Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46/art. 1, comma 1, DCB Roma - Prezzo copia euro 0,20 MENSILE DIRCREDITO ncontri I idee&fatti giugno/luglio 2014 23 anno IV I BANCHIERI? NEGATIVI SU TUTTO CONTRATTO www.dircredito.info informati con DirCredito www.dircreditoincontri.it il nuovo sito “esclusivo” del periodico Incontri idee&fatti Incontri idee&fatti Anno IV - numero 23 - giugno/luglio 2014 Editore: DirCredito Direttore responsabile: Franz Foti Vice Direttore: Cristina Attuati Comitato di direzione: Maurizio Arena, Silvana Paganessi, Franz Foti, Cristina Attuati Hanno collaborato a questo numero Maurizio Arena, Cristina Attuati, Massimo Borra, Silvio Brocchieri, Dante Columbro, Franz Foti, Elisabetta Giustiniani, Livio Iacovella, Claudio Minolfi, Massimo Orizio, Giulio Pomar, Dante Sbarbati, Frank Sirti, Stefano Tebaldini. Progetto grafico: Claudia Spoletini Stampa: Orfeo Planet s.r.l. - Roma Redazione: Via Principe Amedeo 23 - 00185 Roma Periodico telematico: Reg. Trib. Roma n. 118/2014 Perriodico cartaceo: Reg. Trib. Roma n. 441/2005 Iscrizione al ROC n. 13755 chiuso in tipografia il 10 luglio 2014 SOMMARIO IL PUNTO 54a Assemblea ABI - Bancari i grandi assenti nella relazione di Patuelli L’EDITORIALE Contratto: i banchieri? Negativi su tutto INTERNAZIONALE Brevi dal mondo SINDACATO I sindacati cinesi protestano, il governo di Pechino ammicca Barclays Bank... la storia si ripete CR Volterra... quota 100! SOCIETÀ Flop Mondiali: una brutta storia, radiografia di una sconfitta Gerontobanchieri Francesco contro le “mafie” promuove l’esclusione sociale POLITICA Parlamento: prove tecniche di rivoluzione ECONOMIA L’onda giusta: spread in picchiata, tassi bassi e liquidità per le banche Dal 1° luglio rendite finanziarie al 26% LEGALE Osservatorio sulla giustizia Il filo d’Arianna LAVORO L’enigma degli esodati sesta puntata CURIOS@NDO Napoli: le 5 stelle dell’Orsa Maggiore superano la Costa Azzurra Donne e uomini adorano le scarpe “Progetto Insieme” L’Europarlamento affronta il tema della prostituzione Pensionati all’estero con mille dollari al mese felicità low cost 4 5 6 7 15 15 8 9 18 10 12 11 14 17 16 19 20 21 22 23 CONTRATTO I BANCHIERI? NEGATIVI SU TUTTO SPECIALE INSERTO I Giovani e il loro futuro Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n 3 n I L P U N TO Il fatto del mese 54A ASSEMBLEA ABI BANCARI I GRANDI ASSENTI NELLA RELAZIONE DI PATUELLI ROMA, 10 LUGLIO 2014 Ci aspettavamo che Antonio Patuelli, Presidente uscente dell’ABI, nel corso della 54a as- semblea dell'Associazione nella sua relazione di 13 cartelle, impreziosita di analisi eco- nomiche e di citazioni dotte, almeno una parola di ringraziamento per gli uomini e le donne che lavorano nelle banche la spendesse. Così Maurizio Arena, Segretario Generale DirCredito, il Sindacato che rappresenta le alte professionalità del settore. "Il paradosso italiano” - continua Arena, parafrasando le parole di un passaggio della relazione del presidente – “non è tanto, come sottolinea Patuelli, la diffidenza troppo ampia che configura una malattia morale che non è solo motivata dalle cause e dagli effetti della crisi, concetto forse un po’ contorto per assumere un significato concreto. Il paradosso italiano sta tutto in una classe dirigente, spesso inadeguata, sicuramente stra- pagata, che continua a considerare i lavoratori alla stregua di una merce, che è insensibile alle loro esigenze, e che si dimentica dei sacrifici a loro richiesti per superare difficoltà spesso generate più che dalla crisi dalla scarsa lungimiranza e dall’inamovibilità di chi le banche le governa. Molti banchieri, oltre alla trasparenza dovrebbero iniziare a prati- care anche l’esercizio dell’umiltà, ricordandosi degli oltre 300.000 lavoratori senza con- tratto il cui contributo, si abbia o no la delicatezza di dichiararlo, è fondamentale per il rilancio del settore e quindi del Paese”. 4 n gi u gno/l ugl i o 2014 - I n cont ri Maurizio Arena L’ E D I TO R I A L E n CONTRATTO: I BANCHIERI? NEGATIVI SU TUTTO tesoro degli errori del passato, continuino a mettere in campo strategie organizzative e di gestione del personale controproducenti. L'idea di smantellare gli inquadramenti, riducendo drasticamente i livelli nell'area dei Quadri Direttivi contenuta nella controproposta dell’ABI alla piattaforma dei sindacati, produrrebbe un ulteriore depauperamento delle professionalità presenti nelle aziende con uno schiacciamento verso il basso della categoria con inevitabili risvolti sulla qualità del servizio. È una vera e propria provocazione quella dell’ABI rivolta alla fascia direttiva, ma anche ai colleghi che oggi appartengono alle aree professionali, soprattutto quelli più validi e motivati, che vedrebbero fortemente limitate le possibilità di carriera. Mentre nella pubblica amministrazione si va finalmente verso modelli di gestione che favoriscono la meritocrazia, le banche giocano al massacro, preferendo l'appiattimento professionale e trascurando completamente le esigenze manifestate dalla clientela stessa che chiede – ad esempio – il superamento di logiche di standardizzazione nella concessione del credito. Altro pugno nello stomaco alla categoria contenuta nella proposta di ABI è una completa e discrezionale fungibilità del personale, a prescindere dall’inquadramento. Credo che questa sia un’ipotesi addirittura “contra legem” che diventerebbe un vero e proprio boomerang per le banche già accusate dalla clientela di essersi trasformate in semplici supermercati. Come si può pensare che tutti possano fare tutto e che l'apporto qualitativo dell’esperienza e della professionalità possa essere completamente sostituito dall'informatizzazione? Chi valuterà se l'idea di un imprenditore o il progetto di una famiglia sono credibili da poter essere finanziati? Noi la nostra idea già l'abbiamo espressa, anche sulla scorta di suggerimenti di esperti che non appartengono al sindacato e le nostre proposte vanno precisamente nel senso opposto a quelle di ABI. Abbiamo chiesto ai colleghi sacrifici in molte occasioni: il contratto sottoscritto nel 2012 è l’esempio di come i bancari abbiano accettato un contratto al ribasso per fronteggiare la crisi in atto (hanno fatto altrettanto i banchieri?). Non siamo però disposti a cedere ulteriore terreno e ad appiattire la categoria per una politica miope di abbattimento dei costi che guarda nella direzione sbagliata. Ci auguriamo quindi che i nuovi equilibri che scaturiranno con l’assemblea annuale di ABI determineranno un decisa inversione di rotta che tenga conto anche delle istanze di cambiamento che gli provengono dal Paese e dallo stesso Governatore della Banca d'Italia. Ignazio Visco nelle considerazioni finali della sua relazione ha sottolineato come un processo di riorganizzazione credibile non possa passare che da un profondo coinvolgimento delle risorse umane e dei sindacati che li rappresentano. ... non hanno fatto per nulla tesoro “ degli errori del passato e continuano a mettere in campo strategie ... controproducenti Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n “ I risultati dei primi incontri con ABI per il rinnovo del contratto dei 310.000 bancari si trovano già a un punto morto. Le Organizzazioni Sindacali, dopo aver illustrato all’Associazione Bancaria la piattaforma approvata dai lavoratori, hanno consegnato un documento su un nuovo modello di banca elaborato con la collaborazione di esperti indipendenti. Questa impostazione a “doppio binario” è scaturita dalla finalità di evidenziare i molti errori di strategia commessi dai Top Manager che, unitamente alla crisi in atto, hanno portato a una situazione certamente non semplice, con un settore sempre meno rispondente alle necessità di famiglie e piccole imprese e con una contrazione dell’organico di settore che negli ultimi 5 anni ha segnato la cifra record di oltre 40.000 unità. La risposta dei banchieri è stata negativa su tutto. Nonostante decenni di concertazione che hanno consentito al settore bancario di riorganizzarsi profondamente, grazie soprattutto al senso di responsabilità dei lavoratori, sembra proprio che le banche guardino a questo rinnovo contrattuale non tanto quanto a uno strumento per rilanciare il settore, ma come uno stratagemma per tagliare ulteriormente e indiscriminatamente i costi, in particolare quelli del personale. Ritengo che tale atteggiamento sia assolutamente inaccettabile, soprattutto in un momento come questo in cui le banche stanno subendo un attacco concentrico per la scarsa qualità dei servizi resi all'utenza, per il rifiuto di concedere credito a imprese e famiglie e, da ultimo per il livello scandaloso delle retribuzioni dei loro manager, che anche in piena crisi non accennano a diminuire. Come Segretario Generale del sindacato che rappresenta le alte professionalità del settore non posso sottrarmi dal fare alcune considerazioni per ragionare su come le banche, che non hanno fatto per nulla di Maurizio Arena 5 n INTERNAZIONALE BREVI DAL MONDO Notizie, fatti e curiosità oltre i confini STATI UNITI IL MANAGER PIÙ PAGATO AL MONDO Si chiama David Tepper, 56 anni: lo scorso anno ha guadagnato 7 milioni di euro al giorno. Il compenso è stato calcolato dalla rivista statunitense Institutional Investor's Alpha, il manager detiene azioni Google e Citigroup, pretende commissioni di gestione pari al 2% e fino al 20% dei guadagni generati con gli investimenti dei suoi clienti. La sua fortuna l'ha fatta scommettendo che lo Stato avrebbe salvato le banche dopo il fallimento della Lehman Brothers, delle cui quote era riuscito a liberarsi velocemente. Ha vinto la scommessa ...in Italia il salario medio nel 2013 è stato di 29.704 euro. BERLINO LICENZIAMENTO DEI LICENZIABILI È un sistema di gestione del personale adottato dal colosso fast-food “Burger King” e svelato dal giornalista investigativo Gunter Wallraff. I licenziabili sono tutti quelli che si ammalano, che chiedono un permesso per assistere un figlio o un congiunto malato, che gettano il cibo avariato invece di riciclarlo o che vogliono costituire una cellula sindacale. Nei confronti dei licenziabili scatta un mobbing sottile 6 fatto di continue minacce di licenziamento. Il risultato dell'inchiesta giornalistica ha portato sinora alla chiusura in Germania di due filiali, per le pessime condizioni igieniche e per il riciclo di cibo scaduto e avariato. Le banche americane le caratteristiche speciali le vanno a cercare non nei servizi ma nei clienti. A godere infatti di questi trattamenti privilegiati sono depositanti e investitori con patrimoni molto alti, e, soprattutto, sono prevalentemente anziani, con portafoglio blindato e salute cagionevole. I CLIENTI PIÙ RICCHI LE VIOLAZIONI DEI NEW YORK LE BANCHE TARANO I SERVIZI PER Se hai un patrimonio di almeno 50 milioni di dollari la Wells Fargo ti mette a disposizione uno studioso di storia capace di ricostruire la genesi della tua famiglia. La Morgan Stanley, invece, si accontenta di un patrimonio “minimo” di 10 milioni per offrirti “lifestyle services” che facilitano la vita dei clienti, grazie a 600 consulenti costituiti ad hoc. La Private Bank di Citigroup offre anch'essa servizi speciali, ma il patrimonio deve “valere” almeno 100 milioni di dollari. Bank of America e US Trust si occupano anche di problemi più comuni come l'assistenza agli anziani, perché trovare una badante negli USA non è molto semplice, e se un cliente si ammala durante un viaggio in paese remoto, la banca lo va a recuperare con un aereo privato. Servizi gratuiti , effettuati con cura, che hanno però poco a che vedere con la filantropia. n gi u gno/l ugl i o 2014 - DIRITTI SINDACALI NEL MONDO Il 4 giugno è stata presentata a Ginevra, nel corso della 103^ Conferenza Internazionale del Lavoro, l'indagine annuale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, CSI-ITUC, sulle violazioni dei diritti sindacali nel mondo. Quest’anno l’indagine comprende anche il “Global Rights Index”, l'indice globale sui diritti, la graduatoria dei 139 paesi esaminati sulla base di 97 indicatori che riguardano le violazioni – in termini di legge e nella pratica – delle liber tà civili, del diritto di organizzare sindacati, dell'effettiva libertà di attività sindacale, del diritto alla contrattazione collettiva, del diritto di sciopero. In particolare, si è insistito sulle violazioni al diritto di sciopero. Secondo l'indagine, in ben 87 paesi il diritto di sciopero è negato, quantomeno ad alcune categorie di lavoratori, spesso pubblici dipendenti e/o lavoratori delle Zone Speciali di Esportazione nei paesi emergenti e in via di sviluppo. Negli ultimi 12 mesi considerati dal rapporto, in 37 di questi paesi gli scioperi sono stati repressi con la violenza e anche l'arresto di sindacalisti e lavoratori aderenti, o con pesanti multe nei confronti di sindacati e scioperanti. L'indagine sottolinea, inoltre, le difficoltà e i rischi di sindacalizzazione per il crescente numero di lavoratori precari e migranti – maggiormente deboli rispetto alla contrattazione collettiva. Per quanto riguarda l'Italia, l'indagine indica come violazioni quelle dell'ABI e delle associazioni datoriali della ristorazione per la disdetta unilaterale dei rispettivi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. I n cont ri S I N D A C AT O n I SINDACATI CINESI PROTESTANO IL GOVERNO DI PECHINO AMMICCA Appena 3 mesi fa e in modo del tutto inusuale, gli operai di una fabbrica di scarpe cinese hanno guadagnato gli onori delle cronache, proclamando uno sciopero che è durato due settimane. La novità sta nel fatto che, nonostante ogni anno in Cina vengano proclamati migliaia di scioperi, questa volta a fianco dei lavoratori e a sostegno delle loro richieste si è schierato niente popò di meno che il Governo. La protesta, che ha coinvolto la stragrande maggioranza dei 40.000 operai presenti in azienda, è balzata all’attenzione dei media, sia per la sua durata, sia perché scaturita dalla presenza di centinaia di contratti illegali e dal timore che l’azienda, messa alle strette, trasferisse altrove la sua produzione, magari in Paese dove le legislazioni che regolamentano i diritti dei lavoratori risultano più deboli o più compiacenti verso gli imprenditori d’assalto. Quest’ultima ipotesi merita un sorriso e una riflessione, poiché per anni è stata proprio la Cina e il suo modus operandi a esercitare su di noi e sulle nostre aziende una sorta di dumping sociale che ha determinato la migrazione di centinaia di aziende in quel paese e la conseguente perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Alla protesta, ormai a conoscenza dell’informazione internazionale, hanno partecipato i sindacati locali, raccogliendo la solidarietà di province vicine e di diversi paesi del mondo. Lo sciopero è costato alla Yue Yuen l’equivalente di 20 milioni di euro, ma la cifra potrebbe raddoppiare se l’azienda, citata in giudizio dal sindacato, si vedesse costretta a pagare i contributi non versati. In Cina, il sindacato, nonostante i passi da gigante, compiuti nell’ultimo quinquennio, non dispone ancora di una struttura organizzativa sufficientemente forte e ramificata per far sentire la propria voce in modo organico e per imporre alle controparti un livello minimo di contrattazione collettiva, a oggi completamente assente in quel Paese. Un aspetto che ci fa aprire un’altra riflessione, questa volta amara, visto che nel nostro Paese, dove la contrattazione collettiva è regolata per legge, da più parti si levano voci che la ritengono superata e non così determinante per la tutela dei diritti minimi dei lavoratori. La Cina, spesso citata dagli operatori economici e non solo, come modello virtuoso, almeno in termini di produttività, sembra proprio stia facendo, finalmente, un percorso inverso. Vale a dire, si fa strada tra gli abitanti del Paese del Drago una nuova coscienza sociale che determina un aumento esponenziale delle vertenze lavorative, una maggiore frequenza degli scioperi e una più radicata conoscenza sia individuale che collettiva dei lavoratori rispetto alle leggi che regolamentano il lavoro. Le proteste, inoltre, diventano sempre più trasversali, in quanto coinvolgono sia i lavoratori più anziani, preoccupati delle loro pensioni, sia i giovani consapevoli di quanto incerto sia il loro futuro e di Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n come il boom economico, senza regole, abbia determinato l’arricchimento di pochi a scapito di tutti gli altri. Certo, parlare di una svolta epocale sarebbe forse esagerato, ma qualcosa sta cambiando e, la posizione meno rigida della polizia e delle istituzioni verso i manifestanti dimostra che il governo, convinto anche dalle iniziative degli operai, è orientato a individuare un equilibrio tra gli interessi dei lavoratori e quelli delle aziende, spingendosi addirittura a parlare di “contrattazione collettiva”. Il segnale, anche se debole, va colto e sicuramente incoraggiato, poiché una maggiore omogeneizzazione dei diritti dei lavoratori a livello globale farebbe franare definitivamente il perverso teorema di quegli imprenditori, anche italiani, che non perseguono il profitto generato dall’eccellenza, ma inseguono il guadagno prodotto dalle diseguaglianze e dallo sfruttamento. Speriamo che questa Cina ci diventi un po’ più vicina anche in termini di uguaglianza sociale e di salvaguardia della dignità della persona e del valore del lavoro. Cristina Attuati 7 n SOCIETÀ FLOP MONDIALI: UNA BRUTTA STORIA, RADIOGRAFIA DI UNA SCONFITTA Balotelli capro espiatorio, responsabilità e ipocrisia di una pessima prestazione José Mourinho avrebbe detto: “zero tituli” per tutti. Zero per il management della Federazione del calcio italiano che non riesce a sviluppare una politica di promozione di giovani talenti nazionali. Zero per aver consentito che il calcio italiano cadesse nelle grinfie del mercato televisivo, soprattutto fra Sky e Mediaset. Doppio zero per aver via via accettato che lo sport più popolare del nostro Paese potesse essere visto tramite abbonamento a pagamento, in balia di società sportive sempre più fameliche a causa dei loro bilanci disastrosi. Ma zero anche alla bolla del mercato calcistico che macina miliardi di euro all’insegna di acquisti di giocatori che richiedono ingaggi siderali, alla stessa stregua del divismo hollyvoodiano degli anni cinquanta e sessanta. È così che si è diffuso in Italia il calcio delle star, il capriccio del talento, l’adorazione di se stessi, il mercato personale, il carrierismo più sfrenato, la cura della visibilità personale, la costruzione del proprio mito con o senza merito. In questo modo si è entrati in campo per contendersi lo scettro di campioni del mondo e si è usciti, velocemente con l’aureola della mediocrità, dell’irrilevanza. Altro che passione delle squadre latine. Se ne sono accorti anche i bambini. Abbiamo marcato mancanza di visione di gioco, organizzazione di squadra vicina alla nullità, impegno personale trattato con aria di inusitata sufficienza, scarso senso della fa- 8 tica. Insomma si potrebbe dire, per usare un pessimo stereotipo, dilettanti allo sbaraglio, con l’aggravante di un ego professionale esagerato, del tutto ingiustificato. Dunque valutazione zero anche per giocatori e allenatore. Quest’ultimo, persona civile e responsabile, ma forse sopravvalutato negli ambienti di potere delle istituzioni del calcio. Siamo tutti in perfetta simmetria nella mediocrità. Giocatori e tecnici sbarcano dall’aereo con musi allungati sino al pavimento, ma restano intatti alcuni quesiti per noi impavidi romantici del colore azzurro: com’è stato possibile arrivare in queste misere condizioni a una competizione mondiale così trascinante, olimpo della professionalità e della passione nazionalistica? In che modo si è lavorato in questi quattro anni di preparazione all’evento sportivo più importante al mondo dopo i giochi olimpici? Come giustificare la debacle di fronte a un popolo che da quattro anni sognava una rivincita, un riscatto, nel ranking mondiale, di una squadra che conta illustri risultati e passioni che nulla hanno a che fare con la realtà di ciò che è stato messo in campo? La Carrarese forse avrebbe fatto meglio dei nostri nazionali. Ma è paradossale che nessuno abbia voluto gridare alla nudità del re. La nostra squadra, ormai da tempo, era inguardabile! È semplice direbbe Watson! Ci troviamo di fronte a una massa di persone medio- n gi u gno/l ugl i o 2014 - cri, in perfetta linea con la mediocrità che stiamo esprimendo da più tempo in molti ambiti: produzione, istituzioni, politica e società e ora, ahinoi, anche nello sport, almeno in quello che più si identifica con la nostra vocazione popolare. E allora tutti contro Balotelli, unico responsabile della disfatta, abulico, impertinente se non addirittura strafottente, viziato, strapagato, talento per caso e in rare occasioni, per giunta negro. Ecco, mancava solo quest’ultima accusa per cadere nel ridicolo se non nel drammatico. Fin qui la responsabilità degli altri, ma poi c’è il “popolo” del calcio che ormai è in condizioni diseducanti, a tratti violento, viscerale, prepotente e violento in non poche occasioni dovendo registrare qualche morto sul selciato e il dolore di genitori, familiari e amici che si domandano ancora come si è potuta sviluppare tanta ferocia, tanta bestialità. C’è un’ipocrisia del potere, del mercato che finge di favorire le passioni sportive a suon di abbonamenti, ci sono le società sportive che non sempre si distanziano dalle curve in cui si esprime offesa e violenza verso gli altri e c’è di mezzo anche la cultura che questo Paese esprime da almeno due decenni. “Cultura” intrisa di pensiero minimo quando va bene, di visibilità prepotente e arrogante in ogni luogo, di demotivazione collettiva verso i valori sociali di “prima necessità”: rispetto della dignità della persona, senso del sacrificio, valore del lavoro, senso solidaristico, umiltà verso se stessi. L’ipocrisia dunque appare profonda e per molti serve per costruire la rampa di lancio per addentrarsi in una nuova era fatta delle stesse cose di prima. E facendo le stesse cose che fai da sempre alla fine scivoli nel non saper fare quello che altri fanno meglio di te. Pasolini era molto drastico, lo sappiamo. Una volta si rivolse a un “critico” d’arte cinematografica con un epigramma dicendogli: “ Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno e ti crederai in paradiso”. Franz Foti I n cont ri SOCIETÀ n GERONTOBANCHIERI Viaggiano sul filo degli 80 anni, guadagnano tanto e combinano un sacco di guai Ormai siamo una società di anziani e di consumi... Basta andare al supermercato e scoprire la crescita delle monoporzioni, della carne bianca, l'abbassamento degli scaffali e il rimpicciolimento dei carrelli, perché gli anziani sono più piccoli, meno alti e mangiano poca carne rossa. È l'Economist che segnala il “miliardo di sfumature di grigio” che sta per governarci, perché nel 2035 oltre 1 miliardo di ultrasessantacinquenni avrà saldamente in mano le leve del potere mondiale. In questo senso il nostro Paese è all'avanguardia, l'età media è infatti di 43,5 anni, e noi bancari ancora meglio, viaggiamo sui 44,5 (Rapporto Abi 2013). In più abbiamo anche un meccanismo di trasmissione del potere per cooptazione che ha fatto sì che nelle nostre banche, tutt'ora, la governance è nelle mani di ottuagenari. Giovanni Bazoli, 82 anni, alla guida di Intesa Sanpaolo, Giuseppe Guzzetti, coetaneo, da 17 anni alla presidenza della Fondazione Cariplo, Giuseppe Vita, 79 anni, Presidente Consiglio di Amministrazione Unicredit, tanto per citare i “più famosi”. Ma andiamo per gradi. L'alta età media del nostro settore (le donne sono un po' più giovani con 41,5 anni contro i 45,5 dei colleghi), e il fatto che più di un quarto dei dipendenti si colloca tra i 46 e i 55 anni, non significa che noi bancari italiani entreremo nel “miliardo di potenti sfumature grigie” del 2035, piuttosto abbiamo buone probabilità di incrementare un esercito di pensionati mediamente più poveri. Nelle nostre aziende governate da arzilli vecchietti, infatti, la valorizzazione dell'esperienza non è indirizzata verso i numerosi over 55, ma si concentra sui top manager, “più che senior”, con retribuzioni mediamente di 1,6mln all'anno e con, purtroppo, risultati sconfortanti. Lo afferma la Banca d'Italia che, in un'analisi impietosa del 2012, denuncia l'eccessivo invecchiamento, durata e numerosità di questi consessi, con inadeguata competenza tecnica. L'età media è di 60 anni per gli amministratori, e di 70 per i Presidenti, con picchi di 80 e 83 anni. In Europa la media è 57 e 62 anni. Recentemente, inoltre, l'istituto di vigilanza ha anche puntato il dito sulle “gravi carenze” nei profili di governance delle banche e sulle “irregolarità” che prefigurano possibili risvolti penali. L'anagrafe non è una colpa, ma gli ultrasettantenni che ci governano dimostrano le difficoltà tipiche dell'età: non hanno prospettive di lungo periodo, idee per la crescita delle aziende, mentre manifestano un caparbio attaccamento alla “sedia”, con grandi tentazioni di arricchimento personale. Emblematico il caso dell'ultra-settantasettenne Giovanni Berneschi, vice pre- Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n sidente dell'Abi, in carcere per truffa aggravata. Sarebbe molto più salutare per loro, e per noi, se si ritirassero e si godessero questa parte dell'esistenza come gli over 65 descritti dall'Economist. Questi, se sono facoltosi (e i nostri lo sono) vanno in palestra con assiduità, non badano a spese, si comprano moto di grossa cilindrata e apparecchiature elettroniche costosissime, e ascoltano la musica degli anni sessanta. Non ce la sentiamo di consigliare ai nostri ottuagenari attività fisiche esagerate, né di andare a zappare la terra come fecero Diocleziano e Cincinnato, un imperatore e un dittatore, però potrebbero iscriversi a una palestra per ginnastica dolce e andarsi a godere un concerto dei Rolling Stones, senza l'assillo di dover governare una banca e avere a che fare con quei mastini di sindacalisti! Elisabetta Giustiniani 9 n POLITICA PARLAMENTO: PROVE TECNICHE DI RIVOLUZIONE Nuovo regolamento alla Camera, cambia l’iter di approvazione per i Decreti Legge Un'autentica rivoluzione: questa è stata la definizione unanime data a quello che, all'apparenza e senza eccessiva pubblicità, si presenta come un uno dei tanti cambiamenti in ambito politicolegislativo. Stavolta, però, è bene precisarlo, l'idea non è stata partorita da Matteo Renzi, anche se la rivoluzione in questione verrà attuata sotto il suo governo, ma risale a circa un anno fa quando, presso la Giunta del Regolamento della Camera dei Deputati, i rappresentanti di tutti i partiti, maggioranza e opposizione (tranne i grillini), avviarono una discussione per stilare un nuovo Regolamento che, approvato di recente, permetterà di cambiare le regole relative ai Decreti Legge del Governo. L'ultimo aggiornamento risaliva a ben 17 anni fa e lo stesso premier Renzi ha dichiarato che quest'innovazione avrà influenze positive nel rapporto Governo-Parlamento perché "l'esecutivo potrà chiedere l'esame urgente delle sue riforme più importanti e portarle a casa in appena 30 giorni". Non è un cambiamento da poco, questo. Quali i motivi di quest'importante modifica nel sistema di legiferare? Ufficialmente, per accelerare i tempi nel trasformare in legge i decreti governativi ma, sotto sotto, anche per permettere, da subito, al Parlamento di tornare a esercitare pienamente la propria funzione massima che è quella di sfornare le leggi. Funzione che, ormai, da anni, era stata demandata, obtorto collo, più che altro al potere governativo, anche se, comunque, la ratifica finale spettava sempre alle due Camere. Ratifica che arrivava magari dopo lunghe e tortuose sedute, segnate da molteplici emendamenti, con approvazione affannosa e, talvolta, col ricorso al voto di fiducia al fine di evitarne la decadenza. Com'è successo in tanti casi, il succes- sivo passaggio alla Camera e al Senato di una qualche disposizione governativa, ha comportato, poi, cambiamenti, creando confusione e sconcerto nei cittadini, oltre che perdite di tempo e di soldi. Tutto questo, ora, non avverrà più. Cosa cambierà Presumibilmente, a partire da settembre, verranno fissati dei "paletti" all'attività legislativa del Governo le cui leggi presentate dovranno ricevere, entro 30 giorni, l'approvazione o meno da parte della Camera. L'organo esecutivo potrà ricorrere a una speciale corsia d'emergenza, non più liberamente, com'è stato finora, nonostante i continui richiami del Capo dello Stato, ma per sole cinque volte al trimestre oppure tre a bimestre. Entro gli stessi periodi anche l'opposizione potrà presentare un decreto legge con caratteristiche di importanza e di urgenza. Fra le altre innovazioni, verranno dimezzati i tempi di logorroici interventi in aula da 30 a 15 minuti con ulteriori riduzioni a seconda della scaletta. Tenuto conto della brevità dei tempi di approvazione, un mese, è chiaro che non ci sarà più la necessità di ricorrere al voto di fiducia, trasformando la discussione in diatriba politica, dopo estenuanti ostruzionismi. L'importanza delle Commissioni 10 n gi u gno/l ugl i o 2014 - Nel contempo, la "sostanza" dei dettagli di una qualsiasi legge verrà maggiormente approfondita nei lavori delle Commissioni e in aula si giudicheranno eventuali emendamenti, comunque limitati nel numero, apportati dalle stesse al testo governativo originario. Tutto ciò per evitare la presentazione di migliaia di dispettose modifiche tendenti solo a rendere difficoltoso l'iter rischiando di arrivare alla scadenza dei termini, senza l'approvazione. I n cont ri Attraverso varie, innovative sforbiciate, nella forma e nella sostanza, le sedute, prima in Commissione e poi nell'aula a Montecitorio, dovrebbero essere finalizzate all'argomento trattato, lasciando i risvolti politici fuori dalla porta. In questo contesto, ci sarà anche una drastica diminuzione delle Commissioni Parlamentari, che attualmente sono ben 28, accorpando le competenze, con risparmi economici e procedurali non indifferenti. Inoltre, in ogni Commissione, verrà creato un esperto team "europeo" il cui compito sarà quello di verificare la pertinenza e/o l'adesione della legge in esame alle norme e ai regolamenti europei, al fine di creare una simbiosi con quanto legiferato a Bruxelles. Ci saranno, inoltre, diverse altre facilitazioni che serviranno a snellire le procedure operative in sede di discussione, favorendo anche i diritti dell'opposizione e la disamina di eventuali leggi a iniziativa popolare. A quanto pare, questo innovativo sistema dovrebbe far risparmiare anche tanta carta perché il tutto viaggerà online. Questo nuovo, rivoluzionario, regime, per certi versi, dovrebbe anticipare l'eliminazione del bicameralismo, una volta che il Senato verrà trasformato in Camera delle Regioni, con poteri legislativi solo a livello regionale. Al comune cittadino non può che far piacere apprendere di un nuovo Rego- POLITICA n lamento parlamentare per facilitare il processo legislativo, però, allo stesso interessa, soprattutto, avere leggi chiare e precise già nella loro lettura che non necessitino sempre di essere interpretate, senza la caterva di rimandi a precedenti aggiunte e varianti che vanno indietro per decenni: ci si attende una "legge n. … del ..." con pochi, espliciti articoli, accessibili non solo a una ristretta cerchia di esperti, visto che oggi, grazie a internet, chiunque le può consultare. Saranno bene accetti i cambiamenti nei sistemi dei tempi di approvazione, ma lo saranno ancora di più se anche la "sostanza" verrà adattata ai tempi che corrono oggi. A beneficio di tutti. Dante Columbro DAL 1° LUGLIO RENDITE FINANZIARE AL 26% Lo scorso 18 giugno, il Parlamento ha approvato il decreto Irpef che contiene, tra l’altro, le disposizioni che prevedono l’inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie dall’attuale 20 al 26%, con decorrenza 1° luglio, con l’eccezione dei titoli di Stato e dei buoni fruttiferi postali, la cui aliquota rimarrà il 12,5%, e dei fondi pensione che però subiscono un ritocco minimo dall’11 all’11,5%. Restano invariati le obbligazioni emesse dagli Stati cosiddette “white list”, i fondi comuni istituiti in Italia e i fondi lussemburghesi storici con sottostante debito sovrano. Un cambiamento non di poco conto, che mette a dura prova intermediari e risparmiatori i quali – come avvenuto in occasione dell’incremento varato a inizio 2012 dal governo Monti, che aumentò l’aliquota dal 12,5 al 20% – devono decidere ora le mosse da fare sul fronte dell’affrancamento, al fine di evitare che l’aumento dell’aliquota incida sui redditi maturati antecedentemente alla data di entrata in vigore del provvedimento. Oltre ad adeguare le procedure, occorre informare la clientela circa la possibilità, appunto, di “affrancare” i capital gain maturati sugli strumenti finanziari detenuti su un certo conto titoli alla data del 30 giugno per evitare che l'introduzione di norme meno favorevoli penalizzi eccessivamente il contribuente nella fase di transizione. L'operazione consiste in una sorta di cessione figurativa della partecipazione, che permette di assoggettare i plusvalori all'imposta sostitutiva vigente fino a quel momento, pari nel caso in esame al 20 per cento. In tal modo si ottiene il riconoscimento del maggior costo fiscalmente rilevante, sicché al momento di una futura e reale cessione verrà tassata con il 26% solo la quota di maggior valore che dovesse maturare dal 30.6.2014, cioè dall'entrata in vigore dell'aliquota del 26 per cento. Naturalmente, trattandosi di cessione solo figurativa, il titolo resta di proprietà del contribuente, assumendo però un nuovo prezzo di carico in virtù del preliminare versamento della stessa imposta sostitutiva che si sarebbe versata in caso di cessione. Se si decide di usufruirne, la procedura di affrancamento sarà però applicata obbligatoriamente a tutti i titoli in portafoglio e produrrà quindi plusvalenze su alcuni titoli e minusvalenze su altri, che saranno compensate fra loro fino a concorrenza. All'esito dell'operazione risulteranno nel complesso una minusvalenza o una plusvalenza. In questo caso il contribuente può scegliere di assicurarsi la tassazione al 20% pagando, senza vendere i titoli, un’imposta sostitutiva sulla plusvalenza latente ai valori di borsa del 30 giugno, con l’effetto che solo i proventi realizzati dopo tale data saranno tassati al 26%. Ogni caso va valutato singolarmente e con attenzione in considerazione che il termine per decidere scade il 30 settembre 2014. D.S. Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n 11 n ECONOMIA L’ONDA GIUSTA: SPREAD IN PICCHIATA, TASSI BASSI E LIQUIDITÀ PER LE BANCHE Si aprono buone opportunità per l’economia reale, imprese e famiglie Come mai è così importante questo famigerato spread? Semplice, perché è l’indicatore della fiducia che gli investitori nazionali e internazionali nutrono in un Paese: maggiore è lo spread, minore è l’affidabilità del Paese sui mercati finanziari. Ed è ovvio che, alla lunga, un Paese il cui spread risulti costantemente elevato, possa indurre dubbi di affidabilità anche sul mercato primario, ossia sulle aste dei propri Titoli, provocando problemi reali, non virtuali, per le casse dello Stato costretto a emettere i nuovi titoli seguendo l’andamento del mercato secondario. Come sta avvenendo in questi giorni in cui il differenziale BTP/BUND si sta rapidamente riducendo,oltre alle condizioni positive di mercato, stanno influendo le condizioni prospetticamente favorevoli della economia reale, le aspettative sulla stabilità politica e la realizzazione delle riforme strutturali i cui frutti si percepiranno più in là nel tempo. Che questo fosse un periodo di grande calma per il “temibile” spread è evidente. Il differenziale di rendimento tra il BTP decennale e il Bund tedesco ha infatti reagito molto bene e, soprattutto, in occasione della conferenza stampa di Mario Draghi, dopo la riunione di politica monetaria della Bce, che ha aperto a un nuovo percorso per garantire nei prossimi anni tassi 12 n gi u gno/l ugl i o 2014 - bassi e soprattutto liquidità per le banche che dovranno trasferirla al mercato delle imprese e delle famiglie. Questa ipotesi, inizialmente osteggiata dai tedeschi e oggi invece condivisa da tutti i rappresentanti del Board della Bce, ha ampliato i segnali di distensione e lo spread è sceso raggiungendo i 130 bp, livello che non veniva registrato da oltre tre anni. Questo calo è anche il frutto della discesa del rendimento del BTP decennale sul mercato secondario, attualmente sotto il 3% (2,69%) che continuerà a influire, speriamo in modo tangibile, sulle prossime aste di collocamento. In definitiva questo indicatore sta acquisendo un rilievo non solo economico, ma soprattutto politico, condizionando i comportamenti dei governi che sono indirettamente influenzati non tanto dall’andamento del mercato quanto dalla pressione della speculazione. Come uscire da questo circolo infernale senza la possibilità di avere alle spalle una vera e propria banca centrale che intervenga, con operazioni di politica monetaria, per proteggere il valore dei titoli dalla speculazione e, per quanto possibile, ricondurre lo spread all’effettivo rapporto che esprime il vero differenziale fra le economie reali? Adeguarsi ai vincoli del mercato comune, risanare la finanza pubblica, creare le condizioni per l’incremento della produzione e la crescita della domanda interna purtroppo, ed è un fatto, non è sufficiente. Per ora godiamoci i vantaggi che si sono immediatamente trasferiti nelle aste di collocamento di queste ultime settimane. Infatti, se il calo dei tassi dovesse confermarsi e lo spread stabilizzarsi I n cont ri ncontri I idee&fatti 23 giugno/luglio 2014 anno IV I GIOVANI e il loro futuro Globalizzazione, flussi migratori e innovazione tecnologica sono solo alcuni dei cambiamenti che i giovani devono affrontare per inserirsi nel mondo lavoro senza però potersi basare sul background dei loro genitori – che si sono avvicinati al lavoro in un contesto estremamente differente – né tanto meno su di un bagaglio proprio. Bagaglio fatto di professionalità e soprattutto di esperienza che si acquisisce esclusivamente con il tempo e con il lavoro. In questo scenario, reso ancor più difficile dalla crisi e dalla perdita di valori tipici di una società cosiddetta civile, i giovani, e non solo, devono oggi affrontare una sfida: la flessibilità lavorativa e conseguentemente di vita, che sempre più spesso diventa “precarietà a tempo indeterminato”. Politici, sociologi, economisti e manager invadono giornalmente i media con le loro ricette, a oggi prive di efficacia, rivolte alla creazione di occupazione. DirCredito ha invece voluto dar voce a tre rappresentanze sociali: un ragazzo di 17 anni, studente delle scuole superiori, un professore universitario con esperienza di allenatore a livello giovanile e di un sacerdote dell’Azione Cattolica di Brescia. Forse, cambiando metodo e interlocutori, si trova la soluzione… proviamoci. Silvio Brocchieri n S P E C I A L E I N S E RTO In cont r i - gi u gno/l u gl i o 2 014 n 1 n S P E C I A L E I N S E RTO PRECARI E SCORAGGIATI, PRONTI A PARTIRE Così i giovani “affrontano” il mondo del lavoro Le prospettive non sono delle migliori e, spesso, è impossibile essere ottimisti. Se si guarda al futuro lavorativo di un giovane, oggi, è quasi necessario che si cerchino opportunità all’estero. L’Italia è “chiusa” nei confronti di coloro che, nonostante una buona formazione, si accostano al mondo del lavoro che, così com’è, non consente di vedere realizzati i sogni e gli obiettivi delle nuove generazioni. La causa di questa chiusura si trova nella scarsa capacità di organizzazione di imprese e stato che, insieme, non riescono a garantire lavoro stabile, né a fare investimenti sui giovani, ritenuti non esperti, ma che in questa logica non lo diventeranno mai. Per questo motivo capita che ci si debba accontentare di un lavoro umile e precario, al limite dello sfruttamento, che non tenga in alcun conto delle capacità, delle conoscenze e abilità acquisite con lo studio e la formazione. Insomma, della preparazione raggiunta, spesso con sacrificio anche economico a cui non tutti sono in grado di far fronte. Questo per mancanza da parte delle istituzioni di veri e propri programmi di sostegno allo studio. Non c’è niente che invogli, che inviti a scegliere - lasciando la strada della spensieratezza tipica di un giovane, che propende a trascorrere il tempo tra svago e amicizie - il cammino più costretto della vita lavorativa. Anche i genitori talvolta non aiutano, perché con i loro atteggiamenti protettivi, invece di spronare i propri figli li rendono vittime di una mentalità chiusa, che non consente loro di avere una visione più ampia del loro stesso futuro, di cogliere le possibilità che si presentano. Anche papa Francesco ha invitato i giovani a spingersi fuori del loro piccolo mondo, mostrandosi alla società e dimostrando di essere fiori che sono stati nascosti, ma pronti a sbocciare. Un altro problema avvertito dai giovani rispetto all’accesso e alla collocazione nel mondo del lavoro, almeno in alcune località, è quello dell’immigrazione che viene vissuta come un ulteriore fattore di discriminazione. In ogni caso, ci troviamo di fronte a una situazione sempre troppo incerta e quindi scoraggiante per chiunque.Tanto più per un giovane diplomato che “vaga” nella precarietà, alla continua ricerca dei fondi necessari per proseguire negli studi universitari. Tebaldini Stefano II AVANZARE, SOSTENERE... CONTINUARE I principi di un gioco, regole di vita degli uomini di domani Lo sport è confronto, competizione con se stessi e con gli altri, anche all’interno della propria squadra. Molti genitori hanno paura della parola “competizione” o “agonismo” eppure non sanno che la competizione è il motore della vita. E’ tutto ciò che ti spinge a migliorarti, non per emergere anche se chi è migliore deve essere riconosciuto e avere il ruolo che gli compete - ma per aiutare gli altri. Lo sport collettivo, in particolare, è socializzante, perché aiuta i ragazzi a capire che il rispetto delle regole ci fa vivere meglio. Inoltre, è fondamentale per comprendere il significato di rispetto, di se stessi, per una gestione migliore della propria vita sul piano psichico, morale e della salute; degli altri, per sapersi rapportare all’interno della comunità, nella consapevolezza che tutti hanno diritto di essere considerati. Quale ex insegnate di Educazione fisica e ora di Rugby alla scuola di Scienze Motorie all’Università degli Studi di Milano, credo che l’educazione dei nostri figli, oggi più ancora di qualche tempo fa, debba passare attraverso l’educazione sportiva. Le esperienze che i nostri giovani vivono praticando sport, infatti, li fanno crescere e li maturano. Un tempo eravamo liberi di correre nei prati, salire sugli alberi, andare in montagna, al lago, al mare. n gi u gno/l ugl i o 2014 - I n con t ri I G IOVANI e il loro futuro Eravamo in qualche modo liberi di correre i rischi senza drammi, solo con la possibilità di superare gli ostacoli e trovare immediatamente soluzioni, senza che tutto venisse vissuto come tragedia. Al giorno d’oggi i giovani, spesso, non hanno più la libertà di fare tutto ciò. Eppure, nonostante i pericoli siano molti, hanno bisogno di conoscersi e formarsi attraverso esperienze percettive proprie, come sentire il dolore e il piacere, il caldo e il freddo. Devono vivere quei piccoli traumi, le “sbucciature”, che li aiutino a crescere. Tutto questo si può avere dalla pratica sportiva. Il Rugby, il gioco che insegno, alleno e tanto amo si basa su tre principi fondamentali: avanzare/pressare, sostenere e continuare, cioè mantenere l’iniziativa; cosa c’è di più simile al nostro modo di vivere? Il rispetto della puntualità e dei ruoli, a partire dal capitano, all’allenatore che è colui che ha il diritto di correggere gli errori, per finire all’arbitro, che è colui che ha il diritto di sanzionarli, passando dal magazziniere, al giardiniere fino a colui che traccia le righe sul campo, senza il quale non si potrebbe giocare. L’aspetto ludico poi, il divertimento, non deve essere sottovalutato perché tutti i valori non perdano significato. Attraverso il gioco collettivo e il dialogo tra attacco e difesa il giovane matura una capacità tattica - da non confondersi con la strategia che è precostituita - risolvendo situazioni dinamiche in continua evoluzione, impara a vedere ciò che ha di fronte, a capire come può superare l’avversario e ad agire di conseguenza. Il gioco collettivo, quindi, insegna a lottare per un obiettivo, un progetto comune, a limitare la propria esuberanza, a sacrificarsi per difendere un compagno. I giovani si preparano così a vivere difficoltà che vanno affrontate e superate. Non esistono problemi, esistono solo soluzioni. Il terreno dove imparare a trovare queste soluzioni, oltre alla famiglia e alla scuola, è il campo sportivo, la palestra, la piscina, la In cont r i - pista... I nostri giovani domani incontreranno difficoltà che potranno essere superate solo andando avanti, cercando soluzioni per il lavoro, trovando sistemi di aggregazione e sostenendosi l’un l’altro per continuare a migliorare, anche attraverso azioni sociali per aiutare i meno fortunati e, soprattutto, senza farsi la guerra. Vero è che la competizione ha sempre portato progresso, ma credo che si sia arrivati ad un livello di crisi come quello attuale perché qualcuno ha lavorato esclusivamente per arricchirsi alle spalle di altri, incurante delle regole e dei diritti altrui, che non ha rispettato. Motivo in più perché i ragazzi di oggi comprendano certi valori, che faranno di loro gli uomini di domani. Massimo Borra GIOVANI E MONDO DEL LAVORO L’incertezza del futuro minaccia le nuove generazioni Per affrontare il tema dei giovani e del lavoro si dovrebbero districare tre nodi critici, che evidenziano come il lavoro sia non solo questione sociale, ma soprattutto questione antropologica. Il primo riguarda la prevedibilità di un futuro di vita. La flessibilità del lavoro porta le persone a una maggiore percezione del rischio e a una minore capacità di programmare quel che avverrà.Terminata l’università, in Italia, le prospettive si rivelano assai povere. Il passaggio nel guado della precarietà durante l’ingresso lavorativo sembra quasi indilazionabile. Questo apre notevoli dubbi proprio sulla capacità dei giovani di immaginare il loro futuro: come acquistare casa, quanto si potrebbe guadagnare tra qualche anno, se si lavorerà ancora, quando si potrà iniziare a vivere in autonomia dai propri genitori… Penso siano significative in questo senso le parole del messaggio di Benedetto XVI rivolto ai partecipanti alle Settimane Sociali dei cattolici italiani, il quale ci ricordava che “quando la precarietà del lavoro non permette ai giovani di costruire una famiglia, lo sviluppo autentico e completo di una società risulta seriamente compromesso”. Il richiamo del Papa ci aiuta a spingere in avanti il nostro impegno: la precarietà non è solamente l’urgenza del momento, ma minaccia il nostro futuro, perché impedisce ai nostri giovani di immaginare la loro vita con serenità, di condividere un disegno di coppia e un’aspirazione alla genitorialità. In secondo luogo occorre guardare alle relazioni lavorative. Il processo di individualizzazione del lavoro e l’impresa virtuale portano fisiologicamente a una frammentazione dei gi u gno/l u gl i o 2 014 n III n S P E C I A L E I N S E RTO legami all’interno dei luoghi di lavoro. Oggi si moltiplicano le figure professionali, si diversificano le modalità di lavorare. Non si favorisce la condivisione di gruppo. Ci si sente più soli. Il clima sul lavoro è solitamente quello della competizione, difficilmente il proprio collega è visto anche come compagno, come amico. Come ricordava Richard Sennet le persone che non sanno per quanto tempo rimarranno nello stesso posto e aspirano a trovare un’occupazione migliore, non hanno grande interesse ad allacciare legami solidali con quelli con cui lavorano. Questi stessi processi di individualizzazione del lavoro possono arrivare a conseguenze dilanianti per le persone. Penso allo stress da iperlavoro, penso all’ansia da prestazione che un clima di continua competitività provoca, penso alla difficoltà di “staccare quando si torna a casa”. Ci sono ricadute drammatiche sulle persone degli effetti di questa individualizzazione del lavoro come ad esempio il mobbing: una nuova piaga che va affrontata con coraggio. Rivendicare la centralità sociale del lavoro è la base per ipotizzare la creazione di un’economia solidale e personalistica che, a livello globale, riconosca l’esistenza di diritti vitali degli esseri umani, costituendo forma di riequilibrio delle ingiustizie sociali e di redistribuzione della ricchezza, che ristabilisca un equilibrio tra le generazioni. Il terzo nodo critico tocca le capacità di scelta. Stiamo verificando che i giovani non sono passivi allo status quo. Loro manifestano strategie di azione ampie e complesse: non optano per un’unica via, ma sperimentano più percorsi. Ci dobbiamo allora chiedere come le persone indirizzano le proprie scelte? Il lavoro di oggi propone piste del tutto nuove su cui impegnarsi a partire dalle prospettive lavorative: ad esempio se è vero che oggi i giovani appaiono disorientati nel periodo del loro inserimento nel mondo del lavoro è altrettanto vero che i percorsi possibili si sono moltiplicati e il ventaglio delle scelte è enormemente più vario di un tempo. Penso sia importante comprendere l’importanza di offrire criteri intelligenti di scelta per indirizzare la propria carriera professionale. Nei passaggi da un’occupazione all’altra l’esperienza fa curriculum più di prima, se coniugata a un aggiornamento costante. Il cittadino non può essere lasciato solo, quando sceglie sul suo futuro possibile, appare opportuno sostenerlo mediante un periodo di accompagnamento e tutela costante al momento dell’inserimento lavorativo, come invitarlo a un aggiornamento continuo, occorre metter mano ai diritti di formazione per i lavoratori (le 150 ore sono anacronistiche per la società della conoscenza). In conclusione bisogna servire il futuro. L’attualità e la fede cristiana ci chiedono di non schiacciarci sul presente, ma di affrontarlo per guardare con speranza al futuro. Come? In primo luogo bisogna iniziare a difendere i lavoratori più deboli a partire dalla soppressione delle varie forme di illegalità e di sfruttamento che sono il primo attentato alla sicurezza dei lavoratori fino ad arrivare alla tutela di tutte IV le forme di lavoro, in particolare quelle atipiche. Inoltre, si deve tentare di costruire una società più equa, in cui è importante riconsiderare il ruolo e il valore del lavoro. Dobbiamo essere consapevoli che il lavoro è una modalità di espressione della dignità umana e per questo non può limitarsi alla soddisfazione dello status di necessità economica e diventa una modalità per l’affermazione della soggettività di ogni persona. Come ha spiegato Benedetto XVI, citando la Centesimus Annus, vasto è il campo di impegno e di lotta delle forze sociali contro un sistema che privilegia il capitale sul lavoro. Un’altra strada è possibile e si può trovare nella costruzione di una società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Questa società da costruire propone il lavoro libero come titolare di diritti specifici, a partire dal diritto – riconosciuto dalla Costituzione – di una politica realmente finalizzata alla piena e buona occupazione, alla concreta esigibilità dei diritti di cittadinanza, anche sul posto di lavoro, e alla sicurezza come tutela del diritto alla vita e alla salute. Propone l’impresa come comunità di persone che non è un valore a sé ma deve essere valutata nella sua capacità di rispondere alle esigenze delle persone per le quali esiste. E quindi è consapevole di tutte le sue responsabilità sociali, ambientali, economiche. Propone la partecipazione come elemento essenziale tra garanzie formali e sostanziale esigibilità dei diritti. Considerare il lavoro nelle sue molteplici dimensioni è un anticorpo fondamentale di un modello che non sia concepito solamente nella logica del profitto della rendita o degli scambi finanziari. Perché partire dal lavoro e non dalle teorie economiche significa partire dalle persone e dai loro bisogni. Rimangono quanto mai attuali le parole di un grande testimone della fede come Giorgio La Pira: “Il problema del lavoro è in un certo senso, dopo quello della preghiera, il problema che investe più profondamente la vita spirituale e religiosa della persona umana. L’uomo che lavora è come l’albero che produce frutto: i suoi talenti si moltiplicano. Egli dona al corpo sociale come il corpo sociale dona a lui, così è immesso nel circuito creativo della vita”. Nel lavoro ritroviamo un’intima connessione tra la vocazione propriamente umana di custodire e coltivare il creato e la capacità di costruire relazioni tra persone e per questa via riusciremo a promuovere un umanesimo del lavoro. don Massimo Orizio n gi u gno/l ugl i o 2014 - I n con t ri ECONOMIA n DOVE NASCE LO SPREAD Da tempo è diventato di grande attualità parlare di titoli di stato, spread, aste primarie di collocamento e mercato secondario, ma esiste ancora molta confusione riguardo a questa terminologia della finanza pubblica: proviamo a fare un po' di chiarezza. I titoli di stato sono titoli obbligazionari di debito emessi dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per conto dello Stato e servono a finanziare la spesa pubblica anche se molto spesso il loro scopo è quello di rifinanziare il debito pubblico già esistente. I più importanti titoli di stato italiani sono i Buoni Ordinari del Tesoro BOT (titoli a breve termine di durata 3, 6, 12 mesi, privi di cedola), i Certificati del Tesoro Zero Coupon CTZ (titoli di durata 24 mesi, privi di cedola) e i Buoni del Tesoro Pluriennali BTP (titoli di lungo termine con durata 3, 5, 10, 15, 30 anni, con cedola fissa semestrale). L’asta. Con cadenza mensile o settimanale il Ministero delle Finanze mette all'asta una certa quantità di titoli, coadiuvato dal sostegno operativo della Banca d'Italia. Partecipano all'asta primaria di collocamento i sottoscrittori istituzionali iscritti in un apposito albo (banche private italiane e straniere, assicurazioni, fondi comuni, fondi pensione, fondi sovrani, società di investimento, operatori finanziari). L'asta primaria di collocamento può essere di due tipi: asta competitiva (i titoli vengono assegnati a tutti coloro che hanno fatto le offerte migliori fino all'esaurimento dell'intera quantità di titoli emessi) e asta marginale (il valore di acquisto del titolo viene stabilito al margine, ossia al valore dell'offerta più bassa fra quelle dei sottoscrittori che si sono aggiudicati i titoli messi in asta). MOT. Una volta che i sottoscrittori istituzionali si sono aggiudicati i titoli di stato possono rivenderli ai singoli investitori privati (guadagnando sulla commissione) oppure sul mercato secondario dei titoli attraverso la compravendita in borsa (la sezione della borsa italiana dedicata alla compravendita dei titoli di stato si chiama MOT, Mercato Telematico delle Obbligazioni e dei Titoli). Il valore del titolo di stato subisce delle oscillazioni in base alla nota legge della domanda e dell'offerta. Il valore giornaliero del titolo di stato sul mercato secondario viene spesso calcolato in base alla differenza di rendimento (spread) da un titolo con rendimento basso e pressoché costante, che viene preso come benchmark di riferimento: nel caso dei titoli italiani con scadenza 10 anni, lo spread viene calcolato mediante il confronto con l'andamento degli analoghi titoli di stato tedeschi (bund). La differenza di rendimento si calcola in punti base cioè il tasso percentuale di rendimento, moltiplicato per 100. Dove influisce lo spread è sul mercato secondario: i grossi investitori internazionali e soprattutto gli speculatori, una volta acquistati i Titoli, e non solo quelli di Stato, ma anche qualsiasi tipo di prodotti finanziari, non se li tengono per aspettarne la scadenza (spesso pluriennale), ma li rivendono, per lucrare sulla differenza tra il prezzo a cui li hanno acquistati e quello cui li rivendono. Ed è proprio quello che si chiama mercato secondario. Mercato secondario perché (mentre quello “primario” è l’originario, cioè le aste dei Titoli), riguarda tutto ciò che avviene dopo ed è un rapporto tra il primo compratore dei titoli, che poi li rivende e i soggetti a cui li ha rivenduti, ma non attiene assolutamente agli Stati emittenti. Ecco perché lo spread in sé non influisce direttamente sull’andamento degli interessi che lo Stato paga sui propri titoli: lo Stato continuerà a pagare il tasso risultante dall’asta per tutto il decennio cui i Titoli si riferiscono, anche qualora sul mercato secondario lo spread dovesse schizzare alle stelle ma, solo nella formazione del prezzo all’origine che è influenzato dall’andamento del mercato secondario quale indice di riferimento. intorno ai 130 punti base, gli analisti calcolano che i conti pubblici si avvantaggerebbero di un tesoretto di 10 miliardi in tre anni. A questo punto una riduzione del peso fiscale sulle imprese e le famiglie sarebbe d’obbligo. Se la Bce ha fatto la sua parte, anche mediatica, per dare stimolo alla ripresa, possiamo sicuramente affermare che, al di là di quanto Incontri - gi ugno/l u gl i o 201 4 n ogni soggetto del mercato può e deve fare per ritornare alla crescita, “Forse bastano due parole... e lo spread va giù”. Dante Sbarbati 13 n LEGALE OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA a cura di Claudio Minolfi n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro Sentenza n° 5179 del 5 marzo 2014 Dichiarata la legittimità in primo grado dal Tribunale dell’Aquila, decisione poi riformata dalla Corte d’Appello, è stato quindi definitivamente vanificato dalla Corte di Cassazione il licenziamento di un lavoratore che, in previsione di un possibile giudizio con il proprio datore di lavoro, aveva trasmesso, per posta elettronica, al suo Legale un consistente numero di file riconducibili ad affari e notizie riguardanti l’Azienda. Ha osservato, la Suprema Corte, che il destinatario degli incriminati invii era il legale di fiducia del dipendente e che, quindi, i documenti, soprattutto per motivi deontologici, sarebbero in ogni caso rimasti circoscritti alla sfera dei rapporti intercorrenti fra il medesimo e il suo difensore, e proprio per tali circostanze è risultato che il loro contenuto non era stato, intanto, divulgato in alcun modo a terzi. L’azienda datrice di lavoro, inoltre, non ha fornito alcuna prova in ordine all’assoluta riservatezza dei file trasmessi e, pertanto, anche in considerazione di tanto, si è ritenuta eccessivamente sproporzionata la misura del provvedimento espulsivo adottato in sede disciplinare. “ L’azienda datrice di lavoro, inoltre, non ha fornito alcuna prova in ordine “ ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE, DAL COMPUTER DELL’UFFICIO, HA INVIATO AL PROPRIO DIFENSORE FILE CONTENENTI NOTIZIE SULL’AZIENDA all’assoluta riservatezza dei file trasmessi... n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro Sentenza n° 9945 dell’8 maggio 2014 LEGITTIMO IL DIRITTO AL RISARCIMENTO DANNI, PATRIMONIALI E MORALI, A FAVORE DEI FAMILIARI DEL LAVORATORE DIPENDENTE DECEDUTO PER INFARTO CARDIACO CAUSATO DA ECCESSIVO LAVORO 14 n gi u gno/l ugl i o 2014 - “ ..responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure volte a tutelare l’integrità del lavoratore... I n cont ri “ Dichiarata dalla perizia medico legale la compatibilità del decesso di un lavoratore, avvenuta per infarto del miocardio, con le vicende professionali legate all’attività da lui svolta con impegno tale da dover affrontare ritmi insostenibili che lo costringevano, a volte, anche a superare le undici ore giornaliere di lavoro, la Corte d’Appello di Roma, nel Maggio 2011, condannò il datore di lavoro al risarcimento complessivo di oltre 850.000 euro, da liquidare in favore della moglie e della figlia del defunto. A nulla rilevando che l’Azienda non fosse a conoscenza delle estenuanti modalità con cui venivano espletate le mansioni, per essa imputabili all’attitudine del proprio dipendente ad affrontare il lavoro con impegno e forte coinvolgimento emotivo, senza aver tra l’altro mai espresso alcuna doglianza, e non fornendo prova di non aver imposto ritmi e tempi di lavoro insostenibili, con la sopra indicata pronuncia, la Corte di Cassazione, ritenendo ben motivata l’impugnata sentenza, non ha potuto che definitivamente confermare il precedente giudizio di merito. La Suprema Corte, valutando correttamente argomentata la decisione della Corte d’Appello, ha infatti ribadito l’assunto che, anche se incombe al prestatore d’opera che lamenti di aver subito danni alla salute l’onere di provare l’esistenza di tali danni, la responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure volte a tutelare l’integrità fisica del lavoratore è riconducibile a norme generali che gli impongono di attuare, comunque, tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità del lavoratore. All’imprenditore spetta l’organizzazione e la distribuzione del lavoro, non può pertanto sottrarsi agli addebiti rivoltigli, per carenze a lui dovute, giustificandosi con l’assenza di lagnanze da parte dei dipendenti o, ancor peggio, sostenendo d’ignorare le condizioni in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengano in concreto eseguite. S I N D A C AT O n BARCLAYS BANK... LA STORIA SI RIPETE Il mondo è bello perché vario, a differenza del mondo bancario, purtroppo sempre molto monotono e uguale a se stesso. Non passa giorno che qualcuno non dichiari esuberi, costi del lavoro troppo onerosi o, nella migliore delle ipotesi, la poca professionalità e la mancanza di volontà di sapersi adeguare alla realtà dei bancari; cioè di coloro che sono chiamati ad attuare giornalmente strategie commerciali pensate da altri e, attualmente, di certo poco efficaci se non perdenti. Colossi stranieri che arrivano sul mercato domestico con una vision di breve termine, attingendo a piene mani alla professionalità dei nostri lavoratori e che, dopo aver fatto utili, se ne vanno indisturbati alla ricerca di nuovi mercati ritenuti più favorevoli alla “spremitura”. Barclays ha dichiarato nello scorso mese di maggio la volontà di procedere alla riduzione del proprio organico di 19.000 dipendenti, di cui 14.000 già entro la fine del 2014, presenti in vari paesi europei, tra i quali Francia, Spagna, Portogallo e Italia. Dopo l’uscita dal mercato domestico avvenuta negli ’90 la storia si ripete, sempre a discapito dei lavoratori. Prima si “acquisiscono” sul mercato giovani bancari già professionalmente preparati, si aprono nuovi sportelli e poi, sfruttato il momento di business… si ritorna in patria. La Banca inglese aveva già avviato, nel giugno 2012, una procedura di ridimensionamento del personale che aveva determinato oltre 100 fuoriuscite, operazione riproposta nel maggio 2013, che ha visto l’adesione al Fondo per il sostegno dell’occupazione del settore di ulteriori 176 risorse e circa 30 nuove richieste di part-time. I numeri dicono che, nel corso del 2013, ci sono state complessivamente 242 uscite e 39 assunzioni, di cui 6 a tempo determinato e che l’organico si è ridotto a 1.130 unità. In questo contesto le Organizzazioni sindacali nazionali, in totale sintonia con i lavoratori e con il loro pieno appoggio, in data 11 giugno – in concomitanza con lo svolgimento del BGEF (CAE inglese) a Londra - hanno organizzato un presidio in via Mercanti a Milano per protestare contro la decisione dell’azienda di uscire dal mercato italiano. Anche UNI Global Union – sindacato a livello mondiale - tramite l’area “Finance” ha condiviso e sottoscritto, con gli altri Paesi europei coinvolti, un documento di contestazione della strategia Transform (Declaration on the “Transform Strategy” of Barclays Group of the UNI Finance Italian Affiliates) al fine di rafforzare e dare maggiore valore all’iniziativa in quanto transnazionale nei confronti di Casa Madre. La prospettiva per questo migliaio di colleghi - in un mercato ritenuto saturato, dove la cultura del top management è improntata al tutto e subito e i lavoratori sono considerati un costo piuttosto che una risorsa – è purtroppo poco rassicurante. Forse i tempi sono maturi perché il mondo del lavoro assuma le dimensioni di una “politica comune” all’interno dell’Europa, con una visione complessiva delle problematiche e non più solo a livello nazionale. Perché tutti i lavoratori abbiano, fatte salve le peculiarità di ogni Stato membro, gli stessi diritti e gli stessi doveri. Silvio Brocchieri CR VOLTERRA ... QUOTA 100! Nome Residenza Data di nascita Professione Segni particolari Cassa di Risparmio di Volterra Volterra e dintorni 1949 Azienda bancaria oltre 100 iscritti Lavoro, impegno, dedizione e professionalità. Caratteristiche distintive di DirCredito che hanno consentito ai colleghi della Cassa di Risparmio di Volterra di raggiungere e oltrepassare la fatidica e ambiziosa quota 100 iscritti che, su di un numero complessivo di dipendenti pari a 500 unità, evidenzia un risultato ancor più importante ovvero un indice di rappresentanza che supera il 20 per cento. In un contesto particolarmente ostico e difficile come quello odierno, dove il mondo del lavoro e i lavoratori tutti sono ritenuti dei costi insostenibili e non delle risorse da valorizzare, la capacità di saper aggregare tanti colleghi di così elevato profilo professionale è indice di passione, competenza e voglia di fare. È con la squadra che si vince!!! S.B. Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n 15 n L AV O RO L’ENIGMA DEGLI ESODATI SESTA PUNTATA Lontana la fine di un tormento che colpisce ancora 200.000 persone Considerata l’impossibilità di individuare in tempi brevi l’auspicata soluzione strutturale al problema degli “esodati”, anche il Governo Renzi ha deciso infine di attivare in loro favore una ulteriore (la sesta) salvaguardia parziale. Con essa, nelle intenzioni dell’esecutivo anche l’ultima prima di un provvedimento risolutivo, è stata prolungata di un anno la tutela per le casistiche già contemplate nei precedenti interventi, con la sola integrazione dei cosiddetti “cessati” per scadenza di contratti a tempo determinato. Circa 31.200 persone (considerati i nuclei familiari coinvolti, la popolazione di una città) che copre chi, prima della riforma, avrebbe maturato la percezione della propria pensione entro il 2015 avendo lasciato il posto di lavoro entro la fine del 2012. Data l’endemica carenza di risorse economiche, un intervento consistente, reso possibile dalle “economie” riscontrate nei precedenti interventi la cui platea di beneficiari si è dimostrata sovrastimata di ben 24.000 posizioni ri- 16 n gi u gno/l ugl i o 2014 - spetto alle circa 160.000 ipotizzate. Ancora una volta, l’ennesima, una problematica nascente quindi dall’assenza di numeri certi sugli esodati, divenuta quasi un enigma più indecifrabile del terzo mistero di Fatima. Una tra le immagini più sconfortanti e preoccupanti del malfunzionamento della nostra pubblica amministrazione, nemmeno mitigata dalla sensazione che, forse, non è vero che questi numeri siano ignoti quanto invece non si intenda divulgarli. È un fatto comunque che, anche senza considerare tipologie “spurie” che spesso si cerca artatamente di aggregare a quella degli esodati in senso stretto (chi aveva definito cioè un accordo di esodo in prossimità della pensione prima della riforma Fornero), anche dopo il sesto intervento restano ancora senza tutela tra le 150 e le 200 mila persone. Davvero tante, troppe cui potere dare una giusta risposta ove questa problematica non venga recepita come prioritaria dal Governo. Il sogno dei malcapitati, quello cioè di vedere dichiarato per legge il proprio diritto all’applicazione delle normative vigenti al momento della firma dei loro accordi, rischia così di svanire definitivamente nel nulla in virtù di fantomatici interventi strutturali pronti a rivelarsi, nella realtà, proprio come gli Achei all’interno del cavallo di Troia. Giunti a un passo dal filo di lana, prestiti pensionistici, sussidi di solo sostegno, applicazione integrale del sistema contributivo con dimezzamento della pensione per il solo repentino prolungamento della vita lavorativa, non suonano infatti per essi che come autentiche beffe. Che li discriminano persino da chi, più fortunato, è riuscito a rientrare, come in uno slalom speciale tra i paletti delle sei salvaguardie varate. Giulio Pomar I n cont ri LEGALE n IL FILO D’ARIANNA Suggerimenti per districarsi nel labirinto della vita quotidiana Se la veranda, posta sul terrazzo a livello, è poggiata e non ancorata al pavimento è da considerarsi arredo esterno rimovibile e, pertanto, non necessita di alcun permesso edilizio È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato (Sentenza n° 1777 dell’11 Aprile 2014) in merito ad una struttura in legno realizzata su di un terrazzo a livello, costituita da due pali verticalmente poggiati al pavimento e da quattro traverse in PVC con binario di scorrimento, ancorata al sovrastante balcone e munita di copertura rigida a protezione di un telo retraibile, manufatto di cui era stata ordinata la demolizione dal Comune di Roma, confermata dal Tribunale Amministrativo Regionale. Come invece evidenziato dal descritto provvedimento, la struttura leggera e amovibile, costituita da elementi a loro volta leggeri e assemblati tra di loro in modo tale da essere facilmente smontati e non demoliti, priva di opere murarie e di pareti chiuse, non raffigura né un aumento di volume degli spazi coperti, né la creazione o modificazione di un organismo edilizio, né tanto meno alterazione del prospetto dell’edificio cui è connessa. In ragione, pertanto, della sua inidoneità a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni, dell’assenza di tamponature verticali e della sua facile e completa rimuovibilità, la struttura in discorso può ben essere qualificata alla stregua di un arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale al migliore utilizzo degli spazi aperti dell’appartamento cui accede, riconducibile ad un intervento manutentivo non subordinato ad alcun titolo abilitativo. La notifica di atti e documenti, dalla cui avvenuta consegna devono farsi decorrere termini legali, non è regolare se effettuata per il tramite di servizio di recapito posta privato Con Decreto Legislativo emanato sin dal 1999, in attuazione di una Direttiva Comunitaria, veniva liberalizzato il servizio postale, prevedendo però che, per esigenze di ordine pubblico, le spedizioni raccomandate afferenti a procedure amministrative e giudiziarie fossero comunque riservate in via esclusiva al fornitore del servizio “universale”. È da ritenere, quindi, che quando la Legge prescrive per l’esecuzione di una notifica il ricorso a una “raccomandata con avviso di ricevimento” , non può che fare riferimento al servizio offerto in forma universale (con attività, cioè, estese su tutto il territorio nazionale) dall’ente Poste, con la conseguenza che qualora l’adempimento fosse affidato a un’agenzia privata di recapito, non risulterebbe conforme alle formalità previste dalle norme. La Corte di Cassazione, nell’affrontare ulteriormente la tematica (Sentenza, VI Sez. Civile, n. 2035 del 30 Gennaio 2014), richiamando principi più volte ribaditi, ha avuto modo di sancire nuovamente che, nel caso di notificazioni fatte direttamente dal servizio postale, l’avviso di ricevimento costituisce atto pubblico e, pertanto, le attestazioni in esso contenute godono della stessa fede privilegiata delle notificazioni eseguite, a mezzo posta, tramite ufficiale giudiziario. Gli agenti postali di un servizio di poste privato non rivestono, e non possono rivestire, la qualità di pubblici ufficiali e gli atti da loro redatti non potranno godere di presunzione di veridicità fino a querela di falso, rendendo le loro attestazioni di avvenuta consegna dei plichi inidonee a far decorrere i termini iniziali per eventuali impugnazioni. Incontri Claudio Minolfi - gi ugno/l ugl i o 2014 n 17 n SOCIETÀ FRANCESCO CONTRO LE “MAFIE” PROMUOVE L’ESCLUSIONE SOCIALE Il Papa lancia la scomunica dalla Piana di Sibari davanti a 250.000 fedeli Questa volta Francesco è andato oltre. Oltre l’ipocrisia di una chiesa che spesso ha affrontato con distacco il fenomeno “mafie”, oltre l’immobilismo di una società che condanna a parole, ma che quando bisogna agire si trincera dietro l’omertà, oltre l’impotenza di uno stato troppo spesso infiltrato dalle mafie per poter dare risposte concrete alla loro lotta. Questo Papa, infatti, per certi versi simbolo di apertura e modernità, ha scagliato contro ’ndrangheta e mafia un anatema vecchio come il mondo, mai usato prima e sicuramente ricco di un significato che va oltre i confini della chiesa. La scomunica che il pontefice ha lanciato nel corso di un’omelia, non dalla loggia di San Pietro, ma, dalla sicuramente più evocativa Piana di Sibari, davanti a 250.000 fedeli, arrivati da tutta la Calabria, diventa un gesto dal grandissimo valore simbolico, sia da un punto di vista religioso che da quello sociale. Dopo la conversione, richiesta ai mafiosi dall’allora Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione di Don Pino Puglisi, certo importante, ma ancora troppo timida, poiché lasciava intravvedere ancora una possibilità di perdono, mettendo, di fatto delinquenti e assassini, sullo stesso piano delle altre pecore, il Pastore Bergoglio opera, come è nel suo stile, una scelta netta, coraggiosa, dal sapore definitivo. Il Papa questa volta non si inginocchia, come aveva fatto Woytila, ma troneggia in tutta la sua autorità e mette la parola fine a decenni di ambi- 18 guità, di ammiccamenti, di omissioni, di una certa gerarchia ecclesiastica che da un lato piangeva pubblicamente la mattanza dei propri sacerdoti impegnati in prima linea contro la mafia, ma dall’altro non aveva il coraggio di negare che assassini conclamati e mai pentiti varcassero insieme alle loro famiglie le soglie delle chiese per ricevere sacramenti e conforto cristiano. La scomunica è una pena canonica irrogata nelle chiese cristiane, che implica l'esclusione di un suo membro dalla comunità dei fedeli a causa di gravi e ostinate infrazioni alla morale e/o alla dottrina riconosciuta. È in questa definizione che si racchiude il progetto di Francesco, vescovo di Roma. Combattere cioè mafia, ‘ndrangheta e camorra, non solo attraverso metodi tradizionali, ma utilizzando un’arma del tutto nuova e sicuramente non convenzionale, l’esclusione sociale. Cosa sarebbero infatti i mafiosi senza l’appoggio di quei cittadini che, vuoi per paura, vuoi per un certa ammirazione per questi delinquenti che sfidano uno stato, troppo spesso sentito come un nemico, chiudono entrambi gli occhi e rendono possibili latitanze infinite e dorate, la maggior parte delle quali trascorse nel pieno dei centri abi- n gi u gno/l ugl i o 2014 - tati in cui sono sempre vissuti. L’inclusione e il riconoscimento sociale di cui godono consente loro di sentirsi alla stregua di eroi sopra ogni legge umana e divina. Ne sono testimonianza le numerose cerimonie di “iniziazione” mafiosa infarcite di immagini e formule sacre. Ne è la prova il fatto che la ndrangheta tanto si sente vicino a Dio, dall’aver osato scegliersi San Michele come santo protettore. Le parole del Papa, la sua condanna esplicita hanno posto fine alla leggenda, peraltro non vera, che i crimini commessi dai mafiosi, fossero ammantati di una certa sacralità e sicuramente al di sopra delle leggi dello stato. Il dado è tratto. Tocca ora alle istituzioni, ecclesiastiche e non e ai cittadini comuni raccogliere il testimone, facendo rete, anzi muro contro la diffusione di quel cancro che si chiama mafia che giorno per giorno uccide la giustizia. Che gli uomini di mafia, camorra e ‘ndrangheta inizino a trovare di fronte a sé delle porte chiuse poiché per loro le porte che conducono alla salvezza eterna si sono già serrate, parola di Francesco. C.A. I n cont ri CURIOS@NDO n NAPOLI: LE 5 STELLE DELL’ORSA MAGGIORE SUPERANO LA COSTA AZZURRA L’istituto Europa Asia traccia la classifica dell’attrattività delle nostre città Siamo continuamente inorgogliti dal sentirci dire che il nostro è il Paese dotato del più alto tasso di beni culturali e che godiamo del privilegio di bellezze naturali incredibili. Poi, dissolta la nuvoletta dell’orgoglio, riscendiamo con i piedi nella realtà e ci accorgiamo che siamo anche i primi al mondo a trattare questo patrimonio con superficialità inusitata. È questo secondo primato che ci ruga maggiormente, soprattutto quando ci si confronta con le attrattive di città internazionali che ci sovrastano malgrado il loro patrimonio di beni culturali sia meno “competitivo” del nostro. Ed è così che l’Istituto Europa Asia ha voluto tracciare una classifica di attrattività di alcune città europee e italiane proprio per segnalare le ampie possibilità di richiamare turismo nel nostro Paese e che queste opportunità dovranno essere mese in campo fra le priorità dello sviluppo perché generatrici di ricchezza e di nuova occupazione. A far risaltare questo patrimonio concorrono diversi fattori, ma quelli decisivi sono tradizioni popolari, artigianato, bellezze naturali, paesaggistico-archeologico-monumentali e cultura fatta di storia e di arte. Il guaio è che noi marciamo tra due poli, quello dell’arte, che implica il concetto di movimento e quello dell’inerte che si configura come l’opposto dell’arte. Il nostro è un Paese che per ogni aspetto di valore e di eccellenza si accompagnano Classifica di alcune città italiane - indice febbraio 2014 altrettanti fattori frenanti o, addirittura, di abbandono, deturpamento e devastazione nei casi peggiori. Gli episodi ultimi di Pompei sono veramente desolanti. E malgrado tutto ciò ecco i risultati emersi da questo studio. Fra le “citta'' che destano maggior interesse all'estero ritroviamo l'Orsa Maggiore delle cinque stelle (Napoli con Capri, Sorrento, Pompei, Amalfi) che costituisce il “Blocco partenopeo”, totalizzando 1,644 punti nella classifica stilata dall’Istituto Europa Asia sull’interesse del mondo a conoscere una città in termini di patrimonio architettonico- archeologico-monumentale, di bellezze paesaggistiche, di cultura, di arte, di storia, di tradizioni popolari, di offerta turistica. Le 5 stelle napoletane battono così il Blocco della Costa Azzurra (Montecarlo, Nizza, Cannes) che si posiziona su un indice di attrattività di 1,545, inferiore di un punto rispetto alle nostre meraviglie partenopee. Non solo, ma la costellazione napoletana dell’Orsa Maggiore si piazza anche nelle prime posizioni dei migliori luoghi di attrazione italiana. Achille Colombo Clerici, presidente dell'Istituto Europa Asia, commenta così questi risultati: “I dati del Blocco partenopeo confermano quanto necessario sia un grande sforzo da parte della politica, delle istituzioni culturali, delle organizzazioni turistiche per richiamare maggiormente l'interesse mondiale su Roma 2,00 Trieste 0,31 Sorrento 0,15 Milano 1,20 Bolzano 0,27 Amalfi 0,14 Venezia Firenze Napoli Torino Bologna Genova Verona Capri Palermo 1,65 1,00 0,80 0,60 0,51 0,50 0,40 0,36 0,35 Pisa Siena Bari Cagliari Padova Perugia Pompei Parma Portofino 0,29 0,25 0,24 0,21 0,19 0,19 0,18 0,16 0,15 I ncontri Vicenza Modena Bergamo Assisi Brescia Mantova Trento Rimini 0,15 0,14 0,14 0,14 0,13 0,12 0,12 0,10 Classifica di alcune città europee - indice febbario 2014 Londra 3,50 Amsterdam 1,90 Parigi Berlino Barcellona Vienna Madrid Atene Bruxelles Nizza Montecarlo Berna St. Moritz Cannes 3,20 1,70 1,68 1,40 1,15 1,14 0,98 0,74 0,57 0,40 0,30 0,23 quell’area che dal turismo può trarre molte risorse per il proprio sviluppo”. In Italia, al primo posto fra i luoghi di maggiore attrazione nazionale domina incontrastata Roma (2,00), mentre al secondo posto si piazza Venezia con un indice di 1,65, di poco superiore a quello segnato dal Blocco penta-stellare napoletano (1,644). Milano è la terza città nella classifica delle città attrattive italiane con un indice di 1,20, di gran lunga inferiore a quello registrato dalla nostra capitale. Chiudono la classifica delle prime 32 città italiane Trento e Rimini che registrano rispet- tivamente un indice di 0,12 e 0,10. Nel blocco delle città europee continentali la palma dell’attrattività viene conquistata dalla città di Londra con un indice di 3,50, superiore di un punto e mezzo a quello Roma e di quasi tre volte maggiore del punteggio spuntato dalla metropoli lombarda. Al secondo posto si piazza la capitale francese che viene superata da Londra per uno scarto di appena 0,30 punti. Roma, classificata al terzo posto, s’incastra fra la seconda città europea che è Parigi e la quarta posizione occupata dalla città dei tulipani, Amsterdam, che segna un punteggio di 1,90. Seguono Berlino, Barcellona,Vienna, Madrid ed Atene e via via tutte le altre. Frank Sirti - gi ugno/l ugl i o 2014 n 19 n CURIOS@NDO DONNE E UOMINI ADORANO LE SCARPE Varietà infinite di modelli affascinano il genere femminile e quello maschile Picasso disse che «Van Gogh è immenso perché capace di nobilitare col suo pennello anche un paio di vecchie scarpe». Evidentemente non per caso Vincent Van Gogh realizzò un’opera su tela, molto conosciuta, proprio dal titolo “Un paio di scarpe”. Ma quanti sono i diversi tipi di scarpe esistenti? In ambito femminile, quello più ricco di tipologie, la classificazione sta nelle calzature con il tacco, senza tacco e gli stivali. Esistono scarpe con tacco modello decolleté: in questo caso la scarpa è chiusa avanti, lateralmente e dietro e può avere la punta tonda o quadrata. Ne esistono diverse versioni, fra tutte quella più nota è chanel, aperta sul tallone, con una fascia che passa dietro la caviglia e i tacchi di varie altezze. Le scarpe che hanno la cosiddetta zeppa sono quelle che presentano un tacco unito alla scarpa, un pezzo unico che può essere composto di vari materiali. D’estate e nelle cerimonie si usano i sandali, scarpe aperte sia in punta che sul tallone; possono avere il tacco ma possono essere anche flat (senza tacco). In estate inoltre si utilizzano molto i clogs, cioè zoccoli che si contraddistinguono per la suola in legno. I sabot sono chiusi davanti e completa- 20 n gi u gno/l ugl i o 2014 - mente aperti già da metà piede. Il modello più utilizzato tra le scarpe senza tacco è noto con il nome di ballerine che coprono tutto il piede, da punta a tallone, ma lasciano scoperta la parte superiore. Senza tacchi sono anche i mocassini che si caratterizzano per la loro punta quadrata e per la linguetta che copre la parte superiore del piede. Le francesine sono riconoscibile grazie alla cucitura a nido di rondine. Ci sono poi le infradito e le sneakers, scarpe comode e sportive da passeggio. Sempre sportive sono le Slip-on, scarpe che si infilano senza lacci né aperture. Basse ed estive sono le espadrillas, realizzate in tela e suola in corda e sono utilizzate soprattutto in Spagna. In Italia, invece, le donne preferiscono le ciabattine. Gli stivali sono utilizzati soprattutto in inverno ma alcuni modelli si possono indossare anche nei periodi più caldi. Gli stivali classici arrivano poco più sotto del ginocchio. Il modello che copre anche il ginocchio e arriva sino alla coscia si chiama cuissard. I modelli più bassi hanno diversi nomi. Ankle boot o tronchetto è il modello che copre fin poco più su la caviglia. Per gli uomini la classificazione è più semplice se si rimane nell’ambito della calzatura maggiormente usata; Oxford, Duilio, Brogue, Derby, Monkstrap, mocassino e stivaletto sono i nomi ricorrenti di un campionario che, quasi al pari della calzatura femminile, è molto variegata. Generalmente le donne vanno matte per le scarpe e farebbero follie per averne un paio nuovo. A volte, però, sono gli shoes designer a fare qualche pazzia, proponendo, solitamente proprio per il guardaroba femminile, delle calzature molto originali, curiose e particolari che non si vedono mai per strada ma che potrebbero benissimo fare bella figura come opera d’arte in un museo. L. I. I n cont ri CURIOS@NDO n “PROGETTO INSIEME” Storie di bancari in pensione e di straordinaria generosità Sono tantissime le belle storie che il nostro Paese, pur martoriato da scandali e corruzione, riesce a raccontare al resto del mondo. Storie di generosità e altruismo come quella che ha per protagonisti alcuni bancari emiliani, ormai in pensione, che anni fa fondarono Progetto Insieme. Si tratta di un’iniziativa nata per correre incontro ai bisogni delle famiglie dell’arcidiocesi di Modena e Nonantola e della Caritas Diocesiana: “L’idea c’è stata nel 2009 – ha raccontato Gaetano Tripoli, uno dei soci – a un collega ancora in attività. Inizialmente erano tutti ex direttori di filiale che, a causa degli esuberi, si sono trovati ancora attivi e motivati, disposti ad aiutare le famiglie in difficoltà economica. Poi ai primi cinque o sei soci si sono uniti professionisti, dirigenti d'azienda e funzionari dello Stato. Oggi possiamo contare anche sull’ex vice direttore della sede INPS di Modena. Tutto in virtù del passaparola e grazie al quale oggi contiamo 25 soci che operano sul territorio con i centri d'ascolto della Caritas, i servizi sociali dei comuni e altre associazioni di volontariato. La stragrande maggioranza dei soci sono ex bancari: ben 20 su 25”. Come si svolge il vostro intervento? “Partiamo dalla consulenza – ha spiegato Tripoli - cerchiamo di predisporre un bilancio familiare attendibile cercando di capire i motivi del disagio e cercando, in alcuni casi, di arrivare a una transazione con banche e finanziarie. Se vi sono i presupposti interveniamo con operazioni di micro credito operando come un fondo di garanzia con fondi messi a disposizione dalla Diocesi di Modena - Nonantola, e dalla CEI”. Questi i servizi offerti da Progetto Insieme: analisi del bilancio familiare, accompagnamento organizzativo e gestionale, supporto alla predisposizione delle domande di finanziamento, consulenza ai Tutor nel periodo successivo l’erogazione dei finanziamenti, consulenza finanziaria e di supporto per l’accesso al credito, educazione all'accesso al credito e prevenzione al sovraindebitamento, educazione a stili di vita sostenibili, analisi dei bisogni economici e orientamento della predisposizione della domanda di finanziamento, valutazione della sostenibilità della domanda, istruzione di pratiche per il rilascio di garanzie a valere sul Fondo di Garanzia della Diocesi di Modena–Nonantola e sulla Incontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n Colletta Nazionale del Prestito della Speranza (CEI/ABI), assistenza per definire posizioni a incaglio o sofferenza, assistenza per definire contenzioso per sfratti, arretrati con Enti di erogazione di servizi di prima necessità. Qual è la consistenza economica dell’intervento di Progetto Insieme? “Inizialmente, sottolinea Tripoli, la Diocesi ci ha fornito i primi 200.000 euro per il fondo di garanzia, fondo che oggi ammonta a 300.000 euro. Riusciamo così a erogare prestiti per oltre 600.000 euro con insolvenze inferiori alla media del sistema pari a circa il 5,20 per cento, risultato che riteniamo ottimo in considerazione dei nostri utenti”. Quante famiglie avete aiutato finora? “Dal 2009 abbiamo ascoltato circa 500 famiglie ed erogato 86 prestiti con un debito residuo attuale di 534.000 euro”. Fatevi conoscere un po’ più da vicino; da quali banche provenite? Eravate iscritti al sindacato? “La nostra provenienza è variegata: Banco Popolare SGSP, Banca Intesa Sanpaolo, Banca Popolare dell'Emilia Romagna. Non so di altri ma io sì, ero iscritto proprio al DirCredito”, ha concluso Tripoli. Livio Iacovella 21 n CURIOS@NDO L’EUROPARLAMENTO AFFRONTA IL TEMA DELLA PROSTITUZIONE Sui marciapiedi italiani 45.000 “sex workers” esposte a pericoli e sfruttamento Secondo l’ultima indagine della Commissione Affari sociali della Camera, le sex workers, cioè le prostitute, operanti in Italia sarebbero dalle 50.000 alle 70.000, di cui circa 25.000 immigrate. La massima concentrazione si registra a Milano e Torino. Il 65 per cento delle prostitute lavora in strada, il 29,1% in albergo, le rimanenti in casa. Il 94,2% delle prostitute sono donne, il 5% transessuali e lo 0,8% travestiti. Duemila sarebbero minorenni e più o meno lo stesso numero quelle ridotte in schiavitù e/o costrette a prostituirsi. Perché scrivere delle prostitute? Perché per noi italiani il tema della gestione legale del fenomeno della prostituzione ricorre periodicamente nel dibattito politico, fin dal 1958, anno in cui furono abolite le cosiddette “case chiuse”, con una legge divenuta famosa con il nome della sua prima firmataria, la senatrice Lina Merlin. A riaprire il confronto tra cattolici e laici sul tema delle case chiuse questa volta è la Lega Nord, che vuole riaprirle con uno dei referendum proposti in primavera. Oltre a vietare le case chiuse la legge vigente in Italia punisce lo sfruttamento e l'adescamento anche se prostituirsi non è reato. 22 COSÌ SI È ESPRESSA L’UNIONE EUROPEA Lo scorso febbraio l'Europarlamento ha approvato la Risoluzione 2013/2103 INI su “sfruttamento sessuale e prostituzione e sulle loro conseguenze per la parità di genere”. Il Parlamento Europeo ritiene che il modo più efficace per combattere la tratta di donne e ragazze minorenni, a fini di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parità di genere, segua il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico). Attualmente il modello è in corso di esame in diversi paesi europei, dove il reato è costituito dall’acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce. La Risoluzione aggiunge come “considerare la prostituzione un ‘lavoro sessuale’ legale, depenalizzare l’industria del sesso in generale e rendere legale lo sfruttamento della prostituzione non sia una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento, ma che sortisca l’effetto contrario, esponendole al pericolo di subire un livello più elevato di violenza, promuovendo al contempo i mercati della prostituzione e, di conseguenza, accrescendo il numero di donne e ragazze minorenni oggetto di abusi”. La risoluzione votata dal parlamento europeo non vincola i governi dell’UE e si configura come un parere di indirizzo, che suggerisce di affiancare al divieto di acquistare servizi sessuali una campagna di sensibilizzazione tra gli uomini. L. I. PAESI Francia Proibite le case chiuse, ma non la prostituzione per strada. Germania Dal 2002, il sesso a pagamento è lavoro a pieno titolo. Una normativa prevede per le prostitute assicurazione sanitaria, sussidio di disoccupazione e pensione. Le case chiuse sono legali. Olanda La prostituzione è legale sopra i 18 anni ma è necessario avere la residenza nel Paese. Le prostitute esercitano in case nei quartieri a luci rosse. Regno Unito Prostituirsi non è reato. Sono vietati lo sfruttamento e l'adescamento nei luoghi pubblici. Da tempo allo studio l'apertura di zone a luci rosse nelle città. Spagna Dal 1995 la prostituzione è legale. Vietato l'adescamento in strada e punito lo sfruttamento. In tutto il Paese esistono più di 1400 puticlub, bordelli legali. Svezia Dal 1999 la prostituzione è illegale. La legge punisce i clienti con ammende e carcere. Perseguiti gli sfruttatori, i proprietari e gli affittuari delle case chiuse. LA SOLUZIONE NEI PRINCIPALI Stati Uniti In tutti gli Stati vendere e comprare prestazioni sessuali è illegale. Fanno eccezione Nevada e Rhode Island dove la prostituzione è legale. n gi u gno/l ugl i o 2014 - I n cont ri CURIOS@NDO n PENSIONATI ALL’ESTERO CON MILLE DOLLARI AL MESE FELICITÀ LOW COST La Costarica primo Paese delle meraviglie, l’Italia solo sessantanovesima Sempre più italiani scelgono di vivere all’estero e non solo giovani in cerca di esperienza o manager che arricchiscono il curriculum e il conto in banca. Adesso sono i pensionati a decidere di volare all’estero per viverci almeno sei mesi all’anno. Un fenomeno popolare di cui anche l’Istat registra la dimensione crescente. Si calcola infatti che sono più di 500.000 gli italiani over 60 che risiedono stabilmente all’estero. Gli analisti aggiungono: si fugge dall’Italia un po’ perché si cercano Paesi nei quali poter vivere bene spendendo molto meno e un po’ perché, una volta in pensione, si desiderano luoghi dove si possa vivere più serenamente. Viste le dimensioni sempre più consistenti, anche i giornali scrivono spesso di questo fenomeno. Così Panorama, nel corso del mese di maggio, ha realizzato una copertina titolando: Trasferirsi all’estero, Vieni a vivere low cost. A seguito di questa tendenza sono nate agenzie specializzate e siti internet in grado di trovare soluzione a ogni problema: scelta del Paese, acquisto della casa, trasferimento della pensione, apertura del conto corrente bancario, visti, permessi, assistenza sanitaria e così via. Una di queste agenzie, ovviamente con sede all’estero, per la precisione in Svizzera, si chiama Vivi il Mondo (www.viviilmondo.ch) ed è in grado di assicurare che tutto funzioni a meraviglia. Naturalmente il primo passo è scegliere la destinazione migliore per le proprie esigenze. A questo proposito non c’è niente di meglio del sito www.pensioneallestero.it. Ogni Paese è analizzato secondo alcuni parametri: consistenza della pensione, periodo minimo di residenza, convenzione con l’Italia per le tasse da pagare. Il posto migliore in assoluto è la Costa Rica, definito il Paese più felice al mondo, secondo una classifica che vede l’Italia al 69esimo posto. In Costa Rica esiste proprio un visto “Pensionado”, che si ottiene se si soggiorna almeno per quattro mesi continuativi e si dimostra di godere di una pensione di almeno 1.000 dollari al mese. Lo stesso visto a Panama assicura una serie di sconti molto interessanti. Vanno fortissimo anche Brasile, Santo Domingo, le Canarie e Repubblica Dominicana. Ben più vicine all’Italia sono la Bulgaria e la Spagna, dove acquistare casa o vivere in affitto costa poco rispetto all’Italia, oppure la Tunisia, Paese che con l’Italia ha stipulato un accordo interessantissimo sotto il profilo delle tasse. In pratica, vivendo in Tunisia per più di sei mesi all’anno si può chiedere di trasferire lì la pensione. In base a una legge del 2007, vien percepito l’importo della pensione lorda italiana gra- I ncontri - gi ugno/l ugl i o 2014 n zie a un principio di “non doppia tassazione”. Ciò determina un abbattimento della pressione fiscale all’80 per cento. Quindi, a titolo esemplificativo, con una pensione lorda di 20.000 euro si finisce per pagare solo il 2 per cento di tasse, tutto compreso. Ovviamente c’è un rovescio della medaglia. La sanità pubblica, per esempio, in Tunisia non è quella italiana ed è quasi un obbligo ricorrere a una polizza assicurativa. Perché cresce il popolo italiano all’estero? A parte il regime fiscale vantaggioso, la qualità migliore della vita e i costi minori c’è da considerare che, oggi come oggi, con la tv satellitare, internet e i viaggi low cost vivere all’estero non significa dimenticare parenti e amici in Italia, che rimangono a portata di clic, o di poche ore di volo. 23 Livio Iacovella al riparo con PACCHETTO ASSICURATIVO DIRCREDITO POLIZZA RC PROFESSIONALE POLIZZA CASSIERI POLIZZA INFORTUNI POLIZZA TUTELA GIUDIZIARIA (VITA PROFESSIONALE) POLIZZA TUTELA GIUDIZIARIA (VITA PRIVATA) POLIZZA RC CAPOFAMIGLIA e ancora... Polizza Long Term Care Prodotti Vita n Polizza RC Auto Polizza Viaggi n Polizza Casa Progetto Welfare Spese Odontoiatriche Consulta la pagina AON su www.dircredito.info
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