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CONFIMI
Rassegna Stampa del 19/05/2014
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INDICE
CONFIMI
17/05/2014 L'Arena di Verona
Ferrari presidente di Verona Innovazione
10
17/05/2014 Cronaca di Verona
SECONDO APPUNTAMENTO PREMIO MAINARDI
13
17/05/2014 La Nuova Provincia di Biella
Roberto Scenna si autosospende per candidarsi
14
17/05/2014 Prima Pagina
«L'efficienza energetica passa da un piano di sostituzione di edilizia immobiliare»
15
17/05/2014 Prima Pagina
Aniem: serve un piano di sostituzione di edilizia immobiliare
16
CONFIMI WEB
16/05/2014 it.finance.yahoo.com 12:34
Casa, Aniem:efficienza energetica con piano sostituzione edilizia
18
16/05/2014 agenparl.com 12:22
ANIEM: EFFICIENZA ENERGETICA PASSA ATTRAVERSO UN PIANO DI
SOSTITUZIONE DI EDILIZIA IMMOBILIARE
19
16/05/2014 agenparl.com 13:32
EFFICIENZA ENERGETICA :ANIEM, PASSA ATTRAVERSO UN PIANO DI
SOSTITUZIONE DI EDILIZIA IMMOBILIARE
20
17/05/2014 agenparl.com 18:03
GLOBALIZZAZIONE: DESIDERI (CONFIMI IMPRESA), FIOCCANO LE CONFERME DI
AMBASCIATE PRESENTI AL WORKSHOP DELLE MPMI ITALIANE
21
16/05/2014 borsaitaliana.it 13:55
Immobili: Aniem, efficienza energetica con piano sostituzione edilizia
22
16/05/2014 www.alternativasostenibile.it 16:00
Efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare
23
16/05/2014 www.bologna2000.com 16:59
Aniem: 'L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare'
24
16/05/2014 www.modena2000.it 16:43
Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare"
25
16/05/2014 www.reggio2000.it 16:08
Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare"
26
16/05/2014 www.sassuolo2000.it
Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare"
27
16/05/2014 impresamia.com
EDILIZIA - Efficienza energetica: Aniem, credere in un piano di demolizione e
ricostruzione
28
16/05/2014 www.sassuoloonline.it 16:08
Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare"
29
SCENARIO ECONOMIA
17/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Btp, i rendimenti restano sopra al 3%
31
17/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
nei Campi Diciassettemila Nuove imprese Sotto i 30 Anni
32
17/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Carige, l'incognita dell'aumento «Interessati da 3 a 5 investitori»
33
18/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Fondazione Mps: Mansi lascia
34
18/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Ubi, in arrivo le risposte a Consob Moltrasio: «L'inchiesta? Un polverone»
36
18/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
i nuovi Mutui e lo Spread giù fino al 2,1%
37
19/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La crisi preoccupa Ma per un italiano su 4 il peggio è alle spalle
38
19/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Uscire dalla moneta unica, una catastrofe per l'Italia»
40
19/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«La mia vita non è Mps Ora tornerò in azienda»
42
19/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Cedere sovranità per essere più forti Il federalismo via maestra europea
44
17/05/2014 Il Sole 24 Ore
«Dl Poletti primo passo per il lavoro flessibile»
46
17/05/2014 Il Sole 24 Ore
Le crociate sbagliate contro il cibo made in Italy
48
17/05/2014 Il Sole 24 Ore
«Aggregazioni solo dopo i test Bce»
50
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Strade, Tav, reti: il Paese che non c'è
52
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Grandi opere al palo: Italia ultima nella Ue
53
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Ma l'Europa non scelga i patriottismi economici
55
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Il rilancio del Sud passa (anche) dall'Europa
57
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Perché serve privatizzare le «utilities»
59
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Mansi: lascio l'Ente Mps risanato e senza debiti
61
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Così difendiamo il cibo «made in Italy»
63
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Squinzi: serve più Europa per la crescita e il lavoro
65
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
D'Amato: l'Europa si muova serve una nuova governance
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Le imprese alla scoperta del Mozambico
67
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Quei beni culturali che non diventano il petrolio italiano
70
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Evento speciale, poteri speciali
72
18/05/2014 Il Sole 24 Ore
Le Borse europee a «braccetto» con il Pil
73
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Tasse sul risparmio, ecco chi paga di più
75
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Tasi e Imu, pasticcio senza vincitori
78
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
A rianimare il Pil non bastano le spintarelle
80
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Quattro vie per il debutto del bonus Irpef
82
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Economia e sport due beni preziosi senza vere difese
85
17/05/2014 La Repubblica - Nazionale
L'Italia rischia di perdere 42 miliardi di fondi europei
86
17/05/2014 La Repubblica - Nazionale
Ubi finisce anche nel mirino Consob Sotto la lente i poteri interni alla banca
88
17/05/2014 La Repubblica - Nazionale
A Pansa 5,5 milioni di buonuscita Reazioni indignate "Schifo e vergogna"*
89
18/05/2014 La Repubblica - Nazionale
"Il rinvio può mettere in crisi i nostri conti servirebbero le rate"
90
18/05/2014 La Repubblica - Nazionale
Apple e Google intesa sui brevetti Samsung il nemico
91
18/05/2014 La Repubblica - Nazionale
"Le valute regionali aggirano il fisco"
92
19/05/2014 La Repubblica - Nazionale
93
68
I Fondi stranieri conquistano l'Italia
19/05/2014 La Repubblica - Nazionale
La Ue: via la data di scadenza da pasta e caffé Ma è battaglia
17/05/2014 La Stampa - Nazionale
L'AMERICA ORA VUOLE DUE VELOCITÀ PER INTERNET
96
98
17/05/2014 La Stampa - Nazionale
COSÌ NEL MONDO SI COMBATTONO LE TANGENTI
100
17/05/2014 La Stampa - Nazionale
Tasi, corsa a ostacoli per i versamenti
102
18/05/2014 La Stampa - Nazionale
MA DALLE CRISI NASCONO SPESSO LE GRANDI COSE
104
19/05/2014 La Stampa - Nazionale
È DIFFICILE ANCHE PAGARE LE TASSE
106
19/05/2014 La Stampa Nazionale
Abolire la povertà: un dovere
107
19/05/2014 La Stampa - Nazionale
Torna la voglia di comprare casa
109
19/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'ONORABILITÀ DEI MANAGER SECONDO UNDERWOOD
110
19/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Milano, quel che resta dell'Expo
111
19/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Perché volano i partiti antieuro
114
19/05/2014 Corriere Economia
Le (in)certezze che non aiutano la crescita
116
17/05/2014 Milano
Finanza
L'export soffre troppo
117
17/05/2014 Milano Finanza
Paoncelli: marginale l'impatto di un Qe sul supereuro
119
17/05/2014 Milano Finanza
Bce più forte della Fed? La vogliono tutti. A parole
120
17/05/2014 Milano Finanza
Inve
stire
in Ferrari il sogno di tanti. Ma la Fiat non apre
122
17/05/2014 Milano Finanza
Su Google sentenza giusta. Ma rischiosa
123
17/05/2014 Milano
Finanza
Il motore è la domanda
124
17/05/2014 Milano Finanza
Goodman (Goldman Sachs), le compagnie diventano più alternative
126
SCENARIO PMI
18/05/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Google e Apple siglano la tregua: stop alla lunga guerra sui brevetti
128
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Marketing, il risveglio dei budget
130
19/05/2014 Il Sole 24 Ore
Anticontraffazione, Roma riattiva il desk a Pechino
132
19/05/2014 La Stampa - Nazionale
Le chiusure dei pannolini? Magis le vende a tutto il mondo
134
18/05/2014 Il Giornale - Nazionale
«L'Agenzia delle entrate manda in rovina l'Italia»
135
17/05/2014 Avvenire - Nazionale
Così Nordmeccanica imballa il mercato
138
17/05/2014 ItaliaOggi
Aziende familiari, donne è meglio
139
17/05/2014 ItaliaOggi
Verso il taglio dell'Irap
140
19/05/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Pagine Sì! le directory resistono in provincia grazie al Web
141
19/05/2014 Corriere Economia
Brembo senza freni Cresce e prepara la campagna d'America
142
19/05/2014 ItaliaOggi Sette
Agenzie per il lavoro in ripresa
144
17/05/2014 Milano Finanza
Smi, parte la missione Brasile
146
CONFIMI
articoli
17/05/2014
L'Arena di Verona
Pag. 43
(diffusione:49862, tiratura:383000)
Ferrari presidente di Verona Innovazione
Alessandro Ferrari Alessandro Ferrari è il nuovo presidente di Verona Innovazione, azienda speciale della
Camera di commercio di Verona. Ferrari è affiancato da Nicola Baldo, Paolo Ferrarese, Ferdinando Marchi e
Laura Sguazzardo, in consiglio di amministrazione. Ne dà notizia una nota dell'ente camerale. La nomina è
stata comunicata oggi durante la seduta del Consiglio dell'ente di cui Ferrari, Ferrarese e Baldo, che è anche
in Giunta, fanno parte. «Ferrari abbina alla giovane età, esperienza sia imprenditoriale che associativa»,
commenta Giuseppe Riello, presidente della Camera di commercio di Verona. «È quindi la persona ideale
per seguire le tematiche del lavoro, della formazione e dello sviluppo della cultura imprenditoriale». Ferrari è
imprenditore nel settore dell'arredamento contract, della ristorazione ed è presidente del Gruppo Giovani di
Apindustria dal 2012.
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CAMERA COMMERCIO
17/05/2014
Cronaca di Verona
Pag. 3
SECONDO APPUNTAMENTO PREMIO MAINARDI
Con il patrocinio di Banca Popolare di Verona, Apindustria ,Verona Innovazione e Ufficio Scolastico, è rivolto
alle classi 3^ e 4^ delle superiori
Mainardi Sistemi Verona SrL e Banca Popolare di Verona con il patrocinio di Apindustria Verona, Verona
Innovazione e ufficio XII - ufficio scolastico di Verona promuovono il Premio Mainardi Sistemi Verona e Banca
Popolare di Verona rivolto alle classi 3^ e 4^ delle Scuole Superiori di Verona, per: 1. realizzare un prodotto o
un servizio innovativo pronto per il mercato; 2. redigerne il conseguente "business plan" al fine di renderlo
operativo; 3. presentare il relativo preventivo di commercializzazione. Gli studenti lavoreranno in team
composti da 3 o 5 persone, aventi la finalità di sviluppare la propensione al lavoro di gruppo, aspetto rilevante
e vincente soprattutto in considerazione del contingente momento di difficoltà globale. L'attività con le scuole
aderenti inizierà nel corso del mese di settembre 2013 per concludersi a maggio 2014; inoltre i manufatti
realizzati verranno valutati da una commissione opportunamente definita. Al gruppo vincitore verrà
corrisposta una borsa di studio economica da dividersi tra i componenti. L'iniziativa è resa possibile grazie
alla collaborazione sinergica tra Mainardi Sistemi Verona SrL e Banca Popolare di Verona. L'impegno profuso
dalla Banca Popolare è coerente con la sua identità e con le radici solidaristiche popolari che lo
contraddistinguono, spingendolo a dedicare la massima attenzione, non solo agli ambiti economici della
propria attività istituzionale, ma anche agli aspetti di "responsabilità sociale". Parte rilevante della "mission"
della Banca Popolare di Verona e del Banco Popolare, è, certamente, il sostegno alla formazione dei giovani,
depositari e testimonial attivi per il futuro della nostra società. Analo gamente alla Prima Edizione, il Premio
ha lo scopo di creare integrazione tra esperienza scolastica e mondo del lavoro, con la possibilità di declinare
nella pratica le abilità e le conoscenze acquisite. In questa Seconda Edizione, forti dell'esperienza
accumulata in quella precedente, si vuole dare ulteriore concretezza al lavoro delle classi coinvolte, tramite
l'organizzazione di incontri di approfondimento su specifiche tematiche con Imprenditori Veronesi che
metteranno a disposizione la loro esperienza. L'impatto comunicativo del Progetto sarà notevole e, per
l'occasione, saranno utilizzati, oltre agli strumenti tradizionali di informazione (quotidiani, tv locali ecc) anche i
social network (Facebook e Linkedin).
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
13
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Iniziative
17/05/2014
La Nuova Provincia di
Biella
Pag. 15
(tiratura:6000)
Roberto Scenna si autosospende per candidarsi
BIELLA (csh) Roberto Scenna , coordinatore di API Biella, Delegazione di API Torino -, ha scelto di
autosospendersi dall'incarico di lavoro all'Associazione delle PMI biellesi. La decisione è stata determinata
dall'inserimento di Scenna nel listino di Davide Bono candidato Presidente alla Regione Piemonte.
"Preferisco - spiega Scenna - mantenere ben distinti i mie ruoli in maniera da non confondere attività politica
e attività lavorativa, soprattutto in un momento delicato per le PMI come quello che stiamo attraversando".
L'autosospensione ha effetto dal 30 aprile scorso e fino all'esito delle elezioni. In questo periodo, la
responsabilità del coordinamento e dello sviluppo associativo di API Biella passa a Marina Buratti: sarà quindi
assicurata la normale assistenza alle imprese e l'erogazione di tutti i servizi consueti.
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
14
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API BIELLA
17/05/2014
Prima Pagina
Pag. 26
«L'efficienza energetica passa da un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare»
MODENA L'imminente recepimento dell a d i r e t t i v a U E 2012/27 e la necessità di garantire la
realizzazione degli obiettivi internazionali sull'e fficientamento energetico rendono quanto mai urgente la
definizione di un piano industriale di riqualificazione immobiliare » . Questa la posizione convinta delle pmiedili di Aniem, l'A s s ociazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
«Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere precisa il presidente di Aniem, Dino Piacentini ( nella foto
) Ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e non
ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria, occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale». «E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini senza esitazioni, se vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come
quello dell'edilizia».
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
15
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ANIEM Il presidente Dino Piacentini interviene sulla stabilizzazione degli incentivi fiscali
17/05/2014
Prima Pagina
Pag. 25
Aniem: serve un piano di sostituzione di edilizia immobiliare
«Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere»
ROMA L'imminente recepimento della direttiva UE 2012/27 e la necessità di garantire la realizzazione degli
obiettivi internazionali sul l'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem, l'As s o ci a z
io n e Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa. "Condividiamo la stabilizzazione
degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati rispetto ai concreti obiettivi che
devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti che "ci sono ampie parti del nostro
patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e non ha senso intervenire con azioni
di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di demolizione e ricostruzione,
coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono essere sostituite con i progetti
perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di efficienza energetica,
liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing sociale". "E' questa la
nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza esitazioni, se
vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come quello dell'edilizia".
Foto: Dino Piacentini, presidente di Aniem
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
16
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Imminente il recepimento della direttiva UE 2012/27 EFFICENZA ENERGETICA
CONFIMI WEB
12 articoli
16/05/2014
12:34
it.finance.yahoo.com
Sito Web
pagerank: 7
Roma, 16 mag. (TMNews) - L'imminente recepimento della direttiva Ue 2012/27 e la necessità di garantire la
realizzazione degli obiettivi internazionali sull'efficientamento energetico "rendono quanto mai urgente la
definizione di un piano industriale di riqualificazione immobiliare". Questa la posizione delle pmi-edili di
Aniem, l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere". Il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale".
"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
esitazioni, se vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come quello
dell'edilizia".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
18
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Casa, Aniem:efficienza energetica con piano sostituzione edilizia
16/05/2014
12:22
agenparl.com
Sito Web
pagerank: 5
(AGENPARL) - Roma, 16 mag - L'imminente recepimento della direttiva UE 2012/27 e la necessità di
garantire la realizzazione degli obiettivi internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai
urgente la definizione di un piano industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta
delle pmi-edili di Aniem, l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale". "E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini senza esitazioni, se vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come
quello dell'edilizia".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
19
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ANIEM: EFFICIENZA ENERGETICA PASSA ATTRAVERSO UN PIANO DI
SOSTITUZIONE DI EDILIZIA IMMOBILIARE
16/05/2014
13:32
agenparl.com
Sito Web
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(AGENPARL) - Roma, 16 mag - L'imminente recepimento della direttiva UE 2012/27 e la necessità di
garantire la realizzazione degli obiettivi internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai
urgente la definizione di un piano industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta
delle pmi-edili di Aniem, l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
20
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EFFICIENZA ENERGETICA :ANIEM, PASSA ATTRAVERSO UN PIANO DI
SOSTITUZIONE DI EDILIZIA IMMOBILIARE
17/05/2014
18:03
agenparl.com
Sito Web
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(AGENPARL) - Roma, 17 mag - Un elenco di accreditamenti impressionante si sono aggiunte le conferme
delle ambasciate di: Albania, Austria, Estonia, Lettonia, Polonia, Russia, Romania, Slovenia, Spagna.
Stamattina sono anche arrivate le conferme di ABI - Associazione Bancaria Italiana, del Consiglio Nazionale
del Notariato, dei Consigli Nazionali di tanti altri Ordini professionali. In queste ore la segreteria
diConfimprese Italia sta letteralmente esplodendo. Sereno e soddisfatto Fabio Desideri - Segretario di Roma
Capitale di Confimprese Italia - il quale ha dichiarato: ."il lavoro di relazioni e rapporti che abbiamo intessuto
sta dando i suoi risultati, la conferma della presenza di tante Ambasciate, di Enti, Istituzioni, organizzazioni è
la conferma di una grande attenzione al temadell'internazionalizzazione delle MPMI italiane".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
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GLOBALIZZAZIONE: DESIDERI (CONFIMI IMPRESA), FIOCCANO LE
CONFERME DI AMBASCIATE PRESENTI AL WORKSHOP DELLE MPMI
ITALIANE
16/05/2014
13:55
borsaitaliana.it
Sito Web
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(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 16 mag - "L'imminente recepimento della direttiva Ue 2012/27 e la
necessita' di garantire la realizzazione degli obiettivi internazionali sull'efficientamento energetico rendono
quanto mai urgente la definizione di un piano industriale di riqualificazione immobiliare". Cosi' le pmi edili di
Aniem, Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa. 'Condividiamo la
stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati rispetto ai concreti
obiettivi che devono raggiungere', afferma il presidente, Dino Piacentini. 'Ci sono ampie parti del nostro
patrimonio immobiliare che sono vetuste, obsolete e fortemente energivore e non ha senso intervenire con
azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di demolizione e ricostruzione,
coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono essere sostituite con i progetti
perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di efficienza energetica,
liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing sociale'.
com-red
(RADIOCOR) 16-05-14 11:32:01 (0221)IMM 5 NNNN
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
22
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Immobili: Aniem, efficienza energetica con piano sostituzione edilizia
16/05/2014
16:00
www.alternativasostenibile.it
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Piacentini: Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno
selezionati rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere.
L'imminente recepimento della direttiva UE 2012/27 e la necessità di garantire la realizzazione degli obiettivi
internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem,
l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale".
"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
esitazioni, se vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come quello
dell'edilizia".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
23
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione di edilizia
immobiliare
16/05/2014
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L'imminente recepimento della direttiva UE 2012/27 e la necessità di garantire la realizzazione degli obiettivi
internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem,
l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
sociale".
"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
esitazioni, se vogliamo modernizzare le nostre periferie e rilanciare l'attività di un settore in crisi come quello
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Aniem: 'L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione
di edilizia immobiliare'
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internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem,
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"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
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"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
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Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione
di edilizia immobiliare"
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"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
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che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
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internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem,
l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere - il presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che - ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
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"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
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EDILIZIA - Efficienza energetica: Aniem, credere in un piano di
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internazionali sull'efficientamento energetico rendono quanto mai urgente la definizione di un piano
industriale di riqualificazione immobiliare. Questa la posizione convinta delle pmi-edili di Aniem,
l'Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere, aderente a Confimi Impresa.
"Condividiamo la stabilizzazione degli incentivi fiscali, ma serviranno a poco se non saranno selezionati
rispetto ai concreti obiettivi che devono raggiungere", il Presidente di Aniem Dino Piacentini, precisa infatti
che "ci sono ampie parti del nostro patrimonio immobiliare che è vetusto, obsoleto e fortemente energivoro e
non ha senso intervenire con azioni di manutenzione ordinaria; occorre, finalmente, credere in un piano di
demolizione e ricostruzione, coinvolgendo aree di edilizia abitativa, industriale, commerciale che possono
essere sostituite con i progetti perfettamente sostenibili, sia dal punto di vista economico che ambientale, di
efficienza energetica, liberazione del suolo: con una maggiore qualificazione dei servizi e facendo housing
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"E' questa la nuova politica della riqualificazione che dobbiamo attivare - prosegue Piacentini - senza
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Aniem: "L'efficienza energetica passa attraverso un piano di sostituzione
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SCENARIO ECONOMIA
57 articoli
17/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Btp, i rendimenti restano sopra al 3%
Lo spread scende a 173 punti. La Bce studia un nuovo maxiprestito alle banche
Stefania Tamburello
ROMA - Dopo il giovedì nero, i mercati ieri hanno cercano di riprendere quota: Piazza Affari, dopo una
giornata in altalena, complice l'avvio incerto di Wall Street e l'affanno di tutte le piazze europee sulla scia
ancora dei timori sull'esito delle elezioni interne greche e sull'evoluzione della crisi ucraina, ha chiuso in
progresso dell'1,12% a 20.648 punti. Lo spread fra i rendimenti dei Btp decennali è tornato a scendere anche
se senza recuperare l'impennata del giorno prima: ha chiuso a quota 173, contro i 180 punti di giovedì, con
un tasso del Btp ancora sopra il 3%, precisamente al 3,05%. Gli operatori riferiscono che a comprare siano
stati soprattutto investitori italiani i quali, dopo le vendite di ieri, avrebbero considerato il rialzo dei tassi come
un'opportunità da cogliere per ricoprire le proprie posizioni. Infine l'euro: in una giornata caratterizzata da
contrattazioni ridotte la valuta unica si è mossa in una forbice compresa tra 1,3685 e 1,3728 dollari. In
chiusura l'euro è stato quotato a dollari.
Le tensioni scoppiate giovedì sono quindi rientrate, ma non del tutto. Resta il nervosismo e l'incertezza sulla
ripresa, dopo la doccia fredda dei dati sulla crescita del Pil che se hanno riportato in territorio negativo il
Prodotto dell'Italia hanno confermato, con l'unica eccezione della Germania, la situazione di difficoltà
dell'intera Eurozona sempre più minacciata da stagnazione e deflazione.
In questo scenario cresce l'attesa per le mosse della Bce, dopo l'ipotesi di un'azione espansiva per giugno,
formulata dallo stesso presidente Mario Draghi il 9 maggio a Bruxelles. I deludenti dati sul Pil, aggiunti alle
previsioni di ulteriore ribasso dell'aumento dei prezzi, indicate dagli esperti di Francoforte rafforzano la
convinzione che la Banca centrale europea, dopo i rinvii, sia pronta ad agire per bloccare i rischi connessi ad
un prolungato periodo di bassa inflazione, per stimolare la crescita e mettere un freno al supereuro.
L'interrogativo a questo punto è, semmai, su quali interventi - fra i quelli a disposizione - si indirizzerà il
consiglio direttivo dell'Eurotower che si riunirà per decidere il 5 giugno, dopo aver valutato le nuove previsioni
economiche. Di certo si sa che a Francoforte gli uffici hanno aumentato i ritmi di lavoro cercando anche di
studiare gli effetti a breve e a lungo termine delle misure da adottare. «Stiamo lavorando su molti strumenti»,
ha detto Yves Mersch, del board dell'Eurotower. L'intervento non dovrebbe essere limitato alla manovra sui
tassi, per quel che riguarda sia il taglio - si parla di 10-15 punti base - dei tassi di riferimento attualmente allo
0,25%. Sia la riduzione - con l'introduzione quindi di un tasso negativo - dei rendimenti corrisposti sui depositi
in Bce delle banche, che attualmente sono a quota zero. In discussione potrebbe esserci «un pacchetto» di
misure come ha fatto capire nei giorni scorsi il capo economista della Bce, Peter Praet. Tra questi troverebbe
spazio una nuova operazione di prestiti a lungo termine (Ltro) alle banche, condizionata però alla
concessione di credito alle imprese. Una misura questa che pure in presenza di una scarsa domanda di
investimenti, avrebbe lo scopo di evitare ogni possibile strozzatura del credito per non soffocare la timida
ripresa. Inoltre la Bce potrebbe - anche se ci sono ancora ostacoli tecnici -decidere tra l'altro di acquistare
titoli cartolarizzati (Abs) su prestiti alle piccole e medie imprese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il differenziale con i titoli decennali tedeschi 2 dicembre 125 160 175 200 225 13 gennaio 2 0 1 3 2 0 1 4
D'ARCO 10 febbraio 10 marzo 7 aprile 5 maggio 173 punti base la chiusura di ieri Il rendimento del
decennale italiano 3,05%
Foto: Il presidente della Bce, Mario Draghi. L'Eurotower sta studiando un pacchetto di interventi per stimolare
l'economia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
31
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Mercati Si attenua la tensione ma gli operatori rimangono cauti sulla ripresa. Piazza Affari recupera l'1,12%
17/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:619980, tiratura:779916)
nei Campi Diciassettemila Nuove imprese Sotto i 30 Anni
Paola Pica
Il segnale più forte è arrivato dai ventenni. E forse non è tardi per raccoglierlo. Sono 17 mila le aziende
agricole nate negli ultimi quattro anni per iniziativa di under 30, dice una tra le più interessanti indagini
sfornate dal Censis. Ragazze e ragazzi che tornano in campagna. «Un dato eclatante visto l'accesso al bene
terra tutt'altro che agevole » ha commentato Dino Scanavino, presidente di Cia, la Confederazione degli
agricoltori, presentando la ricerca . Un po' a sorpresa, l'82% degli italiani ha dichiarato che il mondo agricolo è
un «asset strategico» per tornare a crescere. Su 100 start up dell'agroalimentare, 18 sono state create da
giovanissimi. Le donne rappresentano il 31,2% degli imprenditori. Il ministro Maurizio Martina ha annunciato
«un percorso nuovo» di semplificazione e attenzione al ricambio generazionale. La consistenza delle
promesse potrà essere testata a breve, nel decreto «Campolibero» in arrivo.
paolapica
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
32
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La lente
17/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Carige, l'incognita dell'aumento «Interessati da 3 a 5 investitori»
Da Bonomi alle Coop. La Fondazione scenderebbe al 20%
Erika Dellacasa
Il «cantiere» Banca Carige presenta il rendiconto trimestrale 2014, che mantiene comunque un utile netto di
17,6 milioni di euro anche se il calo (-63,8%) rispetto ai 49 milioni di un anno fa è consistente: «Ci
consideriamo un cantiere a cielo aperto - è il commento dell'amministratore delegato Piero Luigi Montani Non si può pensare che la banca consegua certi risultati in pochi mesi o in un anno, dobbiamo ragionare su
un arco temporale più esteso». Se il margine di intermediazione è calato dell'11,5% e le rettifiche di valore sui
crediti sono aumentate da 52,8 a 69 milioni, è vero che la copertura del credito deteriorato è migliorata di un
punto (dal 37,4 al 36,18) rispetto alla fine del 2013, mentre Montani ha confermato fra le sue «priorità» il
problema degli incagli.
Brucia ancora il report durissimo di Bankitalia che portò alla decapitazione dei vertici di Carige la scorsa
estate. «Abbiamo pensato a una bad bank per i crediti in sofferenza - ha detto l' amministratore delegato - ma
per ora non c'è questa intenzione, forse se ne parlerà in futuro».
Montani si trova ad affrontare più partite in contemporanea, dall'ispezione della Bce all'aumento di capitale al
nuovo piano industriale che comporta un confronto (già iniziato) con i sindacati per la riduzione di 600 addetti
e la riorganizzazione del lavoro. Montani ha detto che Carige ha superato «abbastanza agevolmente» la fase
preparatoria dell'asset quality review della Bce: «Abbiamo fatto bene i compiti a casa e se ci saranno
differenze di valutazione saranno minime e fisiologiche. Siamo in grado, agevolmente, di superare gli stress
test». Impegnato a trasmettere un messaggio di ottimismo, e riferendosi all'aumento di capitale di 800 milioni
di euro fissato a giugno, Montani ha risposto agli analisti che «non esiste e non c'è bisogno di alcun piano B
in caso non andasse in porto perché non credo in questa eventualità». Ha poi specificato che dai «carotaggi»
effettuati (la metafora del cantiere piace) il mercato (35%) sottoscriverà pro quota per un valore fra i 200 e i
250 milioni di euro, e così pure i pattisti privati (6%), mentre il socio francese «non ha detto nè si nè no ma
pensiamo farà la sua parte». La partita grossa si gioca sul tavolo della Fondazione che può scendere dal
45% sotto il 20 (si ipotizza un 19, intanto ad aprile ha venduto il 2,98% delle azioni per 37,7 milioni di euro).
Il presidente di Fondazione, Paolo Momigliano, ha sempre detto di cercare un investitore di progetto e molto
si è parlato di Andrea Bonomi: il Fondo Investindustrial avrebbe puntato ad acquisire il 25% delle azioni ma
non ci sarebbe stato punto di incontro sul prezzo e sulla struttura dell'operazione. «Sappiamo dalla
Fondazione - ha detto Montani - che ci sono dai tre ai cinque soggetti interessati a rilevare quote importanti».
Si sussurra di due soggetti esteri (un fondo americano) mentre le Coop potrebbero rafforzare la loro quota.
Quanto alle assicurazioni Carige ha fretta di vendere, ma «per un prezzo adeguato». Dopo la performance
negativa del 2013 ora l'asset assicurativo è migliorato e «può chiudere il 2014 in segno positivo anche se non
eclatante. In ogni caso non ci mangerà capitale».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'operazione Nel trimestre utile netto cala a 17,6 milioni (-63%)
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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Fondazione Mps: Mansi lascia
FABRIZIO MASSARO
La presidente della Fondazione Mps, Antonella Mansi, ha
deciso di concludere il mandato
che scade a giugno e di non dare la disponibilità per uno nuovo. A PAGINA 24
MILANO - L'assemblea straordinaria del Montepaschi di mercoledì prossimo vedrà forse ancora la
partecipazione di Antonella Mansi, la quarantenne presidente della Fondazione Mps, che invece era stata
assente all'assise ordinaria sul bilancio dello scorso 29 aprile. L'occasione è importante perché si tratta di
approvare il maxi-aumento di capitale da 5 miliardi (innalzato dalla precedente richiesta di 3 miliardi) per
rimborsare almeno 3 dei 4,07 miliardi di aiuti di Stato sotto forma di Monti bond e per rinforzare il patrimonio
dell'istituto in vista degli esami della Bce (asset quality review e stress test). Ma sarà l'ultima assemblea alla
quale la presidente parteciperà perché ha deciso di concludere il mandato annuale che scade a giugno e di
non dare la disponibilità per un nuovo mandato questa volta triennale.
La voce che girava in città da almeno due giorni, riportata da siti e stampa locali, era che Mansi potesse
essere tentata di lasciare e che il sindaco Bruno Valentini stesse pensando a una sostituzione con un altro
esponente della deputazione amministratrice della Fondazione, Enrico Totaro, ex dirigente dell'istituto
senese. Il sindaco però ha negato ogni ipotesi, affidando alla sua pagina Facebook la «imperitura
riconoscenza della comunità senese per aver evitato l'evaporazione della Fondazione Mps e la perdita totale
della relazione fra Mps e territorio». Dopo aver fatto slittare l'aumento di capitale da gennaio ad almeno
maggio, Mansi è riuscita a vendere oltre il 30% di Mps per ripagare i 300 milioni di debiti residui, è rimasta
con il 2,5% di Mps e ha stretto un patto con i fondi esteri Btg Pactual (2%) e Fintech Advisory (4,5%) sul 9%
complessivo puntando alla nomina dei nuovi vertici dell'istituto all'assemblea del 2015.
Ma il dubbio su un addio della presidente rimaneva e il sindaco - che è un grande elettore della Fondazione sperava ancora ieri di dissiparlo: «Nessuno ha intenzione di non confermarla, è il presidente migliore che
possiamo avere», spiega. «Ma la sua disponibilità deve essere ancora confermata, vedrò Mansi nei prossimi
giorni e parlerò con lei. Per noi sarebbe un vero peccato perderla, ha fatto un lavoro straordinario e ritengo
che sia a metà percorso. Credo però che sia talmente brava che qualche sirena le gira intorno. Ma per
quanto ci riguarda non c'è nessuna manovra per sostituirla. Sta solo a lei decidere se continuare il percorso.
Ma non c'è candidata migliore alla sua successione». Il tema della conferma o meno si è riaperto perché il
nuovo statuto dell'ente di Palazzo Sansedoni prevede una sfasatura temporale tra deputazione generale e
amministratrice, attraverso un nuovo organo di gestione da nominare appena dopo un anno: la scadenza è
prevista per il 9 giugno.
Dalla parte di una ricandidatura per Mansi pesava l'opportunità di garantire continuità anche nei confronti dei
soci pattisti in una banca diventata ormai una public company. All'ultima assemblea - dalla quale erano
assenti Btg e Fintech perché ancora materialmente privi delle azioni, non essendo ancora arrivato l'ok di
Banca d'Italia e Tesoro alla compravendita - i fondi esteri erano pari al 22,2% della banca presieduta da
Alessandro Profumo e guidata da Fabrizio Viola, con BlackRock in testa con il 3,2%.
Fabrizio Massaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
2,5 per cento La quota del Monte dei Paschi di Siena rimasta alla Fondazione Mps. La Fondazione Mps
sottoscriverà pro-quota l'aumento di capitale da 5 miliardi di Mps per un importo di 125 milioni di euro
La vicenda
L' incarico
Antonella Mansi, 40 anni, è stata nominata presidente della Fondazione Mps lo scorso settembre, per un solo
anno. Scade a giugno. Allora Palazzo Sansedoni aveva il 33% circa di Mps ma anche 350 milioni di debiti
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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La presidente
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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La svolta
La strategia adottata è stata di cercare un partner strategico cui vendere azioni della banca per ripagare i
debiti, cercando di tenere una quota in Mps
Lo scontro
A dicembre, non avendo ancora trovato compratori, la Fondazione fa slittare da gennaio ad almeno maggio
l'aumento da 3 miliardi, contro la proposta del presidente Alessandro Profumo. Nel frattempo il titolo risale e
Mansi vende sul mercato. Alla fine stringe un patto sul 9% con i fondi esteri Btg Pactual e Fintech Advisory
Foto: Vertici Antonella Mansi, 40 anni, presidente della Fondazione Mps
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 24
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Ubi, in arrivo le risposte a Consob Moltrasio: «L'inchiesta? Un polverone»
F. Mas.
MILANO - Si profilano tempi brevi per le controdeduzioni di Ubi a Consob, che ha contestato la
«incompletezza» della relazione sulla corporate governance, il documento che illustra da chi e come una
società è gestita. E il presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, dichiarandosi «molto
infastidito dall'avviso di garanzia», getta acqua sul fuoco anche sull'inchiesta della procura di Bergamo per
truffa e riciclaggio e ostacolo alla vigilanza: «È un gran polverone mediatico», dice oggi al Corriere di
Bergamo , «il nome di Bazoli è servito solo ad avere i titoloni dei giornali». La banca, ha aggiunto, si è messa
a completa disposizione della magistratura.
La contestazione dell'Autorità presieduta da Giuseppe Vegas - che non ha rilievo penale e può concludersi
con una multa - è stata notificata a Ubi lo scorso 30 aprile. Di conseguenza l'istituto ha fino al 30 maggio per
replicare, a meno che non chieda una proroga o l'accesso agli atti. La Consob poi deciderà se archiviare o
procedere con l'iter sanzionatorio. Il faro si concentrerebbe sul regolamento del comitato nomine all'interno
del consiglio di sorveglianza (cds): è il cuore del potere nella banca, visto che da quel comitato di 6
amministratori passano sia le indicazioni dei vertici delle controllate sia i candidati per il nuovo cds e le
indicazioni per il consiglio di gestione (cdg). Il primo regolamento, votato nel 2007 insieme con il progetto di
fusione tra Bpu e Banca Lombarda e Piemontese (Blp), faceva espresso riferimento alle banche preesistenti
e alla nascitura associazione di soci Blp (erede del vecchio patto di sindacato bresciano), cui dovevano
appartenere almeno tre membri del comitato nomine. Era un modo per garantire la pariteticità tra le
componenti delle due ex banche, una spa e una popolare, in Ubi Banca.
Nel 2009 vennero votate alcune modifiche statutarie, in seguito a nuove leggi e alle indicazioni della Banca
d'Italia, cancellando ogni riferimento dal regolamento ad enti e soggetti esterni a Ubi. Ma non fu reso noto: da
qui la contestazione di Consob. Dalla banca confermano che è stato pubblicato solo per l'assemblea del 10
maggio scorso. Tuttavia - è la linea di Ubi - le modifiche dello statuto, cui sono seguite quelle del comitato
nomine, erano pubbliche e dunque sarebbe stato comunque noto come la banca avrebbe operato rispetto al
regolamento stesso.
La mossa della Consob incrocia l'inchiesta del pm Fabio Pelosi condotta dalla polizia valutaria della Guardia
di Finanza guidata dal generale Giuseppe Bottillo per due filoni distinti: truffa e riciclaggio per alcune
operazioni con Ubi Leasing e ostacolo alla vigilanza per il ruolo delle associazioni nelle nomine dei vertici
della banca, ipotizzando un patto parasociale occulto. In questo filone sono indagati Moltrasio, Emilio Zanetti,
ex presidente del cdg di Ubi ed ex presidente dell'associazione bergamasca «Amici di Ubi Banca», il vice
Mario Cera, il presidente del cdg Franco Polotti, Bazoli (come presidente di soci bresciani) e Victor Massiah,
consigliere delegato di Ubi. Secondo l'inchiesta - nata da un esposto a Bankitalia della minoranza del cds
capitanata dal professore Andrea Resti - i membri del comitato nomine sarebbero vincolati alle indicazioni
delle associazioni. Nell'esposto di Resti si indicherebbe fra l'altro la clausola dell'associazione bresciana per
la quale «gli associati che siano membri del comitato nomine di Ubi Banca saranno tenuti a conformarsi alle
indicazioni ricevute dal consiglio direttivo» dell'associazione circa i soggetti da nominare, che «devono essere
membri dell'associazione». In autunno la Consob aveva ispezionato le associazioni. «Vedrò di ricucire il
rapporto con i consiglieri della lista Resti», dice Moltrasio.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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La popolare Il 30 aprile la contestazione dell'Authority sulle nomine
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:619980, tiratura:779916)
i nuovi Mutui e lo Spread giù fino al 2,1%
Gino Pagliuca
Le banche tornano a fare mutui e, soprattutto, li erogano a condizioni più convenenti. È uno dei temi di cui si
occupa «CorrierEconomia» in edicola domani.
Da inizio anno i tassi sono scesi di circa mezzo punto in media, proseguendo un trend che si era evidenziato
già nella seconda metà del 2013.La domanda nei primi quattro mesi del 2014 è salita di circa il 10% mentre la
Banca d'Italia segnala per il primo trimestre 2014 erogazioni in aumento del 20% sul corrispondente periodo
dello scorso anno.
La surroga oggi è molto conveniente per chi ha acceso un mutuo a tasso fisso tra il secondo semestre 2011 e
il primo semestre 2013: sostituendolo con un finanziamento variabile di eguale durata residua è possibile, su
un mutuo da 150 mila euro per 20 anni, conseguire un risparmio mensile di oltre 200 euro, come mostrano i
calcoli effettuati su «CorrierEconomia».
E i tassi forse scenderanno ancora perché le banche sono tornate a farsi concorrenza offrendo spread più
ridotti: ci sono ormai istituti che sono scesi fino al 2,10% e la soglia psicologica del 2% non appare molto
lontana.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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CorrierEconomia
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 5
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La crisi preoccupa Ma per un italiano su 4 il peggio è alle spalle
Il 22% teme per la propria condizione Il giudizio Secondo il 53% la situazioneresterà invariata Minoranza Il
2% ritiene che il periodo sia positivo
Nando Pagnoncelli
L a notizia della contrazione del Pil nel primo trimestre 2014 rappresenta una doccia fredda per il sistema
Italia. Le attese, non solo del governo che pure prudenzialmente aveva già ridotto le stime di crescita, ma
anche della gran parte degli osservatori, erano invece di una lieve crescita. D'altra parte lo scorso trimestre,
per la prima volta, si era registrata un'inversione di tendenza rispetto al precedente ciclo recessivo. Questo
stop and go , piccole schiarite e immediato ritorno al maltempo, sembra caratterizzare anche gli atteggiamenti
degli italiani di fronte a questa crisi che si prolunga ormai da molto tempo.
La preoccupazione è elevata: coinvolge complessivamente l'84% dei cittadini, con quasi due terzi molto
preoccupati per l'impatto che la crisi può avere (o, spesso, ha già avuto) sulle condizioni economiche delle
famiglie. Si tratta di una preoccupazione trasversale, anche se più sentita nel Sud del Paese, dove le
condizioni economiche sono più difficili. Ed è una preoccupazione stabile, che ci accompagna in questa
misura dal secondo semestre 2011, cioè a partire dall'estate terribile che ha segnato l'inizio della crisi del
governo Berlusconi con l'intervento pesante sul nostro Paese da parte della Bce.
Le previsioni per il prossimo futuro sono stabili: il 24% pensa che la propria situazione economica di qui a sei
mesi migliorerà, il 22% si aspetta che peggiorerà, la maggioranza assoluta prevede condizioni invariate. Più
consistente l'attesa di miglioramento nel Nord Est e nel Centro Nord (le cosiddette regioni rosse), mentre nel
Sud prevale il pessimismo. Quindi un clima grigio, che però è decisamente migliore di quello che
registravamo negli ultimi anni, anche se già nel 2013 erano emersi segnali di miglioramento.
Comunque la situazione economica del Paese si mantiene pesante: solo il 16% valuta positivamente lo stato
della nostra economia, mentre l'80% ne dà un giudizio negativo (e di questi un terzo pesantemente negativo).
È un'opinione stabile e largamente trasversale. Dalla fine del 2011 le valutazioni sono infatti al loro minimo
storico e non si sono ancora risollevate. E sono sostanzialmente simili in tutto il Paese: dal minimo dell'8% al
Centro Sud sino al massimo del 19% del Nord Ovest.
Ma in questo clima poco confortante, in cui al massimo possiamo aspirare alla stabilità (una stabilità di redditi
che però per le famiglie si sono già contratti nel corso della crisi), uno spiraglio sembra intravedersi. Piccolo,
come breve è stato il segnale di ripresa (o meglio di non contrazione) dell'economia nazionale, ma pure da
cogliere. Questo spiraglio è segnalato sia dall'Istat che dai nostri sondaggi. L'Istat misura mensilmente la
fiducia dei consumatori. Si tratta di un indice composto dai risultati di più domande relative a giudizi e attese
sulla situazione economica del Paese, della famiglia, sulla disoccupazione, ecc. Questo indicatore segnala
una netta crescita negli ultimi due mesi, marzo e aprile, con un dato che ritorna per la prima volta ai livelli del
2010. E in particolare con una crescita della fiducia nel Sud del Paese, cioè nei territori più in difficoltà.
La stessa tendenza viene registrata da una domanda del nostro sondaggio che mira a definire il momento
percepito della crisi. Oggi il 38% pensa che il peggio debba ancora arrivare, il 33% ritiene che siamo ora
all'apice della crisi, un quarto invece valuta che il peggio sia già passato. A prima vista ancora un dato poco
confortante. Ma se guardiamo al trend recente le cose cambiano. Negli ultimi mesi, esattamente come Istat
per il proprio indicatore, registriamo un evidentissimo cambio di clima. Fino alla fine del 2013, sia pure con un
calo, la maggioranza assoluta degli italiani valutava che il peggio della crisi dovesse ancora arrivare. Questa
percentuale si attenua a marzo (48%) ma oggi crolla, scendendo di ben 10 punti. E specularmente cresce
l'ottimismo di chi pensa che oramai il peggio sia già passato, con un incremento di 10 punti. Questo
sentimento è decisamente diversificato nel Paese. Per aree geografiche: molto più ottimista il Nord Est (che
spesso anticipa orientamenti del Paese), decisamente pessimista il profondo Sud. Per caratteristiche
professionali, dove emerge una evidente frattura: decisamente più ottimisti gli imprenditori e i manager,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Il sondaggio Giudizio negativo sull'economia dall'80% Scenari
19/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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fortemente pessimisti i lavoratori autonomi. Di nuovo un'Italia a due (e forse più) velocità. Ma se la
contrazione del Pil di questo trimestre non è foriera di un peggioramento strutturale, questo ottimismo va colto
e valorizzato. Perché il Paese ha un disperato bisogno di un'iniezione di fiducia.
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19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
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«Uscire dalla moneta unica, una catastrofe per l'Italia»
Il liberale Verhofstadt: la Ue non sia un poliziotto Roma deve privilegiare la lotta alla corruzione, poi la
gestione del problema immigrazione Il vostro governo si concentra sul bonus da 80 euro, mentre il debito
pubblico supera il 132%
Luigi Offeddu
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES - Presa buona nota di quei manifesti, «Basta Euro», e di certi deputati italiani che in televisione
si soffiano il naso con la bandiera dell'Unione Europea, Guy Verhofstadt spalanca le braccia: «Grexit, come si
usava dire? Italexit? Ma in tanti qui parlano di uno scenario, l'uscita dell'Italia dall'euro, come un tempo si
diceva della Grecia, senza neppure rendersi conto della catastrofe che ciò significherebbe. E senza dirlo mai
chiaro: il calo del potere d'acquisto dei cittadini e dei pensionati, una svalutazione ogni tre anni, il debito
pubblico che sale ancora...Tutti ne parlano come di un buffetto, una cosa da nulla, senza un minimo di
dibattito vero, o di analisi scientifica: ma non sarebbe così, sarebbe invece una cosa molto grave».
Verhofstadt, candidato alla presidenza della Commissione europea per l'Alleanza dei liberali e democratici,
nonché ex primo ministro che condusse il suo Belgio nel pianeta dell'euro, ha almeno 3 obiettivi dichiarati in
queste elezioni: «Convincere appunto i cittadini di quale sciagura sarebbe per chiunque lasciare la moneta
comune. Prendere più voti del blocco populista o euroscettico. E lanciare la nostra proposta di rilancio
europeo attraverso il meccanismo dei "future bond"».
Cominciamo da questi ultimi.
«Detto in due parole: dei capitali privati, raccolti dalla Banca centrale europea, dalla Banca europea degli
Investimenti e dalla Commissione europea, attraverso un apposito veicolo finanziario a livello della Ue,
possono confluire su grandi investimenti europei, per esempio nel campo dei trasporti, delle
telecomunicazioni, dell'energia. E portare un'alta liquidità attinta dal mercato dei capitali».
Ma che cosa guadagnerebbero i privati da un'idea simile? Non accetteranno certo per beneficenza...
«Si ripagheranno con i ricavi di quegli stessi investimenti, a buoni interessi».
Questi «future bond» non assomigliano però ai project bond di cui si parlava negli anni scorsi, a proposito per
esempio delle linee Tav?
«No, quelli erano come i mostri di Loch Ness dell'economia europea. E quanti investimenti veri hanno portato,
alla fine?»
Veniamo all'altro obiettivo della sua campagna: prendere più voti degli euroscettici e populisti. Naturalmente,
non sarà soltanto un fatto d'orgoglio.
«Certo che no. È una vera sfida per noi. Con un risultato sicuro, consolidato, nel Parlamento europeo avremo
un vero centro per le riforme e per l'Europa. Diversamente, se i populisti prevarranno, probabilmente non sarà
possibile garantire alcuna maggioranza stabile».
Perché no? Dopotutto, a Bruxelles e Strasburgo, il centrodestra del Partito popolare europeo e il
centrosinistra dei Socialisti e democratici convivono già da tempo, senza l'emetto in testa.
«Sì. Ma non dimentichi che nei banchi di quello stesso Ppe siederanno anche seguaci di Forza Italia. E
anche se non sarà in aula sarà sempre lui, Berlusconi, a ispirarli».
Così, siamo arrivati all'argomento Italia. Se lei fosse già il presidente della Commissione, quali priorità
riterrebbe consigliabili per il nostro Paese?
«Prima di tutto, la lotta alla corruzione. Poi, come seconda emergenza, la gestione del problema
immigrazione, divenuto ormai uno scandalo quotidiano. Ognuno, qui, deve fare la sua parte. Non abbiamo in
Europa una strategia reale per evitare il traffico di esseri umani, né abbiamo una strategia reale di buon
vicinato con Paesi come la Libia, o la Tunisia».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'intervista Il candidato alla presidenza della Commissione punta a prendere più voti dei populisti
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Eppure l'Ue ha, o dovrebbe avere una sua politica estera.
«Se è per questo, lavoriamo ancora sulle carte di Solana (Javier Solana, fino al 2009 «ministro degli Esteri»
Ue, ndr). Mentre dovremmo aggiornare e usare tutti gli strumenti a disposizione della Ue: l'aiuto umanitario ai
migranti, il controllo militare delle frontiere, il commercio, l'aiuto allo sviluppo economico dei singoli Paesi».
Torniamo all'Italia. Ha visto gli ultimi dati sul Pil?
«E come no, si parla di una crescita acquisita del Pil, per il 2014, ferma a -0,2%. Alcuni si attendono che duri
così per anni, e parlano di stagnazione economica».
Di chi è la colpa?
«Della mancanza di riforme, e della responsabilità dell'Europa che non ha aiutato a fare quelle stesse
riforme».
E oggi?
«E oggi il governo si concentra sul bonus da 80 euro, difende la singola tasca, mentre il debito pubblico
supera il 132% del Pil. Un punto percentuale di debito equivale a 20 miliardi... Forse sarebbe venuto il
momento di dire agli italiani la verità. E di fare veramente le riforme».
«Siamo quasi fuori dalla crisi», affermano vari leader europei. È d'accordo?
«Per nulla. Mi sembra irresponsabile dire così. Anche l'altro giorno, i dati Eurostat hanno confermato che la
crisi non è finita. Ma Van Rompuy, Barroso, Juncker e altri continuano ad asserire il contrario».
Altri dicono invece che l'Europa non si salverà se continuerà ad applicare rigidamente i dogmi di Angela
Merkel.
«Non tocca a me rispondere. Parlando in generale, posso solo dire che, secondo me, l'Europa non deve
essere un poliziotto».
E allora?
«Un promotore di iniziative e progetti, senza mai perdere di vista l'orizzonte generale».
A proposito di orizzonte generale: esiste un tetto del 3% imposto dall'Ue al rapporto fra deficit e Prodotto
interno lordo in ogni Paese, ma la Francia gode già di un'ampia deroga fino al 4,8%. Che ne pensa un
possibile futuro presidente della Commissione?
«Penso che non accettiamo, non dobbiamo accettare queste deroghe».
L'Ue è tornata a una «debole ripresa», come dicono a Bruxelles, ma gli Stati Uniti sono ben più avanti. C'è
una spiegazione per questa differenza?
«C'è il ruolo della Federal Reserve, naturalmente, diverso da quello della Bce. E c'è il mercato americano
molto più integrato del nostro. Come si vede bene nel campo delle telecomunicazioni, dove si parla di 28
regolatori per 28 Paesi: ma si può?»
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Foto: Guy Verhofstadt , 61 anni, laurea in Legge, è un politico belga liberal- democratico. Premier del Belgio
dal 1999 al 2008, dal 2009 presiede il gruppo Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa
all'Europarlamento. Sposato con due figli, nel 2010 formò con Daniel Cohn-Bendit il «Gruppo Spinelli» per il
rilancio dell'integrazione europea. Nel 2014 è candidato dall'Alleanza a presidente della Commissione Ue
(Epa)
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 13
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«La mia vita non è Mps Ora tornerò in azienda»
Mansi: Profumo? Non era il momento per incontrarci Già in manovra a dicembre i soci esteri del patto
Nessuno ti attacca apertamente perché donna, ma c'è un contesto che vuole farti credere di essere
inadeguata
Fabrizio Massaro
MILANO - In Italia non è d'uso lasciare una poltrona, specie se ce l'hai già pronta per altri tre anni e non è più
una di quelle che scottano. E quello di presidente della Fondazione Mps è ormai un lavoro ordinario: pagati i
debiti e vendute quasi tutte le azioni grazie alle quali ha comandato per conto della città - quindi della politica
- per 15 anni sulla banca fino a portarla sull'orlo del tracollo, ora la Fondazione si ritrova ridimensionata, 450
milioni di patrimonio contro i 6 miliardi di pochi anni fa, ma «risanata» e in grado di nuovo di camminare sulle
proprie gambe, mentre a fine anno sembrava destinata al fallimento. Eppure Antonella Mansi, 40 anni lo
scorso 28 aprile, arrivata dalla vicina Grosseto al di fuori dalle logiche politiche senesi, ieri ha ufficializzato il
«no, grazie» a sorpresa a un rinnovo dell'incarico. Il 9 giugno, dopo appena 8 mesi, lascerà Palazzo
Sansedoni, lo storico edificio affacciato su piazza del Campo sede della Fondazione, per dedicarsi «a tempo
pieno» all'azienda di famiglia, Nuova Solmine, che produce acido solforico. Ma forse ascolterà «nuove
sirene», come dice il sindaco Bruno Valentini, che vuole provare a trattenerla.
Possibilità di cambiare idea?
«No. Perché non sono una persona che parla a vanvera né ho fatto una dichiarazione per farmi trattenere.
Ho fatto chiarezza sulla mia volontà perché si avviino le discussione sulle nomine».
Che giudizio dà di questi otto mesi?
«Non mi aspettavo di trovare quello che poi ho trovato. La situazione della Fondazione era seria ma le
difficoltà si sono moltiplicate, come l'aumento di capitale da 3 miliardi (ora è di 5, ndr ) annunciato subito dopo
la mia nomina. Ci siamo trovati a gestire un'evoluzione di cose non predeterminate quando sono stata
chiamata».
Si è sentita in trappola?
«In trappola no, e nemmeno emarginata o ghettizzata ma in isolamento sì. Isolamento dal punto di vista
mediatico, del sentire comune, come se l'unica strada da seguire fosse vendere a dicembre, ma quei tempi
non erano compatibili con la nostra situazione. Ho avuto paura di non farcela quando il titolo è diventato
bersaglio di una serie di operazioni al ribasso».
Ha pensato a un complotto?
«No, ognuno ha giocato pro domo sua: gli interessi nostri, della banca, degli investitori erano molto diversi.
Sono lontana dalle teorie del complotto».
Così a dicembre ha forzato la mano imponendo lo slittamento dell'aumento di capitale, che infatti partirà tra
poche settimane. E se i mercati non fossero risaliti consentendole di vendere al prezzo che voleva? C'era un
piano «B»?
«Quando sei in emergenza non hai un piano d'emergenza. In quella fase abbiamo capito che dovevamo
passare dalla cruna di un ago, non c'era alternativa. Ed era la scelta giusta. La fortuna ce la siamo andati a
prendere, se avessi venduto a novembre...»
Lei a un certo punto ha detto che la attaccavano perché donna. È stato davvero così?
«Nessuno l'ha detto mai esplicitamente che "è donna e quindi non ce la fa", ma è un contesto che vuole farti
credere che non sei adeguata, che ti manda il messaggio che non hai lo "standing" sufficiente. I meriti sono
stati sudati sul campo, grazie anche alle sole persone che ho avuto vicine: la deputazione amministratrice, i
legali Angelo Benessia e Franco Groppi, Massimo Pappone di Lazard, il direttore generale della Fondazione
Enrico Granata, la struttura interna di Attilio Di Cunto».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'intervista Lascia dopo soli otto mesi la presidente della Fondazione senese. Non accetterà un nuovo
mandato alla scadenza del 9 giugno
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Non è un mistero lo scontro con il presidente di Mps Alessandro Profumo.
«Beh, ci siamo scontrati in assemblea, davanti a tutti... Diciamo che ci siamo incrociati professionalmente in
una fase che non ci ha consentito di lavorare assieme, rappresentando istituzioni diverse».
Ma perché lasciare adesso?
«Perché per me si è concluso un ciclo. Gli obiettivi erano chiari, il mio lavoro e il mio servizio al territorio è
finito. Capisco che sembri strano che non sono una "poltronara" ma è così. Potevo perdere tutto in termini di
reputazione e credibilità. Ho attraversato un guado non semplice e non l'ho fatto certo per fare carriera. E
credo di poter ora seguire le mie traiettorie».
Quali traiettorie?
«Continuo a essere vicepresidente di Confindustria e manager della mia azienda».
A Siena di parla di lei futura candidata alla presidenza di Confindustria.
«Per farlo, e bene, si impiegano quattro anni in cui si è assenti o comunque presenti in maniera molto relativa
dalle proprie attività. Io non solo non posso ma non lo voglio fare in questa fase della mia vita. In questo
momento credo di dover recuperare una dimensione personale. Il mio ruolo in azienda non è formale e quindi
non posso sostenere questi ritmi. Anche la mente deve pensare, e non lavorare e basta».
I fondi esteri con cui avete stretto il patto di sindacato che con il 9% punta a controllare Mps, il messicano
Fintech Advisory e il brasiliano Btg Pactual, li ha avvisati della sua decisione?
«Li ho avvisati, certo. C'è stata una certa sorpresa ma il cardine degli accordi non è il nostro buon feeling ma
la Fondazione. E credo che le cose andranno avanti nel migliore dei modi».
È vero che già a dicembre si erano fatti avanti?
«Non avevano avuto contatti con noi ma con altri investitori e con la banca. Erano in dialogo con la cordata
cosiddetta "delle fondazioni". Sono stati sul dossier Mps per diverso tempo prima di avere un approccio
diretto con noi. Avevano un interesse reale per la banca, per cui è stato facile trovare l'accordo».
fabriziomassar0
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2,5
Foto: per cento La quota residua della Fondazione Mps nella banca, vincolata ora in un patto di sindacato al
9% con i fondi esteri Btg Pactual (Brasile, 2%) e Fintech Advisory (Messico, 4,5%) per cento La quota storica
della Fondazione Mps nella banca di Rocca Salimbeni. Per mantenere il controllo dell'istituto l'ente si è
indebitato per seguire gli aumenti di capitale del 2008 e del 2011 51
Foto: per cento La quota residua della Fondazione Mps nella banca, vincolata ora in un patto di sindacato al
9% con i fondi esteri Btg Pactual (Brasile, 2%) e Fintech Advisory (Messico, 4,5%) per cento La quota storica
della Fondazione Mps nella banca di Rocca Salimbeni. Per mantenere il controllo dell'istituto l'ente si è
indebitato per seguire gli aumenti di capitale del 2008 e del 2011
Chi è La carriera
Antonella Mansi, 40 anni, senese di nascita ma vissuta sempre a Gavorrano (provincia di Grosseto), è stata
nominata presidente della Fondazione Montepaschi nel settembre 2013. L'incarico, della durata di 8 mesi,
scade a giugno. È consigliere e dirigente di Nuova Solmine Spa, l'azienda partecipata dalla famiglia, che
produce acido solforico. È stata nel board della banca Federico Del Vecchio.
In Confindustria
È vicepresidente degli industriali per l'organizzazione. In precedenza è stata presidente di Confindustria
Toscana (2008- 2011) e leader regionale dei Giovani industriali (2007-2008)
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 28
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Cedere sovranità per essere più forti Il federalismo via maestra europea
FRANCESCO SARACENO
Caro direttore, all'avvicinarsi delle elezioni europee il dibattito sul futuro della Ue sembra ostaggio di due
visioni contrapposte, ugualmente insoddisfacenti. A chi si compiace della mancata implosione dell'economia
europea, si contrappone chi vede come unica soluzione il ritorno alle valute nazionali. Nessun movimento
politico sembra farsi portatore delle istanze riformiste che invece dominano il dibattito accademico e di politica
economica.
Le istituzioni europee e la maggior parte dei governi si cullano in una sorta di autocompiacimento, indotto dal
fatto che nonostante la violenza della crisi la zona euro è sopravvissuta e sembra essersi lasciata alle spalle i
giorni peggiori. Occorre dunque continuare con l'austerità (magari ammorbidita) e affiancarle le riforme
strutturali che consentano, sul modello tedesco, di essere più competitivi e aumentare le proprie esportazioni.
Il movimento degli euroscettici ha però buon gioco nel ricordare che la gestione calamitosa della crisi, e le
innovazioni istituzionali adottate precipitosamente (il fiscal compact e il fondo salva Stati), hanno imposto un
costo spropositato e inutile soprattutto ai Paesi periferici, non riuscendo a proporre altro che un'austerità i cui
effetti sono messi in dubbio anche dal Fondo monetario internazionale.
La diagnosi degli euroscettici è corretta. E si può aggiungere che quattro anni di crisi, e di enfasi sulle sole
finanze pubbliche, ci lasciano in eredità una zona euro spaccata in due, e quindi ancora più vulnerabile di
fronte agli shock esterni di quanto non fosse nel 2007. La distruzione di capitale, umano e fisico, nei Paesi in
crisi, avrà effetti negativi ancora per anni. Sorprendentemente, tuttavia, le sempre più inoppugnabili critiche
alle politiche seguite in Europa non si traducono in una proposta politica riformista. A una settimana dalle
elezioni europee, le sole voci udibili, nel dibattito pubblico, sono quelle dei propugnatori dell'uscita dall'euro.
La soluzione di ritornare alle valute nazionali sembra tuttavia essere semplicistica. Nessun economista in
buona fede potrebbe oggi avventurarsi nell'impossibile avventura di stimare gli effetti del processo messo in
moto da un'uscita dall'euro. Le stime di costi e benefici che circolano con insistenza, sia in un campo che
nell'altro, sono poco più che elucubrazioni da palla di vetro. Di quanto si svaluterebbe la nuova lira? Come
reagirebbe il sistema bancario? Che cosa farebbero gli altri Paesi? E se uscissero anche loro, cosa
succederebbe con le svalutazioni competitive? Che cosa succederebbe al debito di imprese e consumatori?
Di quanto aumenterebbe la competitività? Tutte domande intrecciate tra loro, che disegnano scenari
semplicemente impossibili da prevedere, e con tutta probabilità disordinati.
La risposta degli euroscettici a queste obiezioni è che, per quanto rischiosa, un'uscita dall'euro è sempre
preferibile agli anni di quasi stagnazione che ci attendono, con tassi di crescita da prefisso telefonico, e con
tassi di disoccupazione che diventano cronicamente elevati. L'Europa tedesca (espressione un po' sinistra) è
irriformabile, e il salto nel buio di un ritorno alla sovranità monetaria sarebbe comunque preferibile alla lenta
agonia dello status quo.
È a questa conclusione che occorre opporsi con forza. Si fa sempre più strada, tra chi non è accecato dal
totem dell'austerità, la consapevolezza che ciò che manca nell'Unione monetaria europea è una struttura di
tipo federale, che aiuti ad assorbire gli shock asimmetrici che colpiscono e colpiranno i Paesi membri. Anche
nei flessibili Stati Uniti i trasferimenti che avvengono tramite il bilancio federale aiutano ad assorbire una
buona parte degli shock asimmetrici, e a contrastare pericolose divergenze del tipo di quelle viste in Europa
negli ultimi anni.
Se, come è lampante, il progetto federale è oggi poco più di un'utopia, è comunque vero che il dibattito
accademico di questi anni ci ha fornito una serie di strumenti che potrebbero servire da surrogati di una
struttura propriamente federale. Gli eurobond, un sussidio di disoccupazione europeo, una banca centrale
che operi da prestatore di ultima istanza, sono solo alcuni esempi di misure che con trasferimenti limitati di
sovranità consentirebbero ai Paesi europei di dotarsi di meccanismi di compensazione, senza eccessivi rischi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
44
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LE NAZIONI E L'UNIONE
19/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 28
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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di comportamenti opportunistici.
La soluzione quindi esiste, e la conosciamo. Obiettare che «tanto i tedeschi non accetteranno mai» significa
alzare bandiera bianca nel dibattito intellettuale, e soprattutto rassegnarsi alla scelta polare tra due soluzioni
che in modo diverso infliggerebbero un colpo mortale al progetto europeo e al benessere dei nostri
concittadini.
Certo è inquietante constatare quanto poco questi temi siano presenti nel dibattito (in particolare, il silenzio
dei partiti progressisti è assordante). Ma è giusto rivendicare con forza, alla vigilia di importanti elezioni
europee, il diritto di non scegliere tra uno status quo equivalente a un lento e inesorabile declino, e un ritorno
che è difficile immaginare non caotico, all'Europa degli Stati nazione.
Research Center in Economics,
Sciences-Po, Parigi
@fsaraceno
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CONC
17/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
«Dl Poletti primo passo per il lavoro flessibile»
Nicoletta Picchio
«L'occupazione non si crea per legge. Ma regole chiare, flessibili come richiede la competizione
internazionale, con un adeguato livello di tutela sono fondamentali per creare occupazione». Stefano
Dolcetta, vice presidente di Confindustria per le relazioni industriali, indica i principi cui si dovrebbe ispirare il
mercato del lavoro italiano. Una strada imboccata dal governo sia con il decreto appena approvato che con la
legge delega.
di Nicoletta Picchio
L e nuove norme su contratti a termine e apprendistato creano migliori condizioni?
Il giudizio complessivo sul provvedimento approvato è positivo. Finalmente è stato abbandonato il criterio
delle causali del contratto a termine, che avevano dato luogo ad un grande contenzioso e la scelta del
governo di adottare il limite di durata massima dei contratti dà maggiore certezza alle imprese.
Sull'introduzione di un limite massimo percentuale di utilizzo di contratti a termine, invece, serviva una
disciplina transitoria più semplice e più chiara. Nonostante ciò, il giudizio resta positivo: è un primo passo
verso una regolamentazione più flessibile del mercato del lavoro.
Il governo ha presentato un disegno di legge delega per riformare il mercato del lavoro e dare una spinta alla
ripresa: va nella giusta direzione?
La legge delega, pur contenendo principi molto ampi e dai contorni da definire, sembra muoversi anch'essa
nella direzione di un'autentica semplificazione e un effettivo miglioramento delle regole che disciplinano il
mercato del lavoro. Trattandosi, però, di una delega occorrerà seguire con molta attenzione la fase della sua
attuazione.
Il contratto di lavoro a tutele progressive previsto dal governo può stimolare le aziende ad assumere a tempo
indeterminato?
Su questo punto mantengo delle perplessità: non credo che l'introduzione di un'ennesima tipologia
contrattuale, pur con elementi di flessibilità, possa risolvere il problema. È giunto il momento di ripensare con
coraggio proprio il modello del contratto a tempo indeterminato, in modo che le imprese siano incoraggiate a
utilizzarlo. Occorrono riforme per rendere moderno il mercato del lavoro. Per questo la prossima settimana,
con il presidente Squinzi, presenteremo al ministro Poletti le proposte di Confindustria che considero un
contributo importante al processo di riforme che il ministro sta portando avanti.
È ancora l'articolo 18 il nodo vero da sciogliere?
Resta uno dei fattori di maggiore criticità, ma non è l'unico. C'è ad esempio anche il nodo delle mansioni, che
andrebbe interamente affidato alla contrattazione, superando i limiti anacronistici, imposti dalla legge. Anche
una modifica più decisa della disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi spingerebbe le aziende ad
assumere a tempo indeterminato. È un fatto innegabile che, ad esempio, in Gran Bretagna la quota di
contratti a termine mediamente utilizzati è largamente inferiore a quella italiana, anche grazie ad una
disciplina del recesso senz'altro meno restrittiva. Una questione di questa portata non può però essere
affrontata senza un sistema di sostegno al reddito più diffuso e politiche attive efficaci. Le nostre proposte
hanno questa impostazione.
Da anni si cerca di far funzionare meglio l'incontro tra domanda e offerta di lavoro: quali sono gli interventi
prioritari da fare?
Il principale problema è l'eccessivo numero di soggetti pubblici con competenze in materia e il loro scarso
coordinamento. Bisogna razionalizzare e unificare, sfruttare le sinergie fra soggetti pubblici e privati e,
soprattutto, mettere in relazione i soggetti che gestiscono le politiche attive e quelli che erogano i sussidi al
reddito dei disoccupati.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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INTERVISTA A DOLCETTA (CONFINDUSTRIA)
17/05/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Le politiche attive del lavoro sono l'altra faccia della rete di protezione, per Confindustria troppo costosa,
poco universale e iniqua: come cambiarla?
Prolungare, oltre ogni ragionevolezza, la durata degli ammortizzatori sociali non solo non favorisce la ricerca
di una nuova occupazione ma, soprattutto, rallenta i processi di ristrutturazione delle imprese. Servono due
soli ammortizzatori universali, obbligatori: la cassa integrazione guadagni, per affrontare crisi nelle quali è
prevedibile una ripresa dell'attività e l'Aspi per coloro che hanno perso il lavoro e sono attivamente alla ricerca
di una nuova occupazione. Razionalizzando gli strumenti si darà slancio alle politiche attive e si potranno
ridurre gli oneri a carico delle imprese.
In questo disegno che ruolo gioca la contrattazione collettiva?
Con gli ultimi accordi interconfederali abbiamo avviato una riforma della contrattazione che va completata.
Abbiamo fissato regole molto importanti in tema di rappresentanza che adesso vanno applicate
coerentemente. Dopo la derogabilità "normativa", resta da completare il percorso della derogabilità
"economica" del contratto nazionale con la contrattazione aziendale, in un quadro di regole certe, per evitare
di sommare costi a costi e consentire alle imprese maggiori flessibilità.
Quali misure favorirebbero il secondo livello?
La priorità per le imprese è la competitività, non la contrattazione. Questa è utile se favorisce quei recuperi di
produttività di cui le imprese italiane hanno assolutamente bisogno. Serve, quindi, decontribuire e detassare
in modo strutturale i premi legati ai risultati aziendali. Anzi dovrebbero godere di questo trattamento tutte le
somme che hanno questa natura a prescindere dal fatto che nascano dalla contrattazione collettiva. Bisogna
abbassare il costo del lavoro con un'incisiva azione sul cuneo fiscale e contributivo, altrimenti competere non
sarà per niente facile.
Nella delega si parla di salario minimo legale: che ne pensa Confindustria?
È un tema molto delicato che, in certa misura, mette in discussione l'autonomia delle parti sociali. Va
affrontato con chiarezza. L'unica considerazione che mi sentirei di fare è che anche questo è un evidente
segnale della necessità di accelerare quel processo di modernizzazione delle relazioni industriali che
Confindustria considera ineludibile.
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Foto: IMAGOECONOMICA Stefano Dolcetta è vice presidente di Confindustria per le relazioni industriali
17/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Le crociate sbagliate contro il cibo made in Italy
Mario Platero
C'è una questione strategica centrale per l'export italiano che sembra sfuggire al radar dei massimi esponenti
del nostro governo. Riguarda il settore agroalimentare e gli attacchi subiti da questo nostro comparto chiave
per i conti con l'estero: attacchi striscianti nel mercato americano e molto diretti in alcuni mercati europei
(pensiamo ai semafori rossi britannici su nostri prodotti). E ora, in un contesto internazionale che ci riguarda
direttamente, l'Organizzazione Mondiale per la Sanità proporrà nuove restrizioni che colpiranno anche il
nostro modo di fare gastronomia. Ci sarà un incontro chiave a New York, all'Onu il 10 e l'11 luglio. Ma ancora
oggi non è possibile avere accesso al testo e alle argomentazioni di un documento che a partire dal titolo non
promette bene: "Malattie non Trasmissibili".
La questione insomma, non è solo commerciale, è ormai soprattutto politica. Quando i media americani
pubblicano il simbolo della morte sull'olio d'oliva italiano, quando si attacca la qualità del Pinot Grigio, uno dei
vini italiani più venduti in America, quando si descrive con ironia una visita agli impianti modello della Barilla
per concludere che "la pasta è scotta", quando, dal novembre scorso le ispezioni sul prosciutto importato
dall'Italia sono diventate impossibili, la posta in gioco diventa altissima: si offre alla nostra concorrenza
l'occasione per costruire nuovi attacchi, magari attraverso gruppi di attivisti che non si sa bene a quali
referenti rispondano. La componente politica è ovvia: stiamo negoziando TTIP (Transatlantic Trade and
Investment Partnership) per creare un libero mercato transatlantico. E il dossier agroalimentare in quel
negoziato, almeno per noi, è uno dei nodi centrali. Di più, l'anno prossimo ci presenteremo al mondo con
Expo 2015 dedicato alla sostenibilità alimentare, ai cibi biologici, alla gastronomia, alle diete e a tutto l'indotto
di un settore fondamentale per l'economia globale e per la lotta alla fame nel mondo. E questo senza contare
l'impatto sull'economia: quasi 34 miliardi di euro di esportazioni nel 2013, il 2,49% del Pil, la terza voce dietro
meccanica e moda, pari a circa l'8,7% delle esportazioni totali. Con un particolare. Se meccanica e moda non
hanno mostrato incrementi, l'agroalimentare è cresciuto del 5.8%. E non è forse la crescita l'obiettivo
strategico più importante del nostro Paese?
È dunque imperativo difendere subito, ai massimi livelli politici la nostra credibilità agroalimentare.
Mario Platero
Eppure qualche giorno fa in occasione del suo debutto a Washington, il ministro degli Esteri Federica
Mogherini nel suo colloquio con il segretario di Stato John Kerry non ha parlato degli attacchi
all'agroalimentare italiano. Nell'incontro coi giornalisti italiani inoltre la Mogherini non ha discusso quella
strategia economica che anni fa ci era stato promesso sarebbe diventata centrale nella gestione della politica
estera per promuovere esportazioni, investimenti diretti e crescita.
Cosa che ci riporta alle proposte dell'Organizzazione Mondiale per la Sanità. Ieri la Mogherini ha visto il
Segretario Generale dell'Onu Ban Ki Moon ma, di nuovo, non ha toccato l'argomento. La piattaforma del
Palazzo di Vetro è un forte volano politico per discutere di queste tematiche, anche per chiarire gli obiettivi
dell'Oms che vedono gli zuccheri sul banco degli imputati come causa primaria dell'obesità. Dopo aver già
ridotto nel 2004 dal 24% al 10% il contenuto ideale di zucchero rispetto alle calorie quotidiane in entrata, il
rapporto Oms dovrebbe proporre una riduzione ulteriore al 5 per cento. Si tratta di indiscrezioni, perché i
documenti a poche settimane dalla conferenza del 10/11 luglio all'Onu a New York, restano inaccessibili. È
vero che parliamo di una raccomandazione e non di una imposizione, ma, se sarà approvata, mobiliterà
attivisti che metteranno in evidenza il gap fra raccomandazioni delle autorità e processi produttivi, tornando al
danno di immagine per il nostro sistema agroalimentare: in questo caso lo zucchero non è solo nelle bibite,
nei dolciumi o nelle caramelle, ma è anche nella pasta, nel latte, nei pomodori pelati e in molti altri prodotti
agroalimentari centrali per le nostre esportazioni. La mancaza di accesso alle argomentazioni dello studio
(così ci hanno confermato fonti diplomatiche) è un problema: di quali zuccheri si parla? Saranno esclusi gli
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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LE MISURE AMERICANE
17/05/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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zuccheri "naturali" contenuti nella frutta? È ovvio che, come ogni eccesso, gli eccessi di consumo di zuccheri
fanno male. Ed è vero che l'obesità e il diabete sono fenomeni in aumento con costi sanitari crescenti che
potrebbero anche toccare i 500 miliardi di dollari l'anno. Ma la stessa Michelle Obama, impegnata in una
crociata contro l'obesità chiede un approccio equilibrato. Descrive i danni impliciti nella vita sedentaria dei
ragazzi «a volte per otto ore davanti a un computer», attacca la mancanza di attività sportive, la cattiva
qualità del cibo nelle mense scolastiche. Ed è arrivata a dire: «Non chiedo a nessuno di togliere il
divertimento dall'infanzia. Come sappiamo i dolcetti (treats) sono una delle cose più belle quando si è
ragazzini. L'obiettivo deve essere quello di dare ai genitori il potere e gli strumenti per fare le scelte sane per i
loro figli». Informare ed educare dunque. Del resto gli stessi produttori di dolci raccomandano consumi
moderati, producono porzioni più piccole ma come la First Lady chiedono di lasciare che i "treats" restino
"treats".
Il dibattito su queste nuove regole si è già allargato al Financial Times, giorni fa Dennis Beir, professore di
pediatria a Baylor si è schierato contro un approccio ideologico che demonizza gli zuccheri, essenziali, dice,
per il nostro metabolismo. Manager come Paul Polman, Ceo di Unilever (il più grande produttore di gelati al
mondo), Debra Sandler, capo di Mars, Indra Nooyi Ceo di Pepsi Cola hanno offerto soluzioni alternative alle
regole imposte dall'alto. In America la partita mediatica in materia è in pieno svolgimento: Jon Stewart idolo
televisivo del progressismo americano ne ha parlato questa settimana nel suo programma, ma è anche
preoccupato dal rischio di "tornare indietro" a quando si usavano ingredienti artificiali invece dello zucchero,
dannosi per altro verso. Ma l'attacco frontale è partito ieri con il debutto in tutti i cinema americani di un
documentario sull'obesità di Katie Couric. E noi? Per ora pensiamo a un premio ai distributori del nostro olio
in America. Eataly ha aperto giorni fa a New York un negozio Nutella per celebrare i 50 anni di uno dei
prodotti italiani sotto attacco, ma che trionfa su tutti i mercati mondiali. Iniziative "commerciali" apprezzabili.
Ma ora ci vuole una parallela e vigorosa azione "politica" del governo, a partire dalla Presidenza del Consiglio
e della Farnesina.
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17/05/2014
Il Sole 24 Ore
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«Aggregazioni solo dopo i test Bce»
Lunedì l'incontro in Bankitalia: «Ci aspettiamo di trovarci in piena sintonia» LE MOSSE «Costituiremo un
advisory board entro l'estate, in arrivo un cfo»
Luca Davi
Introdurre «entro l'estate un advisory board, che faccia da supporto al Cda e alla presidenza». E nel
frattempo varare l'aumento di capitale, convertire il soft mandatory, e chiudere la vendita di Bim, che «è
oramai alle battute finali». Obiettivo: mantenere l'autonomia della banca a valle dell'Aqr e degli stress test,
«pur senza escludere possibili alleanze con istituti europei». A tracciare la road map di Veneto Banca è il suo
neo presidente, Francesco Favotto, 67 anni, professore ordinario di economia aziendale all'Università di
Padova. Un "piano" che lunedì Favotto porterà a Roma, in Banca d'Italia, per presentarlo agli uomini della
Vigilanza.
Partiamo proprio da Bankitalia. In assemblea sono stati usati toni forti nei confronti della Vigilanza. Che cosa
ne pensa?
Con Banca d'Italia vogliamo mantenere un rapporto di natura istituzionale e ci aspettiamo di essere in piena
sintonia con loro. L'appuntamento di lunedì sarà l'occasione per presentarci, chiarire le nostre posizioni e
presentare i nostri programmi.
Le richieste della Vigilanza però sono sempre state chiare: Veneto Banca deve trovare un partner di «elevato
standing» con cui fondersi.
Questa è stata la diagnosi maturata dopo l'ispezione dell'anno scorso. Da allora però le cose sono cambiate.
Oggi la banca è avviata su un percorso di consolidamento patrimoniale, finanziario e relazionale. L'urgenza è
data dall'avvio dell'aumento di capitale, che scatterà il 20 giugno e si concluderà a fine luglio. Nel contempo
vareremo la conversione del soft mandatory. Una volta concluso questo iter, potremo guardare con fiducia al
superamento degli stress test di novembre.
Contate di avere la solidità sufficiente per superare indenni le prove della Bce?
Stimiamo di raggiungere un Cet 1 all'11,3%, calcolando la cessione di Bim. A quel punto ci potremo sedere a
qualsiasi tavolo per valutare cosa fare.
La fusione con Popolare di Vicenza è fuori discussione?
Sì. Anche perché un'operazione del genere avrebbe proposto solo economie di scala e non di scopo. Siamo
impegnati a consolidare l'autonomia ma non vogliamo ripiegarci nella tana di un venetismo becero. Siamo
disponibili a percorsi che diano valore aggiunto alla banca.
Cosa intende dire?
Vedremo dopo l'Aqr. Una possibilità, evidenziata anche dal rapporto consegnatoci nei giorni scorsi
dall'advisor Goldman Sachs, è quella di inquadrare Veneto Banca in un contesto europeo, magari attraverso
alleanze con istituti stranieri, ma ne stiamo ancora ragionando. Anche di questo parleremo lunedì in
Bankitalia.
La governance di Veneto Banca va bene così com'è?
Vogliamo introdurre un advisory board che faccia da supporto al Cda e alla presidenza stessa: la struttura
non deve avere un ruolo decisionale, che rimane in capo al cda e management, ma più una funzione di
consulenza per affrontare le sfide europee che ci attendono.
Come dovrebbe funzionare?
Potrebbe essere formato da tre esperti, uno specializzato nello studio delle tematiche europee di carattere
normativo, un altro esperto di governance e di piani strategici e un altro attento al fronte dei controlli interni. Il
costo finale complessivo dell'intera struttura non dovrebbe essere superiore a quello di un singolo consigliere
d'amministrazione, che è pari a 90mila euro. L'idea è di varare l'intero progetto entro l'estate.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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INTERVISTAFrancesco FavottoPresidente Veneto Banca
17/05/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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La casella dell'ad rimane sempre vuota.
Per ora non siamo alla ricerca di un nuovo Ceo mentre stiamo cercando un nuovo Cfo: vogliamo arrivare a
definire questa nuova posizione entro la fine dell'anno.
A che punto siete con la vendita di Bim? Le indiscrezioni vedono in pole position la cordata guidata
dall'attuale vice-presidente e azionista di minoranza Pietro D'Aguì con il gruppo finanziario francese Oddo &
Cie.
Confermo che ci sono quattro proposte, di cui una particolarmente significativa.L'offerta vincolante arriverà
sul tavolo del Cda o il 17 giugno o il 1° luglio. Vendere Bim è un peccato, ma il processo è ormai avviato ed è
pressoché impossibile fermarlo.
Vi è stata contestata una scarsa presenza femminile nel board, dove è presente una sola donna su 11
consiglieri. Che cosa farete?
In occasione del prossimo rinnovo, fissato per il 2015, intendiamo allargare il Cda a 13 membri, e a quel
punto faremo entrare due donne.
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Foto: Neo presidente. Francesco Favotto
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Strade, Tav, reti: il Paese che non c'è
di Giorgio Santilli
Non ci sono solo gli scandali e la corruzione a isolare il mondo degli appalti dalle persone comuni. Il punto è
che cittadini e imprese hanno smarrito totalmente la ragione profonda e primaria della infrastruttura nel vivere
quotidiano.
Sanno che con le loro tasse pagano i costi di quelle opere, non di rado gonfiati da tangenti e varianti. E
sanno che, se l'opera si realizza sotto casa loro, per un certo numero di anni - in genere non inferiore a dieci dovranno sopportare i disagi del cantiere. L'impatto ambientale è diventato più importante della stima dei
benefici dell'opera. La retorica e la disinformazione - alimentate dal malaffare e dalla rabbia dilagante imperversano, nessuno capisce più il valore della infrastruttura «bene comune». Claudio De Vincenti,
viceministro allo Sviluppo economico e studioso di queste cose da decenni, usava qualche giorno fa
un'immagine tanto folgorante quanto ovvia. «Se l'acqua bene comune arriva direttamente dal buon Dio,
bisogna realizzare acquedotti e impianti per portarla nelle case dei cittadini». È facile prendersela con gli
aumenti della tariffa idrica (che è comunque la più bassa d'Europa) ma i 60 miliardi di investimenti mancati in
quel settore significano sempre 35% di perdite nella rete, il 35% di italiani senza depurazione (dal 2015
cominceremo a pagare multe salate per alcune centinaia di milioni di euro l'anno come effetto delle infrazioni
Ue e allora il conto sarà chiaro a tutti), pezzi del Sud ancora senza acqua in estate.
Nessuno assolve gli sprechi e neanche i costi maggiorati delle opere - che spesso nascono dalle trattative
private che eludono o spazzano via qualunque forma di concorrenza - ma sarebbe utile una riflessione anche
su quello che si perde rinviando o cancellando le infrastrutture. Forse non servono i grandi numeri, come
quello dell'Osservatorio sui costi del non fare, che parla di 50 miliardi di costi l'anno per il «non fare». Le
analisi costi-benefici, pur se rigorose, non catturano l'attenzione di chi viaggia in treno o fa la fila imbottigliato
al casello. Spiegare per bene che l'Alta velocità fra Torino e Napoli avrebbe ridotto da tre ore e 50 minuti a 2
ore e cinquanta minuti (2 ore e mezza quando aprirà il sottopasso di Firenze) avrebbe forse spazzato via
almeno una parte delle polemiche più pretestuose sulla realizzazione dell'opera. E una cultura più attenta a
queste analisi spazzerebbe via anche temi come quelli che un asse Alta velocità Torino-Napoli taglia fuori il
Sud (il risparmio da Bari a Roma è sempre di un'ora oggi e un'ora e mezza fra un paio di anni) o penalizza i
pendolari (che hanno due binari più sulla vecchia linea storica).
Il Governo stima in 20 miliardi l'anno nel «Def infrastrutture» il costo aggiuntivo della logistica per la mancata
realizzazione delle grandi opere. E forse, senza voler monetizzare a tutti i costi, si potrebbe fare un conto
della perdita di vite umane per la mancata realizzazione di quella grande infrastruttura del territorio fatta di
opere spesso piccole che è il piano di difesa del suolo. Senza contare il danno economico di intere
aree spazzate via da alluvioni e disastri naturali. E se poi si vuole estendere l'infrastruttura anche alla
politica di prevenzione e di sicurezza, dovremmo interrogarci sul perché terremoti violentissimi in Giappone
spesso non fanno vittime mentre scosse ben più contenute da noi diffondono morte e danni.
@giorgiosantilli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: - Fonte: elaborazioni Sole 24 Ore su dati Eurostat
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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UN'ALTRA ITALIA
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Grandi opere al palo: Italia ultima nella Ue
Boom di ritardi: in 15 anni finite 11 opere su 37 prioritarie
Giorgio Santilli
Investimenti pubblici marginalizzati in Italia: nel decennio 2004-2013 spesa inferiore a tutti i principali Paesi
Ue. E delle 37 opere strategiche programmate in 15 anni, solo 11 sono arrivate al traguardo.
Santilli, Arona, Salerno u pagina 3
ROMA
Non solo corruzione. A rendere agonizzante il settore delle infrastrutture che dovrebbe dare invece la spinta
essenziale per rilanciare il Paese c'è un sistema di patologie che sono andate aggravandosi negli ultimi anni.
Centoventi modifiche al codice degli appalti negli ultimi tre anni senza un disegno organico. Sistemi di
deroghe per dare certezza ai tempi di opere che - secondo l'Ance - impiegano mediamente più di dieci anni
per arrivare al traguardo. Varianti in corso d'opera che - secondo l'Autorità di vigilanza sugli appalti - portano
a costi aggiuntivi dell'ordine del 27% su appalti integrati e general contractor. Un settore pubblico che con le
spa controllate dilaga ancora nella progettazione e nelle fasi esecutive anziché svolgere al meglio funzioni
fondamentali come quella della programmazione delle opere (selezionando quelle utili) e della vigilanza (con
Autorità che un giorno vengono rafforzate e il giorno dopo delegittimate). E soprattutto: la spesa per
investimenti pubblici ormai marginalizzata - scesa dal 3,5% del Pil del 1981 al 3,1% del 1991 al 2,4% del
2001 all'1,7% di oggi destinato a calare fino all'1,4% del 2017 - mentre il sistema delle opere pubbliche
spreca soldi senza produrre risultati visibili per i cittadini che vedono il mondo degli appalti come qualcosa di
separato e autoreferenziale. Con poche eccezioni: l'alta velocità Torino-Milano-Napoli che ha ridotto la
percorrenza da Roma a Milano da tre ore e 50 minuti a 2 ore e 50 minuti (e saranno due e mezzo quando
sarà pronto il sottopasso di Firenze), apportando la più grande trasformazione nel sistema italiano della
mobilità dalla realizzazione delle autostrade negli anni '50; il passante di Mestre che ha decongestionato il
traffico intorno alla Laguna; qualche metropolitana urbana a Torino, Napoli, Milano e Roma, costruite con
immensa fatica ma indiscutibilmente utili per città sempre più congestionate. Opere che rendono un doveroso
ritorno in termini di qualità della vita a cittadini che versano un prezzo in tasse pagate e fastidi da cantiere. Ma
la mappa che pubblichiamo in questa pagina è impietosa: di 37 grandi opere strategiche programmate negli
ultimi 15 anni, sono solo 11 quelle arrivate al traguardo e in funzione.
Il dato più imbarazzante per il sistema, l'indice di credibilità del Paese all'estero su questi temi, è però il
confronto fra noi e l'Europa in fatto di spesa per investimenti pubblici. Non c'è economista - di scuola
keynesiana o neoliberista che sia - che non sostenga che bisogna fare una forte cura dimagrante sulla spesa
corrente per salvare semmai quella in conto capitale. Un problema fondamentale di mix. Da noi accade il
contrario: abbiamo rinunciato a uno dei grandi motori dell'economia per non essere capaci di tagliare sprechi
e privilegi nella macchina corrente dello Stato. Dal 2009 al 2013 gli investimenti sono stati tagliati del 34%,
mentre la spesa corrente primaria è cresciuta dell'1,7%.
Dieci anni che danno l'idea dell'arretramento del Paese sull'asse della crescita. Dal 2004 al 2013 i dati
Eurostat aggiornati dicono che la Francia ha speso in investimenti 606,9 miliardi, la Germania 383, il Regno
Unito 367,9, la Spagna 336,1, l'Italia 335,2. Nel 2004 l'Italia era seconda dietro la Francia, per quasi tutto il
decennio, anno dopo anno, è rimasta all'ultimo posto, dal 2011 ha scavalcato la Spagna che, dopo una lunga
galoppata, ha drasticamente tagliato la spesa pubblica. Nel 2013 la spesa è stata pari a 27,2 miliardi, 11,4
miliardi meno di quello che spendeva nel 2009. Dal 2004 al 2011, mentre l'Italia perdeva il 19,6%, la
Germania cresceva del 30,7%, la Francia del 26%, il Regno Unito del 19%.
@giorgiosantilli
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ItaliaFrancia 383.010 Germania 367.915 Regno Unito 336.088 Spagna 335.195 ItaliaSpagna 3,2 Francia 2,2
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LA CRESCITA MANCATA Dal 2004 al 2013 -19,6%, Germania +31%, Francia +26%, Uk +19%
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Italia 2,0 Regno Unito 1,6 Germania 51.591 Francia 33.702 Italia 32.520 Germania 32.030 Regno Unito
28.428 Spagna 64.997 Francia 42.720 Germania 38.069 Regno Unito 27.166 Italia 15.167 Spagna +26
Francia +19,1 Regno Unito +30,7 Germania -46,8 Spagna -19,6 Italia 3,2 Francia 2,2 Regno Unito 2,1
Spagna 1,9 Italia 1,6 Germania Spagna 3,2 Francia 2,2 Italia 2,0 Regno Unito 1,6 Germania 51.591 Francia
33.702 Italia 32.520 Germania NAZIONALE Falconara Orte 27 Bari 29. Metro C Roma 30. Raddoppio GRA di
Roma 31. Autostrada Roma-Latina 32. Metrò Napoli CAMPANIA 33. Nodo ferroviario di Bari 34. Av NapoliBari PUGLIA 35. Autostr. Catania-Siracusa 36. Passante ferrov. di Palermo 37. Ponte sullo Stretto SICILIA
28. Auditorium Roma ROMA E LAZIO 26. Quadrilatero Umbria-Marche 27. Ferrovia Orte-Falconara CENTRO
ITALIA 25. Livorno-Civitavecchia TOSCANA 18. Tunnel del Brennero 19. Ferrov. Padova-Mestre 20. Tav
Brescia-Padova 21. Tav Mestre-Trieste 22. Pedemontana veneta 23. Passante di Mestre 24. Mose ITALIA
NORD EST 17. Terzo valico LIGURIA 10. Metrò Milano 11. Pedemontana lombarda 12. Tem 13. Brebemi 14.
Ferrov. adduzione Gottardo 15. Aeroporto Malpensa 16. Passante ferrov. di Milano LOMBARDIA 6.
Autostrada Asti-Cuneo 7. Metrò Torino 8. Tav Torino-Lione 9. Passante ferrov. di Torino PIEMONTE 5.
Superstrada 106 Ionica 4. Salerno-Reggio Calabria 3. Valico Firenze-Bologna 2. Tav Milano-Brescia 1. Tav
Torino-Napoli
Foto: Prima di una serie di puntate L'ANDAMENTO DELLA SPESA PER INVESTIMENTI PUBBLICI Dati
espressi in miliardi di euro SPESA TOTALE PER INVESTIMENTI PUBBLICI NEL PERIODO 2004-2013
Milioni di € SPESA PER INVESTIMENTI PUBBLICI SU PIL 2004-2013 Media semplice valore % SPESA
PER INVESTIMENTI PUBBLICI NEL 2004 Milioni di € SPESA PER INVESTIMENTI PUBBLICI NEL 2013
Milioni di € SPESA PER INVESTIMENTI PUBBLICI 2013/2004 Variazione % SPESA PER INVESTIMENTI
PUBBLICI SUL PIL 2011-2013 Media semplice valore % - (*) Fino al 1990 ex territorio della Repubblica
federale tedesca Fonte: Eurostat - Fonte: elaborazioni Sole 24 Ore su dati Eurostat
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Ma l'Europa non scelga i patriottismi economici
Adriana Cerretelli
Tra la Francia che per impedire che Alstom finisca in mano dell'americana General Electric (o della tedesca
Siemens) estende il concetto di difesa dell'interesse strategico nazionale a trasporti, energia, acqua,
telecomunicazioni e sanità e la Gran Bretagna che, per sbarrare il passo alla scalata di Pfifer a AstraZeneca,
è tentata di fare lo stesso per proteggere la propria ricerca scientifica ripudiando 30 anni di eredità
thatcheriana, una cosa è certa: nell'Europa in crisi di crescita e lavoro si sente un crescente profumo di
patriottismo economico a difesa dell'industria, persino dove era stata ripudiata per scommettere tutto sui
servizi.
L'Italia potrebbe presto ritrovarsi nell'occhio dello stesso ciclone. Tra impegni presi con il fiscal compact per
tagliare il mega-debito pubblico, crescita economica ben al di sotto del livelli necessari a garantirne la
sostenibilità e capitali nostrani che scarseggiano, per fare cassa non ci sono molte alternative alle
privatizzazioni.
Prima o poi dunque, interi o a pezzi, gli ultimi gioielli di famiglia, gruppi come Eni, Enel e Finmeccanica,
finiranno sul mercato. Gli investitori di sicuro non mancheranno. Le eccellenze italiane infatti fanno gola in
giro per il mondo come in Europa. Dai brand dell'alta moda alle nicchie dell'alta tecnologia, lo shopping altrui
del resto si è già ampiamente servito nel nostro Paese.
Per questo il caso Alstom, più che una vicenda francese, appare anche una sorta di prova generale dei
dilemmi che presto potremmo trovarci a dover affrontare. Il patriottismo economico è un vizio congenito della
Francia, residuato della perduta Grandeur e dei complessi di superiorità-inferiorità che si trascina dietro. Ma è
anche figlio della cultura colbertista e dell'impronta che ha lasciato sul suo modello di società e di sviluppo.
Niente a che vedere con il sistema nostrano, costruito e fatto di tutt'altra pasta, nel bene e nel male.
Adriana Cerretelli
L'interrogativo di fondo però vale per tutti: nell'era dell'economia e delle produzioni sempre più globalizzate
hanno ancora un senso i rifessi identitari forti, l'arroccamento sulla difesa degli interessi nazionali o sono
entrambi destinati ad essere travolti da nuove logiche, in fondo le stesse che ogni giorno e dovunque mettono
in croce sovranità e autonomia decisionale degli Stati nazionali e della stessa Europa indebolita dalle proprie
divisioni? A prima vista la reazione del Governo francese alla scalata di GE ad Alstom energia (il 70% del
gruppo), peraltro con il beneplacito del suo Cda, rientra in una tradizione ben collaudata. Quando di mezzo ci
sono i cosiddetti "campioni nazionali", le resistenze a Parigi possono diventare ferree.
Esattamente 10 anni fa l'allora cancelliere Gerhard Schröder denunciò pubblicamente l'intollerabile
nazionalismo economico francese. Il veto di Parigi costrinse comunque la tedesca Siemens a recedere dalla
conquista di Alstom. Quello stesso anno, il 2004, anche Novartis che puntava ad Aventis dovette ritirarsi in
buon ordine. L'anno dopo fu il turno di PepsiCo che voleva Danone.
Non sempre però le levate di scudi hanno impedito il passaggio di alcuni campioni sotto le altrui bandiere.
Nel 2003 Pechiney, il colosso dell'alluminio, fu acquistata dalla canadese Alcan. Tre anni dopo Arcelor, il
simbolo dell'acciaio francese, passò sotto il controllo dell'indiana Mittal. SFR, il secondo operatore di telefonia
mobile, ora controllato dalla lussemburghese Altice, si ritrova con la sede nel Granducato. Lafarge, il numero
uno del cemento francese, diventerà svizzera dopo il matrimonio con Holcim.
Se si guarda però all'evoluzione del suo "patrimonio" societario negli ultimi 20 anni, nonostante i timori
ricorrenti la Francia, come dimostra un recente studio di Nicolas Veron dell'istituto Bruegel, resta meglio
posizionata dei partner Ue nella graduatoria Ft 500 delle maggiori società quotate, sia per numero di
presenze che per capitalizzazione di mercato: meglio della media dell'eurozona, molto meglio della
Germania, per non parlare dell'Italia eternamente in fondo alla classifica. Non solo. Delle 18 società francesi
che nel 1996 comparivano nel Ft500, 4 sono state oggetto di fusioni "nazionali", nessuna è stata comprata da
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stranieri. Degli altri 108 gruppi europei sull'elenco, ben 21, cioè quasi 1 su 5, sono invece stati bersaglio di
acquisizioni transnazionali.
Anche se i numeri sembrano dimostrare che l'oltranzismo protezionista francese è eccessivo e ingiustificato,
resta la domanda su quale sia la scelta ottimale da fare in caso di scalate più o meno amichevoli a gruppi
ritenuti di importanza strategica per i settori che coprono e/o le leadership tecnologiche che detengono.
Questo soprattutto quando, sotto il pungolo delle economie emergenti e sulla scia della reindustrializzazione
degli Stati Uniti che, riscoprendo il manifatturiero, hanno ritrovato crescita e occupazione, in Europa si
comincia a discutere di "rinascimento industriale" e di una politica comune in grado di favorirlo, di
integrazione, maggiore diversificazione e autonomia energetica.
Ammesso che il concetto di campione nazionale sia obsoleto quanto quello di Stato nazionale, e sempre che
questi giudizi trancianti non rischino di rivelarsi troppo precipitosi, ha ancora un senso oggi puntare sui
campioni europei come Airbus, Eads, Eurofighter per farne anche la tessera di una futura identità dell'Europa
che vada oltre l'euro per ricreare industria, sviluppo e lavoro?
E quando si negozia il Ttip, il nuovo patto transatlantico su commercio e investimenti, cioè una credibile
risposta euro-americana alle sfide della globalizzazione, è congrua la logica della Francia di Hollande che
respinge l'intesa di Alstom con Ge forse ripescando un suo possibile matrimonio con la tedesca Siemens per
creare oggi il nuovo campione europeo bocciato ieri? E quando di mezzo ci sono eccellenze tecnologiche,
brevetti e ricercatori, cioè le vere materie prime dello sviluppo nel 21°secolo, davvero si possono affidare le
scelte dei partner industriali alla pura legge del mercato?
Per vincere la partita della competitività e della crescita nell'era globale, l'Europa deve trovare e presto
risposte comuni per sfruttare al meglio la sua grande massa critica. L'Italia non può stare alla finestra senza
darsi una politica coerente con i suoi interessi. Altrimenti potrebbe ritrovarsi un giorno costretta a risposte
precipitose. Magari autolesioniste.
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18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Il rilancio del Sud passa (anche) dall'Europa
Alberto Quadrio Curzio
I Cavalieri del Lavoro hanno tenuto a Palermo il loro Convegno nazionale del 2014 centrato sul tema
«Rilanciare l'Europa: dalle radici al futuro». Nella scelta del luogo e del tema vi sono due connotati simbolici.
Con il luogo si dimostra la vicinanza agli imprenditori siciliani che operano meritoriamente. Con il tema si
ricorda all'Europa quali sono i suoi confini al sud, quelli di approdo a una "Unione" che dovrebbe esprimere
meglio, e in molte direzioni, la solidarietà.
La solidarietà di intrapresa. Il tema della solidarietà è stato trattato in termini dinamici e creativi, di crescita e
di occupazione, di intrapresa attraverso cui creare benessere ed equità. Si tratta di quel liberalismo solidale al
quale sono intonati anche i Trattati europei che progettano la libera circolazione delle persone unita alla
disciplina dell'immigrazione, la concorrenza unita a una crescita equilibrata e sostenibile, lo sviluppo unito alla
coesione sociale e territoriale.
L'Europa ha fatto parecchio in queste direzioni scegliendo, però, in generale un eccesso di rigore fiscale
nella grande crisi e facendo mancare in particolare un supporto al Mezzogiorno sulle questioni
dell'immigrazione.
Ma anche l'Italia e il Mezzogiorno devono fare di più per il Sud. Perché se lo stesso non si sviluppa, anche
l'Italia crescerà poco. Dobbiamo essere consapevoli che non esiste un altro Paese della Ue con al suo
interno un divario territoriale così forte come quello tra Nord e Sud Italia. Dunque si tratta di un problema
nazionale che va affrontato sul piano economico, sociale e istituzionale usando, come abbiamo spesso
proposto, una «logica industriale». Ciò significa adottare quella razionalità organizzativa e produttiva,
applicabile a tutti i settori, per superare quegli interventi assistenzialistici che confondono solidarietà con
spreco o con pubblico impiego così danneggiando innanzitutto la qualità delle risorse umane del sud le cui
capacità sono state dimostrate nei modi più svariati.
Alberto Quadrio Curzio
Continua da pagina 1
Economia e imprenditoria. L'opinione, spesso ascoltata, che nel Sud Italia non c'è imprenditoria, è sbagliata.
Lo dicono le cifre aggregate e quelle su singoli comparti produttivi. Considerando i dati al 2010, cioè prima dei
danni della crisi, il valore aggiunto manifatturiero del Sud Italia era di 28,8 miliardi di euro. Ovvero superiore a
quelli della Romania, della Danimarca, del Portogallo, della Grecia. Ma anche a quello della mitica Finlandia.
Alcuni penseranno che si tratti di un manifatturiero molto povero. Non è così perché il Sud contribuisce al
31% dell'export italiano nel settore aereonautico, al 17% in quello automotive, al 13% in quello farmaceutico.
Ci sono molte imprese del Mezzogiorno forti nelle telecomunicazioni e nella meccanica specialistica anche
perché ci sono competenze ingegneristiche notevoli dovute ad ottime facoltà. Federico Pirro, in un saggio che
presto uscirà in un volume della Fondazione Edison, argomenta in modo condivisibile sui principali punti di
forza dell'industria del Sud. Non in contraddizione, nello stesso volume, Giovanni Iuzzolino rileva che
l'industria del Sud ha visto diminuire il suo valore aggiunto in otto anni su 12 a partire dall'inizio degli anni
2000.
Una sua osservazione molto colpisce. E cioè che le imprese di successo non hanno generato ecosistemi
manifatturieri capaci di crescita endogena probabilmente a causa dell'indifferenza (se non ostilità) dei
«territori di insediamento, guidati da istituzioni estrattive piuttosto che inclusive».
Queste considerazioni non hanno un connotato limitato all'industria, ma riguardano ogni settore
dell'economia dove il tessuto produttivo è ancora frammentato e dove le carenze infrastrutturali istituzionali e
sociali, materiali e immateriali, sono molto gravi. Anche per questo bisogna ammirare quegli imprenditori del
Mezzogiorno che combattono giorno dopo giorno e la cui internazionalizzazione non è la via di fuga della
delocalizzazione, ma la ricerca di mercati più ampi per rafforzare la loro base territoriale italiana. Bisogna
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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però prendere atto che un'area di 26 milioni di abitanti rimane una delle più deboli della Ue in termini di
sviluppo con una disoccupazione totale al 20,5% ed una giovanile al 55,3 per cento.
Istituzioni e società. È difficile negare che le Istituzioni del Mezzogiorno non abbiano dato qual contributo allo
sviluppo che il loro livello di responsabilità, e anche di autonomia, avrebbe richiesto. Siamo consapevoli
dell'enorme difficoltà in cui operano anche per l'esistenza di attività criminali. Ma bisogna prendere atto che
molte Istituzioni non hanno saputo neppure utilizzare i fondi strutturali resi disponibili dall'Europa. Ed è per
questo che vanno cercati i rimedi tra i quali ne individuiamo due.
Il primo è una forte applicazione della sussidiarietà, che è l'altro grande principio su cui l'Europa si
costruisce. Da poco più di un anno una ventina di Fondazioni e Associazioni del Mezzogiorno (tre le quali
Res e Svimez) hanno elaborato documenti importanti per il rilancio dello sviluppo meridionale. È un segno
forte che la società civile del Sud c'è ed è attiva. Bisogna dare più spazio alle associazioni di imprese, alle
forze sociali organizzate tra cui i sindacati, alle forze scientifico-culturali.
Il secondo è la riforma del Titolo V della Costituzione sia introducendo un federalismo solidale a geometria
variabile, sia riportando al centro poteri che l'Italia deve condividere con l'Europa (e non con le Regioni) sia
aumentando i poteri sostitutivi dello Stato nei casi di inadempimenti dei livelli di Governo minori.
Una conclusione. L'Italia si lamenta spesso dell'Europa, ma cosa dovrebbero dire allora i cittadini e gli
operatori italiani di fronte a uno Stato che nel decennio 2002-2011 ha erogato al bilancio comunitario 32,28
miliardi più di quanti il nostro Paese ne abbia ricevuti mentre la Spagna ne ha ricevuti 50 più di quanti ne
abbia erogati? Questa è incapacità del nostro apparato istituzionale a tutti i livelli per superare la quale sono
necessarie la logica industriale ed la solidarietà di intrapresa.
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Perché serve privatizzare le «utilities»
Luigi Zingales
di Luigi Zingales
Leggendo della saga tra Acea, la multiutility controllata al 51% dal Comune di Roma, e il sindaco della città
Ignazio Marino, mi viene in mente un buffo episodio che mi capitò in India. La macchina in cui stavo
viaggiando come passeggero fu coinvolta in un piccolo incidente.
I conducenti delle due vetture cominciarono a litigare tra loro, per poi rivolgersi a me chiedendo chi dei due
fosse dalla parte della ragione. Risposi che era più facile dire chi aveva torto: entrambi. Entrambi avevano
violato numerose norme del codice della strada. Quello che era difficile stabilire è chi ne avesse violato di più!
Lo stesso vale per la contesa su Acea. È difficile stabilire chi ha meno torto: certamente entrambi i lati non
sono senza colpa.
Nel 2013 il sindaco di Roma uscente, Alemanno, decise di nominare il consiglio di Acea subito prima delle
elezioni. Non certo un gesto di classe, soprattutto quando le proiezioni davano Alemanno perdente. Alcuni
sostengono che Alemanno avesse assecondato nella scelta dell'Ad i principali soci privati: Caltagirone (col
15%) e Gdf Suez (con il 11.5%). Non so se sia vero, ma è ragionevole che dei soci privati abbiano una voce
in capitolo. Purché l'Ad operi sempre nell'interesse della società e non favorisca i soci privati stessi.
Qualunque fosse stata la motivazione di Alemanno, la scelta di Paolo Gallo come amministratore delegato
risultò fortunata. Dalla nomina di Gallo all'inizio di maggio del 2014 il titolo Acea in borsa ha guadagnato il
152% contro il 40% del Mib, il 90% di A2a e il 120% di Iren (due utility simili). La performance contabile è
altrettanto lusinghiera.
Data questa performance era ragionevole aspettarsi che, nonostante le differenze politiche, l'amministratore
delegato potesse rimanere tranquillamente in carica almeno fino alla fine del mandato, ovvero nel 2016. A
sorpresa, il sindaco Marino ha annunciato di volerlo sostituire. Per farlo, però, deve intervenire pesantemente
nella vita societaria richiamando l'intero consiglio. È nei diritti di un azionista di maggioranza farlo, ma deve
avere dei buoni motivi e spiegarli al mercato. Invece l'unica motivazione dichiarata da Marino sembra essere
una riduzione dei compensi di consiglieri e amministratori. Sfortuna vuole che la manovra del sindaco (un
rinnovo anticipato del consiglio senza giusta causa) faccia scattare il golden parachute per Paolo Gallo, con
un costo stimato di almeno sette milioni. Questo golden parachute costerebbe di più di tutti gli stipendi
risparmiati. Capisco l'afflato populista, ma questo sembra puro masochismo. Perché farlo?
Un'azionista di maggioranza, anche quando è il comune di Roma, ha il diritto di scegliere gli indirizzi
strategici della società. Nonostante i proclami bellicosi dei suoi sostenitori, la proprietà pubblica delle imprese
la maggior parte delle volte crea un azionista assenteista o peggio agli ordini dei soci privati. Nel migliore dei
casi la proprietà pubblica si traduce in un regalo agli azionisti privati (che possono controllare una società con
un pacchetto di azioni molto limitato), nel peggiore dei casi in un centro di potere autoreferenziale, che
controlla il potere politico invece che viceversa.
Quando la società è quotata, però, le scelte strategiche del comune devono essere spiegate al pubblico degli
investitori, cui non interessa chi ha nominato Paolo Gallo, ma solo la sua performance. Perché Marino vuole
cambiarlo? Soprattutto perché vuole cambiarlo a tutti i costi? Non solo contro i soci di minoranza, che sono
contenti della sua performance, ma anche contro i membri dello stesso partito. Se ritiene che abbia
indebitamente favorito i soci privati lo dica chiaramente, altrimenti taccia. Una società quotata, anche se a
maggioranza pubblica, non può essere gestita come un ente di beneficienza, ne può essere sottoposta a
tutte le pressioni politiche. Il presidente della Confederazione Artigiani di Roma, per esempio, ha protestato
che «Acea investe nel Lazio meno che in Toscana». Sono questi i motivi della rimozione del consiglio? Se
vuole cedere a questo tipo di pressioni, il sindaco deve ritirare Acea dal mercato. Visto che non ha i soldi per
farlo, deve sottoporsi alle regole del mercato stesso. Stupisce che il sindaco di Roma, afflitto da enormi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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LA SAGA DI ACEA
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problemi di bilancio, trovi il tempo per contrastare un management che si è comportato bene ed è in carica da
solo un anno. Se ci fosse bisogno di ulteriore evidenza a favore della privatizzazione delle municipalizzate,
non ci sarebbe esempio migliore. Non solo la vendita del controllo di Acea aiuterebbe a ripianare i debiti del
comune di Roma , ma la sua alienazione libererebbe un enorme quantità di tempo al sindaco Marino, tempo
che potrebbe essere proficuamente utilizzato per tagliare le spese del comune. Due piccioni con una fava.
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18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Mansi: lascio l'Ente Mps risanato e senza debiti
Cesare Peruzzi
«Ho portato a termine il compito che mi era stato assegnato»: lo afferma Antonella Mansi, presidente di
Fondazione Mps in scadenza, chiamata all'inizio di settembre per risollevare una situazione compromessa.
Ora l'Ente «è senza debiti e con un patrimonio liquido di 450 milioni» afferma Mansi, che auspica che il suo
successore sia scelto nell'ottica della «continuità nella discontinuità».
Intervista di Cesare Peruzzi u pagina 17
FIRENZE
Considera chiusa l'esperienza di presidente della Fondazione Mps. Antonella Mansi, il cui mandato scade il 9
giugno con l'approvazione del bilancio 2013, conferma l'intenzione di tornare a fare l'imprenditrice a tempo
pieno. «Ho portato a termine il compito che mi era stato assegnato», dice. E aggiunge che, comunque,
«assicurerà un ruolo di accompagnamento per il tempo necessario», essendo anche presidente (senza diritto
di voto) della deputazione generale, cioè l'organo d'indirizzo, che affronterà il tema della nomina degli
amministratori già nella riunione del 20 maggio.
L'indisponibilità a un nuovo incarico rientra nel carattere risoluto e poco incline alle liturgie del potere della
quarantenne Mansi, che in appena otto mesi (lo statuto prevedeva un "mandato breve" per la deputazione
amministratrice insediata a settembre 2013) è riuscita a risollevare una situazione compromessa, salvando la
Fondazione che ha mantenuto anche un ruolo nell'azionariato di Banca Mps. L'auspicio del leader uscente è
che il successore sia scelto nell'ottica della «continuità nella discontinuità», rispetto al rinnovamento del 2013.
Il sindaco di Siena, Bruno Valentini, le ha assicurato «l'imperitura riconoscenza della comunità locale» e l'ha
indicata come il «miglior candidato per succedere a se stessa»: perchè dunque ha deciso di lasciare?
Non ho interpretato il ruolo di presidente della Fondazione come una forma di carriera. Il mio è stato un
servizio al territorio e la durata di soli otto mesi era stabilita dallo statuto. L'esperienza era a termine e dunque
è normale che pensi a recuperare pienamente la dimensione imprenditoriale.
Nessuna pressione esterna?
Credo di aver dimostrato di essere impermeabile a questo genere di condizionamenti. Mi muovo sulla base
di valutazioni del tutto personali. È una scelta dettata dal mio dna.
Che Fondazione lascia?
Solida e con buone prospettive di crescita. Una Fondazione che ha dimostrato di avere capacità di polo
aggregante nei confronti degli investitori stranieri e che in prospettiva continuerà a giocare un ruolo
importante nell'azionariato di Banca Mps. Certo, non sono stati risolti tutti i problemi e all'interno c'è del lavoro
da fare, a cominciare dal riassetto dell'immobiliare Sansedoni (controllata al 67% dalla Fondazione Mps,
n.d.r.) e dall'equilibrio gestionale e finanziario di Siena Biotech e Accademia Chigiana. Ma sono temi di
medio-lungo periodo. Gli obiettivi a breve del documento programmatico di ottobre sono stati raggiunti.
Quali in particolare?
La messa in sicurezza della Fondazione e la salvaguardia del suo patrimonio. Oggi l'Ente è senza debiti e
con un patrimonio liquido di 450 milioni, oltre alla partecipazione del 2,5% in Banca Mps, legata da un patto
parasociale al 2% di Btg Pactual e al 4,5% di Fintech. Al netto dell'aumento di capitale che la Fondazione
sottoscriverà per 125 milioni, come di competenza. Abbiamo anche diversificato gli investimenti e dunque il
rischio: oggi le azioni Mps rappresentano il 23,5% del patrimonio, rispetto all'80,6% di otto mesi fa. Sono stati
ridotti i costi di gestione e l'attività erogativa, abbiamo mantenuto una presenza e un ruolo in Mps e promosso
azione di responsabilità nei confronti dei vecchi amministratori e delle banche finanziatrici della Fondazione.
Da chi si è sentita appoggiata?
Dalla struttura interna, la cui collaborazione è stata fondamentale. Poi dall'advisor Lazard e certamente dalla
città.
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INTERVISTA La presidente della Fondazione: patrimonio liquido di 450 milioni
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Anche dalle Istituzioni?
Sì
Con i vertici del Monte, invece, ci sono state delle incomprensioni: dovute a cosa?
Alla necessità di entrambi, noi e loro, di rispondere con efficacia a problemi rilevanti, con interessi in gioco
importanti. Ma, per quanto mi riguarda, la polemica non è mai stata personale.
Come giudica l'operato di Mps?
Vedo alcuni iniziali segnali positivi nei dati del primo trimestre dell'anno. È importante che il piano industriale
vada avanti nei tempi stabiliti e che la banca torni a produrre reddito per gli azionisti.
Cosa ha reso possibile l'alleanza con Fintech e Btg Pactual?
La volontà comune di realizzare un collegamento solido con il territorio, a prescindere dalla quota Mps in
mano alla Fondazione. Sono stati Fintech e Pactual a cercarci in questa ottica strategica. E il patto siglato è
un'alleanza aperta anche ad altri azionisti.
Con l'obiettivo di esprimere la governance del Monte?
Dipenderà dall'assetto azionario della banca dopo l'aumento di capitale.
Si è fatta un'idea sull'origine del "caso Siena" e dei guai di Fondazione e Banca Mps?
Penso che sia stato un problema di miopia. Si è perso di vista l'interesse delle istituzioni e del territorio, a
vantaggio di pochi. Non dovrebbe mai accadere. Ecco perchè m'impegnerò a far sì che il cambio di rotta
attuato otto mesi fa prosegua e la Fondazione continui a essere gestita come un'azienda.
© RIPRODUZIONE RISERVATA PRINCIPALI AZIONISTI. Dati in % BlackRock J. P. Morgan Axa Fintech
(Messico) 2,5 4,5 2,0 Btg Pactual (Brasile)
Foto: Al vertice della Fondazione Mps. Il presidente Antonella Mansi Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore
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Così difendiamo il cibo «made in Italy»
Maurizio Martina
e Carlo Calenda
Sul Sole 24 Ore di ieri, Mario Platero ha sottolineato l'importanza del nostro settore agroalimentare non solo
in senso "difensivo", come un patrimonio inestimabile da tutelare, ma "offensivo", come una delle
fondamentali fonti di crescita economica. I dati mostrano che anche quest'anno, come lo scorso, l'export di
cibo e vino dovrebbe toccare una crescita record.
Questa tendenza è destinata a continuare: le previsioni per i prossimi anni stimano la crescita dell'export
agroalimentare intorno al 7,5 per cento annuo, più di ogni altro settore del made in Italy. Tuttavia, come scrive
Platero, accanto alle opportunità ci sono le minacce.
Maurizio Martina e Carlo Calenda
Crescono nel mondo le cosiddette barriere al commercio, di natura tariffaria e soprattutto non tariffaria,
norme fitosanitarie spesso pensate per ostacolare la concorrenza dei nostri prodotti. Per questa ragione da
circa un anno è attivo un gruppo di lavoro tecnico, che si riunisce sotto la presidenza del Ministero delle
politiche agricole alimentari e forestali e di quello dello Sviluppo economico, per affrontare e risolvere con
approccio operativo i problemi che sorgono sia a livello politico che a livello tecnico, come ad esempio quello
della Listeria. Questo gruppo è formato non solo da tecnici dei nostri ministeri, della Salute, degli Esteri e
dell'Agenzia delle dogane, ma anche da rappresentanti dell'industria, che spesso conosce prima degli altri i
problemi che sorgono nell'accesso ai mercati. Per fare un esempio rilevante, grazie a questo gruppo, e su
richiesta di Lisa Ferrarini, sono stati riattivati dei desk anti-contraffazione e assistenza contro gli ostacoli al
commercio in cinque città-chiave: Tokio, New York, Mosca, Istanbul e Pechino. In stretto raccordo con le
strutture dei nostri ministeri a Roma, questi desk forniscono assistenza in loco alle aziende italiane che si
trovano a fronteggiare problemi di contraffazione o di nuove barriere commerciali.
Inoltre, sempre da un anno, abbiamo cambiato la politica di difesa commerciale per non lasciare, come
accadeva prima, le imprese italiane da sole davanti ad offensive di fatto politiche (anche se mascherate da
procedure giuridiche). La scorsa estate una mobilitazione corale ha difeso il nostro vino dall'indagine antidumping pretestuosa mossa dalla Cina, e ora conclusasi positivamente. Proprio la scorsa settimana, per la
prima volta nella sua storia, il Governo italiano ha fatto formalmente ricorso, insieme alle associazioni e
aziende del settore, contro dazi immotivati imposti dall'Australia ai nostri pomodori.
Più in generale, in sede europea, ci siamo opposti con successo - sostenendo una alleanza tra paesi
esportatori - per scongiurare una riforma che voleva indebolire gli strumenti di difesa commerciale: al
contrario nell'agenda del semestre italiano contiamo di riuscire ad irrobustirli, soprattutto per facilitarne
l'accesso alle piccole e medie imprese.
In maniera analoga, è centrale la nostra attenzione al comparto agroalimentare in occasione di tutti i
negoziati per i nuovi trattati di libero scambio. Con il Canada abbiamo raggiunto un punto "alto" di
compromesso, che di fatto tutela le nostre indicazioni geografiche come mai successo nel continente
americano. Lo scorso autunno abbiamo posto il veto in sede Europea all'applicazione di un accordo di libero
scambio con tre paesi del centroamerica, proprio perché stavano mettendo in discussione alcune indicazioni
geografiche tipiche del nostro paese.
Il Ttip - l'accordo di libero scambio con gli Usa - è certamente al centro delle nostre attività proprio per la
straordinaria opportunità di crescita che quel mercato può rappresentare per il nostro export. Infatti stiamo per
lanciare una offensiva commerciale e di comunicazione sulle nostre produzioni tipiche in Canada e Usa
perché mai come in questo caso la miglior difesa è l'attacco .
La promozione commerciale è centrale anche in prospettiva dell'Expo. Da diversi mesi è attivo un progetto
"offensivo" denominato "The Road to Expo" che mira a massimizzare l'impatto commerciale della
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CONTRO LE CROCIATE ANGLOSASSONI
18/05/2014
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manifestazione. Per tutto il 2014 abbiamo organizzato visite in Italia di buyers internazionali presso le grandi
fiere del comparto agroalimentare, dalle macchine alla tecnologia e all'agricoltura, per fare in modo quando
l'Expo aprirà i lavori le nostre aziende abbiano già costruito il percorso necessario a cogliere nuove
opportunità.
Una nota infine sulle "crociate" pseudo-salutiste: il Governo e tutte le rappresentanze diplomatiche da
almeno un anno si mobilitano in tutte le sedi contro iniziative che puntano l'indice in maniera sbagliata su
singoli prodotti e i loro contenuti di zucchero (o sale, o grassi). Sono iniziative che danneggiano i nostri
prodotti e non aiutano l'affermarsi di una cultura alimentare più sana ed equilibrata. Purtroppo molte di queste
prese di posizione, è il caso del "semaforo" inglese, sono costruite in modo da rendere difficile un contrasto in
sede comunitaria (per esempio attraverso il meccanismo della non obbligatorietà). La battaglia per
l'internazionalizzazione del settore agroalimentare italiano sarà ancora lunga e difficile. La giusta strategia è
fatta di un mix di iniziative di attacco e difesa. Il Governo tutto ha il problema nel suo radar ed è a fianco
dell'agroalimentare italiano.
Maurizio Martina è ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Carlo Calenda, viceministro dello
Sviluppo Economico
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18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Squinzi: serve più Europa per la crescita e il lavoro
LA SFIDA EUROPEA «Superare l'attuale deficit di leadership. Bisogna dar vita ad una reale unione
finanziaria e a un Governo europeo dell'economia»
Nicoletta Picchio
PALERMO. Dal nostro inviato
Uno sguardo all'Europa, con la convinzione che «crescita e occupazione devono essere il fulcro dell'azione
europea», non solo il rigore e l'austerità. E uno all'Italia, sollecitando un'«azione di ampio respiro sui nodi
dello sviluppo», che richiedono riforme strutturali. Con un «apprezzamento» delle prime mosse del governo,
dal Documento economico e finanziario alle riforme istituzionali, al pagamento del debiti della Pa.
Giorgio Squinzi guarda alle elezioni Ue di domenica prossima e rilancia l'appello al voto, parlando a Palermo
al convegno della Federazione dei Cavalieri del lavoro proprio sull'Europa: «Come Confindustria prendiamo
fortemente posizione per le elezioni europee, abbiamo invitato gli associati e i cittadini ad esprimere il loro
voto per un'Europa giusta. Non siamo un partito politico, abbiamo preso una posizione di questo tipo perché
siamo siamo in una situazione speciale».
Serve più Europa, secondo il presidente di Confindustria, un'Europa federale, con più rappresentatività,
maggiore soliderietà, migliori opportunità per tutti. L'euro deve essere non solo fattore di stabilità, ma di
crescita. In questa «sfida» sono importanti anche i singoli paesi: «Il nostro ha ruoli insostituibili, con la
premessa che metta ordine in casa». La crisi non è ancora superata, il Pil dal 2007 è sceso di oltre 9 punti, la
produzione industriale è ancora inferiore di un quarto rispetto ai picchi pre-crisi. «Sembrava delinearsi
un'inversione di tendenza che deve essere considerata». In questo scenario il piano europeo e quello
nazionale si sovrappongono, perché «solo risolvendo le nostre debolezze potremo contribuire da protagonisti
al rafforzamento del progetto europeo», anche cogliendo l'occasione del semestre europeo a guida italiana
che «può rilanciare l'economia».
Squinzi si è soffermato sull'azione del governo: «Abbiamo apprezzato come il Def inizi a rispondere
positivamente alle raccomandazioni paese, scegliendo di negoziare con la Commissione la flessibilità dei
conti pubblici in cambio di un ambizioso piano di riforme strutturali», per una crescita duratura e per
l'occupazione. Così come «il decreto lavoro, il fatto che sia diventato legge e condividiamo l'impostazione che
è stata data dal ministro Poletti».
«Condividiamo anche la scelta del governo di una revisione profonda della nostra architettura istituzionale»,
ha aggiunto riferendosi alla riforma elettorale e alle modifiche costituzionali, per rivedere il Titolo V e il
bicameralismo. Un Parlamento più snello, un iter legislativo più rapido, un riparto di competenze tra Stato e
Regioni più razionale, la riduzione del perimetro del pubblico sono importanti per rilanciare la competitività.
Proprio per essere più competitivi «avremmo gradito», ha continuato Squinzi, una realizzazione diversa del
taglio al cuneo fiscale o una scelta diversa sulla quantità limitata di fondi destinati alla riduzione dell'Irap, «un
taglio significativo avrebbe dato fiato competitivo al paese, con benefici sulla crescita». Ma, ha aggiunto il
presidente di Confindustria «il tutto e subito non appartiene alla nostra cultura, avremo modo di tornare su
questi temi confidando in una situazione delle finanze pubbliche differente dall'attuale». Invece è
«assolutamente positivo» l'operato del governo sui ritardi di pagamento della Pa, un vulnus che va risolto in
via definitiva. «Siamo agli inizi di un grande lavoro, se la strada delle riforme verrà mantenuta abbiamo tutte
le potenzialità per uscire da questa empasse inaccettabile per la qualità dei nostri imprenditori e l'intelligenza
del paese».
L'Europa è nelle condizioni di stimolare le riforme indispendabili nei singoli paesi. Un'Europa che ripensi se
stessa, ritrovi una capacità di leadership, superando il deficit attuale «con una rinnovata strategia di
governance». Bisogna dare vita ad una reale unione finanziaria e ad un governo europeo dell'economia,
occorre una politica comune di sicurezza e di difesa. Le sfide che l'Europa ha davanti richiedono una Ue
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Le imprese. Il presidente di Confindustria a Palermo rilancia l'appello al voto
18/05/2014
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integrata. Ci sono problemi ineludibili, come quello delle migrazioni: «Non è accettabile che venga lasciato
solo sulle nostre spalle il peso dell'accoglienza, forzosa ma dovuta, da parte di un'Europa che proprio nella
solidarietà dovrebbe avere uno dei suoi punti fondanti. Lo affermo ospite di una terra che ne vive il dramma
quotidiano».
Tra troppi rallentamenti, «difficoltà burocratiche e ciechi egoismi» si sta definendo l'unificazione bancaria e
fiscale. Per non perdere questo lavoro bisogna lavorare sulla priorità dell'unione politica. E il sogno di Squinzi,
che ha ripetuto ieri concludendo il suo intervento, è quello degli Stati Uniti d'Europa.
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Foto: Appello al voto Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri a Palermo al convegno della
Federazione dei Cavalieri del Lavoro
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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D'Amato: l'Europa si muova serve una nuova governance
I TEMI CENTRALI Rocca: oggi la Ue non è un vantaggio competitivo, prendiamo in mano il nostro destino.
Bernabè: più politica industriale
Nino Amadore
PALERMO
Una macchina costruita per correre che rallenta, sbuffa, e non va. Poco competitiva ma non da buttare.
Questa l'immagine dell'Europa che si ricava al termine del convegno che si è tenuto ieri a Palermo sul tema,
appunto, "Riformare l'Italia e l'Europa per competere e crescere" organizzato dalla Federazione nazionale dei
Cavalieri del Lavoro presieduta dall'ex presidente di Confindustria, Antonio D'Amato. Ed emerge chiaro il
bisogno di «più politica e meno tecnocrazia» in Europa perché il Vecchio continente ha bisogno di scelte
precise, di una governance forte e di una leadership altrettanto consolidata.
Ci si aspetta molto dal Parlamento e dalla commissione che verrà, quella che arriverà dopo le elezioni di
domenica prossima. Cui, dice D'Amato «spetterà rimettere in moto la governance europea, superando sia il
vecchio metodo comunitario, che ha accresciuto la burocrazia e la disaffezione dei cittadini, sia il metodo
intergovernativo che ha finito per accentuare l'egoismo degli Stati». E sarà anche il momento di «nuove
politiche comunitarie, dalla politica estera alla politica di difesa, dalla politica commerciale internazionale a
una politica energetica integrata». Perché oggi abbiamo «un'Europa che decide e stabilisce quali sono i
microparticolari della nostra vita quotidiana, ma che è assente sul piano della politica».
Un'assenza di politica che diventa sempre più evidente quando si parla di industria, dice Franco Bernabè,
secondo cui «sia l'Europa che l'Italia hanno rinunciato alla politica industriale, si è pensato di lasciare
sgombro questo campo dalla politica e ha preso piede un sistema burocratico che pesa oggi enormemente
sulla competitività delle imprese, mentre ci confrontiamo con Paesi dove la politica industriale è fortissima».
Ma bisogna fare attenzione affinché i problemi dell'Europa non diventino un alibi per non vedere quelli
italiani. Anche se è chiaro: «L'Europa non rappresenta in questo momento un vantaggio competitivo - dice
per esempio il presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca - ma non è la chiave di volta per risolvere i nostri
problemi. Dobbiamo prendere in mano il nostro destino e questo passa a tutti i livelli». Un tema ripreso da
Giovanni Pitruzzella, presidente dell'Antitrust: «È fondamentale la battaglia per la realizzazione del mercato
unico europeo. E per farlo, dando sbocco alle nostre merci e ai nostri servizi, occorre essere ben presenti
dove le decisioni si prendono. Altrimenti tutto è perduto. I nostri costi dell'energia ad esempio ci tagliano fuori
da tutto, ma non possiamo risolverli soltanto attraverso politiche energetiche nazionali, potremmo diventare
esportatori di energia se ci fosse un mercato unico dell'energia. Stesso discorso vale per l'e-commerce».
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Il convegno dei Cavalieri del Lavoro. Le attese: più politica, meno tecnocrazia
18/05/2014
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Le imprese alla scoperta del Mozambico
Nicoletta Picchio
ROMA
Uno spirito da pionieri, per investire in un paese africano che cresce a ritmi dell'8% all'anno e che ha voglia
di aprire le porte agli stranieri. Ma che sta muovendo ora i primi passi sulla via dello sviluppo e non ha un
settore manifatturiero. «Lo sforzo di penetrazione in un mercato come questo è certamente maggiore, il
ritorno dell'investimento va visto nel medio periodo. Ma le potenzialità sono consistenti, è un paese ricco di
materie prime e che ha la volontà di evolversi». Paolo Zegna, presidente del Comitato tecnico per
l'internazionalizzazione di Confindustria, sta partendo alla volta di Maputo, capitale del Mozambico: domani si
aprirà la missione di sistema italiana di governo, banche e imprese, con 80 aziende, 6 associazioni
imprenditoriali e 4 istituti bancari, per un totale di 200 partecipanti.
L'obiettivo è approfondire le opportunità di affari per le aziende italiane nei settori dell'agroindustria, delle
infrastrutture e dell'energia. È il sistema paese che si muove: la missione è promossa dai ministeri dello
Sviluppo economico e degli Affari esteri, ed è organizzata nell'ambito dei programmi della Cabina di regia, da
Confindustria, Agenzia Ice, Abi, Unioncamere, Rete Imprese Italia e Alleanza delle cooperative. Oltre a
Zegna, a guidare la missione ci sarà il vice ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda. Per l'Abi sarà
presente Guido Rosa e per l'Ice il direttore generale Roberto Luongo. Sarà presente il ministro dell'Industria
del Mozambico Armando Inroga. In programma, il Forum istituzionale Italia-Mozambico, seminari di
approfondimento settoriali e incontri bilaterali tra imprese italiane e locali.
«L'Italia ha investito in modo significativo in Mozambico per quello che riguarda gli aiuti pubblici allo sviluppo,
circa 530 milioni di euro dal 1992 e circa 80 milioni di euro a dono nell'ultimo quadriennio, il paese è il primo
beneficiario della cooperazione italiana», sottolinea Zegna. E questo aumenta l'attenzione del governo
mozambicano nei nostri confronti.
La missione dei prossimi due giorni arriva dopo quella del 2012 organizzata da Confindustria, Federprogetti
e Simest, dedicata al settore oil&gas, che «è stata l'occasione per comprendere che lo sviluppo economico
locale, trainato dal settore potrolifero e minerario, per essere sfruttato in pieno ha bisogno di infrastrutture,
case per la manodopera, servizi, a partire dagli alberghi, forniture di energia elettrica, realizzazione della
catena del freddo». Tutti comparti dove l'Italia ha eccellenze e quindi può trasferire know how adeguato per
avviare uno sviluppo del manifatturiero.
«I maggiori investimenti realizzati finora - spiega ancora Zegna - sono capital intensive, non hanno grandi
effetti sull'aumento dell'occupazione. L'80% del pil deriva da pesca e agricoltura. Occorre uno sviluppo più
equilibrato per ridurre la povertà e aumentare lo sviluppo». Burocrazia, ma anche corruzione: le difficoltà ci
sono, ma «se vogliamo arrivare primi in questo mercato è un prezzo che dobbiamo pagare. Nel medio
termine i risultati degli investimenti arriveranno».
Per Zegna questa è l'ultima missione nel ruolo di presidente del Comitato tecnico (con l'assemblea del 28
maggio gli subentrerà Licia Mattioli). Un impegno consistente, che ha svolto anche durante i quattro anni
della presidenza di Emma Marcegaglia: dal 2008 al 2014 sono state realizzate 34 missioni tra quelle di
sistema settoriali e plurisettoriali, con 3.302 aziende coinvolte e quasi 21mila incontri di business tra imprese.
Tra il 2010 e il 2011 si è iniziato a puntare soprattutto sulle missioni settoriali, per garantire, spiega Zegna,
iniziative più focalizzate, una logica alla quale è corrisposto un maggior coinvolgimento delle piccole imprese.
«Abbiamo lavorato soprattutto per le pmi, che più di tutte hanno bisogno di Confindustria e del sistema paese
per andare fuori Italia. Con le grandi, in grado di muoversi autonomamente, che hanno il ruolo di traino»,
racconta Zegna. «L'organizzazione, con la Cabina di regia, ormai funziona piuttosto bene. Oggi abbiamo
140mila aziende esportatrici, l'obiettivo di aggiungerne altre 20mila è realistico». L'importante, comunque, è
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Internazionalizzazione. Inizia domani la missione organizzata, tra gli altri, da Confindustria, Governo, Abi e
Ice
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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che le imprese per prime credano nella necessità di andare all'estero: «Confindustria e le altre istituzioni
hanno un ruolo importante di sostegno, ma sono gli imprenditori che devono esserne convinti, per il futuro
delle proprie aziende, devono studiare e muoversi nei mercati, anche i più lontani». L'auspicio di Zegna è che
si prosegua verso una liberalizzazione a livello globale: bene la ripresa dei negoziati Wto, bene le
negoziazioni in corso tra Usa e Ue. «I mercati devono continuare ad aprirsi: all'interno della globalizzazione
dove ogni paese deve giocare le proprie carte, l'Italia con coraggio, intelligenza e perseveranza deve far
valere e far conoscere i tanti suoi punti di forza. Ne abbiamo le possibilità e i mercati mondiali continuano a
desiderare il nostro Made in Italy».
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PASSAGGIO DI TESTIMONE
Ultima iniziativa guidata da Paolo Zegna: con l'assemblea del 28 maggio gli subentrerà Licia Mattioli
Foto: Internazionalizzazione. Paolo Zegna guida il Comitato di Confindustria
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Quei beni culturali che non diventano il petrolio italiano
L'ESEMPIO AMERICANO Si calcola che negli Usa la capacità di estrarre valore sia 16 volte maggiore di
quella dell'Italia LA SFIDA DELLA CAMPANIA Per la prima volta il via a un piano strategico sulla conoscenza
e sul migliore utilizzo del patrimonio esistente
Alfonso Ruffo
Con la cultura si può mangiare o no? Può il patrimonio artistico paesaggistico architettonico del Bel Paese
diventare fonte di ricchezza e di lavoro per tanti giovani che oggi emigrano o restano a far nulla? Può, in
particolare, trarre profitto dalle sue bellezze un Mezzogiorno sempre più sospinto verso la povertà?
Sì, no, forse... a certe condizioni. La risposta non è ancora unanime ma si fa strada con sempre maggiore
forza l'idea che non si possa continuare a scrivere sui giornali e sostenere nei convegni che chiese e musei
con il loro contenuto di quadri, statue, gioielli siano i nostri giacimenti di petrolio per poi rinunciare a estrarne il
valore.
Questa volta il tema è nazionale: riguarda l'intero Stivale, dove si dice sia concentrato almeno il 50 per cento
dell'intero patrimonio mondiale. Valutazione forse eccessiva ma che dà una misura alla grandezza del
fenomeno. Il 60 per cento dei beni italiani sarebbe stipato al Sud, dove lo spreco diventa regola e i casi di
cattiva amministrazione non si contano. Dunque, cerchiamo di fare un po' di chiarezza intorno all'argomento
quantificando per quanto possibile le grandezze di un settore che potrebbe dar da vivere a milioni di persone
con impieghi qualificati. L'operazione non è facile soprattutto per la reticenza dei cosiddetti esperti ma non è
nemmeno impossibile. Certo, bisogna accontentarsi di approssimazioni. La Corte dei Conti stima che il
patrimonio culturale italiano valga almeno 234 miliardi di euro. Le regioni meridionali fanno la parte del leone
e la massima concentrazione è in Campania, dove solo Napoli può vantare una dotazione indicata in 50
miliardi di euro. Tutto questo, però, rende molto meno di quanto potrebbe. (Emblematico in Calabria il caso
dei Bronzi di Riace).
Secondo il rapporto di Federculture, infatti, i siti del Mezzogiorno hanno attratto nel 2012 appena il 20,5 per
cento dei visitatori nazionali (7,4 milioni di persone) e incassato il 24,8 per cento del totale (28 milioni di euro).
Grande patrimonio, quindi, e scarsa capacità di farlo fruttare. Anzi, gli episodi di spreco e degrado riempiono
le cronache con grande danno d'immagine.
Se la distanza di perfomance con il resto del Paese resta elevata - il che vuol dire che è addirittura siderale
nei confronti di quanto accade in città del mondo con poco prodotto e tanta organizzazione - il poco Sud che
esprime qualche segno di vivacità è racchiuso nel triangolo Pompei Ercolano Reggia di Caserta con il 43 per
cento delle presenze e il 75 per cento degli introiti.
In rimonta un complesso unico e irripetibile come il Tesoro di San Gennaro - accreditato di essere il più ricco
in assoluto, più di quello della Corona d'Inghilterra e degli Zar di Russia - che lo scorso anno ha lasciato il
luogo blindato in cui è custodito per una tournée europea alla quale potrebbero seguire altre e fruttuose
trasferte.
Il primo tabù che deve cadere, e qualche crepa nel monolitico muro di accademici e sovrintendenti comincia
a intravedersi, è proprio l'apprezzamento dei beni che abbiamo ereditato e che ci circondano. Attribuire un
valore non vuol dire sminuire o creare le condizioni per la vendita (tra l'altro impossibile). Significa solo essere
consapevoli della fortuna che si ha.
Alcuni studi sostengono che la capacità di estrarre valore da un bene culturale sia negli Stati Uniti sedici
volte maggiore che in Italia. Sedici volte maggiore: basta questo dato a suggerire quanti spazi di
miglioramento ci siano e quanto reddito da recuperare e quanta occupazione da offrire. Tanto più che
l'Unione europea mette su questo piatto 1,8 miliardi di euro (2014-2020).
Per tutti questi motivi l'assessore alla Cultura della Regione Campania, Caterina Miraglia, si è voluta dotare
per la prima volta di un piano strategico sulla conoscenza e il miglior utilizzo dell'ampia dotazione regionale
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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BENVENUTI AL SUD
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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affidando al sociologo Domenico De Masi, già fondatore del celebre Festival di Ravello, la compilazione di
una ricerca approfondita e dettagliata.
La discussione con studiosi amministratori e imprenditori durerà tutto il mese di maggio in una serie di
confronti ospitati in quella meraviglia della natura e del genio dell'uomo che è il Belvedere di San Leucio dove
il re Ferdinando I di Borbone volle realizzare il suo esperimento di fabbrica comunista che ha dato vita alle più
belle e celebrate sete del globo. Chissà che il modello non possa essere preso in considerazione anche
altrove restituendo vita economica a un'eredità che oggi ci costa più di quello che rende.
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18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Evento speciale, poteri speciali
Cantone chiede poteri speciali. C'era da aspettarselo. E c'è da aspettarsi che il governo faccia presto un
decreto per darglieli. Pensare di assumere un compito delicato e assolutamente straordinario, come quello di
vigilare sugli appalti dell'Expo, con i poteri ordinari di un'Autorità di vigilanza significa oggi non sapere come
funziona un sistema che nell'ordinario non riesce a esprimersi né in positivo (fare) né in negativo (vigilare
perché non si faccia male).
Abbiamo scritto qualche giorno fa che le 80 deroghe previste per gli appalti dell'Expo erano necessarie per
provare a dare certezza ai tempi. È un male, non c'è dubbio, che un sistema debba esprimersi con un
sistema di deroghe tanto vasto per cercare di rispettare i tempi di un impegno internazionale. È certamente la
spia di un sistema che non funziona e infatti il sistema ordinario degli appalti non funziona e va riformato
radicalmente al più presto. Semplificare, delimitare il ruolo della pubblica amministrazione a funzioni chiave
come la programmazione e la vigilanza finendola con lo strapotere gestionale delle spa controllate, ridare
centralità al progetto definitivo/esecutivo per limitare le varianti, ridurre il contenzioso punendo le liti temerarie
sono tutti nodi che andranno affrontati con il recepimento delle direttive europee su appalti e concessioni
approvate a febbraio.
Oggi però le deroghe erano inevitabili. E inevitabili sono le deroghe e i poteri straordinari anche sull'altra
sponda, quella della vigilanza, per bilanciare una situazione eccezionale con un'altra situazione eccezionale.
Anche su questo fronte bisognerà fare una riflessione sul regime ordinario desiderabile: se non basti una sola
Autorità di vigilanza sul sistema forte, capace di prevenire scarsa concorrenza, atti illegittimi e corruzione.
Frammentare vuol dire indebolire e perdersi in guerre di competenza che non servono a nessuno. Intanto
l'obiettivo è fare l'Expo e farlo fermando i ladri e la corruzione. Speriamo che tutti gli interpreti di questa partita
siano coscienti del vero obiettivo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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LA VIGILANZA SUGLI APPALTI EXPO
18/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Le Borse europee a «braccetto» con il Pil
Dati macro e listini si influenzano a vicenda. Nella Ue più forte il legame con l'economia reale, negli Usa pesa
la liquidità
Vittorio Carlini
L'evento, nella scorsa settimana, è stato chiaro: il calo del Pil italiano (-0,1% nel primo trimestre 2014) ha
spinto all'ingiù Piazza Affari. Il segnale che l'economia reale ha riconquistato la presa su quella di carta? La
storia, evidentemente, è più articolata. A ben vedere, i dati macroeconomici e i listini da sempre si
influenzano a vicenda. È la prassi. Tuttavia, nel recente passato, l'incidenza e la natura di questo legame
sono cambiati. Il filo rosso ha assunto maggiore (o minore) peso a seconda delle situazioni.
Così ad esempio, dal 2000 ad oggi, la media di correlazione tra il Pil del Belpaese e il Ftse Mib si è assestata
a 0,39. In un arco di tempo più ristretto, a partire dal 2007, il valore è invece salito a 0,45. E non solo.
Calcolando di trimestre in trimestre, a fine 2013 la correlazione è andata oltre 0,7. Certo, quest'ultimo dato
non è confrontabile con le medie già indicate. Inoltre la sua valenza statistica, a fronte dei pochi numeri presi
in considerazione, non è elevata. E tuttavia, rafforza l'idea che il peso della dinamica del Pil sulla Borsa non
sia indifferente. Anche perchè, se è vero che nel 2013 l'economia del Belpaese è calata (-1,9%), di trimestre
in trimestre la congiuntura è migliorata. Un trend sicuramente sfruttato dall'azionario.
La considerazione, con le debite differenze tra Stato e Stato, può peraltro estendersi a gran parte dell'Europa
continentale. «L'indicazione non sorprende - dice Luca Barillaro, capitano di lungo corso a Piazza Affari -. In
generale, sul lungo periodo, il Pil incide sempre sulle dinamiche di Borsa. Questo scenario di struttura, però,
può essere alterato da variabili esogene», eccezionali. Ad esempio? «Gli interventi di politica monetaria ultra
espansiva delle banche centrali» risponde Paolo Guida, economista di Intesa SanPaolo. Un attivismo, però,
che fin qui ha caratterizzato molto di più i mercati anglo-americani (e il Giappone) rispetto ad Eurolandia. «È
questo minore interventismo che, tra le altre cose, permette al Pil» di giocare nel Vecchio continente un ruolo
più rilevante.
Già, il ruolo rilevante. Negli Stati Uniti è ad appannaggio della Fed. Tanto che, invece del confronto tra l'S&P
500 e il Prodotto interno lordo, più utile è guardare al bilancio della stessa Riserva federale. Cosa salta fuori?
È presto detto. Esiste una buona corrispondenza tra l'andamento di Wall Street e l'incremento degli asset
della Fed. Dal settembre 2012, quando l'allora presidente Ben Bernanke ha annunciato il terzo allentamento
quantitativo, gli attivi sono passati da circa 2.800 miliardi agli attuali 4.200. Il balzo «siderale», cui è
corrisposta l'ennesima «valanga» di liquidità, ha spinto l'S&P500 all'insù, fino al suo massimo storico (1.900
punti). Un volo che, da un lato, ha subito vuoti d'aria in scia al taglio degli stessi acquisti mensili di asset da
parte della Fed. E, dall'altro, non può giustificarsi (se non in minima parte) con l'andamento del Pil. Questo,
infatti, nel 2012 era cresciuto del 2,8% per poi rallentare all'1,9% nel 2013.
Ma non sono solo le singole mosse della Federal reserve. Negli Stati Uniti aiuta anche il contesto socioeconomico e culturale. In America, infatti, rileva molto più che altrove il cosiddetto effetto ricchezza. «L'avere
fatto salire i prezzi degli asset finanziari - sottolinea Marco Piersimoni, del team di consulenza di Pictet Amha permesso, ad esempio, alle famiglie» di diventare, e sentirsi, più ricche. Gli stessi fondi pensione, molto
più diffusi che da noi, ne hanno beneficiato. Con il che, l'effetto domino positivo, si è trasferito dall'economia
di carta anche quella reale. In Europa, dove le famiglie sono meno abituate a gestire asset finanziari, il
meccanismo avrebbe prodotto minori effetti.
Quegli effetti che, perlomeno in una prima fase, si sono visti in Giappone. Nel Paese del Sol Levante, il 4
aprile 2013, la Banca centrale ha annunciato una politica espansiva da circa 1.400 miliardi di dollari. Una cifra
enorme che, rispetto all'azionario, ha provocato nel 2013 il rialzo del Nikkey 225 di circa il 56,7%. E il
Prodotto interno lordo? È cresciuto anche lui, ma dell'1,6%. Certo: un incremento importante, anche a fronte
della ripresa dell'inflazione. E, tuttavia, non determinante a dettare il «la» al listino. Ciò detto, può obiettarsi:
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Finanza ed Economia LA CORRELAZIONE FRA CRESCITA E MERCATI
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da inizio anno la Borsa ha ceduto oltre il 13%. «I mercati - spiega Claudio Barberis, responsabile asset
allocation di MoneyFarm -, scontata la mossa della BoJ, attendono ora le pre-annunciate riforme strutturali:
dalla maggiore flessibilità sul mercato del lavoro fino alle norme sull'immigrazione». Con il che, verrebbe da
dire, la variabile macro è tornata a dettare legge. Può essere! E, però, nel primo trimestre 2014 il Pil
nipponico è salito dell'1,5%. Insomma, seppure le Borse anticipano la congiuntura, il dato del Prodotto interno
lordo non pare così correlato al listino.
Fin qui alcune valutazioni sul passato. Quale però il futuro, soprattutto in Europa? Gli esperti sottolineano
che molto dipenderà dalle mosse di Mario Draghi. L'ipotesi di tassi negativi sui depositi presso la Bce o di
programmi d'acquisto di Abs potranno ridurre il peso del Pil quale market mover. E aiutare la
sovraperformance del Vecchio continente sul Wall Street che, fin qui, ha caratterizzato il 2014. Sempre che,
ovviamente, le urne europee non riservino brutte sorprese. Prima, però, domani a Piazza Affari dovrà farsi
attenzione allo stacco delle cedole: previsti oltre 7 miliardi in dividendi
© RIPRODUZIONE RISERVATA Dati in % Pil +1,7 -1,2 -5,5 +1,7 +0,4 -2,4 -1,9 -0,1 +3,3 +1,1 -5,1 +4,0 +3,3
+0,7 +0,4 +0,8 Pil +22,29 -40,37 +23,85 +16,06 -14,69 +29,06 +25,48 +0,81 Xetra Dax GERMANIA ITALIA
Ftse Mib -6,95 +19,47 -49,53 -13,23 -25,20 +7,84 +16,56 +8,86 +3,4 -0,8 -5,2 +1,7 +1,1 +0,3 +1,7 +0,8 Pil
+1,8 -0,3 -2,8 +2,5 +1,8 +2,8 +1,9 +0,19 Pil GRAN BRETAGNA USA Ftse 100 +3,80 -31,33 +22,07 +9,00 5,55 +5,84 +14,43 +1,58 S&P 500 +1,60 +29,60 +13,41 0,00 +12,78 +23,45 -38,49 +3,53 +2,2 -1,0 -5,5 +4,7
-0,5 +1,4 +1,6 +1,5 Pil GIAPPONE Nikkei 225
Foto: Nella tabella sottostante il Pil del 2013 dell'Italia è indicato in calo. L'indice Ftse Mib, invece, ha una
performance positiva. Il che potrebbe indurre a pensare l'esistenza di una decorrelazione tra le due
grandezze. In realtà la dinamica, trimestre su trimestre, del Pil è andata migliorando. Forte anche di questo
trend il Ftse Mib, che è ancora sconto, è cresciuto. In Europa altri indici mostrano la stessa dinamica.
Foto: - (*)Il dato sul Pil è sul primo trimestre, quello delle Borse è alla chiusura del 16/5/2014. Fonte: Eurostat
e Bloomberg
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Tasse sul risparmio, ecco chi paga di più
A Milano prelievo al top sui conti - Minimo a Crotone
A Milano la nuova tassazione peserà di più su conti correnti e depositi - 14,60 euro in media per contribuente
- che si riducono a meno di 5 euro a Crotone, ultima provincia nella classifica elaborata in collaborazione con
il Centro studi Sintesi.
A livello di portafoglio complessivo, invece, l'aumento dell'aliquota sulle rendite dal 20 al 26% si farà sentire
più forte in Piemonte ed Emilia Romagna. Sulla distribuzione del prelievo pesa anche la diversa distribuzione
territoriale degli investimenti tra azioni, fondi e obbligazioni, senza dimenticare i titoli di Stato che
manterranno l'aliquota al 12,5 per cento.
Dell'Oste e Parente u pagina 3 PAGINA A CURA DI
Cristiano Dell'Oste
Giovanni Parente
È a Milano che la nuova tassazione su depositi e conti correnti colpirà più forte: in media 14,60 euro all'anno
per contribuente. I correntisti di Crotone, invece, se la caveranno con meno di 5 euro in più. Nel mezzo della
classifica - elaborata in collaborazione con il Centro studi Sintesi - le altre province italiane, con una media di
10 euro.
Gli interessi su conti e depositi, però, sono solo una parte delle rendite finanziarie su cui dal 1° luglio scatterà
l'aumento del prelievo dal 20 al 26 per cento. La stretta decisa dal Governo Renzi, infatti, colpirà anche le
cedole delle obbligazioni, i dividendi delle azioni e i capital gain realizzati sulla vendita dei titoli. Mentre BoT e
BTp manterranno l'aliquota al 12,5 per cento.
Piemonte ed Emilia al top
Per capire dove si abbatterà il rincaro, è indispensabile ricostruire la distribuzione del portafoglio dei
risparmiatori italiani. Operazione al momento possibile solo a livello regionale. Considerando anche il prelievo
sulle obbligazioni, sui pronti contro termine e sugli altri investimenti a reddito fisso, si scopre che i piemontesi
sono quelli che pagheranno di più (34,30 euro in media all'anno), seguiti dagli emiliani (33,90 euro) e dai
lombardi (33,70). Proprio i contribuenti della Lombardia, però, sono i più ricchi in termini di attività finanziarie
secondo le segnalazioni di vigilanza della Banca d'Italia, con 41.570 euro pro capite. Come si spiega questa
differenza? Tutto dipende dal mix del portafoglio, che per i lombardi ha la più alta incidenza di azioni e fondi
d'investimento. Titoli soggetti alle fluttuazioni di Borsa e per i quali è difficile prevedere l'impatto medio della
tassazione. Un contribuente lombardo che a luglio deciderà di vendere un pacchetto azionario con un valore
di carico molto basso, pagherà il 26% su tutta la plusvalenza - e verserà ben più di 33,70 euro - a meno che
non possa far valere delle minusvalenze realizzate anche negli anni precedenti. Insomma, il calcolo va
necessariamente personalizzato.
I dati medi, però, sono utili a inquadrare la distribuzione di un aumento fiscale che - nel complesso - porterà
alle casse pubbliche poco più di tre miliardi di euro all'anno. E che è stato introdotto per avviare un riequilibrio
del prelievo tra lavoro e investimenti finanziari, oltre che per contribuire a coprire le minori entrate derivanti
dal taglio dell'Irap deciso con lo stesso decreto legge 66/2014.
A livello medio, le regioni più povere sono anche quelle in cui la maggior parte del denaro posseduto dalle
famiglie si ferma sui conti correnti, sui libretti postali e sui depositi a risparmio. Dall'Abruzzo alla Sardegna la
percentuale non scende mai sotto il 60% e in Molise sfiora l'80%: come dire che, ogni 100 euro, solo 20 sono
investiti in obbligazioni, azioni, fondi o titoli di Stato. Nelle regioni più ricche, invece, il rapporto tende a
rovesciarsi. Il fenomeno ha una sua logica, perché chi ha pochi soldi può "permettersi" di investirne di meno.
Ma non tutto si può spiegare con questa chiave di lettura: un elevato grado di liquidità potrebbe anche essere
la spia di una maggiore diffusione dell'evasione fiscale.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Dal 1° luglio l'aliquota aumenta dal 20 al 26%: l'impatto nelle province e nelle regioni
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'esenzione allo studio
Di certo, la composizione del portafoglio condizionerà anche l'eventuale introduzione di una fascia di
esenzione per i conti e i depositi fino a 25mila euro, proposta alla commissione Finanze del Senato. Di fatto,
neppure le province più ricche hanno depositi medi oltre questa soglia e, tra quelle povere, ci sono grandi
differenze derivanti anche dallo "stile di investimento": basti pensare agli oltre 17mila euro di depositi pro
capite a Isernia contro i 14mila di Teramo, in due regioni in cui il dato medio della ricchezza non è così
distante. L'esenzione, insomma, potrebbe abbattere in modo piuttosto rilevante - e neppure troppo uniforme
sul territorio - i 755 milioni di euro che la relazione tecnica stima come incasso dall'aumento del prelievo su
queste voci.
Oltretutto, le somme presenti su conti e depositi sono in costante aumento, anche per effetto della crisi, che
genera incertezza sulle forme di investimento e impone alle famiglie di avere una riserva di liquidità subito
disponibile: tra il 2011 e il 2013 l'incremento medio nazionale dei depositi è stato del 10 per cento.
L'effetto su BoT e BTp
Un'ultima variabile che condiziona l'impatto dell'aliquota al 26% è l'investimento in titoli di Stato, le cui cedole
eviteranno la stretta fiscale. Le regioni più ricche non hanno solo gli importi assoluti più alti, ma anche la
maggiore incidenza percentuale: in Piemonte, Lombardia e Liguria oltre il 13% del portafoglio è investito in
BoT e BTp. Mentre nelle aree più povere la percentuale si dimezza. Un po' a sorpresa, tra le regioni con la
minor presenza relativa di titoli di Stato ci sono anche il Veneto e il Trentino-Alto Adige, dove i contribuenti
tendono a preferire altre forme di investimento e - soprattutto - depositi e conti correnti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA La composizione della ricchezza finanziaria pro capite eil rincaro d'imposta
sulle attività con unrendimento prestabilito (conti correnti, depositi, pronti contro termine eobbligazioni). Dati in
euro 1 Lombardia 2 Piemonte 3 Emilia-Romagna 4 Liguria 5 Trentino A. A. 6 Valle d'Aosta 7 Veneto 8
Toscana 9 Friuli-V. G. 10 Marche 11 Lazio 12 Umbria 13 Abruzzo 14 Molise 15 Basilicata 16 Campania 17
Puglia 18 Calabria 19 Sicilia 20 Sardegna REGIONE TOTALE RINCARO 34,3 33,9 31,5 32,3 27,9 26,9 26,6
23,6 28,0 19,6 20,3 19,7 19,3 17,8 15,1 14,9 13,7 12,7 11,3 33,7 CONTI CORRENTI, DEPOSITI E PRONTI
CONTRO TERMINE OBBLIGAZIONI, AZIONI, FONDI E ALTRI OICR TITOLI DI STATO 41.570 40.229
39.892 39.421 33.896 33.345 31.256 29.998 29.335 28.342 27.119 23.075 20.624 18.932 18.445 17.150
16.560 14.272 14.122 13.764 5.376 3.144 2.439 3.055 2.495 2.397 2.847 2.409 1.373 715 1.139 1.440 1.477
1.112 906 3.087 772 2.607 5.434 5.470 5.064 16.882 15.959 16.373 15.931 16.732 17.420 14.522 14.124
14.312 15.961 16.193 12.814 14.248 14.923 13.830 11.459 10.691 10.508 9.149 9.687 14.089 19.254
18.114 14.557 12.781 14.295 12.819 12.528 9.984 8.079 7.852 5.003 3.294 3.476 4.251 4.392 2.992 3.861
3.171 11.372 18.455 18.800 Italia 28.548 24,2 Il prelievo nelle regioni... Nota: il rincaro d'imposta è calcolato
sui rendimenti medi per asset class e non include il prelievo sui dividendi e i capital gain di azioni e Oicr, né
quello sui titoli diStato Fonte:elaborazione del Sole 24 Ore su dati Banca d'Italia e Abi depositi bancari e
postalimediper provincia aggiornati al 31 dicembre2013, con il rincaroannuo derivante dall'aumento
dal20al26%della tassazione sui rendimenti. Dati in euro ... e nelle province Pos. Provincia Pos. Provincia
Depositi pro capite Depositi pro capite Rincaro annuo Rincaro annuo 1 Milano 20.512 14,6 2 Piacenza
19.488 13,9 3 Parma 19.118 13,7 4 Bolzano 19.081 13,6 5 Rimini 18.252 13,0 6 Roma 17.630 12,6 7 Isernia
17.603 12,6 8 Sondrio 17.498 12,5 9 Aosta 17.275 12,3 10 Bologna 17.133 12,2 11 Cuneo 17.133 12,2 12
Avellino 17.096 12,2 13 Belluno 17.058 12,2 14 Como 17.048 12,2 15 Genova 17.043 12,2 16 Vercelli 17.039
12,2 17 Macerata 17.009 12,1 18 Ancona 16.997 12,1 19 Modena 16.849 12,0 20 Pesaro e Urbino 16.650
11,9 21 L'Aquila 16.275 11,6 22 Alessandria 16.268 11,6 23 Monzae Brianza 16.239 11,6 24 Savona 16.171
11,5 25 Novara 16.146 11,5 26 Forlì-Cesena 16.085 11,5 27 Torino 16.051 11,5 28 Ferrara 15.925 11,4 29
Siena 15.810 11,3 30 Ascoli Piceno 15.787 11,3 31 Lecco 15.756 11,3 32 La Spezia 15.694 11,2 33 Firenze
15.684 11,2 34 Trento 15.493 11,1 35 Varese 15.489 11,1 36 Padova 15.351 11,0 37 Pavia 15.219 10,9 38
Potenza 15.158 10,8 39 Udine 15.069 10,8 40 Mantova 14.931 10,7 41 Rovigo 14.866 10,6 42 Asti 14.839
10,6 43 Verona 14.822 10,6 44 Reggio Emilia 14.812 10,6 45 Trieste 14.753 10,5 46 Treviso 14.749 10,5 47
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Il Sole 24 Ore
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Chieti 14.686 10,5 48 Brescia 14.615 10,4 49 Lucca 14.520 10,4 50 Bergamo 14.484 10,3 51 Campobasso
14.343 10,2 52 Vicenza 14.285 10,2 53 Arezzo 14.131 10,1 54 Pistoia 13.986 10,0 55 Pisa 13.733 9,8 56
Venezia 13.627 9,7 57 Pescara 13.597 9,7 58 Imperia 13.536 9,7 59 Biella 13.513 9,6 60 Pordenone 13.501
9,6 61 Frosinone 13.425 9,6 62 Benevento 13.336 9,5 63 MassaCarrara 13.323 9,5 64 Fermo 13.294 9,5 65
Teramo 13.287 9,5 66 Terni 13.262 9,5 67 Cremona 13.241 9,5 68 Gorizia 12.968 9,3 69 Catanzaro 12.968
9,3 70 Perugia 12.960 9,3 71 Nuoro 12.950 9,2 72 Lodi 12.938 9,2 73 Ravenna 12.682 9,1 74 Prato 12.633
9,0 75 Grosseto 12.543 9,0 76 Verbano-Cusio-Ossola 12.402 8,9 77 Salerno 12.385 8,8 78 Rieti 12.337 8,8
79 Bari 12.170 8,7 80 Viterbo 12.069 8,6 81 Matera 12.016 8,6 82 Livorno 11.899 8,5 83 Latina 11.556 8,3 84
Foggia 11.356 8,1 85 Messina 11.157 8,0 86 Cosenza 10.879 7,8 87 Caserta 10.816 7,7 88 Napoli 10.578
7,6 89 Lecce 10.540 7,5 90 Reggio Calabria 10.476 7,5 91 Cagliari 10.400 7,4 92 Taranto 10.112 7,2 93
Sassari 9.950 7,1 94 Caltanissetta 9.736 7,0 95 Agrigento 9.734 6,9 96 Enna 9.560 6,8 97 Brindisi 9.235 6,6
98 Oristano 9.192 6,6 99 Palermo 9.151 6,5 100 Catania 8.839 6,3 101 Ogliastra 8.708 6,2 102 Vibo Valentia
8.652 6,2 103 Ragusa 8.466 6,0 104 Barletta-Andria-Trani 8.439 6,0 105 MedioCampidano 8.297 5,9 106
Siracusa 7.959 5,7 107 Trapani 7.760 5,5 108 Olbia-Tempio 7.446 5,3 109 Carbonia Iglesias 7.083 5,1 110
Crotone 6.913 4,9 ITALIA 14.192 10,1 Nota: il rendimento è calcolato ipotizzando un tasso lordo dell'1,19%
Fonte:elaborazione Sole 24 Ore e Centro studi Sintesi su dati Banca d'Italia, Abi e Istat
Foto: I depositi bancari e postali medi per provincia aggiornati al 31 dicembre 2013, con il rincaro annuo
derivante dall'aumento dal 20 al 26% della tassazione sui rendimenti. Dati in euro La composizione della
ricchezza finanziaria pro capite e il rincaro d'imposta sulle attività con un rendimento prestabilito (conti
correnti, depositi, pronti contro termine e obbligazioni). Dati in euro - Nota: il rendimento è calcolato
ipotizzando un tasso lordo dell'1,19%Fonte: elaborazione Sole 24 Ore e Centro studi Sintesi su dati Banca
d'Italia, Abi e Istat - Nota: il rincaro d'imposta è calcolato sui rendimenti medi per asset class e non include il
prelievo sui dividendi e i capital gain di azioni e Oicr, né quello sui titoli di StatoFonte: elaborazione del Sole
24 Ore su dati Banca d'Italia e Abi
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Il Sole 24 Ore
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Tasi e Imu, pasticcio senza vincitori
Salvatore Padula
Non basterà certo una proroga - che peraltro i sindaci non vogliono e che il governo non pare intenzionato a
concedere di sua iniziativa - a risolvere il pasticcio legato al debutto dell'inedita coppia di tasse sugli immobili,
la nuova Tasi e la vecchia Imu.
Due tasse diverse nel nome, ma non nella sostanza, né per l'impatto (pesante) che avranno sulle tasche dei
proprietari. Con la Tasi - tassa sui servizi indivisibili dei Comuni, calcolata come la vecchia Imu - che colpirà
la prima casa (che non paga l'Imu); e che per tutti gli altri immobili si aggiungerà all'Imu, almeno in quei
Comuni che decideranno di utilizzare l'ulteriore margine di aumento (fino allo 0,8 per mille) oltre il tetto
massimo dell'Imu stessa e in quelli che nel 2013 non avevano raggiunto il limite del 10,6 per mille.
Un pasticcio prevedibile (e previsto) ma che, ugualmente, oltrepassa il limite del plausibile. Un pasticcio che,
al tempo stesso, la dice lunga sull'idea che una parte della pubblica amministrazione continua ad avere del
principio del rispetto e della tutela dei diritti dei cittadini. Che, in questo caso, è il diritto di essere informati sui
propri obblighi fiscali. O, se vogliamo, il diritto di essere messi nelle condizioni di compiere il proprio dovere di
contribuente, ovvero, di pagare le tasse senza inutili acrobazie, senza doversi affidare all'aiuto di un
consulente e di poterlo fare conoscendo per tempo le aliquote, le detrazioni, le scadenze da rispettare, le
modalità e le regole per i versamenti.
A quattro settimane da lunedì 16 giugno, primo termine per i pagamenti, il quadro resta piuttosto fosco (è un
eufemismo: la realtà è che il caos regna sovrano). Intanto, oggi inizia una settimana cruciale: entro venerdì
23, i Comuni dovrebbero approvare le delibere con le aliquote Tasi (molti non lo faranno per l'imminenza delle
elezioni). Le delibere, però, per avere validità già sul pagamento del 16 giugno, dovranno essere pubblicate
entro sabato 31 maggio nell'«apposita sezione del Portale del federalismo fiscale».
Salvatore Padula
Chi si avventurerà "nel Portale" e avrà la fortuna di trovare la pagina su Tasi e Imu, dovrà controllare se il
Comune ha approvato (pardon, pubblicato) le delibere con aliquote, detrazioni ed esclusioni: attualmente
sono meno di un migliaio.
Se le delibere esistono, se ne dovranno applicare le regole: servirà pazienza e sangue freddo, visto che in
tema di fiscalità la fantasia degli amministratori locali sembra davvero non avere confini. In caso contrario, la
Tasi sulla prima abitazione non si dovrà versare e si pagherà l'intero importo entro il 16 dicembre, quando il
Comune avrà fatto le proprie scelte; sugli altri immobili, si pagherà in misura pari alla metà dell'aliquota
standard dell'1 per mille (quindi, lo 0,5 per mille) e per il saldo di dicembre si vedrà. Sull'Imu è tutto più
semplice (!): basterà applicare le aliquote dell'anno precedente.
Comunque, per quanto possa apparire incredibile, il quadro rischia addirittura di peggiorare. I Comuni, quelli
che hanno già approvato-pubblicato la delibera, potranno modificarla fino al termine per l'approvazione del
bilancio preventivo (attualmente il 31 luglio); potranno aumentare e/o ridurre aliquote, prevedere o sopprimere
esclusioni; cambiare le detrazioni. Naturalmente, anche per l'Imu.
Così, pare scontato che il copione di queste settimane si riproporrà per il saldo di dicembre. Un copione fatto
di centinaia di migliaia di aliquote, di eccezioni, di esclusioni, di detrazioni legate al reddito piuttosto che al
valore dell'immobile o al mix delle due variabili.
Nei giorni scorsi, nel pieno del confronto sulla necessità o meno di un rinvio della scadenza del 16 giugno
per versare la prima rata della tassa sui servizi indivisibili dei municipi, Piero Fassino, presidente
dell'associazione dei Comuni, ha sottolineato come non sia serio «neanche per i cittadini, continuare a
cambiare i termini del pagamento della Tasi» e che «i Comuni hanno bisogno di certezze».
Tutti d'accordo. Le proroghe sono sempre la prova di un'inefficienza e talvolta aumentano persino la
confusione. A patto però che le cose siano gestite in modo serio e corretto, come non è stato fatto con la Tasi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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SCADENZE INSIDIOSE
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
e l'Imu. Se è innegabile che i Comuni abbiano bisogno di certezze (ancora oggi i sindaci non conoscono con
precisione l'entità dei fondi in arrivo dallo Stato) è pure innegabile che identiche certezze vadano garantite ai
cittadini. E che è altrettanto «poco serio», per usare le parole di Fassino, pretendere che i proprietari di
immobili si debbano orientare in quel ginepraio che sono diventate, o si apprestano a diventare, Tasi e Imu.
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Il Sole 24 Ore
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A rianimare il Pil non bastano le spintarelle
Fabrizio Galimberti
La discesa della produzione industriale a marzo e il segno "meno" davanti alla variazione del Prodotto interno
lordo italiano del primo trimestre sono segni di una ricaduta? E le macchie di leopardo che imbrattano il
quadro congiunturale delle altre economie europee indicano il rischio di uno scolorimento della ripresa che
sembrava affacciarsi nel Vecchio continente?
Fabrizio Galimberti
Il dilemma fondamentale che sta dietro a queste domande, e alle possibili risposte, è questo: bisogna
aspettare che le forze autonome del ciclo portino l'economia continentale fuori dalle secche, o c'è assoluta
necessità di una spinta delle politiche economiche, sia essa dai bilanci pubblici o dalla moneta? Sarebbe
facile per un commentatore auspicare cose che non succederanno: per esempio, mettere nella lista dei
desiderata una Banca centrale europea che abbia nei suoi obiettivi non solo la stabilità della moneta, ma
anche (come nel caso della Fed) la massima occupazione; oppure puntare su una politica di finanza pubblica
espansionistica e incurante degli obiettivi del Fiscal compact. «Supponiamo di avere un apriscatole...»
rispose un giorno Tommaso Padoa Schioppa a chi suggeriva grandiosi programmi di privatizzazioni; il
riferimento, un po' criptico per i non addetti ai lavori, era a una famosa storiella che descrive la discrasia fra
desideri e realtà: un fisico, un chimico e un economista sono naufragati su un'isola, e non hanno da
mangiare. Le onde portano sulla riva della carne in scatola. Come aprirla? Usiamo un sasso, dice il fisico;
prima facciamo un fuoco e scaldiamo la scatoletta, dice il chimico; supponiamo di avere un apriscatole..., dice
l'economista.
Ma l'apriscatole non c'è. I rapporti di forza in Europa sono tali (e non è solo questione di "forza" ma di
mentalità e di cultura) da rendere oziosi gli auspici di forti politiche espansionistiche. Possiamo solo affidarci a
qualche sofferta misura della Bce: a giugno potrebbe arrivare qualche manciata di punti base in meno per i
tassi-guida e qualche cauto (con juicio) programma di acquisto di titoli per espandere la moneta. Per i bilanci
pubblici, possiamo lavorare al margine per spalmare nel tempo gli aggiustamenti di deficit richiesti dal Fiscal
compact (e, non dimentichiamolo, dalla stessa Costituzione italiana) o cercare qualche alleanza con Francia
e Spagna per rendere meno arcigna la sorveglianza di Bruxelles, eterodiretta dalla governante teutonica. Ma
sarebbe avventato pensare che l'economia italiana possa uscire dalla prostrazione per effetto di qualche
spintarella fiscal-monetaria.
Il che ci riporta al dilemma iniziale. Bisogna quindi affidarsi alle forze autonome del ciclo interno e
internazionale? Che queste forze ci siano e spingano nella giusta direzione è evidente dagli andamenti degli
indici di fiducia. Da molti mesi sia le indagini presso le imprese che presso le famiglie segnalano un
miglioramento del clima e delle aspettative. Perché questi segnali di fiducia non si sono ancora tradotti nei
dati dell'economia reale?
Sarebbe confortante dire che i dati "reali" non riflettono la realtà e in verità le cose vanno meglio di quanto
sembrano. Un conforto che potrebbe anche venire dall'aneddotica delle imprese - notizie, interviste, giudizi di
quanti sono a contatto con il tessuto produttivo - che riflette negli ultimi mesi un clima meno pesante.
L'aneddotica non è statisticamente rappresentativa quanto l'indice di produzione industriale, ma è pur sempre
un dato "reale". E si potrebbe anche aggiungere che ci sono alcune ragioni tecniche che fanno pensare come
in momenti di forte cambiamento strutturale gli indici "fisici" non riescano a cogliere appieno gli andamenti: la
spigolosa stenografia dei dati si rivela insufficiente a descrivere i profili di un mondo che cambia. Altri dati
reali, come quelli del mercato del lavoro, segnalano, sia per i disoccupati che per gli occupati, una
stabilizzazione e non ulteriori regressi.
Sarebbe confortante, si è detto. Ma non possiamo affidarci solo a questi conforti. I segnali di cambiamento
strutturale ci sono - l'Italia, per esempio, ha guadagnato molti posti nelle classifiche del "Global Innovation
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L'ECONOMIA ITALIANA E L'EUROPA
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Index" -, ma abbiamo bisogno di stabilità e continuità nel processo di riforma. Anche facendo lo sconto ai
pruriti elettorali, detti, ripicche e polemiche del Palazzo sono sconsolanti e sembrano mille miglia lontani dai
problemi veri del Paese.
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19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Quattro vie per il debutto del bonus Irpef
Valentina Melis
In questi giorni con le buste paga di maggio debutta lo sconto Irpef da 80 euro per dipendenti, collaboratori,
disoccupati con indennità, lavoratori in cassa integrazione o mobilità. Oltre al pagamento automatico da datori
o Inps, sarà possibile anche il recupero nel 730. Melis e Rota Porta u pagina 2
È destinata ad allargarsi almeno di un milione di persone la platea dei beneficiari del bonus Irpef - al debutto
nelle buste paga di questo mese (gli statali lo vedranno già da venerdì 23 maggio) - per i lavoratori con un
reddito fino a 26mila euro. Il riconoscimento dello sconto fiscale ai percettori di cassa integrazione guadagni,
indennità di mobilità e indennità di disoccupazione, appena chiarito dall'agenzia delle Entrate con la circolare
9/E, fa crescere di circa il 10% il numero dei contribuenti che otterranno il bonus, finora quantificato in 10
milioni di lavoratori.
Come si arriva al milione in più? La stima è effettuata in base ai dati dell'Osservatorio cassa integrazione e
occupazione della Cisl e del rapporto annuale Inps 2012.
e Il numero di ore di cassa integrazione autorizzate, per ciascuno degli ultimi 3-4 anni, è stabilmente intorno
al miliardo. Dividendo questa cifra per le ore lavorabili da una persona nell'anno, e tenendo conto del fatto
che solo il 48% delle ore di Cig autorizzate sono poi effettivamente usate, si può arrivare a calcolare che i
soggetti effettivamente in cassa integrazione siano circa 250mila.
r Il valore medio dei beneficiari di indennità di disoccupazione con requisiti ordinari nel 2012 è stato invece di
589.462 (tra l'altro in aumento del 22% rispetto al 2011).
t Infine, il valore medio dei beneficiari di indennità di mobilità è stato nel 2012 di 177.204 (in aumento
costante dal 2010).
Le prestazioni a sostegno del reddito come gli ammortizzatori sociali - ha spiegato l'agenzia delle Entrate sono proventi che sostituiscono redditi di lavoro dipendente e quindi rientrano nella stessa categoria. Per i
lavoratori che percepiscono queste indennità, il bonus Irpef sarà erogato direttamente dall'Inps, senza
necessità di una domanda ad hoc. Se, però, il lavoratore dovesse rendersi conto di non avere i requisiti per
accedere allo sconto fiscale (che vale 640 euro per i redditi da 8mila a 24mila euro e un importo decrescente
per i redditi da 24mila a 26mila euro), dovrà comunicarlo all'Istituto di previdenza, che lo recupererà nei mesi
successivi.
Anche in altri casi il lavoratore dovrà attivarsi in prima persona per comunicare al sostituto d'imposta che non
ha diritto al bonus, attribuito in via automatica a dipendenti e collaboratori: ad esempio se si rende conto che
supererà, nell'anno, il tetto di 26mila euro di guadagno con redditi diversi da quelli erogati dal sostituto (come
nel caso di chi ha affittato casa e ha scelto la cedolare secca).
In ogni caso, i nodi verranno al pettine l'anno prossimo, al momento della dichiarazione dei redditi: il bonus
incassato ma non dovuto, dovrà essere restituito quando emergerà sia il reddito totale, sia l'ammontare del
beneficio erogato dal sostituto.
La circolare 9/E ha chiarito anche una serie di casi particolari, come quello del lavoratore che cambia
azienda (e deve presentare al nuovo datore il Cud rilasciato dal precedente), o quello del lavoratore che ha
più contratti in corso, come il collaboratore che lavora per due committenti. In quest'ultimo caso, se il reddito
totale resta sotto la soglia di 26mila euro, il lavoratore dovrà chiedere a uno dei sostituti di non riconoscergli il
credito, e avrà lo sconto fiscale soltanto da uno dei due.
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1Con la busta paga di maggio i sostituti d'imposta riconoscono il bonus ai lavoratori DIPENDENTI, SOCI
DELLE COOP, COLLABORATORI 2Possono chiedere il bonus solo con la dichiarazione dei redditi
presentata nel 2015 COLF, BADANTI E LAVORATORI SENZA DATORE 3Il bonus viene erogato
direttamente dall'Inps, in base ai dati disponibili LAVORATORI DISOCCUPATI IN MOBILITÀ O CIG
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Il taglio del cuneo
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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4Ricevono dal sostituto d'imposta sia il premio, sia il bonus Irpef. Il premio non rientra nel reddito
LAVORATORI CHE RICEVONO PREMI DI PRODUTTIVITÀ LA PAROLA CHIAVE Credito d'imposta Il bonus
Irpef introdotto dal Dl 66/2014 (ora all'esame del Parlamento per la conversione in legge) è un credito
d'imposta, ovvero uno sconto sull'Irpef che ciascun lavoratore deve versare, riconosciuto automaticamente
dai sostituti ai lavoratori con un reddito da 8mila a 26mila euro, a partire dal mese di maggio. L'importo del
bonus è di 640 euro per chi ha un reddito fino a 24mila euro, e decresce (all'aumentare del reddito) per chi
guadagna da 24mila a 26mila euro. Per avere il beneficio, i contribuenti devono avere un'Irpef da versare che
supera l'importo della detrazione per lavoro dipendente.
1 milione
La nuova platea
È la stima dei percettori di Cig, mobilità e disoccupazione
L'accesso allo sconto fiscale
DIPENDENTI E COLLABORATORI
Lavoratori dipendenti del settore privato e della Pa (compresi il personale della scuola titolare di supplenze
brevi e i volontari dei vigili del fuoco, se ne hanno diritto). Rientrano fra i beneficiari i lavoratori non residenti
fiscalmente in Italia, i lavoratori soci delle cooperative, i titolari di borse di studio, i collaboratori, i sacerdoti, i
titolari di pensioni complementari, gli Lsu Con la busta paga di maggio, i sostituti d'imposta devono erogare il
bonus ai lavoratori, senza necessità di una richiesta. Devono verificare, per ciascun lavoratore, che l'Irpef da
versare superi le detrazioni per lavoro, calcolare il beneficio spettante in base al reddito totale, e definire
l'importo da attribuire ogni mese. Il credito totale di 640 euro (o minore) deve essere rapportato ai giorni
lavorati Le diverse modalità di versamento del bonus Irpef LA PLATEA COME SI OTTIENE IL BONUS
COLF E LAVORATORI SENZA SOSTITUTO
Rientrano in questa categoria i lavoratori senza sostituto d'imposta (come, ad esempio, le collaboratrici
familiari e le badanti, i cui datori di lavoro non sono sostituti) o quelli che hanno diritto al bonus fiscale per un
rapporto di lavoro che sia terminato prima del mese di maggio e ora non hanno più un sostituto d'imposta a
cui far riferimento Questi lavoratori possono richiedere il bonus tramite la dichiarazione dei redditi relativa al
2014, quindi l'anno prossimo, con le indicazioni che saranno specificate nei modelli delle dichiarazioni stesse.
Il credito d'imposta potrà essere utilizzato in compensazione, rispetto agli importi da versare, oppure essere
chiesto sotto forma di rimborso
DISOCCUPATI E PERCETTORI DI CIG
Come ha chiarito la circolare 9/E diffusa dall'agenzia delle Entrate la scorsa settimana, rientrano tra i
beneficiari del bonus Irpef i beneficiari di prestazioni a spstegno del reddito: percettori di cassa integrazione
guadagni, di indennità di mobilità e di indennità di disoccupazione (il bonus spetta per i giorni che danno
diritto alle indennità) Il bonus sarà erogato direttamente dall'Inps, in base ai dati che l'Istituto possiede sui
redditi del lavoratore/contribuente. Non serve, neanche in questo caso, una richiesta del lavoratore. Il
percettore di ammortizzatori che non ha i requisiti per ricevere il bonus deve comunicarlo all'Istituto, che potrà
recuperarlo nei periodi successivi
TITOLARI DI PREMI DI PRODUTTIVITÀ
Sono i lavoratori che nel periodo 1° gennaio-31 dicembre 2014 percepiscono retribuzioni incentivanti mirate
all'aumento della produttività (tassate in maniera agevolata, con un'imposta sostitutiva del 10%), entro il limite
massimo di 3mila euro di "premio", e che hanno avuto nel 2013 un reddito da lavoro dipendente fino a 40mila
euro Ricevono dal sostituto d'imposta sia il premio di produttività, sia il bonus Irpef. Il premio non rientra nel
calcolo del reddito, per il raggiungimento della soglia di 26mila euro (limite massimo per ottenere il bonus
fiscale), ma deve invece essere sommato ai redditi tassati in via ordinaria per verificare la "capienza" dell'Irpef
lorda ai fini delle detrazioni da lavoro
CAMBIO DI LAVORO
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
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Se l'interessato consegna il Cud al nuovo datore di lavoro (dovrebbe ottenerlo dal precedente datore entro 12
giorni dalla richiesta), quest'ultimo dovrà tenere conto dei dati esposti, calcolare la spettanza del bonus e
l'importo. Dal credito dovrà essere detratto quanto eventualmente riconosciuto dal precedente sostituto I
CASI PARTICOLARI
PIÙ CONTRATTI Se la somma dei redditi percepiti da più rapporti (ad esempio nel caso di una
collaborazione con due committenti) supera 26mila euro, il lavoratore deve comunicarlo ai sostituti e non avrà
il bonus. Se il reddito totale è sotto 26mila euro, chiederà a uno dei sostituti di non riconoscergli il credito, e
avrà il bonus da un solo sostituto
BONUS NON DOVUTO Chi incassa un bonus non dovuto (ad esempio perché supera 26mila euro di
guadagno, con redditi diversi da quelli erogati dal sostituto) deve comunicarlo al sostituto, che potrà
recuperarlo dalle paghe dei mesi successivi o entro il conguaglio di fine anno. Il bonus non spettante andrà
comunque restituito con la dichiarazione
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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Economia e sport due beni preziosi senza vere difese
Lionello Mancini
Gli arresti che hanno coinvolto l'Expo hanno scalzato dai titoli di testa la vicenda di Genny 'a carogna, con la
pantomima mediatico-istituzionale che l'ha accompagnata. Eppure le dinamiche all'origine di questi due
clamorosi eventi sono analoghe.
Quel sabato 3 maggio, bande organizzate hanno imperversato a Roma armate di spranghe, bombe carta,
coltelli, pistole; ne è seguito l'immediato scaricabarile tra autorità e società sportive che hanno stigmatizzato i
violenti, senza tuttavia aver mai rinunciato a intrattenere con i loro capi e gregari rapporti di convenienza e
tolleranza. Non una denuncia, nessuna vera presa di distanza, anzi...
Nei fatti le società sportive non disdegnano la compagnia di questi banditi, li riforniscono di biglietti, pagano i
loro striscioni e le coreografie da spalto. L'aria sorpresa e indignata è d'obbligo quando i delinquenti
diventano gladiatori feroci contro le forze dell'ordine, devastano treni, infrangono vetrine. Tutto il resto, purché
non si veda, è almeno tollerato. Quando la giustizia sportiva punisce un team o un impianto, i lai sono alti, i
ricorsi certi, l'assunzione di responsabilità assente. Il bene comune da preservare sarebbe lo sport, ma la sua
difesa viene ipocritamente delegata ai reparti della celere, al loro impegno stressante e dispendioso per ogni
cittadino che non evada le tasse. Mentre Federazioni, dirigenti e calciatori chinano il capo timorosi: «Anche
con noi diventano violenti». La Digos arresta, fotografa, infligge Daspo; i reparti reggono violentissimi corpo a
corpo con le bande e il tema mediatico diventa in un lampo la repressione insufficiente (oppure troppo
ruvida); le Procure sono così costrette a perdere tempo su nuove "trattative", mentre sull'onda di paura e
sdegno, i ministri annunciano vacui Daspo sempiterni, altre forze in divisa, schedature di massa. Tutta scena,
ormai lo sappiamo. «Noi non siamo poliziotti» dicono i club, a significare che i delinquenti vanno trattati da
delinquenti, ma - attenzione - solo da Polizia e giudici, mentre continuano sottobanco blandizie, selfie, favori e
prebende, scansando i doverosi investimenti in sicurezza. L'opposizione politica punta (ovviamente) il dito sul
Governo, specie con elezioni alle viste, e non mancheranno annunci di norme che non vedranno la luce
oppure, se la vedranno, renderanno più complicati i processi.
Se, ora, al "bene calcio" sostituiamo il "bene economia" e alle orde tatuate i mafiosi e i colletti bianchi, il
parallelo diventa cogente, perché le radici culturali della defaillance sono le stesse. Paesi come la Gran
Bretagna, che con fermezza e largo assenso hanno asfaltato gli hooligans ripartendo responsabilità e costi
sui soggetti interessati (società calcistiche in primis), dimostrano che l'obiettivo è alla portata. Come lo è stato
unificare due Germanie e disinquinare città irrespirabili. Ma così funzionano solo gli Stati governati senza
opache stanze di compensazione, dove i politici che falliscono si dimettono, gli evasori fiscali vanno in galera,
concorsi e appalti vanno solo ai migliori. Sono Stati formati da cittadini indirizzati da norme chiare e
dall'esempio di chi li governa. L'Italia, con ogni evidenza, non è ancora uno di questi Stati, ma può e deve
diventarlo.
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POST-IT
Il coraggio di Domenico Noviello
16 MAGGIO 2008
Nel 2001 Domenico Noviello aveva denunciato un tentativo di estorsione da parte del clan Bidognetti, che
spadroneggiava a Castel Volturno (Caserta). Titolare di un'autoscuola, aveva fatto nomi e cognomi degli
estorsori, facendoli arrestare e condannare. Noviello viene assassinato in un agguato mafioso. Il Quirinale gli
conferirà la medaglia d'oro al valor civile.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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IMPRESE & LEGALITÀ
17/05/2014
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FEDERICO FUBINI LUISA GRION
SPENDIAMO troppo lentamente e pure male. L'Italia, da sempre, ha difficoltà nell'investire i Fondi strutturali
che l'Europa destina alle regioni più povere dell'Unione. Ma anche quando i progetti superano l'esame della
Commissione Ue, i fondi arrivano e i piani decollano,i risultati ottenuti sono più scarsi che altrove.
< PAGINA L'OCCASIONE di crescita si dissolve nei mille rivoli della burocrazia, nella sconfinata
frammentazione dei progetti finanziati e nella mancanza di un quadro comune che li contenga. E' così che il
Sud, da anni, perde le poche occasioni concesse per recuperare il gap che lo separa dal resto del Paese e
dall'Europa. Lo spreco di risorse si può dedurre da un'analisi di Riccardo Padovani contenuta nell'ultimo
rapporto Svimez, che mette a confronto (nel periodo 20072010) l'andamento del Pil misurato in pari potere
d'acquisto nelle distinte regioni dell'Europa a 15. In media, fra il 2007 e il 2010, le aree della convergenza (le
più povere dei vari paesi) hanno subito una caduta della ricchezza del 3,5 per cento contro il meno 1,7 delle
aree più sviluppate. Ma l'Italia è andata decisamente peggio sia riguardo alla media, che rispetto a Grecia e
Spagna, poli della crisi. Nel periodo considerato, infatti, l'area della convergenza (Campania, Calabria, Puglia,
Sicilia), quanto a Pil in pari potere d'acquisto, ha subito un crollo del 4,6 per cento, contro il meno 4 della
corrispondente area greca e il meno 3,8 della Spagna. I risultati hanno penalizzato, in genere, i paesi con
maggior scompenso territoriale e la responsabilità del fallimento non può essere completamente attribuita
all'uso fatto dei Fondi strutturali europei e della corrispondente dotazione che il bilancio dello Stato deve
mettere sul piatto, precisa la Svimez, ma certo i risultati parlano chiaro, l'occasione è andata persa e il
problema va affrontato. Anche perché, secondo i calcoli del premier Renzi, sommando le «vecchie» risorse
ancora da spendere, quelle previste per la programmazione 2014-2020, e i 55 miliardi del Fondo per lo
sviluppo e la coesione, nei prossimi sei anni ci saranno complessivamente 180 miliardi da impegnare:
«l'ultima chance per la svolta» ha detto. In realtà, secondo i dati del ministero della Coesione territoriale i
miliardi a disposizione risultano essere 106 (84 per i prossimi anni più i 22 da spendere entro il 2015). E va
anche precisato che la quota propriamente europea di quei fondi non va oltre i 42 miliardi: il resto proviene
interamente dal bilancio dello Stato. La mancata crescita e l'aumento del debito pubblico potrebbero quindi
mettere a rischio i futuri investimenti. «Fino ad oggi le speranze di crescita sono naufragate nella burocrazia e
lentezza che accomuna i nostri progetti e nella eccessiva frammentazione dei piani presentati dalle regioni»
commenta Adriano Giannola, presidente della Svimez.
«Il rientro degli investimentiè basso perché le risorse sono destinata e opere piccole: un rifacimento di una
piazza là, un restauro qua, interventi spesso di bassa qualità. Si distribuisce un po' di lavoro, si coltivano le
clientele, ma nel complesso non c'è un progetto unitario che favorisca la crescita».
Del fatto che la frammentazione fosse il nocciolo del problema se ne erano già accorti Fabrizio Barca e Carlo
Trigilia, ministri della Coesione economica nei governi Monti e Letta. Trigilia aveva avviato un processo di
razionalizzazione della spesa, concentrazione degli obiettivi e controllo dei risultati, ma le buone pratiche
rischiano ora di essere superate dai tempi stretti. «Gli interventi devono essere concentrati in pochi obiettivi
qualificati e selezionati sulla base di una strategia volta ad affrontare i problemi di coesione territoriale»
scriveva nel suo ultimo rapporto sull'attività svolta. Appena arrivato al ministero si era trovato sul tavolo oltre
400 azioni che chiedevano di essere ammessi ai finanziamenti e li aveva drasticamente ridotti ad una
quarantina, finalizzandoli soprattutto all'occupazione e al rilancio delle imprese. Ma il nuovo governo (che non
ha nominato un ministro ad hoc, ma ha assegnato la delega al sottosegretario della presidenza del Consiglio
Graziano Delrio) dovendo accelerare i tempi della spesa e consegnare a Bruxelles l'Accordo di partenariato (il
documento guida della nuova programmazione) entro il 22 aprile, ha riaperto le porte alle richieste delle
regioni e ha fatto lievitare i progetti da finanziare a quota 330.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'Italia rischia di perdere 42 miliardi di fondi europei
17/05/2014
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Il rischio frammentazione è tornato. I dati dell'ex ministro Barca sottolineano poi che fra il 2007 e il 2013 in
diverse province del Sud la spesa procapite finanziata dai Fondi ha superato i 4 mila euro: visti i mancati
effetti sull'occupazione, un'occasione sprecata.I PUNTI LE AREE RICCHE Tra il 2007 e il 2010, le aree più
sviluppate della Europa a 15 hanno subìto un calo della ricchezza prodotta pari all'1,7% di media LE AREE
POVERE La crisi ha colpito più duramente le aree depresse e deboli. Qui la flessione media del Pil ha
toccato quota 3,5 per cento
IL SUD ITALIA Ma l'amaro primato della riduzione più forte spetta a zone come Campania, Calabria, Puglia e
Sicilia (meno 4,6%)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Evoluzione del Pil nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno, anni
2005-2012 (valori concatenati, anno di riferimento 2005; numero indice 2005=100) FONTE ELABORAZIONE
DPS SU DATI ISTAT 106 104 102 100 98 96 94 92 Mezzogiorno Centro NordAllocazione delle risorse sugli
Obiettivi tematici confronto tra il ciclo 2014-2020 e il 2007-2013; percentuale sui Fondi strutturali europei
(Fondo Europeo Sviluppo Regionale + Fondo Sociale Europeo)
0 10 20 30 Fondi 2014-2020 Fondi 2007-2013 Interventi a sostegno dell'innovazione e competitività delle
imprese Ambiente, prevenzione dei rischi e beni culturali Infrastrutture e sistemi di trasporto Promuovere
l'occupazione sostenibile e di qualità Promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni
discriminazione Investire nell'istruzione, formazione professionale Altro
PER SAPERNE DI PIÙ lnx.svimez.info/it europa.eu/about-eu
Foto: SOLDI SPESI MALE L'Italia spende poco e male i Fondi europei destinati alle Regioni Ue più povere (in
foto Pompei)
17/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Ubi finisce anche nel mirino Consob Sotto la lente i poteri interni alla
banca
La Commissione si è attivata a luglio dopo un esposto dei soci di minoranza Guzzetti su Bazoli: "Sempre
corretto"
VITTORIA PULEDDA
MILANO. «Conosco Giovanni Bazoli da una vita e so la sua correttezza istituzionale». Il presidente della
Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, non ha esitazioni nella difesa del banchiere "collega".
Non tutti la pensano allo stesso modo "a priori"; quantomeno in questi giorni hanno sentito il bisogno di
verificare con i fatti e toccare con mano se davvero non siano state poste in essere condotte ignorate dal
mercato ma significative per il governo di Ubi banca. L'ha fatto la Procura, con le perquisizioni di mercoledì
scorso, e iscrivendo una serie di persone nel registro degli indagati. E lo sta facendo la Consob, attivata nel
luglio scorso da un esposto presentato dai cinque consiglieri di minoranza della banca.
Due giorni prima che si muovesse la Procura - che sta agendo su più fronti - si era mossa l'autorità di
vigilanza, aprendo il procedimento sanzionatorio con l'invio alla banca (e a membri del consiglio di
sorveglianza della banca) di una lettera di contestazioni. Ora si aprirà la fase delle controdeduzioni, che
dovrebbe vedere all'opera Piergaetano Marchetti a coadiuvare la banca e, con la nuova tempistica varata
dalla Consob, entro sei mesi si arriverà ad una conclusione; non necessariamente ad una sanzione (almeno
in linea di principio).
Le accuse della Commissione, nella lettera di lunedì scorso, riguardano «la completezza del documento di
corporate governance», che non darebbe una rappresentazione corretta dei poteri all'interno della banca. La
Relazione, prevista dal Testo Unico della Finanza e molto corposa (oltre 70 pagine), al punto g) del secondo
capitolo, quello sugli assetti societari, si limita ad illustrare le Associazioni costituite nel tempo, a partire dal
2007, e ricorda che l'Associazione Banca Lombarda e Piemontese (quella presieduta da Bazoli) pur non
essendo ritenuta dagli aderenti un Patto parasociale ha assolto comunque «agli adempimenti pubblicitari»
richiesti dalla normativa. E' probabile che questi passaggi siano finiti sotto la lente della Commissione mentre
già da martedì prossimo Ubi banca dovrebbe essere al lavoro per presentare la propria linea difensiva.
Foto: IL BANCHIERE Giovanni Bazoli è presidente del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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IL PUNTO
17/05/2014
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A Pansa 5,5 milioni di buonuscita Reazioni indignate "Schifo e vergogna"*
Rossi (Regione Toscana): "Maxi-indennità da Finmeccanica mentre i lavoratori Breda non sanno che fine
faranno"
MILANO. Dimissionato. E (lautamente) risarcito. Alessandro Pansa, amministratore delegato uscente di
Finmeccanica, aggiorno l'elenco delle buonuscite d'oro dei manager di Stato. Il gruppo nazionale della difesa
ha accordato all'ex numero uno «un'indennità compensativa e risarcitoria» da 5,45 milioni di euro in vista
dell'addio al gruppo.
Si tratta solo del primo tassello della sua liquidazione. A completare i compensi del super-manager - che
sperando nella riconferma aveva rinunciato alle spettanze da ad mantenendo solo quelle relative alla carica
di direttore generale - ci saranno «le competenze di fine rapporto e di quanto spettante in relazione ai diritti
maturati nell'ambito della partecipazione ai piani di incentivazione a breve e medio-lungo termine nel corso
del 2013 da erogare per cassa». Pansa è stato sostituito dall'ex presidente delle Ferrovie Mauro Moretti.
Il paracadute dorato di Pansa non è piaciuto a Enrico Rossi, governatore della Toscana: «È uno schifo - ha
detto - . Lui prende una cifra enorme mentre i lavoratori della Breda di Pistoia (controllata da Finmeccancia,
ndr.) non sanno ancora che fine faranno».
Pesanti critiche sono arrivate anche dalle associazioni di consumatori. «E' l'ennesima vergogna, uno schiaffo
in faccia a milioni di giovani a 700 euro al mese, che devono faticare per il rinnovo del contratto trimestrale»,
hanno scritto in una nota i presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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LA GIORNATA
18/05/2014
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"Il rinvio può mettere in crisi i nostri conti servirebbero le rate"
"Oggi abbiamo tutti un unico grande derivato tossico: l'incertezza. Non c'è autonomia fiscale"
ALESSIA GALLIONE
MILANO. Francesca Balzani, assessore al Bilancio del Comune di Milano: a che punto siete con la Tasi? «La
giunta ha già deciso l'impianto della Iuc, ma la delibera non è ancora stata approvata dal Consiglio comunale
e il voto non arriverà entro il 23. Per questo abbiamo cercato di evitare quel "buco" che si sarebbe creato per
gli inquilini e che a catena avrebbe provocato un problema serio ai proprietari di seconde case affittate. Tutto
il Consiglio ha votato un ordine del giorno: condividiamo la decisione già presa, ovvero applicare la
percentuale più bassa per legge. In questo modo, la quasi totalità degli inquilini non pagherà l'acconto.
Dovranno versarlo solo i proprietari di immobili diversi dalle prime case».
È d'accordo con la richiesta di una proroga per i Comuni che non hanno ancora deciso? «Far pagare un
acconto ad alcuni e non ad altri non è la soluzione perfetta, ma è anche vero che molti Comuni, soprattutto i
più piccoli, hanno un problema serio di liquidità che compromette il pagamento dei fornitori o addirittura degli
stipendi.
Anche la gente, poi, con le rate riesce a gestire meglio il pagamento. La situazione è delicata.
Forse, la migliore risposta potrebbe essere una norma che riduca il versamento dell'acconto in forma uguale
per tutti e nella misura più bassa possibile».
In passato c'è stato il caos legato all'Imu; adesso c'è la Tasi, ma la situazione non cambia: ancora
smarrimento di fronte a una scadenza. Come è possibile? «Un po' di anni fa, alcuni Comuni avevano a
bilancio i derivati tossici. Oggi, abbiamo tutti un unico grande derivato tossico che è l'incertezza».
Che cosa dovrebbe fare il governo? Dare ai Comuni quell'autonomia sulla fiscalità locale che le città
invocano da tempo? «È l'unico rimedio che garantisce trasparenza per il cittadino che sa dove vanno a finire
le proprie tasse e responsabilità politica per gli amministratori.
Si eviterebbe anche l'equivoco di mettere la propria faccia su tassazioni locali che, però, non finiscono solo
ai Comuni».
Foto: BALZANI E PISAPIA L'assessore Francesca Balzani e il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'INTERVISTA/L'ASSESSORE AL BILANCIO DI MILANO
18/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 20
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Le due società rinunciano a oltre 200 liti Cupertino concentra il fuoco sui coreani
ALBERTO FLORES D'ARCAIS
NEW YORK. Anni di battaglie giudiziarie, centinaia di cause, spese legali milionarie, spionaggi più o meno
leciti e adesso il colpo di scena: Apple e Google siglano una clamorosa tregua. I due giganti della Silicon
Valley hanno messo (per il momento) la parola fine alla "guerra dei brevetti", congelando tutti i ricorsi ancora
pendenti nei tribunali (da una parte e l'altra dell'Atlantico) e decidendo addirittura di lavorare insieme per
trovare regole certe nel complicato mondo della proprietà intellettuale.
Quattro anni di guerra. Era iniziato tutto nel 2010 quando la società di Mountain View sferrò il primo deciso
attacco contro Apple. L'accusa? Aver violato diversi brevetti, soprattutto uno decisivo nel ricco mercato che
permette ai cellulari di operare sulla rete 3G. La risposta di Cupertino non si fece attendere e Google venne
portataa sua volta in tribunale per avere «rubato bervetti» su alcune delicate funzioni degli smartphone. Da
quel giorno, per anni, la società di Steve Jobs (e dell'iPhone) e i nuovi proprietari di Motorola (acquistata da
Google nel 2012) si sono denunciati a vicenda con cause da milioni di dollari e con accuse, anch'esse
reciproche, di aver trafugato idee che sono tutelate dalle leggi che regolano la proprietà intellettuale.
Le cause in corso fino alla tregua annunciata erano oltre duecento, con spese legali incredibili per la felicità
degli avvocati. Tanto per capire, in uno solo di questi processi la Apple ha speso 32 milioni di dollari in spese
legali.
«Apple e Google hanno trovato un accordo per porre fine a tutte le cause giudiziarie che sono attualmente in
corso tra le due società. Apple e Google sono anche d'accordo per lavorare insieme in alcune aree della
riforma dei brevetti». Così, in un comunicato congiunto diffuso venerdì sera, le due superpotenze
tecnologiche hanno annunciato al mondo la tregua. L'accordo non prevede però scambi di tecnologie tra le
due aziende californiane. La tregua ha colto di sorpresa gli esperti del mondo tecnologico (e della finanza).
Per alcuni «è scioccante» che la società che produce gli iPhone trovi un accordo di questo genere proprio
con Google che offre sui suoi prodotti Android, di gran lunga il più diffuso sistema operativo per smartphone
nel mondo. Uno dei motivi della tregua sarebbe da ricercare nel fatto che Apple e Google hanno sempre
maggiori nemici in comune: i cosiddetti "patent trolls", un business sempre più diffuso che consiste nel
comprare brevetti solo per fare poi causa ad altre società.
L'accordo non dovrebbe invece avere alcuna ripercussione sul feroce scontro giudiziario in corso tra Apple e
la sudcoreana Samsung, il principale produttore di cellulari e smartphone ad adottare la tecnologia Android.
In questo caso, almeno per ora, i processi dovrebbero andare avanti nonostante proprio Google abbia aiutato
Samsung Electronics a coprire una parte delle spese legali nel processo che è finito da pochi giorni. In questo
caso la giuria ha stabilito che Samsung dovesse pagare alla Apple 120 milioni di dollari per violazione dei
brevetti.
Secondo alcuni analisti, l'intesa con Google oltre a segnare una svolta sarebbe una sorta di avvertimento
proprio nei confronti dei rivali sudcoreani. Punta a far capire che la volontà del gruppo di Cupertino è quella di
concentrarsi ancora di più nella battaglia contro Samsung. È quello che pensa ad esempio Michael Risch,
professore alla Villanova University, il cui commento è stato ripreso da diversi media Usa: «La tregua è più
che altro un fatto simbolico, Motorola da tempo non è più un grande competitor per la Apple. Sarà
interessante vedere invece se prima o poi - e come - finirà la guerra con Samsung». I NUMERI 2010 LA
PRIMA CAUSA Google contesta ad Apple la prima violazione di brevetti 200 I PROCESSI Tra le due società,
davanti a giudici Usa ed anche europei 32 I MILIONI Spesi da Apple per i legali in uno soli di questi
procedimenti
Foto: LA GUERRA DEI 4 ANNI Steve Jobs fonda la Apple insieme a Steve Wozniak nel 1976. Nel 1980 la
società viene quotata in Borsa. La guerra dei brevetti con Google comincia nel 2010
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Apple e Google intesa sui brevetti Samsung il nemico
18/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Le valute regionali aggirano il fisco"
I servizi segreti accendono un faro sulle criptomonete in uso in 7 regioni: non sono tracciabili Il rapporto
riservato ammette, però, che sono strumento di rilancio dell'economia e di coesione del territorio
ALBERTO CUSTODERO
ROMA. Il fenomeno delle "cripto-monete" preoccupa i servizi segreti italiani. Queste nuove forme di scambi
commerciali basati su monete virtuali (di difficile tracciabilità), osservano gli 007, potrebbero prestarsi a
evasione e elusione fiscale. A speculazioni. O addirittura potrebbero essere di intralcio alle politiche
economiche europee. L'allarme è stato segnalato nei giorni scorsi al governo dall' intelligence .
Ma cosa sono le cripto-monete? Si tratta di monete complementari nate vista la difficoltà di ottenere crediti
bancari, che si basano sul vecchio principio del baratto. Con la differenza che lo scambio senza transazione
in euro può avvenire anche tra più parti e può essere differito nel tempo. Un esempio. Se un ristorante ha
bisogno di un sito Web, può averlo pagando con una valuta virtuale una società informatica. Quest'ultima può
utilizzare i crediti acquistando beni o servizi presso un'altra società. Il primo circuito cripto-monetario (Sardex)
è nato in Sardegna nel 2010 dall'ingegno di quattro giovani con la passione per l'economia. L'idea è stata
presto copiata e s'è diffusa in tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia (Sicanex) alle Marche (Marchex) al
Piemonte, dove il sistema Piemex prevede l'equivalenza tra un "bit" e un euro. Analoghi circuiti stanno
entrando in funzione in Molise in Emilia Romagna e in Lombardia.I servizi segreti osservano che aderiscono
a questi meccanismi di pagamento senza scambio di euro agglomerati di imprese appartenenti a diversi
settori (manifatturiero, "flusso unidirezionale" in quanto non prevedono la riconversione dei gettoni di credito
in euro.
Ebbene, secondo gli analisti della nostra intelligence , il mercato che ne deriva grazie a scambi di beni e
servizi presenta le peculiarità di un sistema di regolamento paravalutario il cui valore è direttamente
proporzionale alle volontà di azienda e privati di utilizzare la moneta complementare come mezzo di
pagamento. Ma anche se tali sistemi offrono opportunità in termini di sviluppo della coesione territoriale, di
valorizzazione di legami fiduciari e soprattutto di miglioramento delle catecnologico, agro-alimentare di
qualità), nel cui ambito le transazioni sono regolate da meccanismi di compensazione (cosiddette clearing
house ) che, similmente a quanto avviene per le valute virtuali (esempio Bitcoin ) sono gestiti da privati su
base autonoma. Si tratta di uno schema a pacità di connettere il tessuto economico e produttivo locale, allo
stesso tempo - è la preoccupazione degli 007 - sono suscettibili di profili di criticità. Nel breve periodo, infatti,
essendo difficile la determinazione degli importi degli scambi commerciali, potrebbe profilarsi una elusione
fiscale.
Nel medio periodo, più in generale, i circuiti di cripto-monete «potrebbero essere utilizzati strumentalmente
come "cuneo" rispetto alle politiche economiche europee». Restano infine da valutare ulteriori possibili effetti
come ad esempio quelli speculativi. I CASI IL SARDEX E' una moneta virtuale, che vale un euro, attiva in
Sardegna dal 2009 Centinaia i negozi associati IL SICANEX Al circuito siciliano aderiscono oltre 60 realtà
commerciali. Anche il Sicanex vale un euro IL PIEMEX Moneta virtuale gemella di quella sarda, è attiva in
Piemonte. Il valore (un euro) non oscilla mai
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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IL DOCUMENTO
19/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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I Fondi stranieri conquistano l'Italia
ETTORE LIVINI
MILANO UN MANIPOLO di vedove scozzesi, preti presbiteriani e combattivi maestri dell'Illinois sta
ridisegnando in questa primavera 2014 la mappa del potere economico di Piazza Affari. < PAGINA MILANO
LA BORSA tricolore è stata per quarant'anni una riserva di caccia con due soli protagonisti: i salotti buoni - un
groviglio di patti di sindacato e partecipazioni incrociate tra banchee famiglie incaricato di gestire gli affari dei
soliti noti - e le aziende di Stato. Oggi il vento è cambiato. Gli ex-poteri forti, fiaccati dallo sfarinamento delle
dinastie industriali, dai prestiti in sofferenza e dalla crisi, sono a corto di quattrini. E in virtù dell'aurea legge
("Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto") coniata da Enrico Cuccia, il deus ex machina di questo mondo, il
listino milanese ha trovato il suo nuovo padrone: i grandi fondi esteri.
Un universo magmatico a molti volti - tra cui quello delle mitiche Scottish Widows, i fondi delle parrocchie
presbiteriane e i gestori dei risparmi dei professori dell'Illinois - che in un mese, con un uno-due violento
quanto inatteso, ha spazzato via i cocci del capitalismo di relazione tricolore e ha messo ko all'assemblea
dell'Eni e di Finmeccanica il Tesoro italiano.
La Waterloo dei salotti buoni ha una data e un luogo preciso: l'assemblea di Telecom Italia a Rozzano, 16
aprile 2014. Il copione, lo stesso degli ultimi sette anni, era in teoria già scritto: Telco - la holding partecipata
da Generali, Mediobanca e Intesa San Paolo, uno degli ultimi residuati dei salotti buoni - avrebbe voluto
nominare con il 22,8% del capitale un nuovo cda a sua immagine e somiglianza.
Facendo ratificare al mercato le decisioni prese nelle segrete stanze del miglio quadrato attorno a Piazzetta
Cuccia. Non è andata così. Alla conta dei voti, è arrivata la sorpresa: i grandi investitori internazionali hanno
battuto i vecchi padroni di Piazza Affari, nominando tre loro rappresentanti in consiglio.
Un eccezione? No, la nuova regola. La presenza dei fondi nelle assemblee delle società italiane è
raddoppiata in due anni dall'11,6% al 21,6% del capitale rappresentato, dice uno studio della Fondazione
Bruno Visentini. Oggi con 200 miliardi di investimenti hanno in portafoglio il 38% di Piazza Affari. Sono loro il
primo azionista delle Generali (all'ultima assemblea avevano il 15,2%), di Unicredit e Intesa Sanpaolo con
quote attorno al 30% e di molte altre blue chip. E dopo anni vissuti da minoranza silenziosa hanno iniziato a
far sentire la loro voce nella foresta pietrificata della finanza tricolore. Ne ha dovuto prendere atto, obtorto
collo, anche il governo Renzi. Palazzo Chigi e il Tesoro hanno passato giornatea limare i nuovi requisiti di
onorabilità da proporre alle assemblee di Eni, Finmeccanica ed Enel. Convinti di farli approvare senza
problemi. Anche loro hanno fatto i conti senza l'oste. Quando il rappresentante di via XX settembre ha messo
ai voti il piano all'assemblea Eni, i grandi fondi esteri - allergici alle intrusioni dello Stato - si sono messi di
traverso e la norma non è passata. Confermando così che l'Italia ha perso il controllo della maggiore (e più
strategica) impresa nazionale.
Lo stesso è accaduto in Finmeccanica. L'identikit dei nuovi padroni di Piazza Affari è un'immagine insieme
semplice e complessa.
Semplice perché sonoi gestori di quella valanga di liquidità ammucchiata negli ultimi anni (o pompata dalle
banche centrali) che muove gli equilibri geopolitici del mondo, spostando masse enormi di denaro dalle starup di Internet ai laboratori biotech, dai derivati ai titoli di stato, dai dollari all'euro, magari affondando - salvo
poi reinnamorarsene in questi mesi - i paesi in odore di crisi. Complessa perché in questo mare magnum ci
sono mille realtà finanziarie diverse: fondi a lungo termine, attivisti, hedge che muovono quattrini ai ritmi
frenetici dei millesimi di secondo dettati dai programmi computerizzati del listini. Speculatori? Tutt'altro,
dicono loro.
«Il 50% dei nostri sottoscrittori sono famiglie, tra cui migliaia di italiani, magari con solo 10mila euro da
investire. Non mi pare che questi siano i fantomatici raider di cui si parla», è il mantra di Andrea Viganò,
country head del fondo Blackrock, il colosso Usa che gestisce 4.300 miliardi di patrimonio (il doppio del Pil
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'INCHIESTA
19/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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tricolore, 10 volte il valore dell'intero listino tricolore) e che negli ultimi mesi si è messo in tasca il 6% di Intesa
e Unicredit, il 5% di Bpm, il 3,7% di Mps oltre a quote importanti in Generali, Fiat, Atlantia e Mediaset.
Il loro sbarco in Italia coincide, non a casa, con l'implosione del sistema dei salotti buoni. Mediobanca, fiutato
il vento, ha da tempo iniziato a smontare il suo reticolo di partecipazioni per concentrarsi sul core business
della banca d'affari, In pochi mesi si sono sciolti come neve al sole patti di sindacato storici e inossidabili
come quelli di Pirelli, Rcs e Benetton. Oggi a questo piccolo mondo antico - che non a caso ha messo in
vendita 4 miliardi delle sue quote incrociate - è venuto a mancare il collante che lo teneva unito: i soldi
(spesso degli altri). «Le vecchie famiglie non li hanno. Le banche di riferimento nemmeno. Il meccanismo del
do ut des, delle operazioni gestite chiamando a raccolta un gruppo ristretto di amici si è inceppato. Le
aziende per crescere o per non morire sono costrette a cercarli dove ci sono: dal mercato e dai fondi», spiega
Dario Trevisan, il legale milanese che da anni rappresentai nuovi poteri forti di Piazza Affari alle assemblee
delle aziende quotate. Trevisan non è un Agnelli né un Berlusconi. Eppure siè presentato all'assemblea di
Generali con il 15% dei voti, in quella di Telecom con il 27% e all'Eni con il 30%, più dello Stato. «E' un bene?
Sì - sostiene lui - . I fondi non sposano interessi e non hanno miopi visioni locali».
Il rischio, dicono i critici, è che i grandi fondi seguano logiche finanziare di breve respiro. «Mi sento di dire
che non è così - assicura Valerio Battista, ad di quella Prysmian che uscendo da Pirelli è diventata la prima
grande public-company italiana gestita dai grandi investitori istituzionali - : la maggioranza di quelli che stanno
sbarcando ora sul mercato italiano è gente seria che investe sul lungo termine. Gente che non ha paura di
mettere soldi su un buon progetto. Il loro problema è la remunerazione del capitale, non la diluizione delle
quote». «In America il boom pluridecennale dell'hi-tech e delle biotecnologie è stato sostenuto proprio dai loro
soldi. Il mercato su questo fronte è molto più efficiente di banche e famiglie», dice Umberto Mosetti, uno dei
massimi esperti italiani di corporate governance che con il fondo Amber ha combattuto con successe alcune
battaglie tra cui quelle contro la gestione Besnier in Parmalat. Qualcuno, dopo il voto all'Eni, vede a rischio
l'italianità del Belpaese Spa. «Rischio che non esiste - dice il "mercatista" Mosetti - visto che il totem della
difesa dell'identità delle nostre aziende è stato utilizzato finora per arricchire singole persone e non
nell'interesse della nazione».
Nessuno, per ora, pare aver intenzione di alzare barricate. Anche perché lo Tsunami dei fondi internazionali
è stato uno dei fattori chiave per riportare lo spread italiano sotto quota 200.
L'importante, dice l'esperienza del passato, è non sottovalutarne l'umoralità. Come arrivano, spesso vanno..
Alla stessa velocità. E se vogliono colpire duro, anche Vedove scozzesi, preti presbiteriani & Co. sono in
grado di far male a chiunque: hanno fatto saltare i vertici di Hewlett Packard, costretto un colosso come Apple
a rivedere la sua politica di dividendi, tagliato lo stipendio a un nume tutelare della pubblicità come Martin
Sorrell.
Il 30% di loro ha votato contro le super-buste paga dei manager italiani nell'ultima tornata di assemblee. Chi
ha orecchi per intendere, intenda. La loro battaglia, nello stivale, è solo all'inizio.
I NUMERI
GLI INVESTIMENTI Con 200 miliardi di investimenti, i fondi esteri hanno in portafoglio il 38 per cento di
Piazza Affari
BLACKROCK Il fondo americano, al primo posto in Italia, gestisce un patrimonio che è dieci volte il valore
della Borsa di Milano
LE POLITICHE Il 30% dei fondi vota contro le politiche di remunerazione delle aziende tricolori
LA CURIOSITÀ IL FONDO DELLE VEDOVE SCOZZESI Scottish Widows: è uno dei più noti fondi di
investimento del Regno Unito. Risale al 1812 e nasce in un caffè di Edimburgo con l'intento di garantire
prestazioni dignitose alle vedove. Scottish Widows è solo uno dei tanti fondi internazionali che in questi ultimi
tempi hanno accresciuto il proprio interesse per l'Italia: è presente in Telecom
DATI IN MILIARDI DI EURO ALL'8/5/2014 DATI IN MILIARDI DI EURO NUMERO DI FONDI Gli stranieri a
Piazza A!ari BlackRock Capitalizzazione Borsa 526,8 2 Vanguard 3 Norges Bank 4 Capital Group Comp. 5
19/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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BPCE I primi 5 fondi I Fondi con partecipazioni superiori al 3% alla Borsa di Milano
FONTE S&P CAPITAL IQ
PER SAPERNE DI PIÙ www.blackrock.com www.fondazionemps.it
Foto: ADDIO SALOTTI BUONI Fondi esteri alla conquista di Piazza Affari. Nel giro di pochissime settimane la
mappa del potere in Borsa è stata stravolta dall'ingresso in forze di fondi esteri
19/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 18
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La Ue: via la data di scadenza da pasta e caffé Ma è battaglia
Proposta anti sprechi oggi a Bruxelles sul tavolo dei ministri dell'Agricoltura La Coldiretti: rischi per i
consumatori La svolta caldeggiata da Olanda e Svezia D'accordo anche Austria, Germania e Danimarca
IRENE MARIA SCALISE
ROMA. Lunga vita a pasta, riso e caffè. L'Unione Europea si appresta a rivoluzionare le dispense eliminando
la tradizionale dicitura "Da consumarsi preferibilmente" dalle etichette di confezione di molti prodotti. E già si
annuncia un agguerrito fronte di contrari, dalla Coldiretti ai nutrizionisti. Stamattina a Bruxelles è all'ordine del
giorno del Consiglio dei ministri dell'agricoltura una proposta avanzata dalle delegazioni di Olanda e Svezia:
via per sempre il Tmc. Alias "Termine minimo di conservazione". «Il Tmc è un'indicazione ben diversa dalla
data di scadenza», dice preoccupato Rolando Manfredini, responsabile qualità e sicurezza alimentare
Coldiretti, «ma pur sempre introdotta con lo scopo di tutelare i consumatori». Ad appoggiare olandesi e
svedesi ci sono Austria, Germania, Danimarcae Lussemburgo. Tutti convinti, evidentemente, della necessità
di contenere gli sprechi di cibo che contraddistinguono la maggior parte dei paesi europei.
Bisogna vedere cosa diranno gli altri paesi, ma la questione rischia di trasformarsi in un braccio di ferro
europeo.
Di certo, rimarrà tutto uguale per gli alimenti ever green: vino, aceto, sale, zucchero, bevande alcoliche.
Stesso discorso per quei cibi dalla vita breve (che hanno il termine di scadenza obbligatorio e ben chiaro
sull'etichetta) come latte, yogurt, olio di oliva extra vergine, prosciutto affettato. Potrebbe cambiare tutto,
invece, per gli "ibridi". Parliamo di pasta, riso, caffè. Ma anche di formaggi duri, biscotti, cracker e surgelati.
Alimenti che, grazie alla benedizione dell'Ue, potrebbero diventare praticamente eterni. Olanda e Svezia
ritengono che tutti i prodotti che hanno una lunga durata, e conservano la loro qualità per un tempo molto
prolungato, potrebbero essere esentati dall'obbligo di fornire una data sull'etichetta. Il rischio è che, in tempi
difficili, con questo ulteriore cambiamento la scadenza diventi un concetto sempre più vago e inane. «Già
oggi, complice la crisi economica, appena il 36% degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di
scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità», spiega Manfredini, «solo il 54%
degli italiani controlla una volta al mese il frigorifero e il 65% la dispensa». Ma non è così che si risparmia.
Anzi. «Apparentemente la proposta sul tavolo della Ue mira a ridurre gli sprechi ma in realtà si va contro la
salute perché tanto più ci si allontana dalla data di scadenza tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità
del prodotto, come il sapore e la fragranza». Ci troveremmo di fronte, insomma, a una sorta di "degradazione
naturale" della dispensa.
«È impossibile che il caffè o la pasta consumati dopo qualche mese abbiano lo stesso sapore», conclude
Manfredini. I dati sugli sprechi, però, sembrano dare ragione a olandesi e svedesi. In Italia, ogni anno, una
famiglia spende 515 euro in alimenti che non consumerà mai. Più di4 mila tonnellate di cibo acquistate dai
consumatori e buttate, ogni giorno, in discarica.
Lo spreco Quanto spesso si gettano avanzi o cibo non considerato più buono
3,4 volte settimana
1,2 volte
1 volta a settimana
quasi mai
Perche si butta via il cibo
perché ha fatto la mu!a
perché scaduto
ha sapore, odore cattivo
perché è avanzato
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Il caso
19/05/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 18
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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per errata pianiÞcazione pasti, cucinato troppo cibo, calcolato male acquisti
Gli alimenti più scartati
al primo posto frutta
degli intervistati la getta qualche volta al mese
le getta diverse volte al mese
i formaggi
54%
50% verdure fresche
33 14% li getta alcune volte al mese 14% 9% 3% 4% LE REGOLE SENZA TERMINE Vino, aceto, sale
zucchero, bevande alcoliche con percentuale di alcol superiore al 10%, gomme da masticare DATA
CONSIGLIATA Per pasta, riso, formaggi duri, pelati, biscotti, cracker, oggi c'è la dicitura "da consumarsi
preferibilmente entro" SCADENZA TASSATIVA Latte, yogurt, burro, olio di oliva extra vergine, prosciutto
cotto affettato, bresaola in fette, mozzarella, uova PER SAPERNE DI PIÙ www.bancoalimentare.it
www.coldiretti.it
Foto: IL MERCATO Consumatori tra i banchi della Coldiretti ieri a Milano, dove si è svolta l'iniziativa
"Campagna Amica"
17/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
L'AMERICA ORA VUOLE DUE VELOCITÀ PER INTERNET
GIANNI RIOTTA NEW YORK
Non è semplice, in un weekend di primavera, con l'India che cambia governo, il Pil sottozero, i Mondiali dietro
l'angolo, appassionarsi alla decisione della Federal Communications Commission sulla «neutralità della
Rete». PAGINA Lo capisco, e me ne scuso: ma pensate se, leggendo questo a r t i c o l o s u L a Stampa
online, scaricando il vostro film del cuore, accanendovi a spedire una mail o verificare i risultati in Borsa, di
esser costretti ad attendere con certosina pazienza il materiale richiesto, tra noiosi segnali di pausa, mentre
sul divano accanto vostra moglie naviga il web a velocità della luce. La posta in gioco con la scelta della Fcc
di ieri, al di là delle proteste di attivisti digitali a Silicon Valley, delle pressioni formidabili dei marchi di
telecomunicazione e dei manifesti dettati dai guru, è netta: avremo ancora, come oggi, Internet a una sola
corsia, dove tutti viaggiamo allo stesso ritmo, o chi paga una tariffa superiore riceverà trattamento
preferenziale e chi si affida al vecchio web sarà lumaca? Non si tratta solo di appisolarsi davanti al video, è
decisione che separa vincitori e vinti nell'industria della comunicazione e dei contenuti, telefoni, giornali,
università, spettacolo, commercio online, software. In una democrazia globale, se i messaggi dei grandi partiti
e delle istituzioni centrali hanno velocità superiori a quelli dei gruppi di volontari, se il candidato di opposizione
è azzittito dalla Cavalcata delle Valchirie digitali online del governo, addio dibattito. La Fcc, organismo che
controlla la comunicazione Usa, apre a un'Internet a due velocità, riservandosi una decisione, rimandando la
palla alla Casa Bianca e al Congresso, lanciando un dibattito pubblico di 120 giorni per capire cosa pensa
l'opinione pubblica americana ma, in sostanza, non bocciando l'idea che si possa viaggiare online in prima
classe con una robusta tariffa. I commissari, 3 contro 2, immaginano quindi possibile la Rete a pedaggio,
come un'autostrada. L'industria è divisa, i giganti di Silicon Valley difendono la «neutralità della Rete», tutti i
contenuti - salvo quelli di emergenza - viaggiano alla stessa velocità. Questa è la posizione ufficiale del
presidente Obama, un po' amletico sul tema come quasi su tutto, e di molti intellettuali dei college. I grandi
del web, da Facebook a Google a Yahoo, insistono sulla «net neutrality», antico miraggio egualitario della
rete. Contro si schierano i colossi dell'intrattenimento e dell'informazione via cavo, come Time Warner, che
sognano di poter dare ai propri clienti più velocità. Il presidente Fcc Tom Wheeler, sostenitore di Obama,
parla di «Rete aperta», ma non stoppa l'idea di accessi privilegiati, infuriando gli attivisti che ne ricordano
l'impegno come lobbista dei marchi via cavo, che considerano conflitto di interessi. In poche ore quella che
sembra un'arcana diatriba per nerd del computer divide le opinioni. Sul New York Times il tecnologo
conservatore David Gelernter mutilato da un ordigno del terrorista luddista Unabomber - interviene nel
dibattito Fcc: è ridicolo, scrive, suggerire che ci sarà una Rete «uguale per tutti, ma per qualcuno più uguale,
come le corsie sovietiche a Mosca, che certo Putin rimpiange, dove le limousine dei pezzi grossi del Pcus
viaggiavano veloci, ignorando il traffico dei comuni mortali». Per Gelernter non si tratta di difendere una
posizione di principio, ma di difendere la Rete aperta e la rivoluzione digitale: «Se decidono i burocrati Fcc e
non la politica», la Rete rischia. Prima che il dibattito che rischiava di annoiarvi vi spinga in difesa
dell'assoluta neutralità della Rete, ascoltate però fino in fondo il saggio Gelernter: un web sempre uguale a se
stesso è utopia che, prima o poi, il mercato regolerà. Si tratta di arrivare all'appuntamento senza la fretta di
soli 120 giorni e con un confronto franco tra cittadini, politici, industria. Non considerate dunque più scontata
la vecchia, cara Rete di un tempo quando i pionieri si conoscevano da un capo all'altro del mondo. Come in
un transatlantico di linea ci saranno infine stive, terza classe e saloni di lusso: occorre però almeno che la
rotta non sia quella del Titanic, lungo il mare di iceberg-regole che affondano democrazia e sviluppo. Twitter
@riotta
miliardi Gli uomini che secondo l'Onu si possono definire utenti di Internet nel mondo
miliardi Gli abbonamenti alla telefonia mobile nel mondo, sempre secondo l'agenzia Onu
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IL CASO
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Foto: Le manifestazioni per «salvare la Rete» davanti alla sede della Commissione federale per le
comunicazioni a Washington Il meeting Tom Wheeler, presidente della Commissione federale Usa, spiega la
decisione della Fcc
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F EDERICO V ARESE
Lo scandalo delle mazzette all'Expo di Milano ha riacceso il dibattito sulla lotta alla corruzione nella pubblica
amministrazione. Come c'era da aspettarsi, le proposte sul tavolo sono caratterizzate dal vizio tutto italiano di
credere che basti approvare l'ennesima legge per far scomparire il problema. P urtroppo la bacchetta magica,
saldamente nelle mani della fata dai capelli turchini, esiste solo nell'immaginazione di Carlo Collodi e nelle
pagine del suo capolavoro, Pinocchio. Introdurre nuove e complicate fattispecie nel codice penale è la
strategia usata dalla classe politica per autoassolversi e non intacca il sistema delle tangenti. Quali sono
dunque le ricette che hanno ridotto, anche se mai eliminato del tutto, la corruzione negli stati che occupano i
primi posti della classifica di Transparency International? Innanzi tutto la corruzione si può combattere
partendo dal basso, dando gli strumenti ai cittadini per operare come « vedette civiche al servizio del bene
collettivo. PAGINA Gli Stati Uniti hanno una legislazione molto avanzata sul ruolo del whistleblower, quel
dipendente pubblico che denuncia illegalità nell'amministrazione dove lavora. E' cruciale promuovere questo
tipo di denunce e difendere chi le fa dall'accusa di essere una spia oppure un invidioso. Questi cittadini, al
contrario, svolgono un servizio pubblico, anche se i loro motivi iniziali possono essere poco nobili. Un altro
modo di combattere la corruzione dal basso è promuovere la discussione del fenomeno. Siti come Ho pagato
una tangente (https:// www.ipaidabribe.com/) stanno avendo un grande successo. Tale piattaforma è stata
introdotta dapprima in India e permette ai cittadini di raccontare, facendo o meno i nomi, i loro incontri
quotidiani con la corruzione. In Italia, bisognerebbe imparare dalla lotta alla mafia e applicare alla corruzione
il principio di AddioPizzo, l'associazione di imprenditori siciliani i quali si rifiutano di pagare il pizzo. Questi
movimenti hanno bisogno di leader carismatici e tempo per crescere, ma possono avere un effetto
rivoluzionario. Nel Regno Unito, ad esempio, esiste un'iniziativa simile, tra aziende nel settore delle
costruzioni. Questi imprenditori hanno creato anche un forum anti-tangenti, che permette loro di scambiarsi
informazioni preziose su funzionari corrotti (un'iniziativa simile esiste anche nel settore del trasporto navale).
Dare potere ai cittadini va di pari passo ad uno sforzo della politica. I Paesi più onesti hanno un numero di
leggi e regolamenti molto inferiore del nostro. Ad esempio, nel 2003, il Parlamento italiano ha approvato 173
leggi, mentre il Regno Unito 50, la Spagna 82 e la Germania 85, nazioni che hanno livelli di corruzione
inferiori al nostro. Vi è una relazione statisticamente significativa tra quantità di leggi e regolamenti, e
corruzione. Un funzionario pubblico ha più potere discrezionale quando la legislazione è fuori controllo. La
ricetta è semplificare le regole. Un'altra misura utile consiste nell'introdurre forme di competizione tra uffici
pubblici: quando è possibile ottenere licenze, passaporti e altri titoli in uffici diversi dal proprio comune di
residenza si riduce il potere discrezionale dei funzionari. Vi è un'altra riforma della pubblica amministrazione
che avrebbe un effetto rivoluzionario: introdurre un sistema di rotazione e di estrazione a sorte dei funzionari
assegnati a certi settori. Il corruttore istituisce rapporti di lungo periodo con il corrotto. Non stupisce se anche
nello scandalo dell'Expo incontriamo sempre gli stessi signori, già all'onore delle cronache negli Anni
Novanta. Questi individui dispongono di un capitale di rapporti sociali costruito negli anni e di grande valore.
E' necessario rompere il sodalizio tra di loro e i funzionari statali introducendo degli elementi di incertezza,
attraverso l'estrazione a sorte di coloro cui viene affidato un incarico pubblico. I nomi dei prescelti potrebbero
benissimo essere pescati da una lista idonei, scelti sulla base delle loro competenze da una commissione
indipendente. Chi legge le cronache in questi giorni rischia di farsi prendere dallo sconforto. Al contrario, non
bisogna cedere al pessimismo cosmico. L'Italia dispone di una magistratura indipendente, di una società
civile attenta, e di molte persone oneste. Alcune riforme mirate potrebbero avere effetti rivoluzionari in poco
tempo. Diversi Paesi sono passati da un equilibrio della mazzetta ad uno di relativa onestà in pochi anni. Per
fare questo miracolo servono però due ingredienti: uno sforzo collettivo, e non credere alla bacchetta magica.
Quella esiste solo nel mondo di Pinocchio, il burattino che diceva le bugie.
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COSÌ NEL MONDO SI COMBATTONO LE TANGENTI
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Foto: Illustrazione di Gianni Chiostri
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Tasi, corsa a ostacoli per i versamenti
Rischio caos: solo mille Comuni su 8 mila hanno fissato le aliquote e ormai restano pochi giorni Un calcolo
complicato se gli immobili sono dati in affitto
SANDRA RICCIO
Niente marcia indietro. Alla fine l'accordo per una proroga della prima rata Tasi non è arrivato. Le famiglie
dovranno prepararsi a pagare già entro il prossimo 16 giugno quella che è la nuova (e complicata) imposta
sui servizi indivisibili del Comune. La platea di contribuenti stavolta è anche più ampia visto che una parte
spetta anche agli inquilini. Quindi anche loro devono tenere d'occhio le novità in arrivo. Il mancato slittamento
è stato di fatto deciso dai Comuni che non vogliono (o non possono) spostare più avanti l'incasso delle
entrate già previste. «Tasi e Imu sono la principale fonte finanziaria a cui i Comuni attingono le risorse per le
loro politiche. Qualsiasi slittamento rischia di provocare un buco di liquidità drammatico e di mettere i Comuni
nell'impossibilità di continuare le politiche e i servizi che erogano oggi» ha spiegato Piero Fassino, il
presidente dell'Anci, l'Associazione dei Comuni. Il governo aveva annunciato di voler posticipare a settembre
il pagamento dell'acconto della nuova imposta ma le vive proteste dell'Anci hanno portato al dietrofront. Le
famiglie avranno quindi un mese per pagare l'imposta ma soprattutto per affrontare l'ingarbugliato rebus. Molti
sono ancora i punti di domanda. Tanti contribuenti infatti non conoscono l'aliquota da applicare ma pure la
data potrebbe non essere, alla fine, quella del 16 giugno. Andiamo con ordine. Per quel che riguarda le
aliquote soltanto mille Comuni su 8mila hanno già detto quale applicheranno. Gli altri devono ancora
deliberare. Il termine ultimo per farlo è fissato al 23 maggio ma, si sa, con le elezioni alle porte è capace che
molti aspettino a dire la loro. A questo punto per quei contribuenti di prima casa con il Comune «ritardatario»
che arriverà solo dopo il 23 maggio, la data del pagamento potrà slittare in un'unica soluzione al 16 dicembre.
Nessuna delle grandi città (Milano, Roma, Torino, Firenze, Bari, Palermo) ha ancora deliberato. Per gli altri
invece, quelli con il Comune che deciderà già la prossima settimana e i proprietari di seconda casa, il
pagamento resta fissato a giugno. Va detto che gli enti locali devono stabilire sia l'aliquota della Tasi sia la
maggiorazione prevista tra prime e seconde case. Per le seconde case in locazione, i Comuni devono inoltre
fissare la ripartizione del tributo tra i proprietari e gli inquilini. La Tasi la pagano, come detto, sia i proprietari
sia (in parte minore tra il 10% e il 30% dell'importo) gli inquilini. Per le seconde abitazioni il termine resta
quindi quello del 16 giugno. E se i Comuni non hanno deliberato l'aliquota? Allora le complicazioni si
infittiscono perché i proprietari dovranno pagare il 50% dell'aliquota base dell'uno per mille, togliendo però,
secondo le Finanze, una quota forfettaria del 10% annuo (quindi il 5% per la prima rata) che spetta invece
all'inquilino. I proprietari fanno però notare che la legge lascia ai Comuni la scelta fra il minimo del 10% e il
massimo del 30% a carico dell'inquilino ma nulla dice in caso di mancata decisione. Invitano quindi a sottrarre
una quota del 30% che spetta agli affittuari. Il 16 giugno è anche la data in cui si pagherà l'Imu per i
proprietari di seconde case ( l 'a b i t a z i o n e p r i n c i p a l e è esentata). Una bella maratona insomma ma
a risolvere i rompicapi sulla casa gli italiani oramai sono preparati. Ne san qualcosa quelli che si sono tenuti
in allenamento con la mini-Imu.
23
maggio La data entro la quale i Comuni dovrebbero fissare l'aliquota della Tasi. Circa 7000 non lo hanno
ancora fatto
16
giugno Il termine per il versamento se il Comune delibera l'aliquota. Se si tratta di una seconda casa si paga
comunque una quota
16
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IL GOVERNO VOLEVA UNA DILAZIONE A FINE ANNO, L'ANCI DICE NO. MA NELLE CITTÀ CHE NON
DECIDONO L'IMPORTO SLITTERÀ A DICEMBRE
17/05/2014
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dicembre Questa la data ultima entro la quale si dovrà comunque pagare tutto per prime e seconde case e in
ogni Comune
30
per cento La quota massima (la minima è il 10%) che dovranno pagare gli affittuari A decidere è il Comune
Foto: REPORTERS
Foto: Come al solito il pagamento delle imposte sulla casa è una corsa a ostacoli
18/05/2014
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ENZO BETTIZA
In attesa delle elezioni del Parlamento europeo del 25 maggio è forse possibile tratteggiare fin d'ora un
quadro in bilico tra qualche certezza e diverse incertezze. Accanto ai partiti che si potrebbero definire
tradizionali, diciamo pure costituzionali, l'Europa dovrà fare il conto con un'eccedente presenza di nuovi
movimenti, partiti o semipartiti che siano: etnicopopulisti, estremisti, folcloristici, al limite anche nichilisti.
L'antieuropeismo purtroppo, favorito dalle varie crisi che l'Europa ha subito nell'ultimo quinquennio, è riuscito
a ETTIZA PAGINA scavarsi un solco alquanto vischioso e contagioso: il blocco ideologico antieuropeo,
assente in Germania ma fortissimo in Francia, alquanto presente in Italia, vibrante e nervoso in Spagna, è
ormai mosso da pulsioni disgreganti e sovente autodistruttive che potrebbero incidere, più del solito, sul
giudizio popolare e quindi sull'insieme dell'esito elettorale. Occhio ai sondaggi. Non pochi osservatori
annunciano che i movimenti «anti» potrebbero perfino occupare lo spazio d'un quarto dei seggi. Molti
ritengono probabile, se non possibile, che il Fronte Nazionale di madame Le Pen possa ottenere in Francia
un quoziente sensibilmente elevato: quoziente che con ogni probabilità la signora del «no» saprà strappare,
con i suoi comizi eccitati, alle folle che la seguono e la sostengono come una leader da provvidenza estrema
nonché estremista. Lo stesso si potrebbe dire per l'irrequieto Partito della Libertà in Olanda e il grintoso
Partito Indipendente nel Regno Unito. Ma è ancora una volta che la stabile Germania farà caso e notizia a sé
stante. Il suo canto è il contrario di quello di una sirena omerica: lancia fuori del coro note sobrie e positive.
Ecco infatti, la signora Angela Merkel, eccola muoversi alata e sicura da una capitale all'altra in un continente
molto vecchio, molto stanco, anche molto rassegnato e forse perciò quasi soddisfatto di subire il nuovo
scettro tedesco al femminile. Merkel insomma è una sorta di gigante buono, con la cassa in mano, da cui tutti
aspettano salute, benessere, incoraggiamento, salvezza. La si ascolta, la si subisce, la si stima in parte sul
serio e in parte per calcolo di cinghia e di necessità; se ne accettano i consigli e soprattutto i sussidi che essa
distribuisce qua e là, esempio i poveri greci, con un tenue sorriso materno. I consigli e interventi che Angela
sa imporre o proporre ai colleghi del vecchio continente non suscitano rimproveri né ripudi. Frattanto in
Germania l'elettorato, al solito disciplinato e tradizionalista, non delude né ostacola le manovre anticrisi
attuate dai due maggiori partiti tradizionali, il socialdemocratico e i conservatori cristianodemocratici: parliamo
della Grosse Koalition magistralmente amministrata dal pugno flessibile, ma pugno pur sempre, di Frau
Merkel. Non a caso, un grosso premio di riconoscimento e di stima le viene oggi elargito da tanti europei
nonché da molti tedeschi anche avversari. Più enigmatico invece potrà riuscire l'esito elettorale in Italia, dove
l'ambiguità caratteristica del Movimento 5 stelle di Grillo sarà per metà antieuropeo e per l'altra metà
astutamente filoeuropeo. Sicuramente però, a prescindere dalle sparate antieuropee di Berlusconi, il grosso
dei due grandi partiti italiani di centrodestra e centrosinistra terrà ferma la posizione di voto a favore del
consolidamento del processo unitario continentale. La situazione europea viene ironicamente rappresentata
dalla copertina dell'Economist, dove sullo sfondo di un quadro che ricorda un ambiente infernale alla Bosch,
spicca una Marie Le Pen a cavalcioni di un gallo, mentre nei piani successivi vediamo via via un Hollande
inchiodato alla gogna, una Merkel legata ma integra a testa in giù da una pertica rudimentale, poi ancora un
Cameron strettamente legato a un palo. In ultimo, sullo sfondo, popolato da diavoli e angeli in rissa, spicca un
enigmatico Grillo drappeggiato disordinatamente da un'azzurra bandiera con stelle dorate: non si capisce
bene se stia per togliersela o per tenersela stretta addosso. L'Economist getta al tempo stesso attraverso il
commento qualche squarcio di luce sul presente e sul futuro del continente. Vi si sostiene che le economie
europee nell'insieme stanno migliorando dopo anni di recessione e di crisi dell'euro; si sottolinea altresì che
nei sondaggi dell'ultima settimana la fiducia nell'Europa unita si sarebbe rafforzata. Tirate le somme, la
maggioranza degli osservatori nota la profonda contraddizione che lacera il cuore dell'Europa: da un lato
vedono la spinta verso una maggiore integrazione economica, ma, dall'altro lato, scorgono il rigetto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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MA DALLE CRISI NASCONO SPESSO LE GRANDI COSE
18/05/2014
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dell'integrazione da parte di tanti cittadini e movimenti europei inclini allo scetticismo. I movimenti populisti,
che potremmo anche definire contromovimenti, mettono difatti e soprattutto in rilievo i punti deboli e
vulnerabili dei processi integrativi. Annunciano che la disoccupazione in Europa colpisce ormai 26 milioni di
persone, mentre il debito pubblico appare ovunque sempre più insostenibile. Accompagnano il quadro
indicando la fragilità delle banche, criticando il credito bancario avaro o nullo, ammonendo che una parte
dell'Europa è già sulla sogli di una spinosa deflazione. Non pochi sostengono che l'Europa è in procinto di
attraversare un decennio oscuro simile a quello attraversato dal Giappone negli Anni Novanta. Al centro del
disagio divampa poi il dibattito sulla moneta unica. Qui emergono argomenti pro e contro la centralizzazione
dei poteri della Banca centrale; tuttavia, mentre la maggioranza degli elettori dell'eurozona vorrebbero
mantenere l'euro, nello stesso tempo molti Stati europei si oppongono oggi ad un accrescimento intrusivo
nelle questioni nazionali dei poteri della Banca centrale, della Commissione di Bruxelles e del Parlamento di
Strasburgo. Basterà ricordare che il testo di una Costituzione europea, nonché del Trattato di Lisbona che
avrebbe dovuto sostituirlo, sono stati entrambi rigettati in tre referendum. Nel frattempo si sono perfino
rovesciati i percorsi dell'euroscetticismo. Oggi per esempio è in Francia, il più importante Stato fondatore dell
Ue, che si manifestano più che altrove il disagio e il risentimento nei confronti del processo d'integrazione. Il
noto euroscetticismo britannico appare attualmente quasi in secondo piano rispetto all'ostile nervosismo
antieuropeo di Parigi. Al seguito del disagio francese sintomi di forte malessere si notano per le interferenze
di Bruxelles in Italia, in Spagna, in Polonia, in Portogallo e in Grecia. L'ostilità verso Bruxelles avrà
probabilmente il suo peso nel voto e, soprattutto, nelle astensioni che questa volta potrebbero segnare in
pericoloso tasso d'aumento. Tuttavia, molti ostinati e anche illuminati federalisti ritengono che non tutti i mali
vengono per nuocere. Dicono che dalle crisi nascono spesso le grandi cose, le grandi idee, le costruzioni in
parte anche utopiche come il progetto, finora realizzato solo per un quarto, degli Stati Uniti d'Europa. Il dado
europeo, forse, sarà definitivamente tratto quando una maggioranza di popoli del vecchio continente sarà
convinta che ai furori della globalizzazione si potrà resistere appieno soltanto il giorno in cui dalle urne, alle
quali ci avviamo, emergerà un vero e unico Stato europeo. Rassegniamoci per ora di votarlo almeno con
l'immaginazione. L'Unione Europea c'è difatti più sulla carta che nella realtà. Non è certo molto, tuttavia è
molto più di quanto potevamo fare al tempo della Guerra fredda. Solo dalle cose, come dicono i tedeschi,
nascono altre cose. Questo voto europeo, difatti, è già di per sé una cosa importante, un impegno, una
promessa che l'elettore fa a se stesso e al futuro delle generazioni che verranno dopo. Forse, una volta tanto,
gli scettici inglesi andrebbero ascoltati con attenzione quando sostengono che l'Unione Europea, se desidera
sopravvivere, deve concedere non solo a Bruxelles ma anche ai singoli popoli europei un certo potere
d'ingerenza e quindi di presenza nel meccanismo dell'unificazione. Adesso che ci viene offerta dalle urne una
buona occasione, cerchiamo di non sprecarla. Sforziamoci di votare convinti, tenendo ben ferma in mente la
Cosa per la quale si celebra domenica prossima una votazione d'impegno contro gli scettici e contro gli
astensionisti.
19/05/2014
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PAOLO BARONI
Già pagare le tasse è una gran sofferenza, poi negli ultimi tempi sembra che governo, Parlamento e Comuni
facciano di tutto per renderci la vita impossibile. Prendiamo il caso della Tasi, la tassa sui servizi indivisibili
che di fatto sostituisce la vecchia Imu, ultimo pasticcio in ordine di tempo. Si sa quando si paga, il 16 giugno,
ma solo una parte degli italiani sa quanto deve pagare. Il campanello d'allarme è suonato almeno un mese fa,
poi la scorsa settimana si è scoperto che nemmeno mille Comuni avevano fissato le aliquote mentre tutti gli
altri ancora dovevano decidere. Soprattutto mancano all'appello i quattromila Comuni chiamati al voto la
prossima settimana, amministrazioni che si sono ben guardate dal fissare l'ammontare della nuova tassa.
Meglio aspettare, meglio rinviare a dopo il 25 e evitare l'accusa d'aver aumentato le tasse rischiando magari
di perdere il municipio. PAGINA Ecosì, da giorni, il Paese delle Milleproroghe dopo aver scoperto il caos-Tasi
discute e si divide sull'ipotesi del rinvio dei pagamenti. Mancano tre settimane alla scadenza della Tasi, sugli
italiani incombono di qui a luglio quasi 80 differenti impegni di pagamento e non si riesce a far chiarezza. In
un primo momento il ministero del Tesoro ha infatti escluso qualsiasi ipotesi di rinvio della prima rata. Ieri
invece il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Delrio, il braccio destro di Renzi, ha detto che ci si sta
ragionando, ma che nel frattempo è meglio che tutte le amministrazioni ritardatarie decidano le loro aliquote.
Piero Fassino, presidente dell'Associazione dei Comuni, invece ha proposto una mediazione, un doppio
regime: nei Comuni dove le aliquote sono state già decise si paga il 16 giugno, in tutti gli altri si pagherà il 16
settembre. E il governo cosa risponde? Non sa assolutamente cosa fare, potrebbe accogliere il lodo Fassino
oppure, per semplificare un poco la vita a tutti, potrebbe anche disporre un rinvio generalizzato per tutti i
Comuni a settembre. Scelta certamente popolare quest'ultima, soprattutto in tempo di elezioni, a patto però di
reperire i 4 miliardi che nel frattempo andrebbero anticipati alle amministrazioni locali. Ecco spiegato il balletto
di questi giorni, che non fa altro (ancora una volta) che aumentare lo stress nei contribuenti. Perché è chiaro
che a loro, in fondo, non ci pensa mai nessuno. Le tasse sulla casa poi, da quando i partiti hanno deciso di
cancellare tutta l'Imu, sono diventate argomento di vero e proprio scontro ideologico, oltre che un motivo di
ulteriore forte frizione tra Comuni e Stato centrale. Forse, si può dire, oggi col giallo-Tasi paghiamo il peccato
originale di aver cancellato in maniera affannosa questa tassa. Cancellata a rate ed in maniera affannosa,
basti pensare al pastrocchio del decreto Imu-Bankitalia. Quindi è partita la tarantella della nuova tassa. Come
la chiamiamo? Come la calcoliamo? Sarà più o meno pesante dell'Imu? Via Tarsu e Tares spunta la Tari, poi
la Trise, quindi la Tuc e infine la già odiata Tasi. Un'inutile girandola di nomi che ha creato confusione nei
contribuenti e pure negli amministratori. Al punto che lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi, tempo
fa, aveva confessato di non averci capito nulla. Ma se non ci capisce niente uno che sino all'altro ieri ha fatto
il sindaco, chi può venirne fuori? Vedremo se questa settimana porterà consiglio e soprattutto se il governo,
quando parla di riforma del fisco e semplificazione, ha un progetto in mente oppure cerca solo di prendere
tempo. Twitter @paoloxbaroni
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È DIFFICILE ANCHE PAGARE LE TASSE
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Abolire la povertà: un dovere
ANTHONY BARNES ATKINSON
Quarantacinque anni fa pubblicai un libro, Poverty in Britain and the Reform of Social Security , in cui
avanzavo proposte che puntavano a realizzare nel Regno Unito l'aspirazione del Piano Beveridge del 1942.
PAGINA Ossia, di «mettere l'uomo al riparo dal bisogno assicurando sempre a ogni cittadino che voglia
servire secondo le proprie energie un reddito sufficiente per far fronte alle sue responsabilità». A parte i toni
un tantino maschi, questa affermazione della nostra aspirazione a garantire un reddito minimo nazionale
appare importante ai nostri giorni come lo era allora. Oggi, il problema della povertà è urgente allo stesso
modo. Nel 1969, il tasso di povertà nel Regno Unito era, secondo gli standard attuali dell'Unione Europea (la
quota di persone che vivono con un reddito inferiore al 60% del reddito disponibile mediano equivalente), del
14%. Nel 2011, è stata registrata al 16%. Eppure, la risposta della politica sembra camminare all'indietro. Nel
marzo del 2014, il parlamento britannico ha approvato a larga maggioranza un tetto ai sussidi della
previdenza sociale. Il cosiddetto Welfare cap stabilisce un limite, suscettibile di adeguamenti solo in rapporto
all'inflazione, alla spesa complessiva di tutte le prestazioni previdenziali (a parte le pensioni statali di base e
certi sussidi di disoccupazione) per gli anni dal 2015-16 al 2018-2019. Questo è un provvedimento che va ad
aggiungersi alla precedente legge, approvata nel 2012 dal governo di coalizione britannico, per limitare
l'ammontare dei sussidi che possono essere percepiti settimanalmente da una singola famiglia. Il tetto alla
spesa per il Welfare viene così messo in due modi. La cosa sconcertante, per me, è che i tetti ai costi globali
del Welfare sono stati approvati in Inghilterra avendo scarsa o nessuna considerazione delle conseguenze
per gli obiettivi propri che la spesa previdenziale vuole raggiungere. Vuol dire questo che il Regno Unito ha
voltato le spalle all'obiettivo di Beveridge di garantire un reddito minimo nazionale? Vuol dire che a una
persona che non è in grado di lavorare - ad esempio per un incidente - dovremo dire che non ci sono più soldi
nel bilancio del ministero del Lavoro e delle Pensioni? Che i sussidi per l'infanzia dovranno essere tagliati per
le ristrettezze di bilancio imposte da altri programmi? [...] Delle nuove forme di previdenza sociale, la più
discussa è forse l'idea di un «reddito di cittadinanza» o «reddito di base», che prevede un sussidio universale
da pagarsi individualmente a tutti i cittadini, variabile da uno dei paesi membri all'altro a seconda delle loro
specifiche circostanze. L'entità della somma potrebbe essere legata ad alcuni parametri determinati da
caratteristiche personali, come l'età, ma non sarebbe legata al fatto di essere o no occupati. Il reddito di
cittadinanza è una vecchia idea, che però non è stata adottata come parte della protezione sociale europea.
A livello nazionale, è stato in genere molto discusso in tempi di ricostruzione, co m e d o p o l a S e co n d a g
u e r ra mondiale, e in questo senso potrebbe essere naturale per l'Ue riprenderla come elemento di un più
grande «balzo in avanti» del dopo recessione. Essa tuttavia solleva la questione del fondamento della
idoneità. Il reddito di base viene spesso presentato come «incondizionato», ma deve comunque esserci una
condizione qualificante. Questa viene di solito individuata nella cittadinanza, ma la cittadinanza non è la
stessa cosa che la base per la tassazione e evidentemente non è la base giusta nel contesto della Ue. Il
criterio della cittadinanza significherebbe che un lavoratore svedese in Francia riceverebbe il reddito di base
svedese, non il reddito di base francese, il che non sarebbe coerente con la libertà di movimento della
manodopera. La razionalità di un reddito di base che varia da paese a paese dovrebbe essere nel fatto che il
reddito di base vari in relazione al costo della partecipazione a una società particolare. Un approccio
alternativo perciò è di rendere il reddito di base condizionato, ma non alla cittadinanza, bensì alla
partecipazione nella società. [...] Proponendo un simile «reddito di partecipazione», piuttosto che un
universale reddito di base, sono ben consapevole che esso presta il fianco a due obiezioni: che il suo essere
condizionato rischia di escludere persone vulnerabili, e che comporta un notevole impegno amministrativo.
Ma il reddito universale è una chimera. Tutti i progetti attuali prevedono una condizione di idoneità e quindi il
rischio di esclusione. La cittadinanza sarebbe di tutta evidenza un criterio altamente discriminatorio, e
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IDEE PER L' EUROPA
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probabilmente contrario alle leggi europee. Le regole esistenti per stabilire l'idoneità a ricevere sussidi si sono
rivelate politicamente tossiche, e parecchie difficoltà nascono quando si tratta di applicare le regole a persone
che vivono in un paese ma che non vi hanno domicilio per motivi fiscali. Tutti questi elementi evidenziano la
necessità di un accordo esplicito sulla nozione di partecipazione a una particolare società. Una volta stabilito
un accordo del genere, l'applicazione delle regole richiederebbe naturalmente un apparato amministrativo.
Per esempio, la qualificazione di attività non di mercato richiede una certificazione. Ma il sistema esistente di
assicurazione sociale richiede un analogo apparato se dev'essere adeguato al XXI secolo, per cui il tema
dovrà essere comunque affrontato. Lanciare un'iniziativa europea per un reddito di partecipazione sarebbe
una mossa politica ardita. Proporre un'iniziativa del genere può apparire come una sfida ai decenni di
incapacità dell'Ue di fare progressi nell'armonizzazione della previdenza sociale. Ma ci sono due ragioni di
ottimismo. La prima è che essa offre una soluzione a problemi con cui i governi nazionali stanno oggi
combattendo - esattamente come le prime istituzioni europee offrirono una soluzione a problemi nazionali di
ristrutturazione economica. La seconda è che il reddito di partecipazione è - salvo un'eccezione - una forma
nuova di previdenza sociale. Non ci sarebbe il problema di imporre un modello nazionale a tutti gli Stati
membri. Non sarebbe un'assicurazione sociale alla Bismarck o alla Beveridge. Sarebbe una strada del XXI
secolo verso un'Europa sociale. C'è un'eccezione all'affermazione che un reddito di base non è ancora
entrato nella protezione sociale europea: l'erogazione di un sussidio universale alle famiglie per tutti i figli,
magari variabile per età, può essere vista come una forma specifica di reddito di base. Erogazioni del genere
sono comuni nei paesi Ue. Se la Ue vuole incamminarsi lungo la strada del reddito universale, il punto di
partenza naturale è di cominciare con un reddito di base europeo per i bambini. Una decina d'anni fa, il
Gruppo ad Alto Livello sul futuro della politica sociale in un'Unione Europea allargata fece una proposta
simile, come elemento di un possibile «patto intergenerazionale». In termini concreti, ciò può significare un
reddito di base in tutta la Ue per bambini, fissato, diciamo, al 10% del reddito mediano pro capite in ciascuno
degli Stati membri per ogni bambino. Sarebbe amministrato e finanziato, con clausole di sussidiarietà, da
ciascuno degli Stati membri. Un programma del genere - rifinito nei dettagli - permetterebbe all'Europa di
investire sul suo futuro. Quarantacinque anni fa, proponevo riforme al sistema di previdenza sociale
britannico che miravano a realizzare l'obiettivo di Beveridge di abolire la povertà. All'epoca credevo che il suo
Piano di assicurazione sociale , portato pienamente a compimento, fosse il percorso giusto da seguire. Non è
accaduto, e oggi, purtroppo, il problema della povertà rimane - in Inghilterra e in tutta l'Unione Europea. Quali
risposte possiamo dare alla ricerca di riformare il Welfare State europeo oggi? - La prima priorità è di riaffermare l'aspirazione a offrire previdenza sociale per tutti; - Partire da un tetto alla spesa per il Welfare è il
modo più sbagliato; abbiamo invece bisogno di partire da obiettivi sociali; - Il Welfare State deve adattarsi ai
radicali cambiamenti del mercato del lavoro e della società; - Ciò significa ripensare tutto a fondo, e da parte
mia propongo un «reddito di partecipazione» e un reddito di base in tutta l'Unione Europea per i bambini. Sto
di nuovo sognando? [Traduzione di Michele Sampaolo] © Eutopia
Sulla webzine «Eutopia» Anthony Atkinson, 70 anni, è uno dei maggiori economisti mondiali, docente alla
London School of Economics. L'articolo di cui qui anticipiamo un ampio stralcio sarà da domani online nel
nuovo numero tematico di Eutopia , la webzine di Laterza, dedicato al tema «Welfare: Why we need a social
Europe?» (www.eutopiamagazine.com). Intervengono alcuni tra i maggiori esperti europei, tra i quali Enrico
Giovannini, Maurizio Ferrera, Chiara Saraceno, Colin Crouch, Stephan Lessenich, Willem Adema, Eiko
Thielemann
Foto: TOBY MELVILLE/REUTERS Una manifestazione della campagna contro la povertà infantile, a Londra
nel 2008. Nel 1969 il tasso di povertà nel Regno Unito era del 14 per cento. Nel 2011 era salita al 16 per
cento
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La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Torna la voglia di comprare casa
SANDRA RICCIO
Il lungo inverno del credito pare alla fine. Dopo anni di gelata, specie sul fronte dei finanziamenti per la casa,
le banche stanno cambiando atteggiamento. Anche le famiglie, rimaste lontane dal mercato, riprendono
fiducia e tornano allo sportello. Merito del calo dello spread tra Btp e Bund, merito di quel flebile ottimismo
che sta ricomparendo e della timida ripresa economica, sta di fatto che il settore sta piano piano ripartendo.
Lo dimostrano i numeri contenuti nel Rapporto immobiliare, appena diffuso da Agenzia delle Entrate e Abi. I
dati dicono che, in questi primi tre mesi del 2014, i nuovi finanziamenti per l'acquisto delle abitazioni hanno
registrato un incremento superiore al 20% sullo stesso periodo del 2013. «Sul fronte dei mutui per le
abitazioni i segnali cominciano a essere positivi» è stato il commento del direttore generale dell'Abi Giovanni
Sabatini. Il cambio di passo si era visto già negli ultimi mesi dell'anno scorso con le banche che erano tornate
ad affacciarsi sul mercato e fare offerte più competitive per attirare clienti ma è solo in questa prima parte
dell'anno che c'è stata la vera accelerata. Ad arricchire le nuove offerte, sono comparsi poi nuovi servizi che
gli istituti hanno studiato per famiglie e giovani coppie che progettano l'acquisto dell'immobile. Del resto la
prima casa è l'obiettivo principale di cerca un finanziamento. È questa la finalità di quasi tutti quelli che
cercano un mutuo. Secondo i dati nei primi quattro mesi del 2014, ben il 64,2% delle richieste di finanziamenti
era rivolta all'abitazione principale mentre la domanda per la seconda casa si è fermata all'8,1%
(Osservatorio MutuiOnline.it). E la quota di capitale coperto dal muto sta di nuovo salendo: oggi si arriva
all'80% mentre nel periodo della crisi più acuta era ferma al 60% per quei pochi che riuscivano a ottenere il
prestito. Si fa strada poi una nuova tendenza. L'arrivo sul mercato di prodotti più vantaggiosi e a spread più
basso ha convinto molte famiglie a chiedere una surroga del proprio prodotto, rimasto fermo nel cassetto
negli ultimi tre anni soprattutto per mancanza di alternative migliori. «Il risparmio non è di poco conto - spiega
Roberto Anedda, Direttore Marketing di MutuiOnline.it - Oggi si arriva a un taglio che è tra un punto e un
punto e mezzo di tasso». Da gennaio ad aprile di quest'anno, la percentuale dei richiedenti di mutui per
sostituzione e surroga è raddoppiata, salendo al 20,4%. Nello stesso periodo del 2013 le rottamazioni erano
ferme al 10,4%. Anche l'erogato per questa tipologia di mutui vede una crescita di quasi 4 punti percentuali
rispetto allo stesso periodo, passando dal 5,1% del primo semestre 2013 al 8,8% di aprile 2014 (dati
Osservatorio MutuiOnline.it). «Alcuni, e non sono pochi, passano addirittura dal tasso fisso al variabile,
scommettono sul fatto che i tassi molto bassi di questo periodo resteranno a questi livelli per un bel po' di
tempo ancora», dice Anedda. E per l'esperto lo spread potrebbe scendere ancora, con molte offerte delle
banche che a partire dall'estate saranno sotto alla soglia del 2%.
I numeri chiave
+20
per cento I finanziamenti nei primi tre mesi per l'acquisto di abitazioni rispetto al primo trimestre 2013
80
per cento Il finanziamento che si ottiene rispetto al costo della casa. Nel pieno della crisi era solo il 60%
20,4
per cento I clienti che chiedono la sostituzione o la surroga Tale quota è raddoppiata rispetto al 2013
Speciale
LA STAMPA LUNEDÌ 19 MAGGIO 2014
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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DOSSIER MUTUI
19/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
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Massimo Giannini
Non bastava l'Eni, già squassata dalle torbide inchieste su Saipem e dai rumors al veleno sulla Russiaconnection con «l'amico Putin». Adesso tocca pure a Finmeccanica, macchiata anche peggio dai vecchi
traffici della magnifica «coppia» Guarguaglini-Grossi, dalle più fresche trame neo-piduiste di Giuseppe Orsi e
dallo scandalo delle mazzette sugli elicotteri indiani. Le assemblee dei due gruppi ex pubblici hanno dunque
bocciato, in rapida e armoniosa sequenza, la cosiddetta «clausola di onorabilità». Una regola introdotta un
anno fa dall'allora ministro Saccomanni, che disciplina le cause di decadenza e ineleggibilità degli
amministratori. E che è stata respinta - prima all'Eni, poi a Finmeccanica e a questo punto prevedibilmente
anche all'Enel nell'assemblea di giovedì prossimo - soprattutto grazie al voto dei fondi e degli investitori
internazionali, che hanno mandato in minoranza il rappresentante dell'azionista Tesoro. Qui non si tratta di
contrapporre moralismo a garantismo. Ma questo blocco che vede una volta tanto ricongiunti l'establishment
e il mercato è quasi uno «scandalo tra gli scandali». È legittima la preoccupazione degli investitori, che non
vogliono vedere compromessa la continuità aziendale per le tante e troppe inchieste che coinvolgono e
spesso travolgono le Spa tricolori. È vera la frase di Paolo Scaroni, dettata ai posteri prima di lasciare la sua
poltrona tra polemiche e laute buonuscite: queste regole non esistono in nessun altro Paese del mondo. Ma
bisognerà pure tener conto di cosa è accaduto in queste aziende, in questi anni. E bisognerà pur tener conto
di che Paese è l'Italia, precipitata agli ultimi posti nella classifica di Transparency International. Le
Tangentopoli di casa nostra giustificano un po' più di rigore, rispetto a nazioni che, almeno in Occidente, si
dimostrano meno ammorbate dalla criminalità economica e comunque più capaci, se non di prevenirla,
almeno di punirla. La «clausola di onorabilità», voluta dal governo Letta e rilanciata dal governo Renzi, è
sufficientemente rispettosa della presunzione d'innocenza. L'ineleggibilità e la decadenza degli amministratori
non scatta in presenza di un semplice avviso di garanzia, che per troppi anni e in troppi casi è stato
trasformato quasi automaticamente in un giudizio sommario di colpevolezza. Ma solo in caso di rinvio a
giudizio o di «emissione di una sentenza di condanna anche non definitiva», per violazione delle norme
sull'attività bancaria e finanziaria e per delitti contro la Pubblica amministrazione. Una norma abbastanza
garantista, non così persecutoria. Ma neanche questa va bene, in un'Italia in cui i potenti tendono a blindarsi
secondo la nota regola di Frank Underwood, cinico eroe televisivo di House of Cards: «il potere è come il
mercato immobiliare, ciò che conta è la posizione». [email protected]
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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L'ONORABILITÀ DEI MANAGER SECONDO UNDERWOOD
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La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
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(diffusione:581000)
finanza e borsa Cnh, l'ombra del debito frena la corsa di Tobin e Marchionne Paolo Griseri a pagina 15
Alessia Gallione
Milano Il cantiere ferito dagli scandali se ne sta sdraiato tra Milano e la Fiera di Rho-Pero. Il "pesce" lo hanno
chiamato per la sagoma irregolare di quel milione di metri quadrati scelto per costruire la cittadella di Expo.
Un gigante di terra circondato dalle autostrade e dai binari della ferrovia, sei gru che disegnano l'orizzonte, un
incrocio di ruspe, camion e operai che si perdono in quella distesa. Ci vuole ancora molta immaginazione per
sovrapporre le immagini scintillanti del progetto disegnate al computer con quelle dei lavori in corso.
Qualcosa si inizia a vedere: le enormi virgole bianche delle vele che copriranno il viale centrale lungo un
chilometro su cui si affacceranno gli edifici dei Paesi ospiti e che, in questo momento, sono arrivate a metà
strada; tre scatoloni di cemento destinati a trasformarsi nel media center e in un padiglione in cui si parlerà
del cibo del futuro; i rettangoli dei vani scale e ascensori degli spazi di servizio disseminati un po' ovunque,
lingue di asfalto e qualche sparuto albero piantato a guardia dei confini, lo scavo del canale che circonderà
tutta l'area. E scavi, altri scavi. Perché per la maggior parte delle opere siamo ancora alle fondamenta. È per
questo che bisogna venire fin qui per capire a che punto sia l'Expo. E se ce la farà a riprendersi dalle batoste
delle inchieste giudiziarie. segue a pagina 2 segue dalla prima Bisogna vederlo, il cantiere di Expo dove già
oggi si dovrebbe lavorare a ritmo di 20 ore su 24. E che adesso deve ricominciare a correre. Perché la bufera
è arrivata quando manca meno di un anno al via (si apre il 1 maggio 2015 fino al 31 ottobre) e quando sul sito
stanno entrando i Paesi per costruire i loro padiglioni: Italia e Germania hanno iniziato; per un'altra decina
siamo agli scavi di base; la maggior parte partirà tra giugno, luglio e settembre. Per farcela, bisognerà
recuperare il tempo perduto, i giorni buttati per le piogge incessanti. Ma anche semplificare il più possibile il
progetto e rinunciare a tutto ciò che è "superfluo". È di questo piano anti-ritardi che il commissario unico del
governo Giuseppe Sala si occuperà insieme a Marco Rettighieri, il dirigente di Italferr con un (recente)
passato legato alla Tav, scelto per sostituire Angelo Paris, il responsabile del settore costruzioni arrestato. La
ripartenza di Expo inizia da qui. Con tanti fronti da presidiare e dossier da chiudere: dal rischio che i costi
delle gare già vinte salgano; ai 200 milioni di commesse ancora da affidare e su cui d'ora in poi vigilerà anche
Raffaele Cantone, il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione chiamato dal premier Matteo Renzi
dopo l'allarme. IL BUDGET È anche così che, fin dall'inizio dell'avventura nel 2008, ha marciato Expo.
Snocciolando cifre da capogiro, disegnando i contorni della «grande occasione». Un budget che, sotto i venti
della crisi, è stato assottigliato nel 2011 con un taglio da 300 milioni. Ma che continua a rappresentare una
torta (già in parte distribuita) importante. Perché per costruirla, quella cittadella, verrà investito 1 miliardo e
300 milioni di soldi pubblici (di questi 833 milioni arrivano dal governo). Quella dei fondi è una delle partite
aperte. Il governo si è impegnato a versare altri 60 milioni entro l'assemblea dei soci di inizio giugno per
coprire la quota della Provincia di Milano che ha fatto un passo indietro; ora bisognerà sciogliere il nodo di
altri 60 milioni che la Camera di Commercio ha difficoltà a versare in coerenza con la propria mission. E poi
c'è la caccia agli sponsor (Fiat, Telecom, Samsung Enel, Intesa San Paolo, Accenture, Selex), che finora ha
portato a 350 milioni privati. Nell'Esposizione che ha già superato il record di Shanghai 2010 per gli stand
costruiti autonomamente dalle Nazioni, però, (siamo a 60; in tutto sono 147 le adesioni), si deve aggiungere
un altro miliardo che gli Stati spenderanno per realizzare e poi gestire i loro spazi. A partire da colossi come
Cina, Germania ed Emirati Arabi. Altri 11,5 miliardi sono quelli previsti per strade, autostrade e metropolitane
attese da tempo in Lombardia: erano state agganciate alla locomotiva del 2015 sperando di accelerarne la
marcia. Già oggi, se si considerano una dozzina di voci principali, la metà non riuscirà ad arrivare in tempo.
L'INDOTTO La promessa era quella: occupazione, investimenti, un elettrochoc per l'economia. Stando a una
ricerca dell'Università Bocconi, per dire, l'Esposizione sarebbe in grado (dal 2012 al 2020) di generare
191mila posti di lavoro (non necessariamente tutti nuovi), un indotto economico in tutta Italia - a partire dal
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Milano, quel che resta dell'Expo
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La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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turismo messo in moto dai 20 milioni di visitatori - da 24,7 miliardi e 10,5 miliardi di valore aggiunto. Cosa è
successo finora? LE GARE E GLI "EXTRA-COSTI" Expo spa ha aggiudicato gare per quasi 800 milioni di
euro. Un totale che comprende tutto, dalla costruzione dell'area e dei collegamenti diretti che rappresentano
l'86 per cento di quella cifra, a forniture di beni e servizi. La sfida ora è anche fare in modo di limitare quelle
che in termine tecnico si chiamano "riserve": i soldi in più chiesti dalle aziende vincitrici per contestazioni o
punti non previsti nei contratti. Le prime ruspe a entrare nel 2011 nell'area sono state quelle della Cmc, il
colosso delle cooperative che ha strappato l'appalto per ripulire i terreni e prepararli: oggi è stato compiuto
quasi l'80 per cento del cammino. Un avvio segnato dalle polemiche per il ribasso d'asta: il 42 per cento in
meno. Il prezzo iniziale di 58 milioni, però, è cresciuto a 98, con varianti e opere aggiuntive. È quello che
rischia di accadere per la commessa più sostanziosa, quella della cosiddetta "piastra": arrivata quasi a metà,
che racchiude l'ossatura di base del sito espositivo. Anche in questo caso lo "sconto" proposto dalla cordata
di imprese capitanate dalla Mantovani, gigante veneto del Mose di Venezia, è stato importante: 165 milioni il
conto finale, quasi 100 milioni in meno rispetto alla base d'asta. Già oggi, nel tentativo di recuperare tempo e
anticipare scavi di altri pezzi del mosaico si è arrivati a 197 milioni: 32 in più che, però, verranno "recuperati"
dagli altri appalti. Il problema vero sono le "riserve" che Mantovani ha presentato: 120 milioni extra, che
comprendono anche una sorta di "premio di accelerazione". Expo spa inizierà una battaglia per ridurre il più
possibile la pretesa e, anche su questo fronte, il commissario Sala si farà affiancare da Cantone. C'è un
ultimo nodo da sciogliere che incrocia l'inchiesta: nel mirino sono finiti due appalti aggiudicati alla Maltauro
(l'imprenditore Enrico Maltauro è stato arrestato insieme alla "cupola"): 55 milioni per costruire le
"infrastrutture di servizio" (spazi per i ristoranti, servizi igienici e per i visitatori) e un pezzo delle Vie d'acqua
(42 milioni). Quest'ultima opera, un canale che collegherà i padiglioni ai Navigli di Milano contestato dai
comitati cittadini, è ancora al palo. E per il fermo forzato la ditta ha presentato un conto "danni" da oltre 13
milioni. La domanda a cui Expo sta cercando di rispondere, però, è: c'è qualche possibilità di affidare ad altri i
lavori, allontanando le ombre? I BANDI DA LANCIARE Il magistrato anticorruzione avrà soprattutto un
compito. Affiancare Expo spa nelle procedure delle prossime gare. Si tratta di oltre 120 milioni che riguardano
i servizi per far girare la macchina durante i sei mesi di evento. Le voci principali riguardano capitoli come la
gestione delle biglietterie e dei ristoranti, le pulizie del milione di metri quadrati, la sicurezza, la manutenzione.
Accanto a questi, è già in corso la ricerca di sponsor ufficiali che possano occuparsi della fornitura di ricerche
e marketing, del sistema di navette e parcheggi attorno all'area, della distribuzione delle bevande, di una
compagnia aerea che allestisca aree lounge e sviluppi offerte per i visitatori. Vietati ulteriori passi falsi.
Davanti all'esigenza di imboccare la corsia veloce per finire in tempo, però, Expo spa ha chiesto una deroga
in più al governo. Un potere che si aggiungerebbe a quelli di accelerazione che ha già Giuseppe Sala come
commissario unico: affidare in via diretta - senza appalti - a Fiera Milano l'allestimento interno di alcuni
padiglioni. Una partita che vale altri 70-80 milioni di euro. LE INFRASTRUTTURE CONNESSE C'è un
capitolo ancora più critico. È quello che riguarda tutte le infrastrutture che sono state collegate in qualche
modo a Expo. Le faraoniche previsioni del 2008 sono state ridotte, ma anche così molte opere non
riusciranno a centrare l'obiettivo. Tra mancanza di fondi, ricorsi, proteste del territorio, problemi burocratici. Si
parte con le nuove metropolitane: una, la M6, era stata cancellata addirittura nel 2009. La linea 4, attesa da
anni a Milano, non ci sarà neppure nella versione minima di due fermate. I lavori sono iniziati ma, ormai, tutti i
14 chilometri e le 21 stazioni arriveranno non prima del 2021. C'è la M5 a risollevare la situazione: il primo
spezzone è già funzionante; il secondo verrà completato, anche se non tutte le fermate saranno inaugurate
per l'evento. L'infrastruttura più in sofferenza è l'autostrada Pedemontana, la più costosa inserita nel
pacchetto (oltre 4 miliardi), quella più in crisi per le risorse da trovare: per Expo ci sarà solo un primo tratto su
70 chilometri previsti, il resto nel 2017. Pronta entro l'estate, invece, la Brebemi, la nuova direttissima MilanoBergamo-Brescia, e il cosiddetto "arco Tem", lo spezzone centrale della Tangenziale Est Esterna che, poi,
dovrebbe essere conclusa nel 2015. Tra le strade, la rincorsa più disperata è quella della Rho-Monza, dieci
chilometri ritenuti però indispensabili per la manifestazione: solo una tratta e poco più risponderà all'appello.
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La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Bilancio negativo per le ferrovie: il potenziamento della linea Rho-Gallarate (vicino al sito espositivo) è stato
fermato da un ricorso: tutto da rifare. Il collegamento tra il terminal 1 e il terminal 2 dell'aeroporto di Malpensa
ci sarà, ma non per i turisti del 2015. Se ne riparlerà nel 2016. LA SFIDA DEL POST EXPO Ma cosa sarà di
quell'area quando i padiglioni saranno smantellati? Arexpo, la società proprietaria dei terreni in cui Comune di
Milano e Regione Lombardia sono soci di maggioranza, deve lanciare a giugno un bando internazionale in
due tempi. Obiettivo: incassare 300 milioni e trovare uno sviluppatore. Perché quel milione di metri quadrati è
stato acquistato (bisogna restituire alle banche 160 milioni di prestiti) e non solo si dovrà rientrare dei costi,
ma anche decidere cosa diventerà. È stato promesso un grande parco tematico, il Milan si è fatto avanti per
costruire un nuovo stadio. Tutto il resto è ancora da inventare. S.DI MEO
[ AL VERTICE ]
Qui sopra, Giuseppe Sala (1), commissario unico del governo per l'Expo e Marco Rettighieri (2) nuovo
responsabile del settore costruzioni
Foto: Qui sopra, Reffaele Cantone (1) presidente dell'Autorità anticorruzione, chiamato dal premier Matteo
Renzi (2) a vigilare sui lavori dell'Expo Nelle tabelle in pagine lo stato di avanzamento dei lavori per l'Expo
Foto: Nella foto, un'immagine dello stato attuale dell'area in cui sorgerà l'Expo: siamo tra Milano e la zona di
Rho-Pero dove sorge la Fiera
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La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
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Perché volano i partiti antieuro
Stefano Micossi
Domenica si vota per il Parlamento europeo. Per una volta, nella campagna elettorale si parla molto di
Europa, ma contenuto e toni della discussione non sono rassicuranti: è in atto un assalto populista alle
ragioni dello stare insieme che probabilmente condurrà in parlamento un trenta per cento di esponenti di
forze politiche contrarie all'Europa e all'Euro. L'errore più grande sarebbe vedere questa opposizione come
un evento esogeno, indipendente dalle politiche che si sono seguite. segue a pagina 10 segue dalla prima È
assolutamente vero che le politiche comuni hanno aggravato la crisi economica e finanziaria e ora faticano a
risolverla, lasciandoci un'eredità pesante di bassa crescita, disoccupazione e sofferenza sociale, debiti
pubblici stratosferici. Serve una svolta. Sappiamo bene che nella periferia dell'eurozona gli squilibri di bilancio
sono il riflesso di strutture economiche mal funzionanti che deprimono la produttività e innalzano i costi; il
credito facile, favorito da un eccesso di fiducia nell'euro e da banche imprudenti, ha alimentato dannose bolle
immobiliari e sostenuto imprese inefficienti. Ma la crisi del debito sovrano e il collasso dei finanziamenti crossborder che hanno precipitato l'eurozona in recessione dopo il 2010 furono il prodotto di gravi errori di
comunicazione che generarono paure di default dei paesi più indebitati. La parabola degli spread sul bund
tedesco è rivelatrice: iniziarono ad allargarsi dopo l'annuncio, a Deauville (ottobre 2010), che i creditori privati
avrebbero subito perdite sui debiti sovrani, che fu la prima miccia del contagio; esplosero con il secondo
pacchetto di salvataggio della Grecia (estate 2011), che applicò quell'impostazione; si sono invertiti dopo
l'annuncio della BCE di esser pronta a fare "tutto quel che serve" per arrestare la crisi (estate 2012), tendono
ad annullarsi con la fine del timore di uscite dall'euro. Nel frattempo, molto è stato fatto per rafforzare la
disciplina di bilancio e dotare l'eurozona di strumenti di gestione delle crisi; ma si è anche accumulata una
corrosiva sfiducia tra i paesi membri e verso le istituzioni comuni - in primo luogo la Commissione europea,
vista "nel Nord" come il difensore di una politica di trasferimenti "al Sud" dissipatore, "nel Sud" come il veicolo
di disastrose politiche di austerità imposte nell'interesse "del Nord". E' la sfiducia tra i paesi membri che
obbliga Draghi, in attesa delle elezioni, ad acrobazie verbali invece che interventi, ritardando le doverose
misure espansive; che ha affondato ogni ipotesi di condividere il rischio dei debiti sovrani; che ha impedito
l'accordo su un meccanismo sovranazionale di assicurazione dei depositi e ha fatto rinviare di otto anni la
mutualizzazione dei rischi del Fondo comune di risoluzione delle banche. Se non si ricostruisce la fiducia, le
politiche comuni continueranno ad essere zoppe. Occorre ricostruire un consenso sugli obiettivi delle politiche
economiche comuni, nell'ambito di un processo decisionale credibile per assicurarne l'attuazione anche dopo
la fine dell'emergenza. L'accordo sugli obiettivi non può che basarsi su uno scambio rinnovato tra disciplina di
bilancio (senza sconti) e riforme strutturali, da un lato; interventi di sostegno alla domanda e all'investimento,
a livello europeo e nazionale, dall'altro. Senza crescita, la sostenibilità economica e sociale dell'euro non è
assicurata: dunque, le misure di sostegno alla crescita devono essere significative. Le cose da fare non
mancano, incominciando dagli investimenti per completare le reti infrastrutturali energetiche, di trasporto e di
comunicazione, in un contesto di vera apertura del mercato interno; i quali possono essere più largamente
finanziati con i project bond, già proposti dalla Commissione per la linea Connecting Europe, il raddoppio (da
due a quattro) del coefficiente di leva sul capitale della BEI; l'abbassamento dal 50 al 25 per cento del
coefficiente di contribuzione nazionale per l'utilizzo dei fondi strutturali, a sostegno degli adattamenti nel
mercato del lavoro e nelle strutture industriali. E poi, capitale umano e ricerca in gran quantità, perché lì sono
i grandi buchi delle nostre economie. Il quadro per le decisioni può essere costruito con quegli accordi
contrattuali che la signora Merkel vedeva come strumento per rafforzare la disciplina sui paesi dell'austerità, e
che invece possono diventare lo strumento comune per l'apertura e la modernizzazione dell'economia
europea: sulla base di impegni simmetrici assunti da tutti i paesi nell'ambito del Consiglio europeo, su
proposta della Commissione. La legittimazione democratica degli impegni sarebbe rafforzata
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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[ I COMMENTI ]
19/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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dall'approvazione dei parlamenti nazionali e del parlamento europeo. L'Europa non può contentarsi di tassi
medi di crescita della domanda interna e della produttività dell'1 per cento, o dovrà rassegnarsi al continuo
peggioramento degli standard di vita; non potrà riassorbire la disoccupazione, ridare speranza ai giovani.
L'obiettivo di una crescita più alta non è irraggiungibile, purché si adottino decisioni conseguenti, dal lato
dell'offerta e da quello della domanda. La presidenza italiana dell'Unione offre l'opportunità per lanciare
questa sfida ambiziosa - fondando sulla credibilità delle riforme fatte in casa la richiesta all'Europa di mutare
rotta.
19/05/2014
Corriere Economia - N.18 - 19 maggio
2014
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Le (in)certezze che non aiutano la crescita
DAniele manca
Una delle condizioni, la più importante, affinché un Paese possa crescere, è quella di avere delle certezze.
Singoli provvedimenti, per quanto buoni ed efficaci, se inseriti in un continuo modificarsi della situazione
legislativa e soprattutto fiscale, rischiano di avere effetti momentanei e poco significativi. Giusto tentare di far
arrivare più euro in tasca a chi ha bassi redditi, ma se a questo si accompagnano ipotesi su nuove misure
fiscali o nuove scadenze, si vanificherà l'effetto di quell'iniezione di denaro. Non è quello che sta accadendo
con gli 80 euro mentre regna la poca chiarezza sulla Tasi, l'imposta sui servizi legata alle case? La frenata
del Prodotto interno lordo nel primo trimestre di quest'anno ha fatto tornare nubi consistenti sull'orizzonte del
nostro Paese e ha spinto di nuovo verso l'alto lo spread con i titoli di Stato tedeschi. I due settori che più
hanno influito sono stati l'energia (a causa di un inverno mite) e proprio l'edilizia che sembra non riuscire
minimamente a riprendersi. È difficile che ciò accada quando la riduzione fiscale appare come temporanea,
destinata a non ripetersi nei prossimi anni. Eppure da parte degli italiani questa voglia di tornare a investire è
testimoniata dall'andamento del mercato dei mutui che in aprile hanno visto una ripresa della domanda del
12,6%. Una buona notizia che dovrebbe far comprendere quanto la fiducia in orizzonti meno bui sia decisiva
nelle scelte dei cittadini. Ma quanta fiducia possono alimentare le recenti decisioni sul risparmio? Si pensi
solo all'imposta di bollo sui depositi titoli. È passata da 34 euro fissi, allo 0,10%, poi allo 0,15% e ora allo
0,20%. La tassazione sui redditi da capitali e diversi salirà a luglio al 26%. Si tratta di imposte su tutti i
patrimoni che andranno avanti negli anni, dureranno nel tempo. Segnali precisi verso i risparmiatori. Se il Pil
frenerà ancora, e la crescita attesa non dovesse realizzarsi, che effetti si avranno sui conti pubblici? Siamo
certi che non si ricorrerà ancora una volta al Fisco per rimediare? Se tagliare le tasse appare impossibile in
questo Paese, si inizi almeno a promettere di non alzarle.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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IL PUNTO
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L'export soffre troppo
Valeria Patanè Class Cnbc
Un cambio dell'euro di poco inferiore a 1,4 contro il dollaro Usa adesso fa paura anche ai grandi nomi del
made in Italy. Tanto che Michele Norsa, amministratore delegato di Salvatore Ferragamo, uno dei leader del
fashion italiano, in questa intervista esclusiva a Class Cnbc auspica che la Bce modifichi in senso espansivo
la politica monetaria. Insomma che faccia qualcosa per arginare la forza della moneta unica, che sta
rendendo la vita difficile, in termini di fatturato e redditività, a tutte le aziende italiane che vivono di
esportazioni mentre la domanda sul mercato nazionale stenta a ripartire. Per questo Norsa fa grande
affidamento all'aumento dei flussi turistici verso l'Italia. Facendo il tifo perché Etihad e Alitalia arrivino
finalmente a un accordo. Domanda. I vostri risultati sono stati buoni ovunque nel mondo. Ma quanto i timori di
una deflazione in Europa possono pesare sul vostro business? Risposta. La nostra maggiore preoccupazione
è la forza dell'euro. I nostri conti ne sono fortemente influenzati. Abbiamo visto una differenza del 2% a livello
di ricavi tra cambi correnti e cambi costanti. Sicuramente anche la redditività per un gruppo come il nostro,
che produce interamente in Italia e fatture in euro, ne risente. E non è solo una debolezza del dollaro, ma
anche dello yen e delle altre valute dei Paesi emergenti D. Quali sono le vostre aspettative in proposito? R.
Noi come tante altre aziende ci aspettiamo che la Bce modifichi la propria politica al fine di indebolire la
moneta unica sui mercati internazionali. Per l'Europa, per il nostro settore e tutti gli altri comparti trainati dalle
esportazioni questa grande forza della moneta unica, che ormai dura da qualche anno, è forse il fenomeno
più preoccupante. C'è effettivamente bisogno di contromisure che pongano rimedio a questo stato di cose. D.
Un altro mercato molto importante per voi ma recentemente soggetto a forti tensioni geopolitiche è la Russia.
In che misura l'applicazione di sanzioni al Paese in seguito alla crisi con l'Ucraina può incidere sul vostro
business? R. Effettivamente i russi erano i primi o secondi acquirenti insieme ai cinesi di prodotti di lusso in
tutti i Paesi europei. I russi in realtà appaiono in una doppia veste, di viaggiatori ma anche di residenti in
Europa occidentale. In questo secondo caso di tratta di titolari di grandi fortune. Non credo che questo tipo di
clientela sia sparita. Probabilmente le preoccupazioni relative all'andamento delle borse e alla debolezza del
rublo hanno inciso, ma dovrebbe essere un fenomeno temporaneo. Parliamo dei clienti che spendono di più
in beni di lusso. Non a caso stiamo procedendo a nuove aperture di negozi a Mosca. D. Ferragamo ha
puntato molto sul mercato nordamericano, senza però ottenerei risultati sperati.È stato per colpa delle cattive
condizioni atmosferiche, come sostiene la Yellen, o hanno giocato altri fattori, come prodotti non ben centrati?
R. Nel primo trimestre sono stati persi tre-quattro fine settimana per colpa delle tempeste di neve sulla costa
Est. Sicuramente ciò ha pesato ma se uno guarda ai numeri dei periodi non influenzati dal maltempo si rende
conto che una crescita a doppia cifra a fine anno non è un obiettivo irragionevole. Gli Stati Uniti da questo
punto di vista rappresentano uno dei mercati più affidabili, cioè meno soggetti a forti oscillazioni della
domanda. D. In ogni caso il primo trimestre si è concluso in positivo per il suo gruppo, con ricavi per 299
milioni di euro, aumento del 6% sul primo trimestre 2013,e tutti gli indicatori di redditività in progresso. R. Sì,
un buon primo trimestre, considerato che questo anno non sarà come quella degli ultimi tre anni, con crescita
a doppia cifra e forti espansioni nei mercati emergenti. Il settore è molto vitale, e ben diversificato sul piano
geografico, e noi copriamo bene sia i Paesi emergenti che quelli maturi. D. A fare la parte del leone nei vostri
volumi di vendita è stata ancora una volta l'area Asia-Pacifico che continua a trainare i vostri risultati. R.
L'Asia, e in particolare la Cina, offrono una grande potenziale di crescita tramite le grandi strutture come gli
aeroporti e gli shopping mall, dove sono in programma numerose nuove aperture.. I cinesi viaggiano sempre
di più, in Giappone, in Corea e Australia, alimentando il mercato del lusso. Poi, oltre alla Cina, sono
interessanti il Sudest asiatico, e la Corea si sta riprendendo. D. Pensate di servire questi mercati con vostri
negozi? R. In Asia il modello di distribuzione non è lo stesso che in Occidente, dove domina il negozio
multimarca. Il lusso cresce negli shopping mall, dove sono presenti i marchi più forti. D. L'Italia si è
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intervista MADE IN ITALY
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confermata l'anello debole. Quali sono le previsioni su questo mercato per i prossimi trimestri? R. La nostra
clientela è in gran parte formata da viaggiatori.I passeggeri internazionali sono cresciuti del 6% nei primi due
mesi dell'anno. E sono buone le previsioni sui flussi dall'America Latina. Certo i consumi nazionali sono
abbastanza stagnanti in tutta Europa. Forse solo la Germania e Londra fanno eccezione. L'Italia ha bisogno
del turismo. Per questo vediamo con favore e speranza l'eventuale accorda tra Etihad e Alitalia, che
aumenterebbe l'afflusso di viaggiatori asiatici verso il nostro Paese. (riproduzione riservata)
Foto: Michele Norsa
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Paoncelli: marginale l'impatto di un Qe sul supereuro
Valeria Patanè - Class Cnbc
Il cambio euro-dollaro è una delle maggiori preoccupazioni degli operatori di mercato ed è anche uno dei
problemi che Mario Draghi dovrà affrontare a giugno, nella prossima riunione della Bce. Quanto ai problemi
legati a un euro troppo forte, il presidente della Banca centrale europea ha aperto a «misure non
convenzionali». Ma l'analista finanziario Riccardo Paoncelli, fondatore di Intermedia, non crede che un
quantitative easing, da molti invocato, possa influenzare in modo decisivo un fenomeno più ampio, che
riguarda la politica della Fed e le scelte degli investitori internazionali. Domanda. Crede che il meeting di
giugno della Banca centrale europea avrà delle conseguenze sul cambio euro-dollaro? Risposta. Il mercato
dei cambi è talmente grande che qualunque decisione di qualsiasi banca centrale difficilmente riuscirà a
influenzarlo. Il vero problema è che nel mondo ci sono molti più dollari che euro. Nonostante la crisi,
l'economia dell'Eurozona è una delle più forti del mondo. Finora è successo che gli investitori internazionali
hanno acquistato euro per essere presenti sui mercati del continente, perché interessati a economie nazionali
sottovalutate. Ma le cattive performance di Piazza Affari e delle borse europee dell'ultima settimana fanno
capire quanto questi investimenti siano volatili. Questi investitori sono basati negli Stati Uniti o comunque
hanno i loro attivi denominati in dollari, e così l'enorme massa di liquidità rovesciata sui mercati mondiali dalla
Fed negli ultimi quattro anni non ha fatto altro che rendere ancora più instabile l'andamento dei prezzi nelle
borse europee. I fondi hanno comperato dove c'era da fare profitti rapidamente: non sono operatori che
aspettano, non appena il mercato dà segni di flessione sono pronti a liquidare e andar via. Sappiamo
benissimo che il cambio euro-dollaro è nettamente influenzato dalla politica monetaria espansiva della Fed. E
qualunque intervento della Banca Centrale Europea influenzerà solo in misura marginale il cambio. D. E un
quantitative easing alla Draghi? R. Bisogna ancora capire se ci sarà, che forme avrà e quanto durerà, ma si
può stimare un ritracciamento dell'euro fino a quota 1,33, non penso di più. Il vero cambio di rotta è uno solo:
l'introduzione degli eurobond. Qualunque altra misura non è che un palliativo. D. Ma quale sarà la prossima
mossa di Mario Draghi? R. Mi aspetto che continui a fare ciò che ha fatto finora, delegando ogni azione al
sistema bancario europeo, che non è ancora riuscito a trovare un meccanismo di coordinamento. Così
continua ad andare avanti a colpi di stress test o a ventilare politiche di unione bancaria. In sintesi, la Bce
elargirà ancora fondi alle banche continentali a tassi inesistenti, sperando che queste li distribuiscano
sull'economia reale e non si limitino a investirli nei titoli di Stato dei Paesi a cui appartengono. Finora il
contraltare di questa politica è stato un'enorme crisi dell'edilizia, che ormai non coinvolge solo Italia e
Spagna. La crisi del settore immobiliare e delle costruzioni ora tocca anche la Francia. Come osservatore dei
mercati, devo dire che non è stato fatto nulla per risolvere una crisi che avrebbe invece delle soluzioni, non
vorrei dire banali, ma certo non impossibili. E che una politica economica oculata avrebbe già dovuto mettere
in atto. D. È vero che l'inverno mite è una delle cause dei cattivi risultati trimestrali dei pil italiano e
statunitense? R. È surreale che si debba parlare di macroeconomia invocando il clima. Anche Yanet Yellen,
alla presidenza della Fed da febbraio, ha fatto questo errore. Giovedì, quando sono stati presentati i dati
macroeconomici trimestrali degli Stati Uniti, ha parlato di «un'incidenza climatica nel primo trimestre
americano». Ma la verità è un'altra, e la Yellen non ha il coraggio di dirla: la crescita degli Stati Uniti, generata
dalla grande iniezione di liquidità della Fed negli ultimi 5 anni, non crea occupazione. Questo è il vero
problema: abbiamo assistito a una ripresa guidata dai settori tecnologici e d'avanguardia, ma è una ripresa
senza occupazione o comunque con una produzione di posti di lavoro molto più contenuta di quella degli
ultimi 40 anni. E nessuno riesce a dare una risposta. Questo modello di sviluppo sta mettendo in crisi il
sistema finanziario americano, perché si trova a dover investire in imprese il cui valore industriale è
impossibile o comunque difficile da misurare. E in un'economia che cresce solo con questo tipo di imprese è
un bel problema. (riproduzione riservata) ha collaborato Vincenzo Scagliarini
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INTERVISTA
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Bce più forte della Fed? La vogliono tutti. A parole
Angelo De Mattia
Dall'epoca della trasformazione dell'Istituto monetario europeo in banca centrale mai come in queste giornate
pre-elettorali si è parlato tanto della Bce. In diversi programmi per il voto del 25 maggio si evidenzia l'intento
di battersi per la trasformazione dell'Istituto di Francoforte in una banca prestatrice di ultima istanza dei Tesori
dei diversi Paesi dell'Unione Economica e Monetaria; insomma, una banca finanziatrice dei debiti sovrani. In
altri programmi si vorrebbe che la Bce avesse come mandato non soltanto il mantenimento della stabilità dei
prezzi ma anche il sostegno all'economia e all'occupazione, non più subordinatamente al raggiungimento del
primo obiettivo come oggi prevede espressamente il Trattato Ue. In generale, l'intento prevalente è quello di
fare dell'Istituto di Francoforte una Federal Reserve all'europea. Naturalmente quest'ultima è tale con una
storia centenaria alle spalle - il suo ordinamento ebbe come punto di riferimento quello già consolidato della
Banca d'Italia - ed è collocata in un complesso sistema istituzionale qual è quello Usa, fondato su «pesi e
contrappesi», non raffrontabile con la Ue, anche se si volesse prescindere dalle questioni attinenti i caratteri
di una federazione o di una confederazione di Stati. L'evoluzione dei poteri monetari della Bce viene
auspicata, mentre progredisce, sia pure con lacune, il disegno della nuova architettura di Vigilanza bancaria
fondata innanzitutto sulla centralizzazione dei controlli sulle 128 banche di rilievo europeo. A tal proposito va
ricordato che al momento della costituzione della Bce e negli anni successivi la Vigilanza bancaria era
ritenuta rigorosamente esclusa dai compiti di quest'ultima e si discuteva se e in quale misura fosse possibile
attivare la procedura prevista dal punto 6 dell'articolo 127 del Trattato Ue, che consente di trasferire all'Istituto
compiti specifici di Vigilanza prudenziale. La via imboccata per il progetto di Unione bancaria si fonda invece
su un accordo intergovernativo che abbandona l'approccio comunitario. Tornando alla politica monetaria,
l'altra questione che soprattutto in queste settimane viene sollevata è quella dell'euro forte e della necessità
che la Bce intervenga per attutirne la forza, presupponendo che essa abbia poteri pure in materia valutaria e,
nello specifico, nella tutela di un determinato tasso di cambio, campo, questo, che invece è di competenza
dei governi, i quali però mai finora sono intervenuti al riguardo. Anzi, si è verificata la paradossale situazione
che i membri dell'Eurogruppo, riuniti per le periodiche sedute, hanno preferito non esprimersi
dettagliatamente sul cambio, erroneamente ritenendo che questa sia materia di competenza della Bce. In
definitiva, se si sommano le diverse richieste politiche e tecniche, la Bce dovrebbe essere dotata di poteri per
il sostegno dell'economia, dell'occupazione, per il finanziamento del debito sovrano e per gli interventi sul
cambio. Potrebbe scaturirne addirittura un organismo con poteri maggiori di quelli della Federal Reserve. Se
a ciò si aggiungono le competenze, sia pure mediate con altri organi, in materia di Vigilanza, ne deriverebbe
la banca centrale più potente a livello mondiale, quantomeno per il suo ordinamento. Certo, sarebbe lontana
da come prefigurata dall'accordo originale franco-tedesco (Kohl-Mitterand), che prevedeva una Bce da
costituire secondo l'identikit della Bundesbank (che non aveva l'insieme dei poteri testè indicato), con sede in
Germania ma con alla presidenza un non-tedesco. La realizzazione di un'architettura del genere appare
assai difficile per i contrasti che si manifesterebbero subito, non appena si avanzasse l'idea della revisione
del Trattato, innanzitutto ad opera della Germania. L' aspetto sul quale si potrebbe tentare di lavorare
potrebbe essere quello di far salire di rango il sostegno all'economia dell'Eurozona da parte della Bce (con il
che si intende anche all'occupazione). Del resto, si è visto che, tendendo le potenzialità del mandato conferito
alla Bce entro ai suoi confini, si è riusciti a deliberare il possibile ricorso alle operazioni Omt, quelle di
acquisto illimitato e condizionato di titoli pubblici, fin qui peraltro mai attuate. In effetti, se per ipotesi avesse il
potere di finanziare il debito sovrano, certamente la Bce non interverrebbe senza porre precise condizioni ai
propri interventi. Insomma, pur pendente la decisione della Corte di Giustizia Europea - adita dalla Consulta
tedesca - vi sono sufficienti ragioni perché l'ammissibilità di queste operazioni non venga messa in dubbio,
con il che il versante dell'acquisto di titoli pubblici è abbastanza coperto. Lo si vedrà, poi, fra pochi giorni,
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COPERTINA
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quando si terrà la riunione del consiglio direttivo della Banca centrale. Si potrà rilevare se si darà vita a un
quantitative easing oppure ci si attesterà su misure più limitate, quantunque appaiano ora inevitabili, e se
soprattutto, come si sta dicendo, talune preclusioni della Bundesbank saranno venute meno, con particolare
riferimento alla penalizzazione dei depositi con tassi negativi, alla non sterilizzazione degli interventi per
l'acquisto di titoli, al funding for lending, all'acquisto di crediti cartolarizzati oltreché all'abbassamento dei tassi
d'interesse ufficiali e a una nuova asta di rifinanziamento a lungo termine. In effetti, alle aperture che erano
state intraviste in un primo momento sono seguite pubbliche correzioni da parte di esponenti della
Bundesbank, a cominciare dal presidente Jens Weidmann, che hanno voluto precisare che nulla è stato
ancora deciso e che comunque essi sarebbero contrari al quantitative easing. Come si vede, la situazione è
ancora aperta e insegna che è controproducente tentare di barattare adesioni pragmatiche con una
morbidezza sulle linee riformatrici che andrebbero perseguite quantomeno per il riconoscimento alla Bce di
prerogative in materia di governo del cambio, se dovessero sussistere maggiori resistenze nel versante del
sostegno all'economia e all'occupazione. Comunque, siamo arrivati a un punto in cui non si può continuare a
ritenere che nulla dell'ordinamento europeo, nei diversi settori, sia modificabile. Permane la sostanziale
illegittimità del Fiscal Compact, al quale è legata l'improvvida decisione di inserire il pareggio di bilancio nella
nostra Costituzione; il progetto di Unione bancaria è abbastanza malconcio; l'adozione di nuove regole nel
credito e nella finanza procede lentamente e con scelte parziali e lacunose; quando la Bce si propone linee
innovative, la componente tedesca detta subito il proprio «alt». Non può essere tutto precluso. Sin d'ora, e poi
con il semestre di presidenza italiana, bisogna lavorare per queste essenziali riforme cogliendo le opportunità
che potrebbero venire dal nuovo Parlamento e dalla nuova Commissione europei. Rivisitare l'ordinamento
della Bce non può più ritenersi un grave azzardo, ma neppure tale può considerarsi la rivisitazione del Fiscal
Compact. Dopo i torrenti di parole di avvicina l'ora delle iniziative concrete. (riproduzione riservata)
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Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler, ha ribadito il concetto «in maniera categorica»
lo scorso 6 maggio in occasione del nuovo piano industriale della casa italo-statunitense. La Ferrari, di cui il
Lingotto detiene il 90% con Piero Ferrari secondo socio con il 10%, «non è in vendita» ha spiegato il manager
italo-canadese da Detroit. Quindi, almeno nel breve termine, non sembrano esserci speranze per chi volesse
investire sul Cavallino e sulla sua storia di successi. Marchionne infatti è convinto che la Rossa, per il mito
che rappresenta, sia una riserva di valore inestimabile per Fiat Chrysler e che questa riserva sia da utilizzare
solamente in caso di estrema necessità. Inoltre ritiene che abbia ancora margini di miglioramento soprattutto
per quanto riguarda l'area del merchandising e dei servizi legati al brand. Un'attività avviata con successo
negli ultimi anni e che sembra promettere ulteriori miglioramenti nel prossimo futuro. In questo contesto di
crescita, Marchionne non intende cedere neppure una minoranza per fare cassa. Non a caso, il manager ha
sempre smentito tutte le voci secondo le quali la Fiat potrebbe vendere una minoranza della Ferrari,
un'opzione che consentirebbe comunque al Lingotto di mantenere il controllo sul Cavallino e allo stesso
tempo di raccogliere capitale soprattutto tra quegli investitori asiatici che non vedrebbero l'ora di entrare nel
capitale della Ferrari. A conti fatti, tuttavia, è difficile dare torto a Marchionne. Quest'inverno la società inglese
specializzata nella valutazione dei marchi Brand Finance ha confermato Ferrari per il secondo anno
consecutivo come il brand più influente nel mondo Inoltre, osservando i dati di bilancio, bisogna ricordare che
la scuderia emiliana ha chiuso il 2013 con conti record Dopo il 2012, che era stato il miglior anno nella storia
della Rossa. La controllata Fiat, guidata da Luca Montezemolo, ha registrato un fatturato di 2,3 miliardi in
crescita del 5% e l'utile della gestione ordinaria è arrivato a 363,5 milioni salendo dell'8,3% rispetto al 2012.
L'utile netto si è attestato a 246 milioni con il 5,4% di incremento. Non solo, ma i dati relativi al trimestre 2014,
resi noti venerdì 16, hanno confermato la tendenza. Il fatturato è aumentato del 12,5% rispetto allo stesso
periodo 2013 a 620 milioni e l'utile ha superato i 57 milioni, in crescita 5%. Da record la cassa con la
posizione finanziaria industriale netta che ha sfiorato il miliardo e mezzo, 1.487 milioni.
Foto: Manuel Rui Costa
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Investire in Ferrari il sogno di tanti. Ma la Fiat non apre
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Su Google sentenza giusta. Ma rischiosa
MAURO MASI
La decisione della Corte di Giustizia Europea è davvero clamorosa e questa volta i media (anche in Italia) se
ne sono accorti. Martedì 13 maggio la Corte ha stabilito che «il gestore di un motore di ricerca su internet è
responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi».
Così», spiega la Corte, «nel caso in cui nel corso di una ricerca effettuata partendo dal nome di una persona
l'elenco di risultati rimandi attraverso linka una pagina web che contiene informazioni sulla persona citata,
questa può rivolgersi direttamente al gestore del motore di ricerca per la soppressione del collegamento.
Qualora il gestore non ottemperi, l'interessato può rivolgersi alle competenti autorità nazionali che
valuteranno la fattispecie e, se del caso, potranno imporre al gestore la soppressione del link. La Corte di
Giustizia sottolinea che, perché ciò accada, le autorità nazionali dovranno attuare un attento bilanciamento
tra il diritto alla protezione dei dati personali e l'interesse generale a una corretta e completa informazione. La
Corte aggiunge infatti che il cosiddetto "diritto all'oblio" (come è stato efficacemente definito da giornali e
televisioni) può sussistere soltanto quando le informazioni presenti sul motore di ricerca sono "inadeguate,
irrilevanti o non più pertinenti» oppure legate a episodi avvenuti molto tempo prima». Quest'ultimo è proprio il
caso che ha determinato la pronuncia della Corte, cui si era rivolto un cittadino spagnolo che non era riuscito
a far togliere da Google il richiamo a una vicenda di giustizia civile accaduta nell'ormai lontano 1998 e da
tempo conclusasi definitivamente a suo favore. Appaiono a questo punto opportune alcune considerazioni sul
tema. Premesso che la pronuncia della Corte Ue non può che essere vista con grande favore da chi si batte
perché i diritti fondamentali del cittadino siano tutelati anche sulla Rete, c'è da dire che affinché questa tutela
sia reale ed efficace debbono meglio focalizzarsi almeno due aspetti. Il primo è che, per quanto se ne sa
attualmente, i criteri fissati dalla Corte per il «diritto all'oblio» sembrano essere un po' troppo generici; per
esempio, va meglio definito il criterio di «irrilevanza» di una notizia (la Corte sembra rimetterlo in toto alle
diverse autorità nazionali, le quali evidentemente possono elaborare valutazioni tra loro ben differenti). Il
secondo punto è che il «diritto all'oblio» esisterà soltanto per i cittadini dei 28 Stati che fanno parte
dell'Unione Europea, mentre nulla accadrà in altre parti del mondo e in particolare negli Stati Uniti, dove
Google e gli altri motori di ricerca su Internet potranno lasciare le cose come stanno e mantenere in Rete tutti
i link che credono. Un «double standard» che rischia di rendere ancor più confuso il mondo della Rete.
(riproduzione riservata) *delegato italiano alla Proprietà Intellettuale ([email protected])
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Il motore è la domanda
Teresa Campo
La ripresa del mercato dei mutui può arrivare solo dalla domanda e non dalle banche né dal costo dei
prodotti, anche se in questi anni di crisi si è sostenuto il contrario. Parola di Luciano Ambrosone, responsabile
Prodotti d'impiego e di tutela di Intesa Sanpaolo, che spiega come e quando potremo parlare di vera ripresa
per i prestiti immobiliari e per il settore del mattone in generale. Domanda. Dunque il crollo dell'erogato non è
dipeso dal fatto che le banche hanno chiuso i rubinetti... Risposta. La crisi, che dal 2007 a oggi ha visto
scendere l'erogato da 63 a 21 miliardi, è stata la combinazione tra aumento del costo dei finanziamenti e
caduta di offerta e domanda, dove quest'ultima ha fatto la parte delleone. Le famiglie, assediate dalla crisi
economica, hanno rinviato gli acquisti più importantia data da destinarsi. Proprio per questo credo che
stavolta la situazione sia davvero in miglioramento. D. Che cosa glielo fa credere? R. Per la prima volta
siamo di fronte a una vera ripresa della domanda e, elemento ancora più importante, finalmente si registra
una ripresa della fiducia delle famiglie. Non è mai successo che a un miglioramento di questo indicatore non
seguissero fenomeni positivi concreti. Certo, non si tornerà in fretta a livelli precedenti la crisi, ma la strada è
stata imboccata. D. Dove arriverà il mercato rispetto ai livelli pre-crisi? R. Rispetto ai massimi le
compravendite di abitazioni si sono più che dimezzate, ma nel medio periodo il mercato, sia quello della casa
sia quello dei mutui, potrà tornare a livelli importanti. In Italia il desiderio di acquisto della casa resta forte e il
livello di indebitamento delle famiglie basso, anche perché non ha mai preso piede quel meccanismo di
utilizzo dell'immobile come fonte di finanziamento che ha portato alla bolla speculativa. In altre parole, il
mercato resta di fondo sano. D. Ma per aumentare l'erogato le banche non saranno costrette ad allentare un
po' i parametri di concessione dei mutui? R. La storia di questi anni ha dimostrato che il rapporto rata-reddito
del mutuatario e la percentuale di finanziamento rispetto al valore della casa sono parametri fondamentali. Se
vengono esasperati, si mette a rischio l'equilibrio finanziario del mutuatario. D. Quindi niente più mutui ai
lavoratori precari oppure al 100% del valore dell'immobili? R. Devono esserci le condizioni giuste. Per
esempio, possiamo arrivare a condizioni più estreme nel caso di mutuatari giovani, che quindi hanno davanti
a sé tempo per aumentare significativamente il reddito. In altri casi invece vuol dire solo mettere a rischio il
cliente. La nostra nuova gamma di prodotti del resto è strutturata in modo di andare incontro alle esigenze
della clientela e allo stesso tempo proteggerla. D. Attraverso quali elementi? R. In primo luogo una
consulenza spinta, un check-up iniziale attraverso cui mettere a fuoco le esigenze presenti e future del
mutuatario. E poi flessibilità e modularità: nell'arco di vita del mutuo possono accadere tante cose e il mutuo
deve potersi adattare alle situazioni. Stesso discorso per le coperture, dal tipo di tasso alla polizza, da
scegliere in funzione della capacità di risparmio del mutuatario. D. Come altre banche anche Intesa Sanpaolo
applica spread diversi a seconda di durata del mutuo e del loan-to-value (la percentuale di finanziamento
rispetto al valore della casa). Non si rischia di penalizzare troppo chi ha meno risorse? D. Il principio è un
altro: far pagare in funzione del rischio connesso al finanziamento. Non sarebbe giusto far pagare lo stesso
spread a chi non mette niente nell'acquisto della casa rispetto a chi magari versa in anticipo la metà del
prezzo. Per andare incontro alla clientela però sono in corso altre iniziative, per esempio Casa Insieme. D.
Come funziona e quando è partita? R. Diamo una mano ai cantieri con molto invenduto, ma già terminati o
comunque a buon punto con la costruzione, a entrare in contatto con i clienti e a vendere. Organizziamo
perciò incontri in filiale o nel cantiere e in più finanziamo l'acquisto a costi ridotti. Questo attraverso spread
agevolati, ma anche tramite un contributo dell'impresa: il costruttore versa alla banca fino al 7% del valore
della casa, quota che va ad abbattere la rata portandola a valori paragonabili a quelli di un affitto. D. Anche
Intesa ha registrato una crescita significativa dell'erogato? R. La ripresa rischia di penalizzare chi nei mutui ha
sempre creduto. Perché è più facile raddoppiare l'erogato se si parte da cifre modeste invece che da 5,5
miliardi l'anno come Intesa Sanpaolo. Inoltre la surroga, uno dei segmenti che hanno trainato il comparto in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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intervista MUTUI/2
17/05/2014
Milano Finanza - N.96 - 17 maggio 2014
Pag. 31
(diffusione:100933, tiratura:169909)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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questi mesi, va inevitabilmente a scapito di chi detiene maggiori quote di mercato e la nostra è del 20%. In
ogni caso il mutuo resta un prodotto di punta, come testimonia la nuova campagna pubblicitaria che arriverà
su tutti i media nelle prossime settimane. (riproduzione riservata)
Foto: Luciano Ambrosone
17/05/2014
Milano Finanza - N.96 - 17 maggio 2014
Pag. 32
(diffusione:100933, tiratura:169909)
Goodman (Goldman Sachs), le compagnie diventano più alternative
In tempi di tassi bassi, corporate bond che offrono sempre meno opportunità e borse con titoli che hanno
raggiunto in qualche caso valutazioni eque, per le compagnie di assicurazione di tutto il mondo la sfida è
riuscire a trovare alternative agli assai bassi rendimenti dei titoli di Stato. Che per anni sono stati gli asset
principali dei portafogli delle polizze. Come emerge dal terzo sondaggio annuale realizzato da Goldman
Sachs am su 223 responsabili degli investimenti e direttori finanza di compagnie in tutto il mondo che
detengono asset totali pari a oltre 6 mila miliardi di dollari. A illustrare i risultati dello studio a MF-Milano
Finanza è Robert Goodman, managing director del Global insurance asset management di Goldman Sachs
asset management. Domanda. In questa situazione quali sono le mosse delle compagnie per correre ai
ripari? Risposta. Dalla ricerca emerge che i gruppi assicurativi stanno iniziando a esplorare asset non
tradizionali che possono offrire un total return potenziale più elevato e anche un premio per la loro illiquidità.
Se in passato c'era stata un'apertura delle gestioni assicurative, tradizionalmente concentrate sui titoli di
Stato, ai corporate bond prima investment grade e poi ad alto rendimento, oggi queste due ultime asset class
offrono minori opportunità e quindi lo sguardo si rivolge altrove. D. Dove in particolare? R. Partendo
dall'assunto che le compagnie di assicurazione si trovano più a loro agio nel gestire i titoli obbligazionari, le
mosse iniziali sono state quelle di spingersi verso investimenti sempre più alternativi nel mondo del credito
piuttosto che agire sulla duration del portafoglio, poi anche nelle azioni. Se dal sondaggio dello scorso anno
risultava che le compagnie puntavano la loro attenzione versoi prestiti bancaria tasso variabile, quest'anno la
principale differenza che emerge è proprio su questo fronte. D. Ovvero? R.I gruppi assicurativi stanno
pianificando una maggiore allocazione verso l'intero spettro del credito, andando verso investimenti meno
liquidi come i finanziamenti legati alle infrastrutture, fino ai prestiti commerciali, e si spingono anche sul
private equity e sulle azioni immobiliari. Verso l'azionario c'è sempre maggiore interesse anche se qui i rischi
aumentano perché le valutazioni sono in alcuni casi non più a buon mercato e quest'anno tutti concordano
nel dire che non si ripeteranno le performance brillanti del 2013. Resta il fatto che i gestori assicurativi stanno
scoprendo che il rendimento da dividendo delle azioni è in media più alto della media dei rendimenti dei bond
con alto merito di credito. D. Ma non prendono troppo rischio le compagnie mettendo in portafoglio asset
meno liquidi? R. L'aumento dell'esposizione verso gli asset più illiquidi non coinvolge la parte degli attivi di
bilancio relativa alle riserve messe a fronte degli impegni verso i sottoscrittori delle polizze. Ma riguarda
quella quota non oggetto di vincoli di questo tipo, come ad esempio gli asset a copertura delle passività nei
confronti degli azionisti. D. E se si rialzano i tassi crede che le compagnie cambieranno idea? R. Non credo, il
processo in atto non è una rivoluzione per le compagnie assicurative, ma è un'evoluzione. Quindi è un
fenomeno da cui non si torna indietro perché dopo la crisi del 2008 le assicurazioni hanno imparato che
bisogna essere diversificati e che non è giusto tenere tutte le uova in un solo paniere. D. E in Italia? R. Le
maggiori compagnie, che peraltro hanno un nuovo management, stanno andando verso questa direzione e
anche quelle di minori dimensioni stanno cercando di essere più diversificate. (riproduzione riservata)
Foto: Robert Goodman
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/05/2014
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INTERVISTA
SCENARIO PMI
12 articoli
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Google e Apple siglano la tregua: stop alla lunga guerra sui brevetti
I due giganti pronti a collaborare contro gli avversari comuni I contenziosi Via all'estinzione delle cause
relativea Motorola ma restano aperte quelle su mappe, musica online e soprattutto sul sistema operativo I
nemici Fronte comune contro i «patent troll», le aziende che registrano brevetti per «ricattare» le imprese
Serena Danna
Apple e Google firmano una tregua nello scontro sui brevetti. Le due aziende hanno siglato un accordo che
sancisce la fine di «tutti i procedimenti legali finora esistenti direttamente tra le due società»: circa 200
processi a partire dal 2010, anno in cui Mountain View accusò per la prima volta Cupertino di aver violato
diversi brevetti compreso quello che consente ai cellulari di operare su rete 3G. Apple rispose accusando
Motorola, di proprietà di Google, di aver copiato alcune caratteristiche degli smartphone. Fino a oggi le
controversie sono costate ad Apple circa 32 milioni di dollari solo di spese processuali, mentre Google non
avrebbe più interesse a investire denaro nella difesa di Motorola, venduta nel 2012 ai cinesi di Lenovo (anche
se continua a mantenere la maggior parte dei brevetti).
La tregua prevede l'estinzione delle cause relative a Motorola ma lascia aperti i contenziosi sulle mappe, la
musica online e soprattutto sul sistema operativo, vero terreno di scontro tra i due colossi che con i loro
software - Android di Google e iOS di Apple - coprono la quasi totalità del mercato occidentale degli
smartphone.
E' questa la vera «guerra termonucleare» invocata da Steve Jobs dopo il lancio di Android: «Se ne avrò
bisogno userò il mio ultimo respiro - si legge nella biografia del fondatore scritta da Walter Isaacson - e
spenderò ogni singolo centesimo dei 40 miliardi di dollari che Apple detiene in banca per riparare a questo
torto. Ho intenzione di distruggere Android, perché è un prodotto rubato».
Sono in tanti a vedere nell'accordo un valore più simbolico che reale: Brian Love, docente di legge alla Santa
Clara University, ha dichiarato a Bloomberg : «L'accordo potrebbe essere un segnale di una nuova strategia
di Apple per concentrare tutti i suoi sforzi contro Samsung, la più grande azienda produttrice di telefoni
Android». D'accordo Michael Risch, professore alla Villanova University, che ha affermato: «Ormai da tempo
Motorola non è più un grande competitor per Apple. Da qui la scelta di fare un'intesa. Sarà interessante
vedere invece se prima o poi finirà la guerra con Samsung». L'ultima battaglia si è chiusa con una sentenza
che ha obbligato i coreani a pagare una multa di 119,5 milioni di dollari a Cupertino per aver violato i brevetti,
monetine rispetto ai 2,2 miliardi chiesti da Tim Cook e giudicati «spropositati» dalla giuria popolare di San
Josè, che ha invitato Apple a citare direttamente Google, poiché la vera partita riguarda Android.
L'aspetto interessante del nuovo accordo tra Cupertino e Mountain View riguarda, in realtà, una
collaborazione contro nemici comuni nel pericoloso campo dei brevetti. Le due aziende vogliono convincere il
Congresso americano ad approvare una riforma che consenta alle imprese di scontrarsi sulla proprietà
intellettuale davanti all'Us Patent and Trademark Office, aggirando così i costi legali dei tribunali. A partire da
oggi, inoltre, Apple e Google faranno fronte comune contro i cosiddetti «patent troll», termine con cui si
identificano le migliaia di aziende che non producono nulla ma hanno come unica attività quella di registrare
brevetti per «ricattare» poi grandi e piccole imprese. Un business estremamente remunerativo che, oltre a
mettere in ginocchio centinaia di start-up ogni mese, crea non pochi problemi anche ai giganti della Silicon
Valley. Secondo uno studio effettuato dalla Santa Clara University, il 61% dei processi per presunta
infrazione di brevetti sono intentati proprio dai «patent troll».
@serena_danna
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le società
Apple
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
128
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Tecnologia I colossi dominano il mercato degli smartphone. Resta aperta la partita con Samsung
18/05/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
129
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Il gruppo statunitense, che produce sistemi operativi, computer e dispositivi multimediali, è stato fondato nel
1976 a Cupertino (California) da Steve Jobs. Dai primi anni 80 è diventata celebre per la vasta gamma di
computer Macintosh, e poi per i lettori di musica digitale iPod, per la musica online iTunes, per gli iPhone e gli
iPad. Il 12 agosto 2012 Apple è diventata la società privata con maggiore capitalizzazione di mercato di
sempre, battendo il precedente record della rivale Microsoft. Guidata da Tim Cook, ha 80 mila dipendenti. Nel
2013 ha fatturato 170,91 miliardi di dollari con un utile netto di 37 miliardi
Google
L'azienda statunitense, fondata nel 1998 dagli studenti universitari Larry Page e Sergej Brin a Mountain View
(California), offre servizi online ed è principalmente nota per il motore di ricerca Google, per il sistema
operativo Android e per una serie di servizi via web tra i quali Gmail, Google Maps e YouTube. Quotata in
borsa dal 2004, ha visto il titolo in costante ascesa anche per alcune acquisizioni importanti come Motorola
Mobility. Nel 2013 ha dichiarato un fatturato di 59,8 miliardi di dollari, con un utile netto di 12,9 miliardi. I
dipendenti sono oltre 47 mila
200
i processi in corso tra Apple e Google a partire dal 2010, l'anno in cui la società di Mountain View ha
accusato il gigante di Cupertino di aver violato diversi brevetti, compreso quello che consente ai cellulari di
operare su rete 3G
32
milioni di dollari il costo per Apple, finora, per le controversie in spese processuali. Questa «emorragia» di
risorse dovrebbe finalmente fermarsi visto che le due società hanno siglato un accordo che sancisce la fine di
tutti i procedimenti
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Marketing, il risveglio dei budget
Internet traina gli investimenti ma canali social e analytics sono poco (e male) utilizzati
Fabio Grattagliano
Le medie imprese italiane cominciano ad allentare lievemente la fitta maglia che ha finora intrappolato i
budget del marketing. Certo, la debolezza del mercato è tutt'altro che svanita: se è vero che un terzo delle
aziende incrementerà quest'anno senza indugi gli investimenti, è altrettanto vero che a fare da contrappeso
va contabilizzato un altro 30% che, al contrario, li diminuirà e una quota restante che non muoverà foglia.
Questa tripartizione è, però, nel complesso, comunque da cogliere nel suo significato più positivo, soprattutto
in relazione a un quadro che solo qualche mese fa era orientato in modo quasi esclusivo al ribasso: tagli,
tagli, tagli.
Il dato si deve a un'approfondita e molto puntuale ricerca realizzata da Paolo Guenzi e Gabriele Troilo della
Sda Bocconi in collaborazione con Sap Italia, che ha anche indagato su come i direttori marketing italiani di
imprese medie e grandi si interfacciano con gli strumenti che hanno a disposizione, dai marketing analtycs
all'utilizzo dei social media. E qui le evidenze interessanti davvero non mancano, rivelando forse un po' di
"ruggine" tra i ferri del mestiere attualmente in uso. La stragrande maggioranza, per fare un esempio, non ha
idea e quindi non sa esprimere un'opinione su quanto i marketing analytics aiutino al raggiungimento degli
obiettivi. Il che assume maggior rilievo soprattutto quando si isola quello sparuto gruppo che invece sa di che
cosa si sta parlando e si scopre così che le loro peformance di business sono decisamente migliori. Un po' lo
stesso ragionamento che vale anche per i canali social. I dati mostrano come l'utilizzo e l'integrazione nelle
strategie di marketing dei social media per oltre il 50% delle imprese sia poca o pochissima.
L'impressione (molto nitida) è che i direttori marketing ritengano che si debba essere presenti sui social ma
non sappiano come farlo e che non riescano a vedere come l'attività sui social media possa essere
monetizzata. Non sorprende, così, che tra le vie informative preferite siano fanalini di coda i canali considerati
più innovativi, come podcast, webcast ed e-books, a favore di siti web, e-mail ed eventi.
«Le imprese a oggi utilizzano i social media più come strumento di visibilità che per obiettivi più evoluti sottolinea Paolo Guenzi - e fanno spesso molta fatica a integrarli nelle strategie di marketing. Tuttavia, la
nostra ricerca mostra che le aziende che ci riescono hanno performance migliori delle altre, soprattutto in
termini di maggiore customer satisfaction e retention». Come dire, tante finestre con vista sul nulla (o poco
più) e pochissimo Crm o altre modalità più evolute.
L'allocazione del budget di marketing per il 2014 sembra considerare solo parzialmente l'esigenza di
migliorare la qualità degli strumenti a disposizione dei direttori. L'internet marketing e il lancio di nuovi prodotti
sono le voci più rilevanti (inseriti tra le aree in cui si investirà di più rispettivamente dal 43% e dal 40% dei
direttori), mentre i marketing analytics (17%) e la pubblicità (15%) sono i fanalini di coda.
Un allarme rosso riguarda invece le competenze che i direttori marketing confessano di giudicare scarse e
che rappresentano dei veri e propri punti deboli: prima fra tutte la capacità di creare nuovi mercati, ma anche
l'utilizzo di piattaforme multimediali e multi(omni)canale per customer experience integrate e personalizzate.
Of course.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
@ilgrattacapo I risultati Totale aziende che aumentano il budget: 34,8% Totale aziende che riducono il
budget: 29,3% +15,5% Media aumento: -25,2% Media riduzione: Scala 1-5: nulla vs moltissimo Media: 3,15
Scala 1-5: pochissimo vs moltissimo Media: 2,6 Pochissimo 0 Poco 0 Abbastanza 5,7 Molto 10,7 Moltissimo
0,8 Non so 82,8 Internet Mktg 43 Customer loyalty 23 Mrktg analytics 17 Crm 31 Pubblicità 31 Lanci
prodotti/servizi 40 Nuovi canali interazione clienti 38 Scelta canali Scarsa fedeltà alla marca Strategia
aziendale Regolamentazioni Responsabilità del Roi Selezione priorità mercato Scelta nuovi target
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
130
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Scenari. Indagine di Sda Bocconi per Sap Italia su strategie e strumenti dei direttori di imprese di medie e
grandi dimensioni
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 20
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
131
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Proliferazione dati Fonte:SDA Bocconi per SAP Italia
I risultati
IL BUDGET Di quanto è variato il budget di marketing 2014 rispetto all'anno scorso. Dati in %
L'INTEGRAZIONE DEI SOCIAL MEDIA Quanto efficacemente i social media sono integrati nella strategia di
marketing delle aziende. Valori in %
GLI OBIETTIVI SOCIAL Quali sono e quanto sono importanti gli obiettivi perseguiti attraverso l'utilizzo dei
canali social
DOVE VANNO GLI INVESTIMENTI Su quali aree pensa di avere maggiori invertimenti marketing nel 2014?
Risposte multiple. Valori in %
- Fonte: SDA Bocconi per SAP Italia
CHI HA VISTO I MARKETING ANALYTICS? Quanto pensa che i marketing analytics aiutino a riaggiungere
gli obiettivi del marketing nella vostra azienda Valori in %
GLI OSTACOLI Le maggiori difficoltà da affrontare nel 2014 Risposte multiple. Valori in %
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Anticontraffazione, Roma riattiva il desk a Pechino
Rita Fatiguso
PECHINO. Dal nostro corrispondente
Niente da fare. Il 90% dei prodotti contraffatti sequestrati in dogana lungo i confini della Ue è di provenienza
cinese. La Cina resta terra amara per le aziende che non tutelano adeguatamente il proprio know how, basta
guardare ai casi di joint venture fallimentari e di marchi persi per strada che, purtroppo, non accennano a
diminuire.
L'Europa sta concentrando gli sforzi per ottenere dalle autorità cinesi una maggiore protezione dei diritti di
proprietà intellettuale. Un nuovo patto d'azione 2014-17 per l'IPR è stato siglato la scorsa settimana tra la
direzione Taxud e le dogane cinesi in occasione del 7° working group congiunto. L'Italia, dal canto suo,
proprio da pochi giorni ha riattivato a Pechino il desk anticontraffazione: un bando dell'Ice con fondi del
ministero dello Sviluppo economico, ha portato a individuare uno studio legale che d'ora in poi offrirà
supporto alle aziende italiane.
Il commissario europeo per tasse, dogane, statistiche, audit e antifrode Algirdas Semeta e il ministro delle
dogane cinese Yu Guangzhou in realtà di accordi, oltre al piano strategico, ne hanno siglati altri, tra questi
l'enforcement per l'Ipr in dogana e quello per il mutuo riconoscimento degli operatori autorizzati che faciliterà
l'attuazione dell'accordo di Bali dello scorso dicembre: dovrebbe riguardare circa 6mila aziende europee e
2mila cinesi "virtuose", che avranno una corsia preferenziale nel commercio, in entrambe le direzioni.
Tra le possibilità a disposizione delle aziende c'è anche l'IP Key Program (www.ipkey.org/en/), una
continuazione del precedente IPR2. Le informazioni sulla provenienza dei fondi del programma
(http://www.ipkey.org/en/about-ip-key/ip-key) sono state diffuse a Pechino il 16 gennaio scorso. Le
informazioni sulle attività (http://www.ipkey.org/en/ activities/ip-key-activities) hanno un link con l'incontro di
cooperazione con le dogane appena concluso.
Le aziende possono trovare informazioni utili anche nell'Intellectual Property Right Working Group (IPR WG)
della Camera di Commercio Europea in Cina (http://europeanchamber.com.cn/en/chamber-chapters-andcontact). La Camera conta almeno 80 imprese italiane: intensa è l'attività di lobbying indipendente con le
autorità amministrative e governative cinesi. L'IPR WG è chiamato a fornire commenti sui testi legislativi e
sulle norme attuative degli stessi in temi di proprietà intellettuale. La Camera raccoglie le indicazioni delle
aziende europee in Cina e le sue posizioni confluiscono nella pubblicazione annuale il cosiddetto Position
Paper (sezione IPR 2013-2014 scaricabile su http://europeanchamber.com.cn/en/publications-positionpaper).
Invece China IPR SME Helpdesk è un sito in lingua italiana (http://www.china-iprhelpdesk.eu/it/about-thehelpdesk). Supporta le piccole e medie imprese dell'Unione europea nella protezione e nella tutela dei diritti
di proprietà intellettuale, mette a disposizione informazioni e servizi gratuiti per le Pmi, sotto forma di
consulenze specializzate, a cui si aggiungono corsi di formazione, pubblicazioni e risorse online. È finanziato
dalla Direzione Generale Imprese e Industria della Commissione Europea nell'ambito del programma quadro
per la competitività e l'innovazione (PQCI).
Partito con un programma pilota nel 2008-10, adesso può contare su un budget di 3 milioni di euro. Le pmi (o
i loro intermediari, tra cui le associazioni di industria o le camere di commercio locali) possono presentare le
proprie richieste direttamente all'Helpdesk, telefonicamente, via e-mail o di persona, un pool di esperti
fornisce consulenze gratuite e confidenziali sul campo. Le richieste vengono smaltite in 3 giorni lavorativi.
Sul sito www. china-iprhelpdesk.eu attualmente ci sono 25 pubblicazioni aggiornate di cui 19 in lingua
italiana. Naomi Saunders, project manager sottolinea che le «le aziende italiane sono al secondo poco tra
quelle che hanno bussato alla nostra porta», mentre Valentina Salmoiraghi, IP expert, tiene a precisare che
«la Cina è importante, ma sempre più spesso le aziende si muovono nell'ambito Asean, per il quale c'è un
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
132
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Proprietà intellettuale. Tra Europa e Cina siglato anche il patto 2014-2017 per la tutela delle imprese
19/05/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
133
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
apposito desk». (www.asean-iprhelpdesk.eu).
Infine ci sono sezioni o desk di singoli Paesi che prevedono un IP Attacheé nelle ambasciate di Pechino.
Così è per Gran Bretagna e Francia, mentre le altre ambasciate girano le richieste alla loro Sezione
Commerciale. Tutte sono coinvolte nel China IPR SME Helpdesk che fornisce loro sessioni di training
(escluse, ovviamente, Gran Bretagna e Francia).
© RIPRODUZIONE RISERVATA 57 12 8 7 7 5 2 2 Le tutele chieste all'helpdesk Periodo gennaio 2011aprile2014, in % sul totale delle richieste delle Pmi italiane Altro Marchi Segreto commerciale Domain name
Copyright Brevetti di design Brevetti d'invenzione Brevetti per modelli di utilità Totale richieste 90
19/05/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Le chiusure dei pannolini? Magis le vende a tutto il mondo
NADIA FERRIGO
Dalla sua fondazione a oggi, la Magis di Cerreto Guidi, provincia di Firenze, è sempre cresciuta a doppia
cifra: nata nel 1987 come piccola azienda a conduzione familiare, è diventata leader in Italia e Europa prima
per la produzione di nastri per imballaggio, poi per i sistemi di chiusura per pannolini per neonati. Il segreto?
Essere i primi a produrre le chiusure meccaniche, senza colla adesiva ma con il velcro. «Siamo entrati nel
mercato al momento giusto - commenta Marco Marzi, amministratore e fondatore della società -. Mentre il
mercato dei nastri adesivi è per lo più italiano ed europeo, con le chiusure per i pannolini arriviamo in quasi in
tutto il mondo, con ottimi risultati in Nord Africa e Sud America. Agli stabilimenti che realizzano pannolini
garantiamo un prodotto completo, così per le piccole e medie imprese del settore è più conveniente usare i
nostro sistemi che produrli in proprio. In più li possiamo personalizzare per ogni cliente». La Magis ha chiuso
il 2013 con 55 milioni di euro di fatturato, con circa l'80 per cento nelle esportazioni e per quest'anno
l'obiettivo è superare i 60 milioni. La strategia è la stessa degli esordi: puntare su innovazione tecnologica,
ricerca di nuovi prodotti e mercati di sbocco. L'azienda si è specializzata nei «telati americani», nastri adesivi
particolari che aderiscono a qualsiasi superficie ed è stata una delle prime a sperimentare la spalmatura su
prolipropilene e la tecnica «sandwich», che assicura una migliore qualità della stampa su adesivo. «Se negli
ultimi due anni abbiamo perso qualche cosa in Italia - conclude Marzi -, nella maggior parte dei paesi dove
esportiamo i pannolini sono una novità, e la crescita è assicurata. Il prossimo obiettivo? Stiamo definendo i
dettagli di un nuovo contratto, questa volta con la Russia».
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
134
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
tutto SOLDI / MARCO POLO
18/05/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«L'Agenzia delle entrate manda in rovina l'Italia»
Arbitro della Consob. Già sindaco con una giunta che andava da Forza Italia a Rifondazione. Assiste gratis i
contribuenti vessati Il funzionario pentito, 30 anni di onorata carriera: «Spara accertamenti a caso Perde il 50
per cento delle cause e uccide l'economia per ingrassare i tributaristi»
Stefano Lorenzetto
Attilio Befera, direttore dell'Agenziadelle entrate, 304.000 euro di stipendio annuo, ha annunciato che entro
fine mese andrà in pensione. Avrei qui pronto il sostituto (non d'imposta, bensì umano): Luciano Dissegna.
Costo per i contribuenti: zero euro. Sì, lo farebbe gratis. Il curriculum è ragguardevole. Per 30 anni leale
servitore dello Stato, che lo assunse per concorso nel 1977, Dissegna ha lavorato negli uffici del registro di
Montebelluna e Borgo Valsugana, nell'ufficio Iva di Trento, nell'ufficio imposte dirette di Bassano del Grappa,
all'ispettorato compartimentale imposte dirette di Venezia, all'ispettorato dell'Agenzia delle entrate di Trieste.
Infine è stato dirigente in Friuli Venezia Giulia e direttore a Thiene, Montebelluna e Schio della medesima
agenzia. C'è un solo problema: Dissegnasi è dimesso nel 2009 per protesta, accettando il prepensionamento
con otto anni di anticipo,perché ritiene d'aver constatato di persona come l'Agenzia delle entrate sia un
carrozzone pachidermico e inefficiente, in una parola inutile. «Procura più danni che vantaggi alla nazione.
Peggio: arriva a comportamenti che rasentano il falso, la minaccia, la violenza, la ritorsione e persino
l'estorsione, come documentato in un esposto indirizzato da un mio assistito alle autorità preposte e rimasto
lettera morta. Più che quella delle entrate, se fossi Matteo Renzi io istituirei l'Agenzia delle uscite permettere
sotto controllo la spesa pubblica, il vero cancro di questo Paese». Dissegna, 64 anni, vicentino, è un
tributarista, una via di mezzo fra l'avvocato e il commercialista. «Ma non posso dire d'essere passato dall'altra
parte della barricata. Semplicemente resto sempre dalla stessa: quella dei più deboli, i contribuenti. Contro le
vessazioni dell'erario e contro gli esperti a gettone che lucrano sulle disgrazie di chi non sa come difendersi
dallo Stato sanguisuga». Con il primo dei suoi quattro figli, penalista a Milano, assiste aziende e privati nei
contenziosi con l'Agenzia delle entrate. Lo fa da novello Robin Hood, cioè gratis nel 95 per cento dei casi. Per
esempio con un rimborso di 700 euro per una consulenza che uno studio professionale voleva farsi pagare
130 volte tanto. Se gli chiedi ragione di questo comportamento, Dissegna ti spiega che i 3.200 euro netti di
pensione e l'attività della moglie bastano e avanzano e ti mette con noncuranza sotto gli occhi la foto a colori,
stinta dal tempo, di un ragazzo vestito da chierico: «Dagli 11 ai18anni sonostato inseminario
daiFatebenefratelli. Volevo diventare prete e lavorare negli ospedali. Poi mi sono accorto che esistevano le
donnee ho avuto una crisi religiosa. L'inclinazione ad aiutare il prossimo ce l'ho nel sangue. Di quattro fratelli,
sono l'unico che ha potuto studiare e laurearsi. Di giorno costruivo blocchi di cemento con mio padre, unex
contadino; di serarimanevo curvo sui libri fino a quando non crollavo dal sonno. Ciò non toglie che mi senta
un privilegiato. Qualcosa devo restituire». Dissegna è arbitro della Consob, uno dei 600 in Italia ammessi per
titoli ed esami a dirimere le controversie in materia societaria e borsistica. Di concorsi pubblici ne ha vinti ben
10 nella sua vita. È stato advisor societario e fiscale della Bastogi. Dal 1995 al 1999, dopo la bufera di
Tangentopoli, i concittadini gli hanno messo in mano la scopa, eleggendolo sindaco di Romano d'Ezzelino, il
paese della provincia di Vicenza dove abita, e lui s'è distinto per aver varato l'unica giunta comunale d'Italia
che andava da Forza Italia a Rifondazione comunista. Che cosa non funziona nella lotta all'evasione fiscale?
«Dati alla mano, è una delle principali cause del crollo dell'economia nazionale. Tutto parte dal fatto che
l'Agenzia delle entrate accerta ogni anno 30 miliardi di maggiori imposte, che con l'aggiunta di sanzioni,
interessi e aggiesattoriali salgono a 70. Circa due terzi di essi, diventano oggetto di contenzioso.Per
difendersi, i ricorrenti devono farsi assistere da tributaristi, avvocati e commercialisti, tutta gente che costa un
occhio della testa. Nei primi due gradi di giudizio, quindi senza tenere conto del terzo in Cassazione, imprese
e cittadini sopportano costi pari al 10 per cento dell'accertato: miliardi di euro. Se invece "definiscono", come
si dice in gergo, cioè pagano subito per evitare sanzioni e rischi del contenzioso, devono comunque
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INTERVISTA tipi italiani LUCIANO DISSEGNA
18/05/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:192677, tiratura:292798)
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rassegnarsi a grosse parcelle calcolate sul "risparmiato". In pratica i professionisti si fanno dare almeno un 10
per cento». Vediamo se ho capito bene. L'erario pretende da me 100.000 euro senza motivo. Il mio
tributarista lo convince ad accontentarsi di 10.000 e poi mi chiede 9.000 euro di parcella per avermene fatti
risparmiare 90.000? «Esatto. È come se lo Stato pagasse una pletora di dipendenti che vanno in giro con una
mazza a fracassare le gambe della gente per dare lavoro agli ortopedici. L'Agenzia delle entrate conta più di
33.000 dipendenti, il 7-8 per cento sono addetti al contenzioso. Uno spreco in audito. Aggiunga gli
incalcolabili costi in termini di giorna telavorative perse, malattie, stress. Un'azienda su tre chiude a seguito di
una verifica. Quando non si arriva al suicidio del titolare. E non basta». Il suicidio non basta? Che altro c'è? «I
contribuenti sospettati di evasione vinconoilricorso nel 50per cento dei casi. Risultato: dei 70 miliardi
accertati, l'Agenzia ne incassa appena 7 l'anno. Quindi i costi sostenuti da cittadini e imprese per tutelarsi
superano di gran lunga gli introiti della lotta all'evasione. Una follia. Così va a picco il Paese. È in corso un
mastodontico trasferimento di risorse dall'economia reale, rappresentata dalle aziende, a quella virtuale,
rappresentata dai professionisti che assistono la gente trascinata in giudizio». Un momento, mi perdoni, ma
studi legali e commercialisti non danno forse da mangiare a tante famiglie? «Ah, perché lei pensa che questo
fiume di denaro venga utilizzato nell'acquisto di beni strumentali o nell'assunzione di nuovi di pendenti?
Andiamo! Non crederà che i vari Giulio Tremonti, Victor Uckmar, Vittorio Emanuele Falsitta - per citare alcuni
tributaristi di grido - comprino un computer al giorno o arruolino un'impiegata a settimana? È già tanto se
lofannoogni10anni.Ergo,isoldifiniscono soprattutto nei loro conti correnti. Ma, dico io,siete tutti bravissimi,
perché non vi date all'imprenditoria? Diventereste di botto altrettanti Armani, Ferrero, Barilla, Caprotti,
Squinzi». Come fa l'erario a perdere il 50 per cento delle cause? È assurdo. «Per forza: spara accertamenti
iperbolici a casaccio. L'aggravante è che martella le piccole imprese, andando in cerca di quattrini dove non
ci sono. Perfino Befera è stato costretto ad ammettere che "esiste l'evasione di sopravvivenza". Quindi,
anche quando l'accertamento va a buon fine, i soldi che cerca di riscuotere non li trova: l'evasore li ha già
spesi per campare. Insomma, l'Agenzia tartassa i contribuenti sbagliati e così porta a casa solo 1 euro su 10.
E questo nonostante disponga di strumenti da regime poliziesco.Ti blocca tutti i beni al sole: casa, terreni,
conti correnti, auto, barche, quadri, tappeti, mobili. Può persino, grazie a recenti sentenze della Cassazione,
spremerei socidi una Srl, obbligandoli a rispondere in solido di un'evasione compiuta dalla società. Non se n'è
accorto nessuno, ma di fatto la responsabilità limitata è stata abolita». Leiha denunciato pratiche estorsive da
parte dell'Agenzia delle entrate. Mi pare un'accusa gravissima. «Stia a sentire che cos'è accaduto. Un mio
assistito di Treviso ha un'azienda che produce insaccati. Gli intimano, a capoccia, di pagare 2,3 milioni.
Presento ricorso alla commissione tributaria provinciale: vinto. Il mio cliente non ha evasoalcunché, quindi al
fisconon deve niente. A quel punto, se non fosse mio amico, potrei chiedergli il 10 per cento su quanto ha
risparmiato: quindi 230.000 euro. Invece se la cava con 3.000, le spese vive. Ebbene: lei non crede che, pur
di sottrarsi all'incubo di dover sborsare 2,3 milioni di euro, egli non sarebbe stato disposto a versarne senza
motivo almeno 800.000, come l'Agenzia era arrivata a proporgli dopo una spossante trattativa? E questa che
cosa sarebbe stata se non un'estorsione? Nell'esposto il mio assistito ha documentato una quarantina tra
falsi, abusi, violenze, minacce». Documentati come? «Registrando di nascosto tutti i suoi colloqui con i
funzionari del fisco. I quali hanno riconosciuto che il loro accertamento era "spannometrico". In un dialogo, il
capo dell'ispezione, avendo fallito nel suo intento vessatorio, ha ringhiato che sarebbe scoppiato" un casino
della madonna". E infatti due giorni dopo è stato aperto un secondo accertamento su un'attività marginale, di
tipo filantropico, che il mio assistito ha in corso». Una ritorsione. «Già. Non bastava che gli avessero
contestato 1,19 milioni di ricavi in più. Al che il malcapitato ha obiettato: scusate, stiamo parlando di prodotti a
base di carne, estremamente delicati, perché non avete allertato i Nas, denunciando che la mia azienda
starebbesmerciando in nero il 95 per cento degli insaccati? E i veterinari che vengono due volte a settimana a
controllare e che hanno libero accesso alle celle frigorifere che cosa sono, miei complici? Risposta, testuale,
del funzionario dell'Agenzia delle entrate: "Io mi ricordo di aver vistocerti filmati di Striscia la notizia dove se
ne vedevano di cotte e di crude sui bovini"». Ma non c'è un direttore provinciale che sorvegli questo
18/05/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 24
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funzionario? «Certo che c'è. E sa che cos'ha risposto per iscritto costui quando gli abbiamo contestato i
comportamenti del suo sottoposto? "Normale rapporto fisco-contribuente". Come dire che minacce e abusi
rientrano fra i metodi usuali dell'Agenzia delle entrate. Non basta: il professor Aldo Rossi, ordinario di tecnica
e gestionedei sistemi industriali dell'Università di Padova, ha riscontrato" grossolani errori, logici e di calcolo,
finalizzatia gonfiare,in modo approssimativo, maldestro, arbitrario e per fino assurdo i ricavi della società
verificata"». Lei che rimedi consiglierebbe? «L'Agenzia dovrebbe "accertare" solo se è sicura al 100 per
cento, applicando il principio "In dubio pro reo". Quando fui nominato direttore, dissi ai miei
impiegati:guaiavoisemipresentateunaccertamento che non sia sostenibile in giudizio al 101 per cento. Sa
quanti ne stracciai per manifesta infondatezza?». Perché lo faceva? «Per impedire che le imprese
foraggiassero i professionisti del nulla. E per non dare troppo potere a me stesso e agli accertatori. In ogni
contenzioso privo di fondamento la corruzione è in agguato: ti chiedo tanto, trattiamo, ti facciopagare poco,
adessosganciaqualcosaper avertiaiutato. Misono spiegato?». Perfettamente. «Da quel momento crollò il
contenzioso. Eppure, si tenga forte, fra il 2003 e il 2008 gli uffici diretti da me furono quelli che incassarono di
più in tutto il Veneto inproporzionealnumerodicontribuenti. Semplice: chiedevamo 10 anziché 100 e tutti
preferivano versare le tasse anziché stipendiare i tributaristi». Invece altrove che accade? «Lo Stato bussa
alla porta dei poveracci. Tartassa l'idraulico con tre figli da crescereanzichéilginecologo conun Rolex d'oro per
polso. La pesca a strascico costa meno fatica e qualcosa consente sempre di tirar su. Mentre quella selettiva
richiede pescatori professionisti». L'Agenzia delle entrate non ne ha? «Ne ha. Ma le nomine nella pubblica
amministrazione sono quasi sempre connotate da metodi clientelari, mafiosi. E l'erario non mi pare un'isola
felice». Gli accertatori riscuotono provvigioni in busta paga? «Altroché. I dirigenti sono premiati con soldi e
promozioni in ragione del gettito conseguito. E gli accertatorisimettono sulla loro scia per progredire nella
carriera pure loro. L'80 per cento degli incarichi interni all'Agenzia delle entrate non sono conferiti per
concorso, bensìassegnati informa totalmente discrezionale». Come se ne esce? «Bisognerebbe tassare i
redditi in misura inversamente proporzionale al rischio di perderli. Basta schiacciare un bottone: vediamo
subito quanti perdono l'impiego nel pubblico e quanti nel privato. Dopodiché il primo lo tassiamo il doppio del
secondo. Sarebbe una riforma epocale: frotte di nullafacenti aprirebbero all'istante una partita Iva, si
dedicherebbero a lavori umili, andrebbero a sgobbare nei campi per pagare meno tasse, e addio pubblica
amministrazione faraonica. Ma lei crede che Matteo Renzi possa metter mano a una roba del genere?
Campa cavallo». (702. Continua)
PRATICHE ESTORSIVE Un mio cliente ha registrato minacce e abusi dei funzionari erariali: ricorso vinto
POVERI TARTASSATI Una ditta su 3 chiude in seguito a verifica Renzi, perché non crei l'Agenzia delle
uscite?
Foto: ZERO STIPENDIO Luciano Dissegna. Si candida a sostituire gratis Attilio Befera, che andrà in
pensione a fine mese [Maurizio Don]
17/05/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Alluminio addio: sono made in Italy le pellicole "metallizzate" e flessibili Antonio Cerciello ha rilevato l'azienda
piacentina nel 1998: oggi domina il settore. Anche in Cina
ANDREA D'AGOSTINO
alla campagna piacentina alla conquista del mercato cinese. Sbaragliando la concorrenza locale in un settore
come quello meccanico, grazie a una serie di investimenti mirati nell'imballaggio industriale. È un percorso
inarrestabile quello compiuto da Antonio Cerciello, presidente di Nordmeccanica, che ieri a Piacenza ha
inaugurato il terzo stabilimento della sua azienda con un summit internazionale sul packaging ecosostenibile.
Un incontro dedicato soprattutto a quello che è il loro fiore all'occhiello: la produzione di imballaggio flessibile
con cui si può rivestire vari prodotti, dall'alimentare al farmaceutico, con una tecnica che permette di
realizzare fogli e pellicole in sostituzione dell'alluminio. Creando in Italia un centinaio di nuovi posti di lavoro.
È un'avventura imprenditoriale quella che ha portato questo ingegnere meccanico napoletano, classe 1940, a
rilevare la Nordmeccanica nel 1998. Dopo una ristrutturazione interna, l'ha rilanciata sul mercato
internazionale. Con risultati di tutto rispetto: un giro d'affari da 82 milioni di euro (dai 7 del 1998), con la
previsione di arrivare a 95 milioni quest'anno, 280 dipendenti diretti che salgono a 300 se si considera
l'indotto. «Siete venuti qui per vedere un pacchetto di patatine fritte» ha esordito scherzosamente Cerciello,
sventolandone uno prodotto proprio qui. Dietro ogni pacchetto, però, c'è una lavorazione complessa: merito
delle macchine, che consentono di "unire" le pellicole esterne (con stampati nomi e immagini dei prodotti) con
quelle interne a contatto col prodotto stesso tramite incollaggi non inquinanti, senza solventi. L'azienda
italiana è una delle poche al mondo a disporre di queste macchine "metallizzatrici", e una delle tre in Europa
(gli altri impianti sono in Germania e Gran Bretagna). «Ogni macchinario costa un milione di euro - spiega
Vincenzo Cerciello, che assieme al fratello Alfredo affianca il padre in azienda da 12 anni - e serve a
depositare l'alluminio fuso sul materiale plastico, dandogli la stessa proprietà di un metallo. Solo che alla fine
costa il 30-40% in meno di un metallo». Al summit di ieri era presente una grossa delegazione di imprenditori
cinesi: nel 2009 Nordmeccanica ha aperto infatti un impianto a Shangai con 6 dipendenti, saliti a 28 l'anno
scorso, che dovrebbero diventare 80. Ma soprattutto il fatturato in Cina è destinato a salire dai 5 milioni di
euro nel 2012 a 20 milioni nel 2014, con un incremento di vendite del 20-25% nei prossimi 10 anni. L'azienda
è presente anche in India dal 2007 - l'anno scorso ha inaugurato un impianto a Mumbai - e in America, dove
è prevista anche qui una nuova apertura a New York. «Non è frequente in Italia inaugurare nuovi stabilimenti
industriali - ha dichiarato Federico Ghizzoni, Ad di Unicredit -. Nordmeccanica è un vero esempio di made in
Italy, di quel manifatturiero di eccellenza e qualità di cui si parla poco». Complice forse l'ormai imminente
Expo, oggi si tende a parlare più di altri prodotti tipici come l'alimentare. Ma forse un ultimo dato, più di tutti,
può spiegare la forza di questa azienda: in questo settore controlla tra il 65 e il 70% del mercato mondiale.
Foto: Un macchinario "metallizzatore"
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Così Nordmeccanica imballa il mercato
17/05/2014
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Aziende familiari, donne è meglio
da Berlino ROBERTO GIARDINA
a pag. 16 Negli ultimi anni si sta registrando un passaggio generazionale in migliaia di piccole e medie
aziende di famiglia. Sono nate quasi tutte nello stesso periodo, nell'immediato dopo guerra da imprenditori
già abbastanza maturi. Adesso, dopo i figli, tocca alla seconda generazione. E si registrano problemi. I
capifamiglia sono relativamente giovani e non tutti sono disposti a cedere il comando. Tendono a ritenere gli
eredi non abbastanza maturi o, comunque, non ancora alla loro altezza. Forse non hanno tutti i torti. I figli,
una volta al potere, vogliono consciamente o meno dimostrare di essere differenti dai genitori. E finiscono
spesso per esagerare nella voglia di cambiare tutto. A dare migliore prova sono invece le fi glie, sostiene in
un lungo reportage la Wirtschaftswoche, il più autorevole settimanale economico. Perché non soffrono di
complessi d'inferiorità e di spirito di competizione esagerato. Hanno collaborato con i padri per anni, e li
hanno ascoltati, mettendo a frutto la loro esperienza. Una volta chiamate a dirigere l'impresa di famiglia
sanno meglio dei fratelli trovare un compromesso tra tradizione e necessità di rinnovamento. Invece le quote
rosa non funzionano. Le grandi aziende si sono piegate alle pressioni, e hanno fatto entrare negli ultimi due
anni decine di donne nei consigli di amministrazione e di sorveglianza, ma oltre una dozzina ha già gettato la
spugna, comprendendo di non essere all'altezza. Semplicemente, nelle grandi aziende non ci sono molte
signore nei livelli intermedi con le capacità necessarie per essere promosse. La loro nomina per ottemperare
alle quote rosa fi nisce per diventare un boomerang che danneggia la causa femminile. Le imprenditrici
tedesche nelle aziende di famiglia hanno successo invece anche in settori ritenuti tipicamente maschili. Frau
Nicola Lemken, 43 anni, guida l'omonima ditta creata prima della rivoluzione francese, nel 1780, da un fabbro
di paese e oggi produttrice di macchine agricole: con 1.144 dipendenti, l'anno scorso ha raggiunto i 363
milioni di fatturato. Ma, all'inizio, in azienda si dubitava che una giovane donna potesse dirigere una fabbrica
di trattori. Dal 2007, Julia Esterer, 41 anni, amministra la fabbrica di autocisterne, creata in Assia dal padre
Herold, 72 anni, ed è riuscita a modernizzare gli impianti imponendosi sui 170 dipendenti che volevano
restare fedeli alla tradizione. Eva Clüsserath dirige l'azienda vinicola di famiglia, che produce 40 mila bottiglie
di Riesling all'anno: non cambia i metodi di produzione del padre, ma ha creato un sistema di distribuzione
più moderno e effi ciente. Il 40% delle piccole e medie imprese non trova un'adeguata successione al vecchio
proprietario. Entro i prossimi cinque anni, 139 mila ditte dovranno trovare un nuovo capo, in media 27 mila
all'anno, con circa 400 mila dipendenti. In quasi un quarto delle aziende verrà chiamata alla direzione una
donna. Non giungono a sedersi sulla poltrona di comando solo per diritto di successione. Si preparano da
tempo, seguono corsi universitari, fanno esperienza in qualche altra ditta del settore. Forse, giudica
Wirtschaftswoche perché sanno che dovranno vincere la diffi denza, in famiglia e in fabbrica. I fratelli, al
contrario, danno per scontato di essere all'altezza del genitore e non si mettono alla prova.
Foto: Nicola Lemken guida l'omonina azienda di macchine agricole
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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GERMANIA
17/05/2014
ItaliaOggi
Pag. 22
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Verso il taglio dell'Irap
Varo dei mini-bond e più garanzie alle pmi
CINZIA DE STEFANIS
Èattualmente alla valutazione del governo il varo di una manovra progressiva sull'Irap particolarmente attesa
dal mondo delle imprese. Tale misura sarà in grado di incidere signifi cativamente, sui bilanci delle stesse,
liberando liquidità da destinare alla gestione e agli investimenti. E allo studio anche la possibilità di estendere
ulteriormente l'operatività del fondo di garanzia pmi e la dotazione patrimoniale. In arrivo i provvedimenti
attuativi per favorire l'emissione dei mini-bond alle piccole e medie imprese. Infi ne, è previsto per giugno il
decreto attuativo per il credito di imposta fi nalizzato al sostegno delle attività di ricerca e sviluppo. Questa la
risposta formulata dal ministro dello sviluppo economico Federica Guidi all'interrogazione parlamentare n. 3 00756 del 9 aprile scorso presentata dall'onorevole Fabio Rampelli (Fratelli d'Italia) ed illustrata dall'onorevole
Massimo Enrico Corsaro di Fratelli d'Italia. L'onorevole Corsaro nell'illustrare la situazione in cui versano le
pmi evidenziava il susseguirsi del numero delle pmi che falliscono per insolvenza. Tra il 2008 e il 2013 c'è
stato un raddoppio del numero delle aziende che hanno chiuso per insolvenza fi nanziaria. Si è passati da
una media di 7 mila a una media di oltre 14 mila unità di imprese all'anno, a fronte di una capacità produttiva
che comunque tendenzialmente ha tenuto nel sistema delle microimprese. Il ministro Guidi nel rispondere
sottolineava che, il governo sta dedicando la massima attenzione alle diffi coltà per le imprese nell'incasso dei
propri crediti e al delicato tema dell'imposizione fi scale.È stato avviato l'esame di un disegno di legge
contenente norme per completare il processo di defi nitivo adeguamento dei tempi di pagamento della
pubblica amministrazione a quelli previsti dalla direttiva europea, favorendo naturalmente la cessione del
credito al sistema bancario e imprimendo una accelerazione ai tempi di pagamento dei debiti. È inoltre
attualmente alla valutazione del governo il varo di una manovra progressiva sull'Irap particolarmente attesa
dal mondo delle imprese e tale misura sarà in grado di incidere signifi cativamente, noi crediamo, sui bilanci
delle stesse, liberando liquidità da destinare alla gestione e agli investimenti. Il ministero dello sviluppo
economico, poi, in stretta collaborazione con Abi, Aifi e borsa italiana, ha sostenuto l'introduzione dei
cosiddetti mini-bond di cui al decreto-legge n. 83 del 2012 e si lavora ai provvedimenti attuativi per favorirne
l'emissione. Infi ne, il credito di imposta per il sostegno delle attività di ricerca e sviluppo il cui decreto
attuativo sarà emanato entro il prossimo giugno. Per tale ultimo intervento, come annunciato dal governo, è
intenzione raddoppiare le risorse disponibili per ampliare la portata della misura adesso limitata alla sola
componente incrementale. Per quanto riguarda, infi ne, le misure agevolative volte a rilanciare gli investimenti
industriali, il ministro Guidi ricorda la nuova «legge Sabatini», che prevede un contributo sugli acquisti dei
nuovi macchinari e impianti a parziale copertura degli interessi a carico delle imprese sui fi nanziamenti
bancari.
Foto: Federica Guidi
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Federica Guidi annuncia i nuovi provvedimenti al vaglio dell'esecutivo
19/05/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.18 - 19 maggio 2014
Pag. 22
(diffusione:581000)
L'AZIENDA UMBRA HA CAPITO SUBITO CHE INTERNET STAVA RIVOLUZIONANDO IL SETTORE E HA
SAPUTO RESISTERE CONSOLIDANDOSI NELLE NICCHIE TERRITORIALI E COSÌ È RIUSCITA AD
ESPANDERSI. I NUOVI SERVIZI CON LA GEOLOCALIZZAZIONE E LA "VECCHIA" CARTA
Andrea Frollà
Roma Sono stati una delle prime "vittime" della rivoluzione digitale: gli elenchi telefonici. Il Web, i motori di
ricerca, la posta elettronica, i cellulari tra le prime attività tradizionali li hanno mandati presto in soffitta,
relegandoli a un ruolo marginale. E ciò ha stravolto di conseguenza il mercato delle pubblicità aziendali locali
organizzate per categoria: le Pagine Gialle hanno vissuto e vivono stagioni difficili; l'avventura delle Pagine
Utili con cui Mondadori voleva sfidare la Seat si è chiusa da tempo. Ma c'è chi resiste. PagineSi!, azienda di
Terni che dal 1996 opera nel settore dell'editoria pubblicitaria, ne è l'esempio. La pubblicazione di elenchi
telefonici è stata il suo unico business fino agli inizi del 2000. Poi è arrivata Internet. "Capire che la rete stava
per rivoluzionare il modo di fare impresa è stato per noi fondamentale - spiega l'ad Sauro Pellerucci Abbiamo
voluto rischiare, assumendo giovani che avessero dimestichezza con il Web per integrare il tradizione
prodotto cartaceo con i nuovi servizi online". Una scommessa che si è rivelata vincente, permettendo
all'azienda ternana, che conta oggi 150 dipendenti con un'età media di 36 anni e oltre 400 agenti
plurimandatari, di crescere in modo costante specialmente negli ultimi sei anni, quando la Rete è diventata
facilmente accessibile a chiunque: dai 13,5 milioni di euro del 2008, il fatturato ha raggiunto i 21,9 milioni nel
2013, con un utile netto di 1,5 milioni. Risultati importanti raggiunti soprattutto grazie agli investimenti in
innovazione che, nell'ultimo biennio, sono stati pari al 27% degli utili. Una realtà aziendale che, specie dopo
l'accordo con Google l'anno scorso, oggi fa dell'unione tra prodotti editoriali cartacei e servizi Internet alle pmi
il proprio punto di forza. PagineSi!, infatti, continua a stampare e distribuire in 72 province, sparse sull'intero
territorio nazionale, oltre 8 milioni di copie di quelli che, da semplici elenchi telefonici, si sono ormai evoluti in
guide ai servizi per il cittadino. Tramite il Web, che la società di Terni intende sfruttare per espandersi
soprattutto nei grandi centri cittadini d'Italia, mette invece a disposizione delle piattaforme online tramite cui
imprese ed enti pubblici locali possono dare informazioni utili o vendere i propri prodotti e servizi. Inoltre, da
aprile i servizi di PagineSi! sono diventati accessibili anche da mobile, ampliando così la gamma di servizi
offerti con la geo-localizzazione per favorire il contatto diretto tra imprese e clienti.
Foto: Qui sopra, Sauro Pellerucci
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Pagine Sì! le directory resistono in provincia grazie al Web
19/05/2014
Corriere Economia - N.18 - 19 maggio 2014
Pag. 1
Brembo senza freni Cresce e prepara la campagna d'America
@rscaglia1
SCAGLIARINI A pagina 12
Usa batte Germania: nel campionato intercompany della Brembo dove i punti si contano in milioni di euro, il
sorpasso del mercato americano su quello tedesco è questione di mesi.
Oltreoceano il settore automotive ha ripreso a crescere e l'azienda bergamasca, leader mondiale nei sistemi
frenanti, è in prima linea. Alberto Bombassei, patron e presidente nonché deputato di Scelta Civica, a giorni
taglierà il nastro del nuovo stabilimento nel Michigan dove ha investito un centinaio di milioni. Lungimiranza?
No strategia industriale da manuale.
«Raccogliamo quello che abbiamo seminato negli ultimi anni - commenta Bombassei -. È il valore che sto
cercando di trasmettere a tanti colleghi imprenditori, e anche ai colleghi in Parlamento: le scelte fatte 20 anni
fa di internazionalizzare per anticipare i cambiamenti di un mercato globale dove l'automobile cresce insieme
con l'economia, pagano. Ci abbiamo sempre creduto».
Attacco
Nel 2009 invece di giocare in difesa Brembo ha lanciato un piano di investimenti da 600 milioni. Risultato: nel
2013 i ricavi hanno sfiorato 1,6 miliardi, il doppio del 2008, e nello stesso periodo i dipendenti sono aumentati
di 2mila unità, da 5.500 a 7.500 (di cui 3.200 in Italia). «Non è che la crisi abbia risparmiato il settore auto.
Negli Usa sono fallite le principali case automobilistiche, ma noi non abbiamo cambiato i nostri programmi,
abbiamo avuto il coraggio di perseverare e, nel momento in cui il mercato ha cominciato a marciare, ci siamo
trovati avvantaggiati. Abbiamo terminato in anticipo il secondo ampliamento del nostro sito per rispondere a
una domanda che cresce anche del 30%».
Se il ritmo continuerà a essere questo, è probabile, non solo che gli Usa diventino il primo mercato, ma anche
che il gruppo investa ancora per aprire una fonderia e integrare la produzione a monte: «È un progetto che
stiamo studiando». I conti trimestrali hanno sbalordito la Borsa, gli analisti e gli azionisti: 446,9 milioni di
ricavi, in aumento del 20,2%, Ebitda di 69,1 milioni, in aumento del 46,1%, e utile netto di 35,9 milioni, in
crescita del 74,3%.
«Dicono che da quando sto molto a Roma e lascio le mani libere a Bergamo l'azienda vada meglio - scherza
l'imprenditore che fondò Brembo insieme al padre Emilio 53 anni fa -. In realtà il gruppo è sempre cresciuto
ma se questa volta è andato oltre le nostre stesse previsioni la ragione è che, dopo la crisi, il mercato
automobilistico è tornato a riprendersi in Europa e negli Usa, e si stanno affacciando Paesi nuovi, per
esempio la Cina o il Brasile, in cui noi siamo presenti».
Bombassei a 73 anni ha lasciato la guida operativa del gruppo al vicepresidente esecutivo - il genero Matteo
Tiraboschi - e all'amministratore delegato - Andrea Abbati Marescotti - e ha passato le quote della cassaforte
di famiglia, Nuova Fourb, ai due figli, Cristina e Luca. Ha mantenuto, però, l'usufrutto delle azioni. «Non ho
intenzione di mollare - dice - ma è naturale che tutto sia pronto per la successione, è doveroso per un
imprenditore assicurare la continuità del gruppo. Il futuro è garantito».
Dal suo osservatorio di presidente e imprenditore Bombassei pensa che se Brembo è arrivata a esportare il
90% dei proprio fatturato con un rapporto equilibrato tra America, Asia ed Europa, anche altre imprese
italiane possono farlo. «L'Italia è il secondo paese manifatturiero d'Europa dopo la Germania, se vogliamo
rimanere tali dobbiamo fare una politica industriale coerente che salvaguardi le materie prime e raccolga la
sfida dell'abbattimento dei costi dell'energia».
Prospettive
Il solco è stato tracciato dall'amministrazione Obama che, dopo aver riconosciuto l'errore di considerare il
manifatturiero un settore da Paesi emergenti, è tornato sui suoi passi. «Ha avviato un programma di
reindustrializzazione che, unito al vantaggio dello shale gas, porterà l'industria americana a diventare sempre
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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INDUSTRIA
19/05/2014
Corriere Economia - N.18 - 19 maggio 2014
Pag. 1
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più competitiva».
L'altro capitolo è la ricerca e sviluppo. Se Brembo non avesse sempre investito in ricerca il 5% del proprio
fatturato, oggi non avrebbe sviluppato 1.600 brevetti nè avrebbe introdotto quei dischi freno in carbonio
ceramico che hanno contribuito alle performance estreme di auto come Ferrari, Porsche, Lamborghini o
Maserati. Al centro ricerche si studiano nuovi materiali per alleggerire il peso dei sistemi frenanti, per ridurre
l'impatto ambientale e per introdurre nuove possibili applicazioni in altri settori: l'ultimo su cui si lavora è
l'aerospaziale.
Brembo ha gettato le basi per continuare a crescere anche in futuro («magari non a questi ritmi»). Ma la
congiuntura aiuta. «Si prevede in dieci anni il raddoppio del Pil mondiale, questo implica che la capacità di
acquisto di alcuni Paesi crescerà esponenzialmente. È quello he sto cercando di trasferire ai miei colleghi, se
nei sogni di un cinese o di un indiano c'è l'acquisto di un'auto europea e c'è certamente anche l'acquisto di
una camicia, di un mobile o di un vestito italiano. Abbiamo grandi opportunità se spingiamo tutti nella stessa
direzione. Senza frenare per questa volta».
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1 I conti Fonte: elaborazione CorrierEconomia RP La trimestrale I principali dati economici Ricavi del 1°
trimestre milioni € 446,9 +20,2% Ebitda milioni € 69,1 +46,1% Ebit milioni € 45,9 +75,6% 2008 2009 2010
2011 2012 2013 Diff.% 2013/2012 Ricavi Margine operativo lordo % su ricavi delle vendite Margine operativo
netto % su ricavi delle vendite Utile prima delle imposte % su ricavi delle vendite Utile netto % su ricavi delle
vendite 1.060,8 140,9 13,3% 74,8 7% 53,6 5,1% 37,5 3,5% 825,9 101,2 12,3% 22,6 2,7% 10,7 1,3% 10,5
1,3% 1.075,3 130,5 12,1% 56,4 5,2% 45,4 4,2% 32,3 3% 1.254,5 148,8 11,9% 73,3 5,8% 54,7 4,4% 42,9
3,4% 1.388,6 171,7 12,4% 89,5 6,4% 82,9 6% 77,8 5,6% 1.566,1 212,1 13,5% 121,4 7,8% 104,4 6,7% 89
5,7% 12,8% 23,5% 35,6% 26% 14,4%
Foto: Leader Alberto Bombassei, fondatore di Brembo e attualmente deputato di Scelta Civica
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ItaliaOggi Sette - N.117 - 19 maggio 2014
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Agenzie per il lavoro in ripresa
A brillare sono automotive, metalmeccanica e turismo
SIBILLA DI PALMA
Soffia il vento della ripresa sulle agenzie per il lavoro che, pur non avendo recuperato completamente il gap
con i livelli pre-crisi, sembrano essersi lasciate alle spalle i momenti più diffi cili legati alla recessione. Con un
aumento dei lavoratori in somministrazione occupati mensilmente nel 2013 del 4,5% rispetto al 2012. Grazie
soprattutto al traino di alcuni settori, tra i quali spiccano l'automotive, l'industria metalmeccanica e alimentare
e il comparto turistico. Lavoratori in somministrazione in crescita. Secondo le stime elaborate dal Centro Studi
di settore costituito da Assolavoro, l'Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro, con i sindacati di
categoria, i lavoratori in somministrazione mensilmente occupati nel 2013 sono stati 277 mila, con un balzo
del 4,5% in più rispetto al 2012 (quando erano 265 mila). In particolare, a dicembre 2013 il numero medio di
occupati è stato di 279 mila persone, il 6,5% in più rispetto a dicembre 2012. In crescita anche la percentuale
relativa al rapporto fra occupazione in somministrazione e occupazione totale che nel 2013 è stata pari
all'1,28% contro l'1,19 di dicembre 2012. «In Italia la somministrazione di lavoro è stata introdotta molto più
tardi rispetto ai principali paesi europei, il percorso avviato, tuttavia, lascia sperare che continueremo a
recuperare terreno, a tutto vantaggio del sistema Italia», osserva Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro.
Aggiungendo che «la difesa a tutti i costi del 'posto' di lavoro sempre più spesso non paga. Si va sempre più
prendendo consapevolezza quanto il nostro settore indica da tempo: va difesa la persona, le va garantito
reddito e servizi anche per i periodi di non lavoro, più che il 'posto' che può essere in imprese non più
competitive, in settori ormai obsoleti». I casi Adecco, Manpower e Gi Group. Dando uno sguardo al trend
delle singole agenzie, Adecco nel 2013 ha avviato al mondo del lavoro oltre 150 mila persone con un'età
media di 35 anni (57% uomini). «Si tratta di profi li con una laurea per il 15%, con un diploma di scuola media
superiore per il 40% e con un diploma di scuola media inferiore per il 44%», sottolinea Federico Vione,
amministratore delegato della società. Tra i comparti che hanno riscontrato il maggior numero di avviamenti
spiccano il turistico/alberghiero/ristorazione, l'industria metalmeccanica e alimentare, i servizi del terziario e
l'automotive. Nei prossimi mesi «prevediamo che i settori che offriranno maggiori opportunità professionali
saranno il chimicofarmaceutico, l'alimentare e il fashion, mentre i profi li più ricercati ma allo stesso tempo più
diffi cili da reperire sono e saranno quelli altamente qualifi cati nell'ambito dell'innovazione e dell'Information
Technology (ad esempio in ambito cloud computing, big data e mobile/social)». Gi Group, invece, ha avviato
al mondo del lavoro lo scorso anno 149.315 persone. «Nel 2013 abbiamo rilevato una ripresa del comparto
manifatturiero soprattutto nel secondo semestre dell'anno e in particolare per quanto concerne l'automotive»,
commenta Antonio Bonardo, direttore public affairs del gruppo. Trend positivo anche per food & beverages,
pharma e logistica. «Guardando in avanti, ci aspettiamo una crescita nei settori del commercio, della
manifattura (automotive e macchine utensili), dell'agroindustria, della moda, dell'innovazione tecnologica e
della cura della persona». Manpower ha invece collocato lo scorso anno 200 mila lavoratori. Con alcuni
comparti che hanno corso più di altri, «come quello dell'automotive, dei mobili e delle pelli. Tutti settori che
crescono e che continueranno a crescere se saranno in grado di trovare i professionisti di cui hanno
bisogno», osserva Stefano Scabbio, presidente e amministratore delegato ManpowerGroup Italia e Iberia. Un
trend che «dimostra ancora la centralità del Made in Italy e dell'eccellenza tutta italiana in alcuni ambiti». I
risultati di Openjobmetis, Randstad e Obiettivo Lavoro. Sono invece 95 mila i lavoratori impiegati da
Openjobmetis lo scorso anno con un fatturato di 370 milioni di euro, in crescita nel primo trimestre di
quest'anno del 10% rispetto allo stesso periodo del 2013. Sul fronte dei settori, non c'è un ambito che a livello
generale spicca più degli altri. «Dipende molto dal territorio», spiega Rosario Ravizza, amministratore
delegato della società. «Nelle Marche, ad esempio, a primeggiare è il comparto calzaturiero, mentre a Milano
continuano a tenere banco fi gure come quelle del responsabile amministrativo o dell'addetto paghe e
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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Le principali società del comparto fanno registrare un segno positivo. Interinali a +4,5%
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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contributi, mentre nel Triveneto sono molto richiesti gli operai specializzati». Randstad ha invece attivato nel
2013 oltre 50 mila contratti di prestazione. «Tra i settori in cui i lavoratori sono stati inseriti maggiormente, ai
primi posti abbiamo il settore metalmeccanico, il commercio all'ingrosso, l'industria alimentare e l'horeca»,
sottolinea Marco Ceresa, amministratore delegato della società. Per i prossimi mesi, «le prospettive
sembrano positive, soprattutto chi lavora nell'ambito manifatturiero ha visto aumentare la domanda dei
prodotti, in particolare dall'estero, perciò le aziende che esportano hanno bisogno di persone». Infine,
Obiettivo Lavoro ha chiuso il 2013 in crescita dell'11,6% a quota 344 milioni di euro di fatturato. «Nella
somministrazione gli avviamenti in missione sono stati 116.949, per un totale di oltre 16,3 milioni di ore
lavorate», sottolinea Alessandro Ramazza, presidente della società. «Le 20 società del nostro gruppo (9
attive all'estero) hanno assicurato occupazione a oltre 950 persone», conclude.
Trend e numeri Il comparto in generale I lavoratori in somministrazione mensilmente occupati nel 2013 sono
stati 277 • mila, con un balzo del 4,5% in più rispetto al 2012 (quando erano 265 mila). In crescita anche la
percentuale relativa al rapporto fra occupazione in sommi• nistrazione e occupazione totale che nel 2013 è
pari all'1,28% contro l'1,19 di dicembre 2012. Adecco Nel 2013 ha avviato al mondo del lavoro oltre 150 mila
persone con un'età media • di 35 anni (57% uomini). Tra i comparti che hanno riscontrato il maggior numero
di avviamenti spiccano il • turistico/alberghiero/ristorazione, l'industria metalmeccanica e alimentare, i servizi
del terziario e l'automotive. I profi li più ricercati sono quelli altamente qualifi cati nell'ambito dell'innovazione e
• dell'Information Technology. Secondo la società, nei prossimi mesi i settori che offriranno maggiori
opportunità • professionali saranno il chimico-farmaceutico, l'alimentare e il fashion. Gi Group Ha avviato al
mondo del lavoro lo scorso anno 149.315 persone. • Tra i settori trainanti spiccano il comparto manifatturiero
e in particolare quello • dell'automotive. Trend positivo anche per food & beverages, pharma e logistica. La
società prevede una crescita nei settori del commercio, della manifattura • (automotive e macchine utensili),
dell'agroindustria, della moda, dell'innovazione tecnologica e della cura della persona. Manpower Ha
collocato lo scorso anno 200 mila lavoratori. • Tra i comparti trainanti spiccano quello dell'automotive, dei
mobili e delle pelli. • Openjobmetis Sono 95 mila i lavoratori impiegati lo scorso anno. • Lo scorso anno ha
realizzato un fatturato di 370 milioni di euro, in crescita nel primo • trimestre di quest'anno del 10% rispetto
allo stesso periodo del 2013. Randstad Ha attivato nel 2013 oltre 50 mila contratti di prestazione. • Tra i
settori in cui i lavoratori sono stati inseriti maggiormente, ai primi posti si col• locano il settore
metalmeccanico, il commercio all'ingrosso, l'industria alimentare e l'horeca. Obiettivo Lavoro Ha chiuso il
2013 in crescita dell'11,6% a quota 344 milioni di euro di fatturato. • Nella somministrazione gli avviamenti in
missione sono stati 116.949, per un totale • di oltre 16,3 milioni di ore lavorate.
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Milano Finanza - N.96 - 17 maggio 2014
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Smi, parte la missione Brasile
Per il sesto anno una delegazione è approdata nel Paese latino grazie a Sistema moda Italia e all'Ice.
Milena Bello
Per il sesto anno consecutivo una delegazione del miglior made in Italy del settore fashion e dintorni è
approdata in Brasile a promuovere la propria produzione grazie al sostegno di SmiSistema moda Italia, in
collaborazione con la sede di San Paolo dell' Ice-Agenzia per la promozione all'estero e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane. L'iniziativa, che si è svolta dal 5 al 9 maggio scorsi e che è
stata cofinanziata nell'ambito dell'accordo di settore tra Smi, il Ministero dello sviluppo economico e Ice,
aveva l'obiettivo di fornire alle imprese una conoscenza diretta di quel contesto operativo e di indicare loro
strumenti e risorse necessari per definire concretamente la propria strategia di ingresso nel mercato
brasiliano. A scommettere sulle opportunità del Brasile sono state quest'anno la A.G. Labrugo (tessitura per
abbigliamento principalmente donna), Camilla textiles (biancheria per la casa e tessuto per biancheria casa),
Cft Pietro Masserini (filatura 100% cotone), Plantex (intimo e pigiameria per uomo, donna, bambino e
neonato) e Zanetti moda (camicie e bluse da donna, abbigliamento casual e sportswear donna, abiti
cerimonia donna). «Al di là delle difficoltà burocratiche e degli alti dazi doganali il Brasile, come la Cina e
Russia, rappresenta un paese dalle enormi potenzialità non solo per i grandi gruppi del fashion ma anche per
le piccole e medie imprese italiane», ha spiegato a MFF Stefano Festa Marzotto, neoconsigliere delegato per
la promozione internazionale di Sistema moda Italia. «Questo vale soprattutto a partire dalla filiera a monte
della moda e quindi per i tessuti. Ecco perché abbiamo scelto di accompagnare in Brasile queste aziende. Il
tessile è il fiore all'occhiello della filiera italiana ma non solo. Nonostante per ora il mercato brasiliano sia sotto
osservazione, non possiamo rischiare di farci cogliere impreparati quando verranno sciolti lacci e lacciuoli
burocratici e restare così indietro rispetto ad altri paesi. Per questo», ha concluso, «il nostro primo passo è il
tessile e da qui, ci auguriamo, potranno iniziare una serie di rapporti proficui con il tessuto commerciale
brasiliano. Il buon esito della missione inoltre, oltre a ridare fiducia alle imprese che hanno partecipato,
conferma l'importanza per l'industria del tessile-abbigliamento-moda di puntare con decisione
all'internazionalizzazione». Allineato sullo stesso fronte anche Gianfranco Di Natale, direttore generale di
Smi, che ha aggiunto: «A partire dall'individuazione di nuovi mercati, è il sostegno concreto che Smi offre ai
suoi associati, fornendo nuove rotte per la nostra industria in aree del mondo che hanno dimostrato di
apprezzare particolarmente l'eccellenza delle produzioni italiane». (riproduzione riservata)
Foto: Stefano Festa Marzotto
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/05/2014
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