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CONFIMI
Rassegna Stampa del 06/11/2014
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INDICE
CONFIMI
06/11/2014 L'Arena di Verona
Brevi
6
05/11/2014 La Voce di Mantova
Giovani imprenditori di se stessi
9
CONFIMI WEB
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO ECONOMIA
06/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Riparte la battaglia sul Jobs act La minoranza pd si conta per il voto
11
06/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
competitivi NEL MONDO CON un fisco più moderno
13
06/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Tari Corre la tassa sui rifiuti In 4 anni rincaro del 22% Casa, verso la tassa unica
14
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
De Castro: l'agroindustria è decisiva negli scambi Usa-Ue
16
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
Aumento da 2,5 miliardi Cessioni per 220 milioni
18
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
«Più autonomia ai Comuni con la tassa unica»
20
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
Catasto, arriva l'ok al primo decreto
22
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
Italia più attraente per gli investitori esteri
24
06/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Damiano: "Il Jobs Act può essere migliorato rispettando i tempi delega entro l'anno"
25
06/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Sorprese dal Pil Con i nuovi criteri l'industria italiana è più piccola ma più produttiva
27
06/11/2014 La Stampa - Nazionale
A Genova la beffa delle imposte
28
06/11/2014 La Stampa - Nazionale
Nella manovra l'incubo tasse
29
06/11/2014 La Stampa - Nazionale
Arrivano per gli Usa due anni di paralisi
31
06/11/2014 La Stampa - Nazionale
Enel cede il 22% di Endesa In arrivo 3 miliardi di euro
33
06/11/2014 MF - Nazionale
Col doppio voto Ferrari resta in Italia
34
06/11/2014 MF - Nazionale
Ntv, l'Authority dà una mano a Italo Coi nuovi pedaggi 30 mln di risparmi
36
06/11/2014 MF - Nazionale
Bce troppo divisa, oggi niente Qe
37
06/11/2014 MF - Nazionale
Poste, il piano industriale slitta a dicembre
39
06/11/2014 MF - Nazionale
L'occupazione dei nostri figli dipende anche da quanto investiamo sulla loro
formazione
40
06/11/2014 Panorama
Moretti dimagrisce per guadagnare di più
42
06/11/2014 Panorama
Crisi Mps, salvate il soldato Profumo
43
06/11/2014 Panorama
Tutti i voltafaccia di Marchionne
44
06/11/2014 Panorama
L'Italia nella trappola dell'Opzione Zero
45
06/11/2014 Panorama
Così ci tolgono il futuro
46
SCENARIO PMI
06/11/2014 Il Sole 24 Ore
Ipotesi bonus Irpef per le famiglie numerose
49
06/11/2014 Il Giornale - Nazionale
Finmeccanica riduce le perdite (-80%)
51
06/11/2014 ItaliaOggi
Sos della Cna: per le pmi batosta da un miliardo
52
06/11/2014 MF PRONTE ALLA SFIDA EUROPEA
53
06/11/2014 La Notizia Giornale
Spunta la tassa occulta sulle ristrutturazioni La denuncia della Cna
58
CONFIMI
articoli
06/11/2014
L'Arena di Verona
Pag. 8
(diffusione:49862, tiratura:383000)
APINDUSTRIA VERONA E VICENZA INSIEME PER LA FESTA DELL'IMPRENDITORIA Si chiama Festa
dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza, e si tiene venerdì a
Verona. «Alla festa partecipano anche Confimi, Confederazione dell'industria manifatturiera italiana e
dell'impresa privata» spiega Vincenza Frasca, ideatrice e vicepresidente nazionale multiservizi Confimi.
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CONFIMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
6
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Brevi
05/11/2014
La Voce di Mantova
Pag. 9
Giovani imprenditori di se stessi
cerca un'occupazione - sottolinea Simona Grandi Unit Manager dell'Agenzia per il Lavoro Randstad - è
importante pertanto partire con il piede giusto e soprattutto muoversi in modo concreto ed efficace
utilizzando, metodo, disciplina e sacrificio». In tre appuntamenti gli argomenti affrontati sono stati le attitudini
e le competenze personali, con particolare attenzione ai fattori di motivazione, valori e stili lavorativi, poi si è
passati alla conoscenza delle competenze richieste dal mercato locale e alla trasferibilità ovvero le tecniche e
gli strumenti di ricerca attiva del lavoro con particolare riferimento ai social network e al personal branding.
«Siamo soddisfatti dei risultati di questo percorso perché abbiamo visto dei giovani motivati e che hanno
affrontato gli incontri con il piglio giusto - ha sotImprenditori di sé stessi: questa la frase che riassume la ratio
del percorso per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro organizzato da Apindustria Mantova in
collaborazione con l'Agenzia per il Lavoro Randstad. La prima edizione pilota ha visto la partecipazione di
Letizia Ferrari, Giacomo Pizzoni, Giovanni Carella, Giulia Speziali, Corinne Casella e Camilla Viola che, sotto
la guida di Matteo Rossi e Stefania Remelli di Randstad hanno portato avanti un percorso di crescita
personale e professionale. «Questo corso aveva l'obiettivo di spiegare ai partecipanti quali sono le loro
competenze, cos'è il mercato del lavoro e come si tolineato Giacomo Cecchin di Apindustria - adesso è il
momento più importante: hanno riempito la cassetta degli attrezzi e devono iniziare ad usarli. Per questo
stiamo già ragionando su un follow up per consentire loro di avere un confronto sui primi risultati ottenuti nella
ricerca del lavoro».
Foto: I giovani imprenditor i del corso Api: Stefania Remelli, Giovanni Carella, Giacomo Pizzoni, Letizia
Ferrari, Camilla Viola, Corinne Casella e Matteo Rossi
CONFIMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
7
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Un percorso formativo attivato da Apindustria per il primo approccio con il l a v o ro
SCENARIO ECONOMIA
24 articoli
06/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Damiano: va corretto, non basta un ordine del giorno. L'incognita dei bersaniani
Alessandro Trocino
ROMA Sarebbero tra i venti e i trenta i deputati del Pd pronti a non votare il Jobs act alla Camera. Stima tutta
da confermare e che dipende dal tipo di compromesso che si raggiungerà nelle prossime ore. Sempre che ci
sia e che invece non si scelga la strada di lasciare tutto com'è, per non tornare in terza lettura al Senato.
La relazione di Matteo Renzi ai gruppi del Pd ha lasciato le cose come stavano. Nel senso che, a parte
l'indicazione temporale - la dead line per l'approvazione al primo gennaio - non ha chiarito se ci sono i margini
per un compromesso. La minoranza non ha gradito il fatto che non sia stato lasciato spazio a repliche.
Il capogruppo Roberto Speranza ha chiuso la seduta, ringraziando tutti. Rosy Bindi non ha apprezzato: «La
solita liturgia. Renzi ci ha fatto un monologo di un'ora per spiegarci come le sue grandi riforme siano di
sinistra». Non piacciono alla Bindi né la legge elettorale - «Si va verso un bipartitismo che in assenza del
centrodestra diventa un monopartitismo pericoloso, tutto basato sul leader» - né la riforma costituzionale. C'è
il rischio di una «subalternità del Parlamento» e «mi preparo a presentare molti emendamenti». Pollice verso
anche sul Jobs act. Sarebbe votabile se recepisse le indicazioni della direzione pd, che ha votato per
l'inserimento del reintegro obbligatorio in caso di licenziamento disciplinare? «No, non basterebbe.
Sull'articolo 18 non possiamo andare oltre la Fornero». Considerando «imbarazzante la presenza costante»
di Berlusconi a Palazzo Chigi e «sbagliata» la legge di Stabilità che parla «solo di riduzione delle tasse», il
quadro è completo.
Le molte minoranze del Partito democratico sono in subbuglio. Tra i big a non votare il Jobs act dovrebbero
essere, oltre a Bindi, Stefano Fassina, Pippo Civati e Gianni Cuperlo. La vera incognita sono Pier Luigi
Bersani e i suoi. Un esponente della minoranza racconta: «A Pier Luigi basterebbe che ci fossero più fondi
per gli ammortizzatori sociali, ma sbaglierebbe a dare il via libera alla fiducia sul Jobs act».
Civati è tra i più duri: «La riforma del lavoro non va, assolutamente. Non è votabile neanche se vengono
recepite le indicazioni della direzione». Civati vorrebbe più coordinamento con gli altri esponenti
dell'opposizione, ma rischia di rimanere in minoranza nella minoranza se si aprissero spazi di mediazione.
Cesare Damiano ci spera: «Ma allo stato non c'è nessun accordo. Recepire un ordine del giorno non sarebbe
sufficiente. I temi da affrontare sono noti: il reintegro per il licenziamento disciplinare, il controllo a distanza, il
cambio di mansioni in caso di crisi aziendali, la cassa integrazione in caso di cessione attività».
Se Damiano punta a una mediazione, l'elenco di Fassina è più severo: «Il reintegro per i licenziamenti
disciplinari sarebbe poco rilevante. Servono più risorse per gli ammortizzatori sociali, nella legge di Stabilità.
Bisogna eliminare le troppe tipologie di contratti precari, affrontare il problema dei voucher, dei controlli a
distanza, dei demansionamenti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La vicenda
Lo scorso 29 settembre la direzione del Partito democratico approva con l'80% la linea del segretario e
premier Matteo Renzi sul Jobs act che prevede, tra l'altro, l'abolizione dell'articolo 18 Renzi apre alla
possibilità che la tutela
del reintegro resti per i licenziamenti disciplinari. La minoranza pd, contraria all'abolizione dell'articolo 18, si
divide Il testo approvato l'8 ottobre dal Senato (165 i sì alla fiducia posta dal governo, 111 i no, 2 astenuti)
non contiene però la modifica sui licenziamenti disciplinari Il testo è ora alla Camera, in commissione Lavoro,
dove la minoranza pd promette battaglia sull'articolo 18
Foto: Il deputato di Forza Italia Simone Baldelli parla alla Camera con il ministro dem alle Riforme Maria
Elena Boschi durante la discussione sulla mozione di sfiducia nei confronti del ministro dell'Interno Alfano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
11
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Riparte la battaglia sul Jobs act La minoranza pd si conta per il voto
06/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
(Zucchi Insidefoto)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
12
06/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 27
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Andrea Tavecchio
Il Sole 24 Ore dell'1 novembre riportava un intervento di Wolfgang Schäuble sulla competizione fiscale
internazionale. Il ministro delle Finanze tedesco ha ricordato come globalizzazione e digitalizzazione
dell'economia hanno reso le fonti di gettito per gli Stati sempre più incerte perché sempre più legate a beni
intangibili e investimenti mobiliari, che possono essere - legittimamente - «fiscalmente ottimizzati». Fare
improbabili battaglie moralizzatrici non serve a nulla, anzi fa scappare intelligenze, capitali e lavoro in Paesi
più attenti alla competizione internazionale.
I Paesi produttori, come Germania e Italia, debbono invece avere il coraggio di pensare normative più attente
alla realtà dei tempi: in loro assenza perdono introiti vitali per assolvere ai propri compiti e non potranno più
difendere il loro welfare state . Vanno in questa direzione alcuni degli interventi previsti nella legge di Stabilità
come la normativa sul patent box cioè - in sintesi - la defiscalizzazione temporanea dei redditi derivanti dallo
sfruttamento di beni intangibili, come brevetti e marchi, quando siano assimilabili a brevetti. Il patent box
potrebbe far capire, anche in Europa, che l'Italia è in grado di modernizzare il proprio sistema di tassazione e
partecipare alla competizione fiscale internazionale.
Questo passo - speriamo il primo di tanti altri - dovrà però essere accompagnato da un maggiore contrasto,
anche con moral suasion , alla competizione fiscale quando sleale. Schäuble ricorda come la
modernizzazione dei sistemi fiscali europei deve andare di pari passo con la lotta alla competizione fiscale
scorretta, perché una politica fiscale improntata al principio del beggar-thy-neighbour (politica del rubamazzo)
è pericolosa quanto una politica monetaria basata su svalutazioni competitive.
Ogni impresa che lascia l'Italia per motivi fiscali è una sconfitta per il sistema Paese. La politica non può far
finta di nulla.
@atavecchio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
competitivi NEL MONDO CON un fisco più moderno
06/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Tari Corre la tassa sui rifiuti In 4 anni rincaro del 22% Casa, verso la tassa
unica
Imu e Tasi Un emendamento alla Stabilità vuole unificare le imposte sulla seconda abitazione
Lorenzo Salvia
ROMA In ordine sparso e chiedendo scusa per le inevitabili dimenticanze: Tarsu, Tares, Tia 1, Tia 2, adesso
Tari, per qualche ora persino Taser, che poi si scoprì era il nome di una pistola elettrica e infatti si fece marcia
indietro. La tassa sui rifiuti ha cambiato nome ad ogni governo. Ma dietro questo tika taka di sigle c'è una
certezza: ad ogni scadenza la mazzata è più forte. Lo sa bene chi proprio in questi giorni sta ricevendo a
casa il bollettino da pagare. E lo confermano le tabelle di Federconsumatori: solo negli ultimi quattro anni
l'aumento medio è stato del 22%. Tre volte l'inflazione. Anche per questo la Tari non entrerà nella nuova
tassa unica sulla casa (Imu + Tasi) che dovrebbe partire il prossimo anno, come conferma il sottosegretario
all'Economia Enrico Zanetti. Anche ma non solo.
In realtà la tassa sui rifiuti è in lizza per il titolo di più grande pasticcio della seconda Repubblica. E per questo
viene maneggiata con grande attenzione. Sono passati quasi 20 anni da quando l'allora ministro
dell'Ambiente Edo Ronchi annunciò quella che doveva essere una svolta: «I cittadini pagheranno i rifiuti non
più in base ai metri quadri della propria abitazione ma proporzionalmente alla quantità di rifiuti prodotta». Era
il 30 dicembre del 1996, chi è nato quel giorno sta per diventare maggiorenne. Ma nel frattempo di strada ne
abbiamo fatta davvero poca. Secondo i dati di Federambiente, l'associazione che rappresenta le imprese di
raccolta dei rifiuti, i Comuni che hanno mantenuto fino in fondo la promessa sono appena 250 su 8 mila. Il tre
per cento. Solo loro adottano la cosiddetta «tariffazione puntuale», cioè pesano o misurano la quantità di
rifiuti non differenziati che viene prodotta da ogni singola famiglia. Più ne butti nel cassonetto, più paghi: un
principio sacrosanto e anche l'unico modo per spingere davvero tutti a fare la raccolta differenziata. A
Copparo, in Emilia Romagna, si usa il metodo del «sacco contatore»: si paga a seconda del numero di buste
usate per gettare via l'indifferenziata. A Capannori, in Toscana, la misurazione viene fatta con un microchip
piazzato dentro il cassonetto. Poi ci sono Castelfranco Veneto, tutta la Val di Fiemme in Trentino, Chieri in
Piemonte. Il sistema viene utilizzato solo in centri piccoli e del Nord. La solita resistenza a qualsiasi tentativo
di cambiamento? «Non solo», dice Edo Ronchi, il ministro che annunciò la svolta. «Per applicare fino in fondo
quel principio - racconta - era necessario che sia le aziende sia le amministrazioni comunali garantissero la
totale trasparenza dei conti. Ci voleva una rendicontazione completa, insomma. E non tutti facevano i salti di
gioia».
Il punto è che la tassa sui rifiuti, invece di spingerci a buttare la buccia della mela nell'umido e la bottiglia nel
vetro anche per pagare di meno, è stata usata dai Comuni come strumento di difesa, più o meno legittima. Di
fronte ai tagli dei trasferimenti da parte dello Stato, diversi sindaci hanno alzato le aliquote pur di riuscire a
chiudere i bilanci. Con tanti saluti al principio del chi inquina paga. E con la beffa della tassa sulla tassa: in
molti casi sulla somma pagata è stata aggiunta anche l'Iva, sostenendo che il bollettino della spazzatura non
fosse una tassa ma il prezzo pagato per un servizio. Un salasso al quadrato che, nonostante la bocciatura da
parte sia della Corte costituzionale sia della Cassazione, non è stato restituito.
L'ultima promessa è arrivata un anno fa con la legge di Stabilità del governo Letta. Per diffondere il
meccanismo utilizzato da quei 250 sindaci virtuosi, si diceva che il ministero dell'Ambiente avrebbe dovuto
fissare i «criteri per la realizzazione nei Comuni di sistemi di misurazione puntuale». C'erano sei mesi di
tempo ma non è successo ancora nulla. «Mi auguro che il provvedimento venga emanato il più presto
possibile», dice Gianluca Cencia, direttore di Federambiente. Ma in fondo cosa sono sei mesi rispetto a 20
anni?
@lorenzosalvia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Imposte
06/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 31
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
d'Arco Spesa totale €/anno* TARI 2014 Comune Comune Fonte: Federconsumatori Le città che pagano di
più +22% Cagliari Siracusa Reggio Calabria Salerno Napoli Carbonia Carrara Messina Pisa Nuoro Roma Asti
Frosinone Perugia Alessandria Avellino Palermo Caserta Ragusa Genova Torino Venezia Massa Oristano
Rieti Savona Milano Ferrara Bari L'Aquila *3 componenti appartamento 100 mq L'aumento medio della tassa
sui rifiuti dal 2010 al 2014 355,00 351,20 350,00 346,00 344,00 342,00 341,00 338,00 329,00 325,40 321,00
320,00 317,00 317,00 356,00 311,00 358,00 Spesa totale €/anno* 364,00 372,00 378,00 397,00 402,00
402,95 406,00 412,00 463,00 473,00 496,00 532,00 501,90
L'imposta
La Tari, la tassa sui rifiuti, è l'ultimo nome preso dall'imposta per il servizio
di raccolta del
la spazzatura.
È arrivata un anno fa. Il principio del chi inquina paga viene annunciato per la prima volta alla fine del 1996: la
tassa sui rifiuti non si sarebbe dovuta pagare più in base ai metri quadri dell'abitazione ma in base alla
quantità di rifiuti prodotta. A oggi la «tariffazione puntuale», che fa pagare in base alla quantità di rifiuti
effettivamenteprodotta, viene utilizzata solo in 250 Comuni su 8 mila.
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
De Castro: l'agroindustria è decisiva negli scambi Usa-Ue
Paolo Bricco
Paolo Bricco u pagina 27
«Quest'ultimo scorcio di 2014 e il 2015 saranno passaggi fondamentali per l'economia italiana. Gli equilibri
geoeconomici internazionali stanno mutando. Bisogna cogliere al massimo la disponibilità
dell'amministrazione Obama a integrare di più i mercati americani ed europei. E l'agroindustria costituisce un
tassello fondamentale di questo processo, che per l'economia italiana può rappresentare un lievito
fondamentale per la crescita. In generale del Continente. E in particolare del nostro Paese, che ha bisogno
come il pane di nuovi driver».
Paolo De Castro, dal 1998 al 2000 e dal 2006 al 2008 ministro dell'Agricoltura dei Governi D'Alema e Prodi,
è oggi coordinatore per il Gruppo dei Socialisti e Democratici della Commissione agricoltura e sviluppo rurale
del Parlamento europeo. In più passaggi nella sua vicenda di europarlamentare, è entrato nella rosa dei
papabili per diventare Commissario europeo. Ieri De Castro è stato nominato standing rapporteur - relatore
permanente - in questo delicato segmento nei negoziati del Ttip, il Transatlantic Trade and Investment
Partnership che sta provando a rimodulare i sistemi di intescambio e gli standard comuni, riducendo
asimmetrie giuridiche e diminuendo dazi sostanziali.
Questi negoziati riguardano tutti gli scambi economici: dall'automotive all'elettronica di consumo, dalla
meccanica strumentale all'agroindustria. Perché quest'ultima ha un peso fondamentale?
Perché le grandezze economiche sono già rilevanti. E perché c'è un effetto moltiplicatore potenziale enorme.
L'Unione Europea ha esportato verso gli Stati Uniti, nel 2013, beni per 110 miliardi di euro. Di questi, 15
miliardi sono riferibili all'agroalimentare. Sia come Europa sia come Italia siamo esportatori netti: sempre nel
2013, i prodotti americani arrivati in Europa hanno avuto un valore aggregato di 10 miliardi di euro, 800
milioni in Italia. Una quota cospicua dei negoziati fra Unione Europea e Stati Uniti, su cui dovrò riferire quanto
possibile al Parlamento che poi dovrà dare il suo avallo ai risultati finali, verte proprio su questo comparto.
Qual è la tendenza di lungo periodo?
Negli ultimi dieci anni, fra 2003 e 2013, l'export comunitario dell'agroalimentare nel suo complesso verso gli
Stati Uniti è cresciuto del 35%, quello statunitense verso l'Unione Europea del 32 per cento. Considerando
soltanto l'Italia, l'export è salito nello stesso periodo del 53,4%, mentre l'import americano è aumentato del 10
per cento.
Quali sono i principali problemi su cui si sta lavorando?
Ci sono i blocchi tariffari. Quelli sanitari. E ci sono le quote: per molti alimenti oltre un certo tetto di quintali e
di litri non si può andare. Sono forme protezionistiche e disarmonizzazioni giuridiche che vanno affrontate una
alla volta. E, con competenza e disponibilità, vanno "smontate" da ambo le parti. Facciamo l'esempio dei
blocchi sanitari. Ci sono i livelli dei residui di fitofarmaci ammessi in Europa ma non negli Stati Uniti che
bloccano l'olio mediterraneo. Oppure, per gli americani è un problema l'insaccato di carne cruda, che da loro
non esiste: i salumi, il culatello e il prosciutto crudo di Parma negli Stati Uniti sono visti con sospetto dal
regolatore. Allo stesso tempo noi vietiamo l'importazione di carne di pollo che non è trattato durante la
macellazione con norme europee, con l'esito paradossale che i nostri supermercati sono pieni di carne di
pollo cambogiana e thailandese.
Sì, ma una armonizzazione e una integrazione ragionata dei mercati interessa di più all'Europa.
Questo senz'altro. Gli Stati Uniti esportano da noi soprattutto commodity agricole. Noi, e in particolare i Paesi
che si affacciano sul Mediterraneo, vendiamo negli Stati Uniti prodotti lavorati ad alto valore aggiunto. Il
mercato più ricco del mondo: 330 milioni di consumatori con una notevole propensione ai consumi e una
intensissima fascinazione verso la cultura materiale europea e in particolare il Made in Italy.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
16
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
COMMERCIO INTERVISTA
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
17
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Lei ha citato i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ci sono differenze strategiche - e di legittimi interessi
- fra il Nord e il Sud Europa, in questa delicata partita con gli Stati Uniti?
Senz'altro le strutture economiche del Sud Europa, in cui esiste appunto una prevalenza di prodotti ad alto
valore aggiunto, sono diverse rispetto a quelle del Nord Europa, come la Danimarca, l'Olanda, la Germania.
Esistono sensibilità diverse. Ma il confronto con gli Stati Uniti, in questa fase, è troppo strategico per non
riuscire a trovare una dimensione unica e univoca dell'essere Europa. Basti pensare che, secondo una
simulazione effettuata dall'ufficio studi del Parlamento europeo, se venissero azzerate le barriere tariffarie e
fossero ridotte di un quarto quelle non tariffarie, l'export europeo verso gli Stati Uniti aumenterebbe del 120
per cento.
Anche perché, con l'atteggiamento dell'amministrazione Obama favorevole sia al libero scambio sia al ritorno
della centralità della manifattura in ogni suo aspetto inclusa la trasformazione dei prodotti agricoli, il momento
storico appare favorevole.
È così. Ma adesso, a seguito dei risultati delle elezioni di Midterm, i negoziati del Ttip potrebbero subire
un'accelerazione. Sarà quindi necessario che l'Unione Europea continui a lavorare per sfruttare al meglio
l'inclinazione positiva della Casa Bianca. Il 2015 sarà un anno strategico. È vero che, se nel 2016 dovesse
prevalere un candidato democratico, non vi sarebbero ragioni per ipotizzare una mutazione della linea finora
seguita. Se alle prossime elezioni dovesse invece prevalere un repubblicano, si porrebbe la questione di quali
linee di politica economica seguirebbe, ma l'apertura all'interno del Grand Old Party su temi come il mercato
e il libero scambio è già stata dimostrata. La tendenza storica, e questo è quello che più conta, sembra ben
avviata. Con un grande vantaggio potenziale per l'economia italiana.
© RIPRODUZIONE RISERVATAIn percentuale In 10 anni l'export agroalimentare dalla Ue verso gli Usa
cresciuto del 34,8%
35
Foto: Al lavoro. Il segretario di Stato Usa all'Agricoltura Tom Vilsack (a sinistra) incontra Paolo De Castro,
nominato ieri standing rapporteur - relatore permanente - nei negoziati del Ttip
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1,29
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Aumento da 2,5 miliardi Cessioni per 220 milioni
Luca Davi
Luca Davi u pagine 29 e 31
Continua da pagina 29
Il via alla ricapitalizzazione potrebbe quindi avvenire tra maggio e giugno 2015, ben prima comunque di
agosto 2015, considerato il termine massimo da parte della Bce per realizzare il piano correttivo.
Rimborso dei Monti Bond
L'aumento di capitale permetterà alla banca di rimborsare per intero e in anticipo le tre tranche di Monti bond
ancora in piedi: due in scadenza nel 2015 e 2016 per complessivi 750 milioni, e una terza, in scadenza nel
2017, per altri 321 milioni. A quanto si apprende, il rimborso totale di circa 1,07 miliardi dovrebbe avvenire
subito dopo l'aumento, presumibilmente in luglio.
Il buon esito dell'aumento da 2,5 miliardi è garantito da un consorzio di garanzia formato dalle principali
banche d'affari internazionali. Ubs agirà in qualità di global coordinator e joint bookrunner, Citi, Goldman
Sachs, e Mediobanca saranno co-global coordinators e joint book runners mentre Barclays, BofA Merrill
Lynch, Commerzbank, Deutsche Bank e Société Générale agiranno in qualità di Joint Bookrunners. Oltre
all'aumento la banca prevede cessioni per 220 milioni, derivanti dalla cessione di «partecipazioni non core e
attivi del portafoglio», come si legge in una nota: sul mercato dovrebbero così finire tra le altre cose
Consum.it e alcune tranche di cartolarizzazioni che la banca ha in bilancio.
Lo "sconto" sul deficit
Il terzo punto del capital plan è rappresentato dalla richiesta di mitigazione della carenza di capitale che Bce
ha individuato in 2,11 miliardi. In pratica, la banca chiede a Francoforte - con cui, assieme a Bankitalia, il
management ha mantenuto un dialogo costante nel corso degli ultimi giorni - che venga considerata ai fini del
calcolo del deficit la parte aggiuntiva di utili operativi stimati per il 2014 - pari a 390 milioni - che invece non
sono stati computati nello stress test avverso Bce. Di fatto è come se la banca rivendicasse l'applicazione
dell'analisi "dinamica" sul bilancio, alla pari degli altri istituti che hanno sottoscritto un piano di aiuti - come le
banche greche, portoghesi e anche alcune tedesche come Commerzbank - e non quella "statica" (o mista)
come invece è accaduto per Mps con effetti punitivi. La richiesta di mitigazione del deficit sarà comunque
sottoposta al giudizio della Bce: sarà «interamente a discrezione delle Autorità la valutazione in merito alla
sua computabilità», si legge in una nota.
Le altre misure
Accanto a tutto ciò, il capital plan di Mps prevede alcune «azioni manageriali» per migliorare la «produttività
commerciale». Previste iniziative di de-risking e «vendite di portafoglio, riorganizzazione dei processi e dei
team interni, accordi commerciali/joint venture con piattaforme od operatori specializzati». In questo ambito
ad esempio rientra la cessione di un pacchetto di Npl pari a 1,2 miliardi per cui si è fatto avanti anche Davide
Serra di Algebris.
I soci
«Il capital plan è stato approvato e noi siamo soddisfatti», ha detto ieri il presidente di Mps, Alessandro
Profumo uscendo dal cda. Resta da capire cosa accadrà rispetto alla sottoscrizione dell'aumento da parte
degli attuali soci. Axa (3,72%) ha già annunciato che aderirà, e lo stesso dovrebbero fare i fondi Btg Pactual
(2,5%) e Fintech (4,5%), soci del Patto assieme alla Fondazione Mps (2,5%). Difficile credere che alla fine i
soci, che peraltro hanno già contribuito a sottoscrivere l'aumento di 5 miliardi nei mesi scorsi, si tirino indietro.
Lo scenario
Certo è che l'aumento è visto dagli osservatori come una tappa necessaria per arrivare all'aggregazione,
soluzione che gli stessi vertici della banca in più occasioni hanno riconosciuto una delle opzioni sul tavolo.
Dell'eventuale matrimonio se ne parlerà a questo punto dopo l'aumento di capitale (che tra l'altro non prevede
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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IL PIANO DI MPS
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1,29
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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il diritto d'opzione), anche se non è detto che, una volta risanato il deficit, Mps non riesca a rimanere in piedi
in autonomia. Questi mesi potrebbero comunque servire ad avviare i contatti decisivi. Nonostante le smentite,
Santander rimane il nome più accreditato per un'eventuale fusione. Intesa Sanpaolo e Bnl-Bnp Paribas, altri
istituti circolati come possibili pretendenti, ieri hanno messo le mani avanti. «Mi sembra difficile immaginare
che ci siano asset di Mps che siano acquisibili da Intesa SanPaolo» ha detto ieri il consigliere delegato del
gruppo Carlo Messina, a margine di una conferenza stampa a Milano. Netto il no di Fabio Gallia, ad di Bnl.
«No, non siamo coinvolti, siamo concentrati sul nostro piano industriale».
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il piano diMps Aumento di capitale da realizzare nel 2015 390 Richiesta di
mitigazione deficit post stress - test 220 Cessioni di partecipazione e attivi Dati in milioni Cessioni 2.500 I
bilanci diMps Dati al 31 dicembre. In milioni di euro RICAVI NETTI 2012 2013 2014* 2015* 2014* 2015*
2014* 2015* REDDITO OPERATIVO REDDITO NETTO 5.287,2 0 5.000 1.000 2.000 3.000 6.000 4.000 4.000 1.000 -3.000 -2.000 -1.000 2.000 0 -4.000 1.000 -3.000 -2.000 -1.000 2.000 0 4.271,6 4.226,1 4.535,8
2012 2013 -2.145,7 -2.129,5 -1.011,5 455,8 2012 2013 -3.170,3 -1.439,0 -877,9 217,9
Foto: - (*) Stime Bloomberg
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
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«Più autonomia ai Comuni con la tassa unica»
I MARGINI «Gli enti potrebbero introdurre agevolazioni ulteriori legate al reddito»
Eugenio Bruno
ROMA
Nella trattativa con i Comuni sulla legge di stabilità il Governo sta per giocarsi l'asso. Si tratta della «local
tax»: il nuovo tributo unico immobiliare che dovrebbe sostituire Imu, Tasi e addizionale Irpef e potrebbe dare
ai sindaci quella vera autonomia finanziaria attesa dal 2001. A confermarlo è il sottosegretario alla Pubblica
amministrazione, Angelo Rughetti (Pd).
Onorevole Rughetti, da segretario generale dell'Anci per anni è toccato a lei presentare al governo di turno il
conto sugli effetti delle manovre. Da sottosegretario come giudica la stima dell'Anci sui 3,7 miliardi di tagli
della stabilità?
Il calcolo l'ha fatto l'Anci. Il totale di 3,7 miliardi risulta applicando e sommando le manovre del 2014, incluso
il decreto 66, con gli effetti della nuova contabilità sul patto di stabilità. I Comuni chiedono di rivedere
soprattutto la riduzione alla spesa corrente. E mi sentirei di dire che fanno bene perché rischia di avere un
effetto negativo non solo sul bilancio delle amministrazioni ma anche sull'economia reale. Penso anche però
che da questa situazione si esca non chiedendo più trasferimenti statali ma più autonomia e più
differenziazione. Serve cioè quel salto di qualità che è mancato sia nella stabilità che nella proposta dell'Anci.
In che modo?
I Comuni che hanno più autonomia finanziaria devono poterla usare come vogliono. Ma i Comuni non sono
tutti uguali e non possiamo fare politiche che vadano bene per tutti. Ci sarà una differenza tra chi riscuote al
98% le proprie imposte e chi ha il 30% di evasione fiscale?
Certamente. Ma come si fa a valorizzare queste differenze?
C'è lo spazio offerto dalla nuova contabilità. Se l'avvio non è più rinviabile perché lo abbiamo concordato con
l'Ue, possiamo pensare a modalità attuative diverse da Comune a Comune. Potrebbe esserci un'esenzione
totale dal patto di stabilità per chi la applica pienamente. Mentre chi ha bisogno di più tempo per ripulire i
residui attivi dai bilanci potrebbe applicarla con minore rigidità.
Il punto più dolente per i sindaci rimangono i tagli alla spesa corrente. Come potete aiutarli?
Penso che la soluzione sia eliminare del tutto i trasferimenti erariali e andare verso un tributo unico
immobiliare che consenta ai Comuni di finanziare integralmente le loro funzioni fondamentali. Mi piacerebbe
dare un'applicazione piena all'articolo 119 della Costituzione. In quest'ottica sarebbe opportuno che i Comuni
avessero una leva fiscale molto forte, sotto forma di una patrimoniale contemperata dal reddito familiare.
Oggi i Comuni mettono insieme due leve diverse: l'Imu/Tasi e l'addizionale Irpef. Domani sarebbe meglio
avere un tributo unico con un base imponibile patrimoniale e un sistema di detrazioni collegate al reddito.
Penso a una detrazione fissata per legge su base nazionale, immagino di 200 euro, lasciando poi ai Comuni
la possibilità di aggiungerne altre sulla base del reddito del nucleo familiare.
Insomma avremmo un tributo unico che unifichi Imu, Tasi e addizionale Irpef e lasci invece fuori la Tari?
Sì. Anche perché sulla Tari bisogna tenere conto delle direttive europee che prevedono una tassazione
commisurata alla quantità dei rifiuti prodotti.
Questo nuovo tributo, chiamiamolo local tax, verrà inserito nella legge di stabilità in Parlamento?
Credo di sì. In questi giorni si sta lavorando dal punto di vista tecnico per trovare delle ipotesi da sottoporre
ai Comuni. Ma a questo proposito mi lasci dire che il periodo della concertazione istituzionale come la
conoscevamo è finito, così come quello della concertazione delle parti sociali. Anche qui serve un salto di
qualità per andare verso un'integrazione delle politiche in cui si decidono gli obiettivi condivisi e poi ogni livello
di governo fa la sua parte. Ma c'è poi un altro tema sul tavolo.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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INTERVISTA Angelo Rughetti
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 8
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Quale?
La riduzione dei centri di costo. E penso alle partecipate e ai piccoli comuni. Ricordo una vecchia proposta
dell'Anci che puntava a ridurli da 8mila a mille spingendoli a mettersi insieme. Scelgano loro come farlo ma lo
facciano.
A proposito dell'Anci, da oggi a venerdì si terrà a Milano l'assemblea nazionale. Ha un messaggio per i suoi
ex colleghi?
Dico che anche loro devono fare un passo in avanti. L'Anci deve diventare un pezzo istituzionale anche dal
punto di vista giuridico. E quindi, pur restando un'associazione a tutti gli effetti, dovrebbe avere compiti e
funzioni previste dalla legge.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I TEMI SUL TAVOLO
La posizione dei Comuni
I sindaci giudicano eccessiva la stretta imposta dal disegno di legge di stabilità per il 2014. Secondo l'Anci,
agli 1,2 miliardi di tagli diretti vanno aggiunti 300 milioni di riduzioni di spese derivanti da provvedimenti del
2013 e 2014 che ricadranno sull'esercizio 2015. Per arrivare a 3,7 bisogna aggiungere l'introduzione del
nuovo sistema di contabilità, il mancato rifinanziamento del patto di stabilità verticale, il divieto di utilizzo degli
oneri di urbanizzazione sulla spesa corrente e quello di utilizzo degli avanzi di bilancio vincolati. Senza
dimenticare il taglio da un miliardo per Città metropolitane e Province di secondo livello
L'idea del Governo
Compensare almeno una parte dei tagli con l'aumento dell'autonomia finanziaria atteso dall'introduzione
della local tax: il tributo unico immobiliare che accorperebbe Imu, Tasi e addizionale Irpef e che avrebbe una
base imponibile di tipo patrimoniale. Corretta con una detrazione fissa nazionale sulla base del reddito del
nucleo familiare
Foto: Il sottosegretario. Angelo Rughetti
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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Catasto, arriva l'ok al primo decreto
Vertice a Palazzo Chigi: Renzi accelera sulla delega fiscale - Entrate stabili, cresce ancora l'Iva
Dino Pesole
ROMA
Il governo prova ad accelerare sulla delega fiscale, che dopo il varo dei due primi decreti legislativi
(semplificazioni con il 730 precompilato e commissioni censuarie) si è sostanzialmente bloccata. In rampa di
lancio la versione definitiva del provvedimento sulle nuove commissioni censuarie - il decreto sarà esaminato
oggi in preconsiglio e vedrà il varo definitivo al prossimo Consiglio dei ministri - cui seguiranno, secondo la
road map definita ieri a Palazzo Chigi - i decreti legislativi in materia di abuso del diritto (con annesso nuovo
sistema sanzionatorio), gli altri sulla riforma del catasto e dei giochi, il riordino delle accise sui tabacchi.
L'obiettivo è di far partire l'intero convoglio della delega comunque entro il 26 marzo 2015, termine ultimo per
l'esercizio della delega, con il varo di tre decreti delegati già entro novembre (in particolare, su abuso del
diritto, sanzioni e cooperative compliance). Riforma che rientra tra le priorità che il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi è pronto a far valere nella trattativa in corso con la Commissione europea.
Tempi modalità di approvazione dei nuovi decreti legislativi di cui si è discusso in un vertice tra Renzi, il
ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, il vice ministro Luigi Casero, il direttore dell'Agenzia delle Entrate,
Rossella Orlandi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, alla presenza di Vieri
Ceriani, consigliere del ministro Padoan per le politiche fiscali. Nel corso del vertice si è anche discusso delle
possibili modifiche e integrazioni al pacchetto fiscale contenuto nella legge di stabilità, già nel corso del primo
passaggio alla Camera.
Il rischio che la delega non giunga in porto entro i termini stabiliti è stato messo in luce la scorsa settimana
dal sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti: «Non è scontato che riusciremo ad attuare tutta la delega
fiscale - ha avvertito Zanetti - dobbiamo darci una mossa, possiamo ancora farcela». Si tratta di ridefinire il
sistema sanzionatorio penale-tributario, con annessa l'individuazione della tipologia di reati, dell'abuso del
diritto, e la revisione dei termini dell'accertamento in caso di illecito fiscale. In particolare, il sistema
sanzionatorio andrà correlato all'effettiva gravità dei comportamenti, con l'eventuale applicazione di sanzioni
ridotte o amministrative (e non più penali) nei casi di violazioni di minore gravità.
Quanto alla riforma del catasto, si tratta di un passaggio di notevole importanza, che passerà - stando a
quanto prevede la delega - dalla definizione degli ambiti territoriali e dalla determinazione del valore
patrimoniale utilizzando il metro quadrato come unità di consistenza in luogo del numero dei vani.
Dal fronte delle entrate fiscali, i dati diffusi ieri dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia
mostrano una sostanziale tenuta del gettito. Calano Irpef e Ires, cresce l'Iva sugli scambi interni. È la
fotografia dei primi nove mesi del 2014: le entrate erariali accertate in base al criterio della competenza
giuridica (riferite al momento in cui nasce l'obbligazione tributaria) evidenziano una lieve crescita (0,1%)
rispetto allo stesso periodo del 2013. Nel dettaglio, le imposte dirette registrano una diminuzione del 2,7%,
per effetto della leggera variazione negativa del l'Irpef (-0,2%) e dell'Ires (-17,4%). Tendenza - spiegano i
tecnici del Mef - già in atto da giugno essenzialmente riconducibile ai minori versamenti a saldo 2013 e
acconto 2014 di banche e assicurazioni, che avevano subito nel novembre 2013 l'incremento dell'acconto.
Diminuzione di gettito prevista, dunque.
Il calo dell'Irpef riflette invece gli andamenti delle ritenute sui redditi dei dipendenti del settore privato (-0,7%)
e dei lavoratori autonomi (-2,3%), che risultano parzialmente compensati dall'aumento delle ritenute sui
redditi dei dipendenti del settore pubblico (+0,6%) e dei versamenti in autoliquidazione (+0,5%).
Sul versante delle imposte indirette, si conferma il discreto andamento del gettito Iva (+3%), grazie
all'incremento degli incassi sugli scambi interni (+3,7%). Segnale che comunque mette in luce una tendenza
alla ripresa del settore degli scambi e degli affari. Si riduce al tempo stesso a - 1,4% il differenziale negativo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Fisco e crescita LE MISURE IN CANTIERE
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
della componente Iva sulle importazioni da paesi extra-Ue. In crescita infine le entrate da attività di
accertamento e controllo (+14,5%), mentre le entrate relative ai giochi presentano, nel complesso, una
crescita dell'1,5% (+133 milioni di euro).
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Catasto Il termine viene utilizzato per indicare
qualsiasi rilevamento sistematico di oggetti omogenei, tipicamente accompagnato da una mappa e da un
registro. Il catasto edilizio è costituito dall'insieme di documenti, mappe e atti, che descrivono i beni immobili,
indicando luoghi e confini, nome dei possessori, rendite. Con le rendite si calcolano tasse e imposte.
Confronto sui primi9mesi dell'anno. Importi in milioni di euro Le entrate fiscali a settembre Accertamenti Gen.set. 2013 Gen.-set. 2014 Variaz. assoluta 14/13 Variaz.% 14/13 Imposte dirette 158.722 154.441 -4.281 -2,7
di cui: Irpef 118.083 117.88 -195 -0,2 Ires 20.110 16.616 -3.494 -17,4 Imu riservata all'erario der. Imm. ad
uso produt. class. Catast. d 1.866 1.962 96 5,1 Imposte indirette 131.870 136.315 4.445 3,4 di cui: Registro
2.843 3.083 240 8,4 Iva 75.079 77.336 2.257 3,0 - scambi interni 65.140 67.538 2.398 3,7 - importazioni
9.939 9.798 -141 -1,4 Bollo 6.686 6.513 -173 -2,6 Assicurazioni 2.252 2.188 -64 -2,8 Tasse e imposte
ipotecarie 1.345 1.079 -266 -19,8 Canoni di abbonamento radio e Tv 1.707 1.680 -27 -1,6 Accisa sui prodotti
energetici, loro derivati e prodotti analoghi 16.840 17.849 1.009 6,0 Imposta sul consumo dei tabacchi 7.818
7.958 140 1,8 Proventi del lotto* 4.655 4.883 228 4,9 Apparecchi e congegni di gioco 3.142 3.099 -43 -1,4
Totale entrate** 290.592 290.756 164 0,1 (*) I proventi del lotto sono al lordo delle vincite; (**) Dal 2013 le
entrate tributarie sono al netto di quelle relative agli utili delle lotterie nazionali, delle lotterie istantanee e del
bingo che a decorrere dal 1/1/2013 sono considerate tra le entrate extratributarie
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 14
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Italia più attraente per gli investitori esteri
Emanuele Scarci
MILANO
L'Italia diventa relativamente più attrattiva agli occhi degli investitori esteri, anche se resta nelle posizioni di
coda nel confronto internazionale. È quanto emerge dal secondo Osservatorio dell'Aibe, l'Associazione delle
banche estere, secondo cui nel paese oggi si assiste a un «cambiamento di verso», rispetto a marzo, e il
merito è da attribuire anche «all'impulso del governo Renzi».
Nell'Aibe Index l'Italia sale a 38 punti rispetto ai 33 di sei mesi fa (0 = nessuna attrattività e 100 = massima
attrattività). Superata dalla Spagna (54), dalla Germania (92), dalla Gran Bretagna (92) e dagli Stati Uniti
(100), ma meglio piazzata della Francia (31). L'Aibe Index misura la percezione sull'attrattività del Paese ed è
condotto su un panel di investitori: 26 interlocutori di primo livello tra fondi di private equity, fondi sovrani,
investitori internazionali, studi legali e multinazionali.
Secondo Guido Rosa, presidente dell'Aibe, «per gli investitori esteri l'Italia presenta più debolezze finanziamento del debito pubblico, arretramento infrastrutturale, ritardi nelle liberalizzazioni e privatizzazioni che aspetti di competitività, pur nel leggero miglioramento della percezione di attrattività. È allora necessario
attuare le riforme strutturali come segno di una nuova visione strategica. Bisogna avere il coraggio di attuare
le privatizzazioni e affidare agli investitori esteri assieme all'imprenditoria italiana il ruolo di fattore di ripresa».
Dall'Osservatorio emerge che migliora la percezione del mercato del lavoro (+14% su flessibilità e +11% su
costo lavoro) e il giudizio sulla stabilità politica (+5%). Punto di forza resta la solidità del sistema bancario che
segna l'incremento più significativo dei giudizi positivi (+17%), mentre la qualità delle risorse umane si
conferma in vetta alla graduatoria con l'84% di attrattività. «Gli investitori vedono il sistema performante da
tempo - ha detto Rosa - e non sarebbe cambiata la percezione» se la ricerca (condotta ad ottobre) fosse
stata realizzata dopo gli stress test della Bce.
Infine «la migliore percezione del mercato del lavoro unitamente ai giudizi sulla validità delle riforme
intraprese - ha concluso Rosa - incoraggiano il Governo a proseguire nella politica di attuazione degli
strumenti previsti dal Jobs Act e dalle altre riforme. In questo modo le attese degli operatori internazionali
potranno trasformarsi in percezioni positive del nostro sistema paese».
Sull'attrattività del Sistema Italia pesano invece lo scarso appeal della certezza e della chiarezza del quadro
normativo, il carico fiscale e soprattutto i tempi della giustizia civile, con percezione invariata nel semestre.
Secondo gli interlocutori intervistati, le priorità di intervento per l'Italia sono il carico normativo e burocratico
(58%), la flessibilità del mercato del lavoro (38%), il carico fiscale (31%) e i tempi della giustizia (38%).
Quanto a Expo si confermano le criticità: il panel ritiene che Expo 2015 abbia avuto "una gestione
approssimativa con ritardi nei lavori"; poi un "management in difficoltà" e una "scarsa promozione dell'evento
all'estero". Alla fine questa situazione dà fiato a un vecchio clichè sminuente: "Assisteremo al solito miracolo
dell'improvvisazione italiana".
Infine, quasi il 100% degli intervistati ritiene che per incrementare il grado di attrazione dell'Italia sia
«preferibile l'approvazione delle grandi riforme», dal lavoro alla legge elettorale, piuttosto che «l'allentamento
del rigore della politica economica europea».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Stati Uniti al top Ranking - % di attrattività Fonte: Aibe Russia 27 Francia
31 Italia 38 Spagna 54 Brasile 58 India 69 Cina 73 Gran Bretagna 92 Germania 92 Stati Uniti 100
Foto: Aibe. Guido Rosa
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Il caso/2. L'Osservatorio Aibe segnala un miglioramento della percezione: cinque punti in più in sei mesi
06/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Damiano: "Il Jobs Act può essere migliorato rispettando i tempi delega
entro l'anno"
(a. cuz.)
ROMA. Fa il pontiere, Cesare Damiano. Il presidente della Commissione Lavoro alla Camera - che a giorni
comincerà l'esame del Jobs Act - assicura che i tempi per chiudere la partita entro dicembre ci sono, terza
lettura al Senato compresa. E però: «Consiglierei di abbandonare la via dello scontro e dei muscoli e di
seguire la via del dialogo. La legge delega va cambiata, alcune delle contraddizioni al suo interno deve
sanarle il Parlamento». Lei viene dal sindacato ed è un esponente della minoranza Pd. Crede sia un
problema? «Tutte le discussioni relative all'uso della delega per far cadere Renzi,o per una fantomatica resa
dei conti, sono fantasie.
Non mi interessano. Quando il presidente del Consiglio dice che qualcuno complotta per dividere il mondo
del lavoro parla anche di Bankitalia e delle critiche del suo governatore al tfr in busta paga? Oppureè lecito
esprimere le proprie opinioni?».
Me lo dica lei.
«Io mi auguro si faccia quello che definirei un normale lavoro parlamentare, così com'è stato fatto al Senato
e in occasione del decreto Poletti. Niente di più e niente di meno».
Cosa bisogna cambiare? «Il carattere della delega è talmente ampio che il grosso andrà fatto nei decreti
attuativi, ma ad esempio c'è chi pensa che non citare né di dritto né di rovescio l'articolo 18 possa avere
carattere di incostituzionalità. I miglioramenti cui dobbiamo puntare dipendono anche da quel che ci sarà
nella legge di stabilità. L'estensione degli ammortizzatori sociali ai precari si potrà fare solo in presenza di
risorse aggiuntive. Che vanno trovate». Qual è la mediazione cui pensa sull'articolo 18? «Dobbiamo riuscire a
inserire almeno l'avanzamento prodotto nel corso della direzione Pd: la possibilità di reintegro, se il lavoratore
ha ragione e la causa non è legittima, per i licenziamenti disciplinari oltre che per i discriminatori. Al Nazareno
è stato votato a larga maggioranza, partiamo da lì».
Il Nuovo Centrodestra remerà contro.
«Sono sicuro che ci siano i margini per un accordo. Bisognerà trovarli anche sul tema dei controlli a distanza,
il demansionamento, la cassa integrazione che cessa quando finisce l'attività di un'azienda, anche se poi è
prevista una ripartenza. Pensiamo a un "ponte" per non creare nuovi licenziamenti».
È possibile cambiare tanto riuscendo ad approvare la delega entro il primo gennaio? «Non è dato in natura
che ci siano leggi perfette, e le contraddizioni vanno sanate. Bisogna avere un'attitudine al cambiamento. Ad
esempio, si è parlato dell'incentivo per le assunzioni, che vale solo per il 2015. Ebbene, per finanziarlo si
eliminano gli incentivi strutturali per gli artigiani e il mezzogiorno, che da soli valevano 7 miliardi e mezzo di
euro fino al 2014».
C'è un difetto di ascolto da parte del governo? «Sì. Ed è un problema, perché il contesto non è più quello di
quindici giorni fa. Ci sono state la Leopoldae piazza San Giovanni, due luoghi che vanno rispettati, che hanno
portato contributi, e che non devono essere messi l'uno contro l'altro. C'è stata l'aggressione agli operai di
Terni, ci sono gli incatenati della Meridiana, quelli del Sulcis che scioperano a 80 metri di profondità. È
evidente che siamo in una situazione di grande complessità,e che bisogna deporre le armi per cercare la
strada del dialogo e del compromesso».
Si candida al ruolo di pontiere? «Un conto è ascoltare le voci che vengono dalle piazze, un altro è pensare di
utilizzarle per scopi politici. Capisco la fretta di Renzi, implicita nella sua idea di rivoluzione. Capisco anche
che i tempi della concertazione non siano considerati adatti al momento che stiamo vivendo, ma tra la
concertazione vecchio stile e il dialogo a singhiozzo, sarebbe auspicabile un sano dialogo sociale».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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L'INTERVISTA/ IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE LAVORO
06/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
E se arriva la fiducia? «Spero proprio che non accada».
a inserito quanto deciso dalla direzione Pd sull'articolo 18
Diritto al reintegro anche in caso di licenziamenti disciplinari illegittimi "PRESIDENTE COMMISSIONE
LAVORO CAMERA CESARE DAMIANO
06/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 32
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Sorprese dal Pil Con i nuovi criteri l'industria italiana è più piccola ma più
produttiva
Nomisma: dopo la revisione il manifatturiero sotto il 15% ma volano le ore lavorate
ROSARIA AMATO
ROMA. La nuova contabilità nazionale "rimpicciolisce" l'industria. Il Sec 2010, appena adottato dall'Istat,
ridimensiona di circa due punti percentuali il peso dell'industria nell'economia nazionale in termini di numero
di addetti, calcola il capo economista di Nomisma Sergio De Nardis. Se si considera invece il valore aggiunto
a prezzi correnti, l'arretramento è di poco più di mezzo punto, un punto se si considera il valore aggiunto in
volume. La deindustrializzazione, in effetti, emergeva già dai precedenti conti pubblici: la quota del
manifatturiero si riduceva dal 21,3% del 1995 al 16,9% del 2013. Adesso la variazione è va dal 19,3% al
14,9%: il ritmo di discesa non cambia, ma si parte e si arriva a uno scalino più basso.
Le ragioni per lo scarto nel numero degli occupati sono due: l'aumento complessivo dei lavoratori rispetto al
sistema di contabilità precedente, e lo spostamento di diverse unità verso altri settori, soprattutto verso i
servizi.
Il Sec 2010 ci restituisce dunque un manifatturiero ridimensionato, ma più produttivo. Non perché si sia
prodotto di più per ora di lavoro ma perché, spiega De Nardis, «si è lavorato per molte più ore procapite
rispetto a quello che si sapeva»: 260 ore l'anno in più per i dipendenti a tempo pieno. I quali pur avendo
lavorato di più, non hanno guadagnato di più: si ridimensiona di ben 3,7 punti percentuali tra il 2000 e il 2013
la loro wage share, cioè la quota di valore aggiunto assorbita dai redditi da lavoro. Male per i lavoratori, bene
per il settore che ha livelli di produttività che a questo punto non possono più essere messi sotto accusa nel
confronto europeo e internazionale. Tra il 2000 e il 2003, per esempio, la produttività era lo 0,6% in più l'anno
rispetto alle precedenti rilevazioni.
Anche se il ruolo dell'industria si riduce, l'Italia rimane un grande Paese manifatturiero: «La classifica
europea dovrebbe rimanere invariata - ipotizza De Nardis - con la Germania al primo posto, l'Italia al secondo
seguita da Spagna e Francia».
Per evitare però ulteriori consistenti passi indietro, conclude Nomisma, è essenziale una vera ripresa della
domanda interna, italiana ed europea.
Foto: IL SEC 2010 Eurostat ha modificato i criteri di calcolo del Pil e tutte i Paesi UE stanno rivedendo la
contabilità degli ultimi 5 anni
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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IL PUNTO
06/11/2014
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Pag. 1
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A Genova la beffa delle imposte
Teodoro Chiarelli
Promessa dopo l'alluvione «Pagamenti sospesi» Ma ora lo Stato chiede i tributi con le sanzioni A PAGINA 15
Il 15 ottobre, con Genova in ginocchio nel fango per l'alluvione di quattro giorni prima, un comunicato della
Presidenza del Consiglio annuncia l'impegno del governo a chiedere al ministro dell'Economia e delle
Finanze Pietro Carlo Padoan di disporre il differimento dei termini del versamento dei tributi statali nelle zone
interessate da calamità alluvionali. Impegno accompagnato da tanti «non vi lasceremo soli» e dalla
celebrazione consolatoria degli "angeli del fango". E se "il governo si impegna" c'è motivo di dubitare del
contrario? Errore. Come insegna Fabrizio De Andrè ("Don Raffae'"), «lo Stato che fa, si costerna, s'indigna,
s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità». Molti sostituti d'imposta, ossia datori di lavoro - alluvionati e
no - non effettuano il versamento delle ritenute Irpef. Mal gliene incoglie. Il 20 ottobre arriva il decreto del
Ministero dell'Economia e salta fuori che l'adempimento andava, invece, regolarmente effettuato. Il solito
pasticcio burocratico all'italiana? Sì, ma non solo. Le associazioni di industriali, commercianti e artigiani si
rivolgono alla Direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate per tentare di dirimere la vicenda. Martedì 4
novembre, giornata delle Forze armate, la risposta che al danno unisce la beffa: chi non ha versato i
contributi non solo dovrà subito regolarizzare la propria posizione a mezzo di «ravvedimento operoso», una
sorta di autodenuncia, ma dovrà anche versare una sanzione. E le promesse, gli impegni, la solidarietà e la
vicinanza? Niente da fare: pagare. Camera di Commercio, Confindustria Genova, Cna, Confcommercio,
Confesercenti, persino l'Ordine dei consulenti del lavoro non hanno neppure la forza di ribellarsi. Restano
inebetiti e sconcertati. Prendono carta e penna e scrivono una lettera aperta al premier Renzi, al governatore
Claudio Burlando e al sindaco Marco Doria. «Riteniamo inaccettabile che le imprese debbano subire, oltre il
danno causato dagli eventi alluvionali, anche le conseguenze di un inconveniente sorto al livello delle
massime cariche di G overno». Chiedono un intervento presso il ministero dell'Economia e delle Finanze:
«Per trovare tempestivamente una soluzione che non penalizzi ulteriormente il tessuto economico della
nostra città». A proposito: «A oggi, non si è avuto ancora il riconoscimento dello stato di calamità per Genova
e non sono state emanate misure specifiche da parte del Ministero del Welfare in merito agli adempimenti
contributivi delle imprese alluvionate».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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IL CASO
06/11/2014
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Nella manovra l'incubo tasse
Paolo Baroni
Senza tagli alla spesa rialzo Iva di 53 miliardi A PAGINA 9 La legge di stabilità rischia di innescare un effetto
slavina sul fronte delle tasse. Non solo perché è forte la tentazione da parte di comuni e regioni di recuperare
a una parte consistente dei tagli che subiranno, ma perché le clausole di salvaguardia, che dal 2016
prevedono un aumento automatico delle aliquote Iva, possono avere un effetto devastante. Il governo, da
Renzi al ministro Padoan, continua ad assicurare che questi aumenti non scatteranno, ma intanto nella
Stabilità ha messo nero su bianco 53,3 miliardi di nuove entrate in tre anni (12,8 nel 2016) per effetto del
rialzo delle aliquote Iva dal 10 al 13% e dal 22 al 25,5%. Per evitare questa stangata il governo ha una sola
strada: tagliare una quota equivalente di spese. Impresa che oggi, come insegna il flop della spending review,
si annuncia titanica. Effetto boomerang sui consumi Il problema però non si esaurisce qui. Secondo
Confcommercio, infatti, incrementi dell'Iva e delle accise di questa entità, qualora si verificassero,
produrrebbero un contraccolpo immediato sui consumi facendo perdere all'incirca 65 miliardi di base
imponibile (16 miliardi nel 2016, 24 nel 2017 e 25 nel 2018). E di conseguenza anche il gettito ne risulterebbe
penalizzato: anziché i 53,3 miliardi attesi l'operazione -salvaguardie ne frutterebbe «appena» 46,5 dando così
origine ad un buco aggiuntivo cumulato di 6,8 miliardi in 3 anni. Se a questo si aggiunge che alcune delle
leggi precedenti prevedono altre salvaguardie, non totalmente disinnescati dalla nuova legge di stabilità, per
un totale di 18 miliardi di euro in tre anni (4 nel 2016 e 7 nel 2017 e 2018), il conto delle coperture richieste
per evitare nuove imposte sale all'iperbolica cifra di 71,3 miliardi: 16,8 nel 2016, cifra confermata alla Camera
anche dal Bankitalia e dall'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), 26,2 nel 2017 e 28,3 nel 2018. Rialzi record
«Bisogna disinnescare queste due bombe fiscali ed evitare che la legge di stabilità invece di effetti espansivi
allarghi la crisi: alludo all'alta probabilità che Comuni e Regioni aumentino le tasse e poi all'aumento dell'Iva
nel 2016-2018 che graverebbero sui consumi per 65 miliardi» ha spiegato ieri il presidente di Confcommercio,
Carlo Sangalli. Il viceministro all'Economia Luigi Casero, intervenendo al Forum dei Giovani di
Confcommercio, ha assicurato che «la clausola di salvaguardia non scatterà: i tagli saranno fatti, così come
arriveranno gli introiti della lotta all'evasione». «Sescattasse la salvaguardia - spiega il responsabile del
centro studi Confcommercio, Mariano Bella - ci troveremmo di fronte ad un inedito rialzo dell'Iva che non ha
precedenti nella storia economica del Paese e che non ha eguali al mondo». Anche Bankitalia concorda, e
segnala come «l'aumento previsto delle aliquote le porterebbe su livelli molto elevati». «Per evitarlo, e dare
maggiore certezza al bilancio, è quindi opportuno definire quanto prima provvedimenti riguardanti la
razionalizzazione della spesa e delle agevolazioni». «Tagliare la spesa», concorda il presidente dell'Upb
Giuseppe Pisauro, che a sua volta indica nelle salvaguardie «il punto debole della manovra». Incognita giochi
I problemi però non finiscono qui. Sempe l'Upb, analizzando i possibili rischi di realizzazione della manovra,
punta il dito «soprattutto» sul «lato delle entrate attese». Parla di «incertezza sulla tempistica e sull'entità
dell'emersione dei proventi da giochi», che andrebbero per questo conteggiati «a consuntivo» e giudica
«potenzialmente ottimistiche» le previsioni relative alle perdite di gettito legate a decontribuzione e nuovi
regime dei minimi. Due voci che fanno ballare un altro miliardo e più alla voce entrate. Twitter
@paoloxbaroniIl rischio stangata % I RINCARI DELL'IVA LE RISORSE NECESSARIE %
Aliquote IVA oggi % Aliquote IVA 2018 % % Crescita delle aliquote % 4% % 4% 0% 10 22 13 13 30 2016
16,0 12,8 11,2 -1,6 4,0 16,8 2017 24,0 19,2 16,8 -2,4 7,0 26,2 2018 21,3 18,6 -2,7 7,0 7,0 28,3 -6,8 18,0 71,3
25,5 15,9 65,0 53,3 46,5 2016-2018 Cumulato Centimetri-LA STAMPA Minori consumi reali Gettito atteso
Gettito effettivo Differenza (effettivo-atteso) Ulteriori imposte per clausola di salvaguardia Totale coperture
richieste per evitare nuove imposte
I CONTI DEL MINISTRO La pressione fiscale si ridurrà nel 2015 al 43,2%, poi risalirà al 43,6% dal 2016 Pier
Carlo Padoan
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RETROSCENA
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06/11/2014
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GIANNI RIOTTA
A PAGINA 27 Arrivano per gli Usa due anni di paralisi Le elezioni americane di Midterm erano un referendum
sul presidente Barack Obama e il risultato è schiacciante: l'elettorato ne ha sconfitto la politica, la visione, la
personalità. Obama nel 2008 arriva alla Casa Bianca, trascinando i democratici alla vittoria a Camera e
Senato. Nel 2010 perde la Camera, nel 2012 viene rieletto mobilitando la base progressista contro l'inane
rivale Romney. Nel 2014 i repubblicani riconquistano la Camera Alta e i numeri sono spietati: Senato 52-45,
Camera 243180, Governatori degli Stati 31-16. Un documento repubblicano, perfidamente fatto arrivare al
Washington Post, è candido «La campagna 2014 ha un solo messaggio: contro Obama, contro Obama,
contro Obama». Il Presidente si ficca nella trappola il 2 ottobre, in casa, a Chicago, con un infelicissimo
comizio «Il mio nome non sarà sulle liste, ma non fate errori: le mie leggi sì, una per una». L'America
condivide ma lo sconfessa. La narrativa elettorale 2008-2014, con il Grand Old Party repubblicano, ricattato
dalla destra populista dei Tea Party e sovrastato dal Presidente premio Nobel, finisce martedì. I repubblicani
eleggono il primo senatore afro-americano da 150 anni, con Tim Scott, nella South Carolina ex sudista, con i
Tea Party entusiasti a far campagna per Scott. I repubblicani, che dominano tra gli elettori maschi bianchi ma
languono tra donne e minoranze, eleggono alla Camera Elise Stefanik, New York, laureata ad Harvard, la più
giovane donna nella storia del Parlamento. Con lei, Joni Ernst, prima senatrice eletta dal rurale Iowa, prima
veterana dell'esercito. Altro record con Shelley Moore Capito, prima senatrice eletta in West Virginia. Al
Congresso arrivano per la prima volta 100 donne parlamentari e Hillary Clinton è avvertita, i repubblicani le
contenderanno il voto femminile 2016. Subito scatta la faida democratica Congresso-Casa Bianca, inusitata
in ferocia e petulanza. David Krone, capo di gabinetto dell'ex leader democratico al Senato Reid, apre il
fuoco: «La popolarità del Presidente è sotto il 40% che potevano fare i candidati? Non è sotto accusa il nostro
messaggio, ma il nostro messaggero...». Traduzione: abbiamo perduto per colpa di Barack Obama; Isis,
Ebola, disastro del sito riforma sanitaria che non partiva mai, economia in crescita ma senza benefici per il
ceto medio in crisi, incertezze sull'emigrazione, sono i capi d'accusa. Il Presidente aveva vinto nel 2012
grazie ai Big Data, mobilitando online, uno per uno, gli elettori, soprattutto gli ispanici favorevoli alla riforma
dell'immigrazione. Martedì giovani e minoranze, guardia pretoriana di Obama, si astengono, delusi
dall'amletico Presidente. «A Midterm votano gli over 60 - si difende una consulente democratica - i nostri
giovani torneranno alle presidenziali». È possibile, ma intanto la vittoria stimola il Gop repubblicano a non
ripetere gli errori 2012, magari scegliendo un candidato che, come Marco Rubio o Jeb Bush, sia legato agli
ispanici e parli spagnolo. Il nuovo leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell, propone «lavoriamo
insieme» e Obama lo riceverà domani. I due si sono incontrati solo una volta e, sempre a disagio nel tu per tu
con i rivali, Obama lo ha chiamato «Mike» per l'intera riunione, aumentando il disagio. Il gridlock, ingorgo
politico Congresso-Casa Bianca, continuerà, come o peggio di prima. La destra Tea Party sogna l'impossibile
impeachment, incriminazione, per Obama, su una delle sue fole complottiste. Non avverrà, ma l'intesa è
impervia con i democratici in lite fra loro. Obama, alle strette, potrebbe firmare prima di Natale un executive
order e legalizzare gli emigranti illegali. I repubblicani lo bloccheranno, ma avranno contro gli ispanici. Ogni
riforma si insabbierà, l'opposizione non ha voti sufficienti a cancellare i veto presidenziali, la Casa Bianca
boccerà le proposte del Congresso, soprattutto se minacciassero Obamacare, la controversa riforma
sanitaria. America e mondo pagheranno il prezzo dello stallo, per esempio sul trattato commerciale Usa-Ue,
nelle guerre in Iraq, Siria, Afghanistan, Ucraina. Obama è delegittimato davanti all'aggressività di Putin,
l'espansionismo cinese, gli eterni dubbi europei, le turbolenze India-Pakistan. La corsa per la Casa Bianca
2016 è partita ieri. Il manifesto repubblicano va scritto da zero, a Midterm han vinto «contro» Obama, per la
Casa Bianca devono trovare un candidato, un programma e una coalizione che non si intravedono. 24 mesi
di muro contro muro a Washington sono per l'ex senatrice Hillary Clinton una benedizione. Non si candiderà
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Arrivano per gli Usa due anni di paralisi
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schermandosi dagli errori di Obama, ma denunciando con forza la paralisi repubblicana al Congresso,
battendosi dall'opposizione, non da 8 anni di governo. Obama vede sfumare il sogno, la visione, la
presidenza, sconfitto dall'algida, cerebrale, incapacità di amministrare: «George W. Bush è leader che
detesta pensare, Barack Obama intellettuale che detesta governare» sintetizza lo studioso Ian Bremmer. Per
capire che America s'è mossa ieri, invisibile ai «pundit», gli analisti di Washington e Bruxelles, leggete la
biografia del neosenatore repubblicano dell'Arkansas Tom Cotton: nato nello stato di Clinton, 37 anni, figlio di
un veterano del Vietnam, va dalla scuola pubblica fino ad Harvard Law School, come Obama, ma invece di
far soldi in uno studio legale prestigioso, o il volontario nei ghetti di Chicago come il Presidente, si arruola
nella 101 Airborne Division, serve in combattimento in Iraq e Afghanistan, viene decorato e promosso
capitano. Con Stefanik, Capito, Ernst e Scott, Cotton è la faccia del Gop che rompe gli schemi e vuole Casa
Bianca e pelle di Hillary. Nel frattempo, però, preparatevi a due anni di paralisi, campagna feroce, zero
riforme nella grande democrazia americana. www.riotta.it
06/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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(diffusione:309253, tiratura:418328)
Enel cede il 22% di Endesa In arrivo 3 miliardi di euro
Starace: ma teniamo il 70% e in Spagna acquisiamo attività di E.On
LUIGI GRASSIA
L'Enel mette sul mercato un massiccio blocco di azioni della controllata spagnola Endesa, ma questa non è
una ritirata: il gruppo italiano resterà azionista con una solida quota, pari almeno al 70%, e anzi punta a
crescere ancora in Spagna inglobando una parte delle attività locali della tedesca E.On. Queste scelte
vengono premiate dalla Borsa di Milano, dove ieri il titolo Enel ha chiuso in progresso del 3,06% a 3,97 euro.
L'Enel ha ufficializzato il collocamento fra il 17% e il 22% del capitale di Endesa ( d i c u i p o s s i e d e i l 9 2
% ) . L'operazione porterà un incasso dai 2,5 ai 3 miliardi e partirà domani. Mediobanca svolge il ruolo di
advisor finanziario. Si prevede un'offerta pubblica rivolta agli investitori individuali spagnoli (la quota a loro
riservata dovrebbe essere del 15%); in più ci sarà una proposta riservata a investitori istituzionali spagnoli e
internazionali. La partecipazione ceduta potrebbe arrivare al 22% includendo l'eventuale «greenshoe» (cioè il
post-collocamento che spesso completa queste operazioni). Tutto sommato l'Enel potrebbe scendere al 70%
di Endesa, conservandone il controllo con una quota molto forte ma piazzando sul mercato abbastanza azioni
da garantire un ampio flottante, che dia al titolo Endesa la liquidità che finora gli è mancata. Questo è
appunto uno degli obiettivi dichiarati dall'amministratore delegato dell'Enel Francesco Starace, oltre a quello
di incassare una cifra fino a 3 miliardi che potrà essere utile a tagliare il debito del gruppo Enel. Endesa è
stata inglobata dall'Enel negli anni delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, quando il gruppo italiano è
stato costretto per legge a disfarsi di molte attività nel nostro Paese. In cerca di nuovi obiettivi il gruppo mise
gli occhi sulla spagnola Endesa, che aveva anche vaste diramazioni in America Latina. A Roma di fronte alla
commissione Industria del Senato Starace ha tenuto a precisare che la cura dimagrante in Endesa non
significa che l'Enel n o n c r e d a p i ù n e l l a Spagna: anzi il gruppo si appresta ad acquisire una parte delle
attività messe sul mercato dalla E.On in quel Paese. L'amministratore delegato ha chiarito che l'Enel ha
presentato un'offerta per i clienti s p ag n o l i d i E .O n ( a n c h e s e non per le reti). In Italia, invece,
prosegue l'impegno nella dismissione o riconversione di 23 vecchie centrali non più sostenibili dal punto di
vista e co n o m i co e d a q u e l l o a m bientale: ieri sono stati indicati gli impianti che in ogni caso non
torneranno alla produzione, perché in perimetri cittadini. Si tratta delle centrali di Genova, Bari e Livorno. Sul
fronte finanziario, Starace ha confermato la politica dei dividendi attuale: 40 per cento dell'utile di esercizio da
distribuire anche nel 2015.
Foto: Acquisire Endesa ha fatto crescere l'Enel in Spagna e Sud America
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IL GRUPPO ITALIANO CONFERMA LA CHIUSURA DI 23 VECCHIE CENTRALI
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Col doppio voto Ferrari resta in Italia
Andrea Di Biase e Luciano Mondellini
La norma è subito utilizzabile dalle future matricole e permetterà a Exor di blindare la Rossa senza spostare
la sede all'estero, come ha fatto Fca. Altro esempio: il Tesoro potrà usarla per Poste o Fs. Invece per le
società già quotate l'effetto si vedrà solo tra due anni (Di Biase e Mondellini a pag. 8) La Ferrari non avrà
bisogno di cambiare sede legale e non sarà quindi costretta a lasciare l'Italia, come ha fatto Fiat nell'ambito
della fusione con Chrysler, per permettere a Exor di blindare il controllo sulla Rossa dopo la separazione di
quest'ultima da Fca. La pubblicazione ieri da parte della Consob della bozza contenente i cambiamenti al
Regolamento emittenti necessari a dare attuazione alle modifiche già apportate al Testo unico della finanza
(Tuf) infatti accelera l'adozione del voto plurimo in Italia e dà una grossa mano alla holding torinese, che dopo
la separazione della Ferrari da Fca controllerà il Cavallino con il 24% del capitale. La separazione della
Ferrari, come si ricorderà, implica che il capitale della Rossa (oggi detenuto al 90% da Fca e al 10% da Piero
Ferrari) verrà suddiviso come segue: Piero Ferrari conserverà il suo 10%, mentre il 90% in mano a Fca sarà
ceduto sul mercato per un quota del 10%, mentre il restante 80% sarà distribuito tra i soci di Fca. Quindi
Exor, che controlla il Lingotto con il 30%, si ritroverà con il 24% di Ferrari In questo quadro, sulla base delle
pubblicazioni fatte ieri da parte della Consob, non sarà necessario alla Ferrari lasciare l'Italia per poter
attribuire, al momento della quotazione in borsa, un diritto di voto maggiorato a quei soci, come l'Exor della
famiglia Agnelli Elkann, che seppur indirettamente (cioè attraverso Fca) partecipano al suo capitale da più di
due anni. L'articolo 127-quinquies comma 7 del Testo Unico della Finanza (Tuf), così come modificato lo
scorso agosto dopo la conversione in legge del Decreto Sviluppo, concede già ora alle società quotande
questa prerogativa. Se infatti per gli azionisti delle società già quotate, che decidessero di introdurre nel
proprio statuto le cosiddette loyalty share, la maggiorazione del diritto di voto scatterà solo dopo 24 mesi
dall'iscrizione del socio nell'apposito elenco previsto dalla legge, diventando di fatto efficace solo tra due anni,
per le società in procinto di quotarsi, come appunto la casa di Maranello (che dovrebbe essere quotata a Wall
Street e in una borsa del Vecchio continente nel giugno 2015) è invece previsto che ai fini del «possesso
continuativo» delle azioni per almeno 24 mesi «sia computato anche il possesso» dei titoli «anteriore alla
data di iscrizione nell'elenco», previsto invece per le società le cui azioni sono già ora negoziate in borsa. In
pratica a Exor verrà riconosciuto il fatto che, essendo stata la controllante di Fca (che a cascata detiene
Ferrari) risulterà da ben più di 24 mesi nel capitale della Rossa. Ciò significa che, come confermato a MFMilano Finanza da più fonti legali, se al momento della quotazione in borsa del Cavallino Rampante Sergio
Marchionne decidesse di introdurre le azioni a voto plurimo nello statuto della Ferrari, al momento del
passaggio dell'80% delle azioni della rossa da Fca ai suoi azionisti, quelli come Exor che hanno tenuto in
portafoglio i titoli dell'ex Fiat per più di due anni, potranno da subito avvalersi del voto doppio nelle assemblee
della società di Maranello. Il peso relativo in termini di diritti di voto del 24% che la holding presieduta da John
Elkann avrà in Ferrari dipenderà ovviamente da quanti saranno gli azionisti di lunga data di Fiat che lo
saranno ancora al momento della quotazione della Rossa e che ne riceveranno i titoli. Di sicuro, in caso di
modifiche dello statuto della casa di Maranello in questo senso, il voto plurimo si applicherà al pacchetto del
10% già ora direttamente in mano a Piero Ferrari, mentre non varrà per l'altro 10% che Marchionne intende
vendere direttamente sul mercato e che finirà dunque a nuovi azionisti. Ora bisognerà aspettare mercoledì 26
novembre, data entro la quale i soggetti interessati potranno formulare alla Consob le proprie osservazioni.
Dopodiché, entro la fine del 2014, l'autorità presieduta da Giuseppe Vegas renderà operativo il regolamento,
in modo che le modifiche di legge diventino pienamente efficaci nei primi giorni del 2015. (riproduzione
riservata)
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CONSOB ARRIVA LA BOZZA DEL REGOLAMENTO CHE DÀ ATTUAZIONE ALLA LEGGE SUL VOTO
PLURIMO E CHE SARÀ IN VIGORE ENTRO L'ANNO
06/11/2014
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Foto: Sergio Marchionne e John Elkann Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/consob
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06/11/2014
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Andrea Pira
(Pira a pag. 7) L'attesa sforbiciata ai pedaggi per l'uso della rete ferroviaria ad Alta Velocità è alla arrivata. I
nuovi criteri per determinare le cifre sono contenuti nella delibera dell'Autorità di regolazione dei trasporti
presentata ieri. Per Ntv (Nuovo trasporti viaggiatori) la decisione dell'authority guidata da Andrea Camanzi si
traduce in un risparmio di circa 30 milioni euro. A tanto ammonta infatti la riduzione prevista dal ricalcolo
dovuti dall'operatore privato a Rfi per l'uso della tratte. «Sulla base dei nostri criteri», ha spiegato Camanzi,
«Rfi ha ricalcolato il pedaggio treno/ km a 8,2 euro rispetto ai 13,1 che erano previsti per il 2015 e ai 12,8
euro del 2014». La riduzione sarà rispettivamente del 37% per il prossimo anno e del 36% per i rimanenti due
mesi di quello in corso. Il taglio è inoltre nel solco del taglio del 15% deciso dal ministero dei Trasporti alla fine
dello scorso anno. Le novità valgono per tutti gli operatori, quindi anche Trenitalia, che con Rfi fa parte del
gruppo Ferrovie dello Stato. «È un primo passo positivo di un percorso ancora lungo», scrive Ntv in una nota.
La società presieduta da Antonello Perricone, che nei giorni scorsi ha presentato il nuovo piano industriale, si
riserva un'analisi più attenta della delibera. Da questo potrebbe dipendere anche l'ipotesi di ricorsi per riavere
somme che si ritiene siano state pagate illegittimamente. Anche se si terrà conto delle frasi di Camanzi: «Noi
siamo nati ora e non ci occupiamo del passato». Intanto in vista della rivisitazione complessiva di tutti i
pedaggi, non soltanto quelli dell'Alta Velocità, che l'Autorità chiuderà entro undici mesi, Ntv ritiene «ci sia
ancora spazio per poter precisare i nuovi e definitivi criteri di determinazione del pedaggio». Ma soprattutto
ritiene che sia sta dimostrata «l'esosità» di quanto ha dovuto pagare. Lettura opposta a quella di Rfi. che
nega che ci sia un riconoscimento dell'esosità e ricorda che l'attuale rimodulazione è temporanea, per il
periodo in cui lo scenario competitivo si va «dispiegando e consolidando». Da Bruxelles è intervenuto anche
l'ad di Fs, Michele Mario Elia: «I pedaggi italiani non sono alti, sono nella media Ue». Da una parte, ha
aggiunto, il provvedimento avrà ripercussioni positive per Trenitalia. All'opposto Rfi avrà sempre «bisogno di
finanziare circa 4,2 miliardi per completare i lavori» e questo «allungherà la curva di restituzione del debito».
Facendo un calcolo, la riduzione comporterà circa 100 milioni di ricavi in meno per la società. Il
provvedimento dell'authority si presenta però come una riscrittura a 360 gradi del settore. Prevede infatti
criteri per migliorare l'efficienza nella gestione della capacità di rete, misure sui servizi di manovra,
rimodulazioni delle penali, l'accesso ai servizi e agli impianti accessori, «Abbiamo creato le condizioni
affinché il settore diventi appetibile», ha sottolineato Camanzi. (riproduzione riservata)
Foto: Antonello Perricone L'anticipazione di MF-Milano Finanza del 5 settembre Quotazioni, altre news e
analisi su www.milanofinanza.it/ntv
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Ntv, l'Authority dà una mano a Italo Coi nuovi pedaggi 30 mln di risparmi
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Pag. 3
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Bce troppo divisa, oggi niente Qe
Ma il rischio-deflazione e la debolezza dell'economia rendono sempre più urgente il via libera agli acquisti di
titoli di Stato. Ogni parola del presidente dell'Eurotower sarà analizzata al microscopio
Marcello Bussi
Bene. Ora sappiamo che Mario Draghi non si consulta con nessuno, prende le decisioni da solo, quando gli
altri parlano si mette a messaggiare sul telefonino o addirittura va fuori stanza. E così sempre più esponenti
del Comitato direttivo della Bce stanno perdendo la pazienza e si allineano al super falco Jens Weidmann, il
presidente della Bundesbank. Almeno dieci dei 24 membri del Direttivo sono pronti a votare contro
l'eventuale acquisto di titoli di Stato nella zona euro e molti di più sarebbero irritati dallo stile di gestione
riservato e dalla comunicazione erratica di Draghi. Questo almeno dicono le indiscrezioni giornalistiche
diffuse a poche ore dalla riunione odierna del Direttivo della Bce. Sarà l'occasione per scatenare la rivolta?
Carsten Brzeski, economista di Ing Bank, ha ricordato che a suscitare le ultime critiche sarebbero stati i
commenti fatti lo scorso settembre da Draghi sul ritorno del bilancio della Bce alla misura del 2012,
portandolo quindi da 2 a 3 mila miliardi di euro. «Anche se Draghi ha ridimensionato» la questione a ottobre,
ha sottolineato Brzeski, «la cifra di mille miliardi è fuori dal mercato e tutte le azioni della Bce vanno contro»
questi numeri. Secondo l'economista di Ing Bank, le speculazioni sulla divisione del Direttivo della Bce
renderanno l'incontro di oggi «estremamente interessante». Nessuno si aspetta che Draghi lanci un vero e
proprio Qe, ovvero un massiccio piano d'acquisto di titoli di Stato, ma nel corso della conferenza stampa ogni
sua parola sarà analizzata al microscopio per capire se e quando sarà possibile un'operazione del genere.
Secondo gli economisti di Rabobank, «le cose potrebbero velocizzarsi. L'opposizione c'è sempre stata e il
fatto che sia alla luce del sole costringerà a prendere una decisione. Inoltre, se l'incertezza sugli obiettivi della
Banca centrale provocherà un ulteriore calo delle aspettative su inflazione ed euro, allora il deterioramento
dei fondamentali potrebbe forzare la mano» della Bce. Già ora, comunque, la situazione è sufficientemente
deteriorata. Per statuto la Bce ha l'obiettivo di mantenere l'inflazione appena al di sotto del 2%. Obiettivo
lontanissimo, visto che ora è allo 0,4%. E con i prezzi del petrolio in discesa e l'ulteriore r a l l e n t a m e n t o
dell'economia di Eurolandia, sarà ben difficile che il tasso d'inflazione aumenti senza che la Bce adotti misure
drastiche, ovvero il Qe. C'è anzi il rischio che Eurolandia precipiti nella deflazione da cui, come insegna il
Giappone, è molto complicato uscire. Volendo dare un'interpretazione dietrologica alle indiscrezioni degli
ultimi giorni su Draghi, potrebbe anche darsi che queste possano contribuire a rendere possibile uno scenario
del genere: a gennaio o febbraio Draghi lancia il Qe e la cosa viene presentata all'opinione pubblica tedesca
come un suo colpo di testa. Grande indignazione e polemiche, ma intanto il Qe è partito. E, come al solito, se
la cosa va bene il successo è di tutti, se invece i risultati ottenuti sono scarsi la colpa è solo di Draghi, che a
quel punto potrebbe anche saltare. È comunque molto improbabile che l'istituto di Francoforte si avventuri in
un Qe prima della sentenza della Corte di Giustizia Europea sulle Omt, ovvero il piano di acquisto di titoli di
Stato per i Paesi in difficoltà che ne facciano richiesta in cambio di strette condizionalità sull'attuazione delle
riforme, prevista per inizio 2015. Uno strumento deciso nel 2012 per dare un minimo di sostanza alla famosa
promessa di Draghi di fare tutto il necessario per garantire la sopravvivenza dell'euro. Da allora la situazione
è peggiorata sul fronte dell'inflazione e non è affatto migliorata su quello della crescita economica (ora perfino
la Germania rischia di cadere in recessione). L'Omt è quindi stato superato dalla drammaticità degli eventi.
Eppure, fino a quando non ci sarà la sentenza della Corte Ue, è un ostacolo al lancio di un vero e proprio Qe.
Questo basta a capire quanto sia surreale la situazione. E intanto si aspetta non solo la sentenza, ma anche
il lancio degli acquisti di Abs dal 15 novembre e della seconda Tltro dall'11 dicembre, che dovrebbe essere
sfruttata più massicciamente dalle banche rispetto alla prima. Nel frattempo continuerà il chiacchiericcio e
saranno avanzate le proposte più bizzarre, come quella dell'economista Usa Melvyn Krauss secondo cui il Qe
dovrebbe escludere i titoli di Stato dei Paesi che hanno violato le regole sul deficit e sul debito. In questo
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LE ULTIME INDISCREZIONI PARLANO DI UNA RIVOLTA CONTRO DRAGHI DENTRO AL BOARD
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modo il Qe sarebbe un modo per spingere i governanti dei Paesi indisciplinati ad attuare le riforme. Con il
risultato pratico che la Bce acquisterebbe solo titoli di Stato tedeschi, i cui rendimenti sono già ridotti ai minimi
termini. Di fronte a uno scenario del genere, un colpo di testa di Draghi sarebbe quanto mai urgente.
(riproduzione riservata)
Foto: Mario Draghi
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bce
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Anna Messia
Slitta ancora, probabilmente di un mese, il nuovo piano industriale di Poste Italiane cui sta lavorando
l'amministratore delegato Francesco Caio, arrivato al vertice dell'azienda postale lo scorso maggio. Il piano
era stato annunciato inizialmente per l'estate, quando la privatizzazione dell'azienda, con la cessione da parte
del ministero dell'Economia del 40% del capitale annunciata dal governo Renzi, sembrava doversi
concretizzare rapidamente. Ora, a causa anche dell'alta volatilità che caratterizza i mercati in questa fase, la
quotazione appare destinata a essere posticipata alla seconda parte del 2015. E per quanto riguarda il piano
industriale, già rinviato una prima volta a novembre, una sua definizione appare più probabile a dicembre. Nel
corso di un'audizione alla commissione Industria al Senato, ieri Caio ha dichiarato in particolare che la società
si sta preparando alla borsa. «I tempi di quotazione di Poste sono legati alla definizione dell'impianto
normativo; lavoriamo per essere pronti a farla e sarà l'azionista a dirci quando», ha detto Caio riferendosi
Foto: Francesco Caio
Foto: al Tesoro. Mentre prima della presentazione del piano c'è bisogno di definire due aspetti importanti. Il
primo riguarda la firme della nuova convenzione con la Cassa Depositi e Prestiti per la distribuzione di buoni
e libretti postali. «Stiamo lavorando alla firma di una convenzione che crei un framework stabile pluriennale
(con un passaggio da tre a cinque anni, ndr) nell'ottica della privatizzazione, che da una parte dia certezza
agli investitori e dall'altra garantisca un rendimento stabile», ha detto ieri l'amministratore delegato. Il secondo
aspetto coinvolge invece la ridefinizione del servizio universale, un passaggio fondamentale alla luce del calo
dei volumi della corrispondenza. Caio chiede da tempo «un nuovo equilibrio» tra i costi del gruppo, pari a 1
miliardo di euro l'anno, e il contributo dello Stato, che ne copre appena un terzo. La legge di Stabilità ha già
previsto qualche correzione, ma non sarebbe abbastanza. L'amministratore delegato di Poste ieri ha anche
detto di aver condiviso con l'Agcom un piano di chiusura di 500-600 sportelli sui 13 mila attuali, anche se non
si tratterebbe di una manovra immediata da realizzare con un unico intervento. (riproduzione riservata)
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Poste, il piano industriale slitta a dicembre
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Pag. 18
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Andrea Poggi*
Entro i prossimi 20 anni, circa il 50% delle professioni moderne sarà sostituito da intelligenze artificiali.
Questa sarà la conseguenza di una forte spinta all'innovazione ma anche di una crisi economica e
occupazionale senza precedenti. La progressiva diffusione delle nuove tecnologie sta infatti cambiando il
comportamento dei consumatori (per es. sono state scattate più foto oggi in due minuti che in tutto il XIX
secolo) e favorisce la nascita di nuovi modelli di business sia nelle industrie nuove, sia in quelle più
tradizionali. L'innovazione sembra essere collegata al tema dell'occupazione. A differenza del passato, oggi
le imprese tecnologicamente avanzate generano una domanda di lavoro inferiore - pensiamo solo che
Instagram serviva 30 milioni di clienti con 13 persone - mentre le imprese tradizionali sono costrette a tagliare
posti di lavoro per rimanere competitive. Esiste una forte correlazione positiva tra innovazione e creazione di
valore sia a livello micro (le imprese più innovative hanno costantemente battuto il mercato) che a livello
macro (cioè i Paesi che maggiormente investono in ricerca e sviluppo mostrano tassi medi annui di crescita
del pil maggiori). Le economie moderne devono quindi scendere a patti con l'innovazione e governarla per
farla diventare anche una leva occupazionale: casi di successo come la Silicon Valley o Singapore, dove si è
puntato su istruzione, investimenti in ricerca e sviluppo e politiche fiscali favorevoli, capaci di attrarre capitali
anche privati, dimostrano che è possibile. Ancor di più per l'Italia l'innovazione è l'ultima chance per crescere
creando posti di lavoro. Perché ciò accada bisogna capire cosa va fatto a livello strutturale ma anche il
contesto sociale con cui si ha a che fare. In una ricerca Deloitte, condotta con Eurisko, si evidenzia un
pessimismo e una scarsa consapevolezza delle famiglie italiane in merito alle leve necessarie per la ripresa.
Da un lato, più della metà degli italiani pensa che la crisi durerà almeno ancora per cinque anni, mentre 8
cittadini su 10 credono che il mondo del lavoro sia sempre più difficile e competitivo. Dall'altro lato, le famiglie
italiane non investono nell'istruzione (-10% di spesa rispetto all'Europa) e solo il 20% la ritiene prioritaria per il
rilancio occupazionale (rispetto al 53% per Spagna e Germania). Inoltre, le nuove tecnologie non sono
percepite come utili per la creazione di nuove opportunità di lavoro (solo il 16% contro il 31% in Germania, e il
29% in Spagna). Anche l'imprenditorialità è debole e non è orientata alle attività innovative (solo il 7% degli
studenti propende per attività in proprio di contenuto tecnologico) e il risparmio è poco finalizzato al futuro dei
figli (22%). I giovani italiani però evidenziano disponibilità a sacrificarsi quando cercano un'occupazione in
termini di flessibilità, mobilità e retribuzione. In genere, le famiglie italiane mostrano un atteggiamento passivo
attendendo che siano il governo (57%) e le imprese (46%) a trovare la chiave della ripresa. I gap competitivi
associati all'analisi del contesto sociale ci portano a ritenere che, affinché l'innovazione generi occupazione,
anche in Italia sia necessaria una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori del sistema.
Serve cioè un'Agenda Innovazione Occupazione Italia, il cui valore sarà tanto maggiore quanto più sarà
volàno di cambiamento in e con l'Europa. Sono infatti necessarie, da parte del governo, sia le riforme (di
lavoro, scuola e Fisco) capaci di migliorare la piattaforma competitiva del nostro Paese, sia una nuova politica
industriale focalizzata sui settori previsti in crescita (welfare, assicurazioni, hospitality) ma anche sulla
maggiore valorizzazione del made in Italy. Ma non basta. Bisogna che le famiglie cambino atteggiamento,
diventando più propositive, più attente ai temi della istruzione di qualità, più preoccupate che i figli abbiano
una maggiore vocazione imprenditoriale e internazionale. In aggiunta, le imprese devono fare
dell'innovazione il perno del proprio modello di business, superando l'approccio degli innovation lab separati
dai meccanismi ordinari di funzionamento delle proprie aziende. Le grandi imprese italiane (pubbliche e non)
devono svolgere un ruolo da catalizzatore e diffusori di una sana innovazione. Inoltre, Banche e Assicurazioni
devono intervenire offrendo soluzioni semplici e digitali, incentivate economicamente, per finanziare e
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L'occupazione dei nostri figli dipende anche da quanto investiamo sulla
loro formazione
06/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:104189, tiratura:173386)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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proteggere le iniziative innovative o giovanili o le famiglie che vogliono investire sul futuro. I media, infine,
devono sensibilizzare sul ruolo dell'innovazione per creare occupazione, parlando dei casi di successo.
L'innovazione non è più una scelta, ma una forza inarrestabile con cui fare i conti, ma diviene una leva di
occupazione solo se tutti ci rimbocchiamo le maniche. (riproduzione riservata) *partner Deloitte, Strategy
Consulting e Innovation Leader
06/11/2014
Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 29
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Moretti dimagrisce per guadagnare di più
Pronto il piano industriale di Finmeccanica messo a punto con McKinsey: il gruppo sarà ridimensionato.
Perimetro ristretto. Forte riduzione di fatturato e dipendenti. Una redditività promessa a due cifre. Sono
questi, secondo quanto risulta a Panorama, i pilastri del piano industriale di Finmeccanica, elaborato con
l'aiuto di McKinsey, che Mauro Moretti, l'amministratore delegato del gruppo fortemente voluto dal premier
Matteo Renzi, porterà al consiglio di amministrazione nelle prossime settimane. Per delineare quella che
appare una Finmeccanica piccola piccola. Nel gruppo, che potrebbe cambiare perfino nome, nulla sembra
destinato a rimanere come prima. Tranne AgustaWestland, la società elicotteristica, che non subirà scossoni.
Alenia Aeronautica verrebbe scissa in due: la produzione di velivoli rimarrebbe nel core business, le
aviostrutture (compresi gli stabilimenti all'avanguardia che lavorano per Boeing e Lockheed Martin)
entrerebbero, per ora, in un nuovo contenitore per essere offerte, in seguito, ai partner americani. Moretti è
interessato a proseguire da solo la produzione dell'aereo regionale Atr, ma Airbus non è disposta a cedere la
sua metà e, comunque, appare difficile proseguire questa esperienza di successo senza la struttura di
vendite francotedesca. Si profila la fusione per Wass e Oto Melara (siluri, cannoni e droni) e l'uscita dalle
partecipate di minoranza: il consorzio missilistico Mbda, Elettronica, Eurotech, SuperJet. I trasporti saranno
dismessi. Nemmeno lo spazio interesserebbe a Moretti, a meno di forti iniezioni di denaro pubblico. Rimane
l'elettronica. Finmeccanica, con le relazioni con gli Usa al lumicino, non può valorizzare la controllata
americana Drs, che rischia la svendita. Più complesso, anche per le ricadute occupazionali, è il futuro di
Selex Es, nodo gordiano del piano. La parte avionica, perlopiù localizzata nel Regno Unito, sarebbe appetita
da Bae Systems. ( Pietro Romano)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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economia scenari_
06/11/2014
Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 30
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Crisi Mps, salvate il soldato Profumo
Doveva essere l'occasione del riscatto dopo Unicredit. Invece ora il manager deve trovare un partner.
(Stefano Cingolani)
Alessandro Profumo non si sente bocciato dagli stress test, ma non può negare la débâcle della sua
strategia. Quando nell'aprile 2012 la fondazione lo ha nominato presidente dopo gli scandali della gestione
Mussari, per il banchiere defenestrato dal colosso Unicredit sembrava che fosse arrivata l'occasione del
riscatto. Invece il rinnovamento nella continuità al Monte dei Paschi di Siena non ha convinto la Banca
centrale europea. Adesso Profumo e il consigliere delegato Fabrizio Viola dovranno dar prova non solo di
buona gestione aziendale, ma di visione. Dopo un primo sbandamento che li ha spinti a bussare a tutte le
porte, hanno deciso di fare un passo alla volta. Innanzitutto l'aumento di capitale che non ammonta in realtà a
2,1 miliardi, ma a molto meno in denaro fresco, soprattutto se si seguono i consigli di Mediobanca securities:
far slittare il rimborso di 800 milioni di Monti bond, tagliare del 10 per cento gli attivi rischiosi, vendere credito
al consumo e leasing, cedere una parte della esposizione in titoli di Stato e farsi riconoscere dalla Bce 260
milioni di accantonamenti. Gli azionisti che hanno già finanziato 5 miliardi a giugno non si tirano indietro. Ma
potrebbero entrare altri investitori istituzionali. Oggi l'azione Mps vale in borsa appena 65 centesimi, con una
buona iniezione di capitale il titolo può raddoppiare in poco tempo. E l'operazione avverrà nella primavera
2015. Il secondo passoè accelerare la ristrutturazione della banca senese e della controllata Antonveneta,
l'origine di tutti i disastri. A questo punto si può pensare a un matrimonio. Profumo ha detto che
l'indipendenza di Mps volge al termine e non ha parlato a vanvera. I potenziali candidati italiani si sono ritirati,
a cominciare da Intesa. Tra gli stranieri s'affaccia Santander, anche se sarebbe paradossale visto che ha
contribuito ad affondare il Mps facendosi pagare Antonveneta 2 miliardi più della quotazione di mercato. Ma
spicca soprattutto Bnp Paribas che possiede già Bnl. Una fusione tra le due aziende italiane non crea troppe
sovrapposizioni e qualcuno già vede Profumo al posto di Luigi Abete presidente di Bnl fin dal 1998. Wishful
thinking (in italiano pia illusione)? (Stefano Cingolani)
2,1 miliardi: i fondi di cui ha bisogno mps secondo la bce
Foto: il presidente dell'mps alessandro profumo: alleanza con paribas?
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06/11/2014
Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 32
(diffusione:446553, tiratura:561533)
Tutti i voltafaccia di Marchionne
«Sai cos'è un trascinatore? A volte non dire la verità serve». L'ha detto José Mourinho, che da allenatore
dell'Inter riuscì a vincere nella stessa stagione campionato, Champions e Coppa Italia. La frase si attaglia
anche a Sergio Marchionne, per il quale le bugie non sono una disdicevole necessità, ma una strategia.
a cura di Marco Cobianchi
Il 24 febbraio 2012, in un'intervista, disse che se la domanda di auto non fosse aumentata sarebbe stato
costretto a prendere una decisione drammatica: chiudere 2 stabilimenti su 5. Appena 16 mesi dopo ritira
tutto: «Tenere aperti gli stabilimenti Fiat in Italia è una decisione razionale: chiuderli non è economicamente
attraente». Nel 2010 Marchionne presentò «Fabbrica Italia» definendolo «il più straordinario piano industriale
che il Paese abbia mai avuto» ... nel 2011 ritira il piano e commenta: «Fabbrica Italia non era altro che una
dichiarazione d'intenti. Fiat adegua ogni sua produzione alle esigenze di mercato. È quindi impossibile
quantificare gli investimenti stabilimento per stabilimento nei prossimi anni». Nel 2012 Marchionne disse che
avrebbe lasciato la Fiat «non prima del 2013, non dopo il 2015». Nel 2013 disse: dopo il 2016 «non farò più
nulla dal punto di vista operativo». Nel 2014 ha detto che sarebbe rimasto almeno fino al 2017 ma
successivamente ha detto che resterà fino al 2018. Nel 2009 Marchionne dichiara, a proposito degli aiuti di
Stato: «Mai preso un soldo da quando ci sono io». A parte i sussidi nei paesi dove ha aperto impianti o i soldi
del governo Usa per la Chrysler, la Fiat nel 2009 ha ottenuto fondi per Termini e Pomigliano. Il 10 settembre
2014 Marchionne ha detto: « Non ho nessun piano sulla scrivania per una Ipo ( quotazione in borsa, ndr)
della Ferrari». Gli 8 piani industriali annunciati tra il 2004 e il 2013 prevedevano, complessivamente, la
realizzazione di 64 nuovi modelli di auto. In realtà i modelli sono stati solo 33 e tutti costruiti sugli stessi
pianali automobilistici già esistenti prima del suo arrivo a Il 29 ottobre 2014 decide di scorporare la Ferrari dal
gruppo Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e di quotarla in borsa.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 34
(diffusione:446553, tiratura:561533)
L'Italia nella trappola dell'Opzione Zero
Il Paese è bloccato da anni: non cresce l'economia, non aumenta la popolazione. Ma dietro a questa crisi
permanente c'è un virus che ha contaminato l'intera comunità e in particolare la classe dirigente. È l'attitudine
di manager, imprenditori, politici a non assumersi responsabilità e a non decidere. Ma ora dobbiamo resettare
tutto.
Francesco Delzìo manager, docente e scrittore: è autore, tra l'
Un Paese fermo, immobile, non solo in campo economico ma anche sociale, mentale: questa è l'Italia di oggi,
vittima di un virus al quale è dedicato Opzione Zero, l'ultimo libro di Francesco Delzìo, manager e saggista.
Eccone un estratto: Perché Opzione Zero? Perché l'Italia sembra entrata stabilmente nell'«era zero»: è un
Paese in crisi permanente, in cui da troppi anni la cruda realtà dei numeri racconta un'era senza sviluppo e
senza competitività, in cui produzione, produttività e popolazione non crescono più e l'occupazione cala
inesorabilmente.E allora dopo 20 anni di declino economico e sociale, è giunto il momento di chiederci quale
sia il «male italiano». Cosa ci ha trasformato da potenza mondiale a Paese senza speranza? Sono convinto
che un virus si sia impadronito delle nostre menti. Un virus così potente da aver invertito drasticamente la
rotta del nostro Paese, chea partire dagli anni Sessanta aveva mostrato al mondo intero come si può
costruire un modello industriale vincente partendo «dal basso»: dall'abilità artigianale, dall'innovazione
spontanea di prodotto, da quello straordinario spirito d'intrapresa che ha trasformato decine di migliaia di
operai in grandi imprenditori. Un virus così pericoloso da aver causato il rapido declino del nostro Paese,
costruendo le basi di una parabola discendente che (temo) non sia ancora finita. Un virus così invisibile e
perfido, che ha sintomi molto particolari: all'inizio chi se ne ammala si sente perfino bene, perché pensa di
aver evitato un grosso rischio, di aver scansato un problema rognoso, di aver abbattuto costi e incertezze.
Purtroppo i suoi effetti nefasti si vedono solo nel medio-lungo termine: dopo anni dall'entrata in azione del
virus su larga scala, può accadere che un'intera comunità si blocchi, si sclerotizzi, perda competitività e
potenzialità di crescita. È esattamente ciò che è successo all'Italia. Il virus che ha contagiato gli italiani, a
partire dalle loro élite politiche, istituzionali, amministrative, imprenditoriali e accademiche, si chiama Opzione
Zero. Ma come si è manifestato? Negli ultimi 20 anni, nella gran parte dei casi in cui un ministro, un sindaco,
un dirigente pubblico, un grande imprenditore, un rettore ha dovuto adottare una decisione nel nostro Paese,
assumendosi una responsabilità e i rischi a essa collegati, ha scelto in realtà l'Opzione Zero. Ovvero
quell'opzione che i bravi consulenti tengono sempre con sé, di riserva, quando presentano a un cliente un
progetto complesso con varie soluzioni finali. Alla fine di decine di slide che descrivono costi e benefici delle
varie opzioni analizzate, c'è sempre un'ultima slide (ufficiale o ufficiosa) che contiene l'ipotesi finale: non fare
assolutamente nulla. Per non sbagliare, per non rischiare, per non assumersi responsabilità, per abbattere i
costi del presente ignorando il futuro. Per vivere tranquilli oggi, facendo finta che non ci sarà mai un domani.
Negli ultimi 20 anni l'Italia ha scelto stabilmente l'Opzione Zero, il virus che ancor oggi tiene in ostaggio il
nostro Paese. Ma dobbiamo e possiamo resettare tutto ciò che ha bloccato l'Italia negli ultimi due decenni,
tutte le sovrastrutture che hanno mortificato l'inesauribile creatività e intraprendenza di un popolo, nonché la
bellezza dell'eredità ricevuta. Perché oggi non abbiamo più scelta.
Foto: la copertina del libro Opzione Zero di Francesco Delzìo. (Rubbettino Editore, 112 pagine, 10 euro)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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06/11/2014
Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 70
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Così ci tolgono il futuro
Dopo la casa, svalutata dalle imposte, l'altro pilastro degli italiani è minacciato dalle ultime misure del governo
come l'aumento delle tasse sui fondi integrativi e la facoltà di spendersi subito il Tfr. Che non tengono conto
dei colpi già subiti dai pensionati.
Stefano Caviglia
La tassazione d ei ren dimen ti pe ns ion ist ici de lla previdenza comp lemen ta re pa sse rà da ll '1 1,5 al
20%. Ci voleva la voce più autorevole, quella della Banca d'Italia, per ricordare a tutti quanto sia fragile la
condizione dei pensionati italiani. «Attenzione: il Tfr in busta paga rischia di farci avere pensioni troppo
basse» è il messaggio che i vertici di via Nazionale hanno mandato a Matteo Renzi con l'audizione
parlamentare di lunedì 3 novembre del vicedirettore generale Luigi Federico Signorini. Che con la mossa del
Tfr il governo miri a farci spendere oggi quel che pensavamo di risparmiare per domani era chiaro anche
senza quel monito. Ma il punto è che la maggior parte dei cittadini non può permetterselo, perché avrà
comunque un trattamento assai modesto. È lungo l'elenco delle tagliole antipensionistiche che rischiano di
fare del ritiro dal lavoro la vera età del precariato per milioni di cittadini. Anche se pochi se ne ricordano, le
nostre pensioni sono da sempre fra le più tassate del mondo, cioè l'assegno pagato è sottoposto a un
prelievo molto più alto di quello della gran parte degli altri paesi. Il divario è stato calcolato recentemente da
uno studio della Confesercenti (tabella a pag. 73) ed è impressionante: una pensione di 1.500 euro netti
mensili «paga» in Italia 4 mila euro di tasse l'anno contro i 1.700 della Spagna, i 1.400 della Gran Bretagna, i
mille della Franciaei 39 (trentanove) della Germania. Come se non bastasse, ci si è messa anche la crisi. Il
tasso di rivalutazione dei contributi a fini pensionistici è collegato all'andamento del prodotto interno lordo: se
questo è stagnante o negativo i trattamenti non salgono. E qual è la prima mossa dei governi degli ultimi anni
per far quadrare i conti pubblici? Il blocco dell'indicizzazione, ossia dell'adeguamento all'inflazione delle
pensioni più alte. Alte si fa per dire: per il triennio 2014-2016 l'indicizzazione è stata limitata al 45 per cento
per quelle oltre i 3 mila euro lordi, al 50 sopra i 2.500, al 75 oltre i 2 mila, mentre resta al 95 per cento oltre i
1.500 euro. Anche in considerazione di tutti questi handicap, economisti di ogni orientamento politicoe
responsabili di fondi previdenziali (aperti o chiusi, individuali o collettivi) hanno fatto a gara per spiegare che
l'epoca dell'equivalenza fra reddito e pensione era chiusa per sempre e che, per evitare di trascorrere in
ristrettezze gli anni del meritato riposo, era necessario provvedere per tempo, accantonando sempre più
risorse durante il periodo del lavoro. I ministri dell'Economia, inoltre, ci pensavano cento volte prima di
toccarei trattamenti destinati agli ex lavoratori. Come la casa, la pensione era considerata uno dei pilastri
dell'economia nazionale. Poi tutto questo è finito e anche la pensione, proprio come la casa, ha imboccato il
suo percorso di guerra. Quando è successo? Dopo la riforma Dini del 1995, il colpo più devastante alle
certezze pensionistiche degli italiani lo ha sferrato nel 2011 il governo Monti con la riforma Fornero.E bisogna
dire che Matteo Renzi prosegue sulla medesima strada a tutta velocità. Nella legge di Stabilità del 2015, di
cui è appena iniziato l'esame in Parlamento, sono scritte due cose che pochi anni fa sarebbero state
impensabili a danno del sistema previdenziale complementare (il cosiddetto «secondo pilastro») e al tempo
stesso ne manca una che invece era attesa a sostegno di quello tradizionale (il «primo pilastro»).
Cominciamo da quest'ultima. Nel momento in cui ha innalzato la tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al
26 per cento, il governo ha previsto un'esenzione per i rendimenti previdenziali delle casse private (quelle dei
vari ordini professionali) fino alla fine del 2014. Per questo si attendeva una proroga dell'esenzione, che
invece non è arrivata. «Dal 1° gennaio prossimo» spiegaa Panorama il presidente dell'Adepp (l'associazione
delle 19 casse di previdenza private), Andrea Camporese, «i nostri investimenti saranno tassati esattamente
come quelli della speculazione finanziaria. Una situazione che non ha eguali al mondo e che avrà l'effetto di
impoverire gli istituti previdenziali ai quali sono iscritti oltre 2 milioni di cittadini». Ancor più clamoroso
l'intervento sulla previdenza complementare, quella che 4,3 milioni di lavoratori aggiungono al trattamento
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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pensioni
06/11/2014
Panorama - N.46 - 12 novembre 2014
Pag. 70
(diffusione:446553, tiratura:561533)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 06/11/2014
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principale per rimpinguare un po' la propria pensione: da un lato un aumento secco della tassazione dei
rendimenti dall'11,5 al 20 per cento, dall'altro lo svincolo del trattamento di fine rapporto (Tfr). Quest'ultimo è
una liquidazione che il lavoratore italiano riceve sotto forma di erogazione una tantum nel momento in cui
lascia l'azienda. Per alimentarlo, accantona ogni anno all'incirca una mensilità. Ma per sostenere i fondi
pensione, molti italiani sono stati incentivati a destinare questi soldi al fondo della previdenza complementare
in modo da arrivare all'età della pensione con un gruzzolo per far fronte alle nuove esigenze di vita. Fino a
ora. In seguito alla decisione del governo (a meno di modifiche della legge di Stabilità), chi ha bisogno di soldi
potrà prelevare subito la quota annuale del Tfr, a prezzo di una tassazione non più agevolata, ma identica a
quella del reddito. Se lo farà, sarà poi costretto a ripetere l'operazione per tre anni, almeno fino al 2018. Ne
soffriranno anzitutto i fondi «chiusi» o «negoziali», ossia riservati ai dipendenti di una certa categoria: i loro
aderenti al momento della sottoscrizione si sono impegnati a versare il Tfr per tutta la vita lavorativa, ma ora
possono smettere di punto in bianco. «Questo messaggio» osserva il segretario generale
dell'Assofondipensione, Marco Abatecola «non può che generare incertezzae una diminuzione delle
adesioni». Ci va ancor più pesante l'ex sottosegretario all'Economia Alberto Brambilla, oggi presidente del
Comitato tecnico-scientifico dei sistemi previdenziali: «Spero che Renzi si accorga dell'errore e faccia marcia
indietro, perché questa riforma è devastante. Come può un lavoratore fidarsi dei fondi pensione se le
condizioni presentate come immutabili, a partire dalla tassazione, cambiano lungo la strada?». La vera
domanda, dunque, non riguarda gli effetti dello svincolo del Tfr sulla liquidità delle aziende o sui consumi, ma
piuttosto sul nostro sistema previdenziale. Se la pongono, dal loro punto di vista, anchei gestori dei piani
pensionistici privati. «Il rischio» dice Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo e gestione prodotti della
Banca Mediolanum «è che si smantelli quello che è stato costruito in tanti anni e con grande fatica». Il quadro
della previdenza complementare che Rava disegna non è affatto brillante: «Quando è stato consentito di
inserire il Tfr nella previdenza complementare, dopo il 2007, c'è stato un progresso. Poi, una lunga
stagnazione». Che l'uscita del Tfr dai fondi, seppur facoltativa potrà solo aggravare.
tre mazzate sulla previdenza (i principali nuovi provvedimenti)
I lavoratori del settore privato potranno avere in busta paga la quota di Tfr. Dal 1° gennaio 20 15 i rendimenti
pensionistici delle casse previdenziali private saranno tassati non più al 20 ma al 26%.
Le verità nascoste dei fondi pensione In un mondo ideale, il governo Renzi non avrebbe dovuto aumentare
la tassazione sulla previdenza integrativa, ma avrebbe dovuto battersi piuttosto per una maggiore
trasparenza di un settore molto opaco. I fondi pensione in cui milioni di italiani investono per proteggere il
proprio futuro garantiscono infatti risultati molto deludenti, come mostra uno studio che ha cercato, con fatica,
di calcolare il rendimento reale (al netto di spese, tasse e inflazione) di una serie di prodotti previdenziali nei
maggiori paesi europei. L'indagine, realizzata dalla Better finance for all ( www. betterfinance.eu) prende in
esame un periodo abbastanza lungo (dal 2000 al 2013) durante il quale quasi tutti i sottoscrittori di fondi
pensione non hanno in pratica guadagnato nulla, o hanno addirittura perso soldi: in Italia i fondi pensione
aperti hanno perso l'1,1 per cento, mentre quelli chiusi sono saliti appena dello 0,1 per cento: tanto vale,
meglio mettere i risparmi nei Btp. In Spagna i fondi pensione hanno perso l'1,2 per cento, quelli inglesi lo 0,7.
Solo in Germania i prodotti pensionistici sono riusciti a battere l'inflazione, dopo tasse e commissioni. (G.F.)
Panorama | 12 novembre 2014 quanto rendono veramente (rendimenti reali dal 2000 al 2013). FRANCIA
ITALIA SPAGNA G. BRETAGNA GERMANIA O,9% 2,2% O,6% -1,1% -1,2% -O,7% O,1% -1,2% Polizze vita
Piani pensionistici personali Fondi pensione chiusi PIP Piani pensionistici pubblici Fondi pensione aperti
Fondi pensione Fondi pensione Fonte: Better finance for all
Francia 1.OOO euro Germania 39 euro Spagna 1.7OO euro Regno Unito 1.4OO euro la taSSazIone delle
penSIonI In eURopa (quanto si paga di tasse su una pensione annua di 19.322 euro lordi, pari a 3 volte il
minimo Inps). Fonte: Confesercenti
SCENARIO PMI
5 articoli
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Ipotesi bonus Irpef per le famiglie numerose
SQUINZI «Nella stabilità ci sono delle positività, ma anche criticità come gli scarsi fondi per ricerca e il
finanziamento dei nuovi investimenti» EMENDAMENTI DEI «FITTIANI» Presentate proposte da Capezzone,
Fitto e Palese: 40 miliardi di tasse in meno in 2 anni. A partire dal taglio al 30% delle aliquote Irap
Marco Rogari
ROMA
Una mini-estensione del bonus da 80 euro alle famiglie numerose, magari cominciando da quelle con più di
tre figli e redditi bassi. A confermare indirettamente che il Governo «sta verificando la fattibilità degli spazi
finanziari» per dare eventualmente l'ok a un correttivo alla legge di stabilità all'esame della Camera è il
sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti. Molte proposte di modifica in questa direzione arriveranno dai
gruppi parlamentari che depositeranno domani entro le ore 13,00 i loro emendamenti in commissione
Bilancio. Ma resta da sciogliere il nodo delle risorse necessarie: almeno 300 milioni per un primo segnale. E
dall'individuazione di coperture alternative dipende anche l'eventuale via libera a un aumento più soft della
tassazione su Casse di previdenza e fondi pensione, considerato comunque molto probabile. Quasi certo
l'inserimento nella ex Finanziaria della nuova tassa unica sugli immobili (Tasi più Imu e forse le addizionali
Irpef ma, almeno in una prima fase, senza Tari), che potrebbe vedere il ripristino delle detrazioni a livello
statale. E sicuri sono anche i ritocchi su enti locali e fondo non autosufficienze. Da sciogliere il nodo Tfr.
Un mini-restyling, insomma, che dovrebbe interessare soprattutto il pacchetto fiscale della "stabilità". Non a
caso proprio ai possibili ritocchi fiscali sarebbe stata dedicata una parte del vertice convocato a Palazzo Chigi
da Matteo Renzi per fare il punto sulla riforma fiscale, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il ministro Pier
Carlo Padoan e il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi (v. articolo sopra).
La partita, comunque, è in gran parte ancora da giocare. E non è escluso che sia lunga. Anche perché il
cammino alla Camera della "stabilità" rischia, complice anche l'ormai prossimo arrivo in Aula a Montecitorio
del Jobs act, si proceda a passo abbastanza lento con un via libera non prima della fine del mese se non
addirittura posticipato alla prima settimana di dicembre. In questo caso al Senato resterebbero non più di tre
settimane per esaminare il provvedimento, che deve essere approvato definitivamente dal Parlamento entro il
31 dicembre, anche perché il ritorno a Montecitorio per una nuova lettura è quasi scontato. In ogni caso in
Commissione Bilancio non si comincerà a votare prima di giovedì o venerdì, come ha lasciato intendere il
relatore Mauro Guerra (Pd), anche perché le giornate di martedì e mercoledì saranno occupate dalle
ammissibilità e conseguente esito dei ricorsi.
Ieri sulla legge di stabilità si è soffermato anche il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. «Sicuramente
- ha detto Squinzi, parlando a margine del Salone Eicma - dalla legge di stabilità ci sono delle positività, come
la riduzione del costo del lavoro che rende più competitivo il nostro sistema manifatturiero del mercato
globale. Ci sono anche - ha aggiunto - delle criticità e per questo chiediamo che vengano prese in
considerazione, in modo particolare, alcune problematiche come gli scarsi fondi per ricerca e innovazione, il
finanziamento dei nuovi investimenti in macchinari e poi occorre un forte sostegno, che è venuto a mancare
nella formulazione ultima della legge di stabilità, all'internazionalizzazione delle nostre imprese».
Tornando alla questione del bonus Irpef per i nuclei numerosi, il vero scoglio da superare resta quello delle
risorse. Anche perché i saldi della "stabilità" sono assolutamente inviolabili. Per dare un primo segnale in
chiave di quoziente familiare servirebbero almeno 300 milioni. Zanetti ha lasciato intendere che uno dei
terreni esplorabili per il 2015 è quello del fondo famiglia da 500 milioni ipotecati per soli 300 milioni dal bonus
bebé. Ieri a chiedere al Governo un segnale chiaro è stata l'Associazione nazionale famiglie numerose nel
corso di una conferenza stampa promossa da Mario Sberna (Pi). Anche il presidente della commissione
Bilancio, Francesco Boccia (Pd), ha detto che il bonus da 80 euro deve tenere conto dei carichi familiari. Una
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Legge di stabilità. Nell'incontro con il premier focus anche su possibili ritocchi al pacchetto fiscale: tassazione
fondi pensione e casse di previdenza, nodo Tfr
06/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 10
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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delle ipotesi per racimolare la dote necessaria è quella di inserire nella "stabilità" una prima fetta del riordino
delle tax expenditures.
Intanto Raffaele Fitto, Daniele Capezzone e Rocco Palese hanno presentato quelli dei "fittiani" di Fi che
garantirebbero «quaranta miliardi di tasse in meno in 2 anni». I ritocchi spaziano dal taglio al 30% delle
aliquote Irap al mantenimento della tassazione agevolata sul Tfr in busta paga fino all'eliminazione degli
incrementi dell'accisa sulla birra e per le coperture propongono un taglio deciso alla spesa per acquisti di beni
e servizi della Pa e costi standard per la sanità.
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06/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Finmeccanica riduce le perdite (-80%)
Al rialzo i target 2014. Ma calano gli ordini del trimestre
PStef
Positivi i conti a settembre di Finmeccanica. L'utile netto, rispetto ai nove mesi del 2013, è passato da meno
236 milioni a meno 24, con un beneficio di 212 milioni (più 82%); i ricavi sono saliti dell'1,4% a 9.869 milioni,
l'Ebit di 384 milioni è superiore del 44% ai primi tre trimestri 2013. Gli ordini nel periodo sono cresciuti del
15,3%, a 9.353 milioni, e il portafoglio ordini complessivo è di 36.914 milioni di euro, con una copertura
superiore a due anni e mezzo di produzione, anche se nel solo terzo trimestre gli ordini sono calati del 29,3%.
Il risultato netto ordinario è stato positivo per 15 milioni (nel terzo trimestre 2013 era in rosso di 166 milioni).
Complessivamente bene sono andate le attività di elicotteri, aeronautica e trasporti, mentre i conti sono stati
frenati da perdite relative a un contratto della controllata Drs negli Stati Uniti. Il gruppo, su queste basi,
prevede ordini, ricavi ed Ebitda «superiori alle previsioni formulate in sede di predisposizione del bilancio
2013». Ieri in Borsa il titolo ha guadagnato il 3,84% (1,2% sopra il listino), a quota 7,03 euro. Il trimestre
chiuso a settembre è il primo interamente firmato da Mauro Moretti, insediatosi come amministratore delegato
in maggio. Lo spirito e l'azione portati dall'ex ad delle Fs sono stati positivi, in particolare per la forte
concentrazione sui risultati di business. La nuova gestione ha subito cominciato a rendere più efficienti e
funzionali i processi industriali e decisionali, riducendo le catene di comando e tagliando molti costi ritenuti
eccessivi o impropri. Sono oltre un centinaio i manager con cui è stato risolto il rapporto, mentre sono stati
azzerati o ridotti di numero i cda del gruppo; le nomine ora sono tutte fatte all'interno, così che per gli
amministratori non ci sono remunerazioni aggiuntive. Ogni manager delle singole società è stato (ed è)
oggetto di analisi approfondita. Moretti è un accentratore e ha portato nel gruppo - ormai l'unico grande
gruppo manifatturiero italiano - la certezza di un controllo stretto; al di là della riorganizzazione, questo fatto
ha portato complessivamente più tensione sugli obiettivi. Tra i capitoli aperti, il più attuale è quello che
riguarda la vendita di AnsaldoBreda, costruttore ferroviario, per la quale hanno già mostrato interesse la
giapponese Itachi e i cinesi Cne e Insigna; entro novembre sono attese le offerte vincolanti.
Foto: FIDUCIOSO L'ad Mauro Moretti. Ieri sono stati resi noti i dati del nove mesi del gruppo italiano che in
Borsa ha guadagnato il 3,84% [Ansa]
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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bilanci Positivi i conti dei primi nove mesi
06/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Sos della Cna: per le pmi batosta da un miliardo
DI SIMONA D'ALESSIO
D'Alessio a pag. 29 Doccia gelata (del valore di quasi un miliardo di euro) per le pmi: l'incremento «dal 4
all'8%» della ritenuta sui bonifi ci bancari riguardanti interventi di ristrutturazione e opere all'insegna dell'effi
cienza energetica, previsto dalla legge di stabilità, è «una sberla» per le realtà produttive del paese.A
denunciarlo Daniele Vaccarino, presidente della Cna, Confederazione nazionale dell'artigianato e della
piccola e media impresa, che parla di un'operazione che «ci lascia interdetti», perché raddoppiare la quota
spalmata sui bonifi ci collegati ai lavori nelle abitazioni e negli immobili delle aziende che danno diritto a
detrazioni fiscali causerà una sottrazione di liquidità stimata dallo stesso governo «in 920 milioni per il 2015».
Ed essendo la banca dati degli studi di settore «cristallina», poiché «su 100 euro di ricavi il reddito per
l'impresa è intorno ai 10 euro», la scelta operata nella manovra economica altro non signifi ca che «qualcuno
si è messo in testa di chiederci di anticipare l'80% del reddito». Il numero uno della Cna si pone, poi, una
domanda: «Forse si vuole una creazione forzosa di credito d'imposta talmente elevata da renderne diffi cile e
costoso il recupero?». Con la salita di 4 punti percentuali della ritenuta, sottolinea ancora, non si combatte
l'evasione fi scale, visto che basterebbe fi ssarla «allo 0,1%. Tanto», chiarisce Vaccarino, basta alle banche
«per comunicare all'Agenzia delle entrate il pagamento effettuato» dall'imprenditore. Il cantiere della legge di
stabilità all'esame del parlamento, nel frattempo, rimane in pieno fermento. E spunta, nelle ultime ore, l'ipotesi
di una sforbiciata al tetto per l'accesso delle famiglie al cosiddetto «bonus bebè»: il ministero dell'economia e
i tecnici di palazzo Chigi, infatti, starebbero vagliano l'opportunità di abbassare la soglia dei 90.000 euro di
reddito annuo al di sotto del quale si può richiedere il contributo di 80 euro al mese. Il confronto è vivace nella
maggioranza (il presidente della commissione bilancio, Francesco Boccia del Pd, auspica un «ragionamento
attento» sui destinatari della misura), e trapela l'orientamento alla base del possibile restyling, secondo cui i
soldi che si andrebbero a recuperare potrebbero essere sfruttati in altro modo, per esempio per garantire
l'inserimento di un quoziente familiare per il bonus Irpef (anch'esso, com'è noto, da 80 euro). Nel corso della
discussione di ieri sul provvedimento, in V commissione a Montecitorio, il relatore Mauro Guerra (Pd) osserva
come, sul fronte della riduzione della spesa, nel testo «si coglie lo sforzo per passare dai tagli lineari a
meccanismi di taglio meno ottusi e più selettivi». E ricorda come il contributo richiesto agli enti territoriali sia
«notevole» e occorra «salvaguardare sostenibilità in relazione all'esercizio delle funzioni fondamentali delle
amministrazioni e qualità dei tagli alla spesa, tali da non pregiudicare servizi ai cittadini e la possibilità di
rilancio di investimenti pubblici che costituiscono un contributo indispensabile alla ripresa». © Riproduzione
riservata
Foto: Il testo del ddl sul sito www. italiaoggi.it/documenti
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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LEGGE DI STABILITÀ
06/11/2014
MF - - atlante delle banche leader 2014
Pag. 4
(diffusione:104189, tiratura:173386)
PRONTE ALLA SFIDA EUROPEA
Ignazio Visctìr Governatore della Banca d'Italia
RAFFORZAMENTI PATRIMONIALI CON CAPITALI PRIVATI E QUALITÀ DEGLI ATTIVI, NELL'ANNO DI
ESORDIO DELL'UNIONE BANCARIA La normalizzazione dei costi del credito e la riduzione delle spese per
il finanziamento contrastano la debole ripresa del Pii ed il lento recupero della redditività attesa nche se i
risultati dell'Asset quality review potrebbero essere critici per alcuni istituti (i risultati ufficiali non sono ancora
noti al momento in cui questo Atlante va in stampa), all'indomani della decisione del governatore centrale,
Mario Draghi, di concedere finanziamenti agevolati da mille miliardi di euro in quattro anni per sostenere le
imprese del vecchio continente a tassi prossimi allo zero, gli esperti di Citigroup hanno subito alzato il rating
del sistema creditizio del Belpaese mostrando una certa dose di ottimismo sul futuro del sistema finanziario
della Penisola. «Le banche italiane hanno un'esposizione consistente alle obbligazioni sovrane (190% del
tangible bookvalue) e i prezzi hanno mostrato una forte correlazione con lo spread in passato», hanno
sottolineato gli analisti londinesi di Citigroup. Non solo. Il risultato della revisione della qualità degli attivi e
degli stress test non dovrebbe mostrare nuove sorprese negative, anche perché molte banche italiane si
sono già attrezzate con ricapitalizzazioni nel corso dell'estate scorsa». Secondo Citi, gli istituti di credito attivi
nello Stivale sarebbero inoltre dotati di un Rote (return on tangible equity) tra i più bassi in Europa e sotto il
livello storico, in progressivo miglioramento all'8% nel 2017 grazie alla normalizzazione dei costi del credito e
alla riduzione dei costi di finanziamento. «Gli istituti di credito italiani hanno mostrato trend incoraggianti nel
secondo trimestre del 2014», hanno aggiunto da Citigroup sottolineando, tuttavia, la presenza di una serie di
rischi sistemici pronti a rimescolare le carte: una più debole ripresa del Pii italiano, nessuna ripresa a medio
termine della crescita degli impieghi, un aumento degli spread sovrani, un più lento recupero della redditività
attesa, l'instabilità politica del Paese, una sorpresa negativa dall'Aqr (asset quality review) / stress test a
livello di singola banca e un rinnovato rischio geopolitico. La pensano diversamente gli esperti dell'agenzia di
rating, Fitch, secondo cui le operazioni di finanziamento Tltro della Bce, difficilmente saranno in grado di far
ripartire il credito nell'Europa meridionale, anche se l'iniziale richiesta di fondi può essere elevata. «La
propensione delle banche a concedere prestiti e la domanda di credito possono rimanere insoddisfatte a
prescindere dalle condizioni di politica monetarie esistenti», hanno avvertito gli analisti dell'agenzia di rating.
«E questo a causa del quadro complessivo dell'economia e delle imprese che vede una crescita debole, un
livello di indebitamento delle aziende ancora elevato e una competitivita relativamente bassa nel settore
corporate in gran parte dell'area». Secondo Fitch, dunque, le banche in Spagna, Italia, Portogallo e Grecia
sfrutteranno la possibilità di accedere ai prestiti a basso costo - fissati al tasso di riferimento della zona euro
(ridotto allo 0,05% lo scorso 4 settembre) più 100 punti base - con scadenza settembre 2018, sostiene
l'agenzia di rating. Tuttavia i fondi Tltro potrebbero essere utilizzati principalmente per sostituire gli esistenti
prestiti Ltro con scadenza a gennaio e febbraio 2015, e per rifinanziare altro funding all'ingrosso. Il
pessimismo di Fitch sul futuro del sistema bancario italiano non sembra andare a braccetto con l'analisi
dipinta dal presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, in occasione della consueta relazione annuale della propria
Associazione nel mese di luglio: «le nostre imprese bancarie hanno sopportato e continuano a subire da sole
gli effetti della crisi senza bad banks, senza aiuti di Stato e con alti livelli di tassazione», ha spiegato il
banchiere. «Questa situazione di emergenza, se si prolungas-. se, rischierebbe di compromettere la ripresa
italiana delle produzioni e dei servizi in un mondo globalizzato e in un'Europa fortemente integrata
economicamente, dove manca soprattutto l'unione fiscale, cioè l'uniformità delle regole fiscali». Visione
condivisa dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. «Negli anni difficili della crisi le banche italiane
hanno rafforzato significativamente la posizione patrimoniale. A differenza di quanto successo in molti altri
Paesi sviluppati, questo rafforzamento è avvenuto pressoché per intero con capitali privati. Il sostegno
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RAFFORZAMENTI PATRIMONIALI CON CAPITALI PRIVATI E QUALITÀ DEGLI ATTIVI, NELL'ANNO DI
ESORDIO DELL'UNIONE BANCARIA
06/11/2014
MF - - atlante delle banche leader 2014
Pag. 4
(diffusione:104189, tiratura:173386)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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finanziario diretto fornito dallo Stato italiano è stato molto limitato. Più ampio, invece, quello costituito da
forme di garanzia su passività bancarie. Non solo. Le cedole percepite sugli strumenti di patrimonializzazione
e, in misura maggiore, i premi a fronte delle garanzie hanno fruttato allo Stato guadagni per circa 2 miliardi di
euro. Il rafforzamento patrimoniale sta continuando, come richiesto anche dalle nuove regole sul capitale
delle banche (Basilea 3) in vigore nell'Unione Europea dallo scorso gennaio, ponendo gli intermediari nelle
migliori condizioni per tornare a finanziare adeguatamente l'economia». Nonostante questo, tuttavia, con la
recessione il numero di intermediari in crisi è cresciuto fortemente in Italia. Dal 2009 sono state sottoposte ad
amministrazione straordinaria 45 banche, su un totale di quasi 700, anche se le procedure hanno interessato
principalmente istituti di credito di dimensioni ridotte, tanto che le banche attualmente in amministrazione
straordinaria rappresentano circa l'I per cento del sistema in termini di attività. «In questi sei anni di crisi i
prestiti bancari in Italia sono passati dai 1.555 miliardi di euro dell'agosto 2008 ai 1.711 miliardi di euro
dell'aprile scorso con un picco nel luglio 2012 con 1.800 miliardi di euro», ha aggiunto Patuelli. «Oltre una
impresa su quattro è divenuta "deteriorata". Le sofferenze lorde nello stesso arco temporale sono passate da
43 a 166 miliardi di euro. Il complesso dei crediti deteriorati ha superato i 290 miliardi di euro (da 86,5 miliardi
di fine 2008). Situazione, questa, che è stata fronteggiata con giganteschi accantonamenti e con ben quasi
cinquanta miliardi di euro di aumenti di capitale, tutti privati e senza alcun intervento pubblico». Questi sono
elementi emblematici di sforzi esemplari di rafforzamento dì solidità, presupposti di ripresa dello sviluppo e
dell'occupazione. Non solo. In questi ultimi anni le banche italiane hanno attivato ogni tipo di iniziativa per
contrastare la crisi e hanno partecipato a molteplici accordi fra pubblico e privato: oltre 400mila piccole e
medie imprese hanno usufruito delle moratorie per oltre 20 miliardi di liquidità aggiuntiva, mentre oltre
centomila famiglie in difficoltà hanno avuto sospensioni dei mutui. A questo si aggiunga la collaborazione tra
la Cassa Depositi e Prestiti e le banche, per misure a sostegno di imprese e famiglie, che ha generato una
serie di accordi che hanno stanziato risorse per complessivi 22,5 miliardi di euro per accrescere la
competitivita produttiva italiana a cominciare dalle piccole e medie imprese, dal mercato immobiliare e dalla
ricostruzione a seguito di eventi sismici. «A dispetto del ruolo fondamentale giocato sulle banche nel
contrasto alla crisi, sugli istituti di credito in Italia, negli ultimi 5 anni, sono piovuti più di 670 provvedimenti
normativi (circa due e mezzo a settimana), sia di natura burocratica e regolamentare (con effetti sui sistemi
informatici, sulle procedure e quindi "non a costo zero"), sia con impatti economici importanti come riduzioni e
limitazioni alle commissioni e ai tassi di interesse, imposizioni di clausole contrattuali, revisioni alle basi
imponibili Ires e Irap, alterazioni di pre-esistenti assetti negoziali in contratti di durata, imposte variamente
definite di bollo, correzioni di normative sul calcolo degli interessi, sempre più gravosi anticipi di pagamenti di
imposte», ha continuato il presidente dell'Abi. «Il tutto in modo non organico, spesso senza proporzionalità,
senza un disegno economico di lungo periodo, creando incertezza del diritto e nel diritto, senza valutare
appieno gli effetti distorsivi che alcune scelte regolamentari generano sui comportamenti e sulle offerte di
servizi e prodotti». Ma esiste anche l'altra faccia della stessa medaglia, ovvero l'aumento di comportamenti
scorretti da parte di alcuni istituti di credito in tempi difficili. «La crisi ha fatto emergere comportamenti
inadeguati, imprudenti, talora scorretti da parte degli amministratori di alcune banche», ha aggiunto il
governatore Visco. «Nella grande maggioranza dei casi di crisi conclamata o di difficoltà, il deterioramento
degli equilibri aziendali è stato dovuto a carenze nel governo della banca e nel processo di erogazione del
credito. Su questi profili si è concentrato un terzo degli interventi di vigilanza effettuati nel 2013». Vigilanza
che dal prossimo mese di novembre sarà condotta a livello europeo. «Le banche identificate come rilevanti
saranno soggette a vigilanza accentrata, con il coordinamento della Banca centrale europea e la
partecipazione delle autorità nazionali, in un'ottica di condivisione delle responsabilità», ha continuato il
Governatore sottolineando come la supervisione sulle altre banche resterà comunque affidata alle autorità
nazionali, sulla base di criteri comuni stabiliti in ambito europeo. «La cooperazione tra i partecipanti al
meccanismo unico di vigilanza è condizione necessaria per garantire i più elevati standard di supervisione
per tutte le banche dell'area dell'euro», ha spiegato Visco chiarendo che le autorità nazionali svolgeranno un
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MF - - atlante delle banche leader 2014
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ruolo cardine sia a livello tecnico, concorrendo alla definizione e all'attuazione delle strategie di supervisione,
sia nell'ambito del Consiglio di vigilanza. «Al pari delle altre autorità nazionali, la Banca d'Italia contribuirà alle
decisioni su intermediari e sistemi bancari esteri», ha concluso Visco sottolineando come la vigilanza europea
verrà affiancata dal Meccanismo unico di risoluzione delle crisi, che diventerà pienamente operativo dal 2016.
Nel frattempo, tuttavia, il sistema creditizio dello Stivale sembra continuare a risentire dei venti di crisi che
spazzano l'Europa. Entrando nello specifico dei bilanci delle banche italiane, infatti, nell'ultimo anno la
dinamica dei prestiti ha manifestato un deciso rallentamento, strettamente connesso con la fase di
deterioramento ciclico dell'economia italiana, segnando tuttavia un lieve recupero dal mese di novembre
2013 in avanti. A fine aprile 2014, il totale dei prestiti a residenti in Italia (settore privato più amministrazioni
pubbliche) si collocava a 1.840,5 miliardi di euro, con una variazione annua di -2,9% (-4,5% a novembre
2013). A fine 2007, prima dell'inizio della crisi, i prestiti ammontavano a 1.673 miliardi, segnando da allora a
oggi un aumento in valore assoluto di oltre 167 miliardi. Lievemente negativa è risultata anche la variazione
annua dei prestiti a residenti in Italia al settore privato: -3,5% ad aprile 2014; -4,7% a novembre 2013. A fine
aprile 2014 risultavano pari a 1.574,3 miliardi dì euro. E cosa dire dei prestiti a famiglie e società non
finanziarie? Sempre a fine aprile, ammontavano a 1.427,8 miliardi, con una variazione annua del -2,1% (4,5% a novembre 2013), -1,7% nella media area euro (prima dell'inizio della crisi - a fine 2007 - l'ammontare
dei presti a famiglie e società non finanziarie ammontava a 1.450 miliardi, +150 circa da allora a oggi).
Guardando invece alle sofferenze, al prolungarsi del basso profilo delle attività produttive ha fatto riscontro,
nel 2013 e nei primi mesi di quest'anno, il peggioramento della qualità del credito. A seguito del perdurare
della crisi e dei suoi effetti, la rischiosità dei prestiti in Italia è ulteriormente cresciuta: le sofferenze lorde sono
risultate a luglio 2014 pari a 172,3 miliardi di euro dai 170,3 miliardi di giugno. Il rapporto sofferenze lorde su
impieghi ha raggiunto il 9% a luglio 2014 (7,2% un anno prima; 2,8% a fine 2007), valore che si spinge fino al
15,3% per i piccoli operatori economici (12,9% a luglio 2013; 7,1% a fine 2007), il 14,8% per le imprese
(11,3% un anno prima; 3,6% a fine 2007) ed il 6,6% per le famiglie consumatrici (6% a luglio 2013; 2,9% a
fine 2007). Anche le sofferenze nette hanno registrato un aumento, passando dai 77 miliardi di giugno ai 78,2
miliardi di luglio. Il rapporto sofferenze nette su impieghi totali è risultato pari al 4,30% a luglio dal 4,22% di
giugno 2014 (3,85% a luglio 2013; 0,86%, prima dell'inizio della crisi). E cosa dire della raccolta? Nell'ultimo
anno la dinamica dell'attività ha tenuto in Italia. A fine aprile 2014 la raccolta denominata in euro da clientela
del totale delle banche italiane, rappresentata dai depositi a clientela residente e dalle obbligazioni (al netto di
quelle riacquistate da banche) è stata di circa 1.722 miliardi di euro, segnando una variazione annua di -1,3%
(+1,2% ad aprile 2013). Prima dell'inizio della crisi - a fine 2007 - l'ammontare della raccolta si ragguagliava a
circa 1.513 miliardi di euro (+209 miliardi dalla fine del 2007 a oggi). Dati questi presupposti, cosa si prevede
per il futuro del sistema bancario italiano? A questa domanda hanno cercato di dare una risposta gli esperti di
Bankitalia. «Dagli ultimi mesi dello scorso anno il flusso di nuove sofferenze ha iniziato a ridursi. L'esperienza
insegna tuttavia che la ripresa economica determinerà miglioramenti della qualità del credito con ritardo e in
modo graduale. Per far fronte agli accantonamenti che saranno ancora necessari occorre un ulteriore
aumento dell'efficienza del sistema bancario. La razionalizzazione della rete di sportelli sta iniziando a
incidere sui costi operativi, ma vi sono ancora ampi spazi di miglioramento nell'utilizzo della tecnologia». Non
solo. L'aumento del grado di concorrenza nel mercato bancario che scaturirà, su scala europea, dal
passaggio a una vigilanza unitaria spingerà verso un ripensamento dei modelli di attività, dell'organizzazione
e dell'assetto distributivo. Aggregazioni fondate su solidi presupposti economici e su logiche di mercato
potranno facilitare i processi di recupero di efficienza. «Le banche dovranno ridurre la consistenza delle
partite deteriorate, al fine di liberare le risorse necessarie per finanziare l'economia», hanno aggiunto gli
analisti di via Nazionale, «Anche l'incremento delle rettifiche di valore, traducendosi in un calo del prezzo che
le banche sono disposte ad accettare per cederli, favorisce la ripresa di questo mercato». Segnali
incoraggianti sono arrivati anche dalle recenti modifiche alla normativa sulla tassazione delle perdite su
crediti, che hanno attenuato, pur non eliminandoli, i forti disincentivi fiscali alla valutazione prudente dei rischi
06/11/2014
MF - - atlante delle banche leader 2014
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(diffusione:104189, tiratura:173386)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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presenti nel nostro ordinamento.
PER UTILI MEDIOLANUM UBI BANCA B.CA MEDIOLANUM CARIPARMA B.CA IMI C.RISP.ASTI B.CA
GENERALI CRED.EMILIANO FINDOMESTIC BANCA B.CANAZ.LAV0RO B.CA IFIS FEDERAZIONE ALTO
ADIGE IST.CENTR.B.POPOLARI B.CAPOP.SONDRIO FEDERAZIONE LAZIO ICCREA HOLDING B.CA
SELLA HOLDING B.CAP0P.MILAN0 FEDERAZIONE PIEMONTE DEUTSCHE BANK IT FEDERAZIONE
PUGLIA IBL BANCA FEDERAZIONE CAMPANIA FEDERAZIONE FRIULANA B.CO SARDEGNA
PERCASHFLOW UBI BANCA MEDIOLANUM B.CA MEDIOLANUM CARIPARMA C.RISP.ASTI B.CA NAZ.
LAVORO B.CA GENERALI CRED.EMILIANO
B.CA IMI FINDOMESTIC BANCA
B.CAPOP.EMILIAROMAGNA IST.CENTR.B.POPOLARI B.CAPOP.MILANO B.CAPOP.SONDRIO
FEDERAZIONE ALTO ADIGE B.CA IFIS B.CA SELLA HOLDING DEUTSCHE BANK IT FEDERAZIONE
LAZIO ICCREA HOLDING CRED.VALTELLINESE FEDERAZIONE PIEMONTE B.CO SARDEGNA
FEDERAZIONE PUGLIA FEDERAZIONE FRIULANA
I gruppi al top per utili e cash flow Dati in milioni di euro [millions of euro] La classifica completa è a pag. 64
L'ATLANTE DELLE BANCHE LEADER 2014 A chi va la torta degli utili
La distribuzione del reddito netto 2013 tra i primi 50 gruppi bancari
4.687,0
milioni di euro
var. -9,94% B.POP. SONDRIO IST.CENTR. B.POPOLARI 1.56 FEDERAZ. ALTO ADIGE 1,57 BANCA IFIS
1,81 B.NAZ. LAVORO 1,95 FINDOMESTIC BANCA 2.00 CRED. EMILIANO 2,47 BANCA GENERALI 3,01
CRIBRASTI 3,06 B.CAIMI 3,13 CARIPARMA 3,21 UBI BANCA 5,35 MEDIOLANUM 7,18
La redditività per dimensione VARIAZIONE % DEL MARGINE DI INTERMEDIAZIONE 1YEAR %
CHANGE IN INTERMEDIATÌON MARGIN MEDIE (S.P.A. DA3A20MLD.] MAGGIORI [S.P.A. SOPRA 50
MLD.) POPOLARI MINORI IS.P.A. SOTTO 13 MLD.) PARABANCARIO GRANDI (S.P.A. DA 20 A 50 MLD.)
CREDITO COOPERATIVO INVESTMENT BANKS CASSE DI RISPARMIO VARIAZIONE % DELL'UTILE
NETTO A UNNO 1 YEAR % CHANGE IN NET PROFIT PARABANCARIO CREDITO COOPERATIVO
POPOLARI INVESTMENT BANKS GRANDI IS.P.A. DA 20 A 50 MLD.] MINORI (S.P.A. SOTTO 13 MLD.)
MEDIE IS.P.A. DA 3 A 20 MLD.] CASSE DI RISPARMIO MAGGIORI IS.P.A. SOPRA 50 MLD.] VARIAZIONE
% DELL'UTILE NETTO A3 ANNI 3 YEAR% CHANGE IN NET PROFIT CREDITO COOPERATIVO
INVESTMENT BANKS GRANDI (S.P.A. DA 20A 50 MLD.] PARABANCARIO POPOLARI MEDIE IS.P.A. DA
3 A 20 MLD.] MINORI IS.P.A. SOTTO I 3 MLD.) CASSE DI RISPARMIO MAGGIORI IS.P.A. SOPRA 50
MLD.)
Come sì ripartisce lutile 2013 GRUPPI UN MIGLIAIA DI EURO] CASSA DEP.E PRESTITI MEDIOLANUM
UBI BANCA CARIPARMA B.CAIMI C.RISP.ASTI BANCA GENERALI CRED.EMILIANO FINDOMESTIC
BANCA B.NAZ.LAVORO BANCA IFIS FEDERAZ. ALTO ADIGE IST.CENTR.B.POPOLARI
B.POP.SONDRIO ALTRI TOTALI
Sono le aziende del parabancario le regine della redditività, sia in termini di roa % e di ritorno sui mezzi
amministrati, che di variazione dell'utile. Non si arrende il credito cooperativo, che conquista il primato per roe
% e contiene al meglio la flessione dell'utile nel triennio.
UTILE NETTO % /PATRIMONIO MEDIO ROE % CREDITO COOPERATIVO INVESTMENT BANKS
POPOLARI GRANDI 1S.P.A. DA 20 A 50 MLD.) PARABANCARIO MINORI (S.P.A. SOTTO I 3 MLD.]
CASSE DI RISPARMIO MAGGIORI IS.P.A. SOPRA 50 MLD.] MEDIE (S.P.A. DA 3A 20 MLD.]
MARGINE DI INTERMEDIAZ. % /MEZZI AMMINISTRATI INTERMEDIAT. MARGIN %/ADMINISTERED
FUNDS PARABANCARIO MINORI (S.P.A. SOTTO I 3 MLD.) GRANDI (S.P.A. DA 20 A 50 MLD.) CREDITO
COOPERATIVO CASSE DI RISPARMIO POPOLARI MEDIE (S.P.A. DA 3A 20 MLD.) MAGGIORI (S.P.A.
SOPRA 50 MLD.) INVESTMENT BANKS
RISULTATO DI GESTIONE % /TOTALE ATTIVO ROA % PARABANCARIO MINORI (S.P.A. SOTTO I 3
MLD.) POPOLARI INVESTMENT BANKS CASSE DI RISPARMIO GRANDI IS.P.A. DA 20 A 50 MLD.]
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MAGGIORI (S.P.A. SOPRA 50 MLD.) MEDIE IS.P.A. DA 3A 20 MLD.) CREDITO COOPERATIVO
La radiografia per segmento di business COMPARTO (DATI IN MIGLIAIA DI EURO) MAGGIORI (S.P.A.
SOPRA 50 MLD.) POPOLARI INVESTMENT BANKS CASSE DI RISPARMIO CREDITO COOPERATIVO
GRANDI IS.P.A. DA 20 A 50 MLD.) MEDIE (S.P.A. DA 3A 20 MLD.l MINORI (S.P.A. SOTTO I 3 MLD.)
PARABANCARIO TOTALI ìSHBS
Foto: Giovanni Gorno Tempini a.d. della Cassa Depositi e Prestiti
Foto: Antonio Patuelli presidente dell'Abi
Foto: Salvatore Rossi direttore generale della Banca d'Italia
06/11/2014
La Notizia
Giornale
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La ritenuta sui bonifici bancari collegati alle opera zioni di ristrutturazione ed efficientamento energe tico delle
abitazioni e delle imprese che danno dirit to alle detrazioni fiscali raddobbia dal 4 all'8%. Una sberla - ha
denunciato ieri il presidente della Cna Daniele Vaccarino - che secondo una stima dello stesso Governo sfila
alle piccole imprese 920 milioni di euro". Vaccarino ha fatto notare che su 100 euro di ricavi il reddito per
l'impresa è intorno ai 10 euro, come risulta dalla banca dati degli studi di settore. Per Vaccarino il raddoppio
dell'imposta significa "chiedere alle imprese di anticipare l'80% del reddi to. Forse - ha aggiunto - si vuole una
creazione forzo sa di credito d'imposta talmente elevata da renderne difficile e costoso il recupero? E dire che
anche per combattere l'evasione basterebbe una ritenuta dello 0,1%, quanto serve alle banche per
comunicare alle Entrate il pagamento effettuato dall'impresa".
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 06/11/2014
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Spunta la tassa occulta sulle ristrutturazioni La denuncia della Cna