiancante, ma riesco a sostenerlo. «Sei mia, Elena» mi dice accarezzandomi le natiche. E spinge ancora, quanto basta per farmi partire. Non riesco a smettere di urlare, mentre la testiera urta contro il muro. Sto precipitando nel vortice del mio orgasmo, sento fremere ogni muscolo, il sangue arriva ai denti e la testa gira. Leonardo mi segue, tenendomi stretta, finché crolliamo insieme sulle lenzuola, e lui m’imprigiona tra le sue braccia. 462/564 Rimango per un po’ rannicchiata contro il suo petto, e ammiro tutto il suo corpo, respirandone il profumo inebriante. Mi sento totalmente persa in lui e per lui. «Clelia ci avrà sentiti…» mormoro. «Chi è Clelia?» «La mia vicina.» Ho fatto più rumore delle sue gatte in calore, penso sorridendo. «Non so cosa ne dica Clelia, ma è bello sentirti godere» mi passa un dito sul naso, guardandomi con occhi compiaciuti. Non fare così, che mi viene voglia di coccolarti… non posso cedere troppo alla tenerezza. Lascio scivolare le dita tra i peli del suo petto. «Che ne dici di un bagno caldo?» gli chiedo, seguendo un’idea improvvisa. «Perché no…» Faccio per muovermi, ma lui mi blocca. «Stai qui, vado io a riempire la vasca.» Si 463/564 alza e i miei occhi accarezzano il suo corpo statuario. Mi piace che prenda l’iniziativa. Mi piace che sia qui. Mi piace tutto di lui. Tranne il fatto che non potrà mai essere mio. Sono ancora in uno stato di dolce torpore quando Leonardo torna in camera con un’aria maliziosa e divertita: «E questo?». Oddio, il vibratore! L’ha scovato nell’armadietto dei bagnoschiuma. Nooo! Vorrei nascondermi sotto le lenzuola per la vergogna. «È stata Gaia a regalarmelo. A Natale» mi giustifico. Leonardo scuote la testa ridendo. «E l’hai già usato?» Si avvicina al letto. Quell’oggetto freddo tra le sue mani ha qualcosa di tremendamente erotico. «In realtà, no.» «Perché, no?» «Non lo so, credo che non mi piacerebbe.» 464/564 «Credi?» e il suo sguardo è eloquente, mentre sale sul letto accanto a me. Devo ancora riprendermi dall’orgasmo di prima. Quest’uomo mi farà morire! Mi accarezza in mezzo alle gambe scivolando su e giù con le dita come se dovesse accendere e spegnere un interruttore. Il mio nido si spalanca di nuovo, non ancora sazio, e tutt’a un tratto mi sento riempire da qualcosa che ha la consistenza del vetro. Liscio e gelido, scorre veloce, fino a farmi emettere un gemito. Leonardo spinge più a fondo. Lo muove dentro e fuori, poi lo fa vibrare. È una sensazione nuova, prepotente, eccitante come tutto quello che faccio con lui. Apro gli occhi e lo guardo. Luccica sotto il riflesso dell’abat-jour. La vista di quell’oggetto inanimato dentro il mio corpo vivo è straniante ma, non so perché, mi piace. Leonardo lo fa scivolare fuori da me e me lo posa in una mano. «Continua tu, Elena» 465/564 mi dice, prendendosi il sesso tra le mani. «Voglio guardarti mentre lo fai.» I suoi occhi sono nuovamente carichi di desiderio. Eseguo, come ipnotizzata, non trovo la forza di oppormi. Il cristallo mi regala un piacere lascivo, amplificato dallo sguardo di Leonardo su di me. Non capisco più niente, sono inerme: la testa mi gira, le mani non hanno forza. Resta a guardarmi per un po’, poi mi libera dal giocattolo, mi prende per le cosce e mi penetra spingendo con decisione. Io gemo, più forte di prima. «E questo, ti piace di più, vero?» mi sussurra. Un gemito eloquente esce dalle mie labbra. Si sfila da me e tenendomi in braccio mi conduce in bagno. L’acqua ha quasi raggiunto il bordo della vasca. Si china a chiudere il rubinetto e getta dentro una sfera effervescente al patchouli, che si scioglie in tante 466/564 piccole bolle profumate. Bravo, Leonardo. Tu sai sempre quello che mi piace. Faccio un sospiro profondo e m’immergo per prima, scivolando sotto la schiuma. Lui mi divora con uno sguardo carnale e si sistema di fronte a me, facendo fuoriuscire un po’ d’acqua. La mia vasca è piccola, agevola il contatto, le nostre gambe s’intrecciano. I suoi occhi si accendono di voglia mentre si avvicina al mio viso per baciarmi. Mi prende il volto con entrambe le mani e si impadronisce della mia bocca. «Vieni qui» grugnisce, facendomi mettere a cavalcioni su di sé. Accarezza il piccolo neo sotto il mio seno e mi sorride: «Ogni volta che ti penso, penso anche a questo». Adesso lo sento. Entra di nuovo nel mio incendio bagnato. Mi siedo piano su di lui e, quando dà l’affondo per riempirmi tutta, inarco la schiena emettendo un gemito. Poi gli afferro la testa e la stringo al petto, offrendogli i miei capezzoli duri. Voglio sentire la 467/564 sua bocca su di me e voglio che sappia quanto forte è il mio desiderio di lui. Ci muoviamo all’unisono nello spazio ristretto della vasca, la pelle bagnata e scivolosa, gli occhi umidi di piacere, le bocche avide di passione. E l’acqua sciaborda intorno a noi. Un nuovo orgasmo si propaga dentro di me, mi divora anima e corpo. Sono sopraffatta dalle mie sensazioni e sento che anche lui sta perdendo il controllo. Veniamo insieme, baciandoci sulla bocca. Sono sua. E lui è mio, almeno per questa notte. Il bagno è pieno di vapore, adesso. L’acqua piano piano inizia a tornare trasparente, dopo che la schiuma si è dispersa. Restiamo sotto ancora un po’, io distesa a pancia in su, incastrata tra le sue gambe come in una morbida culla. 468/564 «Sei cambiata, Elena, lo sai?» mi dice, giocando con i miei capelli. «Cosa vuoi dire?» «Fai l’amore in modo diverso. Sei più libera, più sensuale.» «Sei stato tu a cambiarmi.» «Forse. In parte. Io ho solo tirato fuori quello che già avevi dentro.» È un complimento inaspettato, che mi riempie d’orgoglio e di tenerezza. Non sapendo bene che fare mi rifugio nel sarcasmo: «Quindi sarò promossa a giugno, prof?». Per tutta risposta mi spinge sotto premendomi la testa con una mano. Riemergo con un urlo e mi avvento su di lui mordendogli un braccio. Ridiamo. Poi mi fa sollevare un poco e mi passa la spugna sulla schiena massaggiandomi. Sa essere terribilmente dolce quando vuole. Chiudo gli occhi e mi rilasso, accarezzata dalle 469/564 sue mani e dal suono delle gocce che cadono lente nell’acqua. «Rimani a dormire?» La parole mi escono di bocca spontaneamente, senza che possa frenarle. Temo di aver commesso un grave errore. Non sono domande da fare a uno come lui. «Sì.» Sgrano gli occhi. Non mi aspettavo questa risposta. Di solito gli amanti non si fermano a dormire. Mi giro a guardarlo per verificare che sia serio. «Non ho problemi, se tu non ne hai.» Appunto. Quello che vale di solito, per Leonardo non vale. Lo bacio con trasporto, come forse non l’ho mai baciato fino a ora, come se fosse il mio uomo e io la sua donna e non ci fosse un patto maledetto a unirci e a dividerci. Non devo innamorarmi, lo so. Ma non voglio nemmeno sprecare quest’attimo di 470/564 felicità, caricandolo di pensieri inutili. Voglio viverlo. Adesso. Ci mettiamo a letto profumati e riscaldati dal lungo bagno. Leonardo è qui, nel mio letto, ed è qui per me. Lo abbraccio sotto le coperte, felice di sapere che domani mattina ci sarà ancora. Non ci addormentiamo subito, per un po’ ci rigiriamo nel letto, cercandoci con baci insaziabili, tenendoci strettissimi, come se dei nostri corpi volessimo afferrare tutto, anche i respiri. Poi scivolo senza soluzione di continuità da questo stato di dormiveglia a un sonno profondo. Alle sei e quarantacinque, il trillo fastidioso del telefono mi strappa al meritato riposo. Apro gli occhi e l’afferro mentre riprendo coscienza: cazzo, il colloquio con la Borraccini! Devo essere a Padova tra due ore. Ho chiesto io a mia madre di chiamarmi, per 471/564 essere sicura di svegliarmi davvero, come ogni volta che devo alzarmi prestissimo. Rispondo sottovoce cercando di non farmi sentire da Leonardo. «Ciao, mamma» mormoro con la voce impastata di sonno. In punta di piedi mi trascino in soggiorno. «Ma perché parli così piano?» sibila mia madre. «Forse non prende bene.» Dimentico che sto parlando al fisso e non al cellulare, ma per fortuna lei certi dettagli non li coglie. «Allora, sei sveglia? A che ora hai il treno?» Non lo so, mamma. Non so nemmeno in che mondo sono adesso. «Alle otto» rispondo tirando a indovinare. «Ce la fai?» «Sì. Sono in perfetto orario.» O almeno spero. 472/564 «Mi raccomando. Sii te stessa e dai il massimo, come sempre… In bocca al lupo, tesoro!» «Crepi. Ciao.» Rientro in stanza, i piedi nudi sul pavimento freddo e i brividi del mattino che affiorano come spilli sulla pelle ancora calda. Mi infilo il golf di lana oversize. Leonardo apre un attimo gli occhi e li richiude subito dopo, infastidito dal raggio di sole che filtra dalla finestra. «Ma è suonato un telefono? Che ora è?» domanda, riemergendo dal sonno. È tutto stropicciato, ma è bello anche così. Io invece devo essere un mostro con i capelli ingarbugliati e le borse sotto gli occhi. «È presto, ma devo andare. Ho un appuntamento di lavoro. Tu dormi, tranquillo.» Non ho finito di dirlo che mi prende una fitta allo stomaco e realizzo che ho già vissuto una situazione simile qualche mese fa, con 473/564 Filippo. Solo che adesso le parti sono invertite. Scaccio subito via quel pensiero molesto e, mentre Leonardo sonnecchia ancora, apro un’anta dell’armadio. Scelgo in fretta la mia mise e con i vestiti in mano sguscio in bagno. Camicia bianca Hermès ben aderente, pantaloni neri a sigaretta, cardigan grigio antracite, stivaletti neri tacco tre. Mi copro appena le occhiaie con il correttore, mi metto un po’ di fard e un po’ di gloss e poi raccolgo due ciocche di capelli dietro la nuca: il perfetto look da brava ragazza. Complimenti, Elena. Anche se ormai non ti ricordi nemmeno più che cos’è una brava ragazza… Torno in camera per prendere la borsa e il cappotto, e mi accorgo che Leonardo mi sta fissando dal letto con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi spalancati. «Non so a che ora torno» gli spiego avvicinandomi, «ma puoi fermarti quanto vuoi.» 474/564 «Tra un attimo vado anch’io» biascica lui, la voce un po’ ruvida. Poi mi afferra una mano e mi costringe a sedermi sul letto. «Dài un colpetto quando chiudi la porta, così scatta la serratura» continuo. «Sei sempre così bella di prima mattina?» dice senza nemmeno ascoltarmi e attirandomi sulle sue labbra. Ci lascio sopra un po’ di gloss e a un tratto Leonardo è buffo: non l’avevo mai visto sotto questa luce. «Ciao» gli sussurro all’orecchio e scappo via, attenta a non inciampare o sbattere contro qualcosa come mio solito. «Ciao» mi fa eco lui. «Buona giornata.» Rientro da Padova intorno all’una e mezza. Non so ancora se accetterò l’incarico che mi hanno proposto, ma sono felice e ho voglia di sorridere al mondo. Se ne sono accorti tutti, persino quell’arpia della Borraccini, che stamattina vedendomi arrivare mi ha rivolto un 475/564 saluto caloroso: «Buongiorno, Elena. La trovo davvero molto bene». Evidentemente, fare l’amore con Leonardo regala quest’effetto, molto meglio di una crema levigante o di qualsiasi vitamina. Percorro a passo spedito la strada di casa, sono piena di speranze, nella testa mi scorre un bel film romantico che ha lui come protagonista. Salgo la rampa delle scale due a due, evito accuratamente lo sguardo di Clelia incrociandola sul pianerottolo, apro piano la porta e mi guardo intorno. Non c’è traccia di Leonardo. Entro in camera. Mi piacerebbe trovarlo disteso sul letto ad aspettarmi, esattamente come l’ho lasciato stamattina. Ho ancora voglia di lui, della sua pelle, del suo odore, della sua forza. Non è neanche qui, ma è rimasto il suo profumo nella stanza. Il letto rifatto con cura e sopra il mantello di seta disteso ad arte. Sul cuscino, un foglio di carta piegato in due. 476/564 Apro il biglietto e leggo. Se il buon giorno non si vede dal mattino, ma dalla notte precedente, questa sarà una splendida giornata. A presto, Leo Mi tuffo sul letto e mi appoggio il foglio sul cuore. Guardo il soffitto, sorrido e penso che è vero: questa è già una splendida giornata. 15 Da giorni Venezia è travolta dalla follia del Carnevale. Le botteghe degli artigiani e le sartorie sono in gran fermento e la città è tappezzata di bancarelle che vendono maschere, cappelli e parrucche di ogni forma e colore. Orde di turisti sono arrivate qui da tutto il mondo. Quando circola questa mole di gente, muoversi tra le calli e spostarsi in vaporetto diventa incredibilmente lento e difficile. Bisogna armarsi di pazienza e rassegnarsi all’idea che, qualsiasi sia la tua destinazione, farai tardi anche partendo con largo anticipo. 478/564 È Martedì Grasso e sto andando da Leonardo. Negli ultimi tempi sono tornata spesso da lui al palazzo e ogni volta mi piace ritrovare l’affresco ad accogliermi come un volto familiare. Ormai c’è una sorta di routine, tra noi, una serie di piccole abitudini che ci uniscono senza per questo legarci. I suoi messaggi, ad esempio, che arrivano di tanto in tanto a scandire i nostri incontri, come un richiamo al piacere. «Vieni da me verso le cinque» mi ha detto ieri. «Vestiti elegante e porta il mantello. Andiamo a una festa privata.» L’ultima volta che mi sono mascherata avevo dodici anni, indossavo un abito da Pierrot, avevo la faccia ricoperta di cerone e l’insicurezza di una bambina che non è più bambina, ma neanche donna. Mi vergognavo un po’, infagottata in quegli abiti che non erano miei, e mi ricordo che ero riuscita a divertirmi davvero solo quando mi ero dimenticata di averli addosso. 479/564 Per questa serata, invece, ho messo un lungo vestito di seta blu e mi sono buttata sulle spalle l’armuscinu di Leonardo. Non vedo l’ora di immergermi con lui in quest’atmosfera carnevalesca così inebriante e carica di promesse. Si dice che alle feste che si tengono in alcuni palazzi privati durante il Carnevale di Venezia succeda di tutto. Io non ci sono mai stata e, se da un lato ho un po’ di timore, il fatto di essere con lui mi fa sentire sicura. Saluto l’affresco e salgo in camera da Leonardo. Sta finendo di prepararsi e rimango a guardarlo appoggiata allo stipite della porta. Si è messo uno smoking nero lucido, elegantissimo, e sopra un mantello di seta verde scuro, molto simile al mio. Questa mise dà un tocco particolare alla sua bellezza tenebrosa. Mi viene incontro e mi saluta con un bacio. «Sei perfetta» mi dice ammirandomi, «ma manca ancora qualcosa.» Quindi estrae 480/564 dall’armadio una meravigliosa maschera stile Colombina e me l’appoggia sul viso. «È stupenda» commento, specchiandomi. Copre gli occhi e buona parte delle guance, lasciando fuori soltanto la bocca. «L’ho presa da Nicolao. Apposta per te.» Non oso pensare quanto valga. È un’autentica maschera veneziana in cartapesta, fatta a mano, rivestita di un prezioso velluto bianco decorato con ricami e arabeschi. Su un lato, all’altezza della tempia sinistra, sono attaccate una rosa di seta bianca e una morbida piuma argentata. Leonardo me la allaccia dietro la nuca e indossa a sua volta una maschera. La sua è tutta bianca e senza ornamenti, stile Baùta settecentesca. Gli copre tutto il volto e si allarga in direzione della bocca. Adesso non siamo più noi e dietro le nostre nuove facce siamo pronti per uscire nel mondo. 481/564 La serata è grigia e umida, ed è probabile che piova, ma non ci serve il sole. Dentro di me regna una tenace allegria e non m’importa neanche se mi s’increspano i capelli. Gettandoci nella folla attraversiamo la città in festa, perdendoci in un tripudio di musiche, colori, piume, veli, sonagli e schiamazzi. Gli studenti dell’Accademia di Belle Arti improvvisano postazioni mobili di trucco artistico e si divertono a trasformare i visi della gente con pennellate variopinte e cascate di polveri iridescenti. Ovunque è caos ed euforia esplosiva. Io e Leonardo facciamo una sosta a un chiosco per una frittella alla zucca. Le frittelle veneziane hanno un sapore divino, quel dolce che non stanca mai e dalla bocca scivola dritto al cuore. Camminiamo senza meta, lasciandoci trasportare dalla corrente gioiosa o semplicemente seguendo l’ispirazione del momento. 482/564 Arrivati in Piazza San Marco, ci imbattiamo nella sfilata delle Marie. Come ogni anno, nelle settimane che precedono il Carnevale, in città si è tenuta una sorta di selezione tra le bellezze locali per scegliere le dodici Marie che esibiranno poi le proprie grazie nel corteo del Martedì Grasso. Tra poche ore ci sarà la proclamazione ufficiale della vincitrice, la “Maria dell’anno”, alla quale verrà assegnato un lauto premio in denaro. C’è un’acerrima lotta tra le veneziane per accaparrarsi un posto nella selezione. Fino all’anno scorso anche Gaia gareggiava: grazie alle sue nutritissime conoscenze, ha sempre trovato un modo per rientrare nella rosa delle dodici finaliste, ma non ha mai vinto, forse perché il presidente di giuria preferisce le more. Uno smacco terribile, anche quando ha dovuto smettere perché aveva superato il limite di età. Fortunatamente la mia goffaggine mal si concilia anche solo con l’idea di un concorso di bellezza e il 483/564 mio carattere insicuro mi tiene alla larga da ogni forma di competizione. Costeggiando il ponte dei Sospiri, imbocchiamo una calle nascosta e in pochi passi siamo davanti all’ingresso di palazzo Soranzo. «La festa è qui?» domando, sistemandomi la maschera sugli occhi. «Sì» risponde Leonardo, con un sorriso satanico. Un maggiordomo un po’ sui generis, vestito da Medico della Peste, la maschera con un lungo naso simile al becco di una cicogna, ci apre il portone e ci invita dentro, cospargendoci di coriandoli di carta argentata. Sembra di entrare in un’altra dimensione, perfino i coriandoli sono diversi da quelli là fuori. Attraversiamo il giardino passando sotto il pergolato. L’edera a foglie larghe si è 484/564 impadronita del muro, colorandosi di sfumature gialle e rosse. Qualche maschera staziona ai bordi del cortile, altre giocano a nascondersi tra le statue tappezzate di muschio, ridono e si rincorrono intorno alla fontana con i putti. Tutto è magia, incanto, seduzione. Da qui entriamo nel palazzo e siamo subito avvolti in un’atmosfera di folle lussuria. Che tra queste mura, però, pare la condizione più naturale del mondo. C’è una bolgia di gente e un frastuono di voci e suoni. Quasi tutti indossano la maschera e sembrano su di giri. Uomini che baciano uomini mascherati da donne, ragazze che espongono seno e natiche senza pudore, persone che ballano sui tavoli e sui divani di velluto, amanti che si appartano in angoli oscuri, bocche che si scolano bottiglie di vino, lingue che si cercano, mani che esplorano. È Carnevale: non esistono freni, non esistono limiti e l’unica cosa lecita è trasgredire. Chissà se io sarò all’altezza! Mi 485/564 sembra quasi di essere un’intrusa, anche se – lo ammetto – questo clima di totale disinibizione mi ha un po’ sedotta. Incantati, superiamo alcune stanze, finché arriviamo nel salone centrale. Un soppalco illuminato da luci psichedeliche ospita la consolle del dj. Lo riconosco. È Tommaso Vianello, in arte Tommy Vee. Facevamo la strada insieme quando andavo al liceo – io ero al primo anno, lui al quarto – e mi piaceva da morire, ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Lo saluto con un cenno della mano, lui ricambia strizzandomi l’occhio, ma dubito mi abbia riconosciuta sotto la maschera, adesso che ci penso. Ora sta girando il suo pezzo forte, il Rondò Veneziano in versione remix. È musica per Gaia, ma nemmeno a me dispiace, è irresistibile, ha un ritmo che t’insegue e non ti lascia stare fermo. La gente si agita, i movimenti sono sempre più convulsi. 486/564 Al centro della sala un gruppetto di ragazze in abiti succinti si scatena in una danza sensuale, catturando l’attenzione degli ospiti. Attorno a loro si crea presto un cerchio e tutti diventiamo spettatori del loro numero improvvisato. Leonardo mi cinge la vita da dietro e, levandosi la maschera, appoggia il viso al mio, facendomi muovere tra le sue braccia a ritmo di musica. Non riesco a togliere gli occhi di dosso alle ragazze, sono affascinata: forse la loro è una vera e propria coreografia. Una in particolare spicca sulle altre, non posso fare a meno di notarla. È un incantevole ibrido tra un angelo e un’ancella, una moderna Salomè dal corpo sfacciatamente perfetto. Indossa un vestito cortissimo e semitrasparente di veli bianchi, i capelli biondi raccolti sulla nuca, tra le ciocche una catenina di strass che si chiude con una goccia sulla fronte. Volteggia leggera, alzando con eleganza i piedi sulle punte. Tutto in lei è 487/564 morbido e libero, ogni movimento incanta e conquista. A un tratto si leva la maschera, esibendo due occhi verdi da capogiro, esaltati dal trucco vistoso. Gli sguardi di tutti sono puntati su di lei e la rincorrono. Le altre ragazze si dispongono a semicerchio, lasciandole il centro della scena. Salomè è fiera, si fa guidare dal suo corpo senza paura, insegue la musica sfidandola. Quando passa davanti a noi, incrocia il mio sguardo e strizza l’occhio a Leonardo. Mi volto e vedo che lui le sta sorridendo. Non sono gelosa. È così bella che anche a me viene voglia di sorriderle. «La conosci?» gli domando. «Si chiama Claudia» dice in tono neutro, privo di malizia. «L’ho vista al ristorante qualche volta.» Vorrei indagare meglio sui loro trascorsi, ma Leonardo non mi lascia il tempo di parlare e richiama la mia attenzione su di lei. 488/564 Claudia adesso ha raggiunto il Moro all’angolo del salone e, come se fosse un uomo in carne e ossa, ha iniziato a sedurlo con virtuosi movimenti di bacino. Poi si aggrappa al collo della statua e, dandosi lo slancio sulle punte, si siede elegantemente sulla sua spalla, come una regina sul trono. La musica si ferma e dal pubblico si leva un forte applauso seguito da un gran vociare. Salomè scende dalle spalle del Moro, fa due piroette e regala un inchino agli astanti, mentre un Arlecchino le sfiora il viso con una rosa rossa. Superba, afferra il gambo tra i denti e si allontana sorridendo. Mio dio, quella donna ha un fascino irresistibile, anche su di me. Non oso immaginare i pensieri degli uomini. Sono come rapita, non riesco a staccarle gli occhi di dosso… e lei, ora, si muove leggera proprio verso di noi, sorridendo a Leonardo. «Benvenuto, Leo» gli dice con un sorriso ammaliante, sfiorandogli una guancia con le 489/564 labbra. Ha ancora il respiro un po’ affannato e piccole gocce di sudore le luccicano sulla pelle. Poi si volta verso di me. «Benvenuta anche tu… chi sei?» Si è accorta che esisto, la dea. «Piacere, Elena» le rispondo stringendole la mano. «Spero la serata sia di vostro gradimento…» Mi sta studiando. Ha una strana luce negli occhi. «Certo» faccio io, un po’ disorientata. «Vederti danzare, prima… eri splendida… cioè, sei splendida.» «Grazie.» È abituata ai complimenti, lei. Mi solleva la maschera e mi osserva incuriosita. «Quando è una donna come te a dirlo, fa ancora più piacere.» E le sue parole creano in me uno strano rimescolamento che non so decifrare. 490/564 «Abbiamo gli stessi gusti, Leo. E non solo sul cibo» continua, con uno sguardo ammiccante. Non credo di aver afferrato bene il concetto, ma vedo Leonardo sorriderle. Lui sembra aver capito tutto, invece. «Elena e io abbiamo qualcosa da fumare. Ti puoi unire a noi se ti va.» Elena e io? Fumare? Non ne sapevo proprio niente e gli rivolgo un’occhiata stupita che però lui ignora. «Adesso devo ancora fare una cosa» risponde Claudia, che sembra tentata, «ma vi cerco dopo. Non sparite…» E, regalandoci un ultimo malizioso sorriso, si rituffa nella folla. Guardo Leonardo, in cerca di spiegazioni. «È una delle tue amanti?» gli domando a bruciapelo. Solleva un sopracciglio, lo sguardo divertito. «No, almeno fino a stasera…» «Che intenzioni hai?» mi allarmo. 491/564 «Soddisfare le tue fantasie, come sempre» risponde, l’aria docile di una tigre in gabbia. «Ho visto come la guardavi, prima.» «E come la guardavo?» «Come guardi me.» Divento paonazza. «Perché è bellissima, no? Ma immagino l’avrai notato anche tu, o sbaglio?» dico, come a giustificarmi. «Hai mai baciato una donna?» I suoi occhi sono aghi sottili che m’infilzano. «Veramente, no.» «E non hai mai avuto voglia?» Mi sta sfidando. «No…» «… Almeno fino a stasera» conclude la mia risposta. «Adesso basta» gli dico puntandogli un dito contro, «smettila subito.» Lui ride forte, incurante delle mie minacce, mi afferra la mano e mi porta verso il 492/564 bar, dove ordina due coppe di champagne. Io bevo rimuginando su quella donna che, devo ammetterlo, mi ha provocato un certo scombussolamento. Poi guardo Leonardo e mi domando se abbia davvero intenzione di spingermi tra le sue braccia. No, non gli lascerei mai fare una cosa del genere, mi dico. Eppure quest’euforia intorno è contagiosa, ti lascia pensare che almeno per stanotte tutto possa succedere. Leonardo e io vaghiamo per un po’ nei meandri del palazzo, poi ci addentriamo in un salottino semibuio. Alcune persone chiaramente alticce si stanno accalorando per qualche argomento che non riesco a intuire. Le loro voci si rincorrono con la musica che pervade tutto e non si accorgono di noi, che ci sediamo sul divano alle loro spalle. Ci togliamo le maschere, dalla tasca di Leonardo spunta una canna già pronta, che lui accende. Una spirale di fumo dall’odore 493/564 un po’ aspro mi solletica le narici. Sa di fieno bruciato. Leonardo dà un tiro e poi me la passa. Io lo guardo incerta, non ho mai fumato neanche una sigaretta, figuriamoci una canna… «Avanti» m’incoraggia. «Un tiro piccolo, poi prendi aria nei polmoni e soffi fuori.» Ok, ci provo. Ovviamente il primo tentativo è un disastro: il fumo m’inciampa in gola e mi arriva ai polmoni come una coltellata. Tossisco fino a farmi uscire gli occhi sotto lo sguardo divertito di Leonardo. Riprovo, e il secondo tentativo va già meglio. Al terzo sono ormai una professionista. Chiudo gli occhi e infilo la canna tra le labbra, aspirando piano. Trattengo il fumo per due secondi, assaporandone il gusto proibito, poi lo lascio andare, e una nuvola densa svapora davanti al mio viso. Quest’odore mi piace, la testa mi gira e i muscoli si arrendono. Mi assesto meglio sullo schienale e mi abbandono a una dolce sensazione di torpore. Poi passo 494/564 la canna a Leonardo. Incastrandola tra medio e anulare, chiude le mani a pugno e aspira forte. Improvvisamente il mondo intorno a me è distante, mi sento la testa leggera e credo che un sorrisetto di beatitudine si sia stampato sulle mie labbra. Perdo il contatto con la realtà. E mi piace. A un tratto mi volto e Claudia è accanto a me. «Ciao» le dico un po’ sorpresa. «Ciao» risponde morbida, prendendo la canna che Leonardo le sta passando sotto il mio naso. Osservo le labbra di Claudia posarsi intorno al filtro e poi aprirsi un po’ per far uscire una sottile scia di fumo. Sono carnose, vorrei sfiorarle. «A giudicare dall’effetto che ha su di te dev’essere buona quest’erba.» Mi sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Be’, è la prima volta che fumo… non saprei, però mi piace parecchio» le rispondo, 495/564 mentre sento ogni resistenza e ogni imbarazzo scivolarmi via dal corpo. Claudia guarda Leonardo divertita. «È carina la tua amica.» Poi ci fissa entrambi. «Siete così belli tutti e due che davvero non saprei chi scegliere.» «Ma tu non devi scegliere…» le risponde lui, semplicemente. Prima che il senso di questa risposta diventi chiaro anche per me, sento delle labbra posarsi sul mio collo. E non sono di Leonardo. Però sono altrettanto morbide e sensuali e nemmeno per un istante ho l’istinto di staccarmi. Sento che sta per accadere qualcosa, sto per essere travolta da un’onda e non ho alcuna intenzione di fermarla. Mi volto verso Claudia e incrocio il suo sguardo languido. Aspira una boccata di fumo e poi me lo soffia in bocca, posando le labbra sulle mie. Il fumo arriva fino in fondo, disperdendosi da qualche parte dentro di me. Quello che resta è la sua bocca piccola e carnosa e la sua lingua che si muove contro 496/564 la mia. È buono questo bacio, mi dà sensazioni diverse da ogni altro, e mentre Leonardo mi abbraccia da dietro sento che anche questo è un suo regalo. Ed è naturale, come tutto quello che ho fatto con lui, ma che non avevo mai nemmeno sognato di fare. Claudia si stacca da me e adesso cerca Leonardo. Si scambiano un bacio vorace proprio sotto i miei occhi, ma non so perché la cosa non mi rende gelosa. Sono sedotta dalla loro eccitazione e tutto quello che aveva un senso prima – parole, pensieri, princìpi – sembra non averne più, ora. «Che ne dite di andare in un posto più tranquillo?» propone lei a un tratto. Senza aspettare la risposta si alza dal divano e prende la mia mano. Io cerco subito lo sguardo di Leonardo e lui mi prende l’altra. Ci sorridiamo, perfettamente complici, e seguiamo Claudia. Sono padrona di me stessa, ora: so cosa sta per accadere. 497/564 Saliamo al piano superiore e ci ritroviamo in un corridoio lungo, illuminato da poca luce, su cui si affacciano diverse porte. Claudia sa bene dove andare e ne apre una lasciandoci entrare. La stanza è avvolta dalla penombra, i contorni delle cose si confondono come le emozioni che ora si agitano dentro di me. Al centro c’è un letto a baldacchino e, in un angolo, un grande cero nero a forma di piramide sta bruciando su un candelabro, diffondendo nell’aria un aroma d’incenso. Claudia si volta verso di noi. È stupenda, sembra una di quelle statue di marmo della Grecia classica. Sfiorandomi appena il collo mi avvicina a Leonardo e c’invita a baciarci. Intanto mi accarezza una spalla scendendo lenta fino al mio seno. La sua mano è leggera sulla mia pelle. È diversa, calda, delicata. Mi stacco da Leonardo e la guardo. I suoi occhi verdi mi rapiscono, mi attraggono come magneti. Una fiamma si è accesa 498/564 inaspettatamente e sta sciogliendo tutti i miei freni inibitori. La mia bocca, senza che possa controllarla, si posa timida su quella di Claudia. Le nostre labbra si mescolano, umide, le nostre lingue s’intrecciano, mentre le mani forti di Leonardo scorrono sui nostri corpi roventi, abbracciandoli. Sto baciando una donna. Una sconosciuta. E il mio uomo la sta toccando, qui, insieme a me. Non c’è più traccia della Elena di un tempo, non ora. A un tratto Claudia si stacca. Tenendomi la mano, bacia Leonardo, poi torna da me. Le loro salive si confondono nella mia bocca assetata di desiderio. Leonardo intanto le sta accarezzando i seni e con le mani già slaccia i bottoni che le chiudono il vestito sul davanti. Il corpo di Claudia è liscio, sottile, prezioso: si scopre lentamente, concedendosi ai nostri 499/564 sguardi. Lui spoglia lei e un attimo dopo lei spoglia me. Poi Claudia e io spogliamo lui. Adesso siamo completamente nudi tutti e tre. La visione di questi due corpi così diversi, così vicini a me, così vivi, mi provoca una fitta di eccitazione. Dal salone di sotto le grida e la musica ci arrivano attutiti, gli unici rumori sono i nostri respiri. Ci distendiamo sul letto, scostandone i drappi damascati, tre amanti, tre desideri che s’incontrano. Solo per godere. Claudia mi viene incontro e m’invita a osare: mi sta chiedendo con il linguaggio del corpo di abbandonarmi, di essere sua. Le sue gambe, calde e dominanti, si schiudono davanti a me, la sua carne è contro la mia. È bagnata. Mi lecca i seni, strofinando il suo sesso contro il mio, mentre Leonardo si distende accanto a me e mi bacia. Poi ci scambiamo le posizioni e adesso sono io sopra di lei, che non resisto alla voglia di assaporare il suo seno. Intanto le mani di Leonardo si 500/564 fanno spazio ed entrano morbide in me. Il suo sguardo a metà tra il severo e il malizioso domanda se sarò in grado di godere. Se saprò giocare. Adesso le sue dita lasciano il posto a quelle di Claudia, che accarezzano esperte e quasi conosciute, mentre lui mi afferra una mano e la porta tra le gambe di lei. È una fessura calda e scivolosa, invitante. Esitando, infilo le mie dita nel suo sesso bagnato e lo esploro. I miei muscoli si sciolgono, la mia mente si libera e finalmente la possiedo e mi lascio possedere. È la mia prima volta. È la mia notte. Ma è Leonardo a guidare i nostri gesti, a dosare il nostro piacere. Prima che possiamo arrivare all’apice, ansanti e sudate, ci separa baciandoci a turno i seni. Poi spinge Claudia a baciare il mio, mentre lui la penetra da dietro. Sento le labbra di lei stringersi intorno al mio capezzolo sempre più forte, mano a mano che il piacere aumenta. Viene su di me, affondando la faccia tra i miei seni e io la 501/564 stringo forte, godendo del suo orgasmo, mentre i miei occhi incontrano quelli di Leonardo, lascivi e dominanti. Claudia si solleva dal mio petto, ancora più bella con le guance rosse e gli occhi brillanti, e si lascia cadere sul letto, appagata, cercando ancora le nostre mani. «Adesso tocca a voi» dice, guardandoci entrambi. Mi posa dolcemente due cuscini sotto la testa, poi mi lega alla testiera in ferro battuto, stracciando due lembi del suo vestito. Leonardo la lascia fare, compiaciuto. Arriva delicata, mi seduce, mi vuole. Quel suo modo di osservarmi mi fa sentire una dea, mentre scivola silenziosa con la testa tra le mie gambe. E il mio ventre si prepara a un lacerante, catastrofico piacere. Non c’è più nessuna Elena, ci sono solo i miei sensi, la sua lingua, le sue mani e quelle di Leonardo. Sono un corpo in ricezione, sono pelle che parla e ascolta. 502/564 È a questo punto che invito con gli occhi Leonardo a farsi leccare a sua volta, il sesso lucido e gonfio di piacere. Ora lui è su di me, dentro la mia bocca. Claudia rimane ancora qualche istante con la lingua dentro di me, poi lascia che sia Leonardo a riempirmi, il suo sesso in tensione, la sua spinta conosciuta. I nostri corpi affamati si mischiano, si cercano e si possiedono, incitati dallo sguardo lussurioso di Claudia. È lei adesso a baciarmi e a far scorrere le mani sul mio petto, fino al mio sesso, dove Leonardo spinge ancora. Ci accarezza entrambi, godendo di noi e per noi, e il suo piacere amplifica a dismisura il nostro. L’orgasmo viene subito e straripa come un fiume in piena, schizza fuori dai miei occhi, colora le mie labbra, incendia la mia gola. È nuovo ossigeno per i miei polmoni, nuova linfa per le mie vene, nuova emozione. E Leonardo è con me, anche lui estasiato, 503/564 anche lui arreso al groviglio di corpi che adesso siamo. Ci distendiamo sul letto e ci abbracciamo ancora, complici, esausti. Quando usciamo da quel palazzo sono disorientata, mi sembra di aver perso i punti di riferimento e ci metto un po’ a riconoscere il mondo all’esterno. Salutiamo Claudia, la nostra compagna di viaggio per una notte, e non c’è imbarazzo, solo una piacevole sensazione di quiete dopo la tempesta. Io e Leonardo ci incamminiamo verso casa. L’alba non è lontana. La sua luce debole inizia a rischiarare appena il cielo sopra di noi. La notte, invece, continua ad avvolgere la terra. Ci addentriamo a passi lenti in uno scenario postbellico, le strade sono invase dai residui della festa: montagne di rifiuti, bottiglie, cartacce e corpi malfermi. Il mondo è stato capovolto stanotte e adesso fatica a rimettersi in piedi. Nello stesso momento ci 504/564 voltiamo, ci guardiamo e ci ritroviamo l’uno nell’altra. Non abbiamo più le maschere, le abbiamo dimenticate là. Sorrido. Alla vita, alla notte che sta morendo, alla follia che sta svanendo, a tutte le maschere di cui mi sono spogliata, al corpo di donna che ho assaporato. Sorrido a Leonardo, grata. Senza di lui questo non sarebbe mai successo. 16 Alle nove e mezza di mattina Piazzale Roma è una babele di gente, macchine, autobus e motorini in partenza o in arrivo: la linea di confine tra la Venezia dei canali e la provincia dalle strade asfaltate. Sono qui perché Leonardo ha deciso di portarmi sulle colline trevigiane e dovrebbe passare a prendermi con un’auto a noleggio. Non so bene dove andremo, so soltanto che deve incontrare un produttore di vini. «Un impegno di lavoro, ma mi farebbe piacere se mi accompagnassi» mi ha detto una notte mentre eravamo a letto. Ovviamente la cosa mi ha 506/564 resa entusiasta, ma ho tentato per quanto potevo di non darglielo a vedere. Da quando ci conosciamo, non siamo mai andati fuori città e non abbiamo mai passato un’intera giornata insieme. Sono da qualche minuto nell’area di sosta e continuo a guardarmi intorno per tentare di capire da dove sbucherà, ma c’è una tale confusione che non riesco a vedere oltre un raggio di due metri. A un tratto un veloce colpo di clacson mi fa voltare. Eccolo. È lui, a bordo di una BMW X6 bianca, tirata a lucido. Accosta, azionando le quattro frecce. Senza scendere dalla macchina, si allunga per aprirmi la portiera dall’interno e mi fa salire. «Sei pronta?» Mi scocca un morbido bacio sulla bocca e ingrana la prima. «Sì.» Aggancio la cintura, appoggiandomi al sedile di pelle. 507/564 Leonardo inforca i Ray-Ban neri e spinge l’acceleratore al massimo imboccando il Ponte della Libertà, che collega Venezia alla terraferma. Il sole pallido di febbraio luccica sulla Laguna e alcuni stormi di gabbiani punteggiano il cielo di bianco. Noto che il contachilometri sta già sfiorando i cento. «Guarda che poi ti arriva la multa…» Lo dico solo per indurlo ad andare più piano, in realtà: la velocità mi ha sempre creato un po’ d’ansia. Leonardo si mette a ridere e mi accarezza la coscia per tranquillizzarmi. Poi scorre le dita sul cruscotto e accende la radio. «Mettiamo un po’ di musica, così ti rilassi.» È disinvolto e sicuro di sé alla guida. Come in tutto il resto. Parte Starlight dei Muse. Per un po’ rimaniamo in silenzio ad ascoltare il brano. Poi, al ritornello, Leonardo comincia a muovere la testa a ritmo e ci canticchia sopra 508/564 tamburellando con le dita sul volante come se fosse una batteria. «Sei intonato…» commento, ironica. Mi spia con la coda dell’occhio. «Mi stai prendendo in giro?» «Sì.» «Guarda che ti lascio alla prima piazzola di sosta, ti abbandono come un cagnolino…» mi minaccia mentre s’immette sull’autostrada per Treviso, e mi scompiglia i capelli. «Dove stiamo andando, di preciso?» chiedo ripettinandomi con le mani. «A Valdobbiadene, nella terra del Prosecco. I Zanin sono importanti fornitori del ristorante e hanno una cantina favolosa.» Si sposta con un dito un ciuffo ribelle che gli stava coprendo la vista. I Zanin. Ricordo questo cognome. C’erano anche loro la sera dell’inaugurazione, quando Leonardo era poco più che una fantasia nella mia mente. Da allora è 509/564 accaduto l’inverosimile e quasi non mi sembra vero di essere qui, ora, in auto insieme a lui. «Devi fare acquisti per il ristorante?» domando guardando il paesaggio scorrere dal finestrino. «Sì. Vorremmo proporre ai nostri ospiti qualcosa di speciale, un Cartizze di qualità superiore.» «Pensavo che di questo si occupassero i tuoi collaboratori» commento, ripensando a una sua frase di qualche mese fa. «Oggi no. Me ne occupo io» risponde con voce sicura. «Avevo voglia di fare un giro fuori città con te.» Non ci sono prove da superare, non ci sono sfide, oggi. Solo io e lui, e una giornata intera da trascorrere insieme. È una promessa di normalità in una relazione tutt’altro che normale, un’eccezione alla nostra routine fatta di amplessi e incontri fugaci, 510/564 e la cosa mi riempie di gioia. Leonardo mi sta regalando l’illusione di essere una coppia vera. Imposta l’indirizzo preciso sul navigatore. «Tra un quarto d’ora dovremmo esserci.» Lo guardo e mi sento completamente persa. Non ho ansie, né desideri, né aspettative. Questo momento mi sembra perfetto. «Leo?» «Sì…» Rotea il viso verso di me, sorpreso. È la prima volta che lo chiamo così. «Sono felice.» Vorrei dire molto di più, ma non ne ho il coraggio. Mi guarda un po’ incerto, l’ho colto di sorpresa. «Sono felice che tu sia felice» dice con un sorriso lieve, e sorridono anche le rughette di espressione ai lati dei suoi splendidi occhi scuri. Poi torna subito a concentrarsi sulla guida. Basta, non devo andare oltre, l’ho capito. 511/564 La visita dai Zanin è piacevole e ci prende tutta la mattinata. Il proprietario, un uomo sulla sessantina composto ed elegante come un lord inglese, ci fa visitare la tenuta con le vigne e i frutteti. Quindi, spiegandoci i metodi di lavorazione delle uve, c’introduce in cantina. Mentre lui e Leonardo disquisiscono di tartrati, presa di spuma, lieviti e perlage – discorsi di cui intuisco solo lontanamente il senso – io passeggio lungo le file di botti, che mi sembrano enormi ventri in fermentazione. Infine Zanin ci mostra orgoglioso i muri di bottiglie in cui il Prosecco riposa prima di essere consumato e ci concede una degustazione di vini pregiati accompagnata da qualche assaggio di pane e salumi locali. Più tardi, mentre io socializzo con i cani di casa, un pointer femmina e i suoi due cuccioli, Leonardo conclude la sua trattativa. Poi salutiamo Zanin e andiamo via. 512/564 Ci rimettiamo in macchina e percorriamo di nuovo quella magnifica strada panoramica attraverso le colline. Nonostante sia ancora febbraio, la temperatura del primo pomeriggio è mite e invita a stare all’aria aperta. «Che ne dici di fare quattro passi?» mi domanda Leonardo. Speravo che me lo chiedesse. Lasciamo la macchina su un piccolo spiazzo e procediamo a piedi, imboccando una stradina di sassi fiancheggiata da filari di viti. Abitare a Venezia ti fa dimenticare che esiste una terra ferma, solida, spaziosa, e che ci sono vere strade su cui camminare oltre ai ponti sui canali. Il profilo della collina è dolce, scende morbido verso valle incontrando una fila d’immensi cipressi. È un paesaggio incantevole, riempie il cuore di pace e pensieri distesi. Io e Leonardo lo attraversiamo in silenzio, mano nella mano. Respiriamo a pieni polmoni, inalando odore 513/564 di erba e terra umida. All’improvviso un tocco gelido mi centra una guancia. «Sta piovendo.» Alzo lo sguardo verso il cielo, che all’orizzonte si è fatto nero. «Ho sentito una goccia…» Leonardo solleva una mano con il palmo rivolto all’insù. «Eccone un’altra.» Mi tocco la testa per essere sicura di non sognare. «Possibile che le senta solo io?» «Adesso l’ho sentita anch’io» dice lui, chiudendo la mano su una goccia d’acqua. Nel giro di pochi minuti il cielo si rannuvola completamente e comincia a piovere a dirotto. Sembra un anticipo di primavera, uno di quegli acquazzoni che ti sorprendono a marzo. «Che facciamo, adesso?» chiedo, delusa. Mi dispiace che la nostra passeggiata finisca così. Mi dispiace perché so che è un’occasione rara, forse addirittura unica… 514/564 Leonardo mi copre la testa con il suo giubbotto di pelle. «Siamo troppo distanti per tornare alla macchina.» Si guarda intorno per cercare una soluzione. «Vieni. Facciamo una corsa fino a lì» mi dice indicando una costruzione in lontananza, un casale rosso, isolato dal resto del mondo, in mezzo alla valle. Tenendoci per mano corriamo per un centinaio di metri sotto la pioggia battente. Acqua ovunque, sembra che ci stiamo muovendo in un mondo liquido. Non ci voleva, ma questo temporale inatteso ha tutto il sapore di un’avventura. Raggiungiamo il porticato esterno del casale e ci mettiamo al riparo. Ho il fiatone e sono fradicia. La camicia di Leonardo aderisce trasparente ai suoi pettorali, tutta inzuppata d’acqua, i capelli e la barba rossiccia gocciolano. Lo guardo e vorrei ridere, ma un freddo improvviso mi arpiona la schiena scuotendomi tutta e facendomi stringere le 515/564 braccia al petto. Leonardo mi abbraccia e mi scalda con il suo corpo. «Questo posto sembra abitato» osserva, notando luce in casa. «Proviamo a suonare?» «Non so… dici che è il caso?» Intanto un signore anziano, alto e magro, è sbucato da una sorta di fienile accanto al caseggiato e viene correndo verso di noi reggendo un cesto ricolmo di radicchio rosso. Dev’essere il padrone di casa. Prima che possa allarmarsi, Leonardo lo saluta con un cenno della mano. «Salve. Deve scusarci, ma abbiamo approfittato del suo portico per ripararci…» «Ma cosa fate lì sotto? Venite dentro, per favore» ribatte immediatamente l’uomo con un tono che non ammette repliche e noi, dopo un rapido sguardo d’intesa, lo assecondiamo. «Entrate al caldo, altrimenti vi prendete un accidenti» ci invita, aprendoci la porta del casale. 516/564 All’interno l’ambiente è grazioso e accogliente, arredato con mobili dallo stile povero ed essenziale, che sembrano venire da un altro tempo. Si respira un odore buono, di essenze aromatiche e legno, tipico delle case di campagna, e ci sono piante ornamentali e fiori freschi in più angoli. Il nostro ospite senza nome ci conduce in cucina, dove una donna sulla settantina è impegnata ai fornelli. «Adele, abbiamo ospiti» dice ad alta voce posando il cesto sul tavolo. La donna si volta e ci accoglie con uno sguardo curioso. «Buonasera.» «Si sono presi una lavata tremenda e si erano riparati sotto al portico, poveretti» continua lui, indicando i nostri vestiti grondanti. Adele ci fa accomodare davanti al grande caminetto, dove arde un fuoco vivo. «Venite, sedetevi qui, al caldo.» La sua voce è 517/564 delicata, come le mani chiare e rugose. Mani che hanno lavorato una vita. «Grazie» rispondiamo all’unisono. Sono colpita da tanta gentilezza. Non so se io accetterei così facilmente in casa un passante. Ma soprattutto sono rapita dall’atmosfera serena e rassicurante che si respira qui. «Vado a vedere se trovo qualche vestito asciutto di sopra» dice Adele, e a passi lenti si dirige verso la scala. «Non si preoccupi, signora…» Tento di fermarla. «Siete stati fin troppo gentili!» «Sì, Adele, vai» la incita il marito, «non possono certo restare così bagnati!» La donna sparisce al piano di sopra e l’uomo si siede accanto a noi, si scalda le mani davanti alla fiamma e ci chiede i nostri nomi. «Io sono Sebastiano» si presenta poi, «ma qui tutti mi chiamano Tane.» 518/564 Si fa raccontare da dove veniamo e come siamo finiti da queste parti. Sembra sinceramente contento di averci qui, ci osserva con gli occhi sinceri di chi nella vita ha imparato ad ascoltare. Poco dopo Adele ritorna con due grucce a cui sono appesi vestiti puliti, semplici e un po’ datati. «Tenete, erano dei miei figli. È il meglio che sono riuscita a trovare» dice, porgendoceli. «Se volete appendere i vostri vicino al fuoco… così si asciugheranno più in fretta.» La conosco da neanche mezz’ora, ma avrei già voglia di abbracciarla. «Se avete bisogno del bagno, è lì dietro» spiega, indicando una porta sul corridoio. «Grazie mille, Adele, facciamo in un attimo» risponde Leonardo e prendendomi per mano mi conduce fuori dalla stanza. Ci cambiamo in fretta. Indosso un paio di jeans che mi stanno larghi e una vecchia 519/564 felpa a righe colorate Benetton, mentre Leonardo s’infila un maglione di lana e pantaloni di velluto a costine. Mi rivolge uno sguardo affettuoso e mi stampa un tenero bacio sulla fronte, assicurandosi che stia bene. Prima di uscire, ci fermiamo per un momento davanti allo specchio, uno accanto all’altra, sorridendo della nostra nuova versione. Poi torniamo in cucina e sistemiamo i nostri vestiti su due sedie, davanti al caminetto. Adele ci offre un bicchiere di vin brulé e una fetta di torta di mele. «E lei non ne prende?» domanda Leonardo a Sebastiano. Lui scuote la testa. «Ho il diabete. La tiranna, qui, mi tiene a stecchetto.» E con la mano cerca sua moglie, che gliela imprigiona tra le sue ridendo. C’è una dolcezza infinita nel modo in cui si guardano, un amore saldo, incondizionato, che entrambi sembrano aver accettato come un destino. Leonardo e io ci 520/564 scambiamo un sorriso fuggevole. Forse stiamo pensando la stessa cosa, che Adele e Sebastiano sono uno spettacolo raro e che suscitano una tenerezza immensa mentre si tengono la mano. Ma non so se anche lui sta provando invidia per loro, se come me si sta chiedendo cosa riserverà il futuro a noi due. «Da quanto tempo siete sposati?» domando. «Cinquantadue anni» rispondono all’unisono. «E lei, invece, quando ha intenzione di farsi sposare dal suo fidanzato?» mi chiede a bruciapelo Adele. «Mi perdoni, signorina, ma ho visto che non ha la fede al dito… non vorrà mica farselo scappare?» mi rimprovera bonariamente. Sto per rispondere che no, che è fuori strada, che noi in realtà non siamo neanche una coppia ma, prima che possa organizzare una riposta, Sebastiano mi precede. «Fatti 521/564 un po’ i fatti tuoi, tesoro, non li imbarazzare… si vede da lontano quanto sono innamorati.» Ho un tuffo al cuore. È solo una frase, detta con estrema ingenuità, ma ha l’effetto devastante di una bomba. Agli occhi di questo estraneo è evidente ciò che noi non abbiamo mai voluto vedere e le sue parole rendono irrimediabilmente reale quello che noi abbiamo sempre ritenuto impossibile. Non oso voltarmi verso Leonardo, ma lo sento alzarsi di scatto e allontanarsi dal camino, quasi a fuggire. Si avvicina a un mobile su cui sono esposte alcune fotografie e si mette a guardarle dandoci le spalle. «Sono i vostri figli?» chiede, prendendo una cornice tra le mani e cambiando discorso con una disinvoltura che ai miei occhi, questa volta, non riesce bene a simulare. Adele lo raggiunge per dargli spiegazioni: «Questo è Marco, il più grande, lavora in 522/564 Germania. E lei è Francesca, che vive a Padova con suo marito». «Ormai qui in collina non c’è più nulla per i giovani» commenta Sebastiano rivolto a me, con una vena di rassegnazione. Sono ancora turbata e non mi viene in mente niente da dire per alimentare la conversazione. Adele intanto continua a parlare dei suoi figli mostrando altre foto: «Guardi, qui erano piccoli, andavano ancora alle elementari…». Sollevo lo sguardo nella sua direzione e inaspettatamente incrocio gli occhi di Leonardo. Tiene in mano la cornice, ma sta guardando me. E dentro i suoi occhi vedo qualcosa che non avevo mai visto prima, un desiderio folle, un bisogno disperato, una tenerezza infinita. Amore. Per un brevissimo istante ne sono sicura. Ma è solo un istante, e presto quello sguardo mi sfugge andando a rifugiarsi altrove. Dopo, non sono più sicura di niente. E 523/564 il mio cuore sa con certezza che non gli basta più quello che già ha. Ormai sono le cinque del pomeriggio e finalmente ha smesso di piovere. I vestiti si sono asciugati e nonostante i nostri ospiti ci abbiano invitati a trattenerci ancora, decidiamo di ripartire. Ci rimettiamo gli abiti e li salutiamo con affetto. «Mi raccomando, se tornate da queste parti, venite a trovarci» dice Sebastiano, stringendoci la mano. «Chissà…» replica Leonardo. Ma con la testa è già lontano. Uscire da quel casale è come tornare da un’altra epoca, fuori si è fatto buio e il mondo è diverso da come lo avevamo lasciato. Ombre e freddo sono calati su tutto e anche su Leonardo. I suoi occhi sono spenti e il suo volto ha una fissità che mi intimorisce, adesso. Mi prende per mano e mi riporta alla 524/564 macchina senza dire una sola parola. Ho paura a chiedere cosa stia pensando, non oso turbare questo silenzio così pesante. Per un istante ho la percezione chiara e netta che stia per succedere qualcosa di spaventoso. Ma scaccio il pensiero scuotendo leggermente la testa. Ci rimettiamo in auto e per tutto il tragitto Leonardo resta distante, taciturno, come se stesse rimuginando su qualcosa. Di tanto in tanto incrocia il mio sguardo e cerca di rassicurarmi con una carezza, ma anche il suo tocco è freddo, lo sento sulla pelle. Ho la strana sensazione che quest’uomo abbia bisogno di essere salvato da se stesso. «Insomma, si può sapere che hai? Cos’è quella faccia appesa?» sbotto mentre stiamo già camminando verso casa, dopo che abbiamo restituito l’auto a noleggio. 525/564 Lui emette un respiro profondo e si blocca di colpo, costringendomi a fare altrettanto. Siamo a due passi da dove vivo, nello stesso punto in cui ci siamo fermati mesi fa, dopo che mi aveva portata sulle spalle per colpa – o per merito? – dell’acqua alta. «Questa è l’ultima volta che ci vediamo, Elena.» Me lo dice guardandomi dritto negli occhi. Ed è un’affermazione semplice, che non ammette repliche. Sento il sangue diventare ghiaccio nelle vene e poi andare in frantumi. «Perché? Non capisco…» balbetto, confusa. «Non ha più senso rimandare questo momento. Me ne sono reso conto ormai da un po’, ma come uno stupido ho sempre voluto aspettare, illudendomi che… Avevamo un patto e credo si sia concluso, ora.» «Cosa?» Sono completamente spiazzata, un rantolo amaro mi esce dal petto. «Perché mi parli del patto, adesso?» 526/564 «Perché quello che ci eravamo detti all’inizio di tutto vale ancora, per me. Ti ho guidata fino a qui, e adesso il nostro viaggio è finito.» È irremovibile. Non ho alcuna speranza di fargli cambiare idea. «Ma allora perché non può restare tutto com’è?» insisto. «Non possiamo continuare a vederci come abbiamo sempre fatto?» Leonardo scuote la testa. «Ci siamo dati tutto quello che potevamo, Elena, ed è stato bello. Ma è il momento di lasciarsi, prima che il piacere si trasformi in abitudine o in bisogno.» Mentre lo dice una ruga profonda si disegna sulla sua fronte. Sembra quasi in lotta con se stesso. Non può essere vero, non può essere che dopo una giornata come questa, la più bella che abbiamo passato insieme, Leonardo decida di lasciarmi. Ma forse è proprio questo il motivo, forse sono le emozioni vissute oggi ad averlo spaventato. 527/564 «Cosa c’è? Hai paura che io m’innamori di te? O magari il contrario?» gli urlo addosso, rabbiosa. Ho perso il controllo. L’ho detto più per provocazione che per convinzione, ma spero di aver colpito in un punto vitale. Leonardo resta spiazzato, forse non si aspettava tanto coraggio da parte mia. Si difende dietro un sorriso sarcastico. «Come posso avere paura di un’idea che non ho mai nemmeno preso in considerazione?» Più che le sue parole sono la sua improvvisa freddezza, il suo distacco, a farmi male. «Elena, tra noi c’è stato sesso, c’è stata complicità e leggerezza. Ma mai amore…» «T’invidio, sai?» lo interrompo, caustica. «Vorrei avere anch’io tutte queste certezze, vorrei sapere esattamente cosa è amore e cosa non lo è, proprio come te.» E poi vorrei restare salda e riuscire a non piangere, ma devo avere già gli occhi lucidi, perché 528/564 Leonardo non riesce più a guardarmi in faccia. «Ti prego, non complicare le cose.» Deglutisce attirandomi a sé. Mi stringe forte come se potesse proteggermi dal dolore che lui stesso mi sta infliggendo. Il calore del suo corpo è di una familiarità struggente, non posso sopportare l’idea di separarmene. «Se restassi con te, ti farei ancora più male. E, credimi, è l’ultima cosa che voglio» mi sussurra piano. Poi mi allontana da sé e mi asciuga una lacrima su una guancia. «All’inizio, quando ti ho conosciuta, ero convinto che fossi una sfida per me, un gioco. Pensavo che fossi solo una ragazzina da scandalizzare, da provocare, e invece ho scoperto molto di più. Ti ho visto trasformarti, sbocciare sotto i miei occhi. Sei una donna splendida, Elena, sei libera e forte, non hai bisogno di me.» «Ma io ti voglio ancora» dico con la consapevolezza lancinante di averlo già perso. 529/564 Leonardo chiude gli occhi per un istante. Vedo una miriade di emozioni attraversargli il volto. Quando li riapre, ha lo sguardo assente, perso nel vuoto. «Perdonami, Elena, devo andarmene» dice quasi con urgenza. Un bacio sulla fronte e poi quella parola che non avrei mai voluto sentire: «Addio». Si scioglie dal nostro abbraccio portandosi via una parte di me. Resto lì, come amputata, le braccia dolorosamente vuote, gli occhi che si riempiono di pianto. Tutto quello che riesco a vedere, tra le lacrime, è la sua schiena che si allontana. La prima cosa che ho visto di Leonardo, l’ultima cosa che mi resta di lui. 17 Oggi ho pianto per due ore di fila. Lacrime piene, dolorose, che non ho nemmeno provato a combattere. È un’altra giornata di strazio che va ad aggiungersi a quelle che l’hanno preceduta. Da quattro giorni sono barricata in casa, con un nodo insolubile che mi opprime il petto e mi dà un senso di nausea soffocante. Non faccio altro che pensare a lui. Ogni tanto mi ricordo di mangiare, ma riesco a mandare giù solo qualche boccone, il necessario per non morire di fame. Ho lo stomaco chiuso, il corpo è debole, la testa un macigno, il cuore un groviglio di rabbia. Odio 531/564 Leonardo per avermi abbandonata in quel modo. Odio me stessa per essermi cullata nell’illusione che potesse finire diversamente. Si può essere più stupidi? Non è servito a niente ripetermi più e più volte di non innamorarmi, alla fine sono cascata nella trappola dei sentimenti. E cos’altro potevo aspettarmi da me? Di essere davvero diventata un’altra, più forte, autonoma, coraggiosa? Non sono riuscita a essere la donna emancipata che credevo. È stato tutto solo una splendida illusione. E ora sto male, un male che toglie le forze e carica l’anima di tormento. Non rispondo al telefono. Gaia mi ha cercata diverse volte in questi giorni, ma io non le ho mai risposto. Non rispondo nemmeno a mia madre, che a questo punto starà per chiamare Chi l’ha visto?. Voglio stare sola, crogiolarmi nella mia solitudine e nella mia tristezza. In certi momenti sono così affranta che fatico a muovermi e mi sembra 532/564 un’impresa anche solo trascinarmi dal letto al divano, in altri sono così arrabbiata che vorrei rompere tutto quello che mi capita a tiro. Poco fa ho ridotto in briciole una confezione di biscotti, picchiandola con i pugni. Poi ho buttato tutto dalla finestra. Non pensavo che l’abbandono di Leonardo avrebbe potuto ridurmi così e non oso immaginare quanto tempo mi ci vorrà ancora per risollevarmi. Mi guardo intorno. Nel mio appartamento non c’è mai stato tanto caos: il pavimento pieno di polvere e briciole, i piatti da lavare, i vestiti gettati alla rinfusa sul letto sfatto. Quel letto profuma ancora di lui, di noi. Le lenzuola conservano un vago profilo dei nostri corpi. Voglio stare di nuovo lì, per sentirmi più vicina a Leonardo. Mi tolgo le ciabatte di lana e m’infilo sotto le coperte, ho addosso il pigiama di pile con gli orsetti polari. E sono le tre del pomeriggio. Striscio fino al fondo del materasso, 533/564 agganciando i piedi al bordo e lascio che i miei sensi si riempiano di lui. Vedo il suo viso, inalo il suo odore, sento le sue mani e la sua bocca su di me. È straziante. Non riesco a farne a meno, ma allo stesso tempo vorrei che i ricordi sparissero tutti insieme in un solo istante. Fuori soffia un vento di scirocco spaventoso. Stride sui vetri delle finestre e s’incunea tra gli scuri con suoni inquietanti. Un’angoscia violenta mi assale. Riaffiorano le paure di un tempo, quelle difficili da gestire, la paura di non essere all’altezza, di non essere abbastanza, di non essere amata. La paura di restare sola. Tra le sue braccia era tutto meraviglioso. Ero felice, ho riso tanto, e ora riesco solo a piangere. In un attimo d’irrazionalità mi vengono in mente quei pensieri che la maggior parte delle persone non ammette di avere, tipo 534/564 inghiottire una dozzina di pastiglie e buttarle giù con la vodka, o gettarsi dal dodicesimo piano di un palazzo. Ma a Venezia ci sono palazzi così alti? Non mi pare… Che stupida sono, ma meno male che in tutta questa sofferenza c’è ancora posto per un sorriso. Sarebbe tanto sbagliato inviargli un messaggio per dirgli che mi manca e chiedergli di tornare? Sì, è sbagliato, lo so. Ma, in fondo, non ho più niente da perdere… Afferro l’iPhone sul comodino e inizio a digitare il suo nome sulla tastiera, con le dita che tremano e il cuore che palpita. All’improvviso, prima ancora di aver composto una riga di sms, il telefono si blocca e il display diventa tutto nero. Per un attimo entro nel panico totale, lo spengo e lo riaccendo, già temendo di aver perso tutti i dati, e mi calmo solo quando vedo ricomparire lentamente le icone sullo sfondo. 535/564 Questo è un segnale, ne sono certa. L’universo mi sta mandando un messaggio e, senza troppa originalità, lo fa attraverso il mio iPhone: non devo più contattare Leonardo, devo dimenticarlo! È uno stronzo, un egocentrico, un egoista, un codardo. Mettitelo bene in testa, Elena. Vuoi farti ancora del male? No, non voglio. Con immane coraggio cancello il suo numero dalla rubrica. Adesso mi sento uno schifo, ma questo era l’unico modo per non cadere di nuovo in tentazione. D’ora in avanti Leonardo uscirà definitivamente dalla mia esistenza. Ho toccato il fondo, ma io sono una di quelle che devono farsi male prima di darsi una svegliata e capire. Ecco a cosa serve tutto questo dolore, a farmi aprire gli occhi sulla verità. Leonardo è stato un errore, un danno, un pericolo che non avrei dovuto correre, un salto nel vuoto che si è concluso in uno schianto. 536/564 E ora è veramente arrivato il momento di dire basta. Penso a tutte le persone che in questo momento staranno soffrendo per amore, a Venezia e nel mondo intero, e mi sembra di essere meno sola. Mi ripeto che me la caverò, che non sarà difficile come può sembrare. Non piango più e mi concentro sulla respirazione, come ho imparato a pilates. Inspiro, espiro. Lentamente. Che cosa farò, adesso? Mentre formulo una quantità insopportabile di pensieri sconnessi, sento il campanello suonare. È Gaia, non può essere che lei, la riconosco dal tocco insistente. Non ho nessuna intenzione di alzarmi da questo letto per andare ad aprire. Non voglio che mi veda in queste condizioni, non sopporterei le sue domande. Me ne sto immobile e zitta. Il campanello ha smesso di suonare, adesso. Magari Gaia 537/564 pensa che in casa non ci sia nessuno e si è rassegnata. Ma lei non è proprio il tipo e infatti dopo qualche secondo ricomincia a suonare, ancora più insistente. Poi un nuovo silenzio. «Elena!» Sento la sua voce risuonarmi nella testa come in una stanza vuota. «Elena, apri, mi stai facendo preoccupare!» Mi trascino per inerzia davanti all’ingresso e resto in silenzio. «Lo so che ci sei! Se non mi apri, chiamo i pompieri e la faccio sfondare questa cazzo di porta!» grida battendo i pugni come volesse davvero buttarla giù. Alla fine le apro e la lascio entrare. Quando mi vede sgrana gli occhi. «Si può sapere cosa ti succede?» chiede. Senza aspettare risposta mi stritola in un abbraccio e mi dà un bacio sulla guancia. Il calore di quell’abbraccio mi spalanca il cuore. Mi ci sciolgo dentro e mi abbandono. 538/564 Come ho potuto pensare di fare a meno di lei? Gaia è l’unica persona a cui posso affidare quello che resta di me. E allora le racconto tutto. Con coraggio, onestà e senza pudore. Tutta l’amara verità su Leonardo scivola fuori dalle mie labbra, goccia dopo goccia la riverso su di lei. Il primo amplesso al palazzo, il patto diabolico, le prove, il sesso, la mia resistenza, la mia perdizione. Lei ascolta in silenzio, seduta di fronte a me sul divano, facendo più volte no con la testa, gli occhi grandi incollati ai miei. Alla fine del racconto Gaia è scioccata e commossa, una lacrima sta per scenderle sulla guancia. Ecco, sono riuscita a toglierle la parola, cosa rara per lei. Non dice niente, ma mi stringe forte in un abbraccio che vuol dire tutto e io in quell’abbraccio mi ci immergo come in una piscina calda dove si tocca sempre e non si affonda mai. Sento addosso la consistenza dell’affetto vero. Nei pochi attimi in cui Gaia mi stringe, guancia 539/564 contro guancia, m’infonde una quiete che quasi fatico ad accettare. Adesso, davvero, non sono più sola. «Perché non me l’hai detto prima?» chiede incredula, spostandomi dalla fronte una ciocca di capelli. «Perché avevo paura che mi giudicassi male.» «Io?!» esclama. «Ele, quando mai potrei giudicarti male?» Abbasso lo sguardo e poi lo rialzo. «Mi vergognavo.» Adesso in realtà mi vergogno di averle mentito, ma i suoi occhi verdi sono carichi di perdono. «Ehi…» sussurra, scrollandomi le spalle. «Lo sai che per te ci sono sempre, qualunque cosa succeda.» «Lo so…» Ed è bello sentirselo dire. «E adesso? Che cosa vuoi fare con Leonardo?» domanda, con una discrezione che non le ho mai conosciuto. 540/564 «Dimenticarlo, buttarmi tutto alle spalle. Soffro come un cane, ma sento anche tanta rabbia.» Gaia mi prende le mani tra le sue e questo m’incoraggia a parlare. «È che sono più arrabbiata con me stessa. Sono stata io a innamorarmi come una stupida!» m’infervoro. «Lui mi aveva avvertita più volte. Pensavo di reggere il gioco, e invece… Mio dio, che nervoso!» Le parole mi si strozzano in gola. Gaia scuote la testa. «Se me ne avessi parlato prima, forse ti avrei aiutata. Ti sei tenuta tutto dentro… e io che non mi sono accorta di niente!» Rimprovera quasi se stessa, la mia amica. Che io ho tenuto deliberatamente all’oscuro di ogni cosa. «È colpa mia… Ho sbagliato tutto quello che potevo sbagliare, Leonardo mi ha fatto mentire alle persone a cui tengo di più. È tremendo, lo so. Mi spiace.» 541/564 «No! Togliti di bocca la parola colpa» dice con un tono quasi adirato. «Tu non hai nessuna colpa. È finita male, ma non serve a nulla il rimorso, ora.» «Oddio, Gaia…» Affondo il mento sul petto, disperata. Chiudo un istante gli occhi e quando li riapro lascio sgorgare nuove lacrime. «Ehi, basta piangere. Tu non hai sbagliato, hai solo seguito il tuo cuore.» Gaia si allunga verso di me e mi tira le guance fino a disegnarmi un sorriso. «Dimmi almeno che un po’ ti sei divertita…» mi provoca poi in tono complice. Mi scappa un sorriso vero, mentre mi asciugo le lacrime. «Ma tu come stai?» le chiedo riemergendo dalla fossa dei miei pensieri. «Abbiamo parlato solo di me…» Gaia fa un lungo sospiro. «Ci sono novità. Ti avevo cercata anche per questo.» 542/564 «Belle o brutte?» «Non lo so nemmeno io.» Si stringe nelle spalle. «Cioè?» «Ho troncato con Jacopo.» Il suo viso si rabbuia all’istante. «No!» Sono sinceramente dispiaciuta. Ci tenevo alla loro storia. «Cos’è successo?» «Mi ha chiesto di andare a vivere insieme» spiega, la voce piana e senza espressione. «Ma di fronte a un impegno così grande ho capito che non potevo mentire a lui e neanche a me stessa.» In lei, di solito così impulsiva e frivola, sembra affiorare ora un’equilibrata presa di coscienza. «C’entra Belotti?» le domando, sicura che sia così. «Ele, ho provato a dimenticarmi di lui, ma non ci sono riuscita.» Gli occhi le brillano mentre lo dice. «Jacopo è stato perfetto con me, mi ha riempita di attenzioni e regali, 543/564 però non è bastato. Continuo a pensare a quello stronzo.» «Ma vi siete visti?» «L’ho solo sentito al telefono» risponde, quasi con rassegnazione. «Si sta allenando duramente. Questo è un anno importantissimo per lui, deve risollevarsi dalle cadute dei mesi scorsi.» «E quindi?» «E quindi non importa.» Una vena di tristezza le solca il viso. «Anche se lui è lontano, anche se probabilmente lo vedrò solo a stagione finita… lo aspetterò, cos’altro posso fare?» Annuisco per offrirle tutta la mia vicinanza e comprensione. «Forse ho fatto una cavolata di cui mi pentirò amaramente» sospira Gaia. «Jacopo c’è rimasto proprio male. È davvero innamorato, sai?» 544/564 «Lo so. Io facevo il tifo per lui. Ci tenevo tanto ad avere un’amica contessa…» cerco di alleggerire. Un sorriso le spunta sulle labbra, ma sta bene attenta a ricacciarlo da dove arriva. «E invece hai solo un’amica stupida.» «Be’, almeno siamo in due.» Dopo che Gaia se n’è andata, l’ammasso di pensieri in cui ero immersa a poco a poco si scioglie, è come se il macigno che mi pesava sullo stomaco fosse improvvisamente rotolato fuori dal mio corpo, lasciandomi un senso di liberazione e leggerezza. Parlare con lei mi ha fatto bene, averle raccontato tutta la verità mi ha aiutata a vedere le cose da una diversa prospettiva, con maggiore distacco. Sono stata felice, non lo sono più, ma posso esserlo ancora. Devo relativizzare il mio dolore, considerare Leonardo come un episodio della mia vita, bellissimo ma 545/564 irripetibile. Il futuro mi aspetta, basterebbe solo capire in che direzione andare. Potrei buttarmi a capofitto nel lavoro, per esempio, decidermi ad accettare quell’impiego a Padova, sempre se non sono fuori tempo massimo. Voglio essere forte, razionale, ho quasi trent’anni e voglio gestire la mia vita, concentrarmi sulle cose a cui tengo, trovare il mio posto nel mondo. L’Elena che gioiva tra le braccia di Leonardo, che aspettava fiduciosa ogni suo gesto e ogni sua parola, che era pronta a fare qualsiasi cosa lui le chiedesse non esiste più. Quella donna non ero io. Ero la donna che voleva lui. Adesso devo tornare a essere me stessa, me senza Leonardo, un’Elena che appartiene solo a Elena. Sospiro. Più facile a dirsi che a farsi. Ma devo cominciare dalle piccole cose: vado in camera a rifare il letto. Metto le lenzuola pulite e butto quelle sporche nel cestello 546/564 della lavatrice per liberarmi del suo profumo e della sua immagine. Poi apro le finestre e lascio uscire l’aria stantia di questa stanza. C’è bisogno di un’ondata di vento che spazzi via i ricordi. Mentre compio questi gesti, un pensiero mi sfiora. È possibile che le emozioni provate con Leonardo non fossero amore, ma avessero più a che fare con il fascino del proibito, con il gusto di infrangere le regole? L’idea mi disturba. Molto. Ma se fosse così? Basta, non voglio pensarci. Anche se ridurre la nostra storia a un desiderio nascosto per la trasgressione forse mi aiuterebbe a ridimensionare tutto… Mi sposto in soggiorno e afferro dalla libreria un bellissimo volume illustrato su Michelangelo e la Cappella Sistina. Di solito guardare le opere d’arte dei grandi maestri mi aiuta a rilassarmi. Mi distendo sul divano, appoggiando la testa su un cuscino, e inizio a 547/564 sfogliare il libro, soffermandomi su alcuni dettagli che catturano la mia attenzione. Quando arrivo intorno alla metà, un foglio scivola fuori dal volume cadendomi sul petto. Lo guardo: è il ritratto che Filippo mi aveva fatto la notte prima di partire. L’avevo messo tra quelle pagine perché non si sciupasse, me n’ero quasi dimenticata, e adesso ho un tuffo al cuore nel ritrovarlo. Come sei bella… Dormivi così bene, stanotte… All’improvviso ho un’immensa nostalgia di lui. Fil, perché non ho capito subito che eri tu quello da cui lasciarsi amare? Eri tu a farmi sentire veramente al sicuro, eri tu ad accettarmi per quella che ero, con tutti i miei limiti e i miei difetti, senza pretendere di cambiarmi. E io non ho fatto nulla per proteggere quel sentimento puro e sincero che ci univa, non ho saputo averne cura, l’ho maltrattato correndo dietro a stupide illusioni. 548/564 Solo adesso mi rendo conto di quello che ho perso. Una lacrima mi scende piano dagli occhi, poi un’altra, poi un’altra ancora. Mi lascio andare a un pianto liberatorio, che non è di rabbia né di dolore, è il pianto che si riserva alle persone davvero importanti, quelle a cui siamo legati da qualcosa che va oltre il cuore, il corpo, la mente. Queste lacrime lavano via tutte le emozioni provate negli ultimi mesi e quando sono finite mi lasciano spossata. Ma ora in me c’è una nuova determinazione, una nuova forza. Sono pronta a rinascere e la prima cosa da fare è chiedere perdono a chi è stato vittima dei miei errori. 18 Osservo il paesaggio attraverso il finestrino, la testa appoggiata al sedile, le mani abbandonate sulle ginocchia. Le colline toscane mi hanno sempre messo addosso un senso di pace profonda: viste da un treno in corsa sembra quasi che si muovano, inseguendomi con i loro profili di terra rossa. Rimango immobile, metto a tacere i pensieri e mi concentro su ciò che accade intorno a me. Rumore di rotaie, voci che si sovrappongono, squilli di cellulare, porte che si aprono e chiudono. Gallerie, buio, poi sole, poi di nuovo buio, poi di nuovo sole. 550/564 Ricomincio da qui, da questo treno che corre verso Roma. Tra meno di due ore sarò nella capitale, da Filippo. È una mossa azzardata, un’impresa che non è da me, ma ci ho pensato e ripensato, e alla fine ho capito che era la cosa migliore, quella più giusta da fare: non mi porto niente dietro, solo la voglia di chiedere perdono senza la pretesa di ottenerlo. Forse Filippo non sarà felice di rivedermi, forse non potremo mai superare lo scoglio del nostro ultimo litigio e ritrovarci nel punto in cui ci eravamo lasciati. Ma vorrei almeno parlargli, dirgli che mi dispiace e che ho capito di aver sbagliato. Avrei potuto scrivergli o telefonargli, ma ho pensato che questo viaggio, se non altro, sarà una sorta di piccolo percorso di espiazione. Ho prenotato una stanza in un piccolo albergo vicino a San Giovanni. Al peggio, sarà solo una breve vacanza. 551/564 Arrivo a Termini intorno alle tre del pomeriggio. Ad accogliermi c’è un sole caldo che m’inonda il viso di luce, perciò tolgo subito il giubbotto. L’aria di Roma è tiepida, scalda il cuore di novità. Trascinando il mio piccolo trolley, esco dalla stazione e salgo sul primo taxi libero. «Viale della Musica» dico gentilmente al tassista. Voglio andare al cantiere. L’ultima volta che ci siamo sentiti è stato Filippo a darmi le coordinate del posto. Mi sembra sia passato un secolo da quella telefonata e non sono affatto sicura di trovarlo. Ma voglio tentare, è l’unico riferimento che mi ha dato durante le nostre videochiamate. Il taxi attraversa la città piena di traffico e rumori e infine l’Eur si schiude davanti a noi con la sua severa imponenza. Scendo dall’auto e percorro qualche metro a piedi, senza sapere bene dove andare. In 552/564 lontananza vedo un’immensa costruzione di vetro e cemento circondata da gru e impalcature e mi dirigo in quella direzione. Quando sono proprio sotto sollevo lo sguardo. L’edificio non è finito, e chissà quanto tempo ci vorrà ancora, ma già si può coglierne l’armonia e quella bellezza ricercata che punta dritta al futuro. A passi incerti mi addentro nel cantiere, tenendo l’iPhone in una mano e trascinando il trolley con l’altra. Mi guardo intorno un po’ timorosa, qualche operaio mi osserva incuriosito, ma nessuno mi ferma. Sono animata da un’unica immensa speranza. Ritrovarlo. Ed eccolo lì, lo riconosco da lontano, è girato di spalle e indossa l’elmetto di protezione. Sono sicura che è lui. Solo Filippo ha quel modo buffo di gesticolare. Sta parlando con alcuni operai, l’indice puntato su un lato della costruzione, e sembra sicuro dei suoi movimenti e delle sue parole. Il mio cuore accelera i battiti e si surriscalda. Ma non 553/564 devo avere paura: ora so cosa c’è alla fine e all’inizio di un viaggio. C’è vita, c’è amore, c’è solo un attimo, e la meravigliosa certezza di non sapere. Quando gli operai se ne sono andati, lo chiamo al cellulare. Filippo fruga nella tasca del Burberry alla ricerca del suo iPhone. Lo vedo esitare per un po’. Scuote la testa, alza le sopracciglia, abbozza una strana smorfia. Sarà sorpreso? Adesso sì, ho un po’ paura. Sembra quasi non voglia rispondere, come se con me avesse davvero chiuso. Per un istante prego che mi risponda e in quell’attimo la sua voce mi filtra nell’orecchio come un vento tiepido. «Pronto?» «Girati» gli dico, solamente. Quando lo fa, i nostri sguardi s’incrociano. Spalanca gli occhi e inchioda i piedi a terra, paralizzato, poi si toglie il casco, lo abbandona sopra un assemblaggio di cemento e mi 554/564 viene incontro lentamente. Ho un nodo in gola, sento le ginocchia deboli, ma mi preparo ad affrontarlo. Si arresta a mezzo metro da me, lo sguardo duro, impenetrabile. «E tu che ci fai qui?» «Sono venuta a chiederti scusa» gli dico, in un soffio. «Ho sbagliato, Fil, volevo solo dirtelo.» «Tu sei matta…» È incredulo. «Sì, ma ero ancora più matta quando ti ho detto quelle cose e poi ti ho lasciato andare. Lo so che non si può rimediare, adesso che ho rovinato tutto, ma chiederti scusa è il minimo che potessi fare. E lo desidero con tutto il mio cuore. Che è anche un po’ tuo…» Mentre parlo senza prendere fiato il suo sguardo si ammorbidisce e le sue labbra si piegano nel suo splendido sorriso. «Vieni qui, Bibi» dice all’improvviso, attirandomi a sé. 555/564 Dio, quanto mi è mancato questo abbraccio e questo calore buono! Mi rilasso finalmente contro di lui, sentendomi salva per la prima volta dopo tanto tempo. Ora il passato mi sembra solo un’illusione da dimenticare e il futuro una scatola piena di promesse. Lo guardo. Mi guarda. Poi appoggia la guancia contro la mia. Sento il suo cuore battere veloce contro il mio. Sento le sue mani. Sento le sue labbra muoversi piano e scivolare leggere sulla mia bocca. Filippo mi vuole ancora, e anch’io lo voglio. Tutto il resto non conta. Grazie a Celestina, mia madre. a Carlo, mio padre. a Manuel, mio fratello. a Caterina, Michele, Stefano, fari di giorno e di notte. a Silvia, guida preziosa. a tutta la Rizzoli, dal piano terra all’ultimo. a Laura e Al, presenze importanti. a tutti gli amici, incondizionatamente. a Diana e Annamaria, zie nel cuore e nell’anima. 557/564 a Filippo P. e al treno del ritorno. alle ore sedici e dieci del quattordici settembre duemiladodici. a Venezia. al destino. LEI NON HA MAI AMATO DAVVERO. LUI HA CONOSCIUTO SOLO IL LATO OSCURO DELL’AMORE. IL LORO SARÀ UN VIAGGIO TRAVOLGENTE ALLA SCOPERTA DEL PIACERE. La storia di Elena e Leonardo continua con IO TI SENTO Irene Cao volume II 559/564 Finita la storia con Leonardo, Elena si è trasferita a Roma per stare con Filippo e iniziare un nuovo capitolo della sua vita. Lavora a un importante restauro nella chiesa di San Luigi dei Francesi e sembra aver ritrovato la serenità. Ma il destino le fa incontrare di nuovo l’uomo che ha sconvolto per sempre il suo mondo. Leonardo la vuole ancora, come e più di prima. Il loro, però, è un amore impossibile, su cui incombe un segreto inconfessabile che li costringerà a separarsi di nuovo… LEI NON HA MAI AMATO DAVVERO. LUI HA CONOSCIUTO SOLO IL LATO OSCURO DELL’AMORE. IL LORO SARÀ UN VIAGGIO TRAVOLGENTE ALLA SCOPERTA DEL PIACERE. Il capitolo conclusivo della trilogia IO TI VOGLIO Irene Cao volume III 561/564 Elena ha perso tutto. La sua vita, ora, è una discesa agli inferi che culmina quando una sera, ubriaca all’uscita da un locale, viene investita da un’auto. Si risveglia in ospedale, e Leonardo è lì. Ha deciso di curare con la passione il suo dolore. Ma il passato è un demone che Leonardo non è ancora riuscito a sconfiggere… Indice Cover Abstract Irene Cao Frontespizio Copyright Dedica 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 563/564 14 15 16 17 18 Grazie @Created by PDF to ePub
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