Emanuele Conte - Facoltà di Giurisprudenza

EMANUELE CONTE
I diversi volti di un testo del XII secolo.
La Summa di un giudice fra aule universitarie e tribunali1
1. Rolando da Lucca e la sua Summa Trium Librorum
Nel descrivere la struttura della raccolta di Summae di Azzone, Friedrich Karl
von Savigny segnalò il carattere miscellaneo della tradizionale struttura delle stampe,
che alle summae Codicis, Institutionum e Digestorum2 facevano seguire la Summa ai Tres Libri
“angefangen von Placentinus, fortgesetzt von Pillius, und auch von diesem nicht
vollendet, in den Ausgaben aber mit fremdartigen Zusätzen versehen”. Maggiori
dettagli non ne forniva, e a quanto ne so nessuno è tornato ad affrontare il problema
dell’attribuzione di quei “fremdartigen Zusätze” fino al 1888, quando il D’Ablaing
pubblicò una nota che occupava soltanto una pagina della Nouvelle revue historique de droit
français3. Si occupava dell’identificazione di un’opera presente nel catalogo dei libri
confiscati nel 1358 a Robert le Coq (già vescovo di Laon e accusato di alto tradimento)
e inventariati a Parigi nel 13624. Vi figura una “Summa Rolandi de Luqua cum pluribus
aliis”, che il d’Ablaing ritenne identica all’opera presente nel manoscritto del
monastero di Sankt Florian, IX.596, che contiene in effetti la nostra summa Trium
Librorum. L’erudito storico olandese, che riteneva “probablement unique” il
manoscritto di Sankt Florian, pensò di poter riconoscere nel misterioso giurista
lucchese l’autore dei titoli aggiunti alla summa Trium Librorum di Piacentino proseguita
da Pillio e stampata insieme alle opere di Azzone. Lasciava un’incertezza
sull’estensione dell’opera di Pillio, che non si sapeva se si fosse spinto fino al titolo 31
dell’undicesimo libro, o se avesse invece raggiunto il 39.
Giustificata, come si vedrà, dalla discordia delle diverse edizioni
cinquecentesche sul punto, quest’incertezza era restata tale ancora nel 1973, quando
apparve il Handbuch di H. Coing, nel quale P. Weimar ricorda il poco noto glossatore e
la sua opera, segnalando fra l’altro l’esistenza di un secondo manoscritto nel
monastero di Montecassino5. Ma la consistenza del frammento stampato in coda
all’opera di Piacentino e Pillio restava ancora dubbia.
L’intento principale di questo saggio, e prima di esso della relazione presentata al congresso di
Francoforte, è di presentare i criteri e i primi risultati di un lavoro in itinere orientato all’edizione critica
della Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca. Finanziato dalla F. Tyssen Stiftung e dal Consiglio
Nazionale delle Ricerche italiano, il lavoro è affrontato da un piccolo gruppo di studiosi specializzati in
diverse discipline. Il presente articolo riflette da una parte l’incompiutezza del lavoro, dall’altra l’apporto
di contributi diversi, che si concretizza nelle due appendici, l’una biografica e l’altra paleograficocodicologica.
2 Il SAVIGNY, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, 5, Heidelberg 1850 (seconda ed.), 30, riteneva che
le Summulae Digestorum stampate sotto il nome di Azzone fossero da attribuirsi in realtà a Ugolino. Ma
Peter Weimar, Zur Entstehung der Azoschen Digestensumme, in Satura Roberto Feenstra sexagesimum quintum
annum aetatis complenti ab alumnis collegis amicis oblata, a cura di J. A. ANKUM, J. E. SPRUIT, F. B. J. WUBBE,
Fribourg Suisse 1985, 371-392, ha dimostrato che la paternità dell’opera va asegnata effettivamente ad
Azzone.
3 W.M. D’ABLAING, La “Summa Rolandi de Luca”, in NRHDFE 12 (1888), 361.
4 Pubblicato da R. DELACHENAL, La bibliothèque d’un avocat du XIVe siècle. Inventaire estimatif des
livres de Robert Le Coq, nella stessa NRHDFE, 11 (1887), 524-537.
5 P. WEIMAR, Die legistische Literatur der Glossatorenzeit, in Handbuch der Quellen und Literatur der neueren
europäischen Privatrechtsgeschichte (H. COING Hg.), Bd. I, Mittelalter, München 1973, 204-205.
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Di Rolando e della sua opera non si sapeva praticamente nulla: il personaggio
suscitava poco interesse perché sembrava estraneo al giro della grande scienza
giuridica bolognese; l’opera poteva apparire poco rilevante, perché tramandata da
pochi testimoni. Quanto ai pezzi stampati nelle raccolte di summae, lo stesso Weimar
avvertiva nel Handbuch di non aver potuto verificare se i titoli da C. 11.32 a C. 11.62
fossero effettivamente da attribuirsi a Rolando come ipotizzato dal d’Ablaing.
L’identificazione restava del resto cosa da raffinati specialisti: quando i percorsi della
ricostruzione dogmatica conducevano ad occuparsi di quei brani stampati, taluni
studiosi li citarono come opera di Pillio, o di Piacentino, o di Azzone6.
Ci vollero dieci anni ancora perché Ennio Cortese proponesse qualche
precisazione sulla figura di Rolando, che emergeva qua e là dalla lettura della sua opera
nel ms. Sankt Florian. Quel che interessava, nel quadro del saggio di Cortese del 19827,
era l’estraneità di Rolando all’ambiente universitario, il suo qualificarsi come giudice di
Lucca, e il contemporaneo interessamento a un testo di diritto giustinianeo complicato
e difficile come i Tres Libri. Rolando cominciava ad apparire allora come uno dei primi
e più rilevanti esponenti di quella scienza di giudici che avrebbe poi accompagnato il
progressivo evolversi delle scuole, stabilendo un fecondo contatto con la scienza
accademica.
Quanto all’estensione dei brani aggiunti a Pillio nelle suammae a stampa,
Cortese accertava la paternità di Rolando per i titoli 11.32-11.44, confrontando il
manoscritto di S. Florian con un’edizione lionese8.
Era passato quasi un secolo dalla segnalazione del d’Ablaing. Tuttavia, anche
dopo questo considerevole rilancio del dimenticato giudice lucchese, la sua opera sui
Tres Libri non poteva apparire troppo importante. Per di più era sembrato impossibile
individuare i documenti riguardanti il nostro giurista nel gran numero delle carte
lucchesi aventi a che fare con Rolandi giudici o notai. Sicché il personaggio ha
continuato a restare nell’ombra, nonostante il Cortese abbia sottolineato come la sua
summa avesse avuto qualche risonanza nel circuito del diritto comune: oltre ai due
manoscritti noti fino ad allora (Sankt Florian e Montecassino), egli segnalava la
comparsa di una citazione della summa Trium Librorum in una quaestio di Giovan Battista
Caccialupi9, e suggeriva di interpretare come un’errata trascrizione del nome di
Rolando quella menzione di una Lectura domini Rufini super Tribus Libris che compare
nel noto elenco di libri (o exemplaria) venduti nel 1273 da Cervotto di Accursio.
In questi ultimi anni sono emersi infine altri elementi: si è potuto accertare che
la summa fu utilizzata ampiamente da parte di famosi giuristi di scuola10; e sono apparsi
Qualche indicazione bibliografica in E. CONTE, Servi medievali. Dinamiche del diritto comune, Roma 1996
(Ius Nostrum 21), 86 nt. 55 e 261 nt. 7.
7 E. CORTESE, Scienza di giudici e scienza di professori tra XII e XIII secolo, in Legge, giudici, giuristi (Atti
conv. Cagliari 1981), Milano 1982, 93-148, 129-133.
8 Il manoscritto di S. Florian, utilizzato da Cortese in microfilm, non permetteva di controllare il testo di
Rolando fra C. 11.44 e C. 11.62, sicché restava un dubbio sulla paternità di questa seconda parte del
brano passato a stampa. L’edizione di Azzone utilizzata non è citata nel saggio, ma devo alla gentilezza
del prof. Cortese una visita alla sua biblioteca privata, dove sono conservate due belle edizioni lionesi del
1540 e 1550, entrambe a cura di Girolamo Gigante. Sul testo stampato in tali edizioni cfr. oltre, ***.
9 La citazione compare nel ms. 207 del Collegio di Spagna di Bologna, descritto ora in I codici del Collegio di
Spagna di Bologna studiati e descritti da D. MAFFEI, E. CORTESE, A. GARCÍA Y GARCÍA, C. PIANA, G.
ROSSI, Milano 1992 (Orbis Academicus, 5), 591.
10 Sull’utilizzazione da parte di Azzone cfr. CONTE, Servi medievali (cit. nt. 6) , 42, 73-4 nt. 21, e 92-93.
Anche una posizione originale dell’apparato di Accursio, che in un primo tempo avevo attribuito
all’influenza della pratica, può invece essere ricondotta a un brano della Summa di Rolando: ove Accursio
ammette che i coloni possano esser liberati separandoli dalla terra per “communis consuetudo” non fa
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altri tre manoscritti che conservano l’opera dell’antico giudice: uno l’ha identificato
Domenico Maffei nel castello di Peralada in Catalogna11, un altro si trova nella
Biblioteca Nazionale di Madrid e uno nella Vaticana12. Si sale così al rispettabile
numero di cinque testimoni conosciuti, mentre le citazioni menzionate da Cortese, cui
si deve aggiungere quella dell’elenco che diede spunto al d’Ablaing, contribuiscono a
disegnare il volto di un’opera che fu tutt’altro che sconosciuta nel Medioevo.
Quanto alla figura storica del giudice lucchese, le novità recenti sono
altrettanto interessanti: superando le trappole costituite dall’omonimia, le ricerche di
Frank Theisen sono giunte ad identificare un numero straordinariamente abbondante
di documenti lucchesi nei quali Rolando compare come notaio, come giudice, o come
parte in causa13.
Diventa insomma difficile continuare ad ignorare la figura e l’opera di
Rolando da Lucca. Il quadro si è arricchito a tal punto da consigliare di intraprendere i
complicati lavori preliminari in vista di un’edizione della summa e di un
approfondimento biografico del suo autore. A questo scopo si è riunito un piccolo
gruppo di lavoro che include, oltre al sottoscritto e a Frank Theisen, due giovani
paleografe romane, Valentina Longo e Sabina Magrini, cui è affidato il difficile
compito di analizzare tecnicamente i manoscritti e di approntare una prima
trascrizione del testo.
2. La circolazione scolastica della Summa
La ricchezza straordinaria della documentazione lucchese consente di cogliere
molti aspetti della figura di Rolando. Si direbbe che proprio questo oscuro
personaggio, assente dalla Geschichte di Savigny e dalla più recente sintesi dedicata ai
glossatori14, balzi fuori dalle tenebre per presentarsi come uno dei glossatori la cui vita
è meglio documentata.
Vita di pratico del diritto: giudice, notaio, funzionario cittadino. Che seguiva
però l’attività della scuola, di cui cita con venerazione qualche maestro: l’impegno di
affrontare un lavoro esegetico complesso come la Summa Trium Librorum lo spaventa
proprio per il confronto con quelle grandi personalità di giuristi: da quanto esprime un
po’ oscuramente nel proemio sembra che si ritenga il primo ad affrontare il testo
impervio dei Tres Libri15, anche se il nome di Piacentino gli è familiare fin dall’esordio,
mentre quelli di Alberico e di Pillio sono menzionati qua e là nel corso dell’opera.
riferimento alle liberazioni dei servi operate dal Comune di Bologna, ma riprende un brano di Rolando.
Cfr. CONTE, Tres Libri Codicis. La ricomparsa del testo e l’esegesi scolastica prima di Accursio, Frankfurt am Main
1990 (Ius Commune Sonderhefte 46), 115-116 e il testo di Rolando ed. in CONTE, Servi medievali (cit. nt.
6), 294 §§142-143. L’identificazione della fonte di Accursio fa cadere anche l’ipotesi di datazione del suo
apparato ai Tres Libri, che avevo avanzato nel 1990 proprio in base al presunto accenno alle liberazioni di
servi della gleba.
11 Segnalato per la prima volta da D. MAFFEI in una nota apparsa in Un’epitome in volgare del “Liber
Augustalis”. Il testo quattrocentesco ritrovato ed edito da D. MAFFEI, Roma – Bari, 7 nt. 2. Cfr. ora, infra, la
scheda di S. Magrini.
12 Madrid, BN, 1876, foll. 72rb-91vb; Biblioteca Apostolica Vaticana, Rossiano 716, foll. 205ra-225vb
(cfr. oltre le schede di S. Magrini). Entrambi i manoscritti sono noti dal 1990.
13 Per una panoramica sui primi risultati di questa ricerca cfr. infra l’appendice di F. THEISEN al presente
saggio.
14 H. LANGE, Römisches Recht im Mittelalter, Band I Die Glossatoren, München 1997.
15 “… scribere quomodocumque idcirco audeo, quia super his plurimum laborando studui, et que nostris
doctoribus [quia] pluribus intentis non licuit, Domino cooperante presentis libelli paginam decerpsi.…
Positus ergo in loco ultimo, sed et primus, ut puto, in hoc articulo, quicquid dixero sine veritatis cum
preiudicio, sicque ab omnibus veniam peto”.
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Della presenza di molti brani siglati “py.” inseriti nel testo di Rolando s’era
accorto già Ennio Cortese, il quale, dando credito alla convinzione di Rolando di
essere il primo a cimentarsi nel compito di summare i Tres Libri, li aveva segnalati nel
ms. Sankt Florian, congetturando che si trattasse di glossemi scivolati nel testo. Il
lavoro di edizione ha invece permesso di identificare almeno due versioni della summa:
la prima, testimoniata dal manoscritto di Madrid (che è purtroppo mutilo a partire da
C. 11.48), può esser datata agli ultimi anni del regno di Enrico VII (1195-97), mentre
una seconda stesura deve esser datata non prima del 1217, giacché contiene la
citazione di una norma canonica presa dalla quarta compilazione16. La maggior parte
delle aggiunte che distinguono la seconda stesura dalla prima sono costituite da brani
della summa di Pillio, che era intervenuta evidentemente nel frattempo a proseguire
l’opera di Piacentino. Sicché nella sua ultima versione la summa di Rolando si presenta
come un vero e proprio collage di pezzi di Pillio, inframmezzati a pezzi di Rolando
stesso che risalgono alla prima redazione o sono aggiunti anch’essi a commento delle
parti tolte da Pillio.
L’opera del giudice lucchese si presenta dunque in molti punti come un
ampliamento della Summa di Piacentino e Pillio, in aperto dialogo con i due famosi
maestri. Del resto Rolando manifesta la massima considerazione per i nomi dei grandi
professori, cui invita talvolta a rivolgersi per risolvere i problemi più difficili: sicché
non sarebbe impossibile che la sua aspirazione fosse proprio quella di legare il proprio
nome all’opera dei venerati Piacentino e Pillio
Se il suo intendimento era questo, allora esso fu almeno in certa misura
coronato da successo, perché la Summa Trium Librorum ebbe una certa circolazione
nelle scuole, e un collegamento tra essa e la summa incompiuta dei due maestri finì per
instaurarsi, se non altro per lo stabile accoglimento nei libri stampati dei titoli summati
da Rolando tra C. 11.32 e C. 11.62, con la curiosa sovrapposizione che nelle stampe
presenta una doppia serie di summulae ai titoli 32-40 del libro undicesimo.
Non si deve pensare, però, che l’integrazione fra le due summae presentata
dalle numerose edizioni a stampa delle summae di Azzone cum extraordinariis rispecchi
fedelmente una tradizione instaurata e stabilizzata nel Medioevo. L’integrazione della
summa incompiuta di Piacentino e Pillio con brani dell’opera del nostro giudice
lucchese è infatti inconsueta nei manoscritti delle summae di Azzone che, a parte forse
alcuni casi da verificare17, presentano una struttura diversa da quella familiare ai lettori
dell’Azzone a stampa. Sicché su questo punto la struttura dei libri a stampa di discosta
da quella dei manoscritti, confermando l’impressione generale che la struttura della
raccolta di summae che va sotto il nome di Azzone sia diversa da quella dei manoscritti:
il passaggio dal manoscritto alla stampa segna una frattura nel fluire della tradizione del
testo18.
Ciò non significa, però, che con la stampa si sia raggiunta subito una
standardizzazione del testo. Sebbene infatti talune novità, come l’accoglimento di
Rolando fino a C. 11.62, caratterizzino tutte le edizioni a me note, per altri aspetti esse
si differenziano tra loro in modo evidente e sostanziale.
16 C. 10.32, §73: Sed puto quod omnes vocandi sunt qui vocari poterunt, sicut in electoribus dicitur extra
de elec. Quia propter (4 Comp. 1.3.9=X. 1.6.42). Si tratta di un canone del concilio Lateranense IV del
1215, ma la citazione dimostra l’uso della Compilazione Quarta del 1217.
17 Non ho ancora compiuto una verifica analitica su tutti i manoscritti noti per contenere la Summa Codicis
di Azzone, cosa che sarà necessaria per stabilire l’eventuale esistenza di frammenti di Rolando a
completamento di Pillio.
18 Cfr. infra, nt. 21.
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E’ impossibile, per il momento, fornire un quadro completo della struttura
adottata nelle edizioni delle Summae di Azzone, numerosissime, come è noto, e
distribuite nello spazio di circa due secoli. Il lavoro che ho potuto svolgere nelle
biblioteche di Roma, Francoforte, Berkeley e Lipsia fornisce dunque soltanto qualche
elemento di una situazione che potrebbe essere anche molto più complessa di quanto
appaia oggi. A parte l’editio princeps azzoniana del 148219, che non contiene le summae
ai Tres Libri, l’incunabolo più antico che mi sia riuscito di vedere è il veneziano
stampato il 20 dicembre 1499 da Giorgio Arrivabene, che stampa la summa di Pillio
fino a C. 11.40 (fol. 250r-251r), per riprendere poi con la summa di Rolando da C.
11.32 fino a C. 11.62.
Questa struttura è accolta dalla maggior parte delle edizioni successive che ho
controllato, a partire dal postincunabolo pavese del 1506 che è stato ristampato dalla
Bottega d’Erasmo20. Ma la ripetizione di nove titoli non soddisfaceva, sicché in
un’edizione lionese del 1564 si risolse di ordinare diversamente il medesimo materiale,
raggruppando le summae diverse sotto i medesimi titoli21. Vicino al testo tramandato da
questa tradizione il testo dell’edizione torinese del 1578, che ha un andamento più
incerto: dopo aver portato innanzi il testo di Pillio fino a C. 11.34 compare
l’indicazione “alia summa”, seguita dal testo di Rolando allo stesso titolo 34; lo stesso
avviene per C. 11.35, mentre da C. 11.36 a C. 11.39 si torna a seguire il testo di Pillio,
per inserire infine i titoli 32-33 e 36-62 di Rolando.
Se l’oscillazione nella struttura delle stampe può spiegare le incertezze della
storiografia sulla fine dell’opera di Pillio, essa conferma che nelle officine dei tipografi
della prima età moderna circolavano copie dell’opera di Rolando. Difficile, per ora,
dire se il testo a disposizione dei tipografi fosse quello che leggiamo oggi nel
manoscritto incompleto di Madrid, che tramanda la prima redazione, o se si trattasse
della seconda redazione che gli stampatori provvidero a depurare degli inserti pilliani.
Per il momento ritengo che la composizione che si diede alle stampe non era la
semplice trascrizione di un manoscritto composito, ma il risultato di un collage di
diversi pezzi operato sotto il controllo degli eruditi curatori delle edizioni veneziane e
lionesi22.
Hain 2231; GWD 3144.
Nel Corpus glossatorum iuris civilis, II, Torino 1966.
21 L’edizione di Lione 1564 (consultata nella copia che si conserva nella Robbins Collection di Berkeley),
contiene una nota editoriale che chiarisce l’intento ordinatore del curatore: “Haec sunt (optime Lector)
quae post Azonis recentem in Germania editionem, etiam in hac nostra praestitimus. Azonem ipsum
primum studiose diligenterque adeo correctum et emendatum curavimus, ut aliorum diligentiam minime
praeferas, nostram in aliis fortasse desideres. Additiones deinde omnes vehementer corruptas, nec
usquam emendatas, imo prorsus neglectas, eadem cura restituimus, quasdam etiam pleniores effecimus.
Postremo quae nulla, vel omnino mala ratione disiuncta erant, in suos locos coniecimus. Nam libro
Codicis undecimo cum essent novem ob alias quasdam (ut vocant) summas, repetiti ordine tituli (de
vended, reb. civit., de debitoribus civita., de periculo nomina., de periculo eorum qui pro magistr. interve.,
quo quisque ordi. convenia., ne quis lib. invit. sumpt. iniunct. mu. ad omn. colleg. pertin., de iis qui ex
offic. quod administr. conven., de solut. et liberationib.) nos ea sublata geminatione, quamlibet summam
suo eodem titulo, hos solum inscripto “alia summa”, subiecimus. Eodem quoque modo iis, quae hactenus
sub eiusdem undecimi libri finem temere collocabantur, prospectum esse voluimus. Itaque summam
quandam ibi positam tituli de decurionibus in suum et eundem libri decimi titulum reiecimus. Aliam item
eodem loco proxime subsequentem tituli de tabulariis summam, suo titulo libro decimo reddidimus. Ad
haec quaestiones duas de rei vediicatione, libro tertio, titulo eodem adiecimus. Quaestionem rursus unam
de Carboniano edicto libro sexto titulo suo subiunximus. Ad haec indicem rubricarum, deinde rerum
omnium quam locupletissimum. Diligentiam nostram aequi bonique consule”.
22 Altri elementi inducono a escludere che il volto delle summae stampate riproduca quello di una delle
tradizioni manoscritte: in primo luogo la modificazione della raccolta di summulae Digestorum di Azzone,
con l’eliminazione della summula de agricolis et censitis, su cui cfr. CONTE, Servi medievali (cit. nt. 6), 259-261. –
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L’aspetto della raccolta eterogenea ce l’hanno del resto anche i manoscritti
medievali delle summae: Soetermeer ha suggerito in modo convincente che nel XIII
secolo facessero parte dell’exemplar principale soltanto le due summae azzoniane al
Codice e alle Istituzioni, con la raccolta delle summulae Digestorum, mentre la Summa
Authenticorum, la Summa Trium Librorum e le Additiones di Odofredo sarebbero state
aggiunte soltanto successivamente, giacché fino alla lista del 128023 esse vengono
menzionate come opere autonome.
Il committente, dunque, suggeriva la composizione della propria raccolta di
summae attingendo al catalogo dello stazionario: di regola chiedeva il completamento
del volume con i cosiddetti extraordinaria, e normalmente non si preoccupava troppo se
i Tres Libri erano coperti soltanto in parte dall’antica summa di Piacentino e Pillio. Nei
manoscritti delle summae, infatti, non è affatto frequente trovar pezzi di Rolando.
I due esemplari di Sankt Florian e della Biblioteca Vaticana rappresentano
dunque due eccezioni. Nel primo l’opera di Rolando si sostituisce senz’altro alla summa
di Piacentino proseguita da Pillio; nel secondo è copiata la summa di Rolando soltanto a
partire da C. 11.40, al termine della summa di Pillio. Nessuno dei due reca segni di pecia,
anche se l’explicit di Pillio nel Rossiano coincide con l’explicit della pecia di Pillio
identificato da Martin Bertram24.
Se però è molto probabile che i componenti consueti delle raccolte (Azzone e
Piacentino-Pillio) fossero trascritti in base ad exemplaria reperiti nella bottega di uno
stazionario, è difficile dire se anche la summa di Rolando potesse essere copiata allo
stesso modo. Sorge insomma il problema di sapere se l’opera fosse o no a disposizione
degli stazionari sotto forma di exemplar: cosa niente affatto secondaria
nell’impostazione di un lavoro di edizione critica.
Quanto agli elenchi di exemplaria noti, non contengono espliciti riferimenti alla
summa di Rolando. Ora, poi, uno studio di Frank Soetermeer25 sembra escludere che la
“lectura d. Rufini super Tribus Libris” che compare nell’elenco degli exemplaria venduti
da Cervotto d’Accursio nel 1273 possa essere l’opera del nostro giudice, come aveva
pur congetturato Ennio Cortese. Occorre dire però che Soetermeer non ha tenuto
conto del suggerimento di Cortese, e non spiega come mai il nome di Rufino de
Principibus non compaia mai nelle liste successive, né perché non vi sarebbero
testimoni manoscritti superstiti di un’opera abbastanza nota da essere tenuta nella
In secondo luogo lo spostamento dei due commenti alle leggi Dotis (D. 23.3.55) e Divortio (D. 3.5.34), che in
moltissimi manoscritti sono copiate subito dopo la fine della summa Trium Librorum incompiuta di Piacentino e
Pillio. M. BERTRAM, Drei neuere Kataloge juristischer Handschriften, in ZSSt KA 82 (1996), 385 e 399-400, ha
dimostrato che con questi due commenti si concludeva un exemplar che avrebbe fatto da apopecia ad almeno due
manoscritti peciati conservati. Aggiungo che in moltissimi altri manoscritti delle summae compaiono i due
commenti estranei ai Tres Libri che, per esser commenti a singole leggi e non summulae di titoli, non possono
considerarsi parte della raccolta di summulae Digestorum di Azzone: devono piuttosto essere stati posti in chiusura
di un exemplar molto copiato. Anche su questo punto furono i curatori delle edizioni a stampa a far includere i
due brani fra le summulae Digestorum, il cui ordine originario è peraltro completamente modificato nelle stampe. –
In terzo luogo il fatto che in nessuno dei manoscritti conservati si può trovare la saldatura Pillio–Rolando come
prospettata dalle due tradizioni a stampa: il ms. di Sankt Florian non ha affatto il testo di Piacentino e Pillio; il
Vaticano Rossiano 716, che è l’unico che aggiunga Rolando a Pillio, lo fa rispettando la conclusione di Pillio a
C. 11.39, includendo poi i due commenti alle leggi Dotis e Divortio, e copiando infine Rolando fino alla fine del
libro 12. Gli altri testimoni di Rolando non contengono, come si vedrà, le altre summae della raccolta azzoniana.
23 GENEST, Le fonds juridique d’un stationnaire italien à la fin du XIIIe siècle: matériaux nouveaux pour
servir à l’histoire de la pecia, in La production du livre universitaire au moyen âge. Exemplar et pecia (convegno
1983), edd. BATAILLON, GUYOT, ROUSE, Paris 1988, 134-137.
24 Cfr. sopra, nt. 21.
25 Zur Identität des Magister Rufinus Lumbardus, Rechtslehrer in Angers (um 1275/80), in ZSSt RA 109
(1992) 539-546.
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raccolta degli Accursii26, né perché non esiste alcuna citazione nota dell’opera di
Rufino; per di più una lectura dei Tres Libri era cosa forse troppo complessa perché
potesse essere pubblicata da Rufino immediatamente dopo la laurea, ottenuta nel 1269.
Insomma, l’idea che quel “dominus Rufinus” fosse in realtà un “Rolandus”
non sembra proprio da scartare. E se fosse così saremmo di fronte a una vera e
propria pubblicazione scolastica della fatica del nostro giudice.
3. La circolazione professionale e politica
Una vecchia tradizione storiografica insegna che i Tres Libri del Codice
sarebbero stati tralasciati nell’Alto Medioevo perché contenevano norme di diritto
pubblico dell’Impero romano, che come tali non potevano interessare il mondo
medievale. Giustificazione poco convincente, che però viene talvolta estesa anche al
periodo del diritto comune per spiegare lo scarso numero di opere dedicate a questa
ultima parte del Codex: ma se alcune inclinazioni letterarie di Piacentino e Pillio
potevano in qualche modo far pensare che lo studio dei Tres Libri fosse cosa da eruditi
privi di interessi pratici, la lunga fatica di Rolando lo smentisce in modo evidente. La
separazione netta fra scienza astratta e pratica è d’altra parte uno strumento di
interpretazione completamente estraneo al mondo scolastico medievale, nel quale la
raffinatezza di un’esegesi assolutamente astratta si trasformava senza difficoltà in una
straordinaria arma argomentativa. La leggerezza della dialettica scolastica aveva in sé la
pesantezza dell’argomentazione processuale.
Ecco dunque il nostro Rolando, uomo della pratica, notaio, giudice,
funzionario pubblico, cogliere senza difficoltà l’importanza di un’opera esegetica
completa su quel testo senza dubbio difficile, ma ricco di spunti argomentativi che
potevano servire all’attualità. Eccolo – per fare un esempio – collezionare argumenta ad
uso degli avvocati dei contadini dipendenti che sostenevano in giudizio la loro libertà.
Argumenta cui sono contrapposti, specularmente, argumenta contrari in favore del diritto
dei signori: un campionario certo poco attraente per il lettore odierno, ma utile per
l’avvocato medievale che fra quelle argomentazioni poteva trovare quelle adatte a
imbastire un ricorso o una difesa27.
Non diversamente dalle altre parti del Corpus Iuris, i Tres Libri contenevano
ovviamente tanti spunti che, lungi dal soddisfare una semplice curiosità erudita,
potevano servire egregiamente ai bisogni della pratica. E’ Rolando stesso che nel
proemio menziona qualche materia per la quale la conoscenza analitica dei Tres Libri
poteva riuscire determinante nell’attività pratica: “de fiscalibus et de civitatibus sive de
civibus vel incolis et de honoribus; item de agricolis valde nobis necessariis, et de
dignitatibus et earum gradibus” e più giù: “cum fiscalium iurium scientia cunctis sit
utilis et necessaria, tam militibus quam privatis atque templis, et cuncte rei publice”. La
conoscenza del ius fisci, in particolare, non serve tanto per definire le prerogative del
sovrano, quanto piuttosto per guadagnare un equilibrio stabile fra potere imperiale ed
Lo stesso SOETERMEER, La taxatio peciarum et quaternorum de l’Université de Bologne, in Estudis de
dret romà i d’historia del dret comparat en homenatge a Ramon d’Abadal i de Vinyals pel seu centenari (Annals of the
Archive of Ferran Valls Taberner’s Library, 6), Barcelona 1989, 175-191, 191 n. 50, avanza l’ipotesi che
l’opera di Rufino sia quella stampata sotto il nome di Odofredo fra le sue Lecturae (cenno anche in K.
BEZEMER, Legal Remedies for non-roman Law in Medieval Doctrine. The Condictio exconsuetudine and
Similar Actions, in TR, 60 (1992), 63-80, 65 nt. 9). Il Soetermeer, comunque, non ripropone la congettura
nel più recente saggio su Rufino cit. a nota 24.
27 Questa parte della summa è edita in CONTE, Servi medievali (nt. 6), 285-308: cfr. ad esempio 304 § 20: “Et
sicut ista faciunt pro dominis, sic et que pro colonis non sunt omittenda”.
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autonomie cittadine. Come dire: per affrontare il principale problema politico del suo
tempo.
Rolando non nasconde le sue tendenze ghibelline; ma alle vere e proprie
sviolinate tributate a Enrico VI, che sullo scorcio del XII secolo doveva apparire come
una grande figura di Imperatore, destinato a riscattare le sconfitte subite dal padre
Federico Barbarossa28, egli alterna proclamazioni dei diritti di autonomia delle civitates,
poiché, come avverte ancora nel proemio, la conoscenza del ius fisci serve a conoscere
le prerogative del sovrano per non offenderlo, ma anche a precisare quegli spazi di
autonomia delle città che l’imperatore non può invadere29.
La Summa, dunque, era intesa come opera utile non tanto agli studenti e ai
professori, che pure come si è visto la conobbero e forse la ebbero a disposizione nelle
botteghe dei librai scolastici, ma soprattutto ai pratici: ai molti giuristi che, come
Rolando, avevano a che fare con il grande problema del coordinamento tra i poteri
locali e il potere dell’Impero.
Se poi al tempo di Enrico VI questo tema poteva esser sentito come urgente
in tutta Italia, qualche decennio più tardi, all’epoca cui risalgono i manoscritti
conservati, era soprattutto nel meridione che doveva porsi il problema del fiscus, e
durante l’età federiciana era nel Regnum che certi discorsi sulla sovranità potevano
avere ancora cittadinanza.
Ora, questa circolazione professionale, quest’accoglienza nel mezzogiorno e
questo valore politico dell’opera traspaiono dai tre codici che la tramandano
separatamente dalle summae azzoniane. Si tratta dei mss. di Montecassino, Madrid e
Peralada, descritti ora da V. Longo e S. Magrini30.
3.1 Montecassino
Vediamo rapidamente alcuni caratteri significativi dei tre, cominciando dal
cassinese, noto da tempo per la descrizione pubblicata nel 1875 nella Bibliotheca
Casinensis, ma segnalato all’attenzione degli storici del diritto soltanto un secolo più
tardi31. Contiene, oltre alla summa, anche i Libelli iuris civilis di Roffredo, corredati di
additiones.
Difficile determinarne l’origine32 e l’area di produzione. E’ però certo che
questo manoscritto di Rolando fu utilizzato nel Regnum: contiene infatti una catena di
note marginali che già la Biblioteca casinensis attribuisce a un avvocato beneventano della
prima metà del XIV secolo. Questo professionista lavorò soprattutto sui Libelli di
Roffredo, ma scrisse qualche osservazione anche nel margine della Summa Trium
Librorum, che dunque doveva essere già a quel tempo legata all’opera di taglio pratico
del maestro beneventano.
28 Da ultimi su Enrico VI G. BAAKEN, Das sizilische Königtum Kaiser Heinrichs VI., ZSSt. GA 112
(1995), 202-244, e H. JERICKE, Imperator Romanorum et Rex Siciliae. Kaiser Heinrich VI. und sein Ringen um das
normannisch-sizilsche Königreich, Frankfurt am Main (Lang) 1997.
29 “… cum valde expediat scire iura fiscalia que debentur Cesari nostro, ut eum in suis non offendamus,
sicut eundem nostra nolumus invadere…”.
30 Cfr. le schede pubblicate in appendice a questo saggio, cui si rinvia per tutti i dati descrittivi.
31 Da P. WEIMAR, nel citato contributo del 1973 (cit. nt. 5).
32 L’esame paleografico non rivela particolarità significative della scrittura; l’uso della D. per abbreviare il
Digesto, in luogo della diffusissima doppia f., è inconsueto per manoscritti del XIII secolo inoltrato: si
può forse parlare di produzione estranea al giro del libro universitario?
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3.2 Madrid
Anche nel manoscritto di Madrid Rolando è oggi in compagnia di Roffredo,
ma solo dei suoi brevi Libelli iuris canonici, cui si aggiungono un’operetta di Ioannes de
Deo e un paio di brevi tractatus in materie processuali. Ma la particolarità più
interessante del manoscritto è che l’analisi della legatura rivela che in origine la summa
Trium Librorum costituiva un libretto a sé stante, unito soltanto a un’operetta di quattro
fogli che si apre con un incipit significativo, perché tratto da una delle più nette
proclamazioni di assolutismo giustinianeo: “Deus de coelo Imperium constituit”33.
Una prima lettura del testo ha consentito una piccola scoperta: l’operetta è anch’essa di
Rolando. Costruita per lo più con materiali utilizzati nella summa Trium Librorum, essa
sembra distaccarsene per la concentrazione del discorso sulla figura dell’Imperatore,
come se il nostro giudice avesse voluto liberare il discorso politico-giuridico dalle
numerose divagazioni che sono imposte dallo stile esegetico che caratterizza la summa.
Ne scaturisce un’operetta molto interessante: che richiama alla mente da una parte i
più antichi libelli della polemica fra papato e Impero dell’età gregoriana, dall’altro i più
tardi trattati giuridico-politici della seconda metà del Duecento e del Trecento. Legato
alla Summa Trium Librorum, questo che ho chiamato Tractatus de Imperatore di Rolando
circolò nel XIII secolo in Italia, come dimostrano i materiali usati per la legatura
originaria di questa parte del manoscritto. Soltanto nel XIV secolo si procedette a una
nuova legatura, con la quale Rolando fu congiunto alle opere processuali-canonistiche
di Roffredo e Ioannes de Deo; quella legatura sopravvive ancora.
3.3 Peralada.
Anche dello splendido manoscritto di Peralada non si conosce la storia:
pervenuto alla ricca biblioteca privata di Miquel Mateu nel 1950, non si sa dove fosse
conservato prima di quella data. L’analisi codicologica rivela che fu prodotto in una
raffinata officina dell’Italia settentrionale o del Midi francese, per esaudire le richieste
di un committente che non badava a spese: richiese il lavoro contemporaneo e
coordinato di quattro scribi professionisti, capaci di lavorare gli uni accanto agli altri
per produrre in breve tempo un risultato di qualità; fece poi decorare il libro da
miniatori raffinati, difficile dire di quale scuola per la presenza di elementi eterogenei34.
In fatto di testi giuridici il facoltoso committente aveva esigenze singolari: la
sua scelta è caduta su casus, su notabilia, su un ordo iudiciarius. Sicché la nostra summa si
trova in compagnia di opere che si considerano in genere gradite ai pratici; ma le
caratteristiche materiali del manoscritto non sembrano affatto rinviare alla vivace
confusione delle aule giudiziarie, né all’agile bagaglio di un avvocato o di un notaio:
riccamente miniato, il codice ha un formato molto grande, che lo rende decisamente
scomodo per l’uso quotidiano.
E’ molto probabile, comunque, che i raffinati scribi abbiano lavorato su
exemplaria provenienti da una bottega di stazionario di qualche città universitaria del
Nord d’Italia o del Sud della Francia: a parte la summa di Rolando, della cui diffusione
per exemplar e pecia non si può esser certi, tutti i pezzi copiati nel manoscritto – salvi i
casus di Francesco d’Accursio – figurano nelle liste di taxationes. Anzi, a ben vedere il
Nov. 73 = Auth. coll. 6.3 pr. 1. Si sa che l’affermazione giustinianea stimolò i commenti dei giuristi,
ricordati in parte dalla storiografia, che però non risale all’indietro oltre Accursio: cfr. per tutti E.
KANTOROWICZ, The King’s Two Bodies. A Study in Mediaeval Political Theology (1957), rist. Princeton 1997,
297 nt. 53, e E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale II. Il basso Medioevo, Roma 1995, 407-7 e nt. 48.
34 Cfr. anche su questo punto le osservazioni di S. Magrini nella descrizione pubblicata in appendice.
Ringrazio Robert Gibbs e Susan L'Engle per il paziente esame delle diapositive delle decorazioni svolto
proprio in occasione del convegno di Francoforte, e per i preziosi suggerimenti.
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manoscritto rappresenta un indizio in più per credere che la Lectura Rufini di Cervotto
fosse in realtà la nostra summa di Rolando: tutte le altre opere del manoscritto presenti
in liste di taxationes, infatti, risultano anche nell’elenco del figlio di Accursio; sicché
sarebbe logico che anche l’opera di Rolando sia stata copiata da un exemplar
proveniente da una bottega della fine del Duecento.
La scelta dei testi da raccogliere è, come si è visto, alquanto caratterizzata: non
c’è alcun commento ai libri ordinari della Studio (Codex e Digestum Vetus), mentre
sull’Authenticum si trovano sia i casus del grande avvocato Guglielmo Panzoni sia i
Notabilia di Martino da Fano che, come avverte Maffei35, pur essendo contenuti nelle
liste di taxationes, non erano noti fino ad oggi da altri manoscritti. E’ un unicum anche il
testo dei casus Digesti Novi di Francesco d’Accursio36, dei quali si conoscevano soltanto
le versioni a stampa; unica fra le opere contenute nel manoscritto, la fatica di
Francesco non compare nelle liste di taxationes né nell’elenco degli exemplaria di
Cervotto, ma si accorda bene con gli altri pezzi per quanto attiene al contenuto. Noto
per l’abbondanza quasi odofrediana dei riferimenti alla vita quotidiana37, il testo
affronta temi non lontani da quelli trattati da Rolando a commento dei Tres Libri, dato
il tipo di materie che sono disciplinate dal Digestum Novum. Agli stessi Tres Libri sono
poi dedicate ben due serie di casus anonimi. Si può dire, dunque, che il diritto pubblico
e l’amministrazione fossero le materie predilette dal ricco committente del
manoscritto, che si rivolgeva alle opere di scuola animato da interessi ben delineati,
probabilmente tutt’altro che astratti.
Due frammenti di ordines giudiziari completano il carattere senz’altro pratico
della raccolta. Carattere smentito, come si è detto, dal gran lusso manifestato dalla
scrittura e dalla decorazione.
4. Conclusioni
Si sa: le strade percorse da un testo medievale sono complicate e tortuose.
Capita di perderne le tracce, di ritrovarle più avanti, e capita di vederle arrivare all’età
moderna senza capire dove siano passate.
E’ stato il caso di quel frammento di Summa Trium Librorum di Rolando che,
stampato innumerevoli volte insieme ad Azzone, sta in tutte le biblioteche del mondo
e non si capisce come ci sia arrivato. Quel frammento, tramandato diversamente dalle
diverse tradizioni a stampa, è il relitto galleggiante fino all’età moderna dell’opera lunga
e ricca dell’antico giudice di Lucca, che nel XIII secolo circolava abbastanza
ampiamente. Da una parte fu conosciuta e utilizzata negli ambienti di scuola, da illustri
maestri come Azzone, Ugolino, Accursio, che nelle loro opere fecero spazio ai
ragionamenti di Rolando senza però citarne mai il nome. Almeno in qualche caso
sporadico l’opera venne accolta nei manoscritti scolastici delle summae a integrazione o
in sostituzione dell’incompleta opera di Piacentino e Pillio. Se fosse anche conservata
come exemplar non possiamo dirlo, ma certamente fu copiata accanto ad altri testi di
scuola.
Il contenuto pubblicistico e l’abbondanza di argumenta utili in tribunale
consentirono poi un altro tipo di circolazione, forse più ampio, accanto a testi pratici
Un’epitome (cit. nt. 11), 7 nt. 2.
F. SOETERMEER, Utrumque ius in peciis. Aspetti della produzione libraria a Bologna fra Due e Trecento, Milano
1997 (Orbis Academicus, 7), 330 nt. 84: “quest’opera, di cui non sono noti manoscritti, ma di cui esistono
soltanto edizioni a stampa, probabilmente non ha mai avuto un’edizione universitaria”.
37 F. SOETERMEER, Recherches sur Franciscus Accursii. Ses Casus Digesti Novi et sa répétition sur la loi
Cum pro eo (C. 7.47 un.), in TRG 51 (1983), 3-49, 10-20.
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come i Libelli di Roffredo o le opere di Giovanni de Deo. E un altro ancora,
testimoniato dal manoscritto di Madrid, come pamphlet a sfondo politico in difesa
dell’Imperatore, quasi la ripresa tardiva di un genere che si credeva superato con i libelli
de lite della lotta per le investiture.
Il tempo non ci ha consentito di vedere gli altri testimoni di cui si ha notizia:
quello di cui si servì Giovan Battista Caccialupi, quello confiscato nel 1358 a Robert le
Coq: avrebbero forse indicato altri sentieri lungo i quali la Summa Trium Librorum di un
antico giudice di Lucca penetrò nel panorama fiorente della letteratura giuridica del
XIII secolo.
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