Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 luglio – 31 luglio 2014, n. 33882
Presidente Milo – Relatore Villoni
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d'Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, in
parziale riforma di quella emessa dal GUP dei locale Tribunale in data 12/01/2011, ritenuto
assorbito il reato di violenza privata (art. 610 cod. pen.) in quello di maltrattamenti in famiglia (art.
572 cod. pen.), rideterminava la pena inflitta in primo grado nei confronti di C.G.M. nella misura di
otto mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, confermando le statuizioni della decisione di
primo grado in favore della parte civile costituita D.T.
Confermando le valutazioni del primo giudice, la Corte territoriale ribadiva il giudizio di
attendibilità della narrazione e di credibilità soggettiva della parte offesa, respingendo come
ininfluente l'invocata acquisizione di una relazione di servizio, da cui nulla si sarebbe potuto inferire
circa la natura dei rapporti intrattenuti dall'imputato con l'allora convivente D.T.; accoglieva,
invece, la doglianza difensiva in ordine alla possibilità di sussumere quella contestata a titolo di
violenza privata nell'unitaria condotta di maltrattamenti di cui all'art. 572 cod. pen.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, deducendo da un lato l'assenza del carattere
di abitualità nelle condotte contestate e dall'altro la cessazione del rapporto di convivenza fin dal
2006.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.
Risultano, infatti, palesemente destituite di fondamento entrambe le doglianze enucleate nel
contesto di un'impugnazione articolata in maniera oltre modo discorsiva, la prima concernente un
preteso difetto di motivazione in ordine al profilo della abitualità delle condotte contestate e la
seconda basata sull'intervenuta cessazione del rapporto di convivenza fin dal 2006.
La Corte territoriale ha, infatti, congruamente argomentato che le condotte vessatorie analiticamente descritte in sentenza alle pagine 3 e 4 - si erano susseguite per un apprezzabile lasso
temporale (alcuni anni) e che solo la presenza del figlio aveva trattenuto la parte offesa dallo
sporgere tempestiva denunzia nei confronti di colui che rimaneva sempre il padre dei minore: non si
comprende, dunque, quale vizio di motivazione possa ravvisarsi nell'esposizione dei termini di una
vicenda, in questo simile a molte altre sviluppatesi secondo analoghe cadenze temporali.
E' parimenti destituito di fondamento l'ulteriore motivo di censura riguardante la cessazione della
convivenza dei 2006, a fronte di una contestazione riferita a condotte commesse fino al mese di
luglio del 2008.
Il delitto di maltrattamenti in famiglia in danno dei coniuge, infatti, assorbe i reati di ingiuria,
molestia ed atti persecutori anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della
convivenza, rimanendo integri i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di
solidarietà che nascono dal rapporto coniugale (Cass. Sez. 6, sent. n. 7369 del 13/11/2012, M., Rv.
254026; Sez. 6, sent. n. 26571 del 27/06/2008, V., Rv. 241253; Sez. 6, n. 49109 del 22/09/2003,
Micheli, Rv. 227719).
Ed ancora, la cessazione del rapporto di convivenza non influisce sulla configurabilità del reato in
esame, la cui consumazione può aver luogo anche nei confronti di persona non convivente con
l'imputato quando essa sia unita all'agente da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione (Sez. 6,
sent. n. 1857 del 12/10/1989, Cancellieri, Rv. 183283; Sez. 6, sent. n. 11463 del 29/04/1980,
Musmarra, Rv. 146480), rilevando per tale ultimo profilo i perduranti obblighi di cooperazione nel
mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale dei figlio minore naturale
(art. 315 bis cod. civ.) derivanti dalla comune potestà genitoriale, il cui esercizio congiunto (art. 317
bis e 316 comma 2 cod. civ.) implica di necessità il rispetto reciproco tra i genitori.
4. Alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima
equo determinare nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.