UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN IGIENE E MEDICINA PREVENTIVA Direttore: Prof. Gabriele Romano TESI DI SPECIALIZZAZIONE DISUGUAGLIANZE IN SALUTE: LE INIZIATIVE DI INDIVIDUAZIONE E CONTRASTO PROMOSSE DAL DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE DELL’AZIENDA ULSS 20 DI VERONA Relatore: Chiar.mo Prof. GABRIELE ROMANO Correlatore: Dott. MASSIMO VALSECCHI Specializzanda: Dott.ssa MARA BALDISSERA ANNO ACCADEMICO 2012/2013 Indice 1. I determinanti sociali e le disuguaglianze in salute 1.1 Definizioni e concetti generali…………………………………………………………………. 4 1.2 I determinanti sociali della salute: le “cause delle cause”………………………… 6 1.2.1 Determinanti sociali e meccanismi di generazione delle disuguaglianze……………………………………………………………………………….. 6 1.2.2 L’importanza dei determinanti precoci e la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze………………………………………… 11 1.3 L’effetto dei determinanti sociali sulla salute…………………………………………… 15 1.4 L’impatto delle disuguaglianze in salute………………………………………………….. 22 1.5 Il contrasto alle disuguaglianze in salute…………………………………………………..25 1.5.1 Azione sui diversi livelli di generazione delle disuguaglianze………….. 25 1.5.2 Possibili azioni di contrasto alle disuguaglianze in salute a livello del sistema sanitario……………………………………………………………………………. 26 1.5.3 Documenti di analisi e di indirizzo internazionali……………………………. 30 2. Le iniziative di individuazione e contrasto delle disuguaglianze in salute promosse dal Dipartimento di Prevenzione dell’azienda ULSS 20 di Verona 2.1 Premessa…………………………………………………………………………………………………. 35 2.2 Obiettivo della ricerca……………………………………………………………………………… 37 2.3 Metodi…………………………………………………………………………………………………….. 37 2.4 Dati di contesto…………………………………………………………………………….. ……….. 38 2.5 Risultati…………………………………………………………………………………………………. 42 2.5.1 Aggiornamento della mappatura delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze del Dipartimento di Prevenzione…………………………… 46 2.5.1.1 Determinanti di salute precoci………………………..……….............. 46 2.5.1.1.1 GenitoriPiù…………………………………………………………………….. 46 2.5.1.1.2 Promozione e sostegno dell’allattamento materno……….. 52 2.5.1.2 Alimentazione……………………………………………………………………... 59 2.5.1.2.1 Iniziative per il recupero delle eccedenze alimentari……... 63 2.5.1.2.2 Promozione di stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale…………………………………………………………………………..68 2.5.1.2.3 Iniziative per la sicurezza alimentare e corsi di formazione in carcere…………………………………………………………………………… 74 2.5.1.3 Attività motoria…………………………………………………………………… 74 2 2.5.1.3.1 Promozione del movimento e degli stili di vita sani nelle scuole…………………………………………………………………………….. 78 2.5.1.3.2 Promozione di stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale (v. par. 2.5.1.2.2)……………………………………………….83 2.5.1.4 Abitazione e ambiente costruito………………………………………….. 83 2.5.1.4.1 Interventi per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo………………………………………………………………………….87 2.5.1.4.2 Prevenzione delle intossicazioni da monossido di carbonio…………………………………………………………………………. 91 2.5.1.4.3 Programma di ricerca: ”Lo spazio aperto e il verde urbano, una risorsa per l’aumento del capitale sociale”……………… 92 2.5.1.5 Condizioni di lavoro……………………………………………………………… 93 2.5.1.5.1 Percorso sperimentale di formazione nell’agricoltura per i lavoratori stranieri…………………………………………………………. 97 2.5.1.5.2 Progetto “Promossi in classe”………………………………………… 98 2.5.1.5.3 Controllo degli alloggi temporanei per lavoratori stagionali……………………………………………………………………….. 98 2.5.1.6 Accesso a servizi preventivi prioritari…………………………………… 100 2.5.1.6.1 Vaccinazioni dell’infanzia……………………………………………….. 100 2.5.1.6.1.1 Programma di recupero vaccinale nei confronti delle comunità Rom e Sinti……………………………………….. 103 2.5.1.6.2 Controllo della tubercolosi………………………………………………109 2.5.1.6.2.1 Sorveglianza e controllo della tubercolosi in carcere……………………………………………………………………… 111 2.5.1.6.2.2 Sorveglianza e controllo della tubercolosi in strutture di accoglienza…………………………………………….. 114 2.5.1.6.3 Screening oncologici………………………………………………………. 117 2.5.1.6.3.1 Individuazione e contrasto delle disuguaglianze di accesso agli screening oncologici………………………………. 120 2.5.2 Ulteriori sviluppi del percorso di ricognizione e coordinamento delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze in salute dell’ULSS 20: il progetto “Salute per tutti”…………………………………………………………….. 131 2.6 Discussione e conclusioni………………………………………………………………………… 133 3. Abbreviazioni………………………………………………………………………………………………136 Per maggior comodità di consultazione, i riferimenti bibliografici sono stati inseriti come note a piè di pagina. 3 1. I determinanti sociali e le disuguaglianze in salute 1.1 Definizioni e concetti generali In tutti i Paesi, la salute e la malattia seguono un gradiente sociale: più bassa è la posizione sociale, peggiore è lo stato di salute1. Le disuguaglianze in salute, se ragionevolmente evitabili, sono ingiuste: da inequalities diventano inequities. Gli elementi distintivi che trasformano semplici differenze nello stato di salute in iniquità sono la loro natura sistematica, la loro produzione sociale e la loro lesività del comune senso della giustizia2,3. “Raddrizzare queste iniquità – le immense e rimediabili differenze in salute tra Paesi e all’interno dei Paesi – è una questione di giustizia sociale. Ridurre le iniquità in salute è, per la Commissione sui Determinanti Sociali della Salute, un imperativo etico. L’ingiustizia sociale sta uccidendo persone su larga scala”1. Le disuguaglianze in salute presenti a livello globale sono immediatamente visibili confrontando l’aspettativa di vita alla nascita di diversi Paesi: nel 2012, si andava dai 47 anni del Botswana agli 83 dell’Italia4. Forti disparità si osservano anche comparando contesti meno lontani: all’interno dell’Unione Europea, ad esempio, si registra una differenza nella speranza di vita alla nascita pari a 11,8 anni, per i maschi, tra la Lituania (che ha i valori più bassi) e l’Italia (che ha quelli più alti)5. Anche all’interno di ogni singolo Paese, la salute si distribuisce in maniera disuguale fra 1 WHO Commission on Social Determinants of Health. Closing the Gap in a Generation. Health Equity Through Action on the Social Determinants of Health. World Health Organization, Geneva, 2008. 2 Whitehead M. The concepts and principles of equity and health. International Journal of Health Services 1992; 22: 429–45. 3 Costa G, Cislaghi C, Caranci N (a cura di). Le disuguaglianze sociali di salute. Problemi di definizione e di misura. Franco Angeli editore (collana Salute e Società), 2009. 4 http://data.worldbank.org/indicator/SP.DYN.LE00.IN (ultimo accesso: luglio 2014) 5 European Union 2013: Health inequalities in the EU — Final report of a consortium. Consortium lead: Sir Michael Marmot. 4 diverse aree geografiche e diversi gruppi di popolazione: in Inghilterra, ad esempio, gli abitanti dei quartieri più poveri muoiono, in media, 7 anni prima rispetto a chi vive nelle zone più ricche; considerando l’aspettativa di vita libera da disabilità, la differenza sale a 17 anni6 (Fig. 1.1). In Italia, come in altri Paesi del sud Europa, le disparità di salute per gradiente sociale sono meno marcate, ma restano tuttavia significative5. Fig. 1.1 Aspettativa di vita e aspettativa di vita senza disabilità (DFLE) alla nascita, per livello di reddito dell’area di residenza. Inghilterra, 1999-2003 (tratto da: Fair Society, Healthy Lives. The Marmot Review) . Una maggiore equità sociale va a vantaggio non solo dei gruppi più disagiati, ma dell’intera società: negli Stati Uniti, ad esempio, il rischio di mortalità è più elevato per chi vive in uno stato con forti disparità nella distribuzione del reddito, rispetto a 6 Marmot M. Fair Society, Healthy Lives: The Marmot Review (2010) Strategic Review of Health Inequalities in England post-2010. 5 chi abita in uno stato con minori disuguaglianze, indipendentemente dal reddito individuale7. 1.2 I determinanti sociali della salute: le “cause delle cause”8 1.2.1 Determinanti sociali e meccanismi di generazione delle disuguaglianze I determinanti sociali della salute sono fattori in grado di influire sullo stato di salute di un individuo, di una comunità o di una popolazione. Nel tempo sono stati sviluppati diversi modelli di riferimento, con l’obiettivo di definire una gerarchia di importanza fra i vari determinanti di salute. Nel 1991 Dahlgren e Whitehead hanno proposto un modello coerente con la visione multisettoriale della tutela della salute contenuta nella Dichiarazione di Alma Ata (1978): “l’assistenza sanitaria di base coinvolge, oltre al settore sanitario, tutti gli altri settori e aspetti dello sviluppo nazionale e comunitario, in particolare l’agricoltura, la zootecnia, la produzione alimentare, l’industria, l’istruzione, l’edilizia, i lavori pubblici, le comunicazioni e altri settori; inoltre necessita del coordinamento delle attività tra tutti questi settori” (Fig. 1.2). 7 Lochner K, Pamuk E. State-level income inequality and individual mortality risk. AJPH 2001;91(3): 385-391. 8 Rose G. Strategy of preventive medicine. Oxford: Oxford University Press, 1992. 6 Fig. 1.2 I determinanti della salute (Dahlgren e Whitehead, 19919). Al centro del modello di Dahlgren e Whitehead figura l’individuo con le sue caratteristiche biologiche (sesso, età, patrimonio genetico); negli strati successivi sono delineati i differenti livelli di influenza: comportamenti e stili di vita; rete familiare e relazioni sociali; ambiente di vita e di lavoro; condizioni generali o di contesto (socio-economiche, culturali, ambientali). I vari fattori sono strettamente correlati e interagiscono tra loro: il contesto socioeconomico, culturale e ambientale generale determina le condizioni di vita e di lavoro, che a loro volta plasmano le relazioni familiari e sociali, che sono fondamentali per l’acquisizione di determinati stili di vita; le influenze fra fattori agiscono anche in senso opposto10. Nel 2005, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha istituito una “Commissione sui Determinanti Sociali di Salute” (CSDH), al fine di raccogliere informazioni ed evidenze sull’impatto dei determinanti sociali sulla salute, e soprattutto di trasformare il patrimonio di conoscenze e di esperienze in raccomandazioni per interventi e politiche efficaci. Nel 2008 la Commissione ha 9 Dahlgren G, Whitehead M. Policies and strategies to promote social equity in health. Stockholm, Institute of Futures Studies, 1991. 10 Costa G, Cislaghi C, Caranci N (a cura di). Le disuguaglianze sociali di salute. Problemi di definizione e di misura. Franco Angeli editore (collana Salute e Società), 2009. 7 presentato il rapporto finale, intitolato “Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health”, concludendo che le disuguaglianze sociali nella salute traggono origine da disparità nelle condizioni della vita quotidiana e nei fattori fondamentali che le determinano: diseguale distribuzione del potere, del denaro e delle risorse a livello globale, nazionale e locale1,11. Il modello concettuale proposto (Fig. 1.3) distingue tra "determinanti strutturali", ovvero quegli elementi di contesto politico e socio-economico che generano e mantengono le gerarchie sociali, e definiscono le posizioni socio-economiche individuali (i veri e propri “determinanti sociali delle disuguaglianze di salute”), e “determinanti intermedi”, ovvero quei fattori più direttamente associati agli esiti di salute (o “determinanti sociali della salute”). Fig. 1.3 Modello concettuale dei determinanti sociali della salute (WHO Commission on Social Determinants of Health, 2010). 11 World Health Organization . A conceptual framework for action on the social determinants of health. Geneva, 2010. http://www.who.int/sdhconference/resources/ConceptualframeworkforactiononSDH_eng.pdf 8 Tra i determinanti strutturali o di contesto figurano le politiche macroeconomiche, le politiche sociali (mercato del lavoro, politiche di welfare state: previdenza, sanità, educazione, abitazione), i valori culturali propri di una determinata società (ad esempio, il valore sociale attribuito alla salute). I più importanti fattori strutturali di stratificazione sociale e i loro indicatori proxy includono: reddito, livello di istruzione, occupazione, sesso, etnia. I determinanti strutturali sortiscono i loro effetti sulla salute attraverso i cosiddetti “determinanti intermedi”, che comprendono le circostanze materiali di vita e di lavoro (condizioni dell’abitazione e del vicinato, disponibilità di alimenti sani, ecc.); le circostanze psicosociali (condizioni di vita e relazioni stressanti, disponibilità di sostegno sociale); fattori comportamentali e biologici (abitudini alimentari, attività fisica, consumo di tabacco e di alcol). Il quadro elaborato dalla CSDH, diversamente da precedenti modelli, classifica anche il sistema sanitario tra i determinanti sociali di salute: in particolare, il sistema sanitario gioca un ruolo importante nel determinare le differenti conseguenze che le malattie hanno nella vita degli individui. Il quadro concettuale della CSDH trae ispirazione da un modello proposto da Diderichsen e altri ricercatori, relativo ai meccanismi di generazione delle disuguaglianze di salute (Fig. 1.4). 9 Fig. 1.4 Meccanismi di generazione delle disparità nella salute e relativi punti di ingresso per le politiche e gli interventi di contrasto (modificato da Diderichsen, 2001) Secondo lo schema di Diderichsen, gli elementi di contesto sociale e politico producono la stratificazione sociale, ovvero la misura in cui gruppi di popolazione differenti si dividono secondo gerarchie di benessere, prestigio e opportunità. Le differenze nella posizione sociale determinano non solo le probabilità di esposizione a fattori di rischio per la salute, ma anche la vulnerabilità agli stessi fattori e la gravità delle conseguenze economiche e sociali della malattia. In pratica, chi si trova in fondo alla scala sociale va incontro ad una maggiore esposizione a fattori di rischio (quali alimentazione inadeguata, abitazioni malsane, ambienti inquinati e insicuri), ad una maggiore vulnerabilità a questi fattori (per carenze biologiche e psicosociali), e ad un minore accesso a cure di qualità (per ostacoli economici e culturali). I problemi di salute possono a loro volta “retroagire” sulla posizione sociale di un individuo, ad esempio compromettendone le opportunità lavorative e riducendone il reddito. Il diagramma di Diderichsen richiama anche l’attenzione sui possibili punti di azione, in cui opportune politiche e interventi sono in grado di interrompere o modificare i meccanismi di generazione delle disuguaglianze, dal livello più a valle o prossimale in relazione all’outcome (ad esempio, una terapia medica che attenua il danno 10 provocato da una malattia), a quello più a monte o distale (come politiche che influenzano la stratificazione sociale, attraverso strategie di riduzione della povertà o di supporto ad un’educazione universale di alta qualità per tutti i bambini)12. 1.2.2 L’importanza dei determinanti precoci e la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze in salute I principali documenti di indirizzo sulle disuguaglianze in salute (tra cui “Closing the gap in a generation” e la “Marmot Review”), individuano come prioritaria l’azione sulle fasi precoci della vita. Le disuguaglianze nella salute, nello sviluppo cognitivo e nelle abilità socio-emotive hanno origine infatti nei primissimi anni di vita e, in mancanza di interventi, si ampliano nelle epoche successive. Lo svantaggio socio-economico e di salute tende così a replicarsi di generazione in generazione, in una sorta di “circolo vizioso della povertà”, per la forte influenza che le esperienze precoci esercitano sull’intero corso della vita (Fig. 1.5)13,14. 12 Braveman P. A health disparities perspective on obesity research. Prev Chronic Dis 2009;6(3):A91. 13 Marmot M. Fair Society, Healthy Lives: The Marmot Review (2010) Strategic Review of Health Inequalities in England post-2010. 14 Engle P, Black M, Behrman J, et al. Strategies to avoid the loss of developmental potential in more than 200 million children in the developing world. Lancet. 2007;369(9557):229–242. 11 Fig. 1.5 Modello di trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze (tratto da: Fair Society, Healthy Lives. The Marmot Review). L’esposizione precoce, a partire dal periodo prenatale, a fattori di rischio biologici e psico-sociali (carenze nutrizionali, infezioni, esposizione a sostanze tossiche, inadeguati stimoli cognitivi, stress eccessivo, depressione materna, esposizione alla violenza) ha effetti sul cervello in via di accrescimento, condizionando lo sviluppo del bambino e, a lungo termine, il successo scolastico, il livello educativo raggiunto, la produttività in età adulta e la salute13. La salute materna, inclusi lo stress, l’alimentazione, il consumo di farmaci, alcol e tabacco durante la gravidanza, ha un’influenza significativa sullo sviluppo cerebrale nel periodo fetale e post-natale15. Con l’esposizione cumulativa a fattori di rischio diversificati, le disparità aumentano e le traiettorie di sviluppo divergono in maniera sempre più stabile e difficilmente reversibile (Figg. 1.6, 1.7, 1.8). Già all’età di 3 anni si può osservare un significativo 15 Walker SP, et al. Inequality in early childhood: risk and protective factors for early child development.The Lancet. 2011;378(9799): 1325-1338. 12 gradiente socio-economico nello sviluppo cognitivo e nelle competenze socioemotive e comportamentali del bambino16. Fig. 1.6 Disparità nella ricchezza del vocabolario tra i 12 e i 36 mesi di età (tratto da: Hart B et al., 199517). Fig. 1.7 Punteggio al Peabody Picture Vocabulary Test di bambini tra i 36 e i 72 mesi di età, per quartile di benessere economico (tratto da: Engle P et al., 200714). 16 Doyle O, Harmon CP, Heckman JJ, Tremblay RE. Investing in early human development: timing and economic efficiency. Econ Hum Biol. 2009 Mar;7(1):1-6. 17 Hart B, Risley TR. Meaningful differences in the everyday experience of young American children. Paul H Brookes Publishing 1995. 13 Fig. 1.8 Punteggio cognitivo di bambini dai 22 mesi ai 10 anni di età - 1970 British Cohort Study (tratto da: Fair Society, Healthy Lives. The Marmot Review). La ricerca sulle basi neurobiologiche della crescita ha individuato nelle fasi più precoci della vita, fino ai 3 anni di età, un periodo cruciale per lo sviluppo di competenze fondamentali (linguaggio, relazioni sociali, risposte emozionali), basato largamente su processi di modellamento del cervello, come la produzione o “gemmazione” (sprouting) delle sinapsi neuronali e la loro successiva selezione o “potatura” (pruning). In questo modo, le connessioni usate regolarmente si rafforzano, le altre vengono eliminate. Esistono quindi “periodi sensibili”, ovvero finestre di opportunità, per lo sviluppo di alcune abilità (ad esempio, il periodo sensibile per il riconoscimento dei fonemi di una certa lingua va dal 6° mese di vita fetale al 1° anno di età)18. Sulla base di queste premesse, è nato un filone di ricerca relativo all’efficacia di programmi di intervento mirati alle fasi più precoci della vita (early child development), prima che le traiettorie diventino troppo divergenti. L’obiettivo è quello di compensare almeno in parte, nelle fasi più critiche dello sviluppo, i fattori di 18 Ramírez-Esparza N, García-Sierra A, Kuhl PK. Look who's talking: speech style and social context in language input to infants are linked to concurrent and future speech development. Dev Sci. 2014 Apr 7. 14 rischio dovuti a eventuali difficoltà economiche o psicosociali, a carenza di supporti sociali e di strumenti culturali delle famiglie di origine. Sono state condotte anche analisi costi/benefici relative ai programmi che puntano sull’early child development: il ritorno economico viene stimato in un range che va da 6.4 a 17.6 volte l'investimento iniziale19. I guadagni sono a beneficio sia dell’individuo, in termini di salute fisica e mentale, istruzione, reddito; sia della società nel suo complesso, con costi inferiori per interventi sanitari, psichiatrici, giudiziari e detentivi, e maggiori entrate derivanti dalla tassazione sui redditi. L’investimento precoce in programmi preventivi rivolti a bambini svantaggiati è spesso più favorevole in termini di costo-efficacia rispetto a interventi in epoche successive, per rimediare a situazioni già compromesse. Se è vero che l’acquisizione precoce di competenze facilita lo sviluppo successivo di ulteriori competenze (secondo la formula “skill begets skill” proposta dal premio Nobel per l’economia James Heckman), ne deriva che gli investimenti precoci aumentano anche la produttività di investimenti successivi. Maggiore è la precocità degli interventi, migliori sono i risultati ottenibili. Gli investimenti rivolti al periodo prenatale potenzialmente sono in grado di apportare i maggiori benefici20. 1.3 L’effetto dei determinanti sociali sulla salute L’influenza dei determinanti sociali sullo stato di salute e le conseguenti disuguaglianze di salute tra individui, comunità e popolazioni sono ampiamente dimostrate dalla letteratura scientifica prodotta negli ultimi decenni. Le disparità di salute risultano evidenti non solo dal confronto fra Paesi ad alto, medio e basso reddito, ma anche dalla comparazione fra diversi gruppi di popolazione e fra diverse 19 Engle PL, Fernald L, Aderman H et al. Strategies for reducing inequalities and improving developmental outcomes for young children in low-income and middle-income countries. Lancet. 2011 Oct 8;378(9799):133953. 20 Carneiro P, Heckman JJ. Human Capital Policy. In: Heckman J, Krueger A, editors. Inequality in America: What Role for Human Capital Policy? MIT Press, 2003, pag. 77-240. 15 aree geografiche all’interno dello stesso Paese. L’effetto può essere più o meno marcato a seconda delle latitudini, ma è un fenomeno universale, e riguarda sia le malattie trasmissibili, sia le malattie cronico-degenerative. Queste ultime in Italia, come negli altri Paesi ad alto reddito, ricoprono il ruolo più importante in termini di burden of disease21. La ricerca scientifica ha evidenziato che le disuguaglianze tra gruppi di popolazione: - riguardano tutte le dimensioni della salute: mortalità, incidenza, prevalenza e letalità di malattia, disabilità; - sono costantemente a svantaggio delle fasce di popolazione più disagiate (con l’eccezione di poche patologie, ad esempio il tumore della mammella e il tumore del polmone nelle donne più istruite); - restano evidenti considerando indicatori di stratificazione sociale diversi (istruzione, occupazione, classe sociale, reddito, qualità dell’abitazione, etnia, ecc.); - sono rilevabili sia su base individuale, sia considerando dati aggregati per area geografica (con un effetto del contesto materiale e sociale sulla salute individuale); - hanno un’intensità variabile nel tempo (mostrando in molti casi, negli ultimi decenni, una tendenza all’incremento) e nello spazio (ad esempio, sono molto più intense nell’Europa dell’est rispetto all’Europa del sud): questo sta ad indicare la possibilità di incidere tramite politiche e interventi adeguati sull’impatto delle disuguaglianze22. 21 Murray CJL, Vos T, Lozano R, et al. Disability-adjusted life years (DALYs) for 291 diseases and injuries in 21 regions, 1990—2010: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2010. Lancet 2012;380(9859):2197-223. 22 Costa G. “Le disuguaglianze di salute: una sfida per le discipline che si occupano di valutazione delle politiche” In: Brandolini A, Saraceno C, Schizzerotto A (a cura di). Dimensioni della disuguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione. Il Mulino editore, Collana della Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali, Bologna, 2009. 16 L’associazione tra indicatori di posizione sociale ed esiti di salute presenta generalmente un andamento lineare, secondo un gradiente che lega l’intensità dello svantaggio sociale alla dimensione del rischio (Fig. 1.9). In alcuni casi però è evidente un effetto soglia, con la concentrazione di esiti negativi in gruppi particolarmente vulnerabili22. Fig. 1.9 Mortalità in bambini di età inferiore ai 5 anni (per 1000), per quintile di reddito della famiglia (fonte: Gwatkin et al., 200723). Numerosi studi hanno indagato il rapporto tra posizione lavorativa e mortalità. Uno studio longitudinale condotto, a partire dal 1967, tra i dipendenti pubblici britannici (Whitehall Study) ha rilevato un netto gradiente inverso tra livello di responsabilità nella gerarchia occupazionale e mortalità, che si è mantenuto dopo un follow-up di 25 anni. Rispetto ai massimi dirigenti, coloro che occupavano livelli gerarchici via via più bassi presentavano mortalità rispettivamente del 25%, del 60% e 23 Gwatkin DR, Rutstein S, Johnson K, et al. Socio-economic differences in health, nutrition, and population within developing countries: An overview, Country Reports on HNP and Poverty. Washington: World Bank, 2007. 17 dell’80% superiori. Il differenziale di mortalità riguardava quasi tutte cause di morte, in particolare le malattie cardiovascolari (Fig. 1.10)24. Fig. 1.10 Rate ratio di mortalità per posizione lavorativa, corretto per età (fonte: van Rossum CTM et al., 2000). Vent’anni più tardi, lo studio Whitehall II, che ha reclutato una nuova coorte di dipendenti pubblici inglesi, non ha riscontrato alcun miglioramento nel livello di disuguaglianza per classe sociale, trovando un’associazione inversa tra livello occupazionale e prevalenza di angina, evidenza elettrocardiografica di ischemia, e sintomi di bronchite cronica25. L’hazard ratio (HR) di morte per le posizioni lavorative più basse rispetto a quelle più elevate è risultata pari a 1.62 (95% CI: 1.28–2.05) nella coorte Whitehall II, 1.94 (95% CI: 1.58–2.39) nello studio francese GAZEL26. Variazioni negli outcome di salute sono evidenti anche usando altri indicatori di posizione sociale, come il livello educativo. Ad esempio, in un campione di 24 van Rossum CT, Shipley MJ, van de Mheen H, Grobbee DE, Marmot MG. Employment grade differences in cause specific mortality. A 25 year follow up of civil servants from the first Whitehall study. J Epidemiol Community Health. 2000 Mar;54(3):178-84. 25 Marmot MG, Smith GD, Stansfeld S, Patel C, North F, Head J, White I, Brunner E, Feeney A. Health inequalities among British civil servants: the Whitehall II study. Lancet. 1991 Jun 8;337(8754):1387-93. 26 Stringhini S, Dugravot A, Shipley M, Goldberg M, Zins M, et al. Health Behaviours, Socioeconomic Status, and Mortality: Further Analyses of the British Whitehall II and the French GAZEL Prospective Cohorts. PLoS Med. 2011; 8(2): e1000419. 18 popolazione italiano, intervistato nell’ambito dell’Indagine Multiscopo ISTAT nel 1999-2000 e poi seguito fino al 2007 attraverso un record linkage con gli archivi di mortalità, i soggetti con basso livello di istruzione (elementare o meno) presentavano un rischio di mortalità del 79% (nei maschi) e del 63% (nelle femmine) più elevato rispetto ai laureati; per gli uomini, c’è un aumento significativo nei decessi per malattie cardiocircolatorie e tumorali, mentre per le donne si registrano disparità riguardo alla mortalità per cancro27 (Tab. 1.1). Tab. 1.1 Mortalità per tutte le cause, per livello educativo (fonte: Marinacci et al., 2013). Lo Studio Longitudinale Torinese28 ha indagato estensivamente il rapporto tra posizione sociale e salute, attraverso il linkage dei dati censuari con gli archivi della mortalità e delle dimissioni ospedaliere, riscontrando la presenza di un gradiente sociale (sulla base di diversi indicatori di stratificazione sociale: reddito, istruzione, posizione lavorativa, ecc.) in tutte le dimensioni della salute (incidenza, prevalenza, letalità di malattia). A titolo di esempio: confrontando basso e alto livello di istruzione, l’incidenza di infarto miocardico acuto è risultata del 24% superiore negli uomini (RR: 1.24; IC 95%: 1.15-1.33), del 77% nelle donne (RR: 1.77; IC 95%: 1.51- 27 Marinacci C, Grippo F, Pappagallo M, Sebastiani G, Demaria M, Vittori P, Caranci N, Costa G. Social inequalities in total and cause-specific mortality of a sample of the Italian population, from 1999 to 2007. Eur J Public Health. 2013 Aug;23(4):582-7. 28 Costa G, Cardano M, Demaria M. Torino. Storie di salute in una grande città. Osservatorio socio-economico torinese, Ufficio Statistico città di Torino, 1998. 19 2.08)29; la prevalenza di diabete mellito di tipo II è risultata 2.32 volte superiore nei maschi (IC 95%: 2.23-2.41), 3.45 nelle femmine (IC 95%: 3.28-3.62)30; la letalità per cancro del colon retto è risultata del 33% più elevata31. La maggior frequenza di comportamenti e di stili di vita insalubri (abitudine al fumo, abuso di alcol, alimentazione inadeguata, sedentarietà) nelle classi svantaggiate, ampiamente documentata nella letteratura scientifica e dai sistemi di sorveglianza32, spiega solo una parte della variabilità negli esiti di salute per posizione socioeconomica. Nel Whitehall Study, l’effetto combinato di fumo, colesterolemia, pressione arteriosa, altezza (assunta come marker delle condizioni nei primi anni di vita) e glicemia era in grado di spiegare meno di un terzo del gradiente sociale nella mortalità per malattie coronariche24. Un recente studio condotto in tre stati europei (Belgio, Repubblica Ceca, Norvegia), sulla base di diversi scenari di distribuzione di alcuni fattori di rischio (fumo, alcol, sedentarietà ed eccesso ponderale), ha stimato una riduzione potenziale delle disuguaglianze di mortalità per livello educativo variabile dal 26% (per gli uomini in Repubblica Ceca) al 94% (tra gli uomini in Norvegia), assumendo che la frequenza dei fattori di rischio dei soggetti con basso o medio livello di istruzione diventi uguale a quella osservata fra le persone più istruite33. 29 Petrelli A, Gnavi R, Marinacci C, Costa G. Socioeconomic inequalities in coronary heart disease in Italy: a multilevel population-based study. Soc Sci Med. 2006 Jul;63(2):446-56. 30 Gnavi R, Karaghiosoff L, Costa G, Merletti F, Bruno G. Socio-economic differences in the prevalence of diabetes in Italy: the population-based Turin study. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2008 Dec;18(10):678-82. 31 Rosso S, Faggiano F, Zanetti R, Costa G. Social class and cancer survival in Turin, Italy. J Epidemiol Community Health. 1997 Feb;51(1):30-4. 32 PASSI. Diseguaglianze sociali e salute. Rapporto nazionale 2007-2009. http://www.epicentro.iss.it/passi/disuguaglianze07-09.asp 33 Hoffmann R, Eikemo TA, et al. The potential impact of a social redistribution of specific risk factors on socioeconomic inequalities in mortality: illustration of a method based on population attributable fractions. J Epidemiol Community Health. 2013 Jan;67(1):56-62. 20 Altri determinanti di salute “prossimali” chiamati in causa per spiegare i differenti esiti di salute per posizione socio-economica sono: i fattori ambientali (esposizione a fattori chimici, fisici, meccanici nell’ambiente di vita e di lavoro; ad esempio, ad inquinamento atmosferico da traffico, a rumore, a piombo nei bambini34); i fattori psicosociali (capitale sociale, stress cronico legato a squilibri tra le richieste e il livello di controllo sul proprio lavoro - “demand/control”, e tra sforzi e ricompense “effort/reward imbalance”); le limitazioni di accesso a prevenzione, diagnosi e cura appropriate. Marmot ha coniato l’espressione “status syndrome” per spiegare la presenza di un gradiente di salute anche ai vertici della piramide sociale, cioè in persone che non soffrono di alcuna deprivazione materiale. Secondo Marmot, a posizioni inferiori nella gerarchia sociale corrisponde una minor probabilità di soddisfare i bisogni fondamentali di: controllo sulla propria vita, autonomia e partecipazione alla vita sociale. Lo stress cronico causato da questa situazione attiverebbe alterazioni metaboliche ed endocrine che aumenterebbero il rischio di ammalarsi. Studi su primati, che evidenziano un gradiente sociale per markers di rischio cardiovascolare (in assenza evidentemente di fattori di rischio comportamentali o di differenze di accesso alle cure mediche) sembrerebbero avvalorare l’ipotesi dello stress legato allo status sociale come causa (o concausa) di queste differenze35. 34 Bolte G, Tamburlini G, Kohlhuber M. Environmental inequalities among children in Europe—evaluation of scientific evidence and policy implications. European Journal of Public Health. 2009, 20 (1):14–20. 35 Marmot MG. Status Syndrome. A Challenge to Medicine. JAMA. 2006;295(11):1304-1307. 21 1.4 L’impatto delle disuguaglianze in salute In Italia, la quota di popolazione interessata dal rischio di povertà o di esclusione sociale, nel 2012, è stata pari al 29,9% delle persone residenti, risultando più alta tra le famiglie numerose (39,5%), in particolare per quelle con tre o più figli minori, nelle famiglie monoreddito (48,3%), e fra i residenti nel Mezzogiorno (48%)36. Il rischio di povertà o di esclusione sociale è definito dalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni: rischio di povertà, severa deprivazione materiale e bassa intensità di lavoro (Tab. 1.2). Gli indicatori di difficoltà economica appaiono in crescita negli ultimi anni, a seguito dell’attuale fase di recessione (Fig. 1.11). Più del 40% dei 25-64enni in Italia ha al massimo la licenza media37. Alcuni gruppi vulnerabili, tra cui i migranti (circa 4,9 milioni in Italia, pari all’8,1% della popolazione residente, al 31/12/2013; fonte: ISTAT) e le minoranze, come i Rom e i Sinti, presentano con maggior frequenza un insieme di determinanti sociali negativi (deprivazione materiale, basso livello di istruzione), oltre ad essere spesso esposti ad emarginazione ed esclusione sociale (Fig. 1.12). 36 ISTAT. Reddito e condizioni di vita. Anno 2012. 37 ISTAT. Rapporto Bes 2014. 22 Tab. 1.2 Indicatori di povertà o esclusione sociale (Europa 2020). Anni 2011 e 2012, per 100 persone (fonte: ISTAT). Fig. 1.11 Difficoltà economiche percepite. Prevalenze mensili (fonte: sistema di sorveglianza Passi, 2008-2012). 23 Fig. 1.12 Unione Europea. Rischio di povertà in famiglie con e senza minori, per Paese di origine (fonte: Eurostat, 2008). L’ampia diffusione nella popolazione di determinanti sociali negativi e il consistente eccesso di rischio, ad essi legato, rendono le disuguaglianze in salute, in termini di rischio attribuibile, una delle questioni più importanti in salute pubblica, anche in considerazione dei consistenti margini di evitabilità. Mackenbach et al. hanno stimato i costi legati alle disuguaglianze sociali in salute nell’Unione europea e i potenziali vantaggi economici derivanti da interventi di riduzione delle disparità, calcolando cosa accadrebbe se la salute della popolazione con basso livello educativo (licenza media o inferiore) migliorasse fino al livello medio della popolazione con almeno il diploma superiore. Secondo la simulazione elaborata, le disuguaglianze sociali rendono conto di più di 700.000 decessi e di circa 33 milioni di casi prevalenti di malattia all’anno, ovvero di circa il 15% dei costi dei sistemi di sicurezza sociale e del 20% dei costi dell’assistenza sanitaria dei Paesi membri. Il valore monetario complessivo delle perdite del welfare legate alle disuguaglianze in salute è stimato intorno ai 980 miliardi di euro, pari al 9,4% del PIL dell’Unione europea (dati riferiti al 2004)38. 38 Mackenbach JP, Meerding WJ, Kunst AE. Economic costs of health inequalities in the European Union. J Epidemiol Community Health. 2011 May;65(5):412-9. 24 1.5 Il contrasto alle disuguaglianze in salute 1.5.1 Azione sui diversi livelli di generazione delle disuguaglianze in salute Le azioni di contrasto alle disuguaglianze in salute possono intervenire in diversi punti del meccanismo che le genera, come risulta evidente dallo schema proposto da Diderichsen (Fig. 1.4). Si può agire a monte, favorendo una più equa distribuzione delle risorse all’interno della società (compito precipuo dei governi), o a valle, cercando di ridurre l’esposizione e la vulnerabilità a fattori di rischio e le conseguenze della malattia nelle persone svantaggiate (in quest’ambito si situa l’azione del sistema sanitario). Le politiche non sanitarie possono essere volte a diminuire il social divide (politiche del lavoro, politiche per le famiglie, revisione dei criteri di cittadinanza per gli immigrati e i loro figli, ecc.), o mirare a ridurne le conseguenze (facilitazione di accesso a nidi e servizi per l’infanzia, interventi per l’integrazione dei migranti, ecc.)39. I progressi sanitari più importanti nei paesi ricchi sono stati ottenuti con politiche che hanno affrontato in primo luogo la povertà, e contemporaneamente le cause strutturali e intermedie di esposizione e suscettibilità alle malattie (istruzione, lavoro, nutrizione e accesso ad acqua potabile, ambiente, alloggi, ecc.). Secondo le raccomandazioni di Acheson, “è necessario che tutte le politiche d’intervento che possono avere impatti diretti o indiretti sulla salute siano valutate nei loro effetti sulle disuguaglianze sanitarie e siano disegnate in modo da favorire i meno benestanti ottenendo, ove sia possibile, la riduzione delle disuguaglianze”40. 39 Tamburlini G. Le disuguaglianze in salute. Determinanti e meccanismi. Presentazione al convegno “Le disuguaglianze in salute nell’ambito materno-infantile”. Venezia, 21/1/2014. 40 Acheson D. Independent Inquiry into Inequalities in Health. London, Stationery Office, 1998. http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20130814142233/http://www.archive.officialdocuments.co.uk/document/doh/ih/ih.htm (ultimo accesso: luglio 2014) 25 1.5.2 Possibili azioni di contrasto alle disuguaglianze in salute a livello del sistema sanitario Secondo la cosiddetta “inverse care law”, la disponibilità di cure sanitarie adeguate tende a variare in maniera inversamente proporzionale rispetto ai bisogni di salute della popolazione assistita41 (Fig. 1.13). Fig. 1.13 Ricoveri per sindrome coronarica acuta (a sinistra) e procedure di rivascolarizzazione (a destra), per area geografica (RR bayesiani). Torino, 2009 (fonte: Costa G.42). Anche nell’ambito dei programmi di prevenzione e promozione della salute, spesso avviene che le persone socio-economicamente avvantaggiate (quindi mediamente più sane) usufruiscano dei servizi proposti in misura maggiore rispetto a gruppi di popolazione con bisogni di salute più consistenti, ma più difficilmente raggiungibili. In questo modo l’effetto netto di alcuni interventi può essere, paradossalmente, quello di aumentare le disuguaglianze in salute, anziché ridurle. All’interno del sistema sanitario, sono stati documentati diversi meccanismi che portano a disparità negli esiti di salute: disuguaglianze nella domanda espressa di salute, nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari (a parità di bisogno), nella qualità 41 Hart JT. The inverse care law. Lancet 1971;1:405–412. 42 Costa G. La sfida dell’equità in salute e sanità. Presentazione al 43° Corso della Scuola Superiore di Epidemiologia e Medicina Preventiva “Giuseppe D’Alessandro”: “Chi ha e chi non ha: le disuguaglianze di salute evitabili e le azioni di contrasto”. Erice, 10-14 aprile 2013. 26 delle prestazioni erogate (a parità di accesso), e nella vulnerabilità a trattamenti inefficaci e inappropriati (Fig. 1.14, Tab. 1.3). In generale, le strategie proattive di prevenzione, diagnosi e cura, la rimozione delle barriere all’accesso (amministrative, economiche, geografiche, organizzative, comunicative), la diffusione di standard assistenziali di qualità e di modelli di gestione integrata dei pazienti generano una maggior equità negli esiti di salute 43,44. Molti programmi di prevenzione collettiva (ad esempio, gli screening oncologici e le vaccinazioni dell’infanzia), caratterizzati da strategie di offerta universale, attiva e gratuita, si sono dimostrate in grado di mitigare le disparità di accesso e di esito45,46. Fig. 1.14 Probabilità cumulativa di trapianto renale in soggetti dializzati, per livello educativo (Lazio, 1994-1998) (fonte: Miceli et al., 200047). 43 Whitehead M. The concepts and principles of equity and health. International Journal of Health Services 1992; 22: 429–45. 44 Gnavi R, Petrelli A, Demaria M, Spadea T, Carta Q, Costa G. Mortality and educational level among diabetic and non-diabetic population in the Turin Longitudinal Study: a 9-year follow-up. Int J Epidemiol. 2004 Aug;33(4):864-71. 45 Puliti D, Miccinesi G, et al. Does an organised screening programme reduce the inequalities in breast cancer survival? Annals of Oncology 2012; 23: 319–323. 46 Pacelli B, Carretta E, Spadea T, et al. Does breast cancer screening level health inequalities out? A populationbased study in an Italian region. Eur J Public Health. 2014 Apr;24(2):280-5. 47 Miceli M, Di Lallo D, Perucci CA. Absence of economic barriers does not reduce disparities in the access to renal transplantation: a population based study in a region of central Italy. Dialysis Register of Lazio Region. J Epidemiol Community Health. 2000 Feb;54(2):157-8. 27 Tab. 1.3 Tassi di ospedalizzazione standardizzati per età (SHR x 10.000 donne ≥35 anni) e rapporto dei tassi standardizzati di isterectomia per leiomioma e prolasso genitale, per status socioeconomico. Roma, 1997 (fonte: Materia et al., 200248). Uno strumento utile a riorientare i servizi sanitari nel senso di una maggiore equità è l’Health Equity Audit (HEA). Si tratta di un processo di valutazione sistematica delle disuguaglianze nelle cause di malattia, nell’accesso a servizi efficaci e negli outcome, che serve a capire quanto equamente i servizi e le risorse sono distribuiti, in relazione ai bisogni di salute di gruppi di popolazione o di aree territoriali. Dopo la fase iniziale di analisi, vanno individuate, condivise e adottate (incorporandole nelle politiche, nella pianificazione e nella pratica) le azioni prioritarie da attuare per fornire servizi equi alla popolazione. Infine la situazione va rivalutata per capire se le disuguaglianze si sono ridotte49,50,51. E’ essenziale tenere in considerazione l’impatto dei programmi e degli interventi sanitari sulle disuguaglianze in salute, possibilmente già in fase di pianificazione, o apportando dei correttivi a processi già avviati. 48 Materia E, Rossi L, Spadea T, Cacciani L, Baglio G, Cesaroni G, Arcà M, Perucci CA. Hysterectomy and socioeconomic position in Rome, Italy. J Epidemiol Community Health. 2002 Jun;56(6):461-5. 49 Department of health. Health Equity Audit. A Guide for the NHS 2003. http://www.york.ac.uk/yhpho/documents/hea/Website/DOH_HEA_Guide%20for%20NHS.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 50 Hamer et al. Health equity audit made simple: A briefing for Primary Care Trusts and Local Strategic Partnerships. 2003. 51 http://assr.regione.emilia-romagna.it/it/aree_attivita/partecipazione-innovazione-sociale/comunitaequita/osservatorio-equita/toolkit/toolkit-5/intro-toolkit-5 (ultimo accesso: luglio 2014) 28 In particolare, un progetto di prevenzione o promozione della salute dovrebbe: - affrontare un problema di salute frequente nei gruppi socialmente svantaggiati; - avere pari efficacia fra gruppi sociali o, meglio, efficacia superiore nei gruppi sociali svantaggiati; - considerare l’accettabilità dei risultati attesi nei diversi gruppi sociali; - favorire il superamento delle barriere che impediscono l’accesso al beneficio da parte dei soggetti socialmente svantaggiati; - misurare l’effetto ottenuto nei gruppi sociali svantaggiati; - indicare se i beneficiari del progetto includono soggetti per cui uno svantaggio di salute (rischio, accesso, esito) è sospettato o dimostrato52. Per ridurre il gradiente sociale nella salute, l’azione deve essere universale, ma con un’intensità diversificata in proporzione al livello di svantaggio, secondo il principio di “universalismo proporzionale” invocato dagli autori della Marmot Review53. Il dare lo stesso a tutti, concetto a cui generalmente si fa riferimento quando si pensa all’equità, di fatto rappresenta un’iniquità54,55. 52 Costa G, Gelormino E, Marra M. Strumento per l’attenzione all’equità dei progetti di prevenzione. Servizio di Epidemiologia sociale – Asl To3 http://www.epicentro.iss.it/stumenti/pdf/CCMstrumentoequit%C3%A022marzo.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 53 Marmot M. Fair Society, Healthy Lives: The Marmot Review (2010) Strategic Review of Health Inequalities in England post-2010. 54 Starfield B. The hidden inequity in health care. Int J Equity Health. 2011 Apr 20;10:15. 55 http://www.saluteinternazionale.info/2013/06/multimorbosita-e-disuguaglianze-linequita-nascosta (ultimo accesso: luglio 2014) 29 1.5.3 Documenti di analisi e di indirizzo sulle disuguaglianze in salute Il tema delle disuguaglianze in salute è già presente nella Dichiarazione di Alma Ata (Conferenza Internazionale sull'assistenza sanitaria primaria, 1978), in cui si afferma: “L’enorme disparità esistente nello stato di salute delle persone, in modo particolare tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo ma anche all’interno delle nazioni, è inaccettabile dal punto di vista politico, economico, sociale e rappresenta una preoccupazione comune a tutti i Paesi”56. L’OMS ha successivamente commissionato un rapporto interamente dedicato alle disuguaglianze in salute (“Closing the gap in a generation”, 200857), che formula tre raccomandazioni generali, rivolte ai governi, alla società civile e alle istituzioni globali, per contrastare gli effetti delle disuguaglianze: - migliorare le condizioni della vita quotidiana, in particolare il benessere delle donne e le circostanze in cui nascono i loro figli; dare la massima importanza all’early child development e all’educazione di bambine e bambini; migliorare le condizioni di vita e di lavoro; creare politiche di protezione sociale, e porre i presupposti per una prospera vecchiaia; - contrastare, a livello globale, nazionale e locale, la distribuzione iniqua del potere, del denaro e delle risorse, che sono i determinanti strutturali delle condizioni di vita; - misurare e analizzare il problema e verificare l’impatto dell’azione, all’interno dei Paesi e globalmente, investendo innanzitutto in sistemi di sorveglianza per il monitoraggio di routine delle disuguaglianze in salute, nella formazione dei 56 Alma Ata Declaration. World Health Organization - Geneva: World Health Organization, 1978. http://www.who.int/publications/almaata_declaration_en.pdf?ua=1 (ultimo accesso: luglio 2014) 57 WHO. Commission on Social Determinants. Closing the gap in a Generation: Health Equity Through Action on the Social Determinants of Health. Geneva: World Health Organization, 2008. http://www.who.int/tb/challenges/mdr/ethics_closingthegap/en/ (ultimo accesso: luglio 2014) 30 decisori e dei professionisti sanitari, e aumentando la consapevolezza dell’opinione pubblica su questi temi. Il documento sottolinea inoltre l’importanza di contemperare le esigenze di uno sviluppo sociale ed economico che produca equità in salute a livello globale con l’urgenza di affrontare la sfida del cambiamento climatico. Ribadisce quindi la necessità di politiche e programmi che coinvolgano tutti i settori chiave della società, non solo il sistema sanitario. Questa stessa raccomandazione emerge da “The Adelaide Statement on Health in All Policies” (2010), che rimarca l’importanza di includere considerazioni sulla salute, il benessere e l’equità nell’elaborazione, implementazione e valutazione di tutte le politiche e i servizi58. Nell’ambito della prevenzione e della promozione della salute, l’invito a superare il divario di equità è ripreso in numerosi documenti dell’OMS, a partire dalla Carta di Ottawa (1° Conferenza Globale sulla Promozione della Salute, 1986)59. Il Regno Unito ha una lunga tradizione di ricerca, pianificazione e valutazione nell’ambito delle disuguaglianze in salute, anche in considerazione delle rilevanti dimensioni del fenomeno nel Paese (dove le disparità risultano in genere più accentuate rispetto a Paesi del sud Europa). La prima relazione omnicomprensiva su questo tema è il “Black Report” (1980), commissionato dall’amministrazione laburista, le cui raccomandazioni sono state ignorate dal governo conservatore che nel frattempo era entrato in carica. Migliore accoglienza ha avuto il successivo “Independent Inquiry into Inequalities in Health” (1998), di Sir Donald Acheson, che riassume le evidenze sulle disuguaglianze sanitarie in Inghilterra e propone undici 58 WHO. Adelaide statement on health in all policies: moving towards a shared governance for health and wellbeing. Adelaide, South Australia, 13–15 April 2010. 59 WHO. The Ottawa Charter for Health Promotion. First International Conference on Health Promotion, Ottawa, 21 November 1986. http://www.who.int/healthpromotion/conferences/previous/ottawa/en/ 31 aree e target di possibile intervento: 1) povertà, reddito, tassazione, benefits; 2) educazione; 3) occupazione; 4) abitazione e ambiente; 5) mobilità, trasporti, inquinamento; 6) nutrizione e politiche agricole; 7) madri, bambini e famiglie; 8) giovani ed adulti in età di lavoro; 9) anziani; 10) differenze etniche; 11) differenze di genere. Acheson sottolinea la differenza tra la misurazione delle disuguaglianze in termini relativi (considerando, cioè, rapporti fra rischi o rischi relativi) e in termini assoluti (ovvero valutando le differenze fra rischi). Le misure assolute sono determinate non solo da quanto è più frequente un problema di salute in un gruppo rispetto ad un altro, ma anche dalla diffusione nella popolazione di quella determinata condizione di salute. Per questo motivo, è probabile che i maggiori risultati nel contrasto alle disuguaglianze si ottengano agendo sui problemi di salute più comuni, anche se malattie più rare possono presentare un gradiente socioeconomico più marcato, in termini relativi. Lo svantaggio di salute interessa tutta la gerarchia sociale, e generalmente aumenta dall’alto verso il basso. Le politiche e gli interventi, pur dovendo dare priorità ai gruppi più vulnerabili, non possono limitarsi ad agire su chi si trova in fondo alla gerarchia sociale, perché non sarebbero sufficienti ad eliminare le disuguaglianze60. Recentemente è stato pubblicato un nuovo rapporto sulle disuguaglianze in salute in Inghilterra: “Fair Society, Healthy Lives - The Marmot Review” (2010), commissionato nel 2008 dal Ministro della Salute inglese a Sir Michael Marmot, che aveva coordinato negli anni precedenti la Commissione OMS sui determinanti sociali della salute. Il rapporto, partendo da una serie di evidenze sulla distribuzione iniqua della salute nella popolazione inglese, individua sei principali ambiti di intervento (infanzia, giovinezza, lavoro, standard di vita, luoghi e comunità, prevenzione). I messaggi chiave contenuti nel documento sono: 60 Acheson D. Independent Inquiry into Inequalities in Health. London, Stationery Office, 1998. http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20130814142233/http://www.archive.officialdocuments.co.uk/document/doh/ih/ih.htm (ultimo accesso: luglio 2014) 32 - è importante intervenire fin dalle fasi iniziali della vita, con programmi di sostegno economico, sociale e sanitario; - non bisogna focalizzarsi solo sui più svantaggiati, ma effettuare interventi sull’insieme della popolazione, con una scala di intensità proporzionale al livello di svantaggio (“universalismo proporzionale”); - il beneficio di tali interventi coinvolge direttamente o indirettamente tutta la società: le disuguaglianze di salute comportano infatti una riduzione delle capacità produttive, con conseguente diminuzione delle entrate fiscali, e una spesa elevata sia per costi sociali (invalidità, pensioni, ecc.), sia per costi sanitari; - non solo la crescita economica, ma un’equa distribuzione della salute, il benessere e la sostenibilità vanno considerati obiettivi prioritari di una nazione; - la battaglia contro le disuguaglianze sociali non deve essere disgiunta da quella contro il cambiamento climatico; - il raggiungimento degli obiettivi richiede un’azione comune fra livelli centrali, governi locali, terzo settore, privati e comunità locali61. La pubblicazione, nel 2009, della comunicazione della Commissione Europea “Solidarity in health: reducing health inequalities in the EU”62 è stata un passo importante per sostenere, a livello comunitario e nazionale, azioni di contrasto e monitoraggio delle disuguaglianze in salute, successivamente promosse anche dal programma “Health 2020”. Un recente report dell’Unione Europea sintetizza le nuove evidenze sulla presenza di disparità di salute all’interno e tra gli Stati membri, e 61 Marmot M. Fair Society, Healthy Lives: The Marmot Review (2010) Strategic Review of Health Inequalities in England post-2010. 62 http://ec.europa.eu/health/social_determinants/policy/commission_communication/index_en.htm (ultimo accesso: luglio 2014) 33 descrive la risposta delle politiche comunitarie e nazionali alla comunicazione del 2009. La maggior parte dei Paesi membri non si è ancora dotata di una strategia nazionale con un focus specifico sulle disuguaglianze in salute63. L’Italia non fa eccezione a questo riguardo: il problema delle disuguaglianze non è stato ancora affrontato in maniera sistematica nei documenti nazionali di programmazione sanitaria (Piano Sanitario Nazionale, Piano Nazionale per la Prevenzione -PNP- 2010-2012). La bozza del nuovo PNP (2014-2018) contiene diversi rimandi al tema delle disparità, ma senza un quadro organico di riferimento. In risposta alle sollecitazioni europee, è stato attivato un gruppo di lavoro interregionale della Commissione Salute delle Regioni su “Equità nella Salute e nella Sanità” (coordinato dalla Regione Piemonte), col compito di descrivere lo stato delle disuguaglianze di salute in Italia e individuare le principali misure da intraprendere per contrastarle. Parte dei finanziamenti del Piano Sanitario Nazionale e del programma Ccm 2012 è stata orientata alla riduzione e al monitoraggio delle disuguaglianze in salute. 63 European Union 2013. Health inequalities in the EU — Final report of a consortium. Consortium lead: Sir Michael Marmot. 34 2. Le iniziative di individuazione e contrasto delle disuguaglianze in salute promosse dal Dipartimento di Prevenzione dell’azienda ULSS 20 di Verona 2.1 Premessa Il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha intrapreso da tempo una serie di iniziative di contrasto alle disuguaglianze in salute, promuovendo specifici programmi e progetti a livello locale, regionale e nazionale. Gli interventi traggono il loro razionale dal monitoraggio sullo stato di salute della popolazione, presentato annualmente nella Relazione Sanitaria del Dipartimento di Prevenzione64. I gruppi di popolazione su cui si sono concentrate le iniziative sono: migranti, comunità Rom e Sinti, popolazione carceraria, pazienti psichiatrici, persone in condizioni di grave disagio socio-economico. La scelta di questi target è motivata in primo luogo dal riscontro, in base ai dati locali -supportati dalle evidenze della letteratura scientifica internazionale-, di condizioni di svantaggio nell’accesso ad interventi preventivi efficaci e negli esiti di salute; è inoltre favorita dal fatto che si tratta di gruppi circoscritti o comunque identificabili attraverso le informazioni già disponibili nell’anagrafe sanitaria (cittadinanza, stato di nascita), per i quali risulta possibile il monitoraggio delle disuguaglianze nel tempo e la valutazione degli effetti degli interventi proposti. I target individuati non esauriscono ovviamente tutte le possibili forme di svantaggio (di genere, legate a disabilità, emarginazione, tossicodipendenza, basso livello di istruzione, difficoltà economiche od occupazionali, ecc.). Al fine di mappare, valorizzare e mettere in rete le proprie molteplici -ma a volte frammentarie- esperienze, il Dipartimento di Prevenzione ha avviato un percorso di 64 Dipartimento di Prevenzione ULSS 20. Relazione Sanitaria 2012. http://prevenzione.ulss20.verona.it/relsan.html 35 censimento delle attività e ha promosso la formalizzazione -tramite un’apposita delibera- dell’impegno ad affrontare in maniera organica il tema delle disparità di accesso ai servizi preventivi e sanitari in genere. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 è stata condotta una prima mappatura delle attività di contrasto alle disuguaglianze in salute promosse dalle diverse unità operative del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20, sia nell’ambito dell’attività ordinaria, sia come progettualità specifiche. E’ stata quindi emanata la delibera del Direttore Generale “Disuguaglianze in salute. Ricognizione delle iniziative in atto presso il Dipartimento di Prevenzione” (n. 201 del 5/4/201265), con l’obiettivo di dar risalto alle buone pratiche, innescare strategie sinergiche e fornire un coordinamento e una cornice generale di riferimento alle attività. La delibera prevede, oltre alla presa d’atto della ricognizione effettuata (allegata al provvedimento), la costituzione di un gruppo di lavoro sulle disuguaglianze in salute, composto dal Direttore Sanitario, dal Direttore dei Servizi Sociali, dal Direttore del Dipartimento di Prevenzione e dal Responsabile del Servizio di Educazione e Promozione alla Salute, allo scopo di: 1. ampliare la ricognizione ed il monitoraggio delle iniziative aziendali di contrasto alle disuguaglianze in salute; 2. avviare un coordinamento aziendale delle attività di prevenzione e promozione della salute, con la partecipazione dei servizi maggiormente interessati; 3. attivare i contatti con le realtà istituzionali pubbliche, del privato sociale e del volontariato presenti nel territorio dell’ULSS 20, in vista delle necessarie ed auspicate collaborazioni intersettoriali; 4. individuare le progettualità e le migliori pratiche disponibili a livello aziendale, ed attivare le procedure per reperire i finanziamenti per la loro attuazione o il loro consolidamento. 65 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Disuguaglianze/Documentazione/Delibera12/Deliberadisuguaglianze.pdf 36 2.2 Obiettivo della ricerca Obiettivo della presente ricerca è valutare, a due anni dall’emanazione della delibera aziendale n. 201 del 5/4/2012 “Disuguaglianze in salute. Ricognizione delle iniziative in atto presso il Dipartimento di Prevenzione”, i risultati raggiunti e le criticità incontrate nell’ambito delle attività intraprese, e descrivere gli ulteriori sviluppi che hanno preso le mosse dal provvedimento aziendale. 2.3 Metodi Nel primo semestre del 2014 sono stati raccolti dati e informazioni sulle attività in atto presso le diverse unità operative (U.O.) del Dipartimento di Prevenzione, che prevedano interventi mirati al contrasto delle disuguaglianze, e sulle successive azioni di coordinamento. In particolare, sono state incluse attività (ordinarie o a progetto, con o senza finanziamenti) specificamente rivolte a gruppi di popolazione vulnerabili, e attività dirette alla popolazione generale, ma con espliciti correttivi per le fasce svantaggiate. Le iniziative descritte sono state scelte per la loro esemplarità, ma non esauriscono l’intera gamma di attività, promosse e realizzate dal Dipartimento di Prevenzione, che hanno un potenziale impatto di riduzione delle disuguaglianze in salute (ad esempio: attività di indirizzo e controllo della ristorazione scolastica, promozione dell’attività fisica e prevenzione degli incidenti domestici rivolte agli anziani, ecc.). Il report di ricognizione delle iniziative sarà organizzato per determinante di salute intermedio (determinanti precoci, alimentazione, attività fisica, alloggio e ambiente costruito, condizioni di lavoro, accesso a servizi preventivi prioritari), secondo il modello concettuale proposto dalla Commissione per i Determinanti Sociali di Salute dell’OMS (v. par. 1.2.1). 37 2.4 Dati di contesto Per contestualizzare le attività che verranno presentate, si riportano alcuni dati relativi alla realtà socio-demografica e a gruppi particolarmente fragili di popolazione presenti nel territorio che fa capo all’ULSS 20. Il numero complessivo di residenti nei comuni facenti parte dell’ULSS 20 è 472.295, di cui 62.019 di cittadinanza straniera, pari al 13,1% del totale (al 31/12/2013). Le fasce d’età più rappresentate fra i residenti stranieri sono quelle dei giovani-adulti (Fig. 2.1). Il 26,5% dei nati nel 2013, residenti nell’ULSS 20, ha entrambi i genitori stranieri (fonte: elaborazioni su dati ISTAT). Fig. 2.1 Popolazione residente nel territorio dell’ULSS 20, per genere, classe di età e cittadinanza (2012; elaborazione su dati ISTAT ). Elaborazione dei dati ISTAT a cura della dott.ssa Mariasole Migliorini 38 La provincia di Verona è la prima, in Veneto, per numerosità di residenti stranieri: 109.471 persone (53.573 maschi e 55.898 femmine), pari all’11,9% della popolazione totale (al 31/12/13; fonte: ISTAT). Nel comune di Verona, i residenti di cittadinanza non italiana hanno superato nel 2012 il 15% della popolazione (39.810 su 264.910 residenti totali) 66. Fig. 2.2 Comune di Verona. Numero di residenti di cittadinanza straniera. Anni 1992-2012 (fonte: Comune di Verona - Annuario 2012). Stime relative al 2012 quantificano in circa il 6% sul totale degli stranieri presenti la quota non in regola con le norme di ingresso e soggiorno, a livello nazionale; questa proporzione appare in calo rispetto agli anni precedenti (in cui si attestava intorno al 10%), per motivi presumibilmente non estranei all’attuale crisi economica67. Dal 2001 è presente nel territorio veronese una comunità di circa 150 Rom di recente immigrazione dalla Romania, che dal 2006 al 2008 è stata ospitata presso una struttura appositamente costruita (il cosiddetto “campo nomadi di Boscomantico”), dotata dei servizi essenziali (elettricità e illuminazione, due blocchi con servizi igienici e acqua potabile calda e fredda, una cucina comune) e composta da 46 unità abitative ricavate da container, circondate da una recinzione. Il campo di 66 Comune di Verona. Annuario 2012. https://portale.comune.verona.it/nqcontent.cfm?a_id=39247 (ultimo accesso: luglio 2014) 67 Cesareo V. (a cura di), The Eighteenth Italian Report on Migration 2012, McGraw-Hill, Milano, 2013. 39 Boscomantico, nell’ottobre 2006, ospitava in totale 145 persone (67 maschi e 78 femmine), divise in 29 nuclei familiari (circa 5 componenti a famiglia). L’età media nel campo era di 14,5 anni; il 37% era di età inferiore ai 6 anni, e solo l’8% della popolazione aveva più di 30 anni. Il membro più anziano della comunità era un uomo di 51 anni68. A seguito della chiusura del campo, decisa dalla nuova amministrazione comunale nel marzo 2008, i membri della comunità si sono dispersi nel territorio. L’attuale contingenza economica ha spinto molte famiglie ad emigrare (in particolare, verso gli Stati Uniti), tanto che, nel maggio 2014, è presente nel territorio veronese solo una quarantina di Rom (di cui la metà di età inferiore ai 18 anni) 69. Più consistente la presenza a Verona dei Sinti, di cittadinanza italiana e in molti casi residenti. Il campo di via Sogare ospita circa 140 persone (fra cui 55 minori), quello di via Forte Azzano ne conta invece 86, di cui la metà minorenne; alcune delle famiglie sono presenti solo per una parte dell’anno, spostandosi frequentemente in altre province italiane (Udine, Padova, Reggio Emilia)64. Nel territorio dell’ULSS 20 è presente una struttura penitenziaria, la Casa Circondariale di Verona, che ospitava -al 31 dicembre 2013- 828 detenuti (766 maschi e 62 femmine), a fronte di una capienza regolamentare dichiarata di 564 persone. Il sovraffollamento riscontrato è sovrapponibile alla media degli istituti penitenziari della Regione Veneto (capienza regolamentare: 1.955 – detenuti presenti al 31/05/14: 2.796), ma non per questo è meno grave. Si segnala che molte celle, con una superficie media di 12 m2, sono occupate da quattro persone: il Comitato per la prevenzione della tortura (istituito dal Consiglio d’Europa), fissa in 7 m2 lo spazio minimo per detenuto. 68 Abrescia F, Veronesi M, Gobbo M, Degani M, Mistretta M, Bisoffi Z. High prevalence of Giardiasis in a Gipsy Roma Community in Verona, Italy. Italian Journal of Tropical Medicine. 2010; 15 (1-4): 43-47. 69 Dati cortesemente forniti dall’associazione Medici per la Pace Onlus. 40 La percentuale di detenuti stranieri risulta pari al 67%, il doppio rispetto ai valori medi nazionali (33%), e superiore anche alla media veneta (55%). Più alta del dato regionale (15%) e nazionale (17%) la percentuale di detenuti in attesa di primo giudizio, pari al 20%70,71. Il Direttore del Carcere, con la collaborazione del personale di sorveglianza (peraltro sottodimensionato), degli educatori e, per alcune tipologie d’intervento, di enti e organizzazioni esterni, ha attivato una serie di iniziative per consentire ai detenuti attività “extra-celle”. Di grande utilità, in questa situazione, risulta anche l’impegno del Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona. Con l’entrata in vigore del D.P.C.M. del 1/4/08, sono state trasferite al Servizio sanitario nazionale (attraverso le Aziende sanitarie locali, nel cui ambito di competenza sono ubicati gli istituti penitenziari) tutte le funzioni sanitarie, in precedenza svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia. Rispetto ai principali indicatori di posizione socio-economica, si riportano i dati raccolti dal sistema di sorveglianza Passi su un campione di residenti di 18-69 anni, iscritti nelle liste dell’anagrafe sanitaria dell’ULSS 20 (1006 persone intervistate fra il 2008 e il 2012). L’11% del campione ha una scolarità bassa (nessun titolo di studio o licenza elementare), il 28% la licenza media inferiore, il 46% la licenza media superiore e il 15% è laureato. Il livello di istruzione è mediamente più basso fra le donne rispetto agli uomini, ed è fortemente età-dipendente: gli anziani presentano titoli di studio significativamente più bassi rispetto ai giovani. Riguardo all’occupazione, il 70% degli intervistati nella fascia d’età 18-65 anni ha riferito di lavorare regolarmente (l’80% degli uomini contro il 61% delle donne). Nel 70 Dati cortesemente forniti dalla Casa Circondariale di Verona. 71 Ministero della Giustizia. Detenuti presenti - aggiornamento al 31 maggio 2014. http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp;jsessionid=4247426867FA5FB559F8BEE80AE3F3F2.ajpAL03 ?facetNode_1=0_2&previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST1015951 (ultimo accesso: luglio 2014) 41 pool di ASL Passi (2009-12) la percentuale di lavoratori regolari nella fascia di età 1865 anni è del 59%. In risposta alla domanda sulle difficoltà economiche percepite, il 46% del campione non ne ha riferita alcuna, il 43% qualcuna, l’11% molte. Nel pool di ASL Passi (200912) i valori corrispondenti sono del 44%, del 41% e del 14%, con un forte gradiente territoriale. Nella figura 2.3 si riporta la distribuzione geografica relativa ai tre indicatori citati, nel pool di ASL Passi 2009-2012. Fig. 2.3 Pool di ASL Passi 2009-2012: a) Prevalenza di scolarità medio-bassa; b) % di lavoratori regolari; c) % di intervistati che riferiscono qualche/molte difficoltà economiche. a) b) c) 2.5 Risultati Di seguito viene riportato l’aggiornamento della ricognizione delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze avviate dal Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20, presentando, per ciascuna attività, il razionale, un’introduzione e una scheda riassuntiva (aggiornata a giugno 2014). La tabella 2.1 contiene una panoramica dei principali interventi, che saranno descritti più in dettaglio in seguito. Verranno infine delineati gli ulteriori sviluppi che hanno preso le mosse dalla delibera aziendale. 42 Tab. 2.1 Quadro sinottico delle principali iniziative di contrasto alle disuguaglianze in salute del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 (a giugno 2014). Determinante di salute Determinanti di salute precoci Target Futuri e neo-genitori, bambini nei primi anni di vita, con attenzione alle fasce deboli e alle comunità migranti Criticità Comportamenti più a rischio per molti determinanti in gruppi di popolazione socioeconomicamente svantaggiati e in alcune comunità straniere Minor prevalenza di allattamento materno in gruppi di popolazione socioeconomicamente svantaggiati e in alcune comunità straniere Alimentazione e attività motoria Persone disagiate in strutture di accoglienza sociale Scarso accesso a cibo sufficiente, sicuro e sano Pazienti con psicosi funzionali seguiti presso i quattro Servizi Psichiatrici Territoriali del DISM Maggior frequenza di comorbilità fisiche e fattori di rischio cardiovascolari rispetto alla popolazione generale; scarso accesso a prevenzione e cure per patologie non psichiatriche Maggior prevalenza di sedentarietà e alimentazione inadeguata in gruppi socioeconomicamente svantaggiati Alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado, con particolare attenzione ai bambini stranieri 43 Attività realizzata Programma "GenitoriPiù": promozione integrata di otto determinanti di salute precoci, con interventi specifici verso le fasce deboli (in collaborazione con Caritas) e le comunità migranti (materiale multilingue) v. scheda n. 1, pag.50 Promozione dell'allattamento materno attraverso l'implementazione delle iniziative BFHI e BFCI (OMS/Unicef), con interventi specifici verso le comunità straniere (materiale multilingue; mediazione linguistico-culturale) v. scheda n. 2, pag. 56 Promozione e supporto a iniziative di recupero di pasti non consumati e alimenti invenduti (LMM; Rebus) v. scheda n. 3, pag. 65 Promozione della sana alimentazione e dell'attività fisica (progetto pilota, seguito da studio controllato randomizzato “PHYSICO”) v. scheda n. 4, pag. 70 Attori SPES - Caritas Elaborazione di materiali didattici per le scuole sui corretti stili di vita ("Muovimondo") v. scheda n. 5, pag. 80 SPES - Ufficio Scolastico Territoriale di Verona - Rete Tante Tinte SPES - Unicef - Punti nascita regionali SIAN - Comune di Verona - ACLI Verona SIAN - SPES - DISM Università di Verona Abitazione e verde urbano Persone in condizioni di disagio abitativo, residenti o domiciliate nel Comune di Verona Dimora in alloggi insalubri e non sicuri Popolazione generale (possibile beneficio maggiore per gruppi svantaggiati) Scarsa disponibilità di aree verdi Lavoratori stranieri Rischio più elevato di infortuni sul lavoro Lavoratori stagionali extracomunitari Dimora in alloggi non adeguati Accesso ai servizi preventivi: vaccinazioni dell'infanzia Comunità Rom e Sinta presenti nel territorio dell'ULSS 20 Ridotto accesso alle vaccinazioni Accesso ai servizi preventivi: sorveglianza e controllo della tubercolosi Popolazione carceraria (Casa Circondariale di Verona) Rischio aumentato di malattia tubercolare Migranti ospiti di strutture di accoglienza Rischio aumentato di malattia tubercolare Condizioni di lavoro 44 Interventi per promuovere il risanamento delle abitazioni insalubri e non sicure, attraverso il coinvolgimento attivo dei proprietari; prevenzione delle intossicazioni da monossido di carbonio v. scheda n. 6, pag. 88 Sperimentazione locale di una progettazione partecipata per un’area verde nel parco Adige sud (progetto Giarol) v. pag. 92 Percorso di formazione in agricoltura per lavoratori stranieri v. pag. 97 Controllo e autorizzazione preventiva degli alloggi temporanei per lavoratori stagionali extra-comunitari v. pag. 98 Offerta attiva di un programma di recupero vaccinale alle famiglie Rom e Sinte, tramite accompagnamento nelle sedi vaccinali distrettuali v. scheda n. 7, pag. 104 Offerta attiva di un programma di screening tubercolare ai nuovi ingressi ed eventuale chemioprofilassi dell'ITBL v. scheda n. 8, pag. 112 SISP (U.O. Igiene Urbana e Ambientale) Comune di Verona Offerta attiva di un programma di screening tubercolare ai nuovi ingressi ed eventuale chemioprofilassi dell'ITBL v. scheda n. 9, pag. 115 SISP (U.O. Profilassi malattie infettive) SISP (U.O. Igiene Urbana e Ambientale) IUAV Venezia Comune di Verona SPISAL Rete Tante Tinte SPISAL SISP (U.O. Profilassi malattie infettive) Distretti ULSS 20 Medici per la Pace Onlus SISP (U.O. Profilassi malattie infettive) U.O. Sanità Penitenziaria Accesso ai servizi preventivi: screening oncologici Popolazione carceraria (Casa Circondariale di Verona) Ridotto accesso agli screening oncologici Donne migranti presenti nel territorio dell'ULSS 20 Nessun accesso (non residenti) o minor adesione (residenti) ai programmi di screening cervicale; aumentato rischio di lesioni cervicali neoplastiche e pre-neoplastiche Donne Rom e Sinte presenti nel territorio dell'ULSS 20 Nessun accesso (non residenti) o minor adesione (residenti) ai programmi di screening cervicale; aumentato rischio di lesioni cervicali neoplastiche e pre-neoplastiche 45 Offerta screening mammografico ed ev. approfondimenti c/o strutture ULSS alle donne detenute (45-69 anni) v. scheda n. 10, pag. 122 Offerta screening colon retto (SOF) ed ev. colonscopia di approfondimento c/o strutture ULSS a uomini e donne detenuti (50-69 anni) v. scheda n. 10, pag. 122 Interventi di promozione dello screening cervicale nelle principali comunità migranti di Verona; formazione degli operatori sanitari; offerta dell'accesso anche a migranti non regolari v. scheda n. 10, pag. 122 Interventi di promozione dello screening cervicale nelle comunità Rom e Sinta; offerta dell'accesso anche a donne non residenti v. scheda n. 10, pag. 122 Ufficio Coordinamento Screening - U.O. Sanità Penitenziaria Ufficio Coordinamento Screening - SPES Coop. Azalea Distretti - Spazio Donna Straniera (consultorio n. 1) Ufficio Coordinamento Screening - Medici per la Pace Onlus Distretti - Spazio Donna Straniera (consultorio n. 1) 2.5.1 Aggiornamento della mappatura delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze del Dipartimento di Prevenzione 2.5.1.1 Determinanti di salute precoci L’importanza dei determinanti precoci (prenatali e dei primissimi anni di vita) per gli esiti di salute a lungo termine è ampiamente dimostrata dalla ricerca scientifica (v. par. 1.2.2). I genitori sono mediatori cruciali di cure e opportunità nei primi anni di vita: difficoltà economiche e/o psicosociali, carenza di supporti sociali e di strumenti culturali della famiglia di origine possono far perdere queste potenzialità. Di qui la necessità di un grande lavoro di supporto alla funzione genitoriale, esteso universalmente e modulato a seconda dei bisogni. 2.5.1.1.1 GenitoriPiù “GenitoriPiù” è un programma basato sulla promozione integrata di otto azioni di dimostrata efficacia sui determinanti di salute e sui rischi prevalenti nei primi anni di vita del bambino: 1. l’assunzione di adeguate quantità di acido folico nel periodo peri-concezionale; 2. l’astensione dal fumo di sigaretta durante la gravidanza e nei luoghi frequentati dal bambino; 3. l’astensione dall’alcol durante la gravidanza e l’allattamento; 4. l’allattamento al seno esclusivo nei primi sei mesi di vita; 5. la posizione supina nel sonno nel primo anno di vita; 6. la prevenzione degli incidenti attraverso l’utilizzo di mezzi di protezione in auto e la promozione della sicurezza in casa; 7. la promozione delle vaccinazioni; 8. la promozione della lettura ad alta voce ai bambini già dal primo anno di vita. “GenitoriPiù” è nato in Veneto nel 2006 come campagna di comunicazione sociale, tra il 2007 e il 2009 è diventato un progetto nazionale, promosso dal Ministero della 46 Salute, successivamente è proseguito all’interno del Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012 del Veneto (DGRV n. 3139 del 14.12.2010) come “Programma di prevenzione precoce – monitoraggio dei comportamenti e delle azioni di prevenzione e promozione della salute nei primi anni di vita”. Sul piano scientifico “GenitoriPiù” fa riferimento al progetto di ricerca finalizzato “Sei più uno - Sviluppo e valutazione di interventi di prevenzione primaria nel campo della salute infantile”, finanziato dal Ministero della Sanità nel 200072. L’attenzione alle disuguaglianze nell’ambito di GenitoriPiù nasce dalla consapevolezza che interventi efficaci di promozione della salute e di prevenzione primaria possono avere l’effetto di aumentare le disuguaglianze, anziché ridurle, se non modulati in un’ottica di equità, cioè con un impiego di risorse proporzionalmente maggiore per le fasce di popolazione svantaggiate. Questo avviene perché la probabilità di non recepire correttamente o interamente un messaggio di salute è maggiore per le persone con strumenti culturali diversi o limitati, o in condizioni di disagio. Si è quindi cercato, nell’ambito di GentoriPiù, di ampliare l’accessibilità delle informazioni e sensibilizzare il personale sanitario, rendendo disponibile il materiale per i genitori in diverse lingue e promuovendo eventi formativi sul tema delle disuguaglianze rivolti agli operatori del percorso nascita. L’attenzione alla multiculturalità è resa più urgente dall’attuale contesto socio-demografico: i nati da madre straniera sono stati nel 2011 il 29,6% di tutti i nati del Veneto, il 33% dei nati nell’ULSS 2073. Per caratterizzare meglio la distribuzione dei determinanti di salute precoci nelle fasce deboli della popolazione, è stata condotta un’analisi ad hoc sui dati raccolti durante il monitoraggio dei comportamenti delle famiglie, condotto da GenitoriPiù nel 2009 (5819 questionari, di cui 1196 raccolti in Veneto) e nel 2012 (6246 questionari raccolti in Veneto), in occasione rispettivamente del primo e del secondo 72 G. Tamburlini. Sei più uno. Medico e Bambino 2000;19:279-280. 73 Osservatorio Regionale Immigrazione (a cura di). Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2013. Settembre 2013. 47 appuntamento vaccinale. Dall’analisi emerge chiaramente un gradiente, più o meno marcato a seconda del determinante, sia per titolo di studio (Fig. 2.4), sia per difficoltà economiche percepite, che va costantemente a svantaggio dei gruppi meno scolarizzati e con minori possibilità economiche, tranne che per il consumo di alcol in gravidanza/allattamento e per l’intenzione di vaccinare, dove si rileva invece un’associazione inversa74. L’indagine del 2009, condotta in cinque regioni italiane (Veneto, ASL di Milano, Friuli Venezia Giulia, Molise, Puglia) ha messo in evidenza anche un forte gradiente territoriale, a favore del nord Italia. Fig. 2.4 Percentuale di mamme che adottano comportamenti salutari per il bambino. Confronto fra il titolo di studio più elevato e il più basso (Indagine GenitoriPiù 2012). 74 http://www.genitoripiu.it/sites/default/files/uploads/porchia_21.1.14_determinanti.pdf (ultimo accesso luglio 2014) 48 Un’ulteriore indagine, nel 2013, ha reclutato un campione di 1375 genitori in 18 ULSS del Veneto, con una forte rappresentanza di madri straniere (50%), cui è stato somministrato un questionario -tradotto in quattro lingue- in diverse occasioni durante il primo anno di vita del bambino (presso i servizi vaccinali, i consultori familiari, i punti nascita, i centri di ascolto Caritas, l’ambulatorio del pediatra di libera scelta, il pronto soccorso pediatrico). Dall’analisi emerge un quadro piuttosto variegato a seconda dell’area di provenienza, con alcuni comportamenti salutari decisamente meno diffusi nelle famiglie straniere (assunzione di acido folico, posizione supina in culla, prevenzione degli incidenti domestici e in auto, lettura precoce), ed altri, al contrario, generalmente più frequenti (astensione dal fumo e dall’alcol, allattamento al seno, propensione alle vaccinazioni)74. 49 Scheda riassuntiva n. 1 (attività rivolte alla popolazione generale, ma con espliciti correttivi per gruppi vulnerabili). Attività GenitoriPiù Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Servizio Promozione ed Educazione alla Salute – SPES (gestione e coordinamento del programma a livello aziendale, regionale e nazionale). Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Regione Veneto (committente Piano Regionale della Prevenzione); Università Ca’ Foscari di Venezia (monitoraggio e valutazione); 23 aziende ULSS e ospedaliere del Veneto (implementazione locale del programma); Federazione Italiana Medici Pediatri - FIMP (supporto scientifico ed operativo tramite la rete dei pediatri di libera scelta); Caritas (implementazione del programma presso i punti di ascolto per famiglie svantaggiate). Popolazione target Giovani coppie e neo-genitori, bambini nei primi anni di vita. Obiettivi Promuovere in maniera integrata otto azioni di dimostrata efficacia per la salute del bambino nei primi anni di vita. Metodologia di intervento Campagne informative rivolte alla popolazione, con particolare attenzione alla multiculturalità (“promozione”) Costruzione di una rete fra operatori sanitari, enti e organizzazioni (“rete”) Formazione degli operatori sanitari del percorso nascita: pediatri, ginecologi, ostetriche, assistenti sanitarie, ecc. (“formazione”) Monitoraggio delle conoscenze e dei comportamenti dei genitori e degli operatori sanitari in merito agli otto determinanti (“valutazione”) Principali risultati Produzione e diffusione di materiale informativo per genitori, in italiano e in altre 14 lingue (brochure, poster, “Calendario delle Azioni” da inserire nei libretti pediatrici, spot televisivi e radiofonici, realizzazione e manutenzione del sito web www.genitoripiu.it) Costituzione e consolidamento di una rete di referenti aziendali GenitoriPiù (un referente del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica, un pediatra di libera scelta o un medico del percorso nascita) nelle 23 aziende sanitarie del Veneto; creazione di un Comitato Tecnico-Scientifico regionale formato dai referenti istituzionali dei programmi relativi ai singoli determinanti (es. “Mamme libere dal fumo”, “Mamma beve bimbo beve”, ecc.), da rappresentanti delle categorie professionali del percorso nascita e della Caritas Produzione e diffusione di un manuale di formazione per gli operatori sanitari del percorso nascita (“7 azioni per la vita del tuo bambino 2009. Materiale informativo per gli operatori”); organizzazione di numerosi eventi formativi per gli operatori sanitari 50 in Veneto, tra cui il convegno “Le disuguaglianze in salute nell’ambito materno-infantile” (Venezia, 21/1/14); realizzazione di percorsi di formazione a distanza (sul counselling vaccinale e sulla prevenzione della Sudden Infant Death Syndrome - SIDS) Monitoraggio delle conoscenze e dei comportamenti dei genitori e degli operatori sanitari in merito agli otto determinanti, attraverso la realizzazione e la diffusione, in tre periodi successivi (2009-2012-2013), di specifici questionari di valutazione. L’ultima valutazione (2013) ha indagato in particolare i comportamenti di un campione di genitori in buona parte stranieri. Durata Dal 2006, tuttora in corso. Sistema di rilevamento dei dati Raccolte di dati ad hoc attraverso questionari cartacei (per i genitori, con rilevazione del titolo di studio, delle difficoltà economiche percepite, della cittadinanza) e su piattaforma web (per gli operatori sanitari). In previsione il rilevamento di alcuni determinanti (fumo, allattamento materno) all’interno dei flussi informativi correnti, in occasione degli appuntamenti vaccinali (tramite il software regionale OnVac). Risorse umane ed economiche Personale dipendente (due psicologi, un’assistente sanitaria) e a contratto (una psicologa) del Servizio Promozione ed Educazione alla Salute. Le spese sono attualmente coperte dai finanziamenti previsti dal Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012 per il “Programma di prevenzione precoce – monitoraggio dei comportamenti e delle azioni di prevenzione e promozione della salute nei primi anni di vita”. Riferimenti documentali DGRV n. 3139 del 14.12.2010 Del. ULSS 20 n. 238 del 14.04.11 Commenti Le indagini effettuate da GenitoriPiù mostrano che i principali fattori di rischio e determinanti di salute nei primi anni di vita del bambino si distribuiscono in maniera disuguale nel campione studiato, a seconda del livello educativo, delle difficoltà economiche percepite, della nazionalità. Questi risultati devono orientare interventi mirati, più intensi e proattivi in gruppi di popolazione svantaggiati. 51 2.5.1.1.2. Promozione e sostegno dell’allattamento materno L’allattamento materno è universalmente riconosciuto come un determinante di salute fondamentale, sia per i bambini sia per le madri, nel breve e nel lungo periodo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’allattamento al seno esclusivo fino al 6° mese di vita, prolungato anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni e oltre, secondo il desiderio della mamma e del bambino75. Il latte materno è l’alimento più sano, sicuro e adeguato alle esigenze nutrizionali del lattante; inoltre, a differenza del latte artificiale, non è costoso per le famiglie ed è sostenibile sotto il profilo ambientale. Negli USA è stato stimato il risparmio in termini di vite umane (911 decessi/anno) e monetari (13 miliardi $/anno) che si otterrebbe se il 90% delle famiglie statunitensi fosse in linea con le raccomandazioni di allattare esclusivamente al seno per 6 mesi76. Uno studio di coorte condotto in Italia su 842 bambini, seguiti dalla nascita ai 12 mesi di età, ha rilevato che, rispetto ai bambini non allattati o allattati parzialmente al seno, quelli che a 3 mesi ricevevano esclusivamente latte materno hanno presentato meno episodi di malattia che abbiano richiesto cure ambulatoriali od ospedaliere, con un costo legato alle cure sanitarie (per ricoveri, visite, farmaci) decisamente inferiore (circa 35 € vs. 55 € per bambino/anno per cure ambulatoriali; circa 134 € vs. 254 € per cure ospedaliere)77. 75 WHO/Unicef. Global Strategy for Infant and Young Child Feeding. 2003. http://www.who.int/nutrition/publications/infantfeeding/9241562218/en (ultimo accesso: luglio 2014) 76 Bartick M, Reinhold A. The burden of suboptimal breastfeeding in the United States: a pediatric cost analysis. Pediatrics. 2010 May;125(5):e1048-56. 77 Cattaneo A, Ronfani L, Burmaz T, et al. Infant feeding and cost of health care: a cohort study. Acta Paediatrica, 2006; 95:540-6. 52 Sia a livello nazionale78, sia localmente74, i dati mostrano una distribuzione diseguale della prevalenza, dell’esclusività e della durata dell’allattamento materno nella popolazione, a seconda del livello socio-economico (Fig. 2.5). Fig. 2.5 Prevalenza di allattamento materno a 4-6 mesi di età, per: a) titolo di studio della madre; b) difficoltà economiche percepite (Indagine GenitoriPiù 2012, Veneto, n = 2513). a) b) Riguardo alla diffusione dell’allattamento materno fra le mamme straniere, il quadro si mostra più variegato, con notevoli differenze legate alla cultura di appartenenza (Fig. 2.6). 78 Giovannini M, Banderali G, Radaelli G, Carmine V, Riva E, Agostoni C. Monitoring breastfeeding rates in Italy: national surveys 1995 and 1999. Acta Paediatr 2003;92:357-63. 53 Fig. 2.6 Prevalenza di allattamento materno a 4-6 mesi di età, per cittadinanza della madre (Indagine GenitoriPiù 2013, Veneto, n = 1282). E’ quindi necessario sviluppare ed implementare strategie e politiche per il sostegno, la promozione e la protezione dell’allattamento materno, modulate in un’ottica di equità. Gli interventi di sostegno alla madre per l’allattamento (offerti da parte di operatori sanitari e tra pari, già nel periodo della gravidanza, ma soprattutto alla nascita e dopo la dimissione dal reparto di maternità, fino a che l’allattamento non si sia stabilizzato) possono contribuire a ridurre il divario, ma solo se sono attivamente offerti alle donne e ai gruppi svantaggiati in misura maggiore che alla popolazione generale. Lo stesso si può affermare per le iniziative di promozione dell’allattamento (ad esempio, materiale informativo e strumenti di comunicazione rivolti alla popolazione; formazione del personale sanitario; diffusione di policies, raccomandazioni, linee guida). A differenza degli interventi di sostegno e di promozione, le iniziative di protezione dell’allattamento materno (ad esempio, la corretta implementazione del “Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno”; leggi, regolamenti e politiche per la protezione delle madri lavoratrici e per la rimozione degli ostacoli all’allattamento fuori casa) sono 54 meno dipendenti dal recepimento da parte della popolazione target, e contribuiscono alla riduzione delle disuguaglianze, richiedendo meno correttivi 79. Per tutti questi motivi, nell’ambito dell’ULSS 20 l’allattamento materno, oltre ad essere una delle otto azioni promosse da GenitoriPiù, è oggetto di un progetto specifico secondo il modello della Baby Friendly Hospital Initiative (BFHI), un’iniziativa dell’OMS e dell’UNICEF mirata a promuovere e supportare l’allattamento materno, a partire dai punti nascita. I “dieci passi” previsti per il riconoscimento di “Ospedale Amico dei Bambini” richiedono specifiche azioni per garantire una comunicazione efficace, anche nei confronti della quota sempre più ampia di popolazione che non è di cittadinanza italiana (ad esempio, viene richiesta la traduzione della policy sull’allattamento nelle lingue più rappresentate nella specifica realtà locale). Queste azioni assumono particolare rilevanza considerando i dati epidemiologici locali: ad esempio, nell’ULSS 20 circa un terzo dei parti riguarda donne straniere80. L'ULSS 20 è inoltre una delle 18 aziende sanitarie italiane che hanno aderito alla prima sperimentazione, promossa dall'UNICEF e dal Centro Collaboratore dell'OMS per la Salute Materno Infantile (IRCSS Burlo Garofolo, Trieste), per l'attuazione in Italia della Baby Friendly Community Initiative (BFCI). Il “Progetto per la promozione e il sostegno dell’allattamento materno” rientra nel Piano Regionale della Prevenzione (PRP) 2010-2012 (DGR n. 3139/2010). 79 Cattaneo A. Academy of Breastfeeding Medicine Founder’s Lecture 2011: Inequalities and Inequities in Breastfeeding: An International Perspective. Breastfeeding Medicine, 2012; 7(1): 3-9. 80 Osservatorio Regionale Immigrazione (a cura di). Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2013. Settembre 2013. 55 Scheda riassuntiva n. 2 (attività rivolte alla popolazione generale, ma con espliciti correttivi per gruppi vulnerabili). Attività Promozione e sostegno dell’allattamento materno Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Servizio Promozione ed Educazione alla Salute – SPES (partner del progetto Ccm nazionale “Promozione dell’allattamento al seno nei reparti ospedalieri”; capofila del “Progetto regionale per la promozione e il sostegno dell’allattamento materno”; sostegno alle attività a livello aziendale) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Regione Veneto (committente Piano Regionale della Prevenzione), Unicef (tutoraggio e audit esterni), 19 aziende ULSS e ospedaliere del Veneto (implementazione operativa standard BFHI) Popolazione target Future mamme e neomamme con le loro famiglie, neonati/lattanti afferenti alle aziende sanitarie del Veneto Obiettivi Promuovere e sostenere l’allattamento al seno secondo le raccomandazioni dell’OMS (esclusivo fino a 6 mesi, prolungato anche dopo l’avvio dell’alimentazione complementare). Metodologia di intervento Principali risultati Promozione, nei punti nascita aderenti, dell’applicazione degli standard della “Baby Friendly Hospital Initiative” OMS-UNICEF, attraverso: o campagne informative rivolte alla popolazione, con particolare attenzione alla multiculturalità (“promozione”) o costituzione di reti regionali fra operatori sanitari (“rete”) o formazione a cascata degli operatori dei punti nascita (“formazione”) o monitoraggio della prevalenza di allattamento al seno esclusivo alla dimissione dal punto nascita e a 6 mesi di vita del bambino (“valutazione”) Promozione dell’applicazione degli standard della “Baby Friendly Community Initiative” OMS-UNICEF Riconoscimento del punto nascita dell’ULSS 20, presso l’ospedale di San Bonifacio (VR), come “Baby Friendly Hospital” nel 2001, con successive conferme del titolo (l’ultima nel 2012). Avvio del percorso di riconoscimento come “Baby Friendly Hospital” per altri 24 punti nascita in 18 ULSS del Veneto (copertura prevista: 80% dei nuovi nati in Veneto). Avvio del percorso per il riconoscimento del distretto 4 dell’ULSS 20 come “Baby Friendly Community”. Promozione di incontri di informazione e sostegno pre- e post-parto rivolti alle mamme straniere, con la presenza di operatori 56 sanitari e di mediatrici culturali, presso l’ospedale di San Bonifacio. Produzione e diffusione di materiale informativo multilingue, in sinergia con GenitoriPiù (distribuzione a tutte le ULSS venete di un libretto validato sull’allattamento, disponibile nelle lingue più diffuse; produzione di una policy illustrata in 14 lingue per le ULSS aderenti). Costruzione di reti intra-aziendali (tra ospedale, territorio e dipartimento di prevenzione), inter-aziendali (tra referenti aziendali per l’allattamento e tra ospedali BFH), tra istituzioni sanitarie, altri enti e associazioni (società scientifiche e professionali, ONG); creazione del “Comitato Regionale Allattamento Materno”, come da raccomandazione OMS, con attività di indirizzo, monitoraggio e ratifica delle attività. Formazione a cascata: formazione di 107 formatori (corso di 44 ore) e di circa 2800 operatori sanitari (corso di 20 ore) del Veneto, dal 2011 ad oggi, con l’obiettivo di raggiungere almeno l’80% degli operatori di ciascun punto nascita (requisito minimo per il riconoscimento come BFH) Prevalenza di allattamento materno esclusivo nelle ULSS aderenti (novembre 2013): - 71% alla dimissione dal punto nascita (+10% in un anno; obiettivo ministeriale: 80 ± 20%); - 11,9% a 6 mesi (obiettivo ministeriale: >10%). Durata Dal 2000, tuttora in corso: sostegno alle attività aziendali 2011-2013: progetto Ccm nazionale “Promozione dell’allattamento al seno nei reparti ospedalieri” 2011-2014: “Progetto regionale per la promozione e il sostegno dell’allattamento materno”, all’interno del PRP 2010-2012 Sistema di rilevamento dei dati Raccolte di dati ad hoc sulla prevalenza di allattamento alla dimissione, presso i punti nascita aderenti al progetto (attraverso un apposito formulario dell’Unicef); a 6 mesi, in sinergia con GenitoriPiù (anche per caratteristiche socio-economiche della madre). In previsione il rilevamento della prevalenza di allattamento materno all’interno dei flussi informatizzati correnti, in occasione degli appuntamenti vaccinali (tramite il software regionale OnVac). In studio il rilevamento corrente del dato alla dimissione dalla maternità (tramite il Certificato di assistenza al parto -CEDAP- e la Scheda di Dimissione Ospedaliera – SDO). Risorse umane ed economiche Personale dipendente (uno psicologo), e a contratto (due psicologi) del Servizio Promozione ed Educazione alla Salute. Le spese sono attualmente coperte dai finanziamenti previsti dal Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012 per il “Progetto per la promozione e il sostegno dell’allattamento materno”. Riferimenti documentali DGRV n. 3139 del 14.12.2010 - n. 1872 del 15.11.2011 – n. 1748 del 14.08.2012 – n. 2354 del 16.12.2013 Del. ULSS 20 n. 238 del 14.04.2011 - n. 149 del 15.03.2012 - n. 583 del 04.10.2012- n. 712 del 30.12.2013 57 Commenti I dati locali, in linea con le evidenze di letteratura, mostrano la presenza di disuguaglianze sociali nella diffusione di un determinante di salute fondamentale come l’allattamento materno. Interventi di promozione e sostegno dell’allattamento efficaci ed evidence-based possono incrementare le disparità, se non vengono esplicitamente definiti obiettivi e target orientati all’equità. 58 Alimentazione L’accesso fisico ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente (secondo la definizione della FAO di food security, che oltre al concetto di accessibilità, include quelli di salubrità igienico-sanitaria degli alimenti - food safety, e di adeguatezza nutrizionale), è un determinante fondamentale per la salute -a partire dalla prima alimentazione del neonato (v. par. 2.5.1.1.2.)-, che si distribuisce in maniera diseguale nei diversi strati sociali. Una dieta inadeguata può condurre, nelle forme estreme, a malnutrizione caloricoproteica, una condizione frequente nei Paesi a basso e medio reddito, decisamente più contenuta nei Paesi europei ma, secondo alcune segnalazioni, in aumento a seguito dell’attuale recessione economica, che ha portato anche ad un maggior ricorso ai “banchi alimentari”81,82 (Fig. 2.7). La situazione è particolarmente preoccupante per i bambini, dal momento che l’esposizione a fattori di rischio in periodi sensibili può avere effetti negativi nelle fasi successive della vita83. 81 Rada AG. Child poverty and malnutrition rise in Spain as austerity measures bite. BMJ 2013;347:f5261. 82 Taylor-Robinson D, Rougeaux E, et al. The rise of food poverty in the UK. BMJ 2013;347:f7157. 83 Victora CG, Adair L, Fall C, et al. Maternal and child undernutrition: consequences for adult health and human capital. Lancet 2008; 371: 340–57. 59 Fig. 2.7 Regno Unito. Ricoveri dovuti a malnutrizione e numero di persone che ricorrono a banchi alimentari dall’inizio della crisi economica (tratto da: Taylor-Robinson D et al., 201384). Nel contesto dei Paesi ad alto reddito, la maggior accessibilità e il basso costo di alimenti ad elevato contenuto di calorie, grassi saturi, zuccheri e sale portano al paradosso della “malnutrizione moderna”: le fasce più povere della popolazione (tra cui persone disoccupate o soggette a stress finanziario prolungato85, famiglie con bambini, anziani, disabili, membri di minoranze etniche) sono più spesso soggette a sovrappeso, obesità e alle patologie cronico-degenerative correlate (ipertensione, dislipidemia, diabete di tipo II, cardiopatia ischemica, patologie respiratorie, osteoarticolari, problemi psicologici, ecc.). Si è stimato che una dieta inadeguata contribuisca ad almeno il 50% dei decessi per malattie cardiovascolari e a un terzo di quelli per tumore86. I dati del sistema di sorveglianza Passi, raccolti fra il 2009 e il 2012, mostrano una prevalenza di sovrappeso/obesità nella popolazione adulta italiana pari a circa il 42% (sovrappeso: 31,4%; obesità: 10,5%), confermando l’associazione tra bassa posizione socio-economica (definita sulla base del titolo di studio e delle difficoltà economiche 84 Taylor-Robinson D, Rougeaux E, et al. The rise of food poverty in the UK. BMJ 2013 85 Siahpush M, Huang TTK, Sikora A, et al. Prolonged Financial Stress Predicts Subsequent Obesity: Results from a Prospective Study of an Australian National Sample. Obesity .2014; 22: 616–621. 86 Faculty of Public Health of the Royal Colleges of Physicians of the United Kingdom. Food Poverty and Health. Briefing statement, 2005. http://www.fph.org.uk/uploads/bs_food_poverty.pdf (ultimo accesso: luglio 2014). 60 percepite) ed eccesso ponderale, a livello sia nazionale, sia regionale, sia locale (Fig. 2.8)87,88. Un quadro simile si osserva per il consumo di frutta e verdura (Fig. 2.9). Anche tra i bambini e gli adolescenti si rileva un’associazione fra basso livello socioeconomico della famiglia e comportamenti alimentari scorretti (colazione inadeguata, scarso consumo di frutta e verdura, consumo giornaliero di snack e bevande gassate) o sovrappeso/obesità. Ad esempio, i risultati dell’indagine OKkio alla salute effettuata in Veneto (2012), tra i bambini della scuola primaria, mostrano che il rischio di obesità diminuisce con il crescere della scolarità della madre, dall’8,7% se la madre ha un titolo di scuola elementare o media, al 6,6% se ha un diploma di scuola superiore, al 2,3% se ha la laurea89. Nella stessa direzione vanno i risultati delle indagini campionarie dell’ISTAT sulle abitudini alimentari di bambini e ragazzi tra i 3 e i 17 anni90, e lo studio Health Behaviour in School-Aged Children (HBSC) sulla salute degli adolescenti di 11, 13 e 15 anni (2009-2010) 91. 87 http://www.epicentro.iss.it/passi/dati/sovrappeso.asp (ultimo accesso: luglio 2014) 88 Sovrappeso ed Obesità in Veneto: i dati del sistema di sorveglianza PASSI 2012. http://www.epicentro.iss.it/passi/pdf2013/Veneto_alimentazione_2012.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 89 OKkio alla SALUTE. Risultati dell’indagine 2012. Regione del Veneto. http://www.epicentro.iss.it/okkioallasalute/reportregionali2012/Veneto.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 90 ISTAT, Unicef. Bambini e adolescenti tra nutrizione e malnutrizione. Problemi vecchi e nuovi in Italia e nel mondo in via di sviluppo. 2013. 91 Currie C et al., eds. Social determinants of health and well-being among young people. Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) study: international report from the 2009/2010 survey. Copenhagen, WHO Regional Office for Europe, 2012 (Health Policy for Children and Adolescents, No. 6). 61 Fig. 2.8 Eccesso ponderale. Prevalenze per caratteristiche socio-demografiche. a) Pool di Asl Passi 2009-2012 (n=149.823): sovrappeso: 31,4% (IC 95%: 31,1-31,7%); obesi: 10,5% (IC 95%: 10,3-10,7%); b) ULSS 20 di Verona 2008-2012 (n=1.006): eccesso ponderale 39,1% (IC 95%: 36,0%-42,2%). Totale: 39,1% (IC 95%: 36,0%-42,2%) Età b) a) 18-34 22% 35-49 3% 28% 50-69 8% 39% 15% Sesso uomini 39% donne 9% 21% 9% Istruzione nessuna/elementare 41% media inferiore 20% 35% media superiore 13% 28% laurea 5% 20% 5% Diff. economiche molte 34% qualche 10% 31% nessuna 11% 28% 7% CIttadinanza italiana 29% straniera 9% 37% 0% 10% 10% 20% 30% Sovrappeso 40% 50% 60% 70% Obesi Fig. 2.9 Consumo di almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno. Prevalenze per caratteristiche socio-demografiche. a) Pool di Asl Passi 2009-2012 (n=149.823): 9,7% (IC 95%: 9,5-9,9%); b) ULSS 20 di Verona 2008-2012 (n=1.006): 12,7% (IC 95%: 10,8%-15,0%). Totale: 12,7% (IC 95%: 10,8%-15,0%) Età a) b) 18-34 11,0% 35-49 9,6% 50-69 17,5% Sesso uomini 11,2% donne 14,3% Istruzione nessuna/elementare 11,0% media inferiore 9,8% media superiore 14,0% laurea 15,6% Diff. economiche molte 6,1% qualche 11,8% nessuna 15,4% Stato nutrizionale sotto/normopeso 13,5% sovrappeso 12,2% obeso 8,9% CIttadinanza italiana 13,4% straniera 7,1% 0% 62 5% 10% 15% 20% 2.5.1.2.1 Iniziative per il recupero delle eccedenze alimentari Ogni anno in Europa una crescente quantità di cibo sano e commestibile - secondo alcune stime fino al 50% - si perde lungo la catena di approvvigionamento, trasformandosi in rifiuti. Attualmente, lo spreco alimentare pro-capite nell’Unione Europea è pari a 179 kg all’anno, di cui il 42% è a carico delle famiglie, il 39% dei produttori, il 5% dei rivenditori, il 14% del settore della ristorazione92. Nello stesso tempo, secondo i più recenti dati dell’ISTAT, nel 2012 quasi 5 milioni di italiani erano in condizioni di povertà assoluta, e il 16,8% delle famiglie (contro il 12,4% del 2011) non si è potuta permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, cioè con proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano 93. Favorite dalla cosiddetta “legge del buon Samaritano” (n. 155 del 25/6/200394), negli ultimi anni si sono sviluppate nel territorio nazionale molteplici iniziative per il recupero e la distribuzione, a fasce disagiate di popolazione, di alimenti altrimenti destinati a essere eliminati e smaltiti, ma ancora perfettamente commestibili. Progetti di questo tipo hanno ricadute positive in primo luogo per la salute dei cittadini più bisognosi (a cui viene garantita una migliore alimentazione), ma anche per l’ambiente (riduzione dei rifiuti) e per le imprese o gli enti donatori (riduzione dei costi legati allo smaltimento). 92 Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2012 su come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE (2011/2175(INI)) http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-20120014+0+DOC+XML+V0//IT (ultimo accesso: luglio 2014) 93 ISTAT. Reddito e condizioni di vita. Anno 2012. http://www.istat.it/it/archivio/107289 (ultimo accesso: luglio 2014) 94 Legge 25 giugno 2003 n. 155, art.1 (Distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale): “Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti.“ 63 La legge di stabilità per l’anno 2014 (n. 147 del 27/12/2013) ha confermato le facilitazioni introdotte dalla “legge del buon Samaritano”, evidenziando nel contempo la necessità che venga garantito, sia dall’operatore del settore alimentare (il donatore), sia dalla organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus) che effettua la distribuzione -ciascuno per la parte di sua competenza- un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti, e la possibilità di avvalersi di specifici manuali nazionali di corretta prassi operativa, predisposti in conformità alle garanzie speciali previste dall’art. 8 del Reg. CE n. 852/04. A breve l’Italia, per iniziativa del Ministero dell'Ambiente, si doterà di un Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (PINPAS), rispondendo alle raccomandazioni del Parlamento Europeo, che con la risoluzione del 19 gennaio 2012 ha sollecitato gli stati membri a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2025. Il Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) dell’ULSS 20 ha aderito dal 2005, in collaborazione con le ACLI provinciali e con il Comune di Verona, all’iniziativa “Last Minute Market”, promossa dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna. La partecipazione del SIAN ha avuto un importante significato nel favorire l’adozione di protocolli operativi igienico-sanitari, a garanzia degli standard di sicurezza e qualità del cibo raccolto e ridistribuito, e per prevenire eventuali comportamenti opportunistici dei donatori. Dopo una prima fase sperimentale, che ha riguardato due scuole, la campagna di raccolta è stata potenziata, fino a coinvolgere una ventina di scuole nel 2013. Di conseguenza, è stato ampliato il bacino di fruitori del cibo raccolto, che per il momento comprende solo comunità, non singoli cittadini. Questi ultimi restano un obiettivo importante del progetto, ma quest’ulteriore passo richiederà la costruzione di efficaci reti di quartiere, con un incremento del “capitale sociale”, come auspicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Attualmente l’iniziativa è confluita nel progetto R.e.b.u.s. (Recupero Eccedenze Beni Utilizzabili Solidalmente), coordinato dall’Ufficio Progetti delle ACLI provinciali di Verona. 64 Scheda riassuntiva n. 3 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Progetto Last Minute Market - R.e.b.u.s (Recupero Eccedenze Beni Utilizzabili Solidalmente) Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione – SIAN (controllo ufficiale sugli operatori del settore alimentare, consulenza igienicosanitaria e dietetico-nutrizionale, promozione ed organizzazione di eventi formativi) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) ACLI provinciali di Verona (gestione operativa del progetto), Comune di Verona - Assessorato all’Istruzione (donazione pasti non consumati nelle mense scolastiche); Ecosportello (promozione ed organizzazione di eventi formativi) Popolazione target Persone disagiate in strutture di accoglienza sociale. Obiettivi Aumentare l’accessibilità a cibi sani di gruppi socialmente svantaggiati e ridurre lo spreco di alimenti. Metodologia di intervento Raccolta e recupero di pasti e alimenti invenduti o non consumati (presso servizi di ristorazione collettiva -come le mense scolastiche, la grande distribuzione organizzata, il mercato ortofrutticolo, ecc.) da destinare a strutture di accoglienza sociale. Principali risultati Il progetto R.e.b.u.s. ha permesso, nel corso degli ultimi anni, il recupero dei pasti non consumati di diverse scuole del Comune di Verona e la loro donazione a cinque associazioni locali (tre hanno una mensa per persone senza fissa dimora, due gestiscono casefamiglia). Durante l’anno scolastico 2012/13 sono stati recuperati quasi 39.000 pasti da 21 scuole, per un valore stimato di 193.000 euro (Tab. 2.2). Il SIAN ha contribuito al progetto Last Minute Market - R.e.b.u.s e sviluppato nel tempo diverse iniziative per il sostegno a fasce di popolazione disagiate e contro lo spreco alimentare, attraverso: la predisposizione e la condivisione di protocolli igienico-sanitari per il recupero e la redistribuzione delle eccedenze alimentari (protocollo per il recupero di alimenti non distribuiti in servizi di ristorazione collettiva95; protocollo per il recupero del pane 95 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Sian/IgieneNutrizione/Documenti/Protocolli/Procedure_recupero_prodotti_mense_scolastiche.pdf 65 invenduto della grande distribuzione96; in fase di elaborazione il protocollo per il recupero di alimenti freschi della grande distribuzione); uno studio di validazione della sostenibilità igienico-sanitaria del recupero delle eccedenze alimentari, che ha confermato la fattibilità dell'iniziativa (attraverso l’analisi microbiologica su campioni di alimenti prelevati dalle mense donatrici e da quelle riceventi; il controllo della temperatura dei pasti lungo l’intera filiera; la verifica delle modalità di trasporto, conservazione e somministrazione; il controllo di locali, impianti, attrezzature, nonché dei comportamenti e della formazione del personale; la valutazione della qualità nutrizionale ed organolettica del cibo e del gradimento da parte degli utenti)97; la disponibilità ad inserire nell’anagrafe informatizzata (v. art. 6 Reg. CE 852/04) le Onlus che, su base volontaria, ne facessero richiesta, per un monitoraggio concordato della ridistribuzione del cibo nelle varie fasi; il supporto alla fase di progettazione di un “emporio della solidarietà” a Verona, in collaborazione con organismi caritativi (Caritas, ACLI, ecc.) e il Comune di Verona; campagne informative ed educative all’acquisto e al consumo consapevole, rivolte a cittadini, scuole, operatori della ristorazione collettiva (es. decalogo per ridurre lo spreco in cucina98); iniziative di formazione sul tema delle disuguaglianze in salute e del recupero delle eccedenze alimentari rivolte alla popolazione generale, al personale sanitario, agli operatori del settore alimentare, alle associazioni di volontariato, attraverso l’organizzazione di convegni e altri eventi formativi (“Evitare lo spreco, dall’orto alla tavola”, Verona, 24 novembre 2012; “Sistemi alimentari sostenibili e diseguaglianze in salute”, Verona, 16 ottobre 201399), la diffusione di materiale informativo attraverso il sito web del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20100, il rotocalco TV dell’ULSS 20 «Salute»101, la newsletter del SIAN; sostegno, per il tramite della Società Italiana di Igiene (SItI), di un ruolo attivo dei SIAN nel favorire iniziative di recupero 96 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Sian/IgieneNutrizione/Documenti/Protocolli/Protocollo_recupero_pane.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 97 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Sian/SprecoAlimentare/Tesi_AMF.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 98 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/docs/Sian/SprecoAlimentare/Decalogo_contro_spreco_alimentare.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 99 http://prevenzione.ulss20.verona.it/gma161013.htm l (ultimo accesso: luglio 2014) 100 http://prevenzione.ulss20.verona.it/spreco_alimentare.html (ultimo accesso: luglio 2014) 101 http://video.ulss20.verona.it (ultimo accesso: luglio 2014) 66 delle eccedenze alimentari in tutta Italia, anche attraverso un’interpretazione omogenea della normativa sul territorio. Tab. 2.2 Comune di Verona. Recupero dei pasti non consumati nelle mense scolastiche ANNO SCOLASTICO QUANTITÀ RACCOLTA (KG) N. PASTI RECUPERATI 2007/2008 10.253 19.226 2008/2009 7.887 14.790 2009/2010 12.279 23.025 2010/2011 11.207 21.013 2011/2012 15.027 n.d. 2012/2013 16.037 38.700 Totale 72.690 n.d. Durata Dal 2005, tuttora in corso. Sistema di rilevamento dei dati Rilevamento dei dati sul recupero dei pasti delle mense scolastiche a cura di ACLI e del Comune di Verona; ricerche e controlli ad hoc da parte del SIAN. Risorse umane ed economiche Personale del SIAN all’interno del proprio orario di servizio. Spese coperte dalla programmazione ordinaria. Riferimenti documentali Piano Triennale di Sicurezza Alimentare della Regione Veneto 2005-2007 e 2008/2010 Commenti Il progetto, che rafforza la rete di collaborazione fra istituzioni ed enti caritatevoli, ha dimostrato di essere sostenibile nel tempo e di avere ampie potenzialità di estensione a nuovi soggetti (donatori e riceventi). Il SIAN dell’ULSS 20 si è fatto promotore, attraverso la SItI, di un’interpretazione omogenea della normativa sugli aspetti di igiene degli alimenti, per favorire la diffusione di iniziative di questo tipo sul territorio nazionale. Un altro punto che è necessario presidiare è la formazione del personale volontario delle associazioni sulle buone prassi igieniche. La disponibilità di risorse aggiuntive -attualmente inesistenti- permetterebbe di migliorare le attività di formazione, di sensibilizzazione e di marketing sociale sulla tematica del recupero degli alimenti. 67 2.5.1.2.2 Promozione di stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale Le persone con patologia mentale, specialmente se affette da forme gravi (schizofrenia, disturbo bipolare), presentano un’aspettativa di vita inferiore e un tasso di mortalità all’incirca doppio rispetto alla popolazione generale102,103. Le cause sono molteplici, e includono una prevalenza più elevata di patologie fisiche e fattori di rischio, quali: ipertensione, ipercolesterolemia, obesità, diabete, fumo, stili di vita insalubri (alimentazione inadeguata, sedentarietà), effetti collaterali delle terapie farmacologiche, self-neglect, scarsa attenzione alle comorbidità fisiche (da parte di operatori sanitari e degli stessi pazienti), basso livello socio-economico104. Si è stimato che le patologie fisiche concomitanti possano spiegare circa il 60% delle morti premature non dovute a suicidio in questi pazienti105,106. Alcuni fattori di rischio cardiovascolare -come l’obesità, il fumo, la dislipidemia, il diabete, l’ipertensionesono correggibili attraverso cambiamenti comportamentali e un miglioramento dell’assistenza. La sedentarietà e un’alimentazione inadeguata sono due fattori comuni in soggetti con patologie psichiatriche, potenzialmente modificabili107. Sulla base di queste evidenze, il 3° Servizio Psichiatrico (Verona Sud) ha sviluppato un progetto per migliorare gli stili di vita dei propri pazienti, in collaborazione con il Dipartimento di Prevenzione, che ha elaborato un programma di educazione 102 Fleischacker WW, Cetkovich-Bakmas M, De Hert M, et al. Comorbid somatic illnesses in patients with severe mental disorders: clinical, policy and research challenges. J Clin Psychiatry 2008, 64(4):514–519. 103 Harris EC, Barraclough. Excess mortality of mental disorder. British Journal of Psychiatry 1998; 173: 11-53 Br J Psychiatry. 1998 Jul;173:11-53. 104 De Hert M, Correll C, Bobes J, et al. Physical illness in patients with severe mental disorders. I. Prevalence, impact of medications and disparities in health care. World Psychiatry 2011, 10:52–77. 105 Lambert TJ, Velakoulis D, Pantelis C. Medical comorbidity in schizophrenia. Med J Aust. 2003 May 5;178 Suppl:S67-70. 106 Brown S. Excess mortality of schizophrenia. A meta-analysis. Br J Psychiatry. 1997 Dec;171:502-8. 107 Bonfioli E, Berti L, Goss C, Muraro F, Burti L. Health promotion lifestyle interventions for weight management in psychosis: a systematic review and meta-analysis of randomised controlled trials. BMC Psychiatry 2012, 12:78. 68 alimentare e di supporto all’attività fisica rivolto agli utenti, con la partecipazione attiva degli operatori del Centro Diurno (CD). Tra il 2004 e il 2006 è stato ideato e realizzato uno studio pilota su un piccolo numero di pazienti, che ha consentito di verificare la fattibilità dell’intervento108; successivamente, per testarne l’efficacia su un campione più consistente, si è messo a punto il protocollo di uno studio clinico controllato randomizzato (“PHYSICO” - Physical co-morbidity, poor health behaviour and health promotion), che fra il 2012 e il 2013 è stato esteso a tutti gli utenti dei quattro Servizi Psichiatrici Territoriali (SPT) del Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale (DISM) dell’ULSS 20. 108 Chioffi L, Morgante S, Berti L, et al. Un intervento di promozione della salute fisica nel centro di salute mentale di Verona Sud. Dialogo sui farmaci, n. 5/2008. 69 Scheda riassuntiva n. 4 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Promozione di stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione – SIAN (progetto pilota: valutazione del servizio di ristorazione del CD, incontri formativi sull’alimentazione per pazienti e operatori, esercitazioni e laboratori; studio PHYSICO: formazione e supporto sugli aspetti nutrizionali); UOS Servizio Igiene e Sanità Pubblica – SISP (progetto pilota: incontri formativi sull’attività fisica per pazienti e operatori, attivazione e supporto ai gruppi di cammino); UOS Servizio Promozione ed Educazione alla Salute - SPES (studio PHYSICO: progettazione, formazione e supporto sugli aspetti di attività fisica). Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale (progettazione, coordinamento e implementazione operativa del progetto pilota e dello studio PHYSICO); Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica, Università di Verona (progettazione, coordinamento e implementazione del progetto pilota e dello studio PHYSICO); Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione (IPSSAR) “Angelo Berti” (progetto pilota: laboratori di cucina). Popolazione target Pazienti con psicosi funzionali seguiti presso i quattro Servizi Psichiatrici Territoriali del Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale dell’ULSS 20. Obiettivi Miglioramento delle abitudini alimentari e di movimento dei pazienti, in riferimento alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno; 30 minuti di attività fisica moderata per almeno 5 giorni alla settimana). Metodologia di intervento Progetto pilota (3° Servizio Psichiatrico - Verona Sud): realizzazione di incontri formativi su alimentazione e attività fisica rivolti agli operatori e agli utenti del CD; valutazione e modifica dei menù; esercitazioni di gruppo di dietetica per volumi; laboratori di cucina: preparazioni creative di frutta e verdura; uscite del gruppo di cammino guidate da un laureato in Scienze Motorie e formazione degli operatori del CD come walking leader in vista di una prosecuzione autonoma dell’attività. Raccolta di una serie di dati (antropometrici, ematologici, ecc.), inclusa la rilevazione del Gli operatori che si sono occupati della promozione dell’attività fisica, in un primo tempo inquadrati nel SISP, sono successivamente confluiti nello SPES. 70 Principali risultati consumo di frutta e verdura (tramite il monitoraggio delle richieste e degli scarti in mensa e la compilazione di un questionario individuale) e delle abitudini di movimento (tramite la compilazione di un diario) prima e dopo l’intervento. Studio “PHYSICO”: o Prima fase (3° Servizio Psichiatrico - Verona Sud): studio di prevalenza di comportamenti a rischio per la salute e di malattie fisiche nei pazienti psichiatrici. o Seconda fase (estesa a tutti e quattro i Servizi Psichiatrici Territoriali del DISM dell’ULSS 20) : conduzione di uno studio clinico controllato randomizzato, che prevedeva l’offerta di un programma intensivo di promozione della sana alimentazione e dell’attività fisica della durata di 6 mesi ad un gruppo di pazienti e il confronto con un gruppo di controllo. Progetto pilota: l’intervento, realizzato su 17 utenti e 14 operatori, si è dimostrato fattibile ed in grado di indurre cambiamenti nelle abitudini alimentari e di movimento dei pazienti; il coinvolgimento attivo degli operatori ha favorito l’adesione al progetto da parte degli utenti. Studio “PHYSICO”: o Prima fase: in 193 pazienti seguiti dal Servizio Psichiatrico di Verona Sud, la prevalenza di malattie fisiche e di comportamenti a rischio per la salute (alimentazione e attività fisica inadeguate, sovrappeso/obesità, fumo) è risultata superiore rispetto a quella della popolazione generale: il 70% dei soggetti presentava un eccesso ponderale (contro il 39% nel campione PASSI dell’ULSS 20), solo l’8% (contro il 13% nell’ULSS 20) consumava almeno 5 porzioni di frutta/verdura al giorno; il 70% risultava completamente sedentario (contro il 23% nell’ULSS 20). o Seconda fase: più di 350 pazienti sono stati randomizzati nei due gruppi (sperimentale e di controllo). Nei soggetti che hanno aderito agli interventi proposti, si sono registrati miglioramenti significativi negli stili di vita, in particolare per quanto riguarda l’attività fisica (+80 minuti/settimana di attività fisica moderata; +0,3 porzioni di frutta/verdura al giorno). Formazione e disseminazione: realizzazione del corso di formazione “La promozione di corretti stili di vita in ambito psichiatrico” rivolto agli operatori dei Servizi Psichiatrici (2010); produzione e diffusione del volume “Più salute nel 71 disagio. Indirizzi operativi per la promozione degli stili di vita sani nelle persone con patologia psichiatrica: attività fisica e alimentazione”109 (2011); convegno di presentazione dei risultati finali dell’intervento: “Physico e Psychico: promuovere gli stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale” (Verona, 12/6/2014). Durata 2006: progetto pilota 2010-2013: studio PHYSICO (2010: 1° fase; 2012-2013: 2° fase) Sistema rilevamento dati Raccolta di dati ad hoc nell’ambito del progetto pilota e dello studio PHYSICO. Risorse umane ed economiche Gli operatori del Dipartimento di Prevenzione hanno partecipato alle attività del progetto all’interno del proprio orario di servizio (dipendenti dell’ULSS) o con risorse del Piano Regionale di Prevenzione - programma MuoverSì (personale a contratto). Lo studio PHYSICO (2° fase) ha ricevuto un finanziamento della Fondazione Cariverona. Il corso di formazione “La promozione di corretti stili di vita in ambito psichiatrico” e il volume “Più salute nel disagio. Indirizzi operativi per la promozione degli stili di vita sani nelle persone con patologia psichiatrica: attività fisica e alimentazione” sono stati realizzati nell'ambito del Progetto Nazionale di Promozione dell'Attività Motoria, promosso e finanziato dal Ministero della Salute/Ccm e dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attuazione del programma "Guadagnare salute". Riferimenti documentali Delibera del Direttore Generale Ulss 20 n. 517 del 22/09/2011. Commenti Il progetto, sviluppato all’interno del contesto reale dei servizi di salute mentale e basato su un campione rappresentativo della popolazione psichiatrica dell’ULSS 20, ha ricevuto una buona accoglienza da parte degli utenti. La partecipazione attiva e il gradimento dell’iniziativa anche da parte degli operatori sanitari dei Servizi Psichiatrici, che per primi hanno espresso l’esigenza di intervenire sugli stili di vita dei pazienti, sono stati fattori cruciali per il successo e il mantenimento nel tempo delle attività proposte. Il progetto ha inoltre permesso di mettere a punto un modello di sinergia tra Servizi Psichiatrici e Dipartimento di Prevenzione, con il coinvolgimento dell’utenza psichiatrica nelle iniziative rivolte alla popolazione generale. Malgrado le difficoltà iniziali, il programma si è dimostrato in grado di modificare le abitudini alimentari e di movimento 109 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/AttivitaMotoriaNazionale/Documenti/Manuali/Indirizzi_operativi_psichiatrici.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 72 dei pazienti, che sono migliorate, in parte, anche nel gruppo di controllo; la maggiore attenzione rivolta a questi aspetti nei Servizi Psichiatrici, in seguito all’avvio dello studio, può aver prodotto un effetto di trascinamento anche sul gruppo di controllo, che può quindi spiegare, almeno parzialmente, le scarse differenze registrate tra i due gruppi. In alcuni casi, i gruppi di cammino sono proseguiti anche dopo la fine dello studio, autonomamente o con l’aiuto degli operatori dei centri coinvolti (il supporto dei pari e dello staff e il formato di gruppo sono fattori chiave nella messa in pratica di interventi sugli stili di vita nei pazienti psichiatrici). Meno eclatante, sebbene significativo, è stato l’effetto sul consumo di frutta e verdura. A questo proposito è auspicabile rafforzare, al di là degli incontri informativi sull’alimentazione, le proposte esperienziali (laboratori, gruppi di spesa) ed avviare strategie multisettoriali per modificare il contesto ambientale (mense, distributori automatici di alimenti, mercati di ortofrutta), in modo da “rendere facili le scelte salutari”, secondo le indicazioni del programma Guadagnare Salute. 73 2.5.1.2.3 Iniziative per la sicurezza alimentare e corsi di formazione in carcere Dal 2009 il Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione ha avviato, in collaborazione con la direzione della Casa Circondariale di Verona e con il Garante delle persone private della libertà personale del Comune, diversi interventi relativi all’alimentazione e alla sicurezza alimentare in carcere. Dai controlli ufficiali sulla qualità delle forniture, utilizzate per l’alimentazione dei detenuti, sono emerse criticità, più volte contestate alla ditta appaltatrice. Per garantire l’adeguatezza igienico-sanitaria delle modalità di conservazione dei cibi e di preparazione dei pasti nella mensa interna, che è affidata ai detenuti, si sono organizzati specifici corsi di formazione. Sono inoltre state promosse attività per l’orientamento professionale dei detenuti, tra cui corsi relativi alla produzione di alimenti con possibilità di vendita all’esterno (produzione di pane e altri prodotti da forno). Sul versante nutrizionale, sono state predisposte tabelle dietetiche e raccomandazioni per i detenuti affetti da diabete. 2.5.1.3 Attività motoria L’attività fisica è essenziale per la salute fisica e mentale a tutte le età, a breve e a lungo termine. A livello globale, la sedentarietà figura tra le prime cause di mortalità, con un impatto comparabile a quello del fumo e dell’obesità sull’aspettativa di vita. Si è stimato che la speranza di vita a 30 anni delle persone fisicamente attive sia fino a 4 anni maggiore rispetto a quella di chi è sedentario. L’esercizio fisico regolare è infatti un fattore cruciale per la prevenzione delle principali patologie non trasmissibili (cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, ictus, obesità, sindrome metabolica, diabete di tipo 2, alcuni tipi di neoplasie - tra cui cancro della mammella e cancro del colon retto), e riduce la frequenza di depressione e il rischio di cadute degli anziani. Ci sono inoltre forti evidenze che l’attività fisica, negli adulti, migliori la fitness cardiorespiratoria e muscolare, la massa e la composizione corporea ed ossea, il 74 livello di salute funzionale e cognitiva110. Nei bambini, il movimento è fondamentale per uno sviluppo psico-fisico armonioso, favorendo l’agilità, la coordinazione, il benessere emotivo, le capacità di socializzazione, l’autonomia e persino il profitto scolastico111. Esiste ormai un ampio consenso circa il livello di attività fisica raccomandato: 30 minuti di attività moderata al giorno per almeno 5 giorni alla settimana nella popolazione adulta; almeno un’ora al giorno di movimento moderato o intenso nei bambini dai 5 ai 17 anni (comprese le attività di gioco, sport, educazione fisica, gli spostamenti a piedi o in bicicletta , ecc.)112. Anche per la sedentarietà, come per un’alimentazione inadeguata, si osserva un gradiente socio-economico nella popolazione. Secondo i dati del sistema di sorveglianza Passi, la proporzione di adulti completamente sedentari (cioè, che non svolgono un lavoro pesante e non fanno alcuna attività fisica nel tempo libero), che mediamente in Italia è stimata pari al 31%, raggiunge il 41% fra i soggetti meno istruiti e fra quelli con molte difficoltà economiche (dati 2009-2012)113. Tra i residenti nell’ULSS 20 intervistati per Passi, la percentuale di sedentari (23%) risulta inferiore rispetto alla media italiana, ma permane la disparità per livello socio-economico e si evidenzia una differenza più marcata anche tra italiani e stranieri (Fig. 2.10). I dati Passi 2012 relativi all’intera regione del Veneto confermano queste associazioni: la quota di sedentari passa dal 18% tra le persone laureate al 32% tra chi ha al massimo la licenza elementare; dal 21% tra chi non ha alcuna difficoltà economica al 27% di chi ne ha molte; dal 22% tra gli italiani al 28% tra gli stranieri; l’associazione con variabili 110 Lee I-M, Shiroma EJ, Lobelo F, Puska P, et al. Effect of physical inactivity on major non-communicable diseases worldwide: an analysis of burden of disease and life expectancy. Lancet 2012 Jul 21;380 (9838):219 – 229. 111 Lees C, Hopkins J. Effect of aerobic exercise on cognition, academic achievement, and psychosocial function in children: a systematic review of randomized control trials. Prev Chronic Dis. 2013 Oct 24;10:E174. 112 WHO. Global recommendations on physical activity for health. Geneva, 2010. 113 http://www.epicentro.iss.it/passi/dati/attivita.asp (ultimo accesso: luglio 2014) 75 di tipo educativo ed economico resta significativa anche dopo correzione per fattori confondenti (ad esempio, l’età)114. Fig. 2.10 Proporzioni di sedentari in sottogruppi della popolazione per caratteristiche sociodemografiche. a) Pool di Asl Passi 2009-2012 (n=147.020): 31,1% (IC95%: 30,8-31,4%) b) ULSS 20 di Verona 2008-2012 (n=996): 23,3% (IC 95%: 20,7%-26,1%) a) b) Anche tra gli adolescenti, l’Italia figura tra i Paesi dell’OCSE con i livelli più elevati di disuguaglianza, in particolare per la frequenza di attività fisica intensa, secondo il rapporto Unicef (2010) “Bambini e adolescenti ai margini”115, che ha rielaborato i dati dello studio Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) 2005-2006 (Fig. 2.11). 114 L’attività fisica in Veneto. I dati del sistema di sorveglianza PASSI 2012. http://www.epicentro.iss.it/passi/pdf2013/attivitafisica_2012_v3.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 115 Unicef. Bambini e adolescenti ai margini. Un quadro comparativo sulla disuguaglianza nel benessere dei bambini nei paesi ricchi. 2010. 76 Fig. 2.11 Disuguaglianze fra gli adolescenti di 24 Paesi dell’OCSE, relativamente a tre indicatori (attività fisica intensa, problemi di salute, sana alimentazione) ricavati dallo studio HBSC 2005-06 (fonte: Unicef. Bambini e adolescenti ai margini. Un quadro comparativo sulla disuguaglianza nel benessere dei bambini nei paesi ricchi. 2010). 77 2.5.1.3.1. Promozione del movimento e degli stili di vita sani nelle scuole La promozione di una sana alimentazione e dell’attività motoria, insieme alla prevenzione del fumo e dell’abuso alcolico, fa parte del programma di azione ”Guadagnare salute”, promosso dalla Regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e adottato in Italia dal 2007, che prevede azioni sinergiche e intersettoriali con altri ambiti sociali, a partire dalla scuola. Nell’ambito del programma MuoverSì (programma regionale di Promozione dell’Attività Motoria del Veneto), di cui l’ULSS 20 è capofila, già da diversi anni il Servizio di Promozione ed Educazione alla Salute sta cooperando con la scuola per la promozione di stili di vita sani. In collaborazione con la rete “Tante Tinte” dell’Ufficio Scolastico Territoriale XII di Verona (che si occupa dell’inserimento e dell’integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana negli istituti scolastici), si è avviato un percorso in grado di coinvolgere anche la componente -sempre più consistente- di bambini di origine straniera, e di favorire lo scambio e la conoscenza tra culture diverse. Dagli dati relativi all’anno scolastico 2011/12, gli alunni stranieri in Veneto risultano più di 92.000, corrispondenti a quasi il 13% della popolazione scolastica totale, di cui il 50,6% è nato in Italia. La proporzione maggiore di bambini stranieri si registra in fascia prescolare e nelle scuole primarie (intorno al 14%), mentre nelle secondarie di I e II grado si allinea al valore medio regionale (13% circa). In provincia di Verona i valori sono leggermente superiori alla media regionale (13,3% di bambini stranieri sul totale della popolazione scolastica, fino al 15,6% nelle scuole primarie)116. Nelle scuole dell’infanzia e primarie prevale la quota di bambini nati in Italia (le cosiddette “seconde generazioni”), mentre nelle scuole secondarie sono più consistenti le “prime generazioni” (bambini nati all’estero e trasferitisi successivamente in Italia), con caratteristiche e problematiche differenti, che richiedono approcci mirati. 116 Osservatorio Regionale Immigrazione (a cura di). Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2013. Settembre 2013. 78 Dal 2010 al 2012 lo staff del programma regionale di Promozione dell’Attività Motoria ha proposto dei laboratori per gli alunni e degli incontri formativi per gli insegnanti nelle scuole primarie e secondarie di primo grado di Verona 117. A partire dal 2012/13 si è deciso di superare la fase dei laboratori in classe gestiti da “tecnici del movimento” (laureati in scienze motorie), e si è avviato un nuovo progetto per realizzare materiali didattici pensati e creati dagli stessi insegnanti, e quindi più facilmente inseribili nei programmi scolastici ordinari e potenzialmente adottabili da parte dei docenti di molte discipline diverse. Di qui è nato “Muovimondo”, un manuale per la didattica interculturale nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, sui temi del movimento e della sana alimentazione. 117 Morgante S, Baldissera M, Chiari C, et al. Promuovere sani stili di vita nei soggetti socio-economicamente svantaggiati. Abstract presentato al 43° Corso della Scuola Superiore di Epidemiologia e Medicina Preventiva “Giuseppe D’Alessandro”: “Chi ha e chi non ha: le disuguaglianze di salute evitabili e le azioni di contrasto”. Erice, 10-14 aprile 2013. http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Disuguaglianze/Documentazione/Incontri/Erice0413/Poster_Erice_M organte.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 79 Scheda riassuntiva n. 5 (attività rivolte alla popolazione generale, ma con espliciti correttivi per gruppi vulnerabili). Attività Promozione del movimento e di stili di vita sani nelle scuole Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Servizio Promozione ed Educazione alla Salute – SPES (capofila MuoverSì - Programma Regionale di Promozione dell’Attività Motoria: coordinamento delle attività, laboratori) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) UOS Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione – SIAN (collaborazione alla stesura del manuale “Muovimondo”); rete Tante Tinte dell’Ufficio Scolastico Territoriale XII di Verona (stesura del manuale, promozione, distribuzione e implementazione operativa) Popolazione target Alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado Obiettivi Promozione dell’attività motoria e della sana alimentazione nei bambini delle scuole primarie e secondarie di primo grado, con particolare attenzione agli alunni stranieri. Metodologia di intervento Principali risultati Proposta di laboratori per la promozione di stili di vita sani, attraverso la valorizzazione di cibi e giochi di diverse culture (scuole primarie) e la conoscenza dello spazio urbano attorno alle scuole (scuole secondarie), gestiti da personale laureato in scienze motorie (per le scuole di Verona). Elaborazione di materiali didattici per le scuole sui corretti stili di vita, con proposte che siano sostenibili in orario curricolare e che valorizzino l'approccio interculturale, l'attività ludica e l'interdisciplinarietà; promozione e diffusione del materiale prodotto nelle scuole della Regione Veneto; valutazione del livello di utilizzo e di gradimento del manuale attraverso un breve questionario. Realizzazione di laboratori per la promozione di stili di vita sani: “Pigro è lento, attivo è rock”, “L'equazione della salute: uso il corpo e la mente” (2010/11); “Da 0 a 100: tutti più sani!!” (2011/12), comprendente “Giocacuore” (primarie) e “Orienteering” (secondarie di I grado). Sono state coinvolte 15 scuole veronesi (tra primarie e secondarie), per un totale di 580 bambini (di cui 80 Durata il 38,4% di cittadinanza non italiana). Realizzazione, pubblicazione e diffusione del “gioco dell’oca”118 multilingue, sotto forma di pieghevole, per i ragazzi delle primarie, distribuito alle ULSS interessate. Realizzazione, pubblicazione e diffusione del testo "Muovimondo", un manuale per la didattica interculturale nelle scuole primarie e secondarie di primo grado sui temi del movimento e della sana alimentazione, disponibile in formato sia cartaceo sia elettronico119. Il testo è stato realizzato in collaborazione con 13 docenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, in modo da renderlo perfettamente integrabile nei programmi di insegnamento correnti, e comprende quattro sezioni: 1) un’introduzione teorica ai temi trattati; 2) un set di unità didattiche di apprendimento per la scuola primaria e secondaria di primo grado, con esercitazioni e laboratori sul tema del movimento e della sana alimentazione, trattati a livello multidisciplinare; 3) la raccolta "Giochi dal mondo": 24 giochi tradizionali di altre culture, che vanno a completare la raccolta di giochi italiani "Patapunfete" pubblicata qualche anno fa; 4) 12 giochi didattici di movimento per l’apprendimento della lingua italiana da parte di alunni stranieri. Per ogni unità didattica vengono indicati i docenti primariamente coinvolti e i possibili collegamenti con altre discipline. Le materie trattate sono: italiano, storia, geografia, scienze motorie, scienze e tecnologia, matematica, lingua straniera, arte, musica. Il testo è stato pubblicato nel novembre 2013 e distribuito in tutte le ULSS del Veneto (1500 copie). Sono stati promossi incontri di formazione e presentazione del manuale direttamente alle scuole della provincia di Verona, in collaborazione con la rete Tante Tinte dell’Ufficio Scolastico Territoriale XII (alla presenza di 91 insegnanti e dirigenti di 38 istituti comprensivi, e di alcuni mediatori culturali), e ai referenti del Programma Regionale di Promozione dell’Attività Motoria delle ULSS aderenti, responsabili a loro volta della presentazione e distribuzione alle scuole afferenti ai loro territori. Sono in programmazione altri incontri presso gli Uffici Scolastici Territoriali di Vicenza, Venezia, Treviso e altre province venete. 2010-2012: realizzazione dei laboratori di promozione dell’attività motoria e della sana alimentazione (progetti “Pigro è lento, attivo è rock” e “L'equazione della salute: uso il corpo e la mente” dal 1/12/2010 al 31/05/2011; progetto “Da 0 a 100: tutti più sani!!”, con “Giocacuore” e “Orienteering”, dal 01/11/2011 al 30/06/2012). 2012-2014: realizzazione e distribuzione nelle scuole del manuale Muovimondo; inserimento del testo nelle attività scolastiche 118 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/AttivitaMotoria/Materiali/0612-ENERGIE-gioco-oca-A3.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 119 http://www.newsletterattivitamotoria.info/files/MuoviMondo.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 81 delle scuole della regione a partire dall’anno scolastico 2013/14. Sistema di rilevamento dei dati Raccolta di dati ad hoc su utilizzo e gradimento del manuale “Muovimondo”. Risorse umane ed economiche Personale dipendente (un medico responsabile) e a contratto (una psicologa e due laureati in scienze motorie). Le spese sono coperte dai finanziamenti previsti dal Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012 per il Programma Regionale di Promozione dell’Attività Motoria “MuoverSì”. Riferimenti documentali DGRV n. 3139 del 14.12.2010 Commenti L’esperienza dei laboratori in classe (2010/12), gestiti da “tecnici del movimento” (laureati in scienze motorie), si è rivelata molto promettente, per il livello di partecipazione e di gradimento da parte dei docenti e degli alunni, ma non sostenibile su larga scala e troppo operatore-dipendente. La fase successiva, che ha visto la realizzazione del manuale “Muovimondo”, ha tra i suoi punti di forza il coinvolgimento in prima persona degli insegnanti (che hanno ideato e scritto le unità didattiche, mentre i sanitari hanno fornito solo una consulenza tecnica), l’approccio interdisciplinare (gli argomenti trattati riguardano tutte le materie, non solo educazione fisica o scienze), la promozione integrata del movimento e della sana alimentazione, la valorizzazione delle buone abitudini degli stranieri (gioco in strada, spostamenti tra casa e scuola in autonomia). Il fatto che all’elaborazione del manuale non abbiano partecipato membri dei vari gruppi etnici rappresenta invece una criticità del progetto. Per una azione più incisiva, servirebbe inoltre un maggior coinvolgimento delle famiglie. Come sviluppo futuro, si sta pensando a contenuti specifici per la promozione del progetto “vado a scuola da solo” per bambini immigrati di I e II generazione. 82 2.5.1.3.2 Promozione di stili di vita sani nei dipartimenti di salute mentale (v. par. 2.5.1.2.2.) 2.5.1.4 Abitazione e ambiente costruito Vivere in un’abitazione sicura, salubre, dotata dei servizi di base, e di dimensioni appropriate è un fattore fondamentale per la salute. Un alloggio malsano costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza di alcune patologie, soprattutto di tipo respiratorio ed osteoarticolare. Un report inglese, prodotto dal Marmot Review Team, ha messo in rilievo che parte dell’eccesso di mortalità nel periodo invernale è attribuibile alle basse temperature interne e alla scarsa efficienza termica delle abitazioni, riscaldate in modo insufficiente, specie dalla popolazione anziana a basso reddito120. Secondo il rapporto ISTAT “Reddito e condizioni di vita”, nel 2012 circa il 21,2% delle famiglie non ha potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (nel 2011 era il 18,0%). Diverse esperienze121, anche italiane (ad esempio, nella città di Bolzano), hanno dimostrato la fattibilità e gli esiti positivi sulla salute di interventi di riqualificazione termica degli alloggi popolari. D’altro canto, anche l’effetto delle ondate di calore estive sulla mortalità è influenzato da fattori socio-demografici e dalle caratteristiche dell’ambiente urbano: uno studio che ha analizzato i dati di mortalità giornaliera nell’area metropolitana di Barcellona, dal 1999 al 2006, ha rilevato un rischio di decesso, dopo tre giorni caldi consecutivi, più elevato nelle sezioni di censimento con un’alta percentuale di edifici vecchi, di lavoratori manuali e di residenti insoddisfatti dello spazio verde disponibile nei dintorni122. 120 Marmot Review Team (2011). The health impacts of cold homes and fuel poverty. London: Friends of the Earth. http://www.instituteofhealthequity.org/projects/the-health-impacts-of-cold-homes-and-fuel-poverty (ultimo accesso: luglio 2014) 121 Breysse J, Jacobs DE, Weber W, Dixon S, Kawecki C, Aceti S, Lopez J. Health outcomes and green renovation of affordable housing. Public Health Rep. 2011 May-Jun;126 Suppl 1:64-75. 122 Xu Y, Dadvand P, Barrera-Gómez J, et al. Differences on the effect of heat waves on mortality by sociodemographic and urban landscape characteristics. J Epidemiol Community Health 2013;67:519–525. 83 In altri casi l’ambiente domestico, per carenze strutturali e negli impianti, può essere il luogo in cui si verificano incidenti (intossicazioni da monossido di carbonio, cadute, ecc.), spesso collegati con situazioni di povertà o fragilità e sottovalutazione del rischio. Altrettanto importante è l’ambiente costruito (built environment), ovvero il contesto urbano in cui l’alloggio è inserito (caratteristiche del quartiere, vicinanza a fonti di inquinamento, a sorgenti di rumore, disponibilità di servizi di trasporto e di aree verdi, ecc.). In generale, le zone urbane socio-economicamente più deprivate presentano anche le condizioni ambientali meno favorevoli, in termini di qualità delle acque superficiali e dell’aria, diponibilità di spazi verdi e di aree ad elevata biodiversità, rischi di alluvione, sistema di smaltimento dei rifiuti, prossimità a discariche, esposizione a incidenti stradali (Fig. 2.13). 84 Fig. 2.13 Percentuale di popolazione residente in aree con condizioni ambientali poco favorevoli, in base al livello di deprivazione dell’area (Inghilterra, 2001-2006). Tratto da: Fair Society, Healthy Lives. The Marmot Review (2010). Ci sono evidenze sempre più forti che la disponibilità di spazi verdi di qualità nel quartiere di residenza sia correlata a benefici in termini di salute fisica e mentale123,124. Per esempio, la disponibilità di strade alberate ed aree verdi percorribili a piedi nel quartiere di residenza è stata associata a una sopravvivenza più lunga nei soggetti anziani, dopo correzione per fattori socio-economici125. 123 Stigsdotter UK, Ekholm O, Schipperijn J, Toftager M, Kamper-Jørgensen F, Randrup TB. Health promoting outdoor environments-associations between green space, and health, health-related quality of life and stress based on a Danish national representative survey. Scand J Public Health. 2010 Jun;38(4):411-7. 124 Maas J, Verheij RA, de Vries S, Spreeuwenberg P, Schellevis FG, Groenewegen PP. Morbidity is related to a green living environment. J Epidemiol Community Health. 2009 Dec;63(12):967-73. 125 Takano T, Nakamura K, Watanabe M. Urban residential environments and senior citizens' longevity in megacity areas: the importance of walkable green spaces. J Epidemiol Community Health. 2002 Dec;56(12):913-8. 85 I meccanismi suggeriti per spiegare questa associazione sono molteplici: le maggiori opportunità di svolgere attività fisica (a costo zero), di stabilire relazioni sociali, ma anche fattori legati alla fisiologia e al benessere psicologico126. In Inghilterra, le popolazioni esposte a contesti ambientali più verdi presentano livelli di disuguaglianze in salute (rispetto alla mortalità per tutte le cause e per malattie circolatorie) più bassi in relazione al reddito127. L’importanza di un sistema di alloggi e di servizi pubblici ben disegnato e accessibile per migliorare la salute degli individui e delle comunità svantaggiate è sottolineata nella Dichiarazione di Adelaide (2010) sulla “Salute in tutte le politiche”128. Questa idea viene ribadita sia nel documento dell’OMS “Closing the gap in a generation” (2008), sia nella Marmot Review (2010), che insistono sulla priorità di politiche e interventi che riducano le disuguaglianze in salute, attenuando nel contempo gli effetti del cambiamento climatico (ad esempio, promuovere sistemi di trasporto attivo – cammino, bicicletta – e garantire la disponibilità di spazi aperti e aree verdi di qualità per tutte le fasce sociali; migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni). Per raggiungere questi obiettivi, la miglior strategia è sostenere programmi di riqualificazione delle comunità elaborati localmente ed evidence-based, riducendo le barriere alla partecipazione e all’azione della comunità e promuovendo il cosiddetto “capitale sociale”, ovvero le risorse legate al possedere una durevole rete di relazioni, essenziali per la salute fisica e mentale. 126 Ord K, Mitchell R, Pearce J. Is level of neighbourhood green space associated with physical activity in green space? Int J Behav Nutr Phys Act. 2013 Nov 13;10:127. 127 Mitchell R, Popham F. Effect of exposure to natural environment on health inequalities: an observational population study. Lancet. 2008 Nov 8;372(9650):1655-60. 128 Adelaide Statement on Health in All Policies. WHO, Government of South Australia, Adelaide 2010. 86 2.5.1.4.1 Interventi per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo L’attività certificativa inerente lo stato igienico delle abitazioni, che è un compito istituzionale del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP), ha costituito nel tempo anche un osservatorio privilegiato sulla diffusione di situazioni abitative disagiate. Alcuni gruppi di popolazione svantaggiati ed emarginati, in particolare gli stranieri, sono spesso costretti ad accettare in locazione immobili di bassa qualità o impropri, pagando canoni simili o anche superiori a quelli previsti per un appartamento normale (di qui la prassi frequente di subaffittare parte dell’abitazione, con conseguente sovraffollamento); questi alloggi rappresentano spesso la componente del mercato rifiutata dagli autoctoni129. Per migliorare il coordinamento tra enti istituzionali e favorire soluzioni concordate, attraverso la partecipazione dei proprietari degli immobili, è stato elaborato nel 2001 (e successivamente modificato nel 2004), un “Protocollo di intesa per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo” tra il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 e il Comune di Verona, che viene applicato ogni qual volta si riscontrino situazioni di disagio potenzialmente pericolose per la salute. 129 De Noni L, Manservisi S. Popolazione disagiata ed interventi sulle abitazioni malsane a Verona. SNOP Rivista della Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione – n. 64, Febbraio 2005; p. 29-31. 87 Scheda riassuntiva n. 6 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Interventi per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) SISP/UOS Igiene Urbana e Ambientale (attività ispettiva, certificativa, prescrittiva e di verifica) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Comune di Verona (provvedimenti ordinativi) Popolazione target Persone in condizioni di disagio abitativo, residenti o domiciliate nel Comune di Verona. Obiettivi Promuovere il risanamento delle abitazioni insalubri e non sicure attraverso il coinvolgimento attivo dei proprietari, per giungere al recupero degli immobili in maniera concordata. Metodologia di intervento L’UO Igiene Urbana del SISP raccoglie informazioni sulle situazioni di disagio abitativo nel corso dell’attività certificativa e di vigilanza sul territorio. Il sopralluogo dell’abitazione attualmente avviene: su segnalazione, da parte di operatori sanitari, enti, associazioni o privati cittadini, di situazioni di grave degrado abitativo o igienico; su richiesta dell’interessato, per il rilascio di certificazioni finalizzate a concorrere all’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (certificato di anti-igienicità/sovraffollamento/alloggio improprio/barriere architettoniche); su richiesta del Comune di Verona (Corpo di Polizia Municipale) -deputato a rilasciare l’attestazione di idoneità dell’alloggio di cittadini extracomunitari-, qualora emergano criticità che richiedono la consulenza dell’ULSS. In passato venivano effettuati sopralluoghi anche direttamente su richiesta dei cittadini extracomunitari, interessati ad ottenere il certificato di idoneità dell’alloggio (secondo le disposizioni del D. lgs. n. 286/1998, T.U. per l’immigrazione, ovvero per lavoro subordinato, rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ricongiungimento familiare). A seguito di un nuovo accordo con il Comune di Verona (2012), questa funzione certificativa è stata attribuita in prima battuta al Comune, che ricorre alla consulenza dell’ULSS solo in casi problematici. L’iter di rimozione dei fattori di insalubrità avviene secondo le modalità operative previste dal “Protocollo di intesa per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo”, ovvero privilegiando azioni di risanamento concordate con i proprietari e, solo in caso di inadempienza, attivando l’amministrazione comunale per l’emanazione di provvedimenti ordinativi con obbligo di fare (diffide o ordinanze ordinarie). Se si riscontra un grave pericolo per la salute e la sicurezza, viene invece proposto lo sgombero dell’abitazione (con contestuale dichiarazione di inabitabilità); in alcuni casi, 88 soprattutto in presenza di minori, il Comune si attiva per recuperare alloggi di emergenza. Nel corso dei sopralluoghi vengono informati gli inquilini sui rischi rilevati e sulle misure per limitarli (ad esempio, indicazioni di tipo igienico, precauzioni da adottare in caso di infestazione da insetti, diffide dall’utilizzo di impianti pericolosi). In occasione di accessi nel periodo invernale, si consegnano dei volantini multilingue sulla prevenzione dell’intossicazione da monossido di carbonio. Principali risultati Negli ultimi 5 anni (2009-2013) sono stati effettuati 1733 sopralluoghi in abitazioni private del Comune di Verona. In 573 casi (33%) si sono riscontrati uno o più fattori di insalubrità (legati a inconvenienti di tipo strutturale, impiantistico, a carenze igieniche o a sovraffollamento). La maggior parte delle abitazioni giudicate malsane (più dell’85% nel biennio 2010-2011, più del 70% tra il 2012 e il 2013) era abitata da stranieri provenienti, in particolare, dall’Africa. La richiesta di sgomberare l’alloggio (perché improprio o inabitabile) è stata avanzata in 36 casi; negli altri casi si è concordato con il proprietario un percorso per sanare le situazioni irregolari, con esito perlopiù positivo. La maggior parte dei proprietari invitati si è infatti presentata ai colloqui, ha sottoscritto l’impegno ad eliminare le situazioni di pericolo, e ha fatto successivamente pervenire un atto notorio in cui si comunica di aver rimosso gli inconvenienti, come richiesto. Sono in corso accertamenti sulle abitazioni di cui non si hanno ulteriori notizie. Durata Il “Protocollo di intesa per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo” tra il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 e il Comune di Verona è operativo dal 2001. Sistema di rilevamento dei dati Registrazione delle pratiche in un archivio informatico (“Cartelle”) del Dipartimento di Prevenzione Risorse umane ed economiche Personale del SISP all’interno del proprio orario di servizio. Le attività descritte rientrano nella programmazione ordinaria. Riferimenti documentali “Protocollo di intesa per il miglioramento delle condizioni di disagio abitativo” (ultima versione: 22/11/2004) e accordo del 6/12/2011 fra il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 e il Comune di Verona. Commenti Il protocollo di intesa siglato con il Comune di Verona ha permesso di snellire l’iter di riqualificazione e messa in sicurezza degli alloggi, grazie alla possibilità, per l’ULSS, di contattare direttamente il proprietario e concordare gli interventi necessari. L’attivazione del Comune avviene soltanto in caso di omissioni o inadempienza alle prescrizioni impartite, e di violazione a norme di legge o regolamento. Negli anni, il numero di abitazioni visitate dal SISP si è decisamente ridotto, in seguito all’attribuzione al Comune di 89 Verona dei sopralluoghi per l’attestazione di idoneità dell’alloggio dei cittadini extracomunitari; contemporaneamente è aumentata la proporzione di casi in cui si riscontrano irregolarità: segno che attualmente giungono all’osservazione del SISP solo i casi con le problematiche più gravi. 90 2.5.1.4.2. Prevenzione delle intossicazioni da monossido di carbonio Per monitorare localmente il fenomeno delle intossicazioni domestiche da monossido di carbonio, da circa 20 anni è stato istituito un Osservatorio Provinciale, cui partecipano i Servizi Igiene e Sanità Pubblica delle tre ULSS della Provincia di Verona (ULSS 20-21-22), in collaborazione con i Pronto Soccorso degli ospedali presenti nel territorio provinciale, con ARPAV e con i Vigili del Fuoco. Dal 2010 al 2013 nella provincia di Verona sono stati segnalati all’Osservatorio 30 incidenti che hanno coinvolto 82 persone, di cui 40 stranieri. Nessuno dei soggetti coinvolti è deceduto, ma per molti è stato necessario il ricovero. Nel 2013, su 29 persone intossicate, 18 erano migranti di origine nord- e centroafricana (Marocco, Senegal, Ghana). Nella figura 2.14 si può osservare l’andamento dei casi in Provincia di Verona dal 1994 al 2013. La riduzione dei casi osservata a partire dal 2011 è in parte attribuibile a mancate segnalazioni, per carenze di personale ARPAV addetto. Fig. 2.14. Numero di intossicazioni da monossido di carbonio segnalate all’Osservatorio provinciale. Provincia di Verona, 1994-2013 (fonte: ULSS 20). L’intossicazione in genere si verifica in conseguenza di irregolarità nell’installazione o nella manutenzione degli impianti di produzione di calore (caldaie, stufe, caminetti, ecc.) o dell’utilizzo di metodi di riscaldamento o di cottura dei cibi non adeguati (es. 91 uso di bracieri in locali chiusi). Quest’ultimo fattore di rischio è molto diffuso nelle abitazioni dei cittadini immigrati: di fatto, numerose intossicazioni domestiche sono riconducibili a questa causa. Per questo motivo sono stati elaborati dei volantini multilingue con immagini e messaggi molto semplici, utili alla prevenzione di questa intossicazione, che vengono consegnati nel periodo invernale, in occasione di accessi nelle abitazioni di stranieri per vari motivi (ad esempio, in corso di sopralluoghi per il rilascio di certificazioni)130. 2.5.1.4.3. Programma di ricerca: ”Lo spazio aperto e il verde urbano, una risorsa per l’aumento del capitale sociale” Il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 e l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) hanno avviato nel 2007 una collaborazione finalizzata allo studio dei determinanti ambientali e urbanistici dell’attività fisica (ricerca: "Individuazione di parametri urbanistici ed edilizi, qualitativi e quantitativi per stili di vita attiva”), che ha portato, fra l’altro, alla redazione del manuale “Spazi per camminare. Camminare fa bene alla salute” (Marsilio Editore, 2009)131. Il volume, rivolto a progettisti, tecnici comunali, operatori sanitari, ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione degli amministratori locali sulla necessità di trasformare il tessuto urbano in modo da favorire stili di vita attivi, proponendo idee e metodi a favore di una ciclo-pedonalità diffusa sul territorio. Nel 2011 è stata approvata una nuova convenzione con lo IUAV, finanziata nell’ambito del Programma regionale per la promozione dell’attività motoria - Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012 (Delibera n. 717 del 22/12/2011), per la produzione di una ricerca dal titolo "Lo spazio aperto e il verde urbano, una risorsa per l'aumento del capitale sociale”, e la redazione finale di un manuale di buone pratiche. Nell’ambito di questa iniziativa si intende raccogliere e sistematizzare le 130 http://prevenzione.ulss20.verona.it/faq_monossido.html 131 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/AttivitaMotoria/Materiali/Ricerca_Stili_Vita_Attivi.pdf 92 esperienze esistenti (italiane ed europee) in materia di verde urbano, e sviluppare localmente un’esperienza di progettazione partecipata per una vasta zona verde nel Parco Adige Sud (progetto Giarol), in collaborazione con il Coordinamento Ambiente del Comune di Verona, e con il coinvolgimento di cittadini ed esperti nella discussione e definizione del progetto. 2.5.1.5 Condizioni di lavoro Le condizioni e la natura del lavoro sono un determinante di salute fondamentale. Condizioni di lavoro sfavorevoli possono esporre le persone ad una serie di rischi per la salute fisica (infortuni, malattie professionali) e mentale (stress), e tendono a concentrarsi nelle occupazioni meno qualificate e tra i lavoratori precari132. Anche gli aspetti sociali ed organizzativi del lavoro hanno un influsso significativo sullo stato di salute: situazioni caratterizzate da forti richieste e da un basso livello di controllo sui tempi e i modi di esecuzione del proprio lavoro (secondo la teoria “demand/control”), e dallo squilibrio fra sforzi e ricompense (in base al modello “effort/reward imbalance”) sono associate ad esiti sfavorevoli di salute (in particolare, patologie cardiovascolari e disturbi mentali)133. In generale, attualmente in Italia si osservano forti disparità fra condizioni lavorative molto tutelate, in cui sono garantiti standard di sicurezza elevati (ad esempio, tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato), e posizioni di lavoro precarie o atipiche, caratterizzate da livelli di tutela molto più bassi. Tra le categorie più esposte al rischio infortunistico, secondo i dati nazionali, le evidenze di letteratura e l’esperienza locale, figurano i lavoratori immigrati, gli 132 WHO Commission on Social Determinants of Health. Closing the Gap in a Generation. Health Equity Through Action on the Social Determinants of Health. World Health Organization, Geneva, 2008.. 133 Costa G, Spadea T, Cardano M (a cura di). Disuguaglianze di salute in Italia. Epidemiologia e Prevenzione. Anno 28 (3); maggio-giugno 2004 (suppl.). 93 autonomi e i cosiddetti lavoratori “flessibili”. Le posizioni lavorative precarie sono peraltro in aumento, a seguito della crisi economica attuale. L’incidenza infortunistica, espressa dal rapporto tra infortuni denunciati e lavoratori assicurati all’INAIL, risulta più elevata tra gli stranieri che tra gli italiani (38,4 contro 35,8/1.000 occupati nel 2011, a livello nazionale). A determinare queste differenze concorre senz’altro l’occupazione prevalente degli immigrati in settori particolarmente rischiosi, nei quali l’attività manuale è prevalente (edilizia, industria pesante, agricoltura), i turni di lavoro sono più lunghi e spesso la formazione professionale non è adeguata134. In Veneto, il 21% degli infortuni totali e il 15% di quelli mortali nel 2012 ha riguardato lavoratori stranieri (Tab. 2.3). La Romania, il Marocco e l’Albania sono i Paesi di origine più rappresentati fra i lavoratori stranieri che hanno denunciato un infortunio135. Tab. 2.3 Infortuni denunciati nel periodo 2010-2012 in Veneto, per area geografica di nascita (fonte: INAIL. Rapporto Annuale Regionale 2012 Veneto). 2010 Infortuni complessivi Italia Paesi esteri Totale Infortuni mortali Italia Paesi esteri Totale 2011 2012 N. % N. % N. % 68.798 18.458 87.256 78,8 21,2 100 63.705 17.576 81.281 78,4 21,6 100 58.054 15.171 73.225 79,3 20,7 100 70 13 83 84,3 15,7 100 66 18 84 78,6 21,4 100 67 12 79 84,8 15,2 100 134 INAIL. Rapporto Annuale 2011. http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_portstg_095303.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 135 INAIL. Rapporto Annuale Regionale 2012 Veneto. http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_110004.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 94 Verona è la provincia del Veneto in cui si registra il maggior numero di infortuni a carico di lavoratori stranieri: nel 2012 sono stati 3500 (Fig. 2.14) su 15.813 infortuni denunciati complessivamente nella provincia; 4 casi mortali, su un totale di 22135. Nelle cifre descritte non rientrano gli infortuni dei lavoratori “in nero”: l’INAIL stima che, a livello nazionale, gli infortuni “invisibili” siano circa un quarto di quelli denunciati, per lo più in un range di gravità medio-lieve. Fig. 2.14 Infortuni denunciati da lavoratori stranieri in Veneto nel periodo 2008-2012, per provincia (fonte: INAIL. Rapporto Annuale Regionale 2012 Veneto). Nella provincia di Verona, l’agricoltura e l’edilizia sono i settori in cui si concentra il maggior numero di eventi invalidanti -ovvero, di eventi con esiti permanenti di grado superiore al 5%- e mortali (in genere per ribaltamento del trattore in agricoltura e per cadute dall’alto in edilizia). Questo avviene sia per il più elevato livello di pericolosità proprio del lavoro in questi settori, sia per la minor applicazione delle misure di prevenzione. In molti casi, il soggetto colpito da infortunio invalidante o mortale è un lavoratore autonomo (82% nel comparto agricolo, 53% in quello edilizio - dati relativi al 2011)136. 136 Rapporto delle attività di prevenzione negli ambienti di lavoro del Comitato Provinciale di Coordinamento, art. 7, D. Lgs 81/2008, DGRV n. 4182. Attività 2012. Pianificazione 2013. http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Spisal/Relazioni/Provincia/Spisal_Relazione_2012b.pdf 95 Rispetto al rapporto tra lavoro precario e salute, le statistiche correnti disponibili in Italia non sono in grado di descrivere il rischio infortunistico nei contratti temporanei. Tuttavia, il sistema informativo Whip-Salute (Work History Italian Panel), creato dal Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute, permette di monitorare la storia lavorativa dei soggetti e i loro problemi di salute e di sicurezza, attraverso l’integrazione delle fonti informative correnti disponibili (INPS, INAIL, SDO). Una prima analisi dei dati ha rilevato che i lavoratori con carriere instabili presentano un rischio infortunistico pari a 2.00 (I.C. 95%: 1.22-3.28) rispetto ai lavoratori stabili, dopo correzione per possibili fattori confondenti individuali137. Ulteriori analisi, effettuate su dipendenti del settore privato con mansione di operaio o apprendista, hanno evidenziato un aumento del rischio infortunistico tra coloro che iniziano un nuovo lavoro; il rischio diminuisce all’aumentare della durata del contratto138. Evidenze di letteratura sempre più consistenti mostrano gli effetti negativi del lavoro precario anche sulla salute mentale e la percezione del proprio stato di salute 139. Le attività del Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPISAL) sono orientate ai rischi prevalenti ed emergenti nella realtà produttiva locale. Un’attenzione particolare è riservata alla vigilanza e alla prevenzione nei settori agricolo ed edilizio; una sorveglianza rafforzata è dedicata agli infortuni gravi e mortali, specie quelli verificatisi tra i lavoratori interinali. La presenza sempre più consistente di lavoratori stranieri in Italia, e in particolare in Veneto, ha indotto i servizi di prevenzione ad attuare iniziative per favorirne 137 http://www.dors.it/pag.php?idcm=4444 (ultimo accesso al sito: luglio 2014) 138 Bena A, Giraudo M. Lavoro temporaneo e salute: un’analisi del rischio infortunistico per durata del contratto di lavoro. Epidemiol Prev 2013; 37 (1): 29-34. 139 Vives A, Amable M, Ferrer M, et al. Employment precariousness and poor mental health: evidence from Spain on a new social determinant of health. J Environ Public Health 2013;2013:978656 Epub 2013 Feb 3. 96 l’integrazione negli ambienti di lavoro e per facilitare gli adempimenti normativi delle aziende, su due versanti: formazione, salubrità e sicurezza degli alloggi. 2.5.1.5.1. Percorso sperimentale di formazione nell’agricoltura per i lavoratori stranieri Nell’ultimo decennio si è assistito ad una forte crescita della manodopera straniera nel settore agricolo, soprattutto per lavori stagionali (raccolta di frutta e ortaggi), ma anche per impieghi continuativi (allevamenti bovini, orto-floricoltura). In provincia di Verona operano i due terzi (circa 16.000 persone) di tutti gli immigrati occupati in ambito agricolo del Veneto. Il decreto legislativo 81/2008 (Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro) prevede che il datore di lavoro valuti i rischi a cui sono esposti i propri dipendenti, e fornisca ai lavoratori un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza. Secondo l’art. 37, comma 13 (analogamente a quanto riportato nell’art. 36, comma 4, per l’informazione ai lavoratori): “Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo”. L’assolvimento degli obblighi formativi da parte dell’azienda è spesso reso difficile dall’arrivo, in un breve arco di tempo, di un gran numero di lavoratori stagionali, per lo più stranieri. Per favorire il rispetto della norma e l’effettiva tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati, la rete “Tante Tinte” (Ufficio Scolastico di Verona) ha realizzato un pacchetto formativo multilingue, a partire 97 dall’opuscolo dell’INAIL “Straniero, non estraneo. ABC della sicurezza sul lavoro”140, in collaborazione con le Organizzazioni sindacali, gli SPISAL delle aziende ULSS 20, 21, 22, la Coldiretti, la Confederazione Italiana Agricoltori (C.I.A.) di Verona, l’Ente bilaterale per l'agricoltura veronese (EN.BI.A.V.). La prima sperimentazione è avvenuta nel 2010; sulla base delle criticità emerse, il materiale didattico è stato semplificato, arricchito di immagini esplicative e adattato alle caratteristiche dei discenti, con una traduzione in quattro lingue (rumeno, polacco, ucraino e arabo). 2.5.1.5.2 Progetto “Promossi in classe” Lo SPISAL dell’ULSS 20 ha adottato, in occasione dei corsi di formazione per gli addetti alle attività di rimozione, smaltimento e bonifica dell'amianto, un test per la verifica della comprensione e della conoscenza della lingua italiana da parte dei lavoratori stranieri. Lo strumento utilizzato (“Promossi in classe”141) è stato prodotto da un gruppo di lavoro dell’ULSS 22, nell’ambito del progetto “Sicurezza e integrazione sul lavoro degli immigrati” (S.I.L.I.), promosso dalla Regione Veneto (DGR n. 590 del 13 marzo 2007). 2.5.1.5.3 Controllo degli alloggi temporanei per lavoratori stagionali Ogni anno le aziende agricole della provincia di Verona occupano un numero rilevante di lavoratori stagionali, in genere cittadini stranieri, che vengono spesso ospitati in edifici rurali delle stesse aziende o in prefabbricati. Le disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998) subordinano 140 http://www.inail.it/internet/default/INAILcomunica/ListaPubblicazioni/p/DettaglioPubblicazioni/index.html? wlpnewPage_contentDataFile=UCM_PORTSTG_093239&wlpnewPage__dettaglioDaArchivio=true&_windowLa bel=newPage (ultimo accesso: luglio 2014) 141 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Spisal/Integrazione_Immigrati/Test_conoscenza_italiano_promoss i_in_classe.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 98 l’autorizzazione al lavoro degli extracomunitari, rilasciata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, all’idoneità degli alloggi. Sono state pertanto definite delle indicazioni sui requisiti minimi di igiene e di sicurezza di questi alloggi, facendo riferimento alla normativa specifica (DPR 303/1956 "Norme generali per l'igiene del lavoro") e ad altri criteri rilevanti (sicurezza elettrica ed antincendio, igiene degli alimenti, ecc.). I Dipartimenti di Prevenzione delle ULSS 20, 21 e 22, in collaborazione con il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, hanno quindi elaborato nel 2002 delle “Linee guida per la verifica dell’idoneità igienico-sanitaria di alloggi temporanei per lavoratori stagionali”142, utilizzate dalle ULSS sia per la valutazione di nuovi progetti, sia in sede di sopralluogo di verifica. Il titolare dell’azienda agricola è tenuto a richiedere una “certificazione di idoneità igienico-sanitaria degli alloggi per lavoratori extracomunitari stagionali in ambito rurale”, che viene rilasciata dallo SPISAL previa verifica ispettiva (per le nuove richieste), o a seguito di dichiarazione del richiedente che le condizioni già accertate sono rimaste inalterate (per le aziende già autorizzate). Dal 2010 ad oggi (giugno 2014) sono state ispezionati dallo SPISAL 39 alloggi: in 2 casi è stata negata l’autorizzazione (per il riscontro di varie problematiche, tra cui: mancanza dell’impianto di riscaldamento, muffa e infiltrazioni meteoriche, assenza di documentazione comprovante la potabilità dell’acqua, ecc.); per 3 alloggi sono stati richiesti interventi di adeguamento o documentazione aggiuntiva; tutti gli altri alloggi sono stati dichiarati idonei in prima battuta. 142 http://prevenzione.ulss20.verona.it/alloggistagionali.html (ultimo accesso: luglio 2014) 99 2.5.1.6 Accesso a servizi preventivi prioritari 2.5.1.6.1 Vaccinazioni dell’infanzia La popolazione bersaglio del programma di vaccinazione dell’infanzia, ad offerta attiva e gratuita, comprende tutti i nuovi nati residenti e domiciliati nel territorio dell’ULSS 20, cui viene inviata una lettera di invito seguita da un sollecito in caso di mancata risposta (secondo le modalità indicate nelle procedure sanitarie per i servizi vaccinali proposte dall’ULSS 20143). Come per altri programmi di prevenzione collettiva (ad esempio, gli screening oncologici), questa modalità di offerta universale, attiva e gratuita è di per sé un fattore di mitigazione delle disparità di accesso. Di fatto, le coperture vaccinali nell’ULSS 20 sono elevate (94,9% per difterite e poliomielite, 95% per tetano, 92,8% per morbillo a 36 mesi - coorte dei nati nel 2010), benché raggiunte in ritardo rispetto a quanto previsto dalle raccomandazioni ministeriali, con basse percentuali di rifiuti definitivi (1,3% a 36 mesi sul totale della coorte del 2010). Esistono tuttavia sottogruppi di popolazione particolarmente difficili da raggiungere, che presentano coperture vaccinali insufficienti, e richiedono quindi iniziative supplementari, come raccomandato dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2012-2014, dal Piano nazionale per l'eliminazione del morbillo e della rosolia congenita (PNEMoRc) 2010-2015, nonché da diversi organismi internazionali, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). La letteratura internazionale e diverse esperienze italiane sono concordi nell’identificare tra i gruppi a rischio di scarsa compliance alcune minoranze emarginate, come le comunità Rom e Sinta, che peraltro sono più esposte alla 143 http://prevenzione.ulss20.verona.it/risorse_vaccinazioni_procedure.html (ultimo accesso: luglio 2014) 100 circolazione di malattie infettive, in quanto spesso vivono in condizioni di igiene compromesse e di sovraffollamento144,145. In questo caso, le basse coperture vaccinali dipendono da diversi fattori: problemi di identificazione da parte delle anagrafi sanitarie (a volte a causa degli spostamenti frequenti), difficoltà di contatto attraverso i normali canali (lettera di invito), barriere nella comunicazione; da parte delle famiglie Rom e Sinte, gli ostacoli alla partecipazione includono il basso livello educativo e la scarsa health literacy, atteggiamenti culturali (ad esempio una concezione della “salute” come “assenza di malattia” e una scarsa attitudine alla prevenzione), difficoltà di accesso ai servizi sanitari, una generale diffidenza nei confronti delle istituzioni pubbliche e il timore di subire discriminazioni146. A conferma di quanto riportato in letteratura, si segnala che nel 2006 si è verificato un focolaio di morbillo (14 casi) nella comunità Rom presente nel territorio dell’ULSS 20. Altri gruppi con scarsa compliance ai programmi vaccinali si trovano, diversamente che per altri determinanti di salute, tra fasce di popolazione con scolarità elevata, per una percezione del rapporto rischi/benefici che gioca a sfavore rispetto alla scelta di vaccinare il proprio figlio. Ricerche ad hoc condotte dal Servizio Promozione ed Educazione alla Salute dell’ULSS 20 (“Indagine sui determinanti del rifiuto dell’offerta 144 European Centre for Disease Prevention and Control. Review of outbreaks and barriers to MMR vaccination coverage among hard-to-reach populations in Europe. 2013; Stockholm. Reperibile all’indirizzo: http://www.ecdc.europa.eu/en/publications/publications/mmr-vaccination-hard-to-reach-population-review2013.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 145 Földes ME, Covaci A. Research on Roma health and access to healthcare: state of the art and future challenges. International journal of public health. 2012; 57(1): 37-39. 146 Fundación Secretariado Gitano. Health and the Roma Community, analysis of the situation in Europe. Bulgaria, Czech Republic, Greece, Portugal, Romania, Slovakia, Spain. Madrid, 2009. Reperibile all’indirizzo: http://www.gitanos.org/centro_documentacion/publicaciones/fichas/48286.html.en (ultimo accesso: luglio 2014) 101 vaccinale nella Regione Veneto”147, Indagini Genitori Più 2012-2013148) confermano questa associazione (Fig. 2.15). Per questi gruppi, anche in considerazione dei risultati dell’”Indagine sui determinanti del rifiuto dell’offerta vaccinale”, che mostra come nemmeno il patrimonio di adesione di chi ha vaccinato i propri figli sia scontato, è utile rafforzare le modalità di counselling nell’offerta delle vaccinazioni, fornire informazioni trasparenti e complete sul web, migliorare la comunicazione sui dati reali relativi alle reazioni avverse, attivare un sistema di informazione ai genitori e agli operatori sanitari sulle epidemie da malattie prevenibili con le vaccinazioni. Fig. 2.15 Distribuzione del titolo di studio nelle tre categorie dei vaccinatori totali, parziali e dei non vaccinatori (n=2315; da “Indagine sui determinanti del rifiuto dell’offerta vaccinale nella Regione Veneto. Report di ricerca, analisi dei dati e indicazioni operative”). 147 http://prevenzione.ulss20.verona.it/indagine_scelta_vaccinale.html (ultimo accesso: luglio 2014) 148 http://www.genitoripiu.it/sites/default/files/uploads/porchia_21.1.14_determinanti.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 102 2.5.1.6.1.1. Programma di recupero vaccinale nei confronti delle comunità Rom e Sinta Nel 2010 l’ULSS 20 ha avviato, in collaborazione con l’associazione Medici per la Pace Onlus (MpP), un programma di recupero vaccinale a favore di una comunità Rom di origine rumena, costituita in prevalenza da minori, in precedenza ospitata in un “campo nomadi” appositamente allestito (a Boscomantico) e poi, a seguito della chiusura dell’insediamento (2008), dispersa nel territorio veronese149. L’associazione di volontariato MpP aveva già operato nel campo nomadi, a seguito di un accordo con il Comune di Verona, promuovendo una serie di interventi in ambito sanitario e guadagnandosi nel tempo la fiducia degli abitanti. A partire dal 2012 l’intervento ha coinvolto, oltre alla popolazione Rom rumena, anche un gruppo di Sinti, composto prevalentemente da cittadini italiani residenti, che vivono presso un campo attrezzato nella zona sud di Verona (via Forte Azzano); nel 2014 si prevede di estendere le azioni anche ai Sinti del campo di via Sogare, nell’area prossima allo stadio. 149 Valsecchi M. Un’esperienza di vaccinazione di bambini Rom. L’Arco di Giano (2012), n. 71. 103 Scheda riassuntiva n. 7 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Programma di recupero vaccinale nei confronti delle comunità Rom e Sinta Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) SISP/Ufficio profilassi malattie infettive (promozione e coordinamento dell’intervento) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Distretto n° 1 - Via Menotti; Distretto n° 2 - Via Bengasi e via Valeggio; Distretto n° 3 – Via del Capitel (somministrazione vaccinazioni) Medici per la Pace Onlus (MpP) (accompagnamento e mediazione) Popolazione target Comunità Rom di origine rumena e Sinta di cittadinanza italiana, presenti nel territorio dell’ULSS 20 Obiettivi Metodologia di intervento Principali risultati Garantire ai bambini Rom e Sinti l’offerta prevista dal calendario vaccinale dell’infanzia del Veneto (DGR n. 411 del 26/02/2008). Attuare un programma di recupero vaccinale esteso a tutta la comunità Rom e Sinti, compresi gli adulti. Offrire la vaccinazione contro l’infezione da Human Papilloma Virus (HPV) ad adolescenti e giovani donne. Favorire l’acquisizione di una maggior familiarità con il sistema sanitario, promuovendo l’accesso autonomo agli ambulatori vaccinali e in generale ai servizi preventivi dell’ULSS. Censimento delle famiglie Rom e Sinti presenti sul territorio, con reperimento dei recapiti e di informazioni relative alla loro composizione; verifica della situazione vaccinale dei singoli soggetti tramite il recupero della documentazione disponibile Attività di sensibilizzazione e di informazione sanitaria sulle vaccinazioni, per favorire una scelta consapevole; raccolta delle adesioni al programma Organizzazione degli appuntamenti vaccinali, in accordo con gli operatori sanitari; accompagnamento dei soggetti presso gli ambulatori vaccinali distrettuali e mediazione culturale durante la seduta Supporto alle famiglie nella fase post-vaccinale; monitoraggio e programmazione di eventuali richiami Raccolta di dati statistici All’inizio del progetto (2010) sono stati censiti nel territorio dell’ULSS 20 circa 120 Rom di origine rumena, di cui la metà di età inferiore ai 14 anni; a giugno 2014, a seguito di numerose emigrazioni, sono rimasti nel veronese circa 40 Rom. 104 I Sinti presenti sono circa 225, di cui il 40% ha meno di 18 anni, divisi in due campi. Comunità Rom Dal dicembre 2010 al giugno 2014 80 persone (il 71% di quelle contattate) hanno aderito al percorso di profilassi vaccinale proposto. L’adesione è stata più elevata fra i soggetti di sesso femminile (83% vs. 59% fra i maschi) e nelle classi di età infantili (91% fino ai 12 anni, vs. 65% fra i 13 e i 30 anni, vs. 43,5% sopra i 30 anni) (Tab 2.4). Tab 2.4 Comunità Rom: proporzione dei soggetti aderenti sui soggetti eleggibili; distribuzione per età e sesso (quadro aggiornato al 30/6/2014). Età 0-2 anni 3-6 anni 7-12 a. 13-17 a. 18-30 a. 31-40 a. Tot. M 3/4 7/7 14/15 5/9 3/13 3/11 35/59 (59,3%) F 2/2 5/5 9/11 5/6 17/18 7/12 45/54 (83,3%) Tot. 5/6 (83%) 12/12 (100%) 23/26 (88,5%) 10/15 (66,7%) 20/31 (64,5%) 10/23 (43,5%) 80/113 ( 70,8%) A fine 2012, la proporzione di soggetti mai vaccinati (o per i quali non si è potuta recuperare alcuna documentazione vaccinale) era passata dal 35% (32/91) prima dell’intervento al 14% (13/91) dopo, considerando tutte le classi di età; dal 28% (13/46) al 9% (4/46) per la popolazione fra i 2 e i 17 anni, target primario del programma. La figura 2.16 mostra il confronto delle percentuali di minori vaccinati prima che l’intervento iniziasse e dopo due anni di attività (al 31/12/12). Come si può vedere, l’intervento ha prodotto un aumento della proporzione di minori vaccinati con almeno tre dosi contro difterite-tetano (dal 37% al 76%), poliomielite (dal 35% al 74%), epatite B (dal 33% al 74%), pertosse (dal 30% al 70%), e almeno una dose contro MPR (dal 39% al 76%) e meningococco C (dal 41% al 74%). La maggior parte dei bambini ha avuto accesso alle vaccinazioni in ritardo rispetto a quanto previsto dal calendario; per questo motivo le coperture raggiunte per Haemophilus influenzae, pneumococco e varicella sono inferiori (vaccino non più indicato per motivi di età o in caso di anamnesi positiva per pregressa malattia). L’analisi delle schede vaccinali ha inoltre permesso di constatare che la maggior parte dei soggetti non aveva ricevuto alcuna vaccinazione nel periodo tra la chiusura del campo 105 attrezzato di Boscomantico (dove era stata condotta una campagna vaccinale) e l’avvio del programma di accompagnamento in collaborazione con MpP150. Fig. 2.16 Percentuale di minori vaccinati, prima e dopo l'intervento: completamento del ciclo primario per DTP, polio, HBV, Hib (almeno 3 dosi); almeno 1 dose per MPRV, PCV, MenC (al 31/12/12). Dei 42 Rom (21 maschi, 21 femmine; 20 <18 anni) presenti a giugno 2014 nel territorio nell’ULSS, 38 hanno ricevuto almeno una vaccinazione, di cui 28 sono in regola con la schedula vaccinale prevista. Tutti i minorenni sono stati vaccinati almeno una volta. Nel corso dei tre anni di attività, dall’utilizzo di canali preferenziali (sedi e fasce orarie riservate alle famiglie Rom) si è passati ad un accesso nelle sedi di appartenenza e nei normali orari di ambulatorio. Attualmente tutti i destinatari conoscono l’ubicazione delle sedi distrettuali e le sanno raggiungere autonomamente. In alcuni casi l’operatore di MpP si limita a prendere l’appuntamento vaccinale e a ricordarlo all’interessato, mentre il resto del percorso (trasferta e seduta vaccinale) viene compiuto in autonomia da parte della famiglia Rom. Nella maggior parte dei casi resta importante il ruolo di MpP nel mediare la relazione tra madri e 150 Zivelonghi G, Baldissera M, Della Camera M et al. Un intervento per facilitare l’accesso ai servizi vaccinali dell’ULSS 20 a favore della comunità Rom di Verona. Abstract presentato al 46° Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene. Taormina, 17-10 ottobre 2013. 106 operatori sanitari durante la seduta ed assistere le famiglie nel periodo post-vaccinale. L’accompagnamento fisico (trasporto) della famiglia Rom dall’abitazione al centro vaccinale, che all’inizio si era rivelato essenziale per l’adesione, nelle fasi successive non è più stato necessario. Comunità Sinta Le attività nel campo Sinto di via Forte Azzano sono iniziate nel 2012 e si stanno concentrando su circa una settantina di persone, delle 86 complessivamente presenti (46 femmine, 40 maschi; 42 < 18 anni). Alcune famiglie si spostano spesso in altre province italiane, per cui risultano difficilmente raggiungibili. Dal 2012 ad oggi sono stati effettuati 70 accompagnamenti presso gli ambulatori vaccinali; in alcuni casi, le famiglie hanno gestito in autonomia il rapporto con il distretto. I primi contatti con gli abitanti del campo Sinto di via Sogare (circa 140 persone; 63 femmine, 77 maschi; 55 < 18 anni) sono iniziati nel maggio 2014. Dalla verifica iniziale della situazione vaccinale, è risultato che 47 (su 55) minori hanno già ricevuto almeno una vaccinazione. Durata Da settembre 2010, tuttora in corso. Sistema di rilevamento dei dati Registrazione di avvenuta vaccinazione su software vaccinale regionale (OnVac) Raccolta di dati ad hoc (su file excel) da parte di MpP Risorse umane ed economiche Personale sanitario (operatori degli ambulatori vaccinali distrettuali; responsabile dell’Ufficio profilassi malattie infettive, ecc.) all’interno del proprio orario di servizio. Personale di Medici per la Pace Onlus (dai 2 ai 4 operatori dedicati: una coordinatrice, e uno o più volontari con funzioni di mediazione). Finanziamenti devoluti a MpP per lo svolgimento delle attività: - 4.000 euro (dal 30.08.2010 al 30.06.2011) + 8.000 euro (dal 15.07.2011 al 30.09.2012) - con copertura in finanziamenti stanziati dalla regione Veneto per il rafforzamento dei programmi vaccinali - 25.000 euro (dal 31.10.12 al 30.10.14) – con copertura in finanziamenti Ccm per il progetto “Individuazione delle disuguaglianze di salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto”, ai fini della prosecuzione del programma vaccinale e dell’ampliamento delle attività, a comprendere altri interventi di prevenzione e promozione della salute (esempio: screening del tumore della cervice uterina). Riferimenti documentali Del. n. 543 del 25.8.2010 (per il periodo dal 30.08.2010 al 30.06.2011); convenzione repertorio n. 105 del 12.10.2010 Del. n. 399 del 07.07.2011 (per il periodo dal 15.07.2011 al 30.09.2012); convenzione repertorio n. 110096 del 24.11.2011 Del. n. 36 del 24.01.2013 (per il periodo al 31.10.2012 al 30.10.2014); convenzione repertorio n. 130065 del 25.06.2013 107 Commenti La scelta di una strategia di accompagnamento ai punti vaccinali si è dimostrata più sostenibile rispetto ad un precedente tentativo di portare all’interno del campo di Boscomantico un ambulatorio vaccinale, e comporta anche altri vantaggi: permette di garantire standard di qualità e sicurezza che sarebbe più difficile raggiungere in un ambulatorio provvisorio, consente di uscire da una logica di emergenza e facilita l’acquisizione di una maggior familiarità con i servizi sanitari da parte delle famiglie Rom e Sinte. Le piccole dimensioni delle comunità Rom e Sinta di Verona e l’assenza di epidemie in atto hanno favorito la scelta di questo approccio. La maggior parte dei soggetti contattati ha mostrato interesse per il programma e disponibilità ad aderirvi, soprattutto tra le donne Rom che hanno acconsentito non solo a far vaccinare i propri figli, ma anche a sottoporsi personalmente alle vaccinazioni. I non aderenti si contano soprattutto fra gli uomini adulti, per mancanza di interesse, ma anche per difficoltà a richiedere i permessi dal lavoro. Chiave di volta dell’intervento è stato il coinvolgimento di un’associazione di volontariato già attiva da diversi anni a favore delle comunità Rom e Sinta che, grazie al capitale di fiducia guadagnato, ha potuto svolgere con successo un ruolo di mediazione tra le istituzioni sanitarie e questi gruppi di popolazione. Tra i punti di forza si può menzionare l’elemento di continuità dell’assistenza, basata su attività che non si concludono nei pochi giorni o settimane di una campagna vaccinale straordinaria, ma proseguono nel tempo, permettendo il consolidamento di relazioni di fiducia tra gli operatori e le famiglie, la promozione di un’adesione consapevole alle vaccinazioni e la realizzazione di interventi di informazione sanitaria. Con l’andare del tempo, l’accesso ai servizi vaccinali da parte delle famiglie Rom e Sinte è avvenuto con modalità più autonome, ed in futuro si auspica possa aver luogo senza bisogno dell’intervento di “Medici per la Pace”, in un’ottica di empowerment e a garanzia della sostenibilità a lungo termine del progetto. Le differenze culturali e di posizione giuridica esistenti fra la comunità Rom e quella Sinta hanno richiesto strategie di intervento diversificate. Per la comunità Rom, un ostacolo all’adesione è stato, inizialmente, l’imbarazzo ad entrare in un ambulatorio vaccinale e condividere la sala d’attesa con i “non-Rom”; l’alfabetizzazione scarsa o nulla della maggior parte degli adulti e la reticenza nel comunicare informazioni personali (per timore di segnalazioni e interventi dei Servizi Sociali) hanno ulteriormente complicato l’intervento; per questo gruppo di popolazione, di cittadinanza rumena, va inoltre segnalata, in generale, una difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria per l’impossibilità di iscriversi al SSR, se non in maniera discontinua (a seconda della posizione lavorativa), e per ostacoli di ordine amministrativo nell’ottenere la tessera ENI (Europeo Non Iscritto), che garantisce agli stranieri comunitari indigenti l’erogazione delle prestazioni indifferibili e urgenti. La comunità Sinta gode, di regola, di una miglior garanzia del diritto di accesso ai servizi sanitari (si tratta infatti, perlopiù, di cittadini italiani residenti); risulta però più marcata la diffidenza nei confronti delle istituzioni e più radicato un approccio fatalistico rispetto ai temi della salute e della malattia. Tra i Sinti, ad esempio, nessun adulto (né uomo, né donna) ha accettato di farsi vaccinare. Si segnala infine la difficoltà nel raggiungere tutta la popolazione target potenziale di entrambi i gruppi, per l’elevata mobilità nel territorio; per quanto riguarda le famiglie Rom, si è verificato negli ultimi mesi un vero e proprio “esodo” verso altri Paesi, anche di famiglie relativamente ben inserite nel contesto locale. 108 2.5.1.6.2 Controllo della tubercolosi La tubercolosi è una malattia fortemente associata alle condizioni di vita delle persone. La trasmissione dell’infezione è favorita in situazioni di sovraffollamento e promiscuità, mentre il rischio di progressione a malattia conclamata - mediamente del 10% nel corso dell’intera vita nei soggetti con infezione latente - e la probabilità di esiti avversi della malattia diventano più elevati quando il sistema immunitario è compromesso, come in caso di infezione da HIV, malnutrizione, diabete, e inoltre in caso di alcolismo, tossicodipendenza, abitudine al fumo e cattive condizioni generali di salute. I detenuti e gli ospiti di strutture di accoglienza per migranti presentano una molteplicità di fattori di rischio, e sono quindi candidabili ad uno screening finalizzato a: 1) identificare e trattare tempestivamente i soggetti con tubercolosi attiva; 2) individuare e sottoporre a chemioprofilassi i portatori di infezione latente, per evitare l’evoluzione in malattia151,152,153,154. In carcere infatti si sommano le condizioni di sovraffollamento e di stress psico-fisico, la presenza di un numero consistente di soggetti provenienti da Paesi ad alta endemia (Africa sub-sahariana, sud America, subcontinente indiano, Europa orientale), e di persone tossicodipendenti. Una recente revisione sistematica ha stimato che, in media, l’incidenza di infezione tubercolare latente e di malattia tubercolare è rispettivamente 26 e 23 volte 151 World Health Organization (2013). Systematic screening for active tuberculosis: Principles and recommendations. Geneva: WHO Document Production Services. 152 Linee guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministro della Sanità, ai sensi dell’art. 115, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. 153 Ministero della Salute (2010). Aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di controllo della tubercolosi. Politiche efficaci a contrastare la tubercolosi nella popolazione immigrata. 154 Regione Veneto, Direzione Regionale per la Prevenzione, Servizio di Sanità Pubblica e Screening (2007). Linee Guida per il Controllo della Tubercolosi nella Regione Veneto. 109 superiore tra i detenuti rispetto alla popolazione generale, e ha calcolato che l’8,5% dei casi nella popolazione generale è attribuibile ad un’esposizione in carcere155. Gli ospiti di strutture di accoglienza, a loro volta, sono a rischio aumentato di sviluppare la tubercolosi, per il fatto di provenire da Paesi ad alta endemia, di essersi da poco sottoposti a percorsi migratori spesso sfibranti e di vivere in collettività, in condizioni socio-economiche disagiate. I dati epidemiologici nazionali e locali confermano che l’impatto della malattia è nettamente superiore in alcuni gruppi di popolazione, in particolare fra gli immigrati. Infatti in Italia, a fronte di una riduzione complessiva dei casi di malattia tubercolare negli ultimi anni, diventa sempre più consistente la quota che si verifica in soggetti stranieri, pari al 58,3% nel 2012156 (Fig. 2.17). Fig. 2.17 Italia: casi di tubercolosi per Paese di nascita, 2003-2012 (fonte: ECDC-WHO, 2014). In Veneto, da qualche anno, più della metà dei casi è a carico di soggetti immigrati; nell’ULSS 20 circa i ⅔ dei nuovi malati sono di origine straniera, benché il numero assoluto di casi stia diminuendo anche in questo gruppo. Stime locali relative al 2012 155 Baussano I, Williams BG, Nunn P, Beggiato M, Fedeli U, et al. (2010) Tuberculosis Incidence in Prisons: A Systematic Review. PLoS Med 7(12): e1000381. 156 European Centre for Disease Prevention and Control/WHO Regional Office for Europe. Tuberculosis surveillance and monitoring in Europe 2014. Stockholm: European Centre for Disease Prevention and Control, 2014. 110 indicano un’incidenza di malattia intorno a 10.6 casi/100.000 abitanti nell’intera popolazione dell’ULSS 20, con forti differenze a seconda della provenienza dei soggetti: 68,1/100.000 tra gli stranieri contro 3,9/100.000 nella popolazione “autoctona”157. 6.5.1.6.2.1. Sorveglianza e controllo della tubercolosi in carcere Sulla base delle evidenze sopra riportate, e considerando che nella Casa Circondariale di Verona, tra il 2010 e il 2011, si sono verificati cinque casi di tubercolosi bacillifera tra la popolazione carceraria, si è deciso di rafforzare il sistema di sorveglianza, coinvolgendo sia i detenuti, sia gli agenti di Polizia Penitenziaria e gli operatori che lavorano all’interno dell’istituto di pena. Da un primo screening tubercolare effettuato nel 2010, a seguito del riscontro di un caso di tubercolosi polmonare cavitaria, era emerso che 2/3 dei detenuti della sezione in cui si era verificato il caso erano positivi al test di Mantoux. A seguito dei quattro casi di malattia tubercolare verificatisi nel 2011 tra i detenuti, è stato effettuato un controllo anche sugli agenti di vigilanza e gli operatori (che ammontavano a circa 400 persone in totale), che ha permesso di identificare 41 soggetti positivi allo screening, su un totale di 232 persone esaminate (18%); le 7 persone a cui è stata consigliata la chemioprofilassi hanno rifiutato di assumere i farmaci indicati. Il Dipartimento di Prevenzione, all’interno del “Gruppo ULSS 20 Sorveglianza Tubercolosi in Carcere” (di cui fanno parte anche il responsabile dell’UO Sanità Penitenziaria, un infettivologo del Dipartimento delle Dipendenze, e un medico di continuità assistenziale in carcere) ha collaborato alla redazione di una proposta di protocollo per la sorveglianza della tubercolosi in carcere158, attualmente in revisione. 157 Dipartimento di Prevenzione ULSS 20. Relazione sanitaria 2012. http://prevenzione.ulss20.verona.it/relsan.html (ultimo accesso: luglio 2014) 158 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Disuguaglianze/Documentazione/TBC_e_carcere.pdf 111 Scheda riassuntiva n. 8 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Sorveglianza e controllo della tubercolosi in carcere Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) SISP/Ufficio profilassi malattie infettive (collaborazione alla definizione del protocollo di sorveglianza, screening tubercolare rivolto agli agenti di polizia penitenziaria nel 2011) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) UO Sanità Penitenziaria (c/o distretto n. 3)/Dipartimento delle Dipendenze (collaborazione alla definizione del protocollo di sorveglianza, screening tubercolare rivolto ai detenuti) Direzione della Casa Circondariale di Verona Popolazione target Detenuti nella Casa Circondariale di Verona (828 persone al 31/12/13) Obiettivi Identificazione dei casi di tubercolosi attiva e dei portatori di infezione latente, al fine di: 1) tutelare la salute del singolo ospite attraverso il trattamento della malattia tubercolare o la chemioprofilassi dell’infezione latente, per prevenire la progressione a tubercolosi aperta; 2) tutelare la salute della comunità (non solo della popolazione carceraria, ma anche degli operatori e degli agenti di Polizia Penitenziaria), riducendo il periodo di contagiosità e quindi le probabilità di trasmissione dell’infezione, attraverso la diagnosi e il trattamento precoci dei casi di malattia tubercolare 3) effettuare una sorveglianza dell’infezione e della malattia tubercolare in carcere Metodologia di intervento Screening della tubercolosi attiva e dell’infezione tubercolare latente. Il protocollo messo a punto dal “Gruppo ULSS 20 Sorveglianza Tubercolosi in Carcere” prevede, in sintesi: - offerta del test intradermico secondo Mantoux ai nuovi ingressi (entro 20 giorni dal loro arrivo) e a tutti i detenuti già presenti, fino alla copertura della popolazione totale; eventuale rivalutazione dei soggetti risultati negativi, utilizzando il test in due fasi; rivalutazione nel tempo degli ospiti con pene detentive più lunghe; - radiografia del torace nei casi positivi; nei casi particolarmente dubbi, valutazione pneumologica e/o strumentale di secondo livello; - in caso di positività del test, e in assenza di malattia diagnosticata, valutazione dell’opportunità di eseguire una chemioprofilassi dell’infezione tubercolare latente, in base alle linee guida nazionali e regionali e alle caratteristiche del paziente (con modalità DOT -directly observed therapy- e monitoraggi a cadenza mensile); 112 - in caso di diagnosi di malattia tubercolare, ricovero ospedaliero per dare inizio al trattamento specifico, che verrà poi proseguito presso la Casa Circondariale, secondo le indicazioni dei colleghi ospedalieri; - stretto monitoraggio ed eventuale chemioprofilassi dei contatti del caso-indice; - registrazione dei risultati degli esami nella cartella del detenuto e in un database dedicato; - consegna di una lettera di dimissione al paziente in concomitanza con la scarcerazione (se comunicata in tempo utile dall’Amministrazione Penitenziaria), per permettere la presa in carico da parte dei servizi sanitari territoriali. Alla luce di considerazioni operative ed economiche, si è deciso di utilizzare per lo screening il classico test tubercolinico, riservando l’esecuzione dell’IGRA (Interferon-Gamma Releasing Assay) ai casi dubbi. Principali risultati Dal 2012 ad oggi (maggio 2014), il test secondo Mantoux è stato proposto a 1443 detenuti (non disponibile il numero di quanti l’hanno rifiutato); i test positivi sono stati 213; in 19 casi è stata prescritta la chemioprofilassi farmacologica. Nel 2012 non si è verificato alcun caso di tubercolosi attiva; nel 2013 i casi sono stati 2 (1 accertato e 1 sospetto); nei primi cinque mesi del 2014 1 (sospetto). Durata Proposta del protocollo e avvio di una sorveglianza sistematica della tubercolosi in carcere nel 2011; attività di screening ancora in corso Sistema di rilevamento dei dati Raccolta dei dati presso la Casa Circondariale su supporto cartaceo Risorse umane ed economiche Personale dell’ULSS 20 all’interno del proprio orario di servizio. Spese coperte dalla programmazione ordinaria. Riferimenti documentali Nota D.P. n. 505 dell’ 11.04.2011 Commenti Il rapido turn-over dei detenuti (circa 1200 nuovi ingressi all’anno) crea una costante difficoltà a impostare e mantenere un programma di screening tubercolare efficace. Si sono registrate alcune criticità nell’implementazione del protocollo di sorveglianza, che è attualmente in fase di revisione e perfezionamento. In molti casi la Mantoux viene eseguita, ma non è possibile garantire la lettura e la refertazione dopo 48-72 ore. Risulta problematica anche la fase di documentazione del percorso di screening; la registrazione dei dati avviene ancora su supporto cartaceo. Sarebbe opportuno informatizzare la raccolta dei dati, creando una scheda sanitaria elettronica, in modo da facilitare la continuità delle cure anche dopo la scarcerazione. 113 2.5.1.6.2.2. Sorveglianza e controllo della tubercolosi in strutture di accoglienza I dati epidemiologici locali, che mostrano un’incidenza di tubercolosi tra gli immigrati più elevata che nel resto della popolazione, e il verificarsi di alcuni casi di malattia tubercolare tra gli ospiti di strutture di accoglienza per migranti e in una mensa per poveri di Verona, hanno motivato la scelta di effettuare lo screening dell’infezione tubercolare nelle sottopopolazioni considerate a maggior rischio, per la provenienza da aree ad alta endemia, la recente esposizione allo stress psico-fisico della migrazione e la vita in collettività (oltre che, ovviamente, tra i contatti dei casi). 114 Scheda sintetica n. 9 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Sorveglianza e controllo della tubercolosi in strutture di accoglienza Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) SISP/Ufficio profilassi malattie infettive (effettuazione screening tubercolare, presa in carico e follow-up dei pazienti in chemioprofilassi presso l’ambulatorio per la sorveglianza e il controllo della tubercolosi) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) Direzione delle strutture di accoglienza/Prefettura/Centro Salute Immigrati - CESAIM (collaborazione operativa) Popolazione target Migranti (per lo più richiedenti asilo e rifugiati) ospitati presso strutture di accoglienza notturna di Verona Obiettivi Identificazione dei casi di tubercolosi attiva e dei portatori di infezione latente, al fine di: 1) tutelare la salute del singolo ospite attraverso il trattamento della malattia tubercolare o la chemioprofilassi dell’infezione latente, per prevenire l’eventuale progressione a tubercolosi aperta; 2) tutelare la salute della comunità, riducendo il periodo di contagiosità e quindi le probabilità di trasmissione dell’infezione, attraverso la diagnosi e il trattamento precoce dei casi di malattia tubercolare. Metodologia di intervento Offerta dello screening tubercolare a tutti i nuovi ospiti delle strutture di accoglienza, i cui nominativi vengono comunicati periodicamente dal personale dei centri al SISP. La procedura di screening consiste nell’esecuzione del test intradermico secondo Mantoux. I soggetti positivi asintomatici vengono sottoposti a radiografia del torace. I soggetti con Mantoux dubbia o vaccinati con BCG, e quelli provenienti da regioni ad alta incidenza di tubercolosi, vengono sottoposti a test IGRA (Interferon-Gamma Releasing Assay) di conferma, per la maggiore specificità di questo test per M. tuberculosis. Nei casi con clinica o radiografia del torace dubbi è richiesto un approfondimento diagnostico tramite TAC del torace. Esclusa la tubercolosi attiva, viene proposto il trattamento dell’infezione tubercolare latente (ITBL); il regime di prima scelta è isoniazide alla dose di 300 mg/die per 6 mesi159. 159 Conti E, Postiglione C, Colucci L, Cassarino C, Napoletano G, Zivelonghi G. Prevenzione e controllo della tubercolosi nell’ULSS 20 di Verona. 7° congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Tropicale. Torino, 28-30 novembre 2013. 115 Nei soggetti venuti a contatto con un caso di tubercolosi aperta, il test secondo Mantoux, se negativo, viene ripetuto dopo 8-10 settimane. Principali risultati In circa 2 anni e mezzo (novembre 2011-marzo 2014), sono stati sottoposti allo screening 280 migranti, ospiti di strutture di accoglienza (su 345 a cui è stato offerto). Quindici soggetti non si sono presentati alla lettura della Mantoux. Il test è risultato positivo in 139 casi (50%); a seguito di ulteriori accertamenti (test IGRA e Rx torace), è stata posta diagnosi di infezione tubercolare latente in 73 casi (53%); 69 soggetti hanno iniziato la chemioprofilassi, 33 l’hanno completata (48%), 3 sono ancora in trattamento; gli altri l’hanno interrotta, si sono trasferiti o sono stati persi al follow-up. In questa popolazione, tra il 2012 e il primo trimestre del 2014, sono stati diagnosticati 7 casi di malattia tubercolare, più un caso di verosimile tubercolosi, di cui non è pervenuta la notifica. Alcuni sono giunti alla diagnosi per la presenza di sintomi, altri invece sono stati identificati in corso di screening. A partire dal 2014, contestualmente all’esecuzione dello screening tubercolare, è stato proposto ai migranti anche un richiamo della vaccinazione anti-difterite/tetano/poliomielite. Durata Attivazione dell’ambulatorio per la sorveglianza e il controllo della tubercolosi nel 2011. Attività ancora in corso. Sistema di rilevamento dei dati Raccolta dati ad hoc (su file excel) Risorse umane ed economiche Personale dell’Ufficio profilassi malattie infettive (un’assistente sanitaria; due infettivologhe) all’interno del proprio orario di servizio. Spese coperte dalla programmazione ordinaria. Riferimenti documentali / Commenti Mentre l’accettazione degli esami di screening è generalmente buona (intorno all’80%), risulta problematica la compliance all’eventuale chemioprofilassi (come, del resto, già ampiamente documentato in letteratura): meno della metà dei soggetti ha infatti portato a termine il trattamento con isoniazide. In rari casi ciò è dipeso dall’insorgenza di effetti collaterali; nella maggior parte dei casi invece il soggetto è stato perso al follow-up (non si è più presentato ai controlli si è trasferito in altra sede). Sicuramente l’elevata mobilità di queste persone e le barriere linguistiche rendono complessa la gestione del follow-up. 116 2.5.1.6.3 Screening oncologici I programmi organizzati di screening oncologico sono interventi di prevenzione collettiva, che prevedono l’offerta universale, attiva e gratuita di tre screening compresi nei Livelli Essenziali di Assistenza- di provata efficacia nel ridurre la mortalità legata alla specifica patologia: lo screening del tumore della cervice uterina (donne fra i 25 e i 64 anni); lo screening del cancro della mammella (donne fra i 50 e i 69 anni); lo screening del cancro del colon retto (nell’ULSS 20 offerto a uomini e donne fra i 60 e i 69 anni). A livello locale, la popolazione bersaglio dei programmi di screening oncologico comprende tutti i residenti nel territorio dell’ULSS 20 -in determinate fasce di età-, cui viene inviata una lettera di invito, seguita da un sollecito in caso di mancata risposta, secondo le modalità previste dal manuale per l’accreditamento istituzionale dei programmi di screening oncologici (DGRV n. 4538 del 28/12/2007, allegato A) ed in linea con le raccomandazioni ministeriali160. Evidenze sempre più consistenti indicano che, rispetto a modelli di screening opportunistico (ovvero condotto su iniziativa personale), i programmi di screening organizzati, grazie all’utilizzo di strategie di reclutamento attivo e alla standardizzazione dei percorsi diagnosticoterapeutici, sono in grado di ridurre le disparità di accesso e di esito, promuovendo 160 Ministero della Salute. Direzione Generale della Prevenzione. Screening oncologici. Raccomandazioni per la pianificazione e l’esecuzione degli screening di popolazione per la prevenzione del cancro della mammella, del cancro della cervice uterina e del cancro del colon retto. 117 una maggiore partecipazione della popolazione in generale e di conseguenza anche delle categorie svantaggiate161, 162, 163, 164. Tuttavia, anche nel contesto dei programmi organizzati, parte della popolazione presente nel territorio non ha accesso agli screening, sostanzialmente per tre ragioni: 1) non è compresa nella popolazione bersaglio a cui viene spedito l’invito scritto (ad esempio, stranieri irregolarmente presenti, con o senza tessera STP; oppure persone domiciliate ma non residenti, che si suppone ricevano l’invito da parte dell’ASL o dello stato estero di residenza); 2) è compresa nella popolazione bersaglio, ma non riceve l’invito (per dati anagrafici non corretti o non aggiornati, o difficoltà di recapito da parte dei servizi postali: banalmente, può mancare il nome sulla cassetta postale); una quota importante dei cosiddetti inviti “inesitati”, ovvero che vengono restituiti al mittente, riguarda persone straniere, per la maggior mobilità nel territorio e la più alta probabilità di inesattezze nella registrazione di nome e cognome; 3) è compresa nella popolazione bersaglio e riceve l’invito, ma decide di non aderire. Numerose ricerche condotte in diversi Paesi, tra cui l’Italia, evidenziano tassi di adesione agli screening più bassi in categorie svantaggiate: persone con basso livello di istruzione e/o difficoltà economiche, minoranze etniche, immigrati165,166,167,168,169,170. 161 Palència L, Espelt A, Rodríguez-Sanz M, Puigpinós R, Pons-Vigués M, Pasarín MI, Spadea T, Kunst AE, Borrell C. Socio-economic inequalities in breast and cervical cancer screening practices in Europe: influence of the type of screening program. Int J Epidemiol. 2010 Jun;39(3):757-65. 162 Puliti D, Miccinesi G, et al. Does an organised screening programme reduce the inequalities in breast cancer survival? Annals of Oncology 2012; 23: 319–323. 163 PASSI. Diseguaglianze sociali e salute. Rapporto nazionale 2007-2009. http://www.epicentro.iss.it/passi/disuguaglianze07-09.asp (ultimo accesso: luglio 2014) 164 Pacelli B, Carretta E, Spadea T, et al. Does breast cancer screening level health inequalities out? A population-based study in an Italian region. Eur J Public Health. 2014 Apr;24(2):280-5. 165 Minardi V, Campostrini S, Carrozzi G, Minelli G, Salmaso S. Social determinants effects from the Italian risk factor surveillance system PASSI. Int J Public Health. 2011 Aug;56(4):359-66. 118 Proprio alcuni di questi gruppi di popolazione con scarso accesso allo screening, secondo diversi studi, presentano livelli di rischio più elevati, in particolare per il tumore della cervice uterina, rispetto alla popolazione generale171. Ad esempio, Crocetti et al., analizzando i casi di cancro cervicale riportati dal Registro Tumori della Toscana dal 2000 al 2004, hanno rilevato tassi di incidenza più alti nelle donne nate all’estero, in particolare se provenienti dal centro-sud America e dall’Europa dell’Est, rispetto alle donne nate in Italia172. L’analisi dei dati relativi ai programmi organizzati di screening cervicale del Veneto (2010) mostra, fra le donne nate all’estero, rispetto alle italiane, un’adesione corretta di circa 10 punti più bassa (47,4% vs. 57,1%), e un tasso di identificazione di lesioni precancerose di medio ed alto grado e di carcinomi (lesioni CIN2 o peggiori - CIN2+) più che doppio (7,1 vs. 3,2 per mille screenate). Una maggior quota di donne straniere ha effettuato il Pap-test per la prima volta (57,4% vs. 32,4% nelle italiane). Dai dati della rilevazione Passi emerge anche che il ricorso al test al di fuori del programma di screening è decisamente inferiore nelle donne 166 Moser K, Patnick J, Beral V. Inequalities in reported use of breast and cervical screening in Great Britain: analysis of cross sectional survey data. BMJ 2009; 338: b2025. 167 Shi L, Lebrun LA, Zhu J, Tsai J. Cancer screening among racial/ethnic and insurance groups in the United States: a comparison of disparities in 2000 and 2008. J Health Care Poor Underserved. 2011 Aug;22(3):945-61. 168 Weller DP, Campbell C. Uptake in cancer screening programmes: a priority in cancer control. Br J Cancer. 2009 Dec 3;101 Suppl 2:S55-9. 169 Wilf-Miron R, Peled R, Yaari E, Vainer A, Porath A, Kokia E. The association between socio-demographic characteristics and adherence to breast and colorectal cancer screening: analysis of large sub populations. BMC Cancer. 2011 Aug 25;11:376. 170 Azerkan F, Sparén P, Sandin S, Tillgren P, Faxelid E, Zendehdel K. Cervical screening participation and risk among Swedish-born and immigrant women in Sweden. Int J Cancer. 2012 Feb 15;130(4):937-47. 171 Kamangar F, Dores GM, Anderson WF. Patterns of cancer incidence, mortality, and prevalence across five continents: defining priorities to reduce cancer disparities in different geographic regions of the world. J Clin Oncol. 2006 May 10;24(14):2137-50. 172 Crocetti E, Manneschi G et al. Risk of invasive cervical cancer and cervical intraepithelial neoplasia grade III in central Italy by area of birth. J Med Screen 2010; 17:87-90. 119 straniere (17% vs. 42% delle italiane), mentre la copertura ottenuta dai programmi organizzati è molto simile (46% delle italiane, 45% delle straniere)173. I dati raccolti nell’ambito del programma di screening cervicale dell’ULSS 20 sono in linea con queste osservazioni. L’avvio, ad ottobre 2011, dell’anagrafe unica regionale (AUR) ha portato ad un ampliamento della popolazione bersaglio dei programmi di screening dell’ULSS 20, dovuto all’inclusione non più solo dei residenti “definitivi”, ma anche delle persone temporaneamente residenti, con tessera sanitaria a termine (in larga parte straniere), che nella precedente anagrafica di screening non erano presenti. L’ingresso di questa popolazione, mai invitata prima di allora, ha portato ad un sensibile aumento dell’identificazione di patologia neoplastica e preneoplastica nello screening cervicale174. 2.5.1.6.3.1 Individuazione e contrasto delle disuguaglianze di accesso agli screening oncologici Alla luce dei dati locali sullo screening cervicale, confortati dalle evidenze di letteratura, il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 di Verona ha avviato una serie di azioni per: 1) appurare quale quota della popolazione presente nel territorio dell’ULSS resti esclusa dall’opportunità di aderire al programma di screening; 2) misurare il differenziale di adesione ed esito tra donne italiane e donne straniere già comprese nella popolazione bersaglio dei programmi; 173 Valsecchi M, Cogo C, Saugo M et al. Donne immigrate e screening cervicale nel Veneto. Ann Ig 2013; 25 (Suppl. 1): 1-8. 174 Chioffi MC, Falsirollo F, Bulighin G et al. “Nessuno escluso”: riflessioni sui denominatori di screening e interventi sulla popolazione. Abstract presentato al XLIII Corso della Scuola Superiore di Epidemiologia e Medicina Preventiva “Giuseppe D’Alessandro”: “Chi ha e chi non ha: le disuguaglianze di salute evitabili e le azioni di contrasto”. Erice, 10-14 aprile 2013. http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Disuguaglianze/Documentazione/Incontri/Erice0413/Poster_Erice_C hioffi.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 120 3) favorire l’accesso agli screening per i gruppi di popolazione più vulnerabili (donne migranti, Rom e Sinte, popolazione carceraria). Le attività descritte si inseriscono nel progetto del Centro Nazionale di Prevenzione e Controllo delle Malattie (Ccm) “Individuazione delle disuguaglianze in salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto”175, avviato nel 2012 e tuttora in corso, di cui l’ULSS 20 è capofila. Al progetto partecipano, oltre alla Regione Veneto, altre quattro regioni italiane (Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Marche) e due partners locali del privato sociale e dell’associazionismo (cooperativa “Azalea” e “Medici per la Pace” Onlus). 175 http://prevenzione.ulss20.verona.it/docs/Promozionesalute/progetto_esecutivo_CCM_screening.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 121 Scheda riassuntiva n. 10 (attività specificamente rivolta a gruppi di popolazione vulnerabili) Attività Individuazione e contrasto delle disuguaglianze di accesso agli screening oncologici, in particolare allo screening cervicale. Nome UO del DP ULSS 20 coinvolta (ruolo ricoperto) UOS Ufficio Coordinamento Screening oncologici (coordinamento e implementazione locale del progetto) Altre UO/enti/partner coinvolti (ruolo ricoperto) UOS Servizio Promozione ed Educazione alla Salute – SPES (coordinamento complessivo del progetto Ccm) Unità Operative partecipanti al progetto Ccm 2012 “Individuazione delle disuguaglianze in salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto”, in particolare collaborazione locale con le U.O. n. 9 (Medici per la pace Onlus) e n. 10 (Azalea Cooperativa a r.l. Onlus) (implementazione locale del progetto rivolta, rispettivamente, alle donne Rom e Sinte e alle donne migranti) UO Sanità Penitenziaria ULSS 20; Direzione della Casa Circondariale di Verona (attività rivolte alla popolazione carceraria) Popolazione target Donne migranti (regolarmente presenti e non), donne Rom e Sinte, popolazione carceraria Obiettivi Garantire l’accesso agli screening oncologici (in particolare allo screening cervicale) a sottogruppi di popolazione difficili da raggiungere. Metodologia di intervento Partecipazione alle attività del progetto Ccm 2012, che prevede, a livello nazionale, la ricognizione e la condivisione, tra le unità operative partecipanti, delle esperienze di monitoraggio e di contrasto delle disuguaglianze di accesso (sia al primo che al secondo livello) e di esito nell’ambito dei programmi di screening oncologico femminili, in particolare dello screening cervicale, e la successiva implementazione dei modelli ritenuti più appropriati. A livello locale si sono prese ad esempio le esperienze di mediazione più significative, realizzate in Italia, per favorire l’accesso ad interventi preventivi prioritari, quali gli screening oncologici, da parte delle comunità straniere e dei Rom/Sinti. Avvio a livello locale di diverse azioni coordinate: 1. analisi preliminare dei dati disponibili da diverse fonti ufficiali (anagrafe di screening, anagrafe unica regionale, Comune di Verona, Istat), al fine di: a) quantificare la quota di popolazione femminile di età compresa fra i 25 e i 64 anni, presente nel territorio dell’ULSS 20, ma non inclusa nella popolazione bersaglio del programma di screening cervicale, e caratterizzarla per provenienza e posizione assistenziale (domiciliato assistito, Straniero Temporaneamente Presente - STP, Europeo Non Iscritto - ENI); b) calcolare, a livello aziendale, gli indicatori di processo e di esito del programma di screening cervicale, stratificandoli per Paese di nascita (ad esempio: adesione, invio al 2° livello, detection rate per lesioni neoplastiche e pre-neoplastiche); 122 2. identificazione delle comunità straniere cui indirizzare azioni mirate, sulla base di più criteri (presenza sul territorio, scarsa adesione al programma di screening, maggior rischio di patologia segnalato in letteratura); 3. pianificazione e implementazione di interventi per favorire l’accesso al programma di screening cervicale da parte di gruppi vulnerabili e difficili da raggiungere, con attività di formazione rivolte al personale dell’ULSS (ostetriche, operatrici del callcenter di prenotazione degli screening) e attività dirette alle sottopopolazioni target: a) donne migranti (in collaborazione con la cooperativa Azalea): interventi di promozione ed educazione sanitaria rivolti alle comunità target individuate, con il contributo di mediatrici linguistico-culturali; invio ai distretti (donne regolari) o allo Spazio Donna Straniera del Consultorio 1 di via Poloni (donne non regolari) per l’esecuzione del Pap-test; b) donne Rom e Sinte (in collaborazione con Medici per la Pace Onlus): attività di promozione, educazione sanitaria e supporto nella fase di prenotazione dell’appuntamento per il Pap-test; 4. rafforzamento della collaborazione con l’UO Sanità Penitenziaria e la Direzione della Casa Circondariale di Verona per l’offerta degli screening oncologici ai detenuti: per lo screening mammografico, la struttura penitenziaria concorda con l’Ufficio Coordinamento Screening Oncologici date ed orari in cui inviare le detenute di età compresa fra i 45 e i 69 anni presso il Centro di Prevenzione Senologia di Marzana, dove vengono eseguite le mammografie di screening biennali e gli eventuali ulteriori approfondimenti; riguardo allo screening del cancro del colon-retto, a partire dal 2013 si è offerta la disponibilità ad eseguire l’esame di ricerca del sangue occulto fecale alla popolazione detenuta di entrambi i sessi, in età 50-69 anni, e l’eventuale colonscopia di approfondimento, in caso di positività all’esame (presso l’U.O. di Gastroenterologia dell’Ospedale di San Bonifacio). Per favorire la partecipazione dei detenuti, si è deciso di ampliare la fascia di età di offerta dello screening mammografico (45-69 invece di 50-69 anni, come previsto per il resto della popolazione dell’ULSS 20) e colo-rettale (50-69 invece di 60-69 anni). Lo screening cervicale è invece già offerto ed eseguito all’interno della struttura penitenziaria, con proprio personale e protocollo; 5. valutazione dei risultati dell’intervento. Principali risultati Il progetto Ccm è ancora in corso, quindi i risultati sotto riportati non sono definitivi. Segue la descrizione delle azioni condotte, ad oggi, a livello locale. 1. Si è effettuata un’analisi preliminare dei dati disponibili: a) la numerosità delle donne straniere in fascia di età 25-64 anni, registrate presso l’anagrafe unica regionale (2012), ma non incluse nella attuale popolazione bersaglio del programma di screening cervicale (circa 42.000 donne all’anno), è risultata pari a circa 780 (400 con tessera STP, 50 con tessera ENI, 330 domiciliate assistite). Nell’ambito del progetto Ccm, si è garantito l’accesso gratuito allo screening anche a donne appartenenti a queste categorie. Risultando poco efficace, nel caso delle donne non regolari, la modalità di invito tramite lettera e quindi impraticabile la loro inclusione nell’anagrafica di screening, si è definito uno strumento ad hoc per la registrazione dei dati (scheda cartacea e successivo inserimento in un file excel), che prevede le principali voci presenti sul software già 123 in uso (adattate alle specifiche modalità di lavoro), in accordo con il gruppo regionale afferente al Registro Tumori del Veneto; b) sono stati calcolati i principali indicatori di processo e di esito del programma di screening cervicale dell’ULSS 20, per le donne nate in Italia e all’estero (Fig. 2.18); è emersa l’impossibilità, con il software attualmente in uso, di identificare le donne per cittadinanza; per questa fascia di età, tuttavia, il Paese di nascita è un buon proxy rispetto alla cittadinanza. Fig. 2.18. Indicatori di processo e di esito del programma di screening cervicale, per donne nate in Italia e donne nate all’estero. ULSS 20, 2009-2013. 124 125 2. Dalla combinazione dei criteri di selezione citati (numerosità nel territorio dell’ULSS 20, scarsa adesione al programma di screening, maggior rischio di patologia segnalato in letteratura), e tenendo ovviamente in considerazione le risorse disponibili e il presunto carico di lavoro, sono state individuate sei comunità straniere, cui indirizzare interventi mirati: Romania, Moldavia, Sri Lanka, Marocco, Brasile, Nigeria (Fig. 2.19). Fig. 2.19. Dati relativi alle sei comunità straniere coinvolte nel progetto. ULSS 20. 126 3. Sul piano operativo, si sono realizzate diverse attività, modulate a seconda delle sottopopolazioni target: a. donne migranti: per ciascuna delle sei comunità individuate, sono stati pianificati e organizzati, tra settembre 2013 e maggio 2014, vari cicli di incontri, finalizzati alla conoscenza delle percezioni e delle pratiche tradizionali di tutela della salute femminile nelle diverse culture, e alla diffusione di informazioni sulle attività di prevenzione e screening offerte dai servizi sanitari italiani. Agli incontri hanno partecipato, oltre alla coordinatrice, sette mediatrici culturali, gli operatori sanitari (responsabile dell’Ufficio Coordinamento Screening e ostetriche), diversi gruppi di donne migranti -circa 200 in totale- appartenenti alle sei comunità (a prescindere dalla posizione assistenziale), con vari livelli di coinvolgimento a seconda della fase del progetto. Alcune donne sono state reclutate come educatrici alla salute nei confronti delle proprie connazionali. La scelta per gli incontri di un territorio “neutro” (sale del Comune di Verona, sala riunioni della cooperativa Azalea) o di spazi messi a disposizione dalla comunità ospitante (ad esempio, il centro islamico) ha permesso di creare un clima particolarmente aperto e collaborativo. b. donne Rom e Sinte: si è avviata un’opera di approfondimento e sensibilizzazione sui temi della prevenzione, e una modalità “assistita” di prenotazione degli appuntamenti per le donne Sinte residenti nei campi, generalmente già incluse nelle liste di screening; le donne Rom rumene (generalmente non residenti, quindi escluse dalla popolazione bersaglio degli screening) saranno invece indirizzate per il Pap-test allo Spazio Donna Straniera, e supportate per l’eventuale rilascio della tessera ENI, qualora non ne fossero già in possesso. Sono inoltre in programma seminari di formazione (con crediti ECM) rivolti alle nove ostetriche coinvolte nel programma di screening dell’ULSS 20 e alle undici operatrici del call-center di prenotazione degli screening oncologici (di Marzana e San 127 Bonifacio). Per favorire l’adesione delle donne straniere, è stata modificata la lettera di invito allo screening, con l’aggiunta di una frase di informazione generale tradotta in diverse lingue. 4. Nei primi mesi del 2013 è stato attuato un intervento di screening del cancro del colon-retto rivolto ai detenuti della Casa Circondariale di Verona: sono state individuate 101 persone di età tra i 50 ed i 69 anni (97 uomini e 4 donne), alle quali è stato offerto di partecipare ad un incontro informativo e di sensibilizzazione condotto da personale medico dell’ULSS 20. La partecipazione è stata molto elevata: circa 90 persone erano presenti all’incontro, 66 hanno aderito allo screening (tramite ricerca del sangue occulto fecale - SOF), 7 sono risultate positive, 6 hanno accettato di sottoporsi a una colonscopia di approfondimento presso l’UOC di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’ospedale di San Bonifacio; 3 di queste presentavano una lesione pre-neoplastica (adenoma tubulare, displasia lieve-moderata) che è stata asportata. Durata Progetto Ccm “Individuazione delle disuguaglianze in salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto”: 31/10/2012-30/10/2014 Sistema di rilevamento dei dati A livello regionale e locale: software regionale di gestione degli screening oncologici. Raccolta di dati ad hoc per le donne straniere non regolarmente presenti. Risorse umane ed economiche Per l’implementazione locale del progetto Ccm è previsto l’impegno dei seguenti operatori: per l’ULSS 20: un medico igienista (coordinamento e promozione), 9 ostetriche (esecuzione Pap-test), 11 operatrici del callcenter (prenotazione degli appuntamenti) all’interno del loro monte orario; un medico ginecologo (esecuzione colposcopie di approfondimento) e uno statistico (analisi dei dati), con ore aggiuntive (finanziamento Ccm); per la cooperativa Azalea: il direttore dell’area “Multicultura”, una coordinatrice psicologa, 7 mediatrici culturali (finanziamento Ccm); per l’associazione Medici per la pace Onlus: una coordinatrice (finanziamento Ccm) e alcuni operatori volontari. Il progetto Ccm 2012 “Individuazione delle disuguaglianze in salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto” è stato finanziato dal Ministero della Salute per complessivi 360.000 euro (per tutte le unità operative e per i due anni di attività), di cui 90.000 destinati all’ULSS 20, 25.000 alla cooperativa Azalea, 25.000 a Medici per la pace Onlus. Riferimenti documentali DGRV n. 2726 del 24/12/2012 Del. ULSS 20 n. 36 del 24/1/2013 Commenti L’analisi dei principali indicatori di processo del programma aziendale di screening cervicale, stratificati per Paese di nascita, mostra l’importanza crescente, all’interno della popolazione bersaglio, della quota straniera, che attualmente rappresenta circa un quarto delle donne invitate e un quinto di quelle effettivamente sottoposte a screening. L’ampliamento della popolazione obiettivo degli 128 screening alle persone residenti con iscrizione temporanea al SSN (per la maggior parte straniere), avvenuta alla fine del 2011 in seguito all’adozione dell’anagrafe unica regionale, dà ragione di questo fenomeno. L’adesione corretta allo screening cervicale nel 2013 risulta più bassa di circa 9 punti percentuali per le donne straniere rispetto alle italiane, con una differenza ancora marcata ma in calo rispetto agli anni 2009-2010 (in cui lo svantaggio per le donne straniere era di più di 15 punti percentuali; il divario appare ancora più rilevante se si tiene conto che all’epoca venivano invitate allo screening solo le persone con residenza a tempo indeterminato - quindi presumibilmente le donne straniere più integrate nella società italiana). Rispetto all’età, la maggior differenza di adesione, sempre a sfavore delle straniere, si osserva nelle fasce estreme (25-34 anni e 55-64 anni). Tra le donne sottoposte a screening, le straniere presentano una frequenza di invio agli esami di approfondimento (colposcopia) da 1,5 a 3 volte superiore rispetto alle italiane; parimenti, il tasso di identificazione (detection rate) di lesioni cervicali (CIN 2 o più gravi) risulta all’incirca doppio nelle straniere. Questi rilievi, in linea con le evidenze della letteratura scientifica, hanno sollecitato gli operatori di sanità pubblica ad uno sforzo supplementare per ridurre le disparità di accesso allo screening, che si è concretizzato localmente negli interventi attuati grazie al progetto Ccm. Benché ancora in corso d’opera, le attività promosse dall’ULSS 20, e realizzate con il contributo centrale della cooperativa Azalea e di Medici per la Pace, hanno già consentito agli operatori sanitari di comprendere meglio le specificità culturali di diverse comunità straniere, dei Rom e dei Sinti, ed hanno coinvolto direttamente, nei vari incontri, circa 200 donne provenienti dai sei Paesi target. Gli aspetti critici riguardano, in primo luogo, la sostenibilità nel tempo dell’iniziativa: il passaggio all’anagrafe unica regionale, con l’aumento della quota di donne straniere, ha già determinato un consistente incremento del carico di lavoro per i servizi che erogano le prestazioni del percorso di screening, in particolare per gli esami di secondo livello; a seguito dell’implementazione del progetto Ccm, che ha come obiettivo l’aumento di partecipazione delle donne straniere, l’impatto sui servizi potrebbe essere ancora maggiore. Il finanziamento da parte del Ministero della Salute per il progetto Ccm, che attualmente consente di far fronte alle spese, terminerà ad ottobre 2014. Un’altra criticità è relativa al diritto di accesso gratuito allo screening cervicale da parte delle donne straniere non in regola con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno, con tessera STP o ENI. L’interpretazione della normativa vigente fornita dall’accordo Stato-Regioni del 20/12/2012176 include gli screening oncologici tra le prestazioni da garantire gratuitamente anche a queste categorie. La Regione Veneto, interpellata formalmente dall’ULSS 20 in merito alla questione, ha ammesso l’offerta gratuita dello screening alle persone con tessera STP/ENI su base sperimentale, nell’ambito nel progetto Ccm; tuttavia, sollevando alcune perplessità sulla correttezza delle informazioni contenute nell’accordo Stato-Regioni (non ancora recepito dal Veneto), ha aggiunto che l’iniziativa non può al momento essere “istituzionalizzata” o estesa ad altre ULSS. 176 Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle regioni e province autonome italiane”. 129 Riguardo alla popolazione carceraria della Casa Circondariale di Verona, malgrado l’ampia adesione allo screening colo-rettale proposto all’inizio del 2013, si registrano ancora difficoltà a rendere sistematico l’accesso agli screening da parte dei detenuti, a causa del loro alto turn-over e di perduranti carenze di personale. Sarebbe utile elaborare e condividere con l’UO Sanità penitenziaria e la Direzione del carcere delle procedure che definiscano chiaramente i ruoli, i tempi e le modalità di offerta degli screening. 130 2.5.2 Ulteriori sviluppi del percorso di ricognizione e coordinamento delle iniziative di contrasto alle disuguaglianze in salute dell’ULSS 20: il progetto “Salute per tutti” Con la delibera “Disuguaglianze in salute. Ricognizione delle iniziative in atto presso il Dipartimento di Prevenzione” (n. 201 del 5/4/2012), si è dato avvio ad un percorso di monitoraggio allargato delle iniziative aziendali di contrasto alle disuguaglianze e di individuazione delle migliori pratiche disponibili, da consolidare grazie al reperimento di finanziamenti ad hoc. Il coordinamento del percorso è in capo ad un gruppo di lavoro aziendale costituito dal Direttore Sanitario, dal Direttore dei Servizi Sociali, dal Direttore del Dipartimento di Prevenzione e dal Responsabile del Servizio Promozione ed Educazione alla Salute (SPES). Per dare una forma organizzata alle azioni previste dalla delibera n. 201/2012, è stato ideato il progetto aziendale per il rilevamento e il contrasto delle disuguaglianze “Salute per tutti”, coordinato dallo SPES177. La mappatura estesa delle iniziative, realizzata a fine 2012 dallo SPES, tramite una scheda appositamente predisposta, ha riguardato per il momento alcune unità operative aziendali e alcuni partner del privato sociale e del volontariato che da tempo collaborano con l’ULSS 20: il Servizio Donna Straniera/Spazio Donna Immigrata (Area Servizi Socio Sanitari - UOC Area Famiglia) e il relativo ambulatorio pediatrico per STP/ENI, presso il consultorio familiare del distretto n. 1 (via Poloni); l’UOS di Sanità Penitenziaria; l’Ufficio di Coordinamento degli Screening oncologici (Dipartimento di Prevenzione); l’ambulatorio di Odontoiatria Pediatrica (distretto n. 3, via del Capitel); il Centro Salute per Immigrati (CESAIM – associazione di volontariato); la cooperativa sociale Azalea a.r.l. Onlus; l’associazione Medici per la Pace Onlus. I responsabili di questi servizi/partner (gruppo di lavoro “allargato”) hanno partecipato a diversi incontri, finalizzati a conoscere le rispettive attività, a 177 Simeoni L, Valsecchi M, Speri L, et al. Salute per tutti. Una rete per il contrasto alle disuguaglianze nell’ULSS 20 di Verona. Abstract presentato al XLIII Corso della Scuola Superiore di Epidemiologia e Medicina Preventiva “Giuseppe D’Alessandro”: “Chi ha e chi non ha: le disuguaglianze di salute evitabili e le azioni di contrasto”. Erice, 10-14 aprile 2013. 131 trovare possibili collaborazioni e a identificare bisogni e criticità. L’intento è quello di coinvolgere, per gradi, gli altri servizi aziendali che operano a stretto contatto con gruppi di popolazione svantaggiati (distretti, Dipartimento delle Dipendenze, Dipartimento di Salute Mentale, ecc.), e inoltre enti, istituzioni e associazioni del territorio, in modo da favorire un approccio intersettoriale al tema delle disuguaglianze. Attenzione particolare dovrà essere rivolta alla progettazione partecipata con i gruppi target e alla valutazione condivisa (equity audit, audit civico). Le principali criticità emerse dalla ricognizione estesa, rispetto all’accesso ai servizi sanitari da parte della popolazione immigrata, riguardano la disomogeneità di risposte in contesti diversi (ad esempio, in relazione al rilascio delle tessere STP/ENI o al diritto di accedere a determinate prestazioni), lo scarso coordinamento tra servizi, gli ostacoli legati alla lingua e alla cultura (per le diverse concezioni di salute e malattia, prevenzione e cura), che generano diffidenza reciproca. A volte è il setting di cura a presentare difficoltà strutturali (ad esempio, il carcere). In molti ambiti, la restrizione e la discontinuità delle risorse umane ed economiche limitano pesantemente il campo d’azione e espongono i servizi al rischio di perdere un knowhow consolidato. Sulla base di questi rilievi, si è deciso di concentrare l’azione su alcuni filoni di attività, cercando di radicare i nuovi progetti su iniziative già avviate, in modo da dare continuità al lavoro svolto. Ad esempio, gli interventi locali di promozione della salute delle donne migranti attraverso il lavoro con le comunità, sostenuti negli scorsi anni grazie a specifici progetti dei consultori familiari (sulle mutilazioni genitali femminili, l’interruzione volontaria di gravidanza) e dello SPES (su GenitoriPiù e Guadagnare Salute), sono proseguite, con un focus sullo screening cervicale, grazie al progetto Ccm 2012 “Individuazione delle disuguaglianze di salute e creazione di conseguenti modelli di azioni di sorveglianza e contrasto” (v. par. 2.5.1.6.3). Tra le priorità individuate figurano inoltre gli aspetti amministrativi (iscrizione al SSR, rilascio delle tessere STP/ENI, diritto alle prestazioni), prerequisito essenziale per l’accesso ai servizi sanitari. A tale proposito, in collaborazione con il Servizio Donna 132 Straniera, lo SPES ha organizzato due corsi di formazione (“La medicina delle migrazioni”, 18-19 dicembre 2013; “Favorire l’integrazione dei cittadini immigrati: competenze e strategie nell’applicazione della normativa in materia di immigrazione per una comunicazione e una relazione efficaci”, 27 maggio e 3 giugno 2014), rivolti il primo ad operatori sanitari, il secondo ai dirigenti di diversi dipartimenti aziendali e ai responsabili amministrativi dei distretti dell’ULSS 20. L’obiettivo è quello di sensibilizzare il personale sul tema delle disuguaglianze in salute e approfondire le conoscenze sulla normativa per l’assistenza alla popolazione straniera, in modo da favorire risposte adeguate e uniformi nel territorio dell’ULSS. Tra le idee proposte c’è anche quella di creare degli sportelli distrettuali di front-office dedicati agli utenti stranieri, in cui siano presenti dei mediatori linguistico-culturali. 2.6 Discussione e conclusioni Il Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20 di Verona ha realizzato, nel tempo, una serie di iniziative rivolte a gruppi di popolazione vulnerabili, sia nell’ambito delle proprie attività istituzionali, sia come progetti specifici. Con l’intento di mettere in rete e consolidare le proprie esperienze, inserendole in un disegno organico di riferimento con una governance formalizzata, è stata emanata la delibera aziendale “Disuguaglianze in salute. Ricognizione delle iniziative in atto presso il Dipartimento di Prevenzione” (n. 201 del 5/4/2012), da cui è nato il progetto “Salute per tutti”. Il successo e il mantenimento nel tempo degli interventi (qualora non rientrino nelle attività ordinarie) è strettamente legato all’attivazione di proficue collaborazioni tra i diversi servizi, e inoltre tra il sistema sanitario e le realtà, istituzionali e non, del territorio, con il maggior coinvolgimento possibile della popolazione destinataria, che è anche il primo interlocutore e portatore di risorse177. In molti casi risulta problematica la sostenibilità delle iniziative, che spesso non godono di finanziamenti specifici o vengono alimentate da diversi cespiti di durata temporanea. Anche il monitoraggio delle disuguaglianze e dei risultati degli interventi è a volte difficoltoso, dal momento che i sistemi informativi sanitari correnti per lo più non consentono di 133 rilevare i dati necessari a caratterizzare la posizione sociale delle persone o, pur contenendo le informazioni di interesse (ad esempio, la cittadinanza), non sono predisposti ad analisi di questo tipo. Malgrado questi vincoli, l’esperienza veronese mostra come sia possibile leggere attraverso le “lenti dell’equità” i dati disponibili e promuovere ricerche ad hoc, facendo emergere il peso dei determinanti sociali della salute, e mettere quindi in atto interventi di prevenzione volti al contrasto delle disuguaglianze in salute. La scelta di iniziative mirate a fasce particolarmente vulnerabili è dettata da motivi di praticabilità organizzativa e dalle maggiori possibilità di individuare e monitorare nel tempo gruppi circoscritti (Rom e Sinti, popolazione carceraria) o meglio caratterizzabili dai sistemi informativi correnti (stranieri). Il tema delle disuguaglianze in salute, molto dibattuto in ambito europeo, in Italia è ancora poco presente o del tutto assente nelle politiche, nella programmazione sanitaria e nella formazione dei professionisti sanitari (medici, igienisti, operatori delle professioni sanitarie). Pur in mancanza di un quadro organico di riferimento a livello nazionale e regionale, è necessario che i Dipartimenti di Prevenzione prendano atto del problema e tengano conto dell’impatto delle proprie attività sulle disuguaglianze in salute, implementando opportuni correttivi sia in fase di progettazione degli interventi, sia in fase di valutazione e rimodulazione delle iniziative già in corso. Anche interventi efficaci ed evidence-based possono infatti incrementare le disparità, anziché ridurle, se non vengono esplicitamente definiti obiettivi e target orientati all’equità. E’ inoltre fondamentale disporre di sistemi di monitoraggio delle disuguaglianze all’interno dei servizi sanitari e rendere disponibili i risultati agli operatori sanitari, ai decisori e all’opinione pubblica. Modulando l’azione in base al grado di svantaggio e dedicando proporzionalmente più risorse alle fasce deboli, secondo una strategia di “universalismo proporzionale”, ci sono grandi potenzialità di miglioramento del livello di salute generale della popolazione. Ciò richiede dei cambiamenti non soltanto nel 134 sistema sanitario, ma in tutti i settori che hanno un impatto sulla salute e sui determinanti sociali della salute (istruzione, sicurezza sociale, lavoro, trasporti, ambiente, ecc.), secondo l’approccio definito “Health in All Policies”178. Su questi temi gli operatori sanitari devono assumere un ruolo di advocacy, richiamando anche le politiche non sanitarie alle loro responsabilità. 178 Health in All Policies: Prospects and potentials. Finnish EU Presidency (2006), published by the Finnish Ministry of Social Affairs and Health, under the auspices of the European Observatory on Health Systems and Policies. http://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0003/109146/E89260.pdf (ultimo accesso: luglio 2014) 135 3. Abbreviazioni ARPAV: Agenzia Regionale per la Prevenzione e protezione Ambientale del Veneto BFCI: Baby Friendly Community Initiative BFHI: Baby Friendly Hospital Initiative CD: Centro Diurno CSDH: Commission on Social Determinants of Health DISM: Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale DP: Dipartimento di Prevenzione ENI: Europeo non iscritto FAO: Food and Agriculture Organization of the United Nations ITBL: infezione tubercolare latente IUAV: Istituto Universitario di Architettura di Venezia MpP: Medici per la Pace Onlus OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità PNP: Piano Nazionale della Prevenzione SDO: schede di dimissione ospedaliera SIAN: Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione SISP: Servizio Igiene e Sanità Pubblica SOF: sangue occulto fecale SPES: Servizio Promozione ed Educazione alla Salute SPISAL: Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro SSR: Sistema Sanitario Regionale STP: Straniero temporaneamente presente 136 Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato, in particolare gli operatori del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS 20, per la disponibilità e le preziose indicazioni. 137
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