Intervento di Livia Molducci

COMUNE DI RAVENNA
Unità organizzativa Ufficio stampa
Consiglio comunale straordinario del 4 dicembre 2014
70° anniversario delle liberazione della città di Ravenna
Intervento della Presidente Livia Molducci
Buongiorno e Benvenuti a tutti,
Autorità, rappresentanti delle Istituzioni, signori consiglieri e cittadini, ci
incontriamo per celebrare assieme la giornata in cui 70 anni fa la città di
Ravenna venne liberata dall’oppressione nazifascista, e lo facciamo qui, in
questa seduta straordinaria del Consiglio Comunale, avendo l’onore di
ospitare i rappresentanti dell’Ambasciata Canadese in Italia: il Ministro
Consigliere Paul Gibbard e il Sottoufficiale Stewart Seaword.
Ed è proprio ai nostri ospiti che voglio rivolgere il primo ringraziamento
per la loro presenza, oggi, qui. Lo faccio perché in loro voglio ringraziare i
ragazzi che 70 anni fa combatterono e diedero la vita perché noi fossimo
liberi e lo faccio perché la storia di quei ragazzi mi ha aiutato a svolgere
riflessioni sui perché di quella guerra e perché la loro storia mi ha fatto
comprendere in maniera profonda che l’affermazione più importante che io
oggi posso svolgere a nome di tutta la nostra comunità è: noi ci
ricordiamo.
A fianco degli italiani che si ribellarono al nazifascismo e lottarono per la
Liberazione del nostro Paese, vennero a combattere in Italia soldati
provenienti da 36 diversi Paesi. Tra questi, i canadesi. Che hanno risalito
l’Italia dalla Sicilia alla pianura padana prima di andare –nel febbraio del
1945- a concludere il conflitto in Olanda, dove trovarono un paesaggio di
acque che deve aver loro ricordato quello che lasciarono qui, dove avevano
combattuto la “battaglia dei fiumi” tra il Lamone e il Senio. La traccia
evidente del loro passaggio è nei bambini che giocano oggi liberi nei
cortili delle nostre scuole, ed è nelle 206 lapidi del cimitero di Villanova
che sorge in memoria dei caduti del Corpo d’Armata Canadese, come ci
dicono le foglie d’acero che fregiano le tombe. Quei ragazzi ci hanno
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ridato il coraggio di batterci per la libertà e la democrazia che una dittatura
violenta ci aveva sottratto.
Quando mio padre mi racconta del perché, appena sedicenne, decise di
arruolarsi nell’esercito italiano i giorni successivi alla liberazione di
Ravenna, vincendo, con la sua insistenza, le resistenze, dovute alla sua
giovane età, dell’ufficiale addetto all’arruolamento, egli mi dice che
continuare a combattere, anche se la sua città era già stata liberata, era
l’unica risposta possibile alla domanda che si poneva insistentemente in
quei giorni: “da tutto il mondo vengono a liberarci, ragionava mio padre, e
noi dobbiamo restare inermi ad assistere al sacrificio di persone che
vengono a morire per noi? Davvero non possiamo prendere in mano il
nostro destino e concorrere a costruirlo migliore?”
Onorevoli ospiti. Noi ci ricordiamo.
Di quei ragazzi e del loro sacrifico e del coraggio che ci diedero con il loro
esempio.
Claude Chatillon, un ufficiale canadese del 22° Royal regiment, ha scritto
nel suo quaderno di guerra redatto durante la Campagna in Italia:
“sull’altro continente, i Nazisti schiacciano come un rullo compressore
tutta la resistenza alla loro ideologia dominatrice, primitiva, inumana; si
fanno beffe dei trattati, dei confini; dove vogliono arrivare? L’Europa
oggi, il Canada domani… se vogliamo salvaguardare la nostra lingua e la
nostra cultura, dobbiamo logicamente cominciare a difendere laggiù i
principi di base.”
Eppure i soldati alleati dovevano sostenere in Italia sfide enormi,
fronteggiando un nemico agguerrito e feroce, in un ambiente sconosciuto,
dominato da impervie montagne e dai numerosi fiumi che incontravano
lungo il loro cammino. In quelle condizioni il successo dipese
dall’ingegnosità e dal coraggio dei soldati e della popolazione che li
sosteneva.
Come ebbe a dichiarare Vladimir Peniakoff, l’ideatore dell’ armata Popsky
cui tutti siamo riconoscenti: “La mia è una storia di guerra, di dure
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fatiche, di dure imprese, talvolta movimentate, ma ancor più spesso buffe;
di persone altolocate che non si lasciavano governare dalle convenzioni e
di altre che erano governate dalle convenzioni; di stranieri di umile
condizione che superavano noi stessi nella devozione alla nostra causa;
una storia di sangue e di violenza ma anche più di astuzie e di inganni. E
di spremiture del cervello e ancora di fatiche dure; soprattutto di
amicizia”.
Ecco, verso quei giovani di tutte le unità dell’esercito canadese i cui sforzi
e il cui sacrificio ci hanno resi liberi noi proviamo amicizia e riconoscenza:
essi hanno creato un legame permanente tra la storia del Canada e quella
dell’Italia.
Noi ci ricordiamo, onorevoli ospiti, in questa sala, luogo della convivenza
civica della nostra comunità. Quel giorno entrarono qui i nostri liberatori, e
da quel balcone sventolarono le loro bandiere insieme a quella della nostra
città liberata. Restava ancora da liberare molta parte dell’Italia, ma a
Ravenna 70 anni fa, il 4 dicembre, finiva l’incubo delle stragi e
dell’oppressione nazifascista e si poteva, pur tra enormi difficoltà,
festeggiare la libertà riconquistata.
La nostra città venne liberata grazie all’azione concertata dal CLN di
Ravenna presieduto da Benigno Zaccagnini, e dal Comandante delle
Brigate Partigiane, Arrigo Boldrini, con comando dell’VIII Armata del
Commonwealth, e il 4 dicembre dopo aver passato il Montone e i Fiumi
Uniti, le truppe alleate, supportate da un distaccamento partigiano,
entrarono a Ravenna da sud, quelle dei canadesi da ovest, i partigiani da
nord e l’Armata di Popski da est.
E grazie a questa azione concertata, conosciuta come Operazione Teodora,
la città fu liberata senza subire lo scempio di pesanti bombardamenti ed
evitando combattimenti cruenti nelle proprie strade: salvando vite umane e
preservando gli 8 monumenti che oggi sono stati dichiarati dall’UNESCO
patrimonio dell’umanità. Combattimenti pesanti ci furono però, purtroppo,
nei giorni successivi nelle valli a nord di Ravenna dove le forze tedesche
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erano arretrate e contrattaccarono per due giorni facendo temere anche un
loro ritorno in città. Ma grazie ai partigiani della brigata guidata da Bulow
e ai soldati del reggimento Canadese che resistettero e sospinsero ancora
più a nord i tedeschi, la nostra città si potè considerare definitivamente
liberata.
Oggi nel ricordare questi eventi e nell’osservarli da così lontano, colpisce
la capacità di collaborazione tesa al raggiungimento di un obiettivo
comune che caratterizzò i protagonisti di quei giorni difficili, tutti coloro
che, a diverso titolo e livello, contribuirono alla liberazione e
all’affermazione delle libertà democratiche e della pace per il nostro
popolo.
Tutte le forze alleate, Il Corpo d’Armata Canadese, che aveva risalito il
Mar Adriatico, l’VIII Armata britannica, che raggruppava forze
provenienti da tutto il Commonwealth, l’esercito italiano ricostituito dopo
l’8 settembre, i partigiani tutti e la resistenza di tutta la popolazione, degli
uomini e delle donne della nostra terra, alcune impegnate anche nella
resistenza armata e altre assai più numerose nella resistenza civile
nascondendo, nutrendo e aiutando i partigiani della resistenza armata,
uomini e donne diversi per nazione, cultura, religione, ideologia, classe
sociale, ma che combattevano per gli stessi ideali, per la libertà, la
democrazia, per la dignità delle persone.
Noi, oggi, qui, insieme rendiamo loro omaggio e li ringraziamo
rinnovando l’impegno a conservarne la memoria perché, dal ricordo di
quanti sono morti, arriva fino ai giorni nostri l’insegnamento che la libertà
e la democrazia sono beni preziosi. Beni che, quando sono conquistati
vanno difesi e rinvigoriti, perché non si possono mai considerare come
acquisiti per sempre, e richiedono un impegno costante e quotidiano al
quale invitiamo i giovani, a cui spetta il compito più difficile, quello di
mantenere viva e attuale una testimonianza che arriva da tempi così lontani
e che non va dimenticata.
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Qui c’è la bussola per affrontare i tempi difficili che sta vivendo il nostro
Paese non solo per la grave crisi economica, politica e sociale che sta
attraversando ma anche per l’assalto a principi di convivenza che devono
invece essere cardine della società, patrimonio di tutti. Ecco, credo che
noi, oggi, dobbiamo davvero rinvigorire il nostro impegno in favore di una
solida Democrazia e di quello spirito solidale di una comunità che si
batteva unita per un obiettivo comune, superiore ad ogni singolo e
individuale progetto di vita, che è la guida salda per uscire, tutti assieme,
dalla situazione di crisi che stiamo vivendo, aiutandoci l’un l’altro come
fecero i soldati canadesi e i partigiani, l’esercito alleato e le neo costituite
formazioni militari italiane. Come fecero gli uomini e le donne di
Ravenna. È per questo che voglio chiudere con una toccante pagina scritta
da un soldato canadese che ha combattuto in Italia che mi aiuta a rendere il
sentimento di riconoscenza che vorrei rimanesse di questa mia sin troppo
lunga prolusione al nostro incontro di oggi.
Così scriveva Claude Chatillon, nel diario di guerra che vi ho detto:
…E io non posso impedirmi di credere che il Canadese che ha ricevuto
una decorazione militare o conosciuto la morte in battaglia abbia diritto a
un rispetto particolare se si riflette sul fatto che egli ha vissuto la
disciplina e ha dovuto esprimersi e lottare per delle ragioni e per delle
circostanze, in un ambiente estraneo alla sua lingua, alle sue abitudini e
al suo Canada. Ho molta ammirazione per tutti i canadesi che hanno
partecipato alla guerra, ciascuno a suo modo, ma non si deve volermene
se mi sento particolarmente emozionato davanti alla croce per il coraggio
o a quella di un cimitero di un soldato canadese. Reagire diversamente
sarebbe mentire alla mia sincerità, alle mie convinzioni e tradire la mia
fede nel mio Paese.”
Io trovo in queste parole di legittimo orgoglio dell’ufficiale canadese di far
parte di un grande Paese, lo stesso atteggiamento di questa città i cui
abitanti sono altrettanto orgogliosi della propria storia. In queste parole,
voglio leggere con voi, soprattutto il sentimento che quei soldati, quei
partigiani e quelle donne avevano: che nel loro sacrificio, nella loro vita di
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privazioni e dolore non ci fosse tanto l’indugiare nel pensiero che stavano
scrivendo un pagina di storia combattendo la seconda guerra mondiale,
ma, piuttosto, io credo che loro fossero sorretti, tutti, dalla speranza che
quella fosse l’ultima guerra.
Grazie ancora a loro e a voi tutti.
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