LA 71a SETTIMANA MUSICALE SENESE: QUANDO LA TRADIZIONE POPOLARE E LA MUSICA COLTA S’INCONTRANO Aldo Bennici Direttore artistico dell’Accademia Musicale Chigiana Da tempo accarezzavo l’idea di poter organizzare proposte musicali che stabilissero confronti e dialoghi fra la musica etnica e quella colta, solleticato in ciò dalla mia personale esperienza di musicista vissuta accanto a Luciano Berio. L’occasione è arrivata, del tutto inaspettata, quando, dopo aver deciso di concludere la mia carriera pluriennale di Direttore artistico dell’Accademia Chigiana, mi è stato chiesto di mettere a frutto ancora una volta la mia lunga esperienza di organizzatore musicale per fronteggiare un momento particolarmente difficile nella vita stessa della Chigiana, e disegnare (in poco tempo e con risorse economiche assai contenute rispetto ad una volta) la programmazione della Settimana Musicale Senese e dell’Estate Musicale Chigiana. L’intenzione di avvicinare quei due ambiti musicali, abbattendo così ogni sorta di confine, è diventata predominante, e poteva essere estesa, come un filo rosso, all’intero calendario degli appuntamenti della Settimana Musicale. Nasce così Specchi, il titolo che raccoglie le manifestazioni della Settimana Senese 2014: occasioni dove la tradizione musicale tramandata per via orale e di ogni provenienza geografica si confronta con i grandi classici, dando vita a un gioco continuo di corrispondenze e di cambi di prospettiva, proprio come i continui riflessi che movimentano la superficie di uno specchio. In questo trova anche nuova affermazione il mio personale amore per l’etnomusicologia, disciplina che, del resto, proprio all’Accademia Chigiana ebbe, anni fa, una sua particolare autorevolezza didattica grazie alle cattedre tenute da due illustri studiosi come Diego Carpitella e Roberto Leydi. Il gioco dei raffronti e delle differenti angolazioni è affermato fin dalla serata inaugurale, che avvicina le musiche di scena per l’Arlésienne di Bizet a quelle (appositamente commissionate dalla Chigiana, e in prima esecuzione assoluta) per Blanquette di Azio Corghi: queste ultime basate su un racconto di Alphonse Daudet presente in quelle stesse Lettres de mon moulin seguite da Bizet nel suo capolavoro. Uno stesso testo visto nello specchio musicale della contemporaneità, secondo un’operazione che conferma, ancora una volta, l’attenzione delle programmazioni chigiane alla musica del nostro tempo. Il concerto intitolato Santi e santini vuol far riflettere su come l’esigenza di spiritualità, da sempre insita nell’uomo, possa esprimersi con pari intensità sia nella quotidianità semplice del canto popolare sia nell’universalità ‘alta’ del capolavoro conclamato. Ascolteremo così le espressioni di fede intonate nei canti sacri della tradizione sarda, accanto a quelle, raccolte e non di rado imbevute di gusto operistico, dello Stabat Mater di Boccherini. È ancora la tradizione popolare, stavolta quella di alcune canzoni sefardite, ad essere vista con gli occhi della contemporaneità in Juego de Siempre di Betty Olivero, compositrice israeliana fortemente legata all’Italia, avendo vissuto a Firenze ai tempi dei suoi studi con Berio. Questa pagina è messa a fianco di un’antologia di antiche canzoni spagnole raccolte e armonizzate da Federico García Lorca: omaggio, questo, alla figura del conte Guido Chigi Saracini, che acquistò una delle prime edizioni della raccolta. Il volume è oggi conservato nella Biblioteca dell’Accademia. Visioni andaluse: ecco dunque il titolo del concerto. Ravvicinamenti testimonianza di innovazioni sono poi quelli che caratterizzano l’appuntamento con i Solisti di Pavia ed Enrico Dindo, protagonisti di un viaggio fra Weimar e Mar del Plata: da una parte Carl Philipp Emanuel Bach, secondogenito di Johann Sebastian, nella cui musica avanza un’espressività moderna e che punta al pieno coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore. Dall’altra, Astor Piazzolla, che riesce sempre a dare il colore del tango anche nelle ‘altre’ musiche, e che alla tradizione del tango dà una nuova dignità artistica, fatta di significati malinconici e sensuali. La proposta di Naturale di Berio assieme ad alcuni canti della tradizione siciliana è la testimonianza, affettuosa e sentita, dei miei legami personali con la terra che mi ha visto nascere e con la figura di un grande amico musicista. Quei canti di mare, quelle abbagnate (le prolungate esclamazioni dei venditori ambulanti), furono da me personalmente raccolti. Berio ne rimase letteralmente affascinato. Nacquero Voci, e poi Naturale, dove la viola commenta quel tessuto di canti popolari registrati, da me tenuto a battesimo ed eseguito infinite volte. Un tocco di autenticità, nella seconda parte della serata, sarà assicurato dalla presenza dell’attore-cantante Maurizio Sazio, che ci offrirà le atmosfere di quei canti con la schiettezza e l’intensità di un antico cantastorie. I ritmi sfrenati della tarantella, filtrati dalle riappropriazioni colte di Stravinskij, Beethoven, Szymanowski e Sarasate, si sposano infine alla gestualità altrettanto scatenata della pizzica (che ne è la variante più tipicamene salentina), per scandire l’appuntamento conclusivo della Settimana Musicale Senese. Edoardo Zosi, violinista già allievo dell’Accademia Chigiana, e l’Orchestra Popolare Italiana con Ambrogio Sparagna si avvicenderanno per una conclusione dalle atmosfere trascinanti e festose, dove la tradizione popolare non s’intimidisce accanto alle note della musica colta. Linguaggi diversi che trovano così una loro dimensione comune. Anche perché ho sempre amato la musica. Tutta. Giovedì 10 luglio Teatro dei Rinnovati ore 21.15 SPECCHI Giovedì 10 luglio Teatro dei Rinnovati ore 21.15 SPECCHI Azio Corghi Ciriè, Torino 1937 Blanquette da La chèvre de M. Seguin di Alphonse Daudet per voce recitante e orchestra da camera commissionata dall’Accademia Musicale Chigiana di Siena Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl (Milano) Prima esecuzione assoluta *** Georges Bizet Parigi 1838 - Bougival 1875 L’Arlésienne musiche di scena per l’omonimo dramma in cinque atti di Alphonse Daudet Revisione critica della versione originale per 26 strumenti di Giacomo Zani Traduzione italiana del testo e riduzione per voce recitante di Vincenzo De Vivo Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano Versione da concerto n. 1 Ouverture ATTO I n. 2 Melologo | n. 3 Melologo | n. 4 Melologo | n. 5 Coro e Melologo n. 6 Melologo e coro ATTO II n. 7 Pastorale (Intermezzo e coro) | n. 8 Andantino | n. 9 Allegretto | n. 10 Melologo n. 11 Coro e Melologo | n. 12 Melologo | n. 13 Melologo | n. 14 Melologo ATTO III n. 15 Intermezzo | n. 16 Intermezzo ATTO IV N. 17 Intermezzo (Minuetto) | n. 18 Intermezzo (Carillon) | n. 19 Melologo n. 20 Andante moderato | n. 21 Melologo e coro (Faràndola) ATTO V n. 22 Intermezzo | n. 23 Coro | n. 24 Coro | n. 25 Melologo n. 26 Melologo | n. 27 Finale Marco Angius direttore Chiara Muti voce recitante Orchestra della Toscana Coro Polifonici Senesi Raffaele Puccianti maestro del coro Beatrice Bartoli pianista accompagnatrice Sopratitoli a cura di Prescott Studio srl Firenze BLANQUETTE Azio Corghi Pubblicato nel 1869, celeberrimo in Francia, ingiustamente considerato un’opera per ragazzi, il libro Lettres de mon moulin è ispirato in parte a racconti che l’autore raccolse nella propria terra d’origine, la Provenza. Al riguardo, fra l’altro, è sufficiente pensare alla storia dell’Arlesiana propostagli da Frédéric Mistral, premio Nobel per la Letteratura nel 1904. Alcuni di questi racconti hanno goduto una fama straordinaria diventando apologhi proverbiali, come La chèvre de M. Seguin. Delle Lettres Daudet disse in Trent’anni di Parigi, attraverso la mia vita e i miei libri: «esse furono scritte al capriccio del vento, del momento, di un’esistenza terribilmente agitata». Dopo l’invito, da parte di Aldo Bennici, a utilizzare il testo di quest’ultimo racconto per una composizione che prevede l’organico di una voce recitante e una piccola orchestra, sono andato a rovistare fra i libri in lingua francese appartenuti a mia madre. Fra l’altro ho trovato l’edizione S.E.I. datata 1928 delle Lettres de mon moulin, collocata a fianco del Gargantua e Pantagruel rabelesiano. Felice coincidenza per il sottoscritto! il racconto La bellissima Blanquette, capretta dal manto bianco, rinchiusa nella stalla di M. Seguin, triste padrone di un gregge depredato da un famelico lupo, vuole raggiungere la luminosa montagna che intravede in lontananza. Riesce a fuggire saltando dalla finestra e, raggiunta la montagna, trascorre una giornata ricca di emozioni immersa nello splendore e nella vivacità della natura. Al calare della sera, la luce si attenua. Viene la notte con il preannunciato, dal padrone, incontro col lupo. Poi la conseguente forsennata lotta che si prolunga fino alle prime luci dell’alba. Infine l’attesa di Blanquette, distesa sull’erba col manto insanguinato, del feroce lupo che la divorerà. Il progetto musicale Leggendo il testo del Questionnaire che nel libro di mia madre è collocato al termine del racconto, senza stupirmi ho notato lo scopo ‘educativo’ teso all’ottenimento di risposte asservite a un ordine precostituito. Immediatamente mi sono schierato dalla parte di Blanquette pur ammettendo il dubbio che può sorgere fra «l’agire con prudenza» e «l’agire istintivo e vitale». La constatazione mi ha permesso di ‘trasgredire’, anche sul piano linguistico puramente musicale, nei confronti di altri «contemporanei ordini precostituiti». Per quanto riguarda il progetto in questione, ho innanzitutto rilevato l’assonanza fra la valenza fonetica del testo originale e la riproposizione in chiave di attualità - del linguaggio musicale appreso nel periodo della mia formazione accademica (… quello che da Durand, Dubois, Lavignac, Gedalge, Koechlin arriva fino a Messiaen). Di qui l’accoglimento dell’idea di avvalermi della stessa ambiguità poetica che traspare dal testo di Daudet. Ambiguità che può accogliere forme di espressione contrastanti comprendenti sia la ‘nuance’ dell’intervento a carattere imitativo che il gesto violento d’impronta teatrale. Si va dalla percezione sonora dell’eco del Mistral fino alla ‘tematizzazione’ del personaggio, dove emerge l’indole curiosa, vitale e ribelle di Blanquette di fronte all’atteggiamento aggressivo e feroce del lupo (specchio musicale della prima) sullo sfondo della rassegnata insistenza di Monsieur Seguin. Il che dovrebbe determinare nell’ascoltatore l’istintiva reazione di opporsi a una realtà intimidatoria che impedisce di assaporare anche le ‘gioie rischiose’ della vita per il timore di finire in bocca al lupo nel tentativo temerario di sconfiggerlo a cornate. Anche per tale ragione la Voce recitante, rispetto all’ipotetico personaggio (Gringoire) nominato da Daudet, si rivolge inizialmente al pubblico con le parole dello scrittore: Non? Vous ne voulez pas? Vous prétendez rester libre à votre guise jusqu’au bout… Eh bien, écoutez un peu l’histoire de la chèvre de M. Seguin. Vous verrez ce que l’on gagne à vouloir vivre libre. Dopo i dubbi che le parole dello scrittore suscitano in noi, a conclusione dell’opera mi sono permesso di trasformare l’interrogativo iniziale in esortazione: Non? Vous ne voulez pas? Vous prétendez rester libre à votre guise jusqu’au bout... rester libre à votre guise… rester libre! Guidizzolo, 9 aprile 2014 (g. c. Edizioni Ricordi) LA VERA ARLESIANA Daniele Spini Il 7 luglio 1862 un nipote di Frédéric Mistral, massimo fra gli scrittori provenzali, si uccise gettandosi da una finestra in seguito a una delusione d’amore. Mistral raccontò poi il fatto al suo giovane amico e collega Alphonse Daudet, che lo elaborò in una novella, L’Arlésienne, pubblicata sul quotidiano «L’Événement» del 31 agosto 1866. Nel 1869 L’Arlesiana confluì insieme con altri racconti d’ambiente provenzale, fra i quali La chèvre de M. Seguin nelle Lettres de mon moulin, forse il primo successo letterario del futuro autore di Tartarino di Tarascona. Da qui la storia passò sulle tavole del palcoscenico, ampliata ed elaborata fino a trasformarsi in una pièce (parola mal traducibile in italiano: ‘dramma’ sarebbe forse termine troppo forte, per una tragedia di paese, e ‘commedia’ per contro troppo leggero) in tre atti e cinque quadri (nel primo dei quali non senza civetteria, ma soprattutto come metafora, come simbolico preannuncio del destino del protagonista, Daudet mostra il vecchio Balthazar narrare all’ ‘Innocente’ Janet appunto la storia della capra del signor Seguin, mangiata dal lupo) che adesso torna a interfacciarsi con quella dell’Arlesiana nello ‘specchio’ che la presenta nella nuovissima Blanquette musicata da Azio Corghi). Della novella rimaneva la traccia narrativa fondamentale: l’amore infelice di Fréderi per una ragazza di Arles, che non compare mai in prima persona, e della quale neanche si pronuncia il nome, e della quale la famiglia e il piccolo mondo concentrato nella fattoria di Castelet diffidano: venendo a sapere di non essere veramente ricambiato da una donna dai comportamenti frivoli, e che è già stata l’amante di un altro (oggi la giudicheremmo semplicemente una persona libera: ma nella morale paesana di allora i valori erano evidentemente altri), pur fingendo serenità Fréderi dopo una giornata di festa in cui ha danzata animatamente la farandola, si toglie la vita. Il lavoro teatrale dilata il racconto su un più ampio sfondo corale, fino a conseguire una sorta di epicità paesana, con l’introduzione di numerosi altri personaggi, fra i quali Vivette, una specie di ‘ragazza della fattoria accanto’, che potrebbe rappresentare un’alternativa sana e normale alla passione morbosa di Fréderi per l’Arlesiana, sviluppando in particolare la figura del fratellino minore di lui, il ritardato e ‘innocente’ Janet. L’Arlésienne fu rappresentata a Parigi al Théâtre du Vaudeville il 1° ottobre 1872. Di questo si occupava, carico di gloria per aver a suo tempo radicalmente rinnovato la cultura operistica parigina durante la sua gestione del Théâtre Lyrique, Léon Carvalho, impresario fra i più geniali di allora. Fu sua l’idea di corredare di musica L’Arlésienne, e di assegnare il compito a un allora trentaquattrenne Georges Bizet, che aveva già composto proprio per il Théâtre Lyrique I pescatori di perle nel 1863 e La bella fanciulla di Perth nel 1867. Quella di accompagnare gli spettacoli di prosa con intermezzi sinfonici da eseguire fra un atto e l’altro, e anche con marce e danze quando la vicenda ne fornisse l’occasione, era abitudine assai diffusa nell’Ottocento, tanto in Francia quanto altrove (a Vienna vi si era impegnato più volte Beethoven, con esiti in qualche caso memorandi). A Carvalho la prospettiva interessava anche – forse soprattutto – per la possibilità di far interagire gli attori con l’orchestra nei melologhi, proponendo una sorta di contiguità fra un teatro in prosa con musica e il vero e proprio opéra-comique, nel quale le arie erano collegate l’una all’altra da dialoghi parlati anziché da recitativi: genere del quale da lì a pochi anni proprio Bizet avrebbe firmato il capolavoro più straordinario, Carmen (nella quale, forse per caso e forse no, compare ancora una volta la contesa impari fra una donna libera e forte e una fanciulla di paese ingenua e per bene, il cui amore semplice e disinteressato non riuscirà a salvare il protagonista dalla rovina). Il progetto di Carvalho fu messo in pratica da Bizet con tutta la sua fantasia di compositore raffinatissimo e tutta la sua intelligenza di uomo di teatro a dir poco formidabile. Nacquero così ventisette pezzi, aperti ovviamente da una Ouverture, e comprendenti altrettanto ovviamente altre pagine sinfoniche potenzialmente indipendenti, come i quattro Entr’actes piazzati in apertura dei diversi ‘quadri’, l’Intermezzo che precede il terzo e ultimo atto, e la poi celeberrima Farandole, destinata a rappresentare in sede colta il folclore della Provenza; ma con una prevalenza significativa di mélodrames, a volte brevissimi, in altri casi più estesi, affidati all’orchestra ma anche con brevi interventi corali, a circondare e proseguire le parole degli attori, sottolineandone le implicazioni psicologiche ben al di là di una semplice decorazione sonora. Bizet stesso diresse un complesso strumentale ridotto, forse per ragioni di prudenza economica, ma alle nostre orecchie addirittura profetico di certo Novecento, anche per la distribuzione anomala delle forze nei diversi settori (due flauti, un oboe, un clarinetto, due fagotti e un saxofono; due corni; un timpanista-percussionista; un tastierista ad alternarsi fra pianoforte e organo; quattro violini primi, tre secondi, una viola, cinque violoncelli e due contrabbassi, per un totale di ventisei esecutori), e un coretto in cui i cantori agivano anche da comparsa. Una rete sottile ma solida di motivi conduttori, esposti nell’Ouverture e ripresi in seguito con perfetta puntualità narrativa, dava a questi melologhi un significato scenico fortissimo, attraverso l’evocazione di personaggi e situazioni, collegandosi ai pezzi sinfonici veri e propri e agli interventi corali che sottolineano la cornice collettiva, tipica di una società contadina, della vicenda, in una partitura valida teatralmente non meno che musicalmente, più sperimentale e innovativa che non ibrida come potrebbe sembrarci: nella quale, fra l’altro, sembra assumere speciale importanza la figura modernissima dell’Innocente, il cui risveglio dal ritardo mentale coincide, simbolicamente, con il balzo verso il nulla di Fréderi. Ricca di colore, e di color locale provenzale, come nella vivacità fantastica della Farandole o nella dimensione popolaresca, del resto trattata con discrezione estrema, degli inserti corali, la musica qui si impone peraltro anzitutto come esempio di flessibilità e pertinenza narrativa, rivelandosi tanto più profonda quanto meno aggressiva o invadente, secondo quella cifra di leggerezza ed eleganza che fu sempre il connotato più prezioso dell’arte di Georges Bizet, e conciliando con equilibrio perfetto estroversione ritmica e scorrevolezza melodica, plein air naturalistico e introspezione. Anzitutto grazie ai melologhi, oltre che alla qualità e al fascino dei pezzi strumentali o comunque autosufficienti, l’operazione di Carvalho, Daudet e Bizet riuscì originale, e potenzialmente vincente proprio in quanto capace di proporre una ‘terza via’ fra teatro di prosa puro e semplice e teatro musicale vero e proprio. Ma lo spettacolo al Vaudeville fu un bel fiasco, per Daudet completando il quadro di un anno davvero poco fortunato (sempre nel 1872 uscì il suo capolavoro, Tartarin, accolto anch’esso malissimo). Fu invece ricevuta bene la musica, al punto da indurre Bizet a salvarne quattro pezzi, l’Ouverture, l’Intermezzo (Minuetto), il quarto Entr’acte e il terzo (Carillon), rielaborati per grande orchestra in una prima suite sinfonica, che poteva esser letta addirittura come una piccola sinfonia. Questa riuscì così felice che dopo la sua morte ne fu creata una seconda, preparata e orchestrata dallo stesso Ernest Guiraud cui si devono i recitativi, pure postumi, appiccicati a Carmen per trasformarla in un’opera in piena regola e garantirle circolazione internazionale, comprendente la poi fortunatissima Farandole che probabilmente non per caso Bizet non aveva pensato di utilizzare nella sua sintesi. In entrambe le suite (e forse in quella di Guiraud più che non nella prima) la musica di Bizet diventa in parte altra cosa rispetto all’originale: con l’accentuazione del carattere asetticamente folclorico, e di conseguenza con un’identità più ottimistica e meno psicologicamente sfumata. La stessa fortuna in sede di concerto di questi estratti combinandosi con la disparizione dalle scene dell’Arlésienne come pièce con musica relegò nell’ombra il tessuto articolatissimo e ampio dei melologhi, per molto tempo la valenza drammatica dell’Arlesiana di Daudet rimase limitata all’opera che ne trasse nel 1897 Francesco Cilea, forse tentato dalla sfida di musicare un melodramma la cui protagonista nonché cantare manco compare in scena, nonché ad alcune riduzioni cinematografiche. Oggi invece, recuperata nella sua interezza nell’edizione critica di Giacomo Zani, e riconnessa al dramma, qui tradotto e sintetizzato da Vincenzo De Vivo fino a impegnare un’unica voce recitante, la partitura recupera a sua volta la funzione originaria, caratterizzandosi come un autentico capolavoro di caratterizzazione drammatica. blanquette traduzione Non? Vous ne voulez pas ? Vous prétendez rester libre à votre guise jusq’au bout... Eh bien, écoutez un peu l’histoire de la chèvre de M. Seguin. Vous verrez ce que l’on gagne à vouloir vivre libre. Ah no? Non volete? Pretendete di rimanere liberi a vostro piacimento fino alla fine? Ebbene, ascoltate un po’ la storia della capra del signor Seguin. Vi renderete conto di quel che si guadagna a voler vivere liberi. M. Seguin n’avait jamais eu de bonheur avec ses chèvres. Il les perdait toutes de la même façon : un beau matin, elles cassaient leur corde, s’en allaient dans la montagne, et là-haut le loup les mangeait. Ni les caresses de leur maître, ni la peur du loup, rien ne les retenait. C’était, paraît-il, des chèvres indépendantes, voulant à tout prix le grand air et la liberté. Le brave M. Seguin, qui ne comprenait rien au caractère de ses bêtes, était consterné. Il disait : - C’est fini ; les chèvres s’ennuient chez moi, je n’en garderai pas une. Cependant, M. Seguin il ne se découragea pas, et, après avoir perdu six chèvres de la même manière, il en acheta une septième ; seulement, cette fois il eut soin de la prendre toute jeune, pour qu’elle s’habituât mieux à demeurer chez lui. Qu’elle était jolie la petite chèvre de M. Seguin ! Qu’elle était jolie avec ses yeux doux, sa barbiche de sous-officier, ses sabots noirs et luisants, ses cornes zébrées et ses longs poils blancs qui lui faisaient une houppelande ! C’était presque aussi charmant que le cabri d’Esmeralda et puis docile, caressante, se laissent traire sans bouger, sans mettre son pied dans l’écuelle. Un amour de petite chèvre. Il signor Seguin non aveva mai avuto fortuna con le sue capre. Le perdeva tutte nello stesso modo: una bella mattina spezzavano le loro corde, se ne andavano sulla montagna e lassù il lupo se le mangiava. Né le carezze del padrone, né la paura del lupo, niente le fermava. A quanto pare, erano capre indipendenti, vogliose a ogni costo di spazi aperti e di libertà. Il buon signor Seguin, che non capiva nulla dell’indole delle sue bestie, era costernato. Diceva: - Niente da fare; da me le capre si annoiano e non ne avrò più una. Tuttavia non si scoraggiava, e, dopo aver perduto allo stesso modo sei capre, ne comprò una settima; stavolta, però, ebbe il buon senso di prenderla assai giovane, affinché si avvezzasse a stare con lui. Quant’era carina, la capretta del signor Seguin! Quant’era carina, con quei suoi occhi dolci, la sua barbetta da sottufficiale, i suoi zoccoletti neri e lucenti, le sue corna zebrate e il suo lungo pelo bianco che le faceva da cappottino! Era graziosa quasi quanto il capretto di Esmeralda, e poi, docile e carezzevole, si lasciava mungere senza muoversi, senza mettere le zampe nella scodella. Un amore di capretta. M. Seguin avait derrière sa maison un clos entouré d’aubépines. C’est là qu’il mit la nouvelle pensionnaire. Il l’attacha à un pieu, au plus bel endroit du pré, et de temps en temps il venait voir si elle était bien. La chèvre se trouvait très heureuse et broutait l’herbe de si bon coeur que M. Seguin était ravi. - Enfin, pensait le pauvre homme, en voilà une qui ne s’ennuiera pas chez moi ! M. Seguin se trompait : sa chèvre s’ennuya. Dietro casa sua il signor Seguin teneva un terreno circondato da biancospini. Fu lì che mise la nuova ospite. L’attaccò a un palo, nel posto più bello del prato, e di quando in quando si recava a vedere se stava bene. La capretta si trovava a meraviglia e brucava l’erba così volentieri da render felice il signor Seguin. - Finalmente, pensava il pover’uomo, eccone una che non si annoierà con me! Ma si sbagliava: la sua capra prese ad annoiarsi. Un jour, Blanquette se dit en regardant la montagne : - Comme on doit être bien là-haut ! Quel plaisir de gambader dans la bruyère, sans cette maudite longe qui vous écorche le cou !... C’est bon pour l’âne ou pour le boeuf de brouter dans un clos !... Les chèvres, il leur faut du large. A partir de ce moment, l’herbe du clos lui parut fade. L’ennui lui vint. Elle maigrit, son lait se fit rare. C’était pitié de la voir tirer tout le jour sur sa longe, la tête tournée du côté de la montagne, la narine ouvert, en faisant Mê !... tristement. M. Seguin s’apercevait bien que sa chèvre avait quelque chose, mais il ne savait pas ce que c’était... Un matin, comme il achevait de la traire, la chèvre se retourna et lui dit dans son patois : - Écoutez, monsieur Seguin, je me languis chez vous, laissez-moi aller dans la montagne. - Ah ! mon Dieu !... Elle aussi ! cria M. Seguin stupéfait, et du coup il laissa tomber son écuelle ; puis, s’asseyant Un giorno, guardando verso la montagna Blanquette si disse: - Come deve essere bello lassù! Che piacere sgambettare nella radura, senza questa dannata corda che scortica il collo!... Brucare l’erba in un luogo chiuso va bene per l’asino o per il bue!... Le capre hanno bisogno di grande spazio. Da quel momento, l’erba del recinto le parve insipida. La noia la vinse. Dimagrì, il latte si fece scarso. Faceva pena vederla tirare la corda tutto il giorno, con la testa rivolta alla montagna, le narici aperte, facendo Mé! tristemente. Il signor Seguin si accorse che la capretta aveva qualcosa, ma non sapeva che cosa fosse... Un mattino, al termine della mungitura, lei gli si rivolse nel suo gergo: - Ascoltate, signor Seguin, qui da voi muoio dalla noia, lasciatemi andare nella montagna. - Ah! Mio Dio! Anche lei! gridò stupefatto il signor Seguin, e di colpo lasciò cadere la scodella. Poi, sedendosi dans l’herbe à côté de sa chèvre: - Comment, Blanquette, tu veux me quitter ! Et Blanquette répondit : - Oui, monsieur Seguin. - Est-ce que l’herbe te manque ici ? - Oh ! non ! monsieur Seguin. - Tu es peut-être attachée de trop court ; veux-tu que j’allonge la corde ? - Ce n’est pas la peine, monsieur Seguin. - Alors, qu’est-ce qu’il te faut ? qu’estce que tu veux ? - Je veux aller dans la montagne, monsieur Seguin. - Mais, malheureusement, tu ne sais pas qu’il y a le loup dans la montagne... Que feras-tu quand il viendra ?... - Je lui donnerais des coups de corne, monsieur Seguin. - Le loup se moque bien de tes cornes. Il a mangée des biques autrement encornées que toi... Tu sais bien, la pauvre Renaude qui était ici l’an dernier ? une maîtresse de chèvre, forte et méchante comme un bouc. Elle s’est battue avec le loup toute la nuit... puis, le matin, le loup l’a mangée. - Pécaïre ! Pauvre Renaude !... Ça ne fait rien, monsieur Seguin, laissez-moi aller dans la montagne. - Bonté divine !... dit M. Seguin ; mais qu’est-ce qu’on leur fait donc à mes chèvres ? Encore une que le loup va me manger... Eh bien, non... je te sauverai malgré toi, coquine ! Et de peur que tu ne rompes ta corde, je vais t’enfermer dans l’étable, et tu y resteras toujours. Là-dessus, M. Seguin emporta la chèvre dans une étable toute noire, dont il ferma la porte à double tour. sull’erba accanto alla capra: - Ma come, Blanquette! Vuoi lasciarmi! E Blanquette rispose: - Sì, signor Seguin. - Forse qui ti manca l’erba? - Oh no, signor Seguin! - Forse la corda è troppo corta. Vuoi che te l’allunghi? - Non ne vale la pena, signor Seguin. - E dunque, che cosa ti manca? Che cosa vuoi? - Voglio andare sulla montagna, signor Seguin. - Maledizione, ma non sai che sulla montagna c’è il lupo?... Che cosa farai quando lo incontrerai? - Gli darò delle belle incornate, signor Seguin. - Il lupo non se ne fa niente delle tue corna. Mi ha mangiato capre con corna ben più forti delle tue... Sai della Renaude che stava qui l’anno scorso? Un pezzo di capra, forte e fiera come un caprone. Si è battuta con il lupo tutta la notte... poi, la mattina dopo, lui l’ha divorata. - Peccato! Povera Renaude!... Ma non fa nulla, signor Seguin: lasciatemi andare sulla montagna. - Bontà divina! disse il signor Seguin; ma chi ha compiuto fatture contro le mie capre? Pure questa verrà mangiata dal lupo... Ma no!... io ti salverò che tu lo voglia o no, birbante! E per impedirti di rompere la corda ti chiuderò nella stalla e ci rimarrai per sempre. Così, il signor Seguin trascinò la capra in una stalla buia e chiuse la porta a doppia mandata. Ma purtroppo aveva dimenticato la Malheureusement, il avait oublié la fenêtre, et à peine eut-il le dos tourné, que la petite s’en alla... Vous riez, Messieurs ? Parbleu ! Je crois bien, vous est du parti des chèvres, vous, contre ce bon M. Seguin... Nous allons voir si vous rirez tout à l’heure. Quand la chèvre blanche arriva dans la montagne, ce fut un ravissement général. Jamais les vieux sapins n’avaient rien vu d’aussi joli. On la reçut comme une petite reine. Les châtaigniers baissent jusqu’à terre pour la caresser du bout de leurs branches. Les genêts d’or s’ouvraient sur son passage, et sentaient bon tant qu’ils pouvaient. Toute la montagne lui fit fête. Vous pensez, Messieurs, si notre chèvre était heureuse ! Plus de corde, plus de pieu... rien qui l’empêchât de gambader, de brouter à sa guise... C’est là qu’il y en avait de l’herbe ! Jusque par-dessus les cornes, mes chers !... Et quelle herbe ! Savoureuse, fine, dentelée, faite de mille plantes... C’était bien autre chose que le gazon du clos. Et les fleurs donc !... De grandes campanules bleues, des digitales de pourpre à longs calices, toute une forêt de fleurs sauvages débordant de sucs capiteux !... La chèvre blanche, à moitié soûle, se vautrait là-dedans les jambes en l’air et roulait le long des talus, pêle-mêle avec les feuilles tombées et les châtaignes... Puis, tout à coup, elle se redressait d’un bond sur ses pattes. Hop ! La voilà partie, la tête en avant, à travers les maquis et les buissières, tantôt sur un pic, tantôt au fond d’un ravin, là-haut, finestra aperta, e non appena voltò le spalle la piccola fuggì... Ridete, signori? Perbacco! Lo credo bene: voi siete dalla parte delle capre, voi, contro il buon signor Seguin... Vediamo se tra poco riderete ancora. Quando la bianca capra arrivò in montagna, fu un incanto generale. Mai i vecchi abeti avevano visto una creatura così bella. La si ricevette come una piccola regina. I castagni si abbassavano fino a terra per accarezzarla con la punta dei loro rami. Le ginestre dorate s’aprivano al suo passaggio e spargevano tutto il loro profumo. La montagna tutta le fece festa. Pensate, signori, quanto fosse felice la nostra capretta! Non più corda, non più palo... niente che le impedisse di sgambettare e di brucare a piacimento... Ne aveva in abbondanza, di erba! Fin sopra le corna, cari miei!... e che erba! Squisita, tenera, dentellata, insomma di ogni genere... Tutt’altra cosa che l’erbuccia del recinto. E che dire dei fiori!... Grandi campanule celesti, digitali rosso porpora dai lunghi calici, tutta una foresta di fiori di campo pieni di succhi inebrianti!... Mezza ubriaca, la capra bianca si allungava a zampe all’aria e si rotolava lungo i pendii, in mezzo alle foglie cadute e alle castagne... Poi, di colpo si rialzava sulle zampe. Hop! Eccola partire a testa in avanti attraverso le macchie e i cespugli, prima su un picco, poi sul fondo di un burrone, in alto, in basso, ovunque... Si sarebbe detto che sulla montagna ci fossero en bas, partout... On aurait dit qu’il y avait dix chèvres de M. Seguin dans la montagne. C’est qu’elle n’avait peur de rien, la Blanquette ! Elle franchissait d’un saut des grands torrents qui l’éclaboussaient au passage de poussière humide et d’écume. Alors, toute ruisselant, elle allait s’étendre sur quelque roche plate et se faisait sécher par le soleil... Une fois, s’avançant au bord d’un plateau, une fleur de cytise aux dents, elle aperçut en bas, tout en bas dans la plaine, la maison de M. Seguin avec le clos derrière. Cela la fit rire aux larmes. - Que c’est petit ! dit-elle ; comment ai-je pu tenir là-dedans ? Pauvrette ! de se voir si haut perchée, elle se croyait au moins aussi grande que le monde... En somme, ce fut une bonne journée pour la chèvre de M. Seguin. Vers le milieu du jour, en courant de droite et de gauche, elle tomba dans une troupe de chamois en train de croquer une lambrusque à belles dents. Notre petite coureuse en robe blanche fit sensation. On lui donna meilleure place à la lambrusque, et tous ces messieurs furent très galants... Tout à coup le vent fraîchit. La montagne devient violette ; c’était le soir... - Déjà ! dit la petite chèvre ; et elle s’arrêta fort étonnée. En bas, les champs étaient noyés de brume. Le clos de M. Seguin disparaissait dans le brouillard, et de la maisonnette on ne voyait plus que le toit avec un peu de fumée. Elle dieci capre del signor Seguin. Non aveva paura di nulla, Blanquette! Con un balzo superava grandi torrenti che le spruzzavano polveri umide e spumose. Allora correva grondante a stendersi su una roccia piatta per asciugarsi al sole... Una volta, avanzandosi sul ciglio di un altopiano con un fiore di citiso tra i denti, scorse giù giù nella pianura la casa del signor Seguin con il recinto sul retro. Scoppiò a ridere fino alle lacrime. - Come è piccolo! disse; e come ho potuto stare là dentro? Poveretta! Nel vedersi appollaiata a quell’altezza s’illudeva di essere grande quanto il mondo... Quella fu insomma una bellissima giornata per la capra del signor Seguin. Verso mezzogiorno, correndo a destra e a manca, s’imbatté in un branco di camosci intenti a sgranocchiare una lambrusca a quattro palmenti. La nostra piccola vagabonda in abito bianco fece sensazione. Le si riservò il posto migliore per mangiare la lambrusca, e tutti quei signori furono così galanti con lei... D’un tratto il vento raffrescò. La montagna divenne violetta. Era la sera... - Di già! disse la capretta; si fermò come stupita. Nella pianura i campi erano immersi nella nebbia. Il recinto del signor Seguin era ormai scomparso, e della sua casetta si distingueva solo il tetto e un filo di fumo. All’udire le campanelle di un gregge che rientrava, écouta les clochettes d’un troupeau qu’on ramenait, et se sentit l’âme toute triste... Un gerfaut, qui rentrait, la frôla de ses ailes en passant. Elle tressaillit... puis ce fut un hurlement dans la montagne : - Hou ! hou ! Elle pensa au loup ; de tout le jour la folle n’y avait pas pensée... Au même moment, une trompe sonna bien loin dans la vallée. C’était ce bon M. Seguin qui tentait un dernier effort. - Hou ! hou !... faisait le loup. - Reviens ! reviens !... criait la trompe. Blanquette eut envie de revenir ; mais en se rappelant le pieu, la corde, la haie du clos, elle pensa que maintenant elle ne pouvait plus se faire à cette vie, et qu’il valait mieux rester. La trompe ne sonnait plus... La chèvre entendit derrière elle un bruit de feuilles. Elle se retourna et vit dans l’ombre deux oreilles courtes, toute droites, avec deux yeux qui reluisaient... C’était le loup. il suo animo si rattristò... Un falco, che tornava al nido, le passò di fianco sfiorandola con le sue ali. Trasalì... poi un ululato nella montagna: - Uh! uh! Le venne in mente il lupo. In tutto il giorno la folle non ci aveva pensato... Nello stesso momento, il suono di un corno riecheggiò lontano lontano nella vallata. Era il buon signor Seguin che faceva un estremo tentativo. - Uh! uh!... faceva il lupo. - Torna! torna!... gridava il corno. A Blanquette venne il desiderio di tornare, ma rammentandosi il palo, la corda, la siepe del recinto pensò che ormai non poteva più adattarsi a quella vita e che valeva la pena rimanere. Il corno non suonava più... La capra udì dietro di sé un fruscio di foglie. Si voltò e vide nell’ombra due corte orecchie, tutte dritte, e due occhi luccicanti... Era il lupo. Enorme, immobile, assis sur son train de derrière, il était là, regardant la petite chèvre blanche et la dégustant par avance. Comme il savait bien qu’il la mangerait, le loup ne se pressait pas ; seulement, quand elle se retourna, il se mit à rire méchamment. - Ha ! ha ! la petite chèvre de M. Seguin ! et il passa sa grosse langue rouge sur ses babines d’amadou. Blanquette se sentit perdue... Un moment, en se rappelant l’Histoire de la vieille Renaude, qui s’était battue toute la nuit pour être mangée le matin, elle se dit qu’il vaudrait peutêtre mieux se laisser manger tout de suite ; puis, s’était ravisée, elle tomba Enorme, immobile, seduto sulle zampe posteriori, era lì, a fissare la capretta bianca pregustandone il sapore. Ben sapendo che se la sarebbe mangiata, il lupo non aveva alcuna fretta; soltanto, quando la capretta si voltò, si mise a ridere con cattiveria. - Ah! ah! la capretta del signor Seguin! e si passò la sua grossa lingua rossa sulle labbra. Blanquette si sentì perduta... Per un momento, ricordandosi la storia della vecchia Renaude, che si era battuta tutta la notte per essere mangiata il mattino, si disse che forse sarebbe stato meglio lasciarsi divorare subito; ma poi si ricredette e si mise in en garde, la tête basse et la corne en avant, comme une brave chèvre de M. Seguin qu’elle était... Non pas qu’elle eût l’espoir de tuer le loup – les chèvres ne tuent pas le loup –, mais seulement pour voir si elle pourrait tenir aussi longtemps que la Renaude... Alors le monstre s’avança, et les petites cornes entrèrent en danse. Ah ! la brave chevrette, comme elle y allait de bon coeur ! Plus de dix fois, je ne mens pas, elle força le loup à reculer pour reprendre haleine. Pendant ces trêves d’une minute, la gourmande cueillait en hâte encore un brin de sa chère herbe ; puis elle retournait au combat, la bouche pleine... Cela dura toute la nuit. De temps en temps, la chèvre de M. Seguin regardait les étoiles danser dans le ciel clair, et elle disait : - Oh ! Pourvu que je tienne jusqu’à l’aube... L’une après l’autre, les étoiles s’éteignirent. Blanquette redoubla de coups de cornes, le loup de coups de dents... une lueur pâle parut dans l’horizon... Le chant d’un coq enroué monta d’une métairie. - Enfin ! dit la pauvre bête, qui n’attendait plus que le jour pour mourir ; et elle s’allongea par terre dans sa belle fourrure blanche toute taché de sang... Alors le loup se jeta sur la petite chèvre et la mangea. Adieu, messieurs ! L’histoire que vous avez entendue n’est pas un conte de mon invention. Si jamais vous viendrez en Provence, nos ménagers vous parleront souvent de la cabro de moussu Seguin, que se battégue touto la neui emé lou loup, e piei lou matin lou loup la mangé. guardia, testa bassa e corna avanti, da quella brava capra del signor Seguin che era... Non che sperasse di uccidere il lupo – le capre non uccidono i lupi –, ma solo per vedere se potesse tenergli testa a lungo quanto la Renaude... Il mostro dunque s’avanzò, e le piccole corna aprirono le danze. Ah! coraggiosa capretta, quanto ci si buttava! Più di dieci volte, vi assicuro, costrinse il lupo a indietreggiare per riprender fiato. Durante queste tregue, che duravano un minuto, la golosona strappava di fretta ancora un ciuffo di quell’erba che le piaceva tanto e poi tornava a combattere con la bocca piena... Questo durò tutta la notte. Ogni tanto, la capra del signor Seguin guardava le stelle danzare nel cielo chiaro e si diceva: - Oh! Speriamo di resistere fino all’alba... L’una dopo l’altra, le stelle si spensero. Blanquette raddoppiava le incornate, il lupo i morsi... una pallida luce comparve all’orizzonte... Il canto roco di un gallo salì da una fattoria. - Finalmente! disse la povera bestia, che aspettava solo il giorno per morire; e si stese per terra nella sua bella pelliccia bianca tutta insanguinata... Allora il lupo si gettò sulla capretta e la divorò. Addio, signori! La storia che avete udito non l’ho inventata io. Se mai verrete in Provenza, i nostri fattori vi parleranno sovente della capra del signor Seguin, che si è battuta per tutta la notte con il lupo, e poi, la mattina, il lupo se l’ è mangiata. Vous m’entendez bien, messieurs : E piei lou matin lou loup la mangé. Non? Vous ne voulez pas? Vous prétendez rester libre à votre guise jusqu’au bout... rester libre à votre guise... rester libre ! Mi avete inteso bene, signori: E poi, la mattina, il lupo se l’ è mangiata. Ah no? Non volete? Pretendete di rimanere liberi a vostro piacimento fino alla fine... rimanere liberi a vostro piacimento... rimanere liberi! (traduzione di Cesare Mancini) l’arlésienne (Il testo in corsivo è recitato sulla musica) n. 1 - ouverture Si chiamava Frédéri. Era un bravissimo contadino di vent’anni, giudizioso come una ragazza, forte e dal viso aperto. Era bellissimo e le donne lo guardavano. Nella sua testa però c’era una sola donna, una graziosa arlesiana tutta velluti e merletti, conosciuta un giorno sulla Lice di Arles. All’inizio, questa storia non piaceva a nessuno. La ragazza passava per essere una civetta e poi i suoi genitori erano forestieri. Ma Frédéri voleva la sua Arlesiana, a tutti i costi. “Morrò se non me la danno”, diceva. Non ci fu modo di convincerlo altrimenti. Le nozze si sarebbero celebrate dopo la mietitura. Una domenica sera la famiglia di Frédéri stava finendo di cenare nella corte. Fuori della porta il vecchio pastore Balthazar era rimasto a fumare, in compagnia del ragazzo piu giovane, Janet, che tutti chiamavano ‘l’innocente’ perché la sua mente s’era fermata alla prima infanzia. Padron Francet apparve sulla porta. Era visibilmente preoccupato per quel matrimonio e desiderava parlarne col vecchio pastore: “Mia figlia Rose non voleva ch’io ti dicessi nulla prima che tutto fosse deciso disse a Balthazar -, ma non mi pare che tra noi debbano esserci segreti... e poi non mi dispiacerebbe sapere il tuo parere.” ATTO PRIMO n. 2 - melologo “Raccontami che fece il lupo alla capra del Signor Séguin. - chiese Janet, l’innocente. - Raccontamelo un’altra volta.” “Lascia stare, Balthazar…” disse Patron Francet, ma il vecchio Balthazar aveva già cominciato a raccontarla, la solita storia. In quel momento Rose uscì dalla porta e, lanciando un’occhiata distratta all’innocente, chiese: “Badi tu al ragazzo, Balthazar?” “Certo, padrona. Andate pure di là. Ci penso io...” rispose il pastore. n. 3 - melologo “Povero innocente... - pensò tra sé il pastare - Vorrei sapere chi si occuperà di lui, quando io non sarò più qui. Non hanno occhi che per suo fratello.” “Raccontami cos’ha fatto il lupo alla capra del Signor Séguin”, continuava a chiedere Janet. n. 4 - melologo “Da un po’ di tempo mi sembra che in quel piccolo cervello qualcosa si stia muovendo, come nel bozzolo del baco da seta, quando sta per uscire la farfalla. Si sveglierà questo bambino, sono sicuro che si sveglierà!”, pensava fiducioso Balthazar. Quella domenica stavano tutti ancora a tavola. Era stato quasi un pranzo di nozze. La fidanzata non c’era, ma tutti avevano bevuto alla sua salute... A quel pranzo era invitata anche Vivette, la dolce e timida nipote della vecchia signora Renaud, quella che viveva dall’altra sponda del Rodano. Vivette era la figlioccia di Rose e da sempre frequentava quella casa. Si era innamorata di Frédéri quando era solo una bambina. Un amore inconfessato. Ma Rose se n’era accorta, e se n’era accorto anche l’innocente, che l’aveva vista mentre baciava di nascosto il ritratto del giovane amato. “Povera piccola Vivette - pensò il vecchio Balthazar, continuando a fumare sulla porta della fattoria. - Sarà infelice per la vita. Amare in silenzio e soffrire... è il suo destino. Come sua nonna Renaud...” Fu allora che un uomo si presentò al cancello. Balthazar alzò la testa e lo vide: “cosa vuole quest’uomo?”, pensò. n. 5 - melologo “Dite, pastore, è questa la fattoria di Castelet?” “Sembra proprio di sì.” rispose Balthazar. “C’è il padrone?” “È a tavola, entrate.” “No, non entro. Chiamatelo fuori.” “Strana cosa.” - pensò il vecchio pastore, e, continuando a fumare, chiamò – “Padron Francet!” “Che c’e?” “Un uomo ti vuole parlare.” “E perché non viene dentro? - chiese Francet, uscendo. - Avete paura che il tetto vi cada in testa?” - disse allo sconosciuto. “Mi chiamo Mitifio, padrone. So che volete far sposare vostro nipote con una poco di buono che per due anni è stata la mia amante. Posso dimostrare quello che dico. Ecco: le lettere sono qua! I suoi genitori sapevano tutto di noi e me l’avevano promessa in sposa. Ma da quando vostro nipote si è intestardito a volerla né lei né loro hanno più voluto saperne di me. Con quello che è passato tra noi, non avrei mai pensato che potesse diventare la donna di un altro.” n. 6 - melologo “Tranquillizzatevi. - disse con tono grave patron Francet Non saremo certo noi a togliervela… Venite piuttosto a bere un bicchiere, la strada per tornare è lunga.” “Grazie, ma i dispiaceri mi hanno tolto la sete.” E, come era venuto, se ne andò. “La donna è come la tela… non la si deve scegliere al lume di candela”, mormorò gravemente Balthazar, mentre appariva sulla porta Frédéri, con un sorriso stampato in viso ed un bicchiere in mano: “Nonno, venite dentro! Altrimenti berremo senza di voi… Andiamo, vecchio, brindiamo aIl’arlesiana!” “No, ragazzo mio... getta subito il bicchiere…. questo vino ti avvelenerebbe!” “Cosa dite, nonno?” “Dico che quella donna è l’ultima di tutte e che, per rispetto di tua madre, il suo nome non deve più essere pronunciato qui. Leggi!” E, così dicendo, gli porse le lettere. Frédéri non parlò più dell’Arlesiana. Però l’amava sempre e più che mai, ma era troppo fiero per parlarne con chiunque. A volte passava giorni interi in un angolo senza muoversi, altre volte andava nei campi facendo da solo il lavoro di dieci braccianti. Quando veniva sera prendeva la strada di Arles e camminava fino a quando non scorgeva di lontano, nella luce del tramonto, gli esili campanili della città e solo allora tornava indietro. ATTO SECONDO n. 7 - pastorale (intermezzo e coro) Un giorno Frédéri non tornò a pranzo dai campi. Sua madre Rose andò a cercarlo fin sulle rive dello stagno di Vaccarès, dove sperava di trovarlo con suo fratello, lo zio Marc, che era andato a caccia. Prese con lei la figlioccia Vivette. Ma il ragazzo non era con lo zio e l’ansia di Rose crebbe a dismisura. “Non tormentatevi così, madrina. - diceva Vivette - Avete le mani fredde.” “Vorrei che le dighe del Rodano crollassero e che le acque portassero via la città di Arles con tutti quelli che ci sono dentro.” “Pensa ancora a quella ragazza?” chiese Vivette. “Se ci pensa… si tormenta!” “Eppure non ne parla mai.” “È troppo orgoglioso” affermò Rose. “Come fare, allora, per strappare quella donna dal suo cuore?” “Ci vorrebbe... un’altra donna! - disse Rose - Una creatura buona... onesta... coraggiosa… come te. Tu l’ami, tu sei bella. Va’! Va’ da lui, cercalo, portalo con te. È una madre che te lo chiede. Va’!” E guardando Vivette allontanarsi, pensò: “Fossi io al tuo posto, saprei come fare.” n. 8 - andantino “Allora, padrona, l’avete trovato?” Era Balthazar col suo gregge e con l’innocente, che avanzavano lungo la sponda dello stagno. “No - rispose mamma Rose - forse è andato alla fattoria dei Giraud” e prese il braccio del ragazzo per portarlo via con sé. “No, mamma, voglio stare qui.” “Lasciatelo con me - disse Balthazar - ve lo rimanderò a sera.” “Questo ragazzo vuole più bene a te che a noi” “Non è colpa sua. È che il ragazzo si sente un po’ abbandonato.” “Abbandonato? Cosa vuoi dire? Abbandonato! Gli manca forse qualcosa?” disse Rose, infastidita. “Gli manca un po’ di tenerezza. Lui ne ha diritto almeno quanto suo fratello. Ve l’ho sempre detto, padrona.” “Peccato che tu non sia un prete. Predicheresti bene. Addio.” Poi Rose salutò suo figlio, l’innocente, abbracciandolo e tenendolo stretto stretto. n. 9 - allegretto Rimasti soli, Janet tirò per la manica Balthazar, e, felice, gli mormorò: “Mi ha abbracciato forte forte”. “Povero ragazzo - disse tra sé Balthazar - non era per te quell’abbraccio.” Ma l’innocente si era messo a correre spensierato, verso lo stazzo dove a sera sarebbero state rinchiuse le pecore. Alla porta dello stazzo si arrestò di colpo. “Ah! - cacciò un grido - Frédéri! È qui dentro.” n. 10 - melologo “Cosa fai lì, ragazzo?” chiese sopraggiungendo Balthazar. “Niente” rispose Frédéri. “Non hai sentito tua madre che ti chiamava?” “Sì, l’ho sentita, ma non ha voluto rispondere.” Balthazar si avvicinò con tenerezza. “Conosco il tuo male. L’ho avuto anch’io. Conosco il tormento di doversi dire: io devo vietarmi di amare la donna che amo. Sai, avevo vent’anni. La casa in cui servivo non era lontana da qui, sull’altra sponda del Rodano. La moglie del padrone era bella e io me ne innamorai... No, non parlammo mai d’amore. Solo qualche volta lei veniva a sedersi di fronte a me e sorrideva, guardandomi in viso. Poi un giomo mi disse: ‘Pastore, vattene via, perché adesso sono sicura di amarti’. lo me ne andai. E non la vidi più. E dopo tanti anni, vedi, le lacrime spuntano ancora nei miei occhi quando parlo di lei. Ma è cosi. Sono contento. Ho fatto il mio dovere. Adesso tocca a te fare il tuo. Ora dammi le lettere, quelle che rileggi giorno e notte e che ti avvelenano il sangue.” “Tu dimmi il nome di quell’uomo ed io te le darò.” rispose il ragazzo. “Cosa ti serve saperlo?” “Non vuoi dirmelo? Allora le tengo per me - disse con amarezza Frédéri - Se il suo amante le rivuole è a me che dovrà chiederle!” n. 11 - coro e melologo “Va bene - disse amareggiato il vecchio Balthazar - Ora è tardi, bisogna far rientrare le pecore. Aspettami qui, innocente.” Frédéri tirò fuori dalla tasca le lettere. “Tutti gli innamorati hanno le loro lettere d’amore. - disse tra le lacrime - Io ho le mie... n. 12 - melologo “Io mi sono data a te con tutta me stessa... Oh Dio!” “Lascia perdere quelle storie cattive...” - Era Janet l’innocente, che si era avvicinato e ora con dolcezza parlava al fratello maggiore. “Te ne racconto io una più bella: Dunque, c’era una volta... c’era una volta... ricordare le parole mi stanca… e allora...” n. 13 - melologo “E allora la capretta combatté tutta la notte, e al mattino… al mattino… il lupo se la mangiò.” “Povero ragazzo, è già finita la tua storia? - pensò Frédéri - guarda, s’è addormentato mentre la raccontava.” “Vorrei dormire anch’io, come te. Ma non posso. Tutto mi parla di lei, tutto m’impedisce di dimenticarla. Anche allora, l’ultima volta che l’ho vista, era una serata come questa, l’innocente s’era addormentato sulle mie ginocchia, lei era alle mie spalle e mi ha chiamato per nome...” “Frédéri!” ll ragazzo si voltò di scatto. Ma era Vivette, adesso, a chiamarlo. Vivette che era lì per portarlo a casa, come le aveva chiesto mamma Rose, che sapeva bene che Frédéri non l’amava, ma avrebbe fatto qualunque cosa per la sua serenità. “Mi hai fatto male.” le disse il ragazzo, e scappò via furente, lasciando Vivette in lacrime. “Chi piange?” chiese Rose, sopraggiungendo nella sera. “È Vivette.” rispose l’innocente, che in quel momento si era risvegliato. “Dov’è Frédéri‘?” “È fuggito, madrina.” disse Vivette affranta. All’improvviso un colpo d’arma da fuoco si sentì da lontano. Ma era lo zio Marc che sparava agli uccelli. n. 14 - melologo “Ho paura, madrina!” confessò Vivette. “Anche tu hai paura? - disse Rose - Anche tu la pensi come me... Vedi anche tu che bisogna fare qualcosa. Non posso più vivere in questo modo.” ATTO TERZO n. 15 - intermezzo Vedendolo triste e solo la gente della fattoria non sapeva che fare. Temevano una pazzia. A tavola, la madre, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, gli disse: “Frédéri, se proprio la vuoi, te la daremo…” Ma Frédéri fece di no con la testa mentre patron Francet rimaneva immobile, rosso per la vergogna, a testa bassa. “No, mille volte no - disse ad alta voce Frédéri - la donna a cui darò il vostro nome ne sarà degna, ve lo giuro. Tu, Vivette, un giorno mi dicesti: ‘il male che una donna ti ha fatto, una donna potrà guarire.’ Vuoi essere tu, quella donna?” La ragazza arrossì. “Rispondetegli voi per me, madrina.” pregò con un fil di voce. A quelle parole il vecchio Balthazar si alzò e corse ad abbracciare con forza il ragazzo: “Dio ti benedica per la gioia che mi dai.” n. 16 - intermezzo Da quel giorno Frédéri cambiò vita. Finse di essere contento. Lo si rivide ai balli, all’osteria, alle ferrades, alle sagre. Padron Francet diceva contento: “È guarito”. Le stagioni passavano. ATTO QUARTO n. 17 - intermezzo (minuetto) E venne la festa del patrono dei fattori, Sant’Eligio. n. 18 - intermezzo (carillon) Quella sera a Castelet tutto era pronto per la festa di fidanzamento. Frédéri e Vivette sarebbero stati sposi. E alla festa non poteva mancare la nonna della futura sposa, la vecchia Renaud, quella che abitava sull’altra sponda del Rodano. Aveva passato il fiume por la prima volta dopo tanti anni. n. 19 - melologo “Eccola dunque, ancora una volta, la vecchia fattoria di Castelet... Lasciate che la guardi un poco, ragazzi miei…” pregò la vecchia Renaud. “La riconoscete?” chiese Frédéri. “Certamente. Lì ci sono i fienili, là la stanza dei bachi da seta, qui il pozzo... È possibile che il legno e la pietra mi commuovano così…” “Buon giorno, mamma Renaud” disse lo zio Marc. “Chi è questo bel signore?” chiese la nonna. “È mio fratello.” rispose Rose. “Come mi fa piacere rivedere tutte queste cose... dopo tanto tempo... dal tempo del tuo matrimonio, Francet.” “Aspettate! - disse lo zio Marc, preparando tutti alla sorpresa - Mamma Renaud, lo conoscete quello lì? Credo che sia dei vostri tempi.” “Dio mio - disse Renaud tremante - ma è Balthazar.” “Dio vi assista, Renaud. - sussurrò il vecchio, e continuò - Perdonate, è colpa mia. Sapevo che sareste venuta. Non sarei dovuto restare.” “Perché? - rispose Renaud, con un sorriso - Per mantenere il nostro giuramento? Dio non ha voluto che morissimo senza rivederci, per questo ha messo l’amore nei cuori di questi due ragazzi. In fondo doveva ricompensarci per il nostro coraggio.” “È vero, ce n’è voluto di coraggio. Quante volte vedevo il fumo dal comignolo della vostra casa, e sembrava un invito: Vieni! È là.” “Ed io, quando ti vedevo da lontano, stretto nel tuo mantello, dovevo farmi forza per non correrti incontro! Ma finalmente la nostra pena è finita e possiamo guardarci in faccia senza arrossire. Balthazar, non avrai mica vergogna ad abbracciarmi adesso, così vecchia e avvizzita dal tempo?” “Ah, Renaud.” sospirò il vecchio pastore. “Allora stringimi forte sul tuo cuore, mio buon uomo. Sono cinquant’anni che ti devo questo bacio d’amicizia.” “Vivette, ti amo.” disse allora Frédéri. “Davvero?” chiese timida Vivette. “E quell’altra? Quella che ti ha fatto tanto soffrire… Pensi ancora a lei?” “Io penso solo a te - rispose Frédéri - Vuoi che te lo giuri? Tu sei sola nel mio cuore... Il passato non esiste più!” “Allora perché tieni ancora quelle lettere con te?” “Le lettere? Non le ho più. Balthazar è andato a restituirle stamattina. Adesso, se ti dico che ti amo mi crederai?” “Dimmelo, e vedremo!” n. 20 - andante moderato Al calar della sera Mitifio tornò a Castelet. Rivoleva le sue lettere. Balthazar si stupì di vederlo. “Cosa fate qui? - disse - Le lettere sono al sicuro nelle mani di vostro padre.” “Grazie - rispose Mitifio - ma non lo sapevo. Manco da casa da due giomi. Mi sono fermato ad Arles”. “Allora la vostra storia dura ancora?” chiese il pastore. “Sempre. - rispose Mitifio - Ma non resisto più a vivere come un ladro, a nascondermi di giorno per arrivare a lei di notte. Quest’orribile vita di menzogne e malefatte sta per finire.” “La sposate?” domandò Balthazar. “No, la rapisco.” Fu allora che, uscendo dalla porta, Frédéri lo vide per la prima volta. “È lui!” pensò. “Che bisogno avevi di venire qui a rammentarmi di lei? Tu, contadino come me, vieni qui, appena uscito dal suo letto e con i suoi baci ancora sulla bocca.” n. 21 - melologo e coro (faràndola) “E adesso te ne andrai per il mondo abbracciato alla tua amante, mentre in questa casa altre donne dovranno piangere. Ma non sarà così. Difenditi, bandito. Difenditi, che ti ammazzo. Non voglio morire da solo.” gridò Frédéri mentre afferrava un martello e lo roteava in aria. “Cosa fai, sciagurato?” chiese accorrendo il vecchio Balthazar, e gli afferrò il braccio con tutta la forza. “No, lasciami… prima lui, poi la sua arlesiana.” “Andatevene, signore, per amor del cielo.” gridò Vivette. “Vattene - disse il pastore - Le lettere sono a casa tua, le ho date a tuo padre.” “Fermatelo!” urlò Frédéri, cercando di liberarsi dalla stretta del vecchio, mentre Mitifio s’allontanava in silenzio. “Calmati, Frédéri.” - disse Vivette, in lacrime - sta arrivando tua madre.” “Cosa è successo? Cosa sono tutte queste grida?” disse Rose, spaventata. “Niente! È la faràndola, madrina, solo la faràndola.” ATTO QUINTO n. 22 - intermezzo La festa di Sant’Eligio continuò, tra fiumi di Château-Neuf e vino cotto come se piovesse. E ancora petardi e fuochi d’artificio tra gli alberi carichi di lanterne. “Viva Sant’Eligio!” gridavano tutti. Si ballò la faràndola fino a non reggersi in piedi. n. 23 - coro A mezzanotte andarono a dormire. Rose era divorata dalla paura. Frédéri dormiva con Janet, l’innocente, vicino alla stanza dei bachi da seta. La madre si era fatta mettere un letto vicino alla loro camera… I bachi possono aver bisogno di qualcuno, di notte... “Essere madre è l’inferno… - pensava tra sé - Quel ragazzo! Sono stata sul punto di morire quando l’ho messo al mondo. Poi è stato malato per tanti anni. A quindici anni ha avuto una ricaduta tremenda. L’ho salvato quasi per miracolo... E adesso che ne ho fatto un uomo, così forte, bello, onesto, adesso non pensa che a togliersi la vita, e per difenderlo da sé stesso sono costretta a vegliare davanti alla sua porta, come quando era piccolo. Ma la tua vita è mia, cattivo ragazzo. Io te l’ho data, te l’ho restituita venti volte. Lo sai tu che c’è voluta tutta la mia gioventù per fare i tuoi vent’anni. E adesso vuoi distruggere l’opera mia. Quello che ho fatto per lui adesso lui dovrebbe farlo per me. Povere madri: siamo davvero da compiangere. Diamo tutto e non riceviamo niente. Siamo noi le amanti che vengono sempre abbandonate. E siamo le sole fedeli.” n . 24 - coro Un rumore la fece sobbalzare. “Chi è là?” “Silenzio, mamma. - era l’innocente - Frédéri s’è addormentato. Va’ a letto anche tu, dormi tranquilla… stanotte non succederà nulla.” “Allora tu sai...” disse Rose incredula. “So che mio fratello ha un grande dolore e tu mi fai dormire con lui perché non gli succeda qualcosa di male... Così io dormo con un occhio solo.” n. 25 - melologo “Perché mi guardi così, mamma… Ti stupisci che io veda le cose e ci ragioni? Eppure Balthazar lo diceva: ‘Si sveglia, si sveglia...” “È possibile? Il mio povero innocente…” diceva Rose. “Il mio nome è Janet, mamma. Non ci sono più innocenti in questa casa.” “Non ci sono più innocenti… Taci, non dirlo!” “Ma perché, mamma?” “Nulla, perdonami figlio mio, sto impazzendo... il pastore, con le sue storie... Vieni, figlio mio, lascia che ti guardi… Mi sembra di non averti mai visto... come se tu fossi un altro figlio che m’arriva... Ma lo sai che somigli a Frédéri? C’è una luce nei tuoi occhi, ora...” “Sì, mamma, credo di essermi proprio svegliato... Ma ora ho tanto sonno e vado a letto perché non mi reggo in piedi. Mi abbracci ancora una volta, mamma?” “Figlio mio! Te ne devo tante di queste carezze.” “Ecco, non ci sono più innocenti in questa casa... Ma forse questo porta sventura... No, Dio mio, cosa sto dicendo? Io non merito la felicità che mi sta arrivando... No, non è possibile. Dio non può renderrni un figlio per togliermene un altro!” Si alzò, gettò lo sguardo all’immagine della Madonna che stava sul muro e appoggiò l’orecchio alla porta della camera dei ragazzi. n. 26 - melologo “Tutto è calmo… dormono entrambi.” Ma già da un po’ Frédéri non dormiva più. Disteso, con gli occhi aperti, pensava: “Ecco il giorno. Sarà come nella storia del pastore. La capretta ha combattuto tutta la notte ed al mattino… al mattino... È terribile. L’immagine di lei è sempre davanti ai miei occhi. La vedo tra le braccia di quell’altro. L’attira a sé, la stringe… Visione maledetta, ti strapperò dai miei occhi.” All’alba, la madre udì qualcuno attraversare di corsa la stanza. “Sei tu, Frédéri? Rispondimi!” A tastoni, con le mani tremanti cercò il chiavistello della porta. Era chiusa. “Aprimi! Apri a tua madre! Cosa vuoi fare?... Allora prendimi e portami con te, voglio morire con te”. Una finestra si aprì. Un corpo cadde sul selciato del cortile. Nient’altro. All’alba di quel giomo la gente del villaggio si chiedeva chi stesse gridando, laggiù, dalle parti della fattoria di Castelet. Là, nel cortile, davanti alla tavola di pietra coperta di rugiada e di sangue, stava la madre nuda col figlio morto tra le braccia. n. 27 - finale Orchestra della Toscana Violini primi Andrea Tacchi * Daniele Giorgi * Paolo Gaiani ** Francesco Di Cuonzo Oboe Alessio Galiazzo * Violini secondi Chiara Morandi * Gabriella Colombo ** Chiara Foletto Saxofonoo Alda Dalle Lucche * Viole Stefano Zanobini * Pier Paolo Ricci ** Alessandro Franconi Violoncelli Luca Provenzani * Augusto Gasbarri ** Stefano Battistini Ilaria Sarchini Giovanni Simeone Clarinetto Marco Ortolani * Fagotti Paolo Carlini * Riccardo Papa Corni Andrea Albori * Paolo Faggi * Timpani Morgan M.Tortelli * Pianoforte Sara Danti * Contrabbassi Gianpietro Zampella * Luigi Giannoni ** * prime parti ** concertino Flauti Fabio Fabbrizzi * Claudia Bucchini Ispettore d’orchestra e Archivista Alfredo Vignoli Polifonici Senesi Soprani Giulia Rosa Centini Patrizia Marega Cristiana Castaldo Barbara Checcacci Sandra Panzani Francesca Carli Silvia Paghi Caterina Pavese Gabriella della Valle Anna Dollazza Elena Mariani Contralti Valeria Indice Inge Lise Rassmussen Lisa Nonken Clelia Manna Alessandra Gistri Svetlana Sidorenko Roberta Mancini Cecilia Fondelli Tenori Giovanni Ceccherini Michele Bocci Reiner Wagner Damiano Pecchioli David Walthall Luca Petrangeli Bassi Jeff Shapiro Umberto Massarizzi Riccardo Fralassi Francesco Stori Nicola Sodi Marco Angius Marco Angius è un direttore di riferimento per il repertorio moderno e contemporaneo. Dopo aver concluso gli studi musicali a Roma e quelli universitari a Bologna poco più che ventenne, si dedica inizialmente alla direzione d’ensemble fondando il gruppo Algoritmo con cui vince il Premio del Disco Amadeus per l’incisione di Mixtim di Ivan Fedele (Stradivarius, 2007), quindi debutta con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino (che dirige regolarmente fin dall’edizione Rai Nuova Musica del 2006), Maggio Musicale Fiorentino, Teatro La Fenice, Teatro Comunale di Bologna, Orchestra della Toscana, Orchestre de Nancy, Teatro Petruzzelli, Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, I Pomeriggi Musicali, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre de Chambre de Lausanne, Orchestra di Padova e del Veneto... Nel 2012 debutta con l’Ensemble Intercontemporain alla Cité de la musique di Parigi e con la Tokyo Philharmonic all’Opera City di Tokyo. È stato invitato da festival quali Biennale di Venezia, MiTo, Milano Musica, Warsaw Autumn Festival, Ars Musica di Bruxelles, Biennale Zagreb, deSingel di Anversa (con l’Hermes Ensemble di cui è principale direttore ospite), Traiettorie, Romaeuropa Festival, Royal College of Music, Accademia Musicale Chigiana… Nella ricca produzione discografica spiccano opere di Salvatore Sciarrino (Luci mie traditrici per Stradivarius/Euroarts, Le stagioni artificiali, Studi per l’intonazione del mare, Cantiere del poema, Cantare con silenzio), Ivan Fedele (Mixtim e Mosaîque), Giorgio Battistelli (L’Imbalsamatore con l’Ensemble Icarus), Michele dall’Ongaro (Checkpoint, Orchestra di Padova/Ex Novo Ensemble), Nicola Sani (In red, Stradivarius 2014), oltre autori più storici come John Cage (Imaginary landscapes e Sixteen dances), Franco Evangelisti (Die Schachtel), Arnold Schönberg (Pierrot lunaire con l’Ensemble Prometeo)... Marco Angius è autore di numerosi saggi e scritti sulla musica contemporanea tra cui i libri Come avvicinare il silenzio (La musica di Salvatore Sciarrino, Rai Eri 2007), Del suono estremo (Una collezione di musica e antimusica, Aracne 2014) e Ali di Cantor (La musica di Ivan Fedele, Suvini Zerboni 2011). Tra le produzioni più recenti: Aspern di Sciarrino (Teatro La Fenice), Jakob Lenz di Rihm e Don Perlimplin di Maderna (entrambi col Teatro Comunale di Bologna), L’Imbalsamatore di Giorgio Battistelli (con l’Ensemble dell’Accademia Teatro alla Scala), La chute de la maison Usher di Ivan Fedele (Anversa, Luxembourg Philharmonie e Amsterdam Muziekgebouw), L’Italia del destino di Luca Mosca e La Metamorfosi di Silvia Colasanti al Maggio Musicale Fiorentino, La volpe astuta di Janáček (Accademia Nazionale di Santa Cecilia), Il diario di Nijinsky di Detlev Glanert (2009). Intensa l’attività con l’ensemble Giorgio Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala, giovane e prestigiosa formazione che dirige stabilmente dal 2011 e con cui inaugurerà la prossima stagione della Società del Quartetto di Milano (Nona Sinfonia di Mahler). Tra gli impegni in corso, la monumentale esecuzione e incisione integrale dell’Arte della fuga di Bach orchestrata da Hermann Scherchen con l’Orchestra di Padova e del Veneto, una nuova produzione di Gianni Schicchi di Puccini e Alfred, Alfred di Donatoni col Teatro Sperimentale di Spoleto, le musiche di scena per L’Arlésienne di Bizet con l’Orchestra della Toscana e Chiara Muti, Risonanze erranti di Luigi Nono al Teatro Farnese con l’Ensemble Prometeo di Parma. Chiara Muti Studia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e perfeziona i suoi studi alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano fondata e diretta da Giorgio Strehler. Attrice cantante e regista, debutta in teatro nel 1995 nel ruolo di Euridice nell’Orfeo di Claudio Monteverdi per la regia di Micha van Hoecke. Con il coreografo e regista belga instaura un legame artistico che la vedrà interprete e co-autrice di tre nuove creazioni presentate in prima assoluta al Festival di Ravenna: Pèlerinage del 1997; Salomè del 2008, su testi di Oscar Wilde e Le Baccanti del 2009, su testi di Euripide. Fruttuosa la sua collaborazione con il compositore Azio Corghi per il quale è interprete principale in tre nuove composizioni: Pia, del 2005, su testi di Marguerite Yourcenar con la regia di Valter Malosti per il Teatro dell’Opera di Roma; Il Dissoluto Assolto, del 2006, su testi di José Saramago con la regia di Andrea De Rosa per il Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona e Giocasta, del 2009, su testi di Maddalena Mazzocut-Mis con la regia di Riccardo Canessa per il Teatro Olimpico di Vicenza. Nel 1996 è Tatiana in Eugene Onegin di Puškin su musiche di Prokof ’ev per l’Accademia Chigiana di Siena. Nel 2000 è Jeanne d’ Arc au Bucher di Honegger per il Festival di Spoleto. Nel 2007 è Marie Galante di Kurt Weill per la regia di Joseph Rochlitz, opera presentata in prima assoluta in Italia al Teatro dell’Opera di Roma, e interpreta Sherazade nel concerto-spettacolo Le Due Lune diretto da Damiano Giuranna per il Parco della Musica di Roma e il Teatro Nazionale di Algeri. Nel 2008, tra le altre cose, dà voce ai canti di Dante Alighieri sulla Dante Symphonie di Franz Liszt diretta da Vittorio Bresciani per la Sagra Musicale Umbra di Perugia. Sempre nel 2008 è interprete di Passiuni, opera su musiche e testi di Giovanni Sollima con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Riccardo Muti per il Festival di Ravenna. Nel 2009 è interprete del melologo Le Martyre de Saint Sébastien di Debussy su testi di Gabriele D’Annunzio con l’Orchestra National de Montpellier diretta da Alain Altinouglou. Dal 2002 lavora a stretto contatto con lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio per il quale è interprete principale nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, in tournée in alcuni festival in Italia, in Desideri mortali, del 2008, per il Teatro Massimo di Palermo e in Natura Viva, del 2010, su musiche composte da Marco Betta per il Maggio Musicale Fiorentino. Si impegna anche in molti lavori di musica da camera. Per il teatro di prosa è stata, nel 1995, Angelique ne La Madre Confidente di Mariveaux accanto a Valeria Moriconi per la regia di Franco Però. Nel 1996 è Giulia in Liliom di Ferenc Molnar per la regia di Gigi dall’Aglio e Coro in Medea di Euripide per la regia di Marco Bernardi. Nel 1997 è Ifigenia ne Le Erinni di Paolo Quintavalle e nel 1998 è Lady Macbeth in Macbeth Clan scritto e diretto da Angelo Longoni per il Piccolo Teatro di Milano. Nel 2001 è la Figliastra nei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello per la regia di Maurizio Scaparro. Nel 2004 è Francesca da Rimini e nel 2005 è Teresa Guiccioli in Ridono i Sassi ancor della Città, spettacoli su testi di Nevio Spadoni e musiche di Luigi Ceccarelli, per la regia di Elena Bucci. Dal 2004 al 2006 è Antigone ne L’Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht per la regia di Federico Tiezzi. Intensa la sua attività cinematografica. Nel 1997 debutta con Onorevoli Detenuti di Giancarlo Planta. Seguono nel 1998 Il Guardiano di Egidio Eronico e La Bomba di Giulio Base. Nel 1999 recita in Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, La Via degli Angeli di Pupi Avati, Il Partigiano Johnny di Guido Chiesa. Nel 2000 Come Se Fosse Amore di Roberto Burchielli. Nel 2003 Il Sorriso dell’Ultima Notte di Ruggero Cappuccio, nel 2005 Musikanten di Franco Battiato. Nel 2006 Zeus di Carlo Sarti e nel 2007 Rien Ne Va Plus di Ruggero Cappuccio. Per la televisione lavora nel 1997 a La Casa Bruciata di Massimo Spano e nel 2004 a I Racconti di Carofiglio di Alberto Sironi. Come regista debutta nel 2007 con due spettacoli di cui è anche autrice e attrice: Il Regno di Rucken per il Teatro Comunale di Salerno e Il Sogno di Ludwig per il Ravello Festival, accanto al pianista Paolo Restani. Nel 2010 mette in scena Cardo Rosso su testi di Maddalena Mazzocut-Mis e musiche composte ed interpretate da Giovanni Sollima. Chiara Muti ha ricevuto nel 1996 il Premio Anna Magnani e nel 1997 ha ricevuto il Premio Eleonora Duse, conferitole dalla critica teatrale italiana come miglior attrice giovane. Nel 1999 vince la Grolla d’Oro come migliore attrice per il film Rosa e Cornelia. Nel 2012 debutta nella regia d’opera con Sancta Susanna di Hindemith, diretta da Riccardo Muti per il Ravenna Festival. Nel 2013 è stata invitata dal Teatro dell’Opera di Roma per una nuova produzione di Dido and Aeneas di Purcell alle Terme di Caracalla e dall’Opéra National de Montpellier per una nuova produzione di Orfeo ed Euridice di Gluck. Orchestra della Toscana L’Orchestra della Toscana si è formata a Firenze nel 1980 per iniziativa della Regione Toscana, della Provincia e del Comune di Firenze. Nel 1983, durante la direzione artistica di Luciano Berio, è diventata Istituzione Concertistica Orchestrale per riconoscimento del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Attualmente la direzione artistica è affidata a Giorgio Battistelli, succeduto ad Aldo Bennici, uno dei padri fondatori dell’ORT. Composta da 45 musicisti, che si suddividono anche in agili formazioni cameristiche, l’Orchestra realizza le prove e i concerti, distribuiti poi in tutta la Toscana, nello storico Teatro Verdi, situato nel centro di Firenze. Le esecuzioni fiorentine sono trasmesse su territorio nazionale da Radiorai Tre e in Regione da Rete Toscana Classica. Interprete duttile di un ampio repertorio che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra è ospite delle più importanti società di concerti italiane, compresa la Settimana Musicale Senese. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Ospite delle più importanti Società di Concerti italiane, si è esibita con grande successo al Teatro alla Scala di Milano, al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, al Carlo Felice di Genova, all’Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto di Torino, all’Accademia di S. Cecilia di Roma, alla Settimana Musicale Senese, al Ravenna Festival, al Rossini Opera Festival e alla Biennale di Venezia. Numerose le sue apparizioni all’estero: più volte nei teatri della Germania, del Giappone, e del Sud America, e poi a Cannes, Edimburgo, Hong Kong, Madrid, New York, Parigi, Salisburgo, Strasburgo. Per l’Accademia Musicale Chigiana ha inciso Le Congiurate di Schubert con Gérard Korsten per la regia di Denis Krief e il Requiem di Mozart con Gianluigi Gelmetti. I Polifonici Senesi Fondati e diretti nei primi anni da Francesco Galli, hanno cominciato la loro attività nel 1983. Dal 1987 al 1999 il direttore è stato Antonio Morelli. Con lui nel 1991 hanno vinto il 2° premio al Concorso Polifonico Internazionale Città di Stresa (1° premio non assegnato). Dal 1999 i Polifonici sono stati diretti da Silvio Segantini e dal 2003 da Raffaele Puccianti. Nell’ambito della collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, nel 1995 erano in scena al Teatro dei Rinnovati a Siena per La Traviata. Hanno poi partecipato alla riesecuzione della Lauda che Respighi dedicò a Guido Chigi Saracini, direttore Gianandrea Noseda, alla 53ma e alla 63ma Settimana Musicale Senese, alla 74ma stagione Micat in Vertice. I Polifonici hanno collaborato ai programmi culturali delle radiotelevisioni tedesche, e hanno inciso un CD dal titolo Musica sacra e profana nell’antica Siena, edito dall’etichetta EMA Records. Raffaele Puccianti Direttore e fondatore dell’Ensemble Opera Polifonica dell’Accademia Musicale di Firenze, direttore del Coro Polifonici Senesi di Siena e del Coro Harmonia Cantata di Firenze, ha studiato direzione di coro con Roberto Gabbiani e nel 1996 si è diplomato brillantemente al corso triennale Fosco Corti di qualificazione professionale per direttori di coro organizzato dalla Fondazione Guido d’Arezzo, dalla Comunità Europea e dalla Regione Toscana, studiando con René Clemencic, Gary Graden, Diego Fasolis, Marco Balderi, Roberto Gabbiani, Francesco Luisi, Romano Pezzati, Piergiorgio Righele. Ha successivamente seguito corsi con Peter Phillips e G. Morgan (The Tallis Scholars) e con l’Hilliard Ensemble presso gli Amici della Musica di Firenze. Ha inoltre studiato direzione d’orchestra con Piero Bellugi. Nato a Firenze nel 1972, ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio L. Cherubini di Firenze, diplomandosi in pianoforte con pieni voti e lode nella classe di Rosa Maria Scarlino, studiando composizione e lettura della partitura con Salvatore Sciarrino e Romano Pezzati. Perfezionatosi in pianoforte al Conservatorio di Stato di S. Pietroburgo con Murina Alexeevna e a Genova con Massimiliano Damerini, è stato premiato in alcuni concorsi nazionali.
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