NEL MERAVIGLIOSO MONDO DELLA NATURA CON I FRATELLI TRAVAGLINI Nel 20° anniversario della scomparsa di Andrea (1921 – 1995) Nel 90° anniversario della nascita di Domenico (1925 – 2001) Domenico Travaglini, 1982 Andrea Travaglini, 1990 Ricostruire la storia dei fratelli Travaglini è stato particolarmente difficile, anche perché della loro vita hanno raccontato ben poco. Sappiamo che hanno trascorso la loro infanzia fra Ascoli Piceno 1 , dove sono nati, e la cittadina di Offida, ai piedi dei monti Sibillini, dove i loro avi, ‘i marchesi Travaglini’, possedevano una grande casa padronale e terreni che, si favoleggia, raggiungevano il mare Adriatico. Cartolina scritta da Giuseppe (Peppino) Travaglini, tenente dei Bersaglieri, al padre avv. Domenico (1916) Secondo l’anagrafe di Ascoli Piceno la famiglia di Giuseppe Travaglini ha avuto la propria residenza in via Tito Betuzio Barro n. 4 / 15; in Frazione Piagge n. 260; e in via Convertite 3 / 8. 1 Andrea a nove anni, 1929 Domenico a quattro anni, 1929 Il primo evento traumatico lo affrontano in tenera età quando perdono la loro cara mamma Ida Casalegno, sostituita da una matrigna che farà di tutto per allontanarli da casa. Il padre Giuseppe, giovane avvocato e tenente dei bersaglieri, ferito da una granata nel corso della 1° Guerra Mondiale, li manda a studiare in un prestigioso collegio di Torino dove frequentano un coetaneo di nome Gianni Agnelli, futuro presidente della Fiat e della Juventus. I momenti più belli restano quelli delle vacanze estive quando compiono lunghe passeggiate sui sentieri dei Sibillini e vivono a pieno contatto con la natura. Monti Sibillini: passeggiata lungo le Gole dell’Infernaccio Scrive Domenico: “Leopardi, osservando questi monti dalla natia Recanati, li descrisse come le ‘montagne azzurre’, al di là delle quali immaginava ‘arcani mondi’. Ma arcane e terribili sono le montagne stesse. Gli antichi Umbri ed i Piceni erano convinti che le orride gole, le forre inviolabili, le grotte tenebrose fossero le dimore delle divinità infernali … Nei silenzi e nelle solitudini delle praterie, che in molti luoghi dei Sibillini, come sui Piani di Castelluccio, sovente assumono aspetti irreali, i pastori elaborarono fiabe e leggende, che costituiscono un patrimonio di altissimo valore poetico e spirituale.” 2 Il padre fa rientrare i figli ad Ascoli nel 1937. Seguono alcuni anni di apparente tranquillità finché nel 1940, con l’ingresso dell’Italia in guerra, Andrea parte volontario per l’Africa. Andrea in partenza per l’Africa, 1940 Conquistati i gradi da sergente dell’aviazione ed una ‘Croce di Guerra’, Andrea si accorge che “la passeggiata in Africa”, tanto sbandierata dalla propaganda fascista, si rivela un’esperienza terrificante fatta di privazioni, sofferenze e morte che lo segnerà per tutta la vita. A stento riesce a fuggire e a tornare in patria a bordo di un aereo da trasporto ancora carico di scarpe … di cartone! I fratelli Travaglini si ritrovano ad Ascoli nel settembre 1943 alla caduta del fascismo. Andrea racconta: “In seguito al bando tedesco che ordinava il servizio obbligatorio del lavoro per le classi dal 1921 al 1925, mi rifugiai, insieme a mio fratello Domenico, sul Colle S. Marco, verso la seconda quindicina del mese di settembre 1943. Rimasi alcuni giorni insieme ad un mio amico, Tomassini Giuseppe, a S. Vito, e poi decisi di raggiungere le formazioni anti-tedesche sul Colle, dove pure si trovava mio fratello …” 3 “Fascino verde. Come individuare, avvicinare, osservare gli animali selvatici”, di Domenico Travaglini, Andrea Livi Editore 1999. “Memorie di una scelta. I fatti di Ascoli Piceno, settembre – ottobre 1943” a cura di Sergio Bugiardini e Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche, Edizioni Maroni 1995. 2 3 Scrive Domenico: “Era il 12 settembre 1943 ed avevo diciotto anni. Insieme ad alcuni compagni, stavo guardando le ragazze che uscivano dal Duomo, dopo la messa solenne della domenica, quando un reparto motorizzato tedesco apparve sulla piazza dell’Arengo e ci sfilò davanti. I soldati indossavano la divisa coloniale ed erano in assetto da combattimento…” 4 E’ l’inizio della sua personale ‘odissea’. Domenico viene catturato dai militari tedeschi nel corso dei combattimenti sul Colle San Marco, dove trovarono la morte tanti coraggiosi ascolani: Il Colle San Marco, dove caddero tanti giovani ascolani “ … un soldato mi tolse di dosso il telo da tenda, gridando improperi verso di me e Badoglio con la faccia stravolta dall’odio; vide il coltello, lo impugnò e lo sollevò per colpirmi al petto. Improvvisa, inaspettata e terribile, forse dolorosissima, sarebbe venuta la fine. Ma la voce imperiosa di un ufficiale intimò al soldato di desistere da quella esecuzione arbitraria. Continuando a perquisirmi, trovò le bombe a mano, ed ogni volta che ne estraeva una dalle tasche, mi sferrava un pugno, ma io non sentivo dolore, perché in quei momenti ogni sensibilità è sopita…” 5 Il Diario degli anni 1943 – 1945 di Domenico Travaglini 4 5 “Il vento tra le betulle. I miei vent’anni nell’Europa in fiamme” di Domenico Travaglini, Andrea Livi Editore 2001 “Il vento tra le betulle.” o. c. Domenico passa due anni infernali errando dai lager dell’Alta Slesia, fino ai confini con la Polonia, quindi in Cecoslovacchia. Gravemente ammalato, denutrito, in fin di vita … non si arrende e trova la forza per andare avanti, nella certezza di rivedere il suo Belpaese. “Il vento tra le betulle” ci mostra gli orrori della guerra con gli occhi di un poeta, in grado di scorgere la bellezza ovunque: nel vento che muove le cime degli alberi che circondano il campo di concentramento; nel volto degli uomini che soffrono, maltrattati, umiliati, uccisi ... 6 Domenico è sempre pronto ad aiutare i più deboli, senza distinzioni di sorta, compagni d'arme italiani, soldati Alleati, civili tedeschi ... E’ l’estate del 1945 e la guerra volge al termine, il giovane si appresta a lasciare la Germania: “… Una folata di vento fece tremare i rami delle betulle, che adesso avevano perso tutte le foglie e assunto un malinconico aspetto cadente. I bianchi rami sottili fluttuavano nel vento in un totale abbandono. Poi la nebbia nascose tutto. Ed il villaggio scomparve.” 7 Nel dopoguerra la vita dei fratelli Travaglini sembra tornare alla normalità: concludono gli studi magistrali, diventano maestri nelle scuole elementari, conoscono il loro grande amore ... Bice e Andrea, 1950 Liliana e Domenico, 1947 “Recuperati i resti di soldati italiani … corpi gettati nudi e senza piastrine di riconoscimento in fosse comuni … lasciati morire di fame nei lager tedeschi …”, tratto da Il Resto del Carlino, 30 novembre 2014. 7 “Il vento tra le betulle” o. c. 6 Album di famiglia di Andrea e Bice Andrea e Bice Spadellini, sorella dell’artista Alberto Spadolini (Spadò) e delle sorelle Spadellini, sarte a Fermo, s’incontrano nel Campo Profughi di Servigliano, dove insegnano a leggere e a scrivere ai tanti italiani costretti a fuggire dall’Istria.8 La scuola era nelle baracche utilizzate per imprigionare i soldati inglesi e americani catturati nel corso della 2° Guerra Mondiale e diventate dopo l’8 settembre 1943 un campo di concentramento per ebrei in attesa di deportazione in Germania. 8 Album di famiglia di Domenico e Liliana Domenico Travaglini e Liliana Pallottini celebrano il loro matrimonio nella Chiesa di San Martino a Fermo il 16 luglio 1947. Uno dei primi libri scritti da Domenico è dedicato “Alla dolce e bella Liliana”. In questa immagine li vediamo danzare al Veglione nel Teatro dell’Aquila di Fermo nel 1970. Andrea nel mondo dei minerali e fossili Bice Travaglini: “Andrea”, 1950 Andrea Travaglini all’I.T.C. “R. Valturio” di Rimini, 1970 Nella seconda metà degli anni ’60 Andrea, docente di Geografia Economica presso l’Istituto Tecnico Commerciale “R. Valturio” di Rimini, compie alcune escursioni alla ricerca di fossili, visitando le cave del Furlo e di San Marino, le colline di Mondaino e di Saludecio. La compagnia presto si allarga ad amici, parenti, studenti e colleghi di scuola. “Armato di mazza, piccozza e scalpelli ed accompagnato dai miei due figli, eccomi all’ingresso della cava del Furlo che ci si presenta come un immenso anfiteatro alto oltre 100 metri, con le pareti quasi a picco. Il calcare bianco, compatto, si alterna con strati di rosso ammonitico e con schisti argillosi di color grigio. Gli operai, in alto, legati a grossi cavi, forano la montagna e, con grande fragore, fanno precipitare in basso frane di sassi e macigni. E tra questo materiale che ci permettono di frugare. E noi tre, novelli cercatori d’oro, giù a picconare, martellare, scalpellare, spaccare …” 9 Memorabile resta una domenica al Furlo: un insegnante di matematica inizia a scalare la parete della cava a caccia di qualche ammonite ma, ad un certo punto, non riesce ne’ a proseguire ne’ a scendere. Per salvarlo è necessario chiamare una squadra di operai armati di corde mentre la moglie inviperita urla invettive contro il pover’uomo! E’ probabilmente in quella occasione che Andrea Travaglini decide di dar vita ad un centro di minerali e fossili con regole ben precise: non essere un pericolo per se o per gli altri! 9 “Addio fossili del Furlo”, di Andrea Travaglini, tratto da “Notiziario n. 1”, 1975 del Centro Internazionale Minerali e Fossili. Il primo numero della rivista “Notiziario”, di cui è anche direttore, risale al 1975; in 20 anni di attività pubblica centinaia di articoli tradotti anche all’estero, corredati da bellissime immagini fotografiche. Negli anni ’70 Travaglini organizza mostre e convegni a Riccione, a Rimini e nella Repubblica di San Marino. Il suo entusiasmo lo porta a ricoprire la carica di Presidente della Federazione Italiana ed in seguito della Federazione Europea dei Circoli Mineralogici e Paleontologici (FESPEM), organismo che all’epoca contava migliaia di associati. Per un ventennio collabora con docenti di Università italiane e straniere, partecipando attivamente alla fondazione di alcuni Musei come quello di Riccione e di Mondaino. Alcuni “Notiziari di Mineralogia e Paleontologia” pubblicati da Andrea Travaglini dal 1975 al 1995. I suoi articoli sui dinosauri, mammut e ammoniti, suscitano l’interesse degli specialisti come dei più giovani appassionati: “… il piacere di effettuare, in buona compagnia, lunghe escursioni in montagna esplorando caverne ed anfratti nella roccia, il fascino dell’avventura allorché si va alla ricerca in luoghi impervi e solitari, l’entusiasmo dell’improvvisa scoperta di un bell’esemplare, l’orgoglio nel riuscire, con duro lavoro di mazza e scalpello, ad estrarlo integro dalla roccia, la soddisfazione nel liberarlo dalle impurità, il vanto, infine, di poter avere, nel proprio appartamento, un piccolo museo da mostrare agli amici. I tuoi ospiti, così, potranno ammirare fossili di animali e piante vissuti decine o centinaia di milioni di anni or sono, piante ed animali che parleranno loro di una fauna e di una flora scomparse da epoche immemorabili, che prosperarono negli abissi del mare o nelle calde lagune tropicali, nelle foreste o nei deserti. Anche pochi reperti potranno illustrare loro intere pagine della storia della Terra: un dente di orso delle caverne, ad esempio, potrà ricordare loro le tante lotte sostenute, durante il paleolitico, dai primi uomini contro il loro più tremendo nemico; un dente di Carcharodon potrà essere la tangibile prova dell’esistenza della più gigantesca ‘tigre dei mari’ di tutti i tempi, in confronto della quale avrebbe fatto brutta figura anche lo squalo del film omonimo proiettato sui nostri schermi.” 10 10 “Il meraviglioso mondo dei fossili” di Andrea Travaglini, Editore Paravia, 1978. Sembra di rivedere Andrea, attorniato dai nipotini Gloria, Francesco e Michele, mentre racconta il fantastico ritrovamento del ‘Cimitero dei dinosauri’ operato nel 1877 da Marsh e Cope, insegnanti in prestigiose Università americane: “Quelle spedizioni furono le scintille che dettero inizio alla più pirotecnica rivalità che mai abbia agitato le tranquille acque del mondo della paleontologia … La rivalità che si accese fra i due studiosi trascese gli angusti limiti del mondo accademico e toccò vertici incredibili poiché degenerò in una lotta senza quartiere e senza esclusione di colpi, dallo spionaggio alla corruzione del personale nel campo avverso, dagli insulti e dalle minacce attraverso la stampa all’istigazione a delinquere, dalle vere e proprie scazzottate, tipo ‘Saloon’, così di moda a quei tempi, tanto che non poche furono le volte in cui, per puro caso, non ci scappò il morto! Si pensi che, dopo aver rapidamente saccheggiata una località fossilifera, tutti i fossili che restavano venivano frantumati perché non cadessero in mano all’avversario. Fu in questo clima ‘euforico’ che, tra Marsh e Cope, si svolse la ‘Corsa al dinosauro’ … Tra il 1877 e il 1890 avevano descritto addirittura 130 nuove specie di dinosauri!” 11 Bice e Andrea nel Museo di Mondaino Tronco silicizzato dell’Arizona “Il meraviglioso mondo dei fossili” Grazie ad Andrea possiamo rivivere l’incredibile storia della ‘Foresta di Cristallo’: “Duecento milioni di anni fa prosperava in Arizona una rigogliosa foresta di Araucarioxylon e di Woodwortie, alberi alti fino a trenta metri e con un diametro di base di tre metri alla cui ombra trovavano riparo i progenitori dei dinosauri, il mastodontosauro, i rettili pseudosuchi … Saranno proprio queste piante che, sepolte dai fanghi di improvvise alluvioni, dalle ceneri e dai fanghi eruttati dai vulcani, dalle sabbie e dalle polveri trasportate dai venti, si trasformeranno in quegli stupendi miracoli della natura rappresentati dai tronchi silicizzati, per dipingere i quali la natura aveva usato tutti i colori a sua disposizione: le radici variegate di verde, i fusti color grigio – violaceo e la corteccia bruno – rossiccia. 11 “Arthur Lakes e la ‘Morrison formation”, di Andrea Travaglini, tratto dal “Notiziario di Mineralogia e Paleontologia” n. 82, gennaio 1995. Molti tronchi riapparvero nell’originaria posizione di vita, ancora abbarbicati al paleosuolo con radici morte da tempi immemorabili, altre con le radici scoperte, altri ancora deposti qua e là, in ordine sparso, come se un folle boscaiolo avesse lasciato a metà il lavoro iniziato. Sbocciava così, dal sottosuolo, quello che gli Americani hanno chiamato la ‘Foresta di Cristallo’, quella foresta che, per giungere a noi aveva dovuto attraversare i profondi abissi del tempo” 12 Nel 1995 la nuova sede della FESPEM viene intitolata ad Andrea Travaglini Come ricorda la signora Bice, il 9 febbraio 1995, il giorno della sua morte, Andrea si alza da letto, seppur gravemente ammalato, si sistema al suo tavolo da lavoro tentando di completare il primo numero dell’anno della rivista e il suo ultimo articolo, quello sui mammut. Ormai gli occhi lo tradiscono, perfettamente lucido ha ancora tanta verve da scherzare con il suo medico curante dicendo: “Io non invecchio, fossilizzo!” Andrea Travaglini ha creato una ‘grande famiglia’ che, come ha scritto un carissimo amico: “… ha unito per anni centinaia di persone, forse migliaia, sotto la bandiera del bello, dell’esaltante, del curioso, del serio, della conoscenza. Ma la sua gioia mi è parsa dovuta al fatto che a fianco del professore universitario aveva messo l’operaio e che al fianco del sacerdote aveva messo l’ateo o almeno il miscredente, tutti lì a scavare ed a chiamarsi per un ‘pecten con le valve unite nel trascorrere dei millenni o per discutere sul come conservare una pigna toscana o sul perché siano scomparsi i dinosauri. ” 13 12 13 “La Foresta di Cristallo dell’Arizona”, di Andrea Travaglini, foto di Carlo Guerrino, ‘Notiziario di Minerali e Fossili n. 44 del 1985. Lettera di Carlo Lerone alla signora Bice Spadolini - Spadellini Domenico nel mondo della natura selvaggia Per alcuni anni Domenico Travaglini si dedica all’insegnamento, poi al giornalismo collaborando con storiche riviste come ‘Diana’, ‘Safari’, ‘Pescare’, ‘Sentieri di caccia’, ‘Habitat’. “Da sempre è appassionato alle scienze naturali ed alla osservazione naturalistica. Svolge ricerche di campagna sulla fauna italiana; si avvale delle testimonianze fotografiche per documentare il comportamento dei selvatici; con appostamenti diurni e notturni registra i versi animali, mediante sofisticate apparecchiature. Parte del materiale, raccolto durante le ricerche, è stato da lui donato all’Amministrazione provinciale di Ascoli Piceno ed è conservato nel Museo ‘Orsini’.” 14 “Il fascino verde” di Domenico Travaglini, Andrea Livi Editore, 1999 Di grande valore i suoi studi sulle volpi, sui ricci, sui lupi a proposito dei quali osserva: “La perfetta organizzazione sociale dipende dalla capacità dei lupi di comunicare tra loro. Per la trasmissione di notizie a grande distanza, si servono dell’ululato: impressionante concerto naturale, al quale tutti i componenti del gruppo partecipano, per mantenere i contatti, rinsaldare la coesione del branco, proclamare il possesso del territorio, eccitarsi l’un l’altro prima della caccia. Sui Monti Sibillini, in una notte tempestosa, ho avuto la ventura di ascoltare il concerto dei lupi. Nel silenzio della notte invernale, si levò un richiamo lontano, lamentoso, prolungato. Crebbe di intensità, si ruppe in note singhiozzanti, si spense, si riaccese, mentre un altro ululato risuonava più vicino, ed un altro ancora echeggiava chissà dove tra le rupi boscose. Erano richiami, comandi, domande, risposte, lugubri invocazioni, che man mano si affievolirono tremolando e si spensero …” 15 14 15 “Fascino verde” o. c. “Fascino verde” o. c. E’ magnifico l’incontro con la volpe: “Che fosse il maschio l’avevo intuito fin dal primo istante, quando era sbucato dalle tamerici e, trottando con scioltezza sulla cresta del calanco, era salito all’imboccatura superiore della tana. Nell’oculare della macchina fotografica mi appariva vicinissimo, grazie al potente teleobiettivo. Ben diritto sulle zampe, con il collo eretto, la grande coda tenuta alta e tesa come l’asta di una bandiera – che tra le volpi è il distintivo dei soggetti dominanti – sembrava che stesse in posa, per offrire di sé la migliore immagine. Non esagero, se dico che fui travolto da un’ondata di felicità. Sentivo materializzarsi la certezza che l’occasione tenacemente perseguita negli appostamenti, che duravano ormai da quattro primavere, stava per verificarsi. Sapevo ciò che sarebbe accaduto tra qualche istante, per averlo osservato più volte nel chiarore crepuscolare delle albe e dei tramonti, o nell’ombra del sottobosco, dove ottenere sequenze fotografiche di animali in movimento era stato impossibile, non possedendo una attrezzatura sufficientemente sofisticata. Stavolta la scelta sagace del luogo di appostamento mi avrebbe permesso di raggiungere lo scopo, perché la scena dell’incontro del maschio con i cuccioli stava per ripetersi allo scoperto, nella radiosa luce meridiana…” Silvia e Francesco con la volpe, Fermo 1999 “Tra i tanti miei avvistamenti uno dei più suggestivi avvenne durante una serie di appostamenti per stimare la media dei volpacchiotti, nati in quell’anno. Sollevandosi dall’Adriatico, l’enorme luna arancione diffondeva un chiarore rossastro, nel quale tutto appariva irreale. I cinque volpacchiotti, che presso la tana si avventavano per gioco l’uno contro l’altro, si azzannavano al collo, si inseguivano, si rotolavano, sventagliando le lunghe code dal ciuffo bianco, si immobilizzavano nell’ombra per tornare ad aggredirsi, così irruenti e così silenziosi, sembravano fantasmi di un mondo scomparso, perché la mente quasi rifiutava di credere che in un ambiente snaturato come quello delle campagne intensamente coltivate potessero vivere creature così armoniose e selvagge… E’ incredibile come le volpi, in ambienti che a noi sembrano privi di cibo, riescano a nutrire i loro famelici figli, che possono essere quattro – sei, non raramente otto; ed è ugualmente incredibile come queste timidissime creature, che tremano ad ogni muoversi d fronda, siano pronte a sacrificarsi per deviare su se stesse l’attenzione dei predatori.” 16 16 “Il fascino verde” o. c. A proposito del riccio osserva: “Nel mese di luglio, i giovani ricci cominciano ad aggirarsi sulle campagne per scegliere un loro territorio di caccia. Alcuni soccombono, vittime delle sostanze chimiche usate in agricoltura; altri vengono abbacinati ed uccisi dagli automezzi, quando attraversano la strada; altri muoiono a causa dei parassiti esterni – pulci e zecche che si infilano persino dentro le orecchie per succhiare il sangue – e di quelli interni, trasmessi da chiocciole, limacce, insetti, lombrichi infetti. “Il mistero del riccio” di Domenico Travaglini Come ho scritto sul mio libro dedicato alla specie, sembrerà incredibile a chi si è sempre disinteressato di questi animaletti ed è abituato a vedere soltanto le spoglie di quelli che sono stati arrotati, che i ricci siano creature misteriose ed affascinanti: misteriose perché dei loro strani comportamenti sappiamo pochissimo, dato che sono animali notturni e trascorrono gran parte dell’esistenza chiusi nel loro covo; affascinanti per la singolarità dell’aspetto, e perché esistono da 60 milioni di anni, senza aver subito notevoli trasformazioni. Se li immaginiamo privi di corazza e con un lungo codino, somigliano al primo mammifero, apparso sulla terra, al tempo dei dinosauri. La somiglianza deriva dal fatto che, avendo trasformato i peli delle parti superiori del corpo in aculei ed appreso ad avvolgersi a palla, divennero quasi invulnerabili e non ebbero più bisogno di evolversi. Perciò hanno conservato molte caratteristiche fisiche e comportamentali del mammifero primordiale, che fu il loro progenitore e anche il nostro. Osservare il Riccio è come gettare un’occhiata sul nostro lontanissimo passato.” 17 Di Domenico Travaglini si potrà ben dire: “Visse sempre nella Natura”. 17 “Il mistero del Riccio” di Domenico Travaglini, Andrea Livi Editore, 1999 A mio padre E’ di nuovo Natale: questa festa che ti piaceva tanto e che aspettavi con cuore di fanciullo, già per tempo addobbando la casa e il bell’abete con i regali appesi ai lunghi rami, per far felice mamma; ma quest’anno è il suo primo Natale senza te. Siede riunita tutta la famiglia intorno alla gran tavola imbandita ed i bambini aspettano che il testo dei ‘veri’ vincisgrassi della nonna Liliana, come sempre sia sfornato. E dopo ci saranno anche i regali: “Di meno” dice il piccolo Francesco; e, infatti, appesi all’albero non trova i pacchetti firmati ‘Nonno Mimmo’: silenzio intorno, mamma piange piano. Occupa ognuno i posti stabiliti da lunga tradizione familiare, ma la poltrona di velluto rosso coi braccioli di legno che tu usavi, sedendo a capotavola, rimane vuota di fianco al fuoco del camino, sotto la rastrelliera dei fucili da caccia e le beccacce imbalsamate. Ho passato la sera rileggendo gli articoli di ‘Diana’ che stendevi con rara competenza e i vari libri di etologia che pubblicasti insieme a straordinarie foto d’animali. E l’ultimo, il più bello, che scrivesti mentre la morte ti sedeva accanto rendendoti più vividi i ricordi dei tuoi vent’anni nell’Europa in fiamme: nel cuore della notte solo “Il vento tra le betulle” ti era di conforto. Ti leggo e ti rileggo, sfoglio, osservo le foto con la lente, segno gli anni, scavo nel tuo passato il mio futuro; risalgo finché posso i miei ricordi e poi m’affido a te fino a scoprire il sublime segreto di una vita. Daniele, Massimiliano, Stefano e Marco Porto San Giorgio, 1961 Ho preso solamente l’antipasto e un bicchiere d’Orvieto m’è bastato; e quando i bimbi passano alle paste e al panettone Motta con l’uvetta, io, mentre tutti brindano, rimango con la scusa del fumo, tra i tuoi libri a pensarti e a parlarti lungamente, come se in qualche modo tu potessi rispondermi e ascoltarmi come allora; tu che hai lasciato nel mio cuore un vuoto che gli altri non riescono a colmare. Ma della morte tua con te che tanto nella vita credevi, come posso parlare, padre, ed invocar la pace nelle profonde tenebre dell’urna, per te che fino all’ultimo hai sognato la luce e la bellezza del creato? Tratto da “Il canto delle sirene” di Massimiliano Travaglini, Andrea Livi Editore, 2005
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