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CONFIMI
Rassegna Stampa del 04/07/2014
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INDICE
CONFIMI
03/07/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale
Fattura elettronica: Confimi chiede il software gratuito
7
03/07/2014 Prima Pagina - Modena
Confimi Impresa: sia la Pa a fornire il software per le fatture elettroniche
9
CONFIMI WEB
03/07/2014 oipamagazine.it 09:45
Confimi Impresa: sia la Pa a fornire gratuitamente il software per le fatture
elettroniche
11
SCENARIO ECONOMIA
04/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Conti, gelo tedesco sull'Italia
13
04/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale
perché Draghi ora insiste su Famiglie e imprese
15
04/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Draghi: banche, fusioni e chiusure in arrivo
16
04/07/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Le Fondazioni e il welfare del territorio Guzzetti: «Le tutele vanno rese più eque»
17
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Draghi: mille miliardi per i crediti
19
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Ora il mercato guarda solo a Francoforte
21
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
La Germania sceglie il salario minimo da 8,5 euro
23
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Rigore, Bundesbank attacca Renzi
25
04/07/2014 La Repubblica - Nazionale
Matteo: l'Europa non è dei banchieri
27
04/07/2014 La Repubblica - Nazionale
La Bundesbank attacca Renzi "Ci dice cosa fare"
29
04/07/2014 La Repubblica - Nazionale
Case, crollano i prezzi -10,4% in quattro anni pesano crisi e tasse
30
04/07/2014 La Stampa - Nazionale
Equitalia riapre le rate anche a chi è rimasto indietro
32
04/07/2014 MF - Nazionale
Fiat accelera verso Wall Street Assemblea a inizio agosto, prospetto in Sec
33
04/07/2014 MF - Nazionale
Renzi non porta in Ue i pensionati del sistema
34
04/07/2014 L'Espresso
Così la Germania può salvarci
35
04/07/2014 L'Espresso
Web tax, l'Ue sfida Google
36
04/07/2014 L'Espresso
Premiata ditta Uby & friends
39
04/07/2014 L'Espresso
Un paradosso chiamato simest
41
SCENARIO PMI
04/07/2014 Corriere della Sera - Brescia
Dai pozzi di petrolio allo shale gas La geopolitica secondo Oms Saleri
45
04/07/2014 Corriere della Sera - Milano
Un ragazzo su 5 non studia né lavora Effetto-crisi: «Ma non scoraggiatevi»
47
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Nell'agenda il «rinascimento industriale»
49
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Italia hub farmaceutico europeo
50
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
La manifattura e i servizi ristagnano
52
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
Fino a 100mila euro di bonus sui brevetti delle micro-imprese
55
04/07/2014 Il Sole 24 Ore
La concia investe il 6% in ricerca
57
04/07/2014 Il Manifesto - Nazionale
Lavori in corso e ripensamenti, a che punto è il Jobs Act?
59
04/07/2014 Il Manifesto - Nazionale
Un'idea di Baviera con Prato capitale
61
04/07/2014 Business People
GLI INGREDIENTI DEL SUCCESSO? FIDUCIA E FORMAZIONE
62
04/07/2014 Business People
VERSO UN MERCATO DA 140 MILIARDI
63
04/07/2014 Business People
BENVENUTI A OCCHIALAND
64
CONFIMI
2 articoli
03/07/2014
Gazzetta di Modena - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:10626, tiratura:14183)
Fattura elettronica: Confimi chiede il software gratuito
Fattura elettronica:
Confimi chiede
il software gratuito
ALL'AGENZIA ENTRATE
Dal 6 giugno è operativo l'obbligo di emettere la fattura elettronica verso alcune pubbliche amministrazioni
con un metodo informatico che richiede complesse procedure per la conservazione sostitutiva. Le aziende
dovranno quindi rivolgersi a delle software house che offrono tali servizi a pagamento. «Una procedura afferma Confimi Impresa - iniqua, un ulteriore aggravio di costi. Chiediamo all'Agenzia delle Entrate e alla
Sogei (deputate a gestire il servizio di interscambio fra fornitori e Pubblica Amministrazione) di realizzare un
servizio gratuito di conservazione sostitutivo a norma».
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Fattura elettronica: Confimi chiede il software gratuito ALL'AGENZIA ENTRATE
03/07/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 19
ROMA Dal 6 giugno è operativo l'obbligo di emettere la fattura elettronica verso alcune Pubbliche
Amministrazioni attraverso un metodo informatico che richiede complesse procedure per la conservazione
sostitutiva che rispetti la normat iva . Le aziende dovranno quindi rivolgersi a delle software house che offrono
tali servizi a pag amento. Confimi Impresa ritiene iniqua tale procedura e un ulteriore aggravio di costi e
chiede all'Agenzia delle Entrate e alla SOGEI (deputate a gestire il servizio di interscambio fra fornitori e
Pubblica Amministrazione) di realizzare un servizio gratuito di conservazione sostitutivo a norma. Questa
assenza, peraltro, appare tanto più strana laddove, invece, i fornitori iscritti al MEPA (mercato elettronico
della Pubblica Amministrazione) hanno invece il software per generare la fattura e la conservazione, fatta dal
ministero, in maniera completamente gratuita. Confimi Impresa pertanto, nei prossimi giorni, invierà
all'Agenzia delle entrate, al Ministero dell'Economia e delle Finanze e al Ministero dello Sviluppo Economico
la richiesta di rendere facoltativo (e non obbligatorio) il processo di conservazione sostitutiva a norma.
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Confimi Impresa: sia la Pa a fornire il software per le fatture elettroniche
CONFIMI WEB
1 articolo
03/07/2014
09:45
oipamagazine.i
t
Sito Web
Dal 6 giugno è operativo l'obbligo di emettere la fattura elettronica verso alcune Pubbliche Amministrazioni
attraverso un metodo informatico che richiede complesse procedure per la conservazione sostitutiva che
rispetti la normativa. Le aziende dovranno quindi rivolgersi a delle software house che offrono tali servizi a
pagamento.
Confimi Impresa ritiene iniqua tale procedura e un ulteriore aggravio di costi e chiede all'Agenzia delle Entrate
e alla SOGEI (deputate a gestire il servizio di interscambio fra fornitori e Pubblica Amministrazione) di
realizzare un servizio gratuito di conservazione sostitutivo a norma.
Questa assenza, peraltro, appare tanto più strana laddove, invece, i fornitori iscritti al MEPA (mercato
elettronico della Pubblica Amministrazione) hanno invece il software per generare la fattura e la
conservazione, fatta dal ministero, in maniera completamente gratuita.
Confimi Impresa pertanto, nei prossimi giorni, invierà all'Agenzia delle entrate, al Ministero dell'Economia e
delle Finanze e al Ministero dello Sviluppo Economico la richiesta di rendere facoltativo (e non obbligatorio) il
processo di conservazione sostitutiva a norma.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Confimi Impresa: sia la Pa a fornire gratuitamente il software per le fatture
elettroniche
SCENARIO ECONOMIA
18 articoli
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Conti, gelo tedesco sull'Italia
Renzi: l'Europa non è dei banchieri di Berlino ma dei cittadini
Guerzoni, Lepri
Il discorso di Renzi per l'avvio del semestre Ue orientato sulla flessibilità non piace alla Germania. Il ministro
Schäuble rifiuta il tema. Il presidente della Bundesbank ironizza sulle lezioni di Renzi. Il premier: l'Europa è
dei cittadini, non dei banchieri tedeschi. ALLE PAGINE 2 E 3 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO - Italia ancora una volta sul banco degli imputati, al Forum economico della Cdu, il partito di Angela
Merkel, dove è stato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann a rivendicare, con toni molto duri, le
ragioni del rigore e delle necessità di tenere i conti in ordine, chiamando in causa direttamente il presidente
del Consiglio Matteo Renzi. Ma anche il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, a pochi giorni dal vertice
di Bruxelles, è stato molto rigido sul tema dei margini di manovra da utilizzare nel quadro del Patto di stabilità
che era stato al centro del Consiglio europeo di fine giugno. «Rifiuto il tema della flessibilità», ha detto al
convegno il «vecchio leone» cristiano-democratico, aggiungendo che «bisogna attenersi a quello che è stato
concordato». «Ho parlato con il mio collega italiano Pier Carlo Padoan martedì e la questione che abbiamo
affrontato - ha spiegato - era come si può migliorare l'implementazione in alcuni Paesi». La posizione del
guardiano della casse tedesche è che i programmi ci sono, ma vanno realizzati. Come aveva fatto già il
giorno precedente, ha indicato come esempio i fondi per le iniziative europee contro la disoccupazione. «Dei
sei miliardi non è stato spesso nemmeno un euro».
Weidmann ha citato Renzi esplicitamente, dicendo agli esponenti dell'economia e della politica riuniti a
Berlino dai cristiano-democratici che «il premier italiano afferma che la fotografia dell'Europa è il volto della
noia e ci dice anche cosa dobbiamo fare». Sembrava quasi la replica degli attacchi lanciati a Strasburgo dal
capogruppo del Ppe, il cristiano-sociale Manfred Weber. La grande paura del numero uno della Bundesbank
è quella che i Paesi che spingono per promuovere la crescita facciano nuovi debiti. «Non è questo il
presupposto della crescita», ha affermato, sottolineando con forza il rischio che «i tassi bassi non vengano
usati per fare le riforme ma per finanziare altre spese». «Si tratta di verificare - è stato un altro passaggio del
suo discorso - che le riforme vengano effettivamente fatte, non solo annunciate». Queste parole, come quelle
di Weber del giorno precedente, non sono piaciute al governo italiano che ha fatto sapere in serata che
«l'Europa non è dei banchieri tedeschi, ma dei cittadini europei. Se la Bundesbank pensa di farci paura forse
ha sbagliato Paese. Sicuramente, ha sbagliato governo». «Non prendiamo lezioni da nessuno» aveva
replicato mercoledì al capogruppo del Ppe Renzi, che ieri ha incontrato Padoan per fare il punto in vista
dell'incontro con i membri della Commissione e dell' Ecofin. Poco importa, forse, che Schäuble abbia tenuto a
precisare che il governo di Berlino «non vuole, come alcuni scrivono, un'Europa tedesca, ma un'Europa
forte» e che la Germania deve essere realista, tenendo conto degli equilibri politici generali, perché
«sicuramente non starebbe meglio senza l'euro».
Il convegno cristiano-democratico si era aperto, in realtà, con un intervento abbastanza prudente della
cancelliera, che aveva insistito sull'importanza del pareggio di bilancio nei conti pubblici che la Germania
raggiungerà nel 2015, definendolo «un cambio di paradigma nella nostra storia, che deve essere mantenuto
anche nel futuro». La parte centrale del discorso della cancelliera è stata dedicata ai negoziati per l'accordo
di libero scambio con gli Stati Uniti che «devono essere velocizzati, perché si tratta di un obiettivo
importante». Al forum era presente anche il primo ministro irlandese Enda Kenny, uno degli uomini a cui
guardava Berlino per gli incarichi di vertice nell'Unione, secondo cui «bisogna lavorare» perché Londra non si
allontani dall'Ue. Il presidente della Bce Mario Draghi non è potuto intervenire, ma il confronto a distanza con
i «falchi» tedeschi registra un'intervista al Wall Street Journal del presidente dell'Ifo Hans-Werner Sinn,
secondo cui Eurotower agisce «al di fuori del suo mandato».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il presidente della Bundesbank: non bastano gli annunci. Il ministro Schäuble: no alla flessibilità
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Paolo Lepri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Al Colle Il capo dello Stato Giorgio Napolitano accoglie il presidente della Commissione europea José
Barroso, il ministro degli Esteri Federica Mogherini e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro
Gozi all'incontro con il Collegio dei Commissari europei
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
perché Draghi ora insiste su Famiglie e imprese
FRANCESCO DAVERI
Mario Draghi tiene la barra dritta sulla crescita. Questa Europa che a stento vede la ripresa ha spinto il
presidente della Banca centrale a tenere aperta la porta
(e a dirlo con chiarezza),
a possibili nuove misure
di stimolo all'economia.
E a confermare che i tassi di interesse rimarranno bassi a lungo. Questo nonostante i malumori tedeschi resi
evidenti ieri dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.
Weidmann ha ribadito come mantenere un costo del denaro basso può allentare la pressione su quei Paesi
che hanno bisogno di fare le riforme e risanare i bilanci.
Non è stato un appuntamento di routine, tanto più che il presidente della Bce ha anche annunciato che le
riunioni di Francoforte si terranno ogni sei settimane e non più ogni mese. Si allunga quindi l'analisi del ciclo
economico e soprattutto si evitano le aspettative eccessive dei mercati. Dal prossimo anno, sulla falsariga di
quanto già fa la Federal Reserve americana, saranno poi resi pubblici le minute e i verbali delle riunioni a
intervalli di tempo tali da non creare confusione sempre sui mercati.
La conferma dei lavori in corso per nuovi stimoli all'economia è stato il piatto forte. Il lancio di un programma
di acquisto di cartolarizzazioni (titoli obbligazionari emessi a fronte di crediti, beni e via dicendo, i cosiddetti
Abs) riguarda un mercato tutt'altro che inesistente (già oggi vicino ai 1400 miliardi, un quinto di quello
americano). E quel lancio potrebbe permettere di garantire liquidità all'economia in maniera trasparente, così
come accaduto in America con gli acquisti della Fed.
A più riprese, anche nella conferenza stampa seguita alla riunione, Draghi ha riaffermato l'unanimità del
consiglio sulla possibilità di intraprendere un programma non convenzionale di acquisto diretto di titoli sui
mercati finanziari se i prezzi dovessero continuare a scendere mantenendo l'inflazione sotto le attese e le
proiezioni di medio termine. Il presidente della Bce ha poi dato altri dettagli sul nuovo programma di
rifinanziamento delle banche finalizzato a favorire il ritorno del credito all'economia, indicando con maggiore
precisione il modo nel quale la Bce terrà sotto controllo la volontà e la capacità degli istituti di destinare i fondi
ricevuti alle imprese e alle famiglie e non a investimenti in titoli pubblici come nel 2011-12.
Infine un allarme. La possibilità che si arrivi a nuove fusioni e acquisizioni tra banche come parte del
processo di ritorno a un normale funzionamento del mercato del credito europeo. Il tutto per ricordare una
verità elementare: per fare credito, alle banche non serve solo la liquidità ma anche il capitale di
accantonamento, il patrimonio, che serve a sostenere eventuali perdite. Altrimenti le iniezioni di liquidità
rischiano di rimediare a problemi contingenti senza evitare il rischio di crisi future .
Francesco Daveri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La Banca centrale
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La Bce: mille miliardi per famiglie e imprese. Verranno pubblicati i resoconti delle riunioni Il presidente «Se
dovessero cambiare le stime sui prezzi, useremmo il piano di acquisti di bond su larga scala»
Stefania Tamburello
ROMA - Il programma di prestiti alle banche europee destinati a finanziare famiglie e imprese (Tltro) potrà
raggiungere i 1000 miliardi di euro. Nel dare la cifra, il presidente della Bce, Mario Draghi ha annunciato che
le operazioni saranno otto: la prima è fissata per il 18 settembre, l'ultima per il giugno del 2016. Nella riunione
di ieri il Consiglio direttivo della banca centrale europea che ha lasciato - come era nelle attese dei mercati - i
tassi di interesse invariati allo 0,15%, ha anche preso importanti decisioni per quel che riguarda la sua stessa
operatività. Da gennaio prossimo infatti le decisioni di politica monetaria del Consiglio saranno valutate e
prese ogni sei settimane, rispetto alle quattro attuali, e di tali riunioni saranno diffusi i resoconti, al pari di
quanto già avviene nelle altre banche centrali a cominciare dalla Federal Reserve Usa.
Draghi, che come di consueto ha fatto il punto sulla congiuntura europea («la ripresa è rimasta moderata») si
è anche soffermato sulla situazione del sistema bancario europeo che la Bce ha messo sotto osservazione
con la verifica degli attivi di bilancio e gli stress test in vista dell'avvio della vigilanza unica europea. «Non si
può escludere» che in futuro ci sia bisogno di «un importante sforzo di riorganizzazione del settore bancario
attraverso fusioni, acquisizioni e chiusure» ha detto Draghi riferendosi alle conclusioni di un rapporto,
pubblicato recentemente dal Cers (il Comitato europeo per il rischio sistemico presieduto dallo stesso Draghi)
secondo cui l'Europa sarebbe appesantita da un numero eccessivo di banche. «Si tratta di una questione
importante che dovrà essere analizzata in profondità» anche se la Bce o i supervisori del Cers non sono le
autorità «più giuste per imporre un tale cambiamento» e «non saranno attori diretti di questo processo».
I primi prestiti a lungo termine alle banche partiranno dunque il 18 settembre ed è prevista a stretto giro, per
l'11 dicembre, una seconda operazione. Nel 2015 i prestiti saranno concessi trimestralmente a partire da
marzo e nel 2016 vi saranno due operazioni, in marzo e giugno. I dettagli del programma sono ancora allo
studio e la cifra di 1000 miliardi ipotizzata dal numero uno della Bce è indicativa ed è tutto da vedere se
riuscirà a finire per intero all'economia. «Spetterà alle banche cogliere l'opportunità», ha detto il banchiere
centrale italiano illustrando il meccanismo che verrà utilizzato da Francoforte per evitare che i prestiti a lungo
termine, concessi a condizioni super vantaggiose, siano utilizzati per altri scopi, fosse solo per acquistare titoli
di Stato o per finanziare mutui o investimenti immobiliari. «Le banche dovranno ridare i soldi indietro» ha
detto. E lo dovranno fare per intero entro settembre 2016 se non avranno rispettato entro il 30 aprile 2016 gli
obiettivi minimi di prestiti all'economia reale, come precisa un documento tecnico della Bce. Inizialmente,
comunque, gli istituti di credito europei potranno prendere a prestito un importo equivalente al 7% di una
specifica parte dei loro impieghi.
«Il nostro lavoro non è finito», ha sottolineato infine Draghi spiegando che l'allungamento della cadenza delle
riunioni di politica monetaria del Consiglio direttivo è motivata anche dall'opportunità di evitare aspettative
mensili sull'azione della Bce. In ogni caso il Consiglio è unanime nel suo impegno a mantenere «i tassi di
interesse all'attuale livello per lungo tempo» e «ad usare misure non convenzionali», come un acquisto ampio
di titoli, «se dovesse cambiare la valutazione sull'inflazione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gli aumenti di capitale Monte dei Paschi Banco Popolare Popolare di Vicenza Carige Popolare E. Romagna
Popolare di Milano Veneto Banca Credito Valtellinese Popolare di Sondrio Le principali operazioni degli istituti
di credito italiani nel 2014. Dati in milioni 5.000 1.500 1.000 800 750 500 500 400 350 D'ARCO 0 1.000 2.000
3.000 4.000
Foto: Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ieri alla tradizionale conferenza stampa
dell'Authority
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
16
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Draghi: banche, fusioni e chiusure in arrivo
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Le Fondazioni e il welfare del territorio Guzzetti: «Le tutele vanno rese più
eque»
Rita Querzé
Non solo proprietarie di pacchetti di azioni degli istituti di credito. Le fondazioni bancarie sono anche altro.
Veri e propri motori del welfare di comunità. Una definizione astratta che nasconde interventi concretissimi:
sostegno per i disabili, alloggi per chi non ha risorse per pagarsi un tetto, programmi per l'integrazione dei
migranti, aiuti a chi perde il lavoro.
E' esattamente questo che hanno voluto rimarcare ieri le fondazioni bancarie rappresentate dalla loro
associazione, l'Acri, durante una tavola rotonda organizzata a Roma insieme con Assifero, l'associazione
degli enti di erogazione non bancaria. Tema dell'incontro: «Welfare di comunità: il ruolo delle fondazioni».
Per dare le dimensioni del contributo delle fondazioni bancarie all'offerta di welfare, basterà ricordare che
questi enti hanno messo sul piatto nel 2013 293 milioni di euro per assistenza sociale, salute pubblica e
volontariato. Una cifra sostanzialmente stabile rispetto all'anno precedente (nel 2012 si toccò quota 296
milioni). Ma non c'è solo il welfare. Le fondazioni sostengono anche arte e cultura, ricerca scientifica. In
media, nonostante la crisi, negli ultimi anni hanno mobilitato cifre che si aggirano sul miliardo di euro.
In tempi di welfare pubblico sempre più a corto di risorse, le fondazioni bancarie sono ben consce del loro
contributo. Vogliono andare oltre il semplice ruolo di finanziatori pe si propongono come luogo di
elaborazione di idee, istanze e modelli. Non a caso ieri il presidente dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, non ha
mancato di fare qualche appunto all'attuale sistema di welfare. «Ci sembra da correggere - ha detto Guzzetti
- la scelta di assegnare una parte rilevante delle prestazioni pubbliche sotto forma di trasferimenti monetari
alle persone e alle famiglie, generalmente erogate dall'Inps senza alcun coordinamento con i Comuni». Il
presidente dell'Acri ha anche fatto notare come il sistema del welfare risulti fortemente sbilanciato a favore
dei lavoratori con occupazioni stabili, a svantaggio dei precari.
Le fondazioni bancarie stanno investendo molto in questi anni nel welfare di comunità, proponendosi nel
ruolo di facilitatrici di alleanze di territorio per la promozione della coesione sociale. Non a caso
nell'assemblea dello scorso maggio l'Acri ha elaborato delle linee guida destinate alle associate per operare
in termine di attivazione di reti.
Ieri Guzzetti ha manifestato apprezzamento per la riforma che il governo sta mettendo a punto sul terzo
settore. «Intendiamo mettere a disposizione l'esperienza e la competenza che abbiamo maturato per fornire
un contributo alla discussione e alla elaborazione della normativa», ha detto il presidente dell'Acri. Un
passaggio importante è atteso anche dall' Europa. Con l'elaborazione di uno statuto europeo delle fondazioni
che non è escluso possa avvenire proprio durante il semestre italiano.
rquerze
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I temi
I numeri nella Ue:110 mila enti
1
Nella Ue operano più di 110 mila fondazioni di pubblica utilità, con un patrimonio complessivo di circa 350
miliardi
Lo statuto europeoin via d'approvazione
2
È in dirittura d'arrivo l'approvazione di uno statuto europeo delle fondazioni per uniformare le regole
L'appuntamentodi ottobre
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
17
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Terzo Settore Le erogazioni per la coesione sociale sono state pari a 293 milioni. «La riforma? Un primo
passo»
04/07/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
3
Il primo ottobre si terrà la seconda edizione della Giornata europea delle Fondazioni
Foto: Convegno Felice Scalvini (Assifero) con Giuseppe Guzzetti (Acri)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
18
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Draghi: mille miliardi per i crediti
«E pronti ad acquistare bond pubblici se i prezzi non risalgono»
La Bce adotterà nuove misure per la crescita. Da settembre 8 operazioni "Tltro" per rilanciare i crediti a
imprese e famiglie, la nuova liquidità potrà arrivare a mille miliardi. Il presidente, Mario Draghi: «Pronti ad
acquistare bond pubblici se i prezzi non risalgono». Da gennaio riunioni Bce solo ogni sei settimane.Merli,
Carlini u pagina 3,
con l'analisi di Riccardo Sorrentino Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
La Banca centrale europea arriverà a prestare alle banche nei prossimi due anni, perché facciano credito a
imprese e famiglie, fino a mille miliardi di euro. Le operazioni possono avere «un impatto significativo» su
crescita e inflazione, ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, nel presentare i dettagli delle otto Tltro
(targeted longer-term financing operations), annunciate il mese scorso per rilanciare il credito.
Le prime due si svolgeranno il 18 settembre e l'11 dicembre, per un valore massimo di circa 400 miliardi di
euro, pari al 7% del portafoglio prestiti delle banche a imprese famiglie (esclusi i mutui immobiliari).
Successivamente, le operazioni si ripeteranno trimestralmente dal marzo 2015 al giugno 2016. La proiezione
complessiva di mille miliardi di euro è soggetta a notevole incertezza, come ammettono anche alla Bce, ma
un importo così consistente di fatto allontana la prospettiva di acquisti di titoli pubblici e privati (il cosiddetto
"quantitative easing" giù adottato dalle altri grandi banche centrali), anche se l'opzione, è stato ripetuto ieri,
resta sul tavolo. Tutto dipenderà, ha ricordato Draghi, dall'evoluzione dell'inflazione che, allo 0,5%, resta
lontana dall'obiettivo di rimanere sotto, ma vicino al 2%, e che risalirà solo molto lentamente.
La ripresa dell'economia del l'Eurozona, inoltre, ha accusato nel secondo trimestre un rallentamento, anche
in Germania, e i rischi restano al ribasso, soprattutto per i fattori geopolitici e le possibili turbolenze di
mercato. La Bce controlla da vicino gli effetti della geopolitica e del cambio, ha ripetuto ieri il suo presidente.
Dalla riunione del mese scorso, quando ha ribassato i tassi d'interesse portandoli in territorio negativo per i
depositi delle banche presso la Bce stessa, l'Eurotower non ha però ottenuto lo sperato indebolimento del
l'euro. Il cambio è molto importante nelle valutazioni del consiglio, ha sottolineato, anche se non è un
obiettivo della Bce. C'è stato tuttavia, ha detto Draghi, un ulteriore allentamento della politica monetaria, con
un calo dei tassi di mercato. Nei prossimi mesi, la Bce conta che le sue misure producano un nuovo
allentamento e sostengano il credito bancario.
Le condizioni delle Tltro (pronuncia Teltro, ha precisato Draghi) sono, a suo parere, «attraenti» per le
banche: si tratta di prestiti a quattro anni, a un tasso fisso dello 0,25%. Sono però condizionate alla
concessione di prestiti all'economia reale: dopo i primi due anni, le banche che non lo abbiano fatto dovranno
restituire i fondi. Non c'è una penalità esplicita per non aver raggiunto l'obiettivo, ma secondo Draghi il fatto
stesso di dover rimborsare dopo due anni può rappresentare un disincentivo.
Nelle sei aste successive, ogni banca avrà un benchmark individuale: le somme che potrà richiedere
saranno il triplo del divario fra i prestiti realizzati nel periodo precedente e questo valore di riferimento. Alle
banche che nei dodici mesi al 30 aprile scorso hanno ampliato il credito (poche), basterà mantenere questi
livelli; a quelle che hanno invece contratto gli impieghi, in molti casi per una necessaria operazione di
ripulitura dei bilanci, verrà consentito di continuare a farlo per il primo anno. Per ampliare la partecipazione
anche agli istituti più piccoli, è ammessa anche la domanda in gruppi.
Ancora in via di definizione, invece, il programma di acquisto dei titoli cartolarizzati (Abs), basati su prestiti
piccole e medie imprese, che le banche dovrebbero utilizzare per liberare capitale e aumentare gli impieghi.
La Bce ha ribadito che i tassi d'interesse resteranno ai livelli attuali (quello principale è stato abbassato il
mese scorso allo 0,15%). Draghi ha respinto i recenti richiami della Banca dei regolamenti internazionali sui
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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In arrivo 8 operazioni per nuova liquidità a imprese e famiglie - Da gennaio riunioni Bce ogni 6 settimane,
come la Fed
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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pericoli dei tassi troppo bassi. Come aveva fatto mercoledì la sua collega della Federal Reserve, Janet
Yellen, ha sostenuto che la banca centrale è attenta ai rischi per la stabilità finanziaria, ma questi vanno
affrontati con misure macro-prudenziali, non con un rialzo dei tassi, che nello stato attuale dell'economia
dell'Eurozona sarebbe impensabile, ha lasciato capire.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Tltro Sta per Targeted Long Term Refinancing
Operation (Operazione di rifinanziamento mirata a lungo termine). Si tratta di prestiti a un tasso di 10 punti
base sopra quello di riferimento (dunque lo 0,25%) con scadenza a 4 anni che la Bce lancerà in settembre
con una prima operazione cui ne seguiranno altre sette ogni tre mesi. L'obiettivo è di vincolare i finanziamenti
alle banche alla concessione di crediti a famiglie e imprese. Le due Ltro di dicembre 2011 e febbraio 2012
non erano invece mirate e sono state utilizzate in gran parte per acquistare titoli di Stato.Le mosse della Bce
LIQUIDITÀ L'iniezione di liquidità per le banche mirata alla concessione di prestiti all'economia (Tltro Targeted longer-term refinancing operations) può arrivare fino a mille miliardi. Il primo appuntamento per le
banche è fissato al 18 settembre, il secondo in dicembre, poi ne seguiranno altri sei ogni tre mesi fino al
giugno 2016. LA PORTATA 1.000 miliardi
RIUNIONI E VERBALI Da gennaio 2015 le riunioni dei direttivi di politica monetaria si svolgeranno ogni sei
settimane, anziché quattro, e la Bce inizierà a pubblicarne i verbali. La decisione è legata al fatto «che i
mercati nutrivano troppe attese». Le riunioni «creano una specie di aspettativa di mercato che spesso si
autoalimenta». La Bce «non deve essere spinta a decidere ogni mese. LA FREQUENZA 6 settimane
TASSI D'INTERESSE Nella riunione di giugno la Bce ha portato il tasso principale al quale rifinanzia le
banche allo 0,15%, con una riduzione di 10 punti base. Il tasso sui depositi overnight delle banche presso la
Bce è stato tagliato nella stessa misura ed è oggi a -0,10% il che comporta che le banche devono pagare per
lasciare fondi in "parcheggio" presso la Bce. OVERNIGHT NEGATIVO -0,1%
CARTOLARIZZAZIONI La Bce si prepara ad acquistare titoli cartolarizzati (Abs), basati su prestiti al settore
privato dell'Eurozona. I titoli dovranno essere «semplici» e «trasparenti». Complessivamente i titoli di questo
tipo in circolazione in Europa sono circa 800 miliardi di euro, mentre le emissioni nel 2013 sono state 60
miliardi. IL CIRCOLANTE 800 miliardi
STOP STERILIZZAZIONI Sempre nella riunione di giugno, la Bce ha sospeso la sterilizzazione dei titoli dei
Paesi in difficoltà, acquistati nel 2010 e 2011, con il programma Smp. Questo inietta nel sistema circa 165
miliardi. All'epoca l'inflazione era sopra il 2% e si poteva temere che la liquidità aggiuntiva avesse un effetto
inflattivo. Oggi la Bce è alle prese con il problema opposto. L'INIEZIONE 165 miliardi
Foto: In linea con la Fed. Dopo Janet Yellen, anche Mario Draghi (nella foto accanto al vicepresidente Bce
Vitor Constancio) ha ribadito l'intenzione di mantenere i tassi di interesse ai livelli attuali
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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Ora il mercato guarda solo a Francoforte
Alessandro Plateroti
Dopo lo spettacolo poco edificante mostrato negli ultimi giorni a Bruxelles, dove lo slancio anti-crisi promesso
dalla leadership europea dopo il voto del 25 maggio si è rapidamente esaurito in liti sulle nomine e
interminabili polemiche sulla gerarchia tra flessibilità e riforme, la Bce di Mario Draghi si è nuovamente
confermata per i mercati come il vero punto di riferimento politico e finanziario dell'Eurozona. E forse anche
qualcosa di più: come il nuovo «lender of last resort» per l'intera finanza globale.
Dopo la decisione della Federal Reserve di ridurre di 10 miliardi al mese la manovra di sostegno dei mercati
finanziari (il cosiddetto tapering), Francoforte - grazie alle misure annunciate ieri - è ora percepita come
l'unica banca centrale del mondo in grado di affiancare e sostituire la Fed nel ruolo di garante della liquidità
globale. Quantitative easing, acquisto di titoli garantiti dai mutui (i cosiddetti Abs), prestiti illimitati e a tasso
zero per le banche e altre misure sperimentate con successo in America avranno ora cittadinanza europea,
con la speranza che prima o poi producano gli stessi effetti visti oltre-Atlantico: stabilità finanziaria, ripresa
economica e industriale, prestiti alle famiglie e soprattutto alle imprese, che ormai da anni vedono scendere il
livello di finanziamenti erogati dalle banche. In questo senso, vale la pena sottolineare che nel definire le
nuove misure salva-euro la Bce ha preso in prestito non solo gli strumenti con cui la Fed (e in parte la Bank of
Japan) ha finanziato dopo il 2008 la ripresa dei mercati borsistici e obbligazionari, ma anche quelli più incisivi
sotto il profilo industriale sperimentati con successo dalla Bank of England.
L'avvio, a partire da settembre, del programma di prestiti illimitati a 4 anni solo alle banche che prestano soldi
al settore privato significa non soltanto che i tassi di interesse resteranno bassi ancora a lungo, ma anche che
le banche saranno costrette ad allentare i cordoni della borsa se vogliono continuare a prelevare denaro allo
sportello della Banca centrale europea.
Dopo il tapering avviato nell'aprile del 2013 da Bernanke e poi confermato da Janet Yellen, il «grande
Bancomat» del credito e della finanza, insomma, sembra essersi spostato da Washington al cuore della
vecchia Europa. Del resto, la capacità propulsiva della liquidità mondiale che ha avuto finora la Fed sembra
aver già ceduto punti a Francoforte. Tra il tapering e la svolta regolamentare della Fed nei confronti della
banche Usa - a cui viene chiesto in modo crescente di rafforzare i ratios e il patrimonio in cambio dei tassi
bassi - non solo si sta drenando la massa monetaria disponibile per investimenti finanziari sui mercati
americani, ma anche l'effetto leva che questa è in grado di generare sulla liquidità globale. Per capire meglio
il punto è utile uno studio del colosso bancario Standard Chartered. La ricerca, appena pubblicata, mette in
evidenza che 10 miliardi di dollari di aumento della massa monetaria negli Usa corrispondono oggi a 20,5
miliardi di dollari di liquidità aggiuntiva nel mondo: un anno fa, la stessa quantità di denaro erogata dalla Fed
era in grado di mettere in moto altri 24,4 miliardi di dollari in più tra Europa e Asia. Allo stesso tempo, 10
miliardi di dollari in più di massa monetaria nell'Eurozona corrispondono oggi a 19,7 miliardi di dollari di
liquidità aggiuntiva nel resto del mondo, in rialzo rispetto ai 18 miliardi di un anno fa. Risultato: con la
riduzione del quantitative easing e la stretta sulle banche, la Fed ha perso gran parte del vantaggio che aveva
sulla Bce nella capacità di generare la liquidità mondiale attraverso l'aumento della massa monetaria. In cifre,
la forza in più della Fed rispetto alla Bce come «bancomat» mondiale è scesa dal 35% del 2013 all'attuale
5%. L'inversione dei ruoli e l'ascesa della Bce hanno comunque un prezzo: gli economisti, anche alla luce del
discorso fatto ieri da Draghi, calcolano che per mantenere inalterata l'attuale liquidità di cui godono l'Europa e
il resto del mondo, la Bce dovrà immettere sul mercato liquidità aggiuntiva per 10 miliardi di dollari ogni 9,5
miliardi di dollari in meno messi in circolazione dalla Fed. E così si spiega la decisione annunciata ieri da
Draghi di avviare a breve non solo la nuova manovra sui prestiti ma soprattutto quella sull'acquisto dei bond e
degli Abs.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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BANCHE E RIPRESA
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Anche se le incognite e i rischi di un tale ruolo non mancano, i vantaggi - almeno per i mercati - sembrano
fuori discussione: dalle Borse ai mercati del reddito fisso, tutti gli investitori hanno accentuato ieri la loro
propensione al rischio e alla speculazione, facendo forti acquisti di valori azionari e soprattutto di titoli di Stato
a più alto rendimento come quelli italiani. Che a ben vedere, oggi, sono su livelli talmente bassi da creare più
di un timore in termini di sostenibilità. Ma tant'è, poiché siamo in un'epoca di supplenze, l'abbondanza di
liquidità aiuta non solo i mercati, le Borse e i titoli di Stato, ma da soprattutto da fiato a quei governi che dopo
le promesse elettoriali vogliono mantenere davvero gli impegni sulle riforme. O questa, almeno, è la speranza
di Draghi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Tapering Il termine indica la graduale riduzione degli
acquisti di titoli da parte della Federal Reserve, e dunque il progressivo rallentamento delle iniezioni di
liquidità da parte della banca centrale americana. Man mano che l'economia Usa migliora, la Fed riduce il
cosiddetto «quantitative easing»: cioè quella politica monetaria non convenzionale, che consiste nell'acquisto
di titoli sul mercato e nella contestuale iniezione di liquidità
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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La Germania sceglie il salario minimo da 8,5 euro
Roberta Miraglia
Svolta storica in Germania. Il Parlamento ha introdotto il salario minimo per legge, fissandolo a 8,50 euro
l'ora. È u una vittoria per i socialdemocratici di Sigmar Gabriel che hanno imposto la riforma alla Cdu di
Angela Merkel puntando la campagna elettorale sulla riduzione degli squilibri emersi nel mercato del lavoro
con la flessibilità voluta da un altro leader Spd, Gerhard Schröder. Ma è una scommessa rischiosa: la legge
interesserà 3,7 milioni di persone e gli uanalisti temono un'emorragia di posti di lavoro nelle upiccole aziende
e a uEst. uServizi u pagina 16 Roberta Miraglia
La Germania ha per la prima volta un salario minimo. Il Bundestag, dopo due mesi di infuocata discussione,
ha approvato ieri la legge che fissa in 8,50 euro all'ora la paga minima a partire dal 1° gennaio 2015. La
riforma interessa quasi 3,7 milioni di lavoratori, soprattutto nei Länder dell'Est; stabilisce eccezioni in alcuni
settori vulnerabili per un periodo transitorio di due anni; esclude i lavoratori coperti da contratti collettivi; i
minori di 18 anni, gli apprendisti e i disoccupati di lungo termine per i primi sei mesi dal rientro sul mercato del
lavoro. Istituisce una commissione imprenditori-sindacati a cui spetterà, in futuro, stabilire il livello del salario.
La larghissima maggioranza ottenuta alla Camera bassa del Parlamento, 535 sì e 5 soli voti contrari, non
oscura il dato di fondo della svolta di politica economica più controversa nell'intero Patto di grande coalizione:
si tratta di un'importante vittoria dei socialdemocratici che ne hanno prima fatto il cavallo di battaglia in
campagna elettorale e poi la condizione per aderire alla maggioranza dominata dai cristianodemocratici di
Angela Merkel costretti all'alleanza rosso-nera. Il partito del cancelliere e le associazioni imprenditoriali, oltre
che autorevoli think tank, hanno invece osteggiato il tetto minimo per legge preferendo la strada
dell'autonomia delle parti sociali. E in molti hanno lanciato l'allarme sul rischio che centinaia di migliaia di
posti di lavoro vengano cancellati, in particolare nelle piccole aziende delle regioni meno ricche.
Ma l'Spd di Sigmar Gabriel non ha avuto tentennamenti e ora si gode il successo, forte di sondaggi secondo
i quali nove tedeschi su dieci sono favorevoli: «È una giornata storica per la Germania» ha commentato il
vicecancelliere mentre il ministro del Lavoro, Andrea Nahles, nel discorso al Bundestag ha parlato di «grande
gioia» e sottolineato con enfasi che il paese volta pagina, archiviando il lato oscuro della piena occupazione
tedesca. «Lavoro duro, a buon mercato e non protetto. Questa è stata la realtà per milioni di persone in
Germania. Ma è finita» ha detto Nahles, ricordando che ci sono voluti «dieci anni di discussioni e di liti» per
compiere finalmente questo passo. Il decennio di Merkel, appunto, seguito alla sconfitta dell'Spd di Gerhard
Schröder, il cancelliere artefice delle riforme del lavoro - l'Agenda 2010 - che spaccando all'epoca partito e
sindacato hanno introdotto flessibilità e ridato slancio al paese in crisi dopo la riunificazione, afflitto da tassi di
disoccupazione a due cifre.
Le leggi Hartz, dal nome del capo della commissione istituita da Schröder, hanno avuto il merito di contenere
il costo del lavoro e contribuito a dare al paese una competitività invidiata in tutto il mondo. Ma al tempo
stesso hanno creato una fascia sempre più ampia di occupati sotto pagati che ricorrono ai sussidi pubblici per
vivere. Il nodo del salario minimo è diventato urgente in seguito al calo della copertura degli accordi collettivi
scesa dal 70% della forza lavoro del 1998 al 59% attuale. Pur di condurre quindi la legge in porto - manca
soltanto il via libera, scontato, del Senato - l'Spd ha accettato più eccezioni di quante ne avrebbe volute,
suscitando le critiche furiose di alcuni sindacati. Ma l'uno-due messo a segno insieme all'approvazione della
legge che permette il pensionamento anticipato è un risultato pieno. Che ha costretto Merkel, ieri sera, a
parlare di «dolorosi compromessi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA I 6 Paesi dell'Ue che non hanno il salario minimo 5 4 6 1 2 3 1
DANIMARCA 2 SVEZIA 3 FINLANDIA 4 AUSTRIA 5 ITALIA 6 CIPRO LUSSEMBURGO 11,10 42.0% L
BELGIO 9,10 50,3% OLANDA 9,07 47,4% GERMANIA 8,50 58,0% SPAGNA REGNO UNITO SLOVENIA
GRECIA Salario minimo orario x% % del salario mediano FRANCIA 9,43 60,1% 7,78 46,7% 4,53 58,2% 3,91
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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VIA LIBERA AL BUNDESTAG AL TEMA SIMBOLO DELLA SPD
04/07/2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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43,9% 3,35 51,1% POLONIA 2,21 44,5%
La mappa europea
Le deroghe
Dopo l'approvazione del Parlamento tedesco, tra i grandi Paesi europei resta solo l'Italia a non avere un
salario minimo.
Il salario minimo tedesco di 8,50 euro lordi all'ora entrerà in vigore nel 2015. Saranno esentati i i disoccupati
di lungo termine nei primi sei mesi dall'assunzione, i giovani al di sotto dei 18 anni e gli apprendisti. Alcuni
settori (come agricoltura e stagionali) godranno di un'esenzione nei primi due anni
Il confronto
La Germania si allinea a nazioni come Lussemburgo (che ha
il salario più alto d'Europa con 11,10 euro all'ora), Francia
(9,43), Olanda (9,07), Belgio, (9,10) e Gran Bretagna (7,43).
Fra i salari minimi più bassi
si annoverano invece quelli di Spagna (3,91), Grecia (3,35),
Portogallo (2,92) Polonia (2,21) e Bulgaria (1,04)
Foto: - Fonte: Deutsche Bank Research
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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Rigore, Bundesbank attacca Renzi
Napolitano: crescita obiettivo imperioso, non temiamo critiche
Colombo, Palmerini
«Il premier italiano dice che la fotografia dell'Europa è il volto della noia, e ci dice cosa dobbiamo fare. Ma
fare più debiti non è il presupposto della crescita». Lo ha detto il presidente della Bundesbank, Jens
Weidmann, ieri a Berlino. La replica di Palazzo Chigi: «Non ci fa paura». «Combinare il risanamento della
finanza pubblica con l'obiettivo imperioso della crescita. Non temiamo critiche» ha detto a Roma il presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano.u pagina 4 Davide Colombo
ROMA.
Non c'è stato solo il faccia a faccia con Silvio Berlusconi per verificare la tenuta del patto stretto al Nazzareno
sulle riforme nella lunga giornata di Matteo Renzi. Ieri il premier ha incontrato a Palazzo Chigi per un paio
d'ore il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, con la squadra dei tecnici dell'Economia. Una riunione per
fare il punto sul quadro economico e di finanza pubblica alla vigilia della bilaterale con la Commissione Ue e il
vertice Ecofin della prossima settimana, che sarà presieduto da Padoan.
Clima sereno, trapela da palazzo, nonostante il ripetersi di previsori che annunciano come «inevitabile» una
manovra correttiva vista la bassa crescita. E nonostante le nuove stilettate giunte dalla Germania, questa
volta da parte del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sul premier italiano «che dice che la
fotografia dell'Europa è il volto della noia e ci dice cosa dobbiamo fare. Ma fare più debiti non è il presupposto
della crescita». Dichiarazioni che seguono a quanto ha sibilato in un convegno della Cdu il ministro delle
Finanze, Wolfgang Schaeuble, ricordando l'ultimo suo incontro con Padoan in cui gli avrebbe ricordato che
bisogna attenersi a quello che è stato concordato: «Rifiuto il tema della flessibilità - ha detto -. Abbiamo
bisogno di crescita questo sì, e di investimenti». Parole che Palazzo Chigi non lascia cadere nel vuoto: «Se la
Bundesbank pensa di farci paura forse ha sbagliato Paese. Sicuramente ha sbagliato governo». «L'Europa è la replica - non è dei banchieri tedeschi ma dei cittadini europei».
Insomma un clima di scontro. Ma che certo non preoccupa il premier, convinto che nei prossimi mesi sulla
crescita si sentirà l'effetto del bonus Irpef. Non ci sarà nessuna manovra correttiva, ha assicurato. E sulle
previsioni in circolazione sussurra ai suoi che, di solito, chi le fa non ci azzecca.
Ieri gli ultimi a ipotizzare una correzione sono stati gli analisti di Mediobanca: una manovra da almeno 10
miliardi dopo l'estate sembra inevitabile, scrivono in uno studio, visto che il Pil viaggia sotto lo 0,8% previsto.
Lo studio degli analisti Antonio Guglielmi e Javier Suarez si concentra in realtà sui possibili benefici nel
Paese, che verranno da una «lunga lista di possibili notizie positive» che avranno effetto nel 2015 e nel 2016.
Ma nel breve un intervento sarebbe «inevitabile» per evitare che il deficit superi la soglia del 3%.
In realtà quella soglia non dovrebbe essere infranta. Il deficit, anche se ci fosse un brusco rallentamento
dell'economia, non supererà comunque il 3% secondo le analisi di sensitività fatte dal Tesoro e che
prevedono che con mezzo punto in meno di crescita - e quindi con un Pil a +0,3% - il deficit si attesterebbe al
2,8%. Niente manovra quindi.
A pesare ci sono però anche i dati del fabbisogno del primo semestre, arrivati due giorni fa con la sorpresa
(peraltro attesa all'Economia) di un dimezzamento dell'avanzo di giugno (da 13,5 miliardi del 2013 ai 7,7 di
quest'anno). È il frutto delle decisioni prese negli ultimi mesi: dal bonus di 80 euro, al pagamento dei debiti
Pa. E c'è poi, su quel dato, un effetto calendario su alcuni importanti pagamenti e sugli incassi di imposte di
rilievo. La situazione è sotto controllo, insistono i tecnici, ma su quei numeri l'esame del ministero
dell'Economia è in corso. Anche perché vanno incrociati con le stime Istat sul Pil sempre di ieri l'altro: la
crescita del secondo semestre potrebbe attestarsi tra -0,1% e +0,3%. Se confermate la stima del Governo di
una crescita dello 0,8% quest'anno diventerebbe irrealistica. Ma per un'eventuale revisione da parte del
Tesoro si devono aspettare le stime flash Istat del 6 agosto.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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SEMESTRE ITALIANO Weidmann: fare debiti non porta crescita - Palazzo Chigi: non ci fa paura
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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STIME E ANALISI La previsione di Mediobanca
Dopo l'estate sarebbe inevitabile una manovra correttiva di 10 miliardi visto che il Pil viaggia sotto lo 0,8%
previsto dal governo. Lo studio degli analisti Antonio Guglielmi e Javier Suarez di Mediobanca Securities si
concentra in realtà sui possibili benefici nel Paese, che verranno da una "lunga lista di possibili notizie
positive" che avranno effetto nel 2015 e nel 2016. «Le cose potrebbero dover peggiorare prima di poter
migliorare - segnala però il report - visto che potrebbero essere necessarie risorse aggiuntive per 10 miliardi
di euro quest'anno a causa della crescita più bassa».Si tratta di un calcolo che appare «ragionevole» se non
si vuole sforare il tetto del 3% tra il deficit e il Pil
Le analisi dell'Economia
Il deficit, anche se ci fosse un brusco rallentamento dell'economia, non supererà comunque il 3%. L'analisi di
sensitività fatta dal Tesoro prevede che con mezzo punto in meno di crescita - e quindi con un pil a +0,3% - il
deficit si attesterebbe al 2,8%. Niente manovra quindi. Ma certo il fabbisogno di giugno (41,1 miliardi cumulati
con un avanzo mensile dimezzato a 7,7 miliardi contro i 13,5 miliardi del 2013) manda un segnale: ogni
decisione presa ha impatto sui conti. Le stime flash Istat sul Pil ultime parlano di una crescita nel secondo
semestre compreso tra -0,1% e +0,3%. L'Economia dovrà aspettare le stime del 6 agosto per decidere
se ritoccare le proprie
04/07/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Matteo: l'Europa non è dei banchieri
ALBERTO D'ARGENIO
L'EUROPA non è dei banchieri tedeschi, l'Europa è dei cittadini europei». Il premier Matteo Renzi legge con
disappunto l'attacco che gli riserva il potente presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Ma non perde le
proprie certezze. < PAGINA MA IL premier non perde la calma. «Bene bene, questo è un ottimo segnale, se
pensano di farci paura lo vedranno, hanno sbagliato governo». Però al secondo giorno consecutivo di
attacchi tedeschi all'Italia - mercoledì era stato il capogruppo del Ppe a Strasburgo Manfred Weber - a
Palazzo Chigi rifiutano di parlare di incidente tra Romae Berlino. Già, perché la convinzione di Renzi e del
suo staff è che né Weidman, né Weber, né Schaeuble rappresentino la linea della Germania. «In Germania
decide la Merkele la linea della Cancelliera è un'altra».
Il governo italiano non perde il sangue freddo nella battaglia per ottenere maggiore flessibilità sui conti in
cambio di riforme. D'altra parte, ricordano tutti come un mantra, «Roma non chiede di cambiare il Patto di
stabilità, ma di interpretarlo in modo più elastico per far ripartire l'economia». Ma visto che la prudenza non è
mai troppa, il governo prepara le contromisure per farsi valere in Europae lo fa in col legamento con gli
uomini di peso del Pd all'Europarlamento. Già, perché il 15 luglio il popolare Jean Claude Juncker dovrà
ottenere la fiducia di Strasburgo. E come dice Simona Bonafè il presidente in pectore della Commissione
europea per passare «ci dovrà dare delle spiegazioni, ci dovrà dire come intende applicare la flessibilità già
concordata». Con il Partito democratico pronto a far saltare il patto con il Ppe con il quale governa il
Parlamento di Strasburgo in Grande Coalizione. E nella battaglia europea Renzi e il Pd sanno di avere anche
la copertura del presidente Napolitano, che ieri ha ricordato come l'Italia «negli ultimi anni ha fatto molto,
l'aggiustamento della finanza pubblica che c'è stato in Italia negli ultimi anni può sfidare qualsiasi termine di
paragone». E il Capo dello Stato ha ricordato che il risanamento dei conti deve essere combinato
«all'imperioso obiettivo del rilancio della crescita».
Renzi sapeva che la vittoria ottenuta sette giorni fa a Bruxelles con l'approvazione da parte dei leader del
documento sulla flessibilità sarebbe stata solo la prima battaglia per arrivare davvero a un Patto meno
dogmatico, visto che il principio politico approvato dai capi di Stato e di governo ora deve essere declinato in
realtà principalmente dalla Commissione. E il premier per chiudere la partita conta sulla Cancelliera: «La
Merkel ha interesse ad avere un rapporto con Renzi - spiegano gli esperti di Europa del Pd - altrimenti
l'Unione con chi la manda avanti?».
Considerazione che sconta la debolezza politica di Hollande e l'isolamento di Cameron. E c'è la convinzione
che anche la donna più potente del mondo voglia sinceramente andare verso la flessibilità per aiutare la
ripresa in tutto in Continente. E in queste ore ad ammorbidire Schaeuble ci pensa il ministro Padoan con
telefonate assai frequenti. La situazione ricorda il 2012, quando i falchi guidati dalla Buba di Weidman e dal
Finanzminister picchiavano contro lo scudo antispread chiesto da Monti per salvare la moneta unica: alla fine
la Merkel sostenne l'Italia e nonostante le bordate lo scudo passò.
L'ottimismo di Renzi sulla partita europea è anche dovuto dal fatto che la Germania non è un monolite, che
anche a Berlino si fa politica e c'è chi si comporta duramente con i paesi del Sud Europa per lucrare voti. Per
questo ieri non ci sono stati contatti chiarificatori tra Renzi e la Merkel dopo l'agguato di Weber al Parlamento
europeo, visto che il quarantunenne capogruppo del Ppe milita tra le fila della Csu, alleato bavarese della
Cdu della Cancelliera spesso su posizioni più intransigenti. «Anche da loro si fa politica»,è la certezza del
governo italiano. Così come si pensa ci sia anche una dose di gioco delle parti, con i falchi alla Schaeuble
dentro alla Cdu che fannoi duri per tranquillizzare la base del partito e l'opinione pubblica sul fatto che la
Germania non permetterà un allentamento delle regole di bilancio dell'eurozona. Salvo poi far passare in
sordina le novità in Europa. Almeno questa è la scommessa italiana.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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IL RETROSCENA
04/07/2014
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PER SAPERNE DI PIÙ www.ec.europa.eu www.bundeskanzlerin.de
Foto: BUNDESBANK La sede della banca centrale tedesca tradizionalmente centro della difesa del rigore e
dell'ortodossia monetaria
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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04/07/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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>Weidmann: fare più debiti non aiuta la crescita Draghi: mille miliardi per le famiglie e le imprese
ANDREA TARQUINI
BERLINO. La Bundesbank contro Renzi. «Ci dice cosa dobbiamo fare» è il piccato rilievo del presidente della
Banca centrale tedesca Jens Weidmann. La risposta non si fa attendere. «Se la Buba pensa di impaurirci,
sbaglia governo», replica Palazzo Chigi.
TARQUINI ALLE PAGINE 6 E 7 BERLINO. «Renzi afferma che l'Europa ha il volto della noia, e poi ci dice
che cosa dovremmo fare. Io gli rispondo che fare più debiti non è il presupposto della crescita, e che alle
promesse devono seguire i fatti, le riforme vanno fatte e non solo annunciate». Così il presidente della
Bundesbank, Jens Weidmann, parlando ieri al Wirtschaftstag, il convegno economico europeo della Cdu di
Angela Merkel, ha lanciato un durissimo attacco al discorso tenuto mercoledì all'Europarlamento a
Strasburgo dal presidente del Consiglio.
Come a dire, parafrasando il titolo d'un episodio di "Guerre stellari", che 'l'Impero colpisce ancora.
«C'è da temere che i tassi bassi non vengano usati per fare le riforme, bensì per finanziare altre spese», ha
incalzato il giovane, precisissimo e calmo capo dei Templari di Buba, come nel gergo delle banche centrali
vengono definiti i leader della Bundesbank, sempre fedeli al loro motto storico, "Siamo arroganti perché
siamo bravi". «I bassi tassi d'interesse rinnovati nel lungo periodo allentano la pressione sui governi per
procedere sulla strada delle riforme e del risanamento dei bilanci», ha continuato Weidmann. Ammonendo
contro il rischio di "contraccolpi della crisi", egli ha poi affermato che «è importante chiarire che l'Eurosistema
non tarderà troppo nel tornare a una normalizzazione della politica monetaria per riguardo alle finanze degli
Stati». In chiaro: non dobbiamo lasciare tassi bassi troppo a lungo. Linea dura made in Bundesbank, opposta
a quella di Draghi. E Angela Merkel, ospite d'onore al Wirtschaftstag, ha scelto una prudente linea mediana:
ha elogiato l'Irlanda, «che riforma senza chiedere più soldi europei e più spese», ha affermato che «più spese
non sono la ricetta contro la disoccupazione», ma ha aggiunto che «noi tedeschi dobbiamo imparare a
pensare più da europei e capire che ci va bene solo quando va bene anche a tutta l'Europa». (a. t.)
Foto: ALTAN
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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La Bundesbank attacca Renzi "Ci dice cosa fare"
04/07/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Nei primi tre mesi del 2014 giù del 4,6% Segnali di ripresa sul fronte dei mutui L'imposizione sul mattone è
passata da 9 a 27 miliardi dal 2011 a oggi Le compravendite delle seconde abitazioni si sono praticamente
ridotte a zero
ROBERTO MANIA ROMA
Continua il crollo dei prezzi delle case. Nel primo trimestre di quest'anno - secondo la stima preliminare
dell'Istat - i prezzi delle abitazioni sono scesi dello 0,7 per cento rispetto al trimestre precedente e del 4,6 per
cento in relazione allo stesso periodo del 2013. Ma è in quattro anni che si è accumulato il tracollo del valore
delle abitazioni in vendita, in particolare di quelle esistenti: -10,4 per cento. Una vera deflazione applicata
all'edilizia, se una cosa del genere si potesse sostenere. Dalle rilevazioni dell'Istat arrivano tuttavia segnali
che indicano un'attenuazione della caduta. Diversamente da tutti i trimestri del 2013, ora la discesa dei prezzi
interessa prevalentemente le case già esistenti e non anche quelle di nuova costruzione. I prezzi di queste
ultime, infatti, sono diminuiti solo dello 0,1 per cento in termini congiunturali, cioè trimestre su trimestre,
contro il -0,8 per cento di quelle vecchie.
Spiragli, forse, per una lieve inversione di tendenza. Molto dipenderà dall'andamento complessivo di tutta
l'economia nei prossimi mesi. D'altra parte lo stesso Osservatorio immobiliare dell'Agenzia delle Entrate
aveva rilevato all'inizio dell'anno un aumento delle transazioni sul residenziale di oltre il4 per cento. Un rialzo
spinto - secondo alcune interpretazioni - dallo slittamento al 2014 di una parte dei rogiti per sfruttare la più
conveniente imposta di registro. Dunque avrebbe giocato un ruolo importante un fattore tecnico "stagionale".
Lettura non del tutto convincente. Perché i mutui si muovono in parallelo al mercato delle compravendite
immobiliari. E, secondo l'ultimo dato della Banca d'Italia, nel primo trimestre del 2014, si è registrato un
incremento del 9,3 per cento dei mutui erogati alle famiglie per l'acquisto di abitazioni rispetto allo stesso
periodo del 2013. Quasi un cambio di rotta, visto che dal 2007 al 2013 (gli anni della Grande Crisi) la caduta
dei mutui è stata vertiginosa, pari al 65,7 per cento.
Secondo Via Nazionale questo miglioramento riflette «sia un allentamento delle condizioni di offerta in
seguito alla riduzione dei costi di provvista e all'aumento della pressione concorrenziale da parte di altre
banche e istituzioni finanziarie, sia una ripresa della domanda principalmente dovuta a prospettive meno
negative riguardo l'evoluzione dell'attività economica». Certo se il Pil, cioè la ricchezza nazionale, dovesse
riprecipitare, come appare possibile, in area negativa anche nel prossimo trimestre (l'Istat stima un dato
compreso nella forchetta -0,1 per cento/+ 0,3 per cento), lo scenario potrebbe cambiare annullando le
prospettive di una lenta fuoriuscita dalla crisi. Saremmo, in quel caso, tecnicamente di nuovo in recessione
visto che il primo trimestre di quest'anno ha segnato un -0,1 per cento del Pil.
Sul mercato immobiliare ha - va da sé - pesato la recessione, la sua estensione e anche la sua durata. Il
mercato si è congelato, si sono persi centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma a bloccare la propensione
all'acquisto di case (vecchie e nuove) non può non aver avuto un suo ruolo il fattore fiscale, per l'inasprirsi del
prelievo ma anche, per lunghi periodi, per l'incertezza delle decisioni politiche.
Negli ultimi anni siè passati dall'Ici all'Imu fino alla Tasi. L'effetto è stato un aumento della tassazione sulla
casa, in particolare sulle seconde abitazioni, settore nel quale le compravendite si sono praticamente
azzerate. Così dai 9 miliardi circa di gettito Ici del 2011, si è passati a un prelievo nel 2014 - secondo l'Ance,
l'associazione dei costruttori- di 27 miliardi (+ 300 per cento), frutto della somma tra Imu e Tasi. Dice il
presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti: «Anziché mettere la patrimoniale sui capitali, è stata messa sulla casa».
-15% ABITAZIONI ESISTENTI Il prezzo delle abitazioni esistenti è sceso del 15% in quattro anni
+0,8% ABITAZIONI NUOVE Il prezzo delle case nuove ha avuto in quattro anni un rialzo dello 0,8%
+9,3% MUTUI Nel primo trimestre c'è stato un aumento del 9,3% delle richieste di mutuo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Case, crollano i prezzi -10,4% in quattro anni pesano crisi e tasse
04/07/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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114 mila IMPORTO L'importo medio di un mutuo per la casa è sceso a 114 mila euro
Foto: MATTONE IN CADUTA
Foto: La frenata delle compravendita è stata confermata anche dai dati dei primi tre mesi di quest'anno
Foto: Così il mercato dal 2011 a oggi
Foto: I numeri
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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04/07/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Equitalia riapre le rate anche a chi è rimasto indietro
[R. E.]
Nuova chance per chi ha perso la possibilità di pagare a rate le cartelle del Fisco: come previsto dal dl Irpef,
Equitalia ha riaperto la rateizzazione che riguarda in tutto debiti fiscali per 20 miliardi. La domanda, spiegano
dall'agenzia di riscossione, va presentata entro il prossimo 31 luglio. Ci sono però alcuni limiti rispetto alle
regole generali sulla rateizzazione: il nuovo piano concesso non è prorogabile e decade in caso di mancato
pagamento di due rate anche non consecutive (anziché 8 rate). «Il provvedimento va incontro alle esigenze
dei contribuenti in difficoltà, che possono usufruire di nuove condizioni favorevoli per i pagamenti, garantendo
al contempo il recupero degli importi dovuti all'Erario, all'Inps, ai Comuni e ai vari enti pubblici creditori», dice
l'ad di Equitalia Benedetto Mineo. Ad oggi, spiega Equitalia, risultano attive 2,3 milioni di rateizzazioni per un
importo di oltre 25 miliardi di euro.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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C'è tempo fino al 31 luglio / Panorama
04/07/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Fiat accelera verso Wall Street Assemblea a inizio agosto, prospetto in
Sec
Luciano Mondellini
Fiat accelera verso Wall Street Assemblea a inizio agosto, prospetto in Sec/ ( a pag. 15) La corsa di Fiat
verso la fusione con la controllata Chrysler si fa sempre più veloce. La casa automobilistica torinese, che ha
convocato per venerdì 1 agosto l'assemblea che dovrebbe dare il via libera all'aggregazione e quindi alla
creazione della nuova Fca (Fiat Chrysler Automobiles), ha depositato ieri il prospetto della quotazione della
nuova società a Wall Street. L'obiettivo, come ha spiegato l'amministratore delegato Sergio Marchionne in
settimana, è che i titoli Fca siano negoziati a New York entro ottobre. Nel prospetto (circa 550 pagine) la
società ha sottolineato la centralità di Marchionne non solo nel progetto di fusione tra la casa italiana e quella
statunitense ma anche nella conduzione della società che ne scaturirà. «Il nostro ceo Sergio Marchionne è
una figura cruciale nell'attuazione del nostro orientamento strategico e dell'attuazione del piano industriale
20142018», si fa notare nel prospetto. «Sebbene Marchionne abbia manifestato l'intenzione di restare il
nostro ceo per tutto il periodo del business plan, se dovessimo perdere i suoi servigi, questo potrebbe avere
un impatto negativo consistente sulle nostre prospettive di business, di utile e a livello di posizione
finanziaria». Insomma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sensazione che i destini della Fiat siano legati
all'attività di Marchionne ha ricevuto ieri una sorta di ufficialità scritta. Il prospetto alla Sec (il cosiddetto Form
F-4) spiega inoltre nel dettaglio la transazione da cui nascerà Fca: base legale nei Paesi Bassi e residenza
fiscale in Gran Bretagna. Se infatti l'assemblea darà il via libera alla fusione, Fiat sarà incorporata nella
società di diritto olandese Fiat Investments, che assumerà la denominazione di Fiat Chrysler Automobiles Nv
e che diventerà la società holding del gruppo. Nel senso che controllerà sia l'attuale Fiat Auto sia Chrysler. I
soci Fiat riceveranno un'azione ordinaria Fca per ogni azione Fiat ordinaria posseduta e i titoli ordinari Fca
saranno quotati al New York Stock Exchange (Nyse) e, si prevede, anche sull'Mta gestito da Borsa Italiana.
Fiat ha inoltre spiegato che sarà di 7,7 euro per azione il prezzo di liquidazione dei titoli Fiat da corrispondere
agli azionisti che avranno esercitato il diritto di recesso. Inoltre sempre ieri il Lingotto ha reso noto che
sempre nell'assemblea di venerdì 1 agosto i soci saranno chiamati anche a confermare nella carica di
amministratore Glenn Earle, nominato dal consiglio di amministrazione il 15 giugno scorso in sostituzione di
Gian Maria Gros Pietro, nominato presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo. Infine Fiat ha fatto
sapere che la società ha riapprovato i risultati del primo trimestre 2014 con una modifica contabile legata alla
parte dell'acquisizione del 41,5% di Chrysler conclusa nel gennaio scorso. Si tratta, ha spiegato una nota
della casa torinese, di un'operazione tecnica connessa con il deposito della documentazione alla Sec per la
quotazione al Nyse di Fca. Operazione che non ha «alcun effetto sulla cassa né sull'ammontare del
patrimonio netto della società». Le modifiche, in particolare, hanno comportato un provento atipico non
monetario di 223 milioni di euro che non ha avuto impatti sul patrimonio netto consolidato della società. La
perdita per il primo trimestre 2014 è quindi risultata di 173 milioni anziché dei 319 milioni precedentemente
annunciati, ha fatto sapere la nota (riproduzione riservata)
FIAT SPA
1 apr '14 1 lug '14 quotazioni in euro 7,71 € +3,01% IERI
Foto: Sergio Marchionne
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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PREPARATIVI
04/07/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Renzi non porta in Ue i pensionati del sistema
Sergio Soave
Le prime mosse europee di Matteo Renzi hanno provocato una reazione critica, e in qualche caso ostile,
proprio sugli organi della grande stampa che finora lo aveva sostenuto o addirittura osannato. Nel merito è
difficile dire se la trattativa condotta dal premier italiano con Angela Merkel abbia prodotto qualche risultato
più consistente delle frasi sempre interpretabili contenute nei documenti ufficiali. Non erano incontri in
streaming, come quelli che si fanno in Italia quando non si vuole concludere nulla, il che significa che
potrebbero aver esaminato seriamente le divergenze e trovato o meno un punto di equilibrio non solo
fraseologico. Questo si vedrà quando si passerà dalle enunciazioni alle scelte. I commentatori autorevolissimi
di Repubblica e del Corriere della Sera lo sanno benissimo, il che fa sospettare che, nel loro mutato
atteggiamento, si possa rintracciare qualche altra fonte di delusione. In sostanza si rimprovera a Renzi di
affrontare il semestre europeo da solo, cioè senza l'apporto di personalità politiche che già hanno avuto
esperienze di tipo continentale o di rapporti internazionali, come per esempio, ma non a caso, ex presidenti
del Consiglio come Enrico Letta o Massimo D'Alema. In sostanza, l'establishment ritiene che, per ottenere
qualcosa di nuovo in Europa, Renzi dovrebbe collegarsi meglio a una tradizione e a una sorta di continuità,
che contraddice però il suo spirito e il suo interesse rinnovatore. La cosiddetta rottamazione, infatti, non è
solo uno slogan un po' sgraziato e populista, ma un'esigenza vitale per una leadership che, se non si afferma
rapidamente con le proprie forze, rischia di essere rapidamente imbozzolata in un sistema politico a traino
nostalgico, che dispone tuttora della maggioranza dei gruppi parlamentari e di una presenza determinante
nelle organizzazioni territoriali del Partito democratico. Molti guardavano all'occasione europea come a quella
adatta per chiudere con la rottamazione e imporre a Renzi qualche forma di controllo, ma l'andamento
trionfale delle elezioni europee ha consentito al segretario del Pd di far saltare questa manovra, confermando
il suo legame con il consenso popolare, già verificato nelle primarie di partito. Si tratta però di un consenso
personale, che il recupero improvviso dei rottamati potrebbe incrinare, anche se forse piacerebbe alla grande
stampa dell'establishment, che infatti ha espresso chiaramente la sua insoddisfazione. Queste sono le ragioni
di Renzi, rispettabili, ma sue. Se poi funzionerà la sua azione solitaria in un contesto europeo dove, a
differenza dell'Italia, ha competitori e interlocutori forti almeno quanto lui, è tutto da vedere. (riproduzione
riservata)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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COMMENTI & ANALISI
04/07/2014
L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
Pag. 15
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Così la Germania può salvarci
Occorre che i paesi virtuosi abbiano il coraggio di aumentare la spesa pubblica, anche sforando dai parametri
di Maastricht. Solo una vera svolta nella politica economica può far ripartire la crescita in Europa
Innocenzo Cipolletta
Nessun cambio nella politica economica europea. Questa è la brutta notizia dopo i vertici di fne giugno a
Ypres. L'Europa, o meglio i governi europei, restano sordi al risultato delle elezioni che di fatto ha bocciato la
politica fn qui seguita. Si è fnto di accettare la novità della designazione a Presidente della Commissione da
parte della maggior forza politica nel nuovo Parlamento Europeo, nominando il lussemburghese Juncker, ma
il Partito popolare (che lo ha designato) non ha la maggioranza dei voti e quindi non rappresenta la volontà
del nuovo Parlamento. Inoltre Juncker incarna la storia degli ultimi 15 anni dell'Europa, che certo non è stata
la più brillante. Finirà per rappresentare una continuità di cui non c'è alcuna necessità. Inoltre a Ypres è stata
ribadita la validità del Patto di Stabilità senza nessuna novità. La battaglia per avere una maggiore fessibilità
è fallita. Ed è bene così, perché l'Europa non ha bisogno di maggiore fessibilità per i paesi in diffcoltà ma di
una nuova politica per tutti i paesi, in particolare per quelli in equilibrio di fnanza pubblica. Una maggiore
flessibilità può servire a qualche paese, come il nostro, per evitare di dover varare a breve nuove manovre
politicamente pericolose, ma diffcilmente sarebbe servita ad avviare una nuova fase di ripresa in Europa.
Serve invece una diversa politica economica che generi crescita e non si preoccupi troppo dell'infazione. Per
farlo occorre innanzi tutto che i paesi in equilibrio, come la Germania, spingano molto sulla loro domanda
interna attraverso una maggiore spesa pubblica, un aumento dei salari e minori tasse sulle famiglie, anche a
costo di superare i parametri di stabilità. La maggiore domanda di questi paesi favorirebbe tutta l'Europa e
consentirebbe una maggiore crescita anche nei paesi in squilibrio dei conti pubblici, senza che questi ultimi
siano costretti a sforare i parametri del patto di stabilità. Si tratta poi di avviare una vera politica economica
europea che non sia solo la banale somma delle politiche dei singoli paesi. Tale politica dovrebbe riguardare
il rilancio delle infrastrutture europee e un piano di contrasto alla disoccupazione giovanile. Il rilancio delle
infrastrutture presuppone l'emissione di obbligazioni europee che non pesino immediatamente sui singoli
Stati. Anche il piano di contrasto della disoccupazione giovanile presuppone un'azione europea:
occorrerebbe istituire dei fondi strutturali che consentano ai giovani delle aree con maggiore disoccupazione
di avere un reddito minimo e un avviamento al lavoro attraverso la formazione e un sostegno a iniziative di
carattere imprenditoriale. infine occorre completare l'unione monetaria operando in modo da abbattere
permanentemente lo spread fra i tassi di interesse dei diversi paesi. Malgrado sia diminuito, il solo spread
attuale dei tassi di interesse in Italia supera il tasso di crescita in valore del Pil. Poiché le imprese italiane
pagano per i loro debiti ben oltre lo spread, si capisce come gli attuali bassi tassi di interesse in realtà
sottintendano una politica monetaria particolarmente restrittiva, pur essendo l'Italia ancora in zona recessiva.
Per favorire un abbattimento dello spread e per creare spazi di manovra nei bilanci pubblici, occorre
accelerare sull'unione bancaria e reinterpretare il fscal compact, operando una messa in comune di parte dei
debiti pubblici sui quali vengano corrisposti tassi di interesse in linea con il mercato europeo e con la politica
della Bce. Una proposta in tal senso è stata avanzata da Vincenzo Visco (poi ripresa anche in sede europea)
che indica nella quota pari al 60 per cento del debito sul Pil l'ammontare di debito pubblico da mettere in
comune, lasciando ai paesi il compito di gestire l'eccedente. Una politica economica europea è quello che
serve per far uscire defnitivamente l'Europa dalle secche della defazione. Ed è quello che serve anche per
generare una coscienza europea e un senso di appartenenza che nelle ultime elezioni è apparso molto
debole se non inesistente. Ma i governi europei sono rimasti sordi e attenti solo alle proprie basi elettorali.
Peccato, è stata sprecata un'occasione che non è certo si riprodurrà nei prossimi mesi. [email protected]
Foto: Se ne parla su www.espressonline.it
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Si può fare
04/07/2014
L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
Pag. 104
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Web tax, l'Ue sfida Google
Bruxelles vuole stringere sui colossi della rete. Che fanno business miliardari pagando tasse ridicole. Ma le
resistenze sono fortissime. Ecco la partita in corso
alfredo faieta
L'uomo su cui le amministrazioni fnanziarie di mezza Europa vorrebbero mettere le mani è italiano. Si chiama
Luca Maestri: è un cinquantenne romano. E, per essere precisi, l'inseguimento nei suoi confronti scatterà da
settembre, quando sarà nominato direttore finanziario della multinazionale Apple. Maestri, attuale vice del
dimissionario Peter Oppenheimer, in questo momento sta prendendo le misure alla montagna di denaro che
dovrà gestire. Ovvero 146 miliardi di dollari circa, secondo quanto risulta dall'ultimo bilancio consolidato
depositato dalla società californiana che spopola con prodotti quali iPad e iPhone. Giusto per dare una
misura di questa immensa mole di cash, basti dire che due terzi degli Stati di tutto il mondo hanno un
Prodotto interno lordo (Pil) inferiore e che in questa classifca Apple verrebbe subito dopo l'Ecuador e prima
della Bielorussia. Più che inseguito, sarebbe meglio dire che Maestri è per le autorità fiscali un chiodo fsso,
perché ovviamente nessun mandato di cattura pende sulla sua testa. Ciò che vogliono i governi europei è
trovare il metodo per costringere il gruppo guidato da Tim Cook a pagare tasse adeguate ai suoi immensi
utili, che adesso sfuggono per la gran parte a imposizione fscale. Una missione tutt'altro che semplice, quella
delle autorità, ma allo stesso tempo sempre meno rinviabile, vista la pessima congiuntura economica e il
passivo cronico di molti bilanci statali. Il corno di questa complicata caccia alla volpe lo ha suonato, per
ultimo, il commissario europeo alla Concorrenza, Joaquín Almunia. Lo scorso 11 giugno lo spagnolo ha
giocato di sponda rispetto al problema, attaccando Irlanda, Olanda e Lussemburgo per i loro regimi fscali
talmente agevolati da creare distorsioni nel mercato unico europeo, a favore di tutte quelle corporation che ne
approfttano. Almunia non si occupa di fscalità ma di mercati e antitrust: nella sua prospettiva, regimi fscali che
offrono agevolazioni così consistenti possono qualifcarsi come aiuti di Stato. Vietati dalla legislazione
comunitaria. Il commissario ha citato i casi Apple per l'Irlanda, Starbucks per l'Olanda e Fiat Finance and
Trade per il Lussemburgo. Almunia, che è commissario uscente (con il rinnovo del Parlamento europeo ci
sarà anche una nuova commissione), lascerà al suo successore il compito di chiudere positivamente la
procedura d'infrazione, nella speranza di imporre una forma di compensazione a questi tre Stati, se non
cambieranno le loro politiche. Dal 16 luglio il nuovo presidente della Commissione sarà uffcialmente il
lussemburghese Jean Claude Junker, e bisogna auspicarsi che abbia la necessaria sensibilità per affrontare
con decisione il problema, che vale tra i mille e 1.300 miliardi di euro l'anno di mancati introiti fscali per i Paesi
dell'Unione, grazie a una serie di buchi legislativi che consentono questi slalom tra i diversi erari d'Europa.
L'offensiva di Almunia non è l'unica che arriva da Bruxelles. Un altro fronte aperto è quello che mira ad
impedire alle multinazionali 2.0, ma non solo a quelle, di trasferire gli utili delle loro attività verso i Paesi a
bassa tassazione, trattenendo i costi in quelli a fiscalità elevata, dove i profitti quasi si annullano e le tasse
pagate sono poche. Non sarà semplice prendere decisioni cogenti, perché in materia fscale le decisioni
vanno assunte all'unanimità in sede di Consiglio europeo. E convincere irlandesi, lussemburghesi e olandesi
a cambiare norme che attirano grandi capitali e creano posti di lavoro sarà impresa al limite dell'impossibile.
Anche perché l'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, cui è demandato il
compito di creare il nuovo ordine fscale mondiale, non sembra aver fretta di modifcare i suoi schemi, basati
su un'arcaica nozione di stabile organizzazione (le corporation sono tenute a pagare le tasse solo dove
hanno un'organizzazione strutturata e stabile) che fa acqua da tutte le parti. In qualche modo, però,
bisognerà intervenire, perché la fuga del gettito fscale oltre-frontiera, ai tempi del commercio digitale, sta
mettendo in diffcoltà le maggiori economie. La controprova? Basta scorrere i bilanci delle fliali italiane dei
colossi del Web per farsene un'idea. Google Italy, ad esempio: nel 2013 ha denunciato un fatturato di 49
milioni di euro, con utili ante imposte di 3,6 milioni, sui quali ha pagato 1,8 milioni di tasse. Una pagliuzza, se
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Economia fisco & furbetti
04/07/2014
L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
Pag. 104
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si considera che l'azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin è la numero uno del mercato della pubblicità
online, il cui valore in Italia è stimato da Nielsen in 1,5 miliardi. I ricavi di Google, tuttavia, volano direttamente
in Irlanda, dove ha sede la società che vende la pubblicità in Italia, mentre la fliale milanese svolgerebbe
unicamente - è la tesi del gruppo - attività di sviluppo, di marketing e di supporto alla vendita dei servizi della
multinazionale. Scorrendo il bilancio di Apple Italia, 28,4 milioni di euro di fatturato e meno di 5 milioni di tasse
pagate, ci si imbatte nel medesimo schema, fatto di supporti alle vendite e servizi di marketing fatturati ad
altra società del gruppo, pure lei irlandese. Curioso che due società in guerra globale all'ultimo software
(Android contro iOS) siano poi così consonanti nel modello di sviluppo delle consociate. Apple ha anche
un'altra fliale a Milano, la Retail Italia, proprietaria dei 14 negozi dove vende direttamente i propri prodotti. Nel
2012 la società ha perso 9 milioni di euro, forse colpita dalla crisi che morde l'Italia, andando a credito di
tasse per 2,5 milioni. Nel 2013, invece, sono arrivati i tanto attesi utili netti, per 2,4 milioni, dopo aver pagato 3
milioni di tasse. Numeri poco convincenti per la Procura di Milano, che ha aperto un'indagine ipotizzando una
mancata contabilizzazione di ricavi per circa un miliardo di euro tra il 2010 e 2011, imputati alla Apple Sales
International con sede in Irlanda, dove la tassazione di base è al 12,5 per cento (ma Apple paga meno) e
dove restano tutti i proftti. Se volessimo andare avanti con Facebook Italy (3,8 milioni di euro di fatturato
2013), fliale del social network creato da Mark Zuckerberg, il colosso dell'e-commerce Amazon Italia Logistica
(32 milioni di euro i ricavi), il sito di aste eBay, che ha chiuso l'esercizio passato con ricavi nulli, la musica non
cambierebbe. Lo schema per l'Italia è sempre lo stesso: o marketing e supporto alle vendite, che generano
dall'Irlanda, o mera movimentazione di merci, come nel caso di Amazon. Per inciso, in totale queste società
hanno pagato nel 2013 tasse all'Erario per 11 milioni di euro, a fronte di business che - pur in mancanza di
dati certi - viaggiano su ordini di grandezza da centinaia di milioni. La struttura di questi gruppi, peraltro, pare
studiata a tavolino per minimizzare i rischi fscali. Prendiamo lo svolgimento delle assemblee: in tutti i casi i
rispettivi amministratori erano assenti, e le pratiche sono state sbrigate da avvocati locali in qualità di delegati.
Per non parlare della società di revisione, che è la Reconta Ernst & Young per tutte, a dispetto della gelosia
delle multinazionali per i loro segreti. In mancanza di una legislazione fscale che riconosca queste nuove
fattispecie di commercio online internazionale, l'unica speranza è la magistratura? Francesco Tundo,
tributarista con cattedra all'Università di Bologna, è cauto: «Per inseguire i redditi imponibili di queste società
oggi si rischia di fare un eccessivo affdamento sulla nozione di "abuso del diritto"» dice a "l'Espresso",
riferendosi all'accusa, spesso cavalcata dalle autorità nelle loro battaglie contro i grandi gruppi, di utilizzare
strutture fscali legittime in modo distorto, al fne di eludere. «Non è possibile che amministrazioni fnanziarie o
procure siano chiamate a colmare i vuoti legislativi che permettono a queste multinazionali di conseguire
vantaggi, solo perché il concetto classico di stabile organizzazione non è adeguato. È necessario che, prima,
i legislatori adeguino le norme alla nuova realtà», ragiona Tundo. Che fa una proposta: «Un'idea effcace
potrebbe consistere nell'istituzione, nel medio-lungo periodo, di un'amministrazione fscale comunitaria, che
andando al di là delle pur effcaci azioni di coordinamento tra agenzie nazionali, consenta un'azione unitaria».
Nel breve, però, bisogna fare i conti con le zeppe che molti Paesi mettono a chi cerca di combattere
l'elusione. Gli Stati Uniti, che pure hanno tuonato per primi contro Apple, rea di mantenere in Irlanda e in altri
paradisi fscali somme gigantesche per evitare le aliquote americane (35 per cento la tassa sugli utili),
permettono al Delaware di mantenere un regime societario assolutamente fumoso per le società, di cui poi
approfttano senza fallo tutti i nuovi colossi, Facebook e Google, eBay e Amazon. «Le aziende mettono in
campo lobby potentissime e, fnora, hanno reso impossibile cancellare i buchi legislativi che consentono le
situazioni più critiche», sostiene Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze. «Non sono certamente un fautore
dell'uso della magistratura per scopi di supplenza a queste falle ma», dice Visco, «al momento, non vedo
alternative». La caccia al tesoro di Maestri è solo all'inizio. foto: Reuters/COntrasto, Bloomberg/Gettyimages,
D. Fracchia; Pag.104-105 T.Herman/Corbis,Reuters/Contrasto, Gettyimages
Molti affari, poche imposte
04/07/2014
L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
Pag. 104
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Dati relativi al bilancio consolidato 2013 delle capogruppo americane * (in miliardi di dollari) Ricavi Utile ante
imposte Imposte Utile netto
Apple Amazon Google eBay Facebook * tranne Apple, che ha chiuso l'ultimo bilancio annuale al settembre
2013
Fonte: bilanci societari
Un mare di cash Apple 146,7
Somme disponibili dichiarate in bilancio (dati in miliardi di dollari)Facebook 11,4 Fonte: bilanci societari al
dicembre 2013 (tranne Apple, che ha chiuso l'ultimo bilancio annuale al settembre 2013)
casa sarebbero assoggettati a un'imposta del 35 per cento. E allora restano custoditi in posti più sicuri. Apple
mantiene fuori dagli Usa 111 miliardi di dollari, Google 33, Amazon 5,6, eBay 9,7 miliardi e Facebook 634
milioni.
I giganti del Web hanno una liquidità enorme, grazie anche ai risparmi di tasse. Soldi in gran parte detenuti
fuori degli Stati Uniti. Il motivo è semplice. Se tornassero a
Foto: uffici di google a mountain view. in alto, da sinistra: tim cook e mark Zuckerberg
Foto: il CenTRO DisTRiBuTivO amazOn a PiaCenza. a sinisTRa: laRRy PaGe e (in BassO) alGiRDas
SemeTa
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L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
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Premiata ditta Uby & friends
L'inchiesta sul colosso bancario svela conÁitti d'interessi e affari sospetti. Nel mirino anche Bazoli. E una
pista porta nel paradiso offshore di Madeira
vittorio malagutti
Quando, nel dicembre del 2006, il board della Banca Lombarda di Brescia diede il via libera alla fusione con
le Popolari Unite di Bergamo (Bpu), scelse come consulente legale un professionista di casa. Anzi, di
famiglia. L'incarico per l'operazione destinata a creare il quarto gruppo creditizio nazionale andò al team di
avvocati col marchio Pgv, Pavesi-GittiVerzoni. Gregorio Gitti, 50 anni, socio fondatore dello studio, è il genero
del presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, che di quell'operazione fu uno dei registi insieme a un altro
banchiere di lungo corso come Emilio Zanetti. Classe 1931, numero due dell'Associazione bancaria italiana
(Abi), Zanetti all'epoca era al vertice di Bpu e fno all'anno scorso è stato presidente di Ubi, il colosso bancario
con oltre 100 miliardi di attivo nato dall'unione delle due grandi popolari con base a Brescia e a Bergamo. La
vicenda della ricca consulenza assegnata allo studio di Gitti, eletto l'anno scorso deputato nelle liste di Scelta
Civica, porta acqua al mulino dei sospetti che alimentano l'inchiesta della procura bergamasca sulla gestione
di Ubi. Una gestione, secondo l'accusa, «patronale e familistica», in cui nomine e incarichi venivano decisi
sulla base di patti occulti, cioè non comunicati al mercato, tra pochi intimi, i veri padroni dell'istituto di credito
quotato in Borsa. Bazoli e Zanetti, insieme ad altri quattro esponenti di vertice del gruppo, ora sono indagati
per ostacolo all'attività di vigilanza. Avrebbero cioè nascosto alla Consob e alla Banca d'Italia i reali assetti di
comando di Ubi. Gitti nei giorni scorsi ha preso le distanze dalla vicenda spiegando che gli incarichi ottenuti
da Banca Lombarda dipendevano dalla sua lunga consuetudine con Corrado Faissola, il banchiere,
scomparso qualche anno fa, che a quei tempi era consigliere delegato dell'istituto bresciano. Sta di fatto,
però, che l'inchiesta della procura, anche grazie alle intercettazioni telefoniche, ha raccolto migliaia di
documenti che raccontano di affari e rapporti personali in bilico sul crinale scivoloso del confitto d'interessi.
Insomma, una storia di family & friends, con pochi privilegiati che accumulano ricche prebende e incarichi
vari. Per capire di che cosa esattamente stiamo parlando può essere utile fare un salto indietro nel tempo a
un affare che risale al 2009-2010. È una storia che da Bergamo porta nel paradiso offshore di Lussemburgo,
con decine di milioni di euro che via Milano prendono il volo verso il Granducato e verso un'altra destinazione
molto frequentata dalla fnanza grigia come l'isola di Madeira. Tutto comincia alla fne del 2009 quando Ubi,
attraverso la controllata Iw Bank, spese una trentina di milioni di euro per comprare Twice, un piccola società
di intermediazione borsistica con base a Milano. All'epoca l'operazione fu accolta con una certa sorpresa
dagli addetti ai lavori. Molti si interrogavano sulla ratio di quell'acquisizione. In sostanza, ci si chiedeva perché
un istituto già attivissimo sui mercati fnanziari come Ubi avesse dimostrato tanto interesse per Twice, un
broker non esattamente di prima fla, e per di più con i conti in rosso. I comunicati uffciali spiegarono che lo
scopo dell'operazione era quello di sviluppare sinergie «con le attività di banking on line di Iw Bank». Di certo
però, già prima della firma del contratto, il marchio Twice doveva essere ben conosciuto a casa Zanetti,
all'epoca al vertice di Ubi. Sulla poltrona di presidente della società d'intermediazione sedeva infatti Mario
Massari, professore di fnanza aziendale all'Università Bocconi e marito di Laura Zanetti, anche lei docente
all'ateneo milanese nonché fglia del banchiere Emilio. Massari, 63 anni, è un professionista molto conosciuto
nella comunità degli affari. In carriera ha ricoperto decine di incarichi come amministratore di grandi società. Il
nome del professore bocconiano, che non è indagato, compare nelle carte dell'inchiesta bergamasca per
effetto delle dichiarazioni di Giorgio Jannone, un ex parlamentare bergamasco del Pdl. All'assemblea dei soci
del 2013 Jannone tentò di promuovere il ribaltone ai vertici di Ubi con una propria lista di candidati. L'assalto
non andò a buon fne. Il gruppo di comando della banca, quello che secondo i pm sarebbe teleguidato da
Bazoli e Zanetti, fece quadrato e vinse la battaglia assembleare. «Mi risulta che un'ingente somma di denaro
sia stata pagata a Massari», ha fatto mettere a verbale Jannone quando nell'autunno scorso è stato sentito
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Economia credito / un'altra bufera
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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dai pm. Tutte accuse da provare, ovviamente. Certo è che l'operazione Twice sembra costruita apposta per
alimentare dubbi e sospetti. Buona parte della somma pagata da Ubi, 15,7 milioni di euro su un totale di 27,8
milioni, prese infatti il volo verso il Lussemburgo per fnire sui conti correnti di Medinvest international. A
questa holding fnanziaria con sede nel Granducato era intestato il pacchetto di controllo della società passata
di mano, per la precisione il 53,9 per cento del capitale. Chi c'è dietro Medinvest? Diffcile dare una risposta
precisa a questa domanda. I documenti societari non aiutano granché. Nel 2000, tra i soci fondatori della
holding troviamo la Finanziaria 2000 che faceva capo all'Università Bocconi e la Popolare di Bergamo
all'epoca presieduta da Zanetti e in seguito assorbita prima da Bpu e quindi da Ubi. Risulta dal bilancio che
nel 2009 la banca orobica possedeva quasi il 20 per cento di Medinvest. Lo stesso Zanetti, tra il 2000 e il
2005, compariva tra gli amministratori della holding del Granducato. Anche la Bocconi era presente in forze,
se è vero che nel board della società lussemburghese sedevano Bruno Pavesi, consigliere delegato
dell'ateneo, insieme a Luigi Guatri, già rettore e poi presidente dell'università milanese. Massari conosce
molto bene anche Guatri di cui è stato a lungo uno stretto collaboratore. Le carte raccontano che Medinvest
ha preso il controllo di Twice a dicembre del 2007, investendo una dozzina di milioni. A marzo 2009 i vertici di
Medinvest avevano già deciso di liberarsi della società appena acquistata. La vendita è così andata in porto
con un incasso di oltre 15 milioni per la quota del 59,3 per cento del capitale. Nel frattempo le Borse sono
crollate, travolte da una bufera fnanziaria senza precedenti, ma la holding lussemburghese è riuscita a
realizzare un guadagno di oltre il 20 per cento nel giro di soli 15 mesi. Tra i fortunati vincitori di questo
biglietto della lotteria c'erano anche gli altri azionisti di Twice. Oltre al gruppo De Agostini e a Banca Intesa,
proprietarie di un pacchetto dell'8 per cento ciascuno, nella lista dei soci comparivano un paio di fnanziarie
con base a Madeira. Una manciata di milioni fnirono quindi sui conti bancari della Tarascon Comercio e della
Gzt, due società offshore con base sul paradiso fscale che batte bandiera portoghese. A chi fanno riferimento
queste sigle? Mistero. In compenso si conosce con esattezza il destino di Twice. Alla fne del 2010, a distanza
di un anno dall'acquisizione, Ubi banca ha deciso di chiudere la società, che è stata assorbita da Iw Bank.
Intanto, nell'arco di soli sei mesi, nei conti del broker di Borsa si erano accumulate altre perdite per 1,7 milioni
su due milioni di ricavi. Proprio un gioiello, questa Twice. Foto: Imagoeconomica(3)
Foto: da sInIstra: marIo massarI, la sede ubI banca a brescIa e gIovannI bazolI
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Un paradosso chiamato simest
È la società di Stato che dovrebbe aiutare le aziende italiane ad andare all'estero. Spesso, invece, finanzia le
delocalizzazioni
gloria riva e stefano vergine
Fino a sette anni fa, quando si acquistava un capo d'abbigliamento sintetico era probabile che la fibra acrilica,
il cuore dell'indumento, arrivasse da Porto Marghera. I 300 dipendenti della Montefbre ne sfornavano 140
mila tonnellate all'anno: erano i numeri uno al mondo. Poi allo stabilimento veneto sono arrivati i cinesi.
Dovevano studiare il mestiere, impararlo, perché la Montefbre aveva deciso di aprire un impianto gemello
nella Repubblica popolare. «Quello è stato l'inizio della fne», ricorda oggi Davide Stoppa, uno dei tanti
dipendenti rimasti senza lavoro. Raccontato così, sembrerebbe il classico caso di delocalizzazione. Il
paradosso è che questa volta lo spostamento della produzione dal Veneto alla Cina è stato di fatto agevolato
dallo Stato italiano. Alla Montefbre, i soldi per aprire in Oriente li ha dati infatti Simest, società che fa capo alla
Cassa depositi e prestiti, l'azienda di Stato che investe i risparmi postali. Sul sito la Simest si autoproclama
«partner delle imprese». E se a volte il suo aiuto è fondamentale per favorire l'export del made in Italy, in
alcuni casi la ciambella è uscita senza il buco. I servizi forniti dall'azienda di Stato sono parecchi, dalla
consulenza legale alla fnanza agevolata. Tutto rivolto a chi ha rapporti d'affari con l'estero. Ma l'offerta per cui
è nota la Simest è un'altra. Un'impresa vuole aprire all'estero? Una volta valutata la sua solidità patrimoniale
e la redditività del progetto, Simest può decidere di diventarne socio, arrivando al massimo al 49 per cento
del capitale. Le condizioni uffciali sono due. Primo: che l'azienda garantisca di mantenere in Italia il reparto
commerciale e quello di ricerca e sviluppo, oltre a «una parte sostanziale delle attività produttive». Secondo:
che dopo un massimo di otto anni il socio pubblico si faccia da parte, recuperando i soldi della partecipazione
con un ritorno medio del 6,7 per cento. «A differenza di un fondo di private equity», spiegano da Simest,
«abbiamo una remunerazione attesa più bassa e per un periodo più lungo, per potere meglio sostenere lo
sviluppo delle imprese italiane all'estero e anche in Italia». Stando ai dati comunicati per il 2013, le cose
sembrano andare particolarmente bene per la fnanziaria di Stato: 255 partecipazioni attive in 44 paesi,
soprattutto in Cina e Romania, e un totale di oltre 7 mila imprese sostenute in 23 anni di storia, il 64 per cento
delle quali piccole e medie. La commissione che esamina i progetti di partecipazione deve avere un ottimo
futo per gli affari, se è vero che, avendo investito 628 milioni nel solo 2013, nonostante la crisi generalizzata
Simest ha chiuso il bilancio con un guadagno netto di 13,3 milioni, la miglior performance di sempre. Se il
bilancio fnanziario della Simest è in attivo, quello occupazionale italiano segna rosso. In diversi casi, infatti,
l'aiuto della Simest è andato di pari passo con il trasferimento all'estero delle produzioni. Alla Montefbre,
appunto, la Spa pubblica ha prestato oltre due milioni per andare in Cina e creare una joint venture con il
partner locale, la Jilin Qifeng Chemical Fiber. Peccato che in Italia i dipendenti abbiano perso il posto. E, fra
cassa integrazione e corsi di formazione, siano costati più di 10 milioni di euro al sistema pubblico. Non solo.
La Montefbre Spa, che a fne maggio è stata messa in liquidazione per un buco da 8 milioni, già nel 2013
avrebbe dovuto ricomprarsi le quote di Simest, ma ha chiesto di posticipare l'operazione a settembre 2014,
perché al momento in cassa c'era poco o nulla. Un po' come è successo con Metecno, multinazionale
riconducibile a una famiglia indiana, che dalla Simest ha ricevuto 8 milioni per aprire, attraverso la controllata
italiana, stabilimenti a Hong Kong, in Bulgaria, Cile, India e Tailandia. Ora: non solo i dipendenti italiani di
Metecno sono rimasti in sette, mentre fino a qualche anno fa erano in duecento, ma l'azienda non ha più un
soldo. Semplificando, i quattrini della Simest sono serviti a far nascere cinque aziende all'estero, di proprietà
di una società indiana che le controlla dal Lussemburgo, dove tra l'altro le tasse sono notoriamente più
basse. Nulla di illegale, anzi. Tempo fa è stata proprio l'Europa a chiedere alla Simest di non limitarsi a
fnanziare società italiane, ma di estendere il suo contributo a quelle dell'intera Unione europea, anche per
evitare di incappare in multe per aiuti di Stato. Ecco perché due colossi lussemburghesi come la Techint del
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Economia investimenti pubblici
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presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, e la Duferco, amministrata dal numero uno di Federacciai,
Antonio Gozzi, hanno benefciato degli aiuti della Simest per aprire stabilimenti rispettivamente in Sud Africa e
Arabia Saudita. Pezzi da novanta che non avranno faticato molto a convincere la fnanziare della redditività
dei loro progetti, mentre le piccole imprese, quelle che la controllata della Cassa depositi e prestiti dice
genericamente di preferire, restano in realtà spesso a bocca asciutta quando si tratta di ottenere una
partecipazione del socio pubblico: «L'asticella è troppo alta per noi. La Simest lavora su progetti di grossa
taglia, da almeno due o tre milioni di euro, invece i piccoli al massimo fanno investimenti da un milione», dice
Bruno Panieri di Confartigianato. Talvolta chi riceve l'ausilio di Simest è anche un suo azionista. Oltre alla
Cassa depositi e prestiti, che detiene il 75 per cento del capitale della fnanziaria, tra i soci privati c'è la
Confndustria. A benefciare dell'aiuto della Simest, come detto, sono state la Techint dei Rocca e la Duferco di
Gozzi, due pezzi grossi di Confndustria. Ma pure la Ducati Energia della famiglia del ministro dello Sviluppo
economico, Federica Guidi, ex presidente dei giovani di Viale dell'Astronomia. Un anno e mezzo fa la Simest
ha rilevato il 15 per cento dell'azienda bolognese per 8 milioni. Il contratto dice che entro il 2017 la società
dovrà ricomprarsi quelle azioni. Insomma, un prestito pubblico e pure particolarmente generoso, visto che nel
2011 l'imprenditore Vincenzo Manes aveva incassato solo 3,8 milioni dalla vendita del 37,5 per cento di
Ducati Energia. Non basta. C'è pure la partecipazione di Simest nella Ducati Komponenti, la controllata
croata di cui la fnanziaria di Stato detiene il 21 per cento, avendo messo sul piatto 739 mila euro. Il problema,
hanno sottolineato alcuni senatori della Lega Nord in un'interrogazione parlamentare, è che mentre riceveva
aiuti pubblici per la sua azienda italiana e per la fliale croata, Ducati Energia dal 2005 al 2009 avrebbe messo
in cassa integrazione 95 dipendenti in Italia. Una situazione simile riguarda un altro volto noto di
Confndustria. L'ex numero uno Emma Marcegaglia, erede dell'omonimo gruppo dell'acciaio nonché attuale
presidente dell' Eni, «con una mano ha preso 32,3 milioni di euro da Simest per aprire fabbriche in Russia,
Brasile e Cina, e con l'altra ha tagliato 422 posti di lavoro in Italia fra licenziati e cassintegrati», dice Mirco
Rota della Fiom. Viene da chiedersi, allora, che cosa intenda la Simest quando dice che per entrare nel
capitale di un'azienda questa deve mantenere in Italia «una parte sostanziale delle attività produttive». Capita
a volte che anche le banche, le stesse che dovrebbero fnanziare le imprese, usino i risparmi postali per
allargarsi all'estero. D'altronde, tra i soci privati dell'azienda di Stato ci sono anche loro. Si spiega forse così il
caso di Intesa Sanpaolo, che ha ricevuto 800 mila euro per aprire sedi in Albania e Cina. O quello di
Scandolara Holding, controllata dalla Bnl-Bnp Paribas. Da quasi un secolo produttrice di tubetti per cosmetici
e prodotti alimentari, nel 2006 Scandolara ricevette da Simest 725 mila euro per comprare un'azienda bata in
Russia. Nel frattempo la società è passata nelle mani del gruppo bancario francese Bnp Paribas. Lo stesso
che, attraverso la Bnl, risulta tra gli azionisti privati della Simest. Insomma Simest ha aiutato una banca, in
questo caso nemmeno di proprietà italiana. Scorrendo la lista dei creditori si scopre che non sempre il
contributo della Cassa depositi e prestiti è fnito nelle mani ppropriate. La fnanziaria ha prestato 3 milioni di
euro alla famiglia Barbaro, armatori palermitani fniti sotto inchiesta per una frode internazionale, e 400mila
euro alla Ama International di Manlio Cerroni, signore incontrastato dei rifuti romani, condannato a un anno di
carcere per falso in atto pubblico e sotto processo per associazione a delinquere per traffco di rifuti. Se è vero
che Simest macina utili da diversi anni, non mancano i casi in cui i progetti di internazionalizzazione sono
andati male, con relativa perdita per il creditore. La Metalmeccanica Fracasso, quando ha ricevuto un milione
di euro da Simest per sbarcare in India, godeva di ottime credenziali. Poi è arrivata una salatissima multa
dall'Antitrust, le banche hanno chiuso i rubinetti del credito e adesso la Fracasso si ritrova con 50 milioni di
debiti. E il prestito della Simest? «Auguri», dice Michele Valentini, sindacalista della Fiom, «la Fracasso ha
messo tutti i dipendenti in cassa integrazione straordinaria e adesso sta in fase di concordato liquidatorio. Se
va bene alla fne riuscirà a ripagare il 40 per cento dei debiti». L'elenco delle società partecipate dalla Simest
e fnite male è piuttosto lungo. C'è ad esempio la Sasch, azienda d'abbigliamento dell'ex sindaco di Prato,
Roberto Cenni, fallita con 200 milioni di debiti. C'è la Faram, multinazionale trevigiana dei mobili per uffcio,
fnita gambe all'aria a maggio con 180 dipendenti rimasti da mesi senza stipendio. C'è pure la piemontese
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L'Espresso - N.27 - 10 luglio 2014
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Mondo, famosa per i palloni da calcio e le piste d'atletica, attualmente in concordato preventivo. Interpellata
da "l'Espresso", la Simest ammette che «alcuni partners, originariamente positivi e in sviluppo non sono
riusciti nel seguito a superare la crisi sopraggiunta», ma precisa che queste aziende «sono un numero molto
basso» rispetto al totale e che comunque le svalutazioni non hanno mai superato i guadagni, tanto da poter
vantare «dall'inizio dell'attività un saldo positivo di circa 36 milioni di euro». Positivo per la Simest, è senz'altro
vero. Ma per l'Italia? Foto: R. Squillantini - Imagoeconomica
Cina mon amour Alla fne del 2013 la Simest aveva partecipazioni in 255 aziende, con un investimento di
628 milioni di euro. Ecco i Paesi che nel periodo 1991-2012 hanno attratto il maggior numero di interventi.
Numero di Paese progetti finanziati Cina 186 Romania 113 Brasile 74 Usa 64 Polonia 62 Russia 59 India 52
Tunisia 51 Ungheria 45 Croazia 37
I settori industriali per i quali sono stati erogati più fnanziamenti Settore Numero progetti Meccanica 344
Tessile 152 Edilizia 98 Alimentare 94 Gomma e plastica 84
Fonte: bilancio Simest 2012
Foto: lo stabilimento del gruppo marcegaglia, a ravenna
Foto: È entrata in società che partecipano al suo capitale, in imprese straniere e altre con titolari colpiti da
condanne
Foto: IL MINISTRo FEDERICA GUIDI E, A DESTRA, EMMA MARCEGAGLIA
SCENARIO PMI
12 articoli
04/07/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 11
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Dai pozzi di petrolio allo shale gas La geopolitica secondo Oms Saleri
L'embargo iraniano, il pantano iracheno e la nuova sfida Usa Valore aggiunto L'azienda ha mantenuto in
house tutte le fasi di lavorazione, inclusa la fonderia acciai speciali
MASSIMILIANO DEL BARBA
Leggere i cambiamenti geopolitici con gli occhiali del manifatturiero. Ma soprattutto farlo da Odolo. Quanto è
lontana la Valsabbia dal Medioriente? Pochissimo, se si pensa che gli impianti di estrazione del petrolio
disseminati fra Mediterraneo e Mare del Nord pompano grazie a un cuore bresciano.
Valvole. Pesantissimi blocchi d'acciaio speciale alti fino a cinque metri che discendono il Chiese verso
Belayim, Abu-Sa'fah, Tengiz e Halfaya, oppure salgono fino al Viking Graben per mettere in pressione - alta
pressione, 600 atmosfere - gli impianti di Eni, Total, Bp e Shell. «Siamo dappertutto, direttamente e
indirettamente praticamente esportiamo il 100% del nostro prodotto» racconta Jacopo Rocca, che è l'ad della
Oms Saleri. La o e la emme stanno, ovviamente, per officine meccaniche, definizione forse un po' vintage anche se molto gettonata in provincia (si pensi alla Om ora Iveco o alla Omr di Bonometti) - per un global
supplier dei big player dell'oil&gas nato a Lumezzane e trasferitosi nel 1997 nella culla della civiltà del tondo
da cemento armato.
Ma il motivo c'è: l'azienda ha infatti qualcosa come 118 anni. E, portando nel sangue il dna valgobbino, ha
sempre fatto valvole. Solo che all'inizio erano rubinetti per l'acqua. Poi, negli anni Ottanta, l'intuizione:
«All'epoca quello lumezzanese era un'ambiente molto competitivo, ci serviva una exit strategy in grado di
riposizionare il core business pur mantenendo il know how maturato nei decenni» spiega il direttore
amministrativo Paolofrancesco Ghidini.
Obiettivo centrato: nel 2013 l'azienda, che occupa nei due stabilimenti di Odolo e di Bione 235 dipendenti, ha
fatturato 98,3 milioni di euro per un Mol del 17% e un utile netto di 9,8 milioni di euro. «Un risultato in linea col
2012 - puntualizza Rocca -. Consolidiamo le nostre posizioni di mercato in una fase complessa della
congiuntura e, dato che la domanda di valvole per l'oil&gas nel secondo semestre del 2013 ha subìto una
contrazione, ciò potrebbe riflettersi a fine anno in un lieve calo dei ricavi e delle marginalità».
Bilanci a parte, la forza dell'azienda, in questi anni, sembra esser stata l'impostazione sartoriale che ha
saputo dare alle sue produzioni. «Non abbiamo magazzino, ricerchiamo col cliente la soluzione migliore, sia
in termini di materiali che di tecnologia, e inoltre produciamo tutto internamente, incluso il getto d'acciaio»
prosegue Ghidini. Eppure, quando si parla di gas e di petrolio, più forte del mercato spesso e volentieri è la
geopolitica. Fronti, quelli energetici, quasi tutti caldi, molti addirittura incandescenti. L'Iraq, ad esempio. O la
Libia. E poi l'Iran. «Su Teheran grava dal 2010 un embargo che ci ha estromesso da un mercato
potenzialmente molto importante, mentre l'instabilità creata dalle primavere arabe rende tutto più difficile.
Dall'Iraq in queste settimane molte compagnie stanno evacuando il proprio personale tecnico congelando di
fatto le commesse in opera».
C'è di più: la crisi edilizia degli ultimi anni ha dirottato molte aziende del settore civile su comparti anticiclici
come, appunto, quello energetico, generando una competizione sul prezzo che rischia di penalizzare
fortemente le marginalità. Si replica, insomma, il problema di trent'anni fa coi rubinetti: tutti sul prodotto che
tira. Meglio trovare un'alternativa. Che ha Odolo si chiama shale gas, parla la lingua degli yankee e, per esser
trasportato, ha bisogno di essere liquefatto a una pressione tale che solo le valvole dei Saleri sono in grado di
sopportare.
Massimiliano Del Barba
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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La storia L'azienda di Odolo, che ha chiuso il 2013 con 98 milioni di ricavi e 9,8 di utile, produce valvole per le
multinazionali dell'oil&gas
04/07/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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235
I dipendenti impiegati dalla Oms Saleri nello stabilimento produttivo di Odolo e nel sito di Bione dedicato
all'assemblaggio
ll margine operativo lordo della Oms Saleri sul fatturato totale 17%
La quota dei ricavi aziendali dedicata ogni anno alle attività di ricerca e sviluppo 3%
Foto: Alta pressione Nata nel 1896 a Lumezzane, fino agli anni Ottanta nel settore idrosanitario, la Oms oggi
esporta in tutto il mondo
04/07/2014
Corriere della Sera - Milano
Pag. 2
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Un ragazzo su 5 non studia né lavora Effetto-crisi: «Ma non scoraggiatevi»
Fenomeno in continuo aumento. «La disoccupazione cresce tra i meno istruiti»
Alessandra Dal Monte
Non studiano, non lavorano, non sono impegnati in alcun programma di formazione. Sono i «Neet», i giovani
tra i 15 e i 29 anni che la sociologia inglese definisce «not engaged in education, employment or training». A
Milano e provincia sono 80 mila, il 20 per cento dei 412 mila ragazzi in quella fascia d'età. La cifra emerge dal
rapporto Milano produttiva 2014, curato dall'Ufficio studi della Camera di commercio. Un numero che si
colloca al di sotto della media nazionale - in tutta Italia i «Neet» sono oltre due milioni, il 24 per cento dei
giovani under 30 - ma che comunque colpisce. Perché il contesto è quello dinamico del Milanese, un territorio
ricco di opportunità formative e comunque in grado di reggere, seppure con dei contraccolpi, alla morsa della
crisi, come dimostra la stessa indagine.
Ma sui giovani la recessione ha colpito durissimo, anche a Milano. Basti vedere la disoccupazione fino ai 30
anni di età, arrivata al 20,8 per cento contro l'8 del totale della popolazione. E poi appunto ci sono i «Neet», i
ragazzi che non risultano tra i disoccupati ufficiali perché sono troppo giovani o perché non sono iscritti ai
centri per l'impiego, ma che allo stesso tempo non partecipano ad alcun progetto di formazione.
Negli ultimi due anni sono «esplosi»: dal 2011 alla fine del 2013 sono aumentati di 20 mila unità. Dentro a
questa fetta di popolazione convivono le situazioni più svariate: ci sono gli stranieri, circa 15 mila, che spesso
hanno genitori con problemi economici o difficoltà di apprendimento scolastico. Perciò lasciano gli studi, già
dalle superiori. Poi ci sono i figli di genitori milanesi a rischio povertà, che sull'istruzione non riescono a
investire. Ma anche ragazzi provenienti da famiglie di livello medio-alto che non terminano il liceo oppure
l'università.
Il 60 per cento dei «Neet» milanesi ha tra i 15 e i 24 anni, i ragazzi e le ragazze sono rappresentati allo
stesso modo. L'83 per cento di questi giovani non lavora perché non ha trovato un'occupazione e cresce il
numero di «scoraggiati», quelli che non stanno nemmeno più cercando un impiego perché pensano che non
vi sia la possibilità di ottenerlo (24 mila, cinquemila più dell'anno scorso). «Dati molto preoccupanti» ma
presto spiegati secondo Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano: «Oggi ci sono circa
17 mila assunzioni di giovani all'anno tra Milano e provincia, rispetto alle 28 mila di dieci anni fa. Undicimila in
meno, un terzo di possibilità eliminate: è chiaro che occorre uno sforzo straordinario di istituzioni locali e
governo per sostenere le imprese che investono nell'occupazione», dice il presidente.
All'origine del fenomeno, oltre alla crisi, c'è anche l'abbandono scolastico. Secondo il dossier di Tuttoscuola
sulle superiori statali, nel 2013/2014 gli istituti milanesi hanno perso il 30 per cento degli allievi iscritti cinque
anni prima. Per l'Ufficio scolastico regionale la cifra si ferma al 20 per cento, perché alcuni ragazzi sono
confluiti nelle scuole paritarie e nei centri di formazione professionale. Alcuni, però, hanno smesso
definitivamente di studiare. Anche all'università si lascia: secondo Almalaurea uno studente su sei lo fa dopo
il primo anno. «Gli 80 mila "Neet" fanno effetto, ma è un numero che conosciamo bene - afferma Francesco
de Sanctis, direttore dell'Ufficio scolastico regionale -. Uno dei motivi alla base del dato può essere la scelta
sbagliata della scuola superiore. Per prevenirla ed evitare che tutti vadano per forza al liceo stiamo
valorizzando gli istituti tecnici e professionali insieme alla Regione, aumentando l'alternanza scuola-lavoro. E
da poco è nato Garanzia Giovani, il progetto del governo finanziato in Lombardia con 178 milioni per aiutare i
ragazzi a trovare un impiego con percorsi personalizzati. Riusciremo a invertire la tendenza».
Positivo anche il rettore del Politecnico Giovanni Azzone: «Non bisogna scoraggiarsi: Milano ha un tessuto
produttivo che sa sempre trasformarsi. Per esempio il settore dei servizi professionali è in forte sviluppo. Però
non bisogna abbandonare la formazione: la disoccupazione aumenta tra i giovani meno istruiti».
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Giovani e lavoro Il dossier
04/07/2014
Corriere della Sera - Milano
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Fonte: Assolombarda e Rapporto Milano produttiva 2014, Ufficio studi della Camera di commercio I numeri
dell'economia IL TESSUTO IMPRENDITORALE IMPORT ED EXPORT A livello nazionale Milano (prima città
in Italia) produce Esportazioni Importazioni INTERNAZIONALIZZAZIONE LA CRISI DEL LAVORO TURISMO
E STUDIO GIOVANI LE PREVISIONI PER IL 2014 DONNE STRANIERI Calano del 14,2% gli avviamenti di
contratti per lavoratori immigrati (soprattutto nell'edilizia e nei servizi alla famiglia) Disoccupazione giovanile al
20,8% 80 mila giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano né lavorano (il 20% del totale, 412 mila) 20 mila in più
rispetto al 2011 DISOCCUPAZIONE Milano ha perso nell'ultimo anno 18 mila addetti Ore di cassa
integrazione per dipendente 2012 2013 28 40 2008 2013 3,8% 8% Costruzioni Immobiliare Logistica -6,6% 6,7% -6,8% Un under 30 su 5 non lavora Disoccupazione femminile I contratti flessibili Le donne imprenditrici
(soprattutto nei servizi) +0,7% -13% +0,6% 7 milioni di turisti nel 2013 1 milione di visitatori stranieri in Fiera
Aumentano gli iscritti stranieri nelle università milanesi +16% È la 24esima città universitaria al mondo Milano
concentra il 10% degli studenti stranieri in Italia D'ARCO +1,4% Produzione +2,6% Reddito delle famiglie
Milano concentra il 33% delle multinazionali internazionali che investono in Italia: oltre 3 mila aziende (+7% in
cinque anni, 274 mila persone occupate) IL TREND 286 mila imprese in provincia di Milano, invariate rispetto
allo scorso anno grazie alla crescita delle attività straniere 36 mila +6,2% -2,5% -5,9% 11% 7%
DELL'EXPORT DELL'IMPORT Aziende straniere Aziende italiane -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 Milano Manifatturiero
Artigianato Commercio Servizi professionali -1% attività produttiva -1,4% produzione -3,1% volume d'affari
+7,7% capacità occupazionale
Hanno detto
Imprese sfiancate dal crollo dei consumi, giovani vittime della crisi
Invertiamo il trendvalorizzando gli istituti tecnici e professionali
Milano offre ancora opportunità, ma serve formazione
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Il Sole 24 Ore
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Nell'agenda il «rinascimento industriale»
PICCOLE E MEDIE IMPRESE L'obiettivo è migliorare la competitività. Sull'innovazione: utilizzare gli 80
miliardi del piano Orizzonte 2020
D.Col.
ROMA
Rivitalizzare la Strategia Europa 2020 e puntare su un coordinamento rafforzato delle politiche economiche
dei Paesi su obiettivi «concreti e misurabili» per aumentare la crescita potenziale dell'economia. Parte da
questo impegno il "Nuovo inizio" promesso da Matteo Renzi nel programma per il semestre europeo. Un
approccio duplice. Di continuità con la tabella di marcia indicata dai vertici europei nel dicembre del 2012, nel
pieno della crisi economica, per il rafforzamento dell'Unione monetaria, ma anche di netto rinnovamento, con
l'enfasi posta sulle riforme strutturali come «pietra angolare» della visione che ispira l'agenda della
presidenza.
La crescita non c'è se non è in una «dimensione europea», si ribadisce a più riprese nel documento
programmatico. E non poteva essere che così vista la pesante eredità della crisi: 26 milioni di disoccupati
(3,22 sono italiani) e un'economia incapace di ritrovare la strada della crescita più robusta.
Ecco, allora, l'enfasi sui programmi per migliorare la competitività dei sistemi produttivi, a partire dal tessuto
delle piccole imprese europee: tutte le politiche che incidono sulla competitività dovranno essere indirizzate a
un «Rinascimento industriale». Mentre sul fronte dell'occupazione da rilanciare, la presidenza italiana punterà
su mobilità, riforme strutturali dei mercati del lavoro e maggiori investimenti in capitale umano.
Le politiche per l'occupazione si baseranno fondamentalmente sull'attuazione dei programmi Garanzia
giovani e Iniziativa per l'occupazione giovanile (fondi Fse) e si annuncia un vertice intergovernativo dedicato
alla disoccupazione giovanile che seguirà le riunioni di Berlino e Parigi. Le politiche ancillari di quelle per
l'occupazione saranno ricomprese nell'Agenda per l'istruzione (con l'attenzione sui programmi di
apprendistato e alternanza scuola-lavoro) e nel rilancio di Orizzonte 2020, con il sostegno di tutte le iniziative
dei fondi di investimento per lo sviluppo della ricerca e l'innovazione (80 miliardi tra 2014 e 2020 con fondi
Fse e i piani Bei).
Sul fronte geopolitico tre i focus del documento Renzi. Il primo riguarda la «dimensione esterna» delle
questioni migratorie: si parla ancora di rafforzamento dell'Agenzia Frontex e di task force Ue per il
Mediterraneo, ma non è da escludere che si riaffacci il tema di affidare a un commissario ad hoc il dossier.
Poi le sanzioni alla Russia a seguito della crisi ucraina: l'Italia cercherà di rilanciare il dialogo con Mosca, un
«partner strategico». Infine la «dimensione esterna della politica energetica»: perseguire negoziati bilaterali
per rafforzare scambi commerciali e investimenti con particolare attenzione ai rapporti con gli Stati Uniti e al
partenariato transatlantico (Ttip). In ottobre, invece, con il vertice Aseam a Milano l'impegno sarà sulla
condivisione delle sfide globali con i partner dell'Asia-Pacifico. Continuità su tutti gli altri dossier strategici:
dalla politica di sicurezza e difesa comune all'attenzione particolare agli sviluppi del processo di pace in
Medio Oriente e il sostegno di un processo di dialogo «autentico e inclusivo» con la Libia dopo la Conferenza
di Roma del marzo scorso. Non poteva mancare Expo 2015: la presidenza italiana sfrutterà l'occasione della
Conferenza Onu sull'alimentazione di novembre per lanciare il programma di sensibilizzazione sui temi della
sicurezza alimentare.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Il programma per il semestre. Enfasi sulla dimensione «esterna» del controllo dell'immigrazione
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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Italia hub farmaceutico europeo
Nei prossimi tre anni investimenti per 1,5 miliardi e duemila nuovi posti di lavoro LE PROSPETTIVE Il
presidente Scaccabarozzi: «C'è una Italia profonda che è pronta a cambiare» Il ministro Lorenzin: misure per
la competitività del settore
Roberto Turno
ROMA
Promettono nuovi investimenti per 1,5 miliardi in tre anni e 2mila nuovi posti di lavoro. «L'Italia può davvero
diventare l'hub farmaceutico d'Europa», garantisce Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.
Che elenca «con orgoglio industriale» i primati del settore: l'export, la produzione, il successo delle aziende a
capitale italiano all'estero, la discesa in Italia delle multinazionali pronte a raddoppiare se trovano terreno
fertile. Quella fertilità che la solita burocrazia, il peso del fisco, lo spezzatino del farmaco diviso in 21 regioni
con regole diverse che creano altrettanti spread d'assistenza per gli italiani, rendono spesso un miraggio. La
farmaceutica made in Italy alza il tiro e rilancia, si sente «un'eccellenza europea». «C'è bisogno di velocità e
condivisione di obiettivi», ha detto ieri Scaccabarozzi all'annuale assemblea di Farmindustria. Quella velocità
che il farmaceutico sembra cogliere nel "Renzi pensiero". Nelle riforme in arrivo. Nell'interesse che il premier
ha manifestato a più riprese per il ruolo che il settore può avere sulla ripresa, ma anche nelle azioni che
Beatrice Lorenzin annuncia di voler mettere in campo mettere in campo.
Sono numeri spesso da primato europeo, anche alla pari col gigante tedesco, quelli che Farmindustria ha
vantato ieri alla sua assemblea. «C'è un'Italia profonda che è pronta a cambiare», la premessa di
Scaccabarozzi per dire che la farmaceutica c'è e vuole esserci sempre di più in quella vasta parte del Paese
che vuole uscire dal guado. «Negli ultimi mesi qualcosa sta accadendo, si lavora alle riforme e la speranza si
rimette in moto», la condivisione piena verso gli obettivi (e annunci) del premier ex sindaco. Ma, è chiaro, agli
annunci adesso devono seguire i fatti. Quei fatti che l'industria ha elencato negli ultimi investimenti per 470
mln realizzati da Big Pharma tra Verona a Frosinone, passando per Firenze, Parma, Rieti, Latina. Dalle
aziende a capitale italiano che si sono allungate dagli Usa alla Cina, dalla Francia alla Turchia, da Singapore
e ancora altrove nel mondo. È appunto la premessa-promessa di quello che potrebbe diventare «l'hub
farmaceutico d'Europa» la carta che la farmaceutica italiana cala sul tavolo.
Sono i numeri del successo, appunto. I 28 mld di produzione, le 174 fabbriche, i 62 mila addetti. Che si
moltiplicano guardando all'eccellenza italiana di un indotto (altri 60mila occupati) ramificato e di qualità. Sono
cifre che parlano di 2,3 mld di investimenti in produzione e ricerca. E poi il primato dei primati: il super export
che la colloca ai primissimi posti al mondo. Se per la produzione in Europa siamo secondi solo alla Germania,
nell'export la farmaceutica italiana è pressoché sola al comando. Nel 2013 la crescita è stata del 14%, a un
ritmo del +64% negli ultimi cinque anni. Regina del manifatturiero, di cui ha determinato ormai il 34%
dell'export. Primati che però devono fare il conto con gli insuccessi. I fallimenti di casa nostra: «la burocrazia
«che divora la crescita con una fame che non sazia mai», i prezzi più bassi nella Ue, l'innovazione che arriva
tardi e male. Di qui le richieste: mandare gambe all'aria il federalismo sanitario, dare fiato all'ingresso
dell'innovazione. Riportare «al centro la politica nazionale», ha riassunto Scaccabarozzi. Se così sarà, i nuovi
investimenti e posti di lavoro diventeranno concretezza. Magari potrebbero crescere, chissà.
La politica «nazionale» sul farmaco e l'attenzione verso il settore per promuovere la crescita, ha fatto sapere
all'assemblea di Farmindustria la Lorenzin, è negli obiettivi del «Patto per la salute» ormai in arrivo. Così
come la riforma dell'Aifa, entro fine agosto, per farne una Fda modello Usa. «Serve competitività», ha
ammesso il ministro. Bene la riforma dell'Aifa, la promozione di Scaccabarozzi: potremmo investire anche di
più. Ora però è il tempo di passare ai fatti. Con velocità renziana, non di sole promesse.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Lamappaterritoriale LOMBARDIA 28.000 Chimica, meccanica, carta
14.000 PRESENZA REGIONALE DELL'INDUSTRIA FARMACEUTICA E DEL SUO INDOTTO CRESCITA
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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La questione industriale/1. Farmindustria vanta numeri da primato nel manifatturiero: 28 miliardi di produzione
ed export a +13%
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1.7
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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DELL'EXPORT DA PRIMATO MONDIALE I NUMERI (in miliardi) Esportazioni di medicinali: differenza 20102013 in miliardi di dollari Legenda: Addetti diretti Addetti nell'indotto SICILIA 26% dell'export manifatturiero
nella provincia di Catania 1.000 4.000 ABRUZZO >1.100 (100 in R&S) >1.100 VENETO Meccanica, chimica,
imballaggi 2.700 6.000 EMILIA ROMAGNA Meccanica, chimica, vetro 3.300 6.000 TOSCANA Vetro, chimica
6.000 4.000 14.000 6.600 LAZIO Chimica, imballaggi PIEMONTE E LIGURIA Meccanica, chimica, imballaggi
2.200 7.000 MARCHE 62% dell'export manifatturiero ad Ascoli Piceno 2.800 PUGLIA 31% dell'export
manifatturiero a Bari e Brindisi 42,3 3.000 3,3 Produzione Investimenti in R&S e produzione 6,7 Stipendi e
contributi CAMPANIA 900 3.100 ITALIA Svizzera Germania Olanda Francia Spagna Usa Belgio Irlanda Gb
6,8 4,8 4,6 0,6 0,6 0 -0,1 -2,1 -5,3 -6,0
Foto: - Fonti: Farmindustria, Osservatorio Pharmintech, Istat, Fondazione Edison
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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La manifattura e i servizi ristagnano
Erosione dei ricavi e del margine operativo netto ed inoltre liquidità in discesa e debiti in salita IL GIRO
D'AFFARI Quattordici società del Top Industria su venticinque continuano a perdere ricavi, tra cui Enel (11,7%), Telecom Italia (-11,4%) e ST (-8,4%) MONOPOLISTI E INDEBITATI Atlantia, Snam e Terna hanno
più debiti finanziari che patrimonio netto e fatturato nonostante operino in settori a tariffe regolate
Giuseppe Oddo
Il pendolo dell'industria manifatturiera e dei servizi oscilla, al termine del primo trimestre, tra recessione e
stagnazione. Il Top Industria mostra, nel complesso, ricavi omogenei in calo del 2,9%, margini in contrazione
dello 0,5%, nonostante una riduzione dei costi del 3,2%, liquidità in diminuzione del 7,2% rispetto al dicembre
2013 e debiti finanziari, nel medesimo periodo, in ripresa di quasi l'1 per cento: chiari segnali di stanchezza,
che evidenziano come la strada verso la ripresa sia ancora in salita.
Nel confronto con il primo trimestre dello scorso anno, risultano sostanzialmente stagnanti sia il Margine
operativo netto (o Ebit: ricavi, meno costi, meno ammortamenti), sia il risultato corrente (prima delle
operazioni straordinarie e delle imposte), sia il risultato netto dell'aggregato. Il grafico (a destra)
sull'andamento del Mon segnala un rimbalzo solo per il comparto dell'energia, rappresentato da giganti quali
Enel, Eni, Snam e Terna, ma l'incremento di oltre 14 punti è essenzialmente dovuto all'effetto cambio ovvero
alla svalutazione dell'euro sul dollaro rispetto al secondo semestre 2013.
Continuano a perdere quota, invece, la manifattura e i servizi. La prima crolla di quasi trenta punti; i secondi,
rappresentati per la maggior parte dalle public utility, arretrano di oltre sei punti. La discesa del Mon
manifatturiero è tanto più significativa in quanto il Top Industria comprende ormai al proprio interno anche la
Chrysler. Entrata progressivamente nel bilancio della Fiat a partire dal 1° giugno 2011, la casa automobilistica
di Detroit è stata pienamente consolidata nei conti del gruppo del Lingotto solo a cominciare dal 2012.
L'impennata di circa 86 punti in due anni del Mon manifatturiero del Top Industria non è dunque l'effetto di
una ripresa, ma di un forte aumento di massa dell'indice dovuto proprio al consolidamento di Chrysler.
L'aspetto che più rileva, però, è che a partire dal 2012 lo stesso indice manifatturiero, comprensivo di
Chrysler, abbia innescato la discesa, perdendo fino al 31 marzo di quest'anno 60 punti in quindici mesi.
Dei venticinque gruppi che compongono l'aggregato, quattordici continuano a perdere ricavi alla fine del
primo trimestre: -11,7% Enel, -11,4% Telecom, -10,1% STMicroelectronics, -8,4% A2a, -6,3% Eni e -4,9%
Finmeccanica. Il fatturato complessivo di Enel ed Eni ripiega dell'8,4%; quello degli altri gruppi industriali,
invece, cresce di quasi il 5%, ma se vi escludiamo Fiat la variazione è anche in questo negativa, dell'1,4 per
cento. Degli stessi venticinque gruppi, inoltre, dodici riducono il Mon rispetto al primo trimestre dell'anno
precedente, in taluni casi con variazioni rilevanti: -70% Prysmian, -43% Mediaset, -28% World duty free, 13% Tod's, mentre Buzzi Unicem e Autogrill chiudono con una perdita operativa netta. Il maggior calo in
valore assulto è quello di Telecom: -123 milioni, pari al -9,8 per cento. ST registra, invece, una crescita di 137
milioni per le minori spese di ricerca e sviluppo.
Per l'Eni, il Mon scende dello 0,6%, ma il rapporto Mon/fatturato crolla dal 25% del 2005 al 13% del 2014.
L'erosione di redditività è costante anche in presenza di prezzi medi annui del petrolio fortemente crescenti.
Nel 2006, con un prezzo medio annuo del greggio di 65 dollari, il Mon ha rappresentato il 23,5% dei ricavi.
L'anno successivo, con un prezzo del barile di 73 dollari, è sceso al 22,3 per cento. Nel 2008 è calato al
18,8% nonostante il prezzo medio annuo del petrolio abbia raggiunto i 97 dollari. E nel 2012, quando il prezzo
medio del greggio ha sfiorato i 112 dollari, è arretrato al 15,2 per cento.
L'utile netto del Top Industria cala del 12,3%, a 3,5 miliardi, per l'aggravarsi di 376 milioni delle poste
straordinarie (incluse nel "saldo costi e ricavi non ricorrenti"). A far peggiorare in modo sostanziale questa
voce è l'onere di 491 milioni iscritto a bilancio da Fiat per l'esecuzione del memorandum d'intesa sottoscritto
da Chrysler con la Uaw, la United auto workers, la sigla sindacale statunitense dei lavoratori dell'auto.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Analisi dei bilanci R&S-Il Sole 24 Ore I CONTI DEI GRANDI GRUPPI AL 31 MARZO 2014
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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Come dicevamo, torna a salire il debito finanziario aggregato dopo la discesa contabilizzata dal Top Industria
alla fine del 2013. Il rapporto più alto debiti/patrimonio netto è quello di Cnh e Fiat. Nel primo caso
l'esposizione finanziaria è pari a quattro volte il patromonio netto; nel secondo, a più di tre volte.
È comunque sorprendente l'alto livello debitorio che continuano ad avere imprese monopolistiche pubbliche
come Snam (reti di trasporto del gas) e Terna (elettrodotti per il trasporto dell'energia elettrica), entrambe
facenti capo a Cassa depositi e prestiti, e imprese private come Atlantia (reti autostradali). Terna ha debiti di
poco inferiori a tre volte il patrimonio netto, e nel caso di Atlantia e Snam lo stesso rapporto è pari a due.
Molto più sbilanciato è il rapporto debiti/fatturato. Terna ha 8,8 miliardi di indebitamento finanzario totale su
1,8 miliardi di fatturato, Snam ne ha 13 su 3,4 di fatturato e Atlantia 17 su 3,8. Andrebbe indagata l'origine del
fenomeno: come mai così tanti debiti in capo a società monopolistiche che operano in mercati regolati e che
dovrebbero coprire gli investimenti con le tariffe?
Il rapporto debiti/fatturato è elevato, ma meno sbilanciato per Telecom: 34 miliardi su 23 di giro d'affari. Al
contrario, il fatturato supera i debiti nei casi di Eni (115 miliardi su 26), di Pirelli (6,1 miliardi su 2,4), di Enel
(77 miliardi su 59), di Finmeccanica (16 miliardi su 6) e di A2a (5,4 miliardi su 4,4). I debiti di Exor,
controllante di Fiat e Cnh, sono pari a 53 miliardi contro ricavi per 114 miliardi.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Primi 3 mesi (milioni di euro) 2013 2014 Var.% Margine d'interesse 7.371
7.397 0,4 Commissioni nette 4.900 5.037 2,8 Altri ricavi 1.719 1.600 -6,9 Totale ricavi (margine di
intermediazione) 13.990 14.034 0,3 Costi operativi -8.618 -8.546 -0,8 Perdite su crediti -3.663 -3.496 -4,6
Risultato corrente 1.709 1.992 16,6 Saldo altri costi e ricavi non correnti 223 329 47,5 Imposte -1.050 -901 14,2 Risultato di competenza di terzi -115 -116 0,9 Risultato netto 767 1.304 70,0 ROE 2,0 3,9 1,9 al 31
dicembre 2013 al 31 marzo 2014 Var.% Impieghi verso la clientela 1.277.167 1.268.582 -0,7 Raccolta diretta
da clientela 1.425.348 1.417.583 -0,5 Raccolta indiretta da clientela (*) 576.522 598.185 3,8 Patrimonio netto
(inclusi terzi) 138.787 141.060 1,6 Crediti deteriorati 127.747 129.262 1,2 * Solo risparmio gestito; Nb: I costi
operativi comprendono personale, spese generali e ammortamenti. Il Roe è calcolato su base annua Top
Banche * variazione su base omogenea Gruppi sotto la lente Var.% fatturato (*) 2013-14 Var.% Mon 2013-14
Mon/fatt in%2014 Debiti fin./ patrimonio netto in%2014 A2A -8,4 1,7 12,9 130,1 Atlantia 6,2 12,1 41,2 205,4
Autogrill -3,4 - -3,3 222,7 Buzzi Unicem 11,5 N.c. -7,5 71,3 Davide Campari -3,0 -20,8 13,1 87,2 Cnh
Industrial -0,2 -5,2 6,7 400,0 Enel -11,7 -1,7 13,7 111,9 Eni -6,3 -0,6 12,7 41,2 Fiat 12,3 -1,4 2,8 321,2
Finmeccanica -4,9 0,9 3,9 162,4 GTech -2,1 -5,7 23,2 113,3 Luxottica -1,2 -1,8 14,7 59,6 Mediaset -0,9 -43,4
3,7 54,1 Moncler 15,1 14,3 27,6 74,9 Pirelli & C. -2,8 12,9 13,6 96,0 Prysmian 3,2 -70,2 1,1 130,8 Salvatore
Ferragamo 6,0 7,7 14,0 21,7 Snam 1,2 3,0 59,8 208,6 StMicroelectronics -10,1 N.c. 0,5 20,0 Telecom Italia 11,4 -9,8 22,2 165,6 Tenaris -3,7 2,2 21,9 7,1 Terna 0,2 0,7 60,5 283,5 Tod's - -13,2 18,1 5,4 World Duty
Free 10,3 -27,8 3,0 262,8 Yoox 15,5 - 1,6 30,9 TOTALE -2,9 -0,5 11,1 117,7 Primi 3 mesi (milioni di euro)
2013 2014 Var.% Fatturato netto 104.385 101.362 -2,9 Costi di gestione 93.102 90.141 -3,2 Margine
operativo netto 11.283 11.221 -0,5 Oneri e proventi finanziari -2.298 -2.641 14,9 Risultato corrente 8.985
8.580 -4,5 Saldo costi e ricavi non correnti -156 -532 241,0 Imposte -4.329 -4.068 -6,0 Risultato di
competenza di terzi -543 -511 -5,9 Risultato netto 3.957 3.469 -12,3 ROE 8,5 7,7 -0,8 punti al 31 dicembre
2013 al 31 marzo 2014 Var.% Patrimonio netto degli azionisti 179.779 184.420 2,6 Patrimonio netto delle
minoranze 31.442 26.559 -15,5 Debiti finanziari 245.986 248.285 0,9 Totale capitale 457.207 459.264 0,4
Debiti finanziari/Patrimonio netto in% 116,5 117,7 Mezzi di terzi/PN degli azionisti in% 154,3 149,0 Liquidità
58.921 54.659 -7,2 Nb: onde evitare duplicazioni, l'aggregato non comprende le società la cui controllante è
inclusa nei Top industria. Il margine operativo netto (c.d. ebit) corrisponde alla differenza tra ricavi e costi
della gestione tipica, compresi gli ammortamenti. Oneri e proventi finanziari comprendono i risultati netti proquota di consociate valutate al patrimonio netto. Il Roe è calcolato su base annua Top Industria Gli effetti
della congiuntura Andamento del margine operativo netto (Ebit) del Top Industria. Numeri indici, base I
semestre 2009=100 * Il progressivo consolidamento di Chrysler dal 1° giugno 2011 ha prodotto una
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Il Sole 24 Ore
Pag. 25
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discontinuità nei margini della manifattura 100 96,4 105,6 106,8 110,9 118,6 104,9 101,1 96,2 87,6 80,9 2009
I II I II I II I II I II I 2010 2011 2012 2013 2014 Servizi Manifattura Energia Manifattura esclusa Chrysler 135,7
218,0 126,7 184,9 126,5 113,7 156,8 169,9 121,3 135,7 123,0 178,4 183,0 195,3 235,2 97,9 99,1 113,5
171,9 167,8 278,0 244,9 248,3 266,6 191,6 99,6 1° giugno 2011 Effetto consolidamento Chrysler* Risultato
corrente * Crediti v / Clienti Milioni di € Var.% su 2013 Milioni di € Var.%su dicembre 2013 Intesa SanPaolo
876 46,0 339.020 -1,4 UniCredit 1.215 18,9 484.817 0,1 Mediobanca 18 N.c. 36.185 -9,8 Ubi Banca 92 4,5
87.095 -1,5 Banco Popolare -7 N.c. 85.518 -0,7 Bper -16 N.c. 45.849 -1,4 Banca Mps -291 -179,8 132.677
1,6 Banca Pop. Sondrio 50 163,2 24.600 2,9 Bpm 55 27,9 32.821 -1,6 TOTALE BANCHE 1.992 16,6
1.268.582 -0,7 * Ricavi operativi - costi di gestione - perdite su crediti Le società sono esposte in ordine
decrescente di peso nell'indice di Borsa, situazione al 31 marzo 2014 Banche a confronto
GLI AGGREGATI
Top Industria
Ne fanno parte A2a, Atlantia, Autogrill, Buzzi Unicem, Campari, Cnh Industrial, Enel, Eni, Ferragamo, Fiat,
Finmeccanica, Gtech, Luxottica, Mediaset, Moncler, Pirelli & C., Prysmian, Snam, STMicroelectronics,
Telecom Italia, Tenaris, Terna, Tod's, World duty free, Yoox. Sono escluse dal campione le società le cui
controllate figurano già nell'indice Ftse-Mib.
Top Banche
Lo compongono gli istituti dell'indice Mediobanca 30: Intesa Sanpaolo, Banca Mps, Ubi, Banco Popolare,
UniCredit, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare dell'Emilia Romagna (Bper), Bipiemme, Mediobanca.
PER SAPERNE DI PIÙ
R&S E MEDIOBANCA SU INTERNET
www.mbres.it
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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Fino a 100mila euro di bonus sui brevetti delle micro-imprese
Il raddoppio dell'importo è allo studio del ministero
Flavia Landolfi
Va in aiuto delle micro, piccole e medie imprese "inventrici", quelle creative che brevettano e che vogliono
lanciare le proprie creazioni sul mercato. Brevettiplus, istituita dal ministero dello Sviluppo economico e
gestita da Invitalia, sostiene le aziende italiane prima e dopo: prima nel deposito del brevetto, dopo nelle
innovazioni di prodotto e di processo. Con intensità di aiuto diverse: fino a 30mila euro per il deposito che si
innalza a 70mila per gli interventi di valorizzazione del prodotto. I finanziamenti, che viaggiano paralleli per
entità e procedure, possono però essere cumulabili: ed arrivare quindi a 100mila euro di incentivo. E così c'è
chi ha inventato un gioco "spia" per bambini, che intercetta le modalità di apprendimento. Chi salvettine
umidificate biodegradabili in "tessuto no tessuto". Chi si è specializzato nel gioco delle bocce e ha inventato
un nuovo modello con inserti colorati facilmente distinguibili.
«La misura è interessante, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando - dice Luigi
Gallo, responsabile area gestione programmi, ricerca e innovazione di Invitalia - anche se può essere
migliorata: stiamo ragionando con il Mise sull'innalzamento delle soglie di incentivo fino a 200mila euro».
L'impressione, per Invitalia, è che lo strumento in qualche caso sia poco sfruttato «anche per via dei tetti alle
risorse». A oggi, dopo tre anni, il fondo è stato utilizzato per metà: dei 30 milioni iniziali stanziati dal Mise ne
sono rimasti 15. Una bella fetta che potrebbe essere meno "polverizzata". C'è però anche un elemento più
immediato. «Le domande - dice Gallo - spesso sono compilate male». E anche qui i numeri parlano chiaro:
delle oltre 2.300 domande totali ricevute da Invitalia in tre anni ne sono state accolte solo 966.
Le leve e le domande
Sono due i filoni di intervento di Brevetti plus: i premi per la brevettazione con "benefici" fino a 30mila euro.
Si tratta di un rimborso dei diritti di deposito all'Uibm (ufficio italiano brevetti e marchi) o agli "omologhi"
europei e internazionali. Il "premio" è parametrato al tipo di deposito: più si rivolge all'estero, più alto è il
valore del rimborso. Le domande e tutte le procedure sono scaricabili, previa registrazione, dal sito Invitalia
(www.invitalia.it).
Più alti gli incentivi per la valorizzazione economica dei brevetti con una copertura delle spese ad ampio
raggio. «Il contributo, erogato in conto capitale e a fondo perduto fino a un massimo di 70mila euro - dice
Gallo - copre una serie di voci di spesa, come le attività di marketing, le linee di produzione, il settore legale,
gli accordi commerciali e tutte le spese specialistiche». In sostanza tutto ciò che viene ricompreso all'interno
dell'innovazione di processo e di prodotto. Anche in questo caso le domande vanno fatte online, con l'invio
del project plan. A differenza dei "premi" che vengono erogati una tantum, gli incentivi per la valorizzazione
economica sono distribuiti in due tranche: la prima a titolo di anticipo per un importo compreso tra il 30 e il
50% dell'agevolazione o in alternativa al raggiungimento di uno stato di avanzamento lavori. La seconda
tranche viene erogata a saldo dietro presentazione delle fatture quietanzate e di una relazione con risultati
«riscontrabili e misurabili».
L'andamento
A tre anni dall'apertura dello sportello Invitalia ha ricevuto più di 2.300 domande: 1.492 richieste di premi per
la brevettazione e 826 richieste di incentivi per l'acquisto di servizi finalizzati alla valorizzazione dei brevetti.
Le regioni più attive sono le solite: Lombardia (543 domande), Emilia Romagna (453), Veneto (401),
Piemonte (192), mentre i settori produttivi più "creativi" sono la meccanica e il manifatturiero. Oggi fa capolino
anche quello dei materiali.
Un sostegno alla brevettazione arriva anche dalla Fondazione della Cassa di risparmio di Imola. Anche per il
2014, infatti, l'ente mette a disposizione delle imprese nell'area di competenza un contributo di 5mila euro
(6mila in caso prototipazione o studi di fattibilità) per il deposito di brevetti. L'operazione viene gestita da
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Innovazione e sviluppo. Ancora 15 milioni disponibili
04/07/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Innovami, centro per l'Innovazione e incubatore d'impresa con sede a Imola.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Brevetto Il brevetto è un titolo giuridico in forza del
quale al titolare viene conferito un diritto esclusivo di sfruttamento dell'invenzione, in un territorio e per un
periodo ben determinati, e che consente di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare l'invenzione
senza autorizzazione. Per invenzione si intende una soluzione nuova e originale a un problema tecnico.
Le due leve di Brevettiplus
I FONDI
Risorse per 15 milioni destinate al deposito e alla valorizzazione dei brevetti delle micro, piccole e medie
imprese. Le risorse sono assegnate con procedure a sportello e a fondo perduto.
LE LINEE DI INTERVENTO
Due le leve degli incentivi:
8premi per la brevettazione per incrementare il numero di domande di brevetto nazionale e all'estero. Ogni
impresa può cumulare 30mila euro di premi a copertura delle spese di deposito
8incentivi per la valorizzazione economica dei brevetti: il bonus, fino a un massimo di 70mila euro in conto
capitale, copre l'acquisto di servizi specialistici per l'introduzione del brevetto all'interno del ciclo produttivo,
come l'innovazione di processo e di prodotto
LE DOMANDE
8Premi per la brevettazione
È necessario compilare un format online (https://servizionline.invitalia.it/brevetti_fe/); al termine della
compilazione viene rilasciato un protocollo elettronico. Da questo momento scattano 15 giorni di tempo per
inviare la richiesta a Invitalia a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno o tramite Pec
([email protected]).
Alla domanda vanno allegati:
1) dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà
2) certificato di iscrizione al registro delle imprese con la dichiarazione antimafia e le informazioni rilasciate
dalla sezione fallimentare del tribunale
3) adempimenti antiriciclaggio
4) liberatoria sulla privacy
5) documentazione necessaria a verificare la fase di avanzamento del percorso brevettuale.
Le domande vengono selezionate in ordine cronologico.
8Incentivi per la valorizzazione economica
Va compilato un project plan online (https://servizionline.invitalia.it/brevetti_fe/): al termine viene rilasciato un
protocollo elettronico.
Da questo momento scattano 30 giorni per inviare il progetto a Invitalia via raccomandata o Pec
([email protected])
Al progetto vanno allegati:
1) dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà
2) iscrizione al registro imprese con certificazione antimafia e informazioni della sezione fallimentare del
tribunale
3) adempimenti antiriciclaggio
4) ultimo bilancio depositato
5) stato di avanzamento del percoso di brevettazione
6) piano delle attività e preventivi di spesa redatti dai fornitori in originale
7) liberatoria sulla privacy
I progetti vengono selezionati in ordine cronologico
04/07/2014
Il Sole 24 Ore - Moda 24
Pag. 13
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La concia investe il 6% in ricerca
La dimensione «mini» non frena le aziende di un settore che esporta il 76,3%. E a Milano a settembre
Lineapelle ospita 1.100 espositori
Giulia Crivelli
a Un settore industriale, quello della concia, con una storia antichissima: basti pensare che fra gli utensili di
pietra dell'uomo preistorico ritrovati dagli archeologi abbondano quelli per forare e raschiare le pelli. Un
settore che però ha saputo rinnovarsi profondamente: nel 2013 il 17% degli investimenti immateriali è stato
destinato a ricerca e sviluppo (+6% sul 2012), come sottolineato dal presidente dell'Unic (Unione nazionale
conciaria) Rino Mastrotta in occasione dell'assemblea dell'associazione (si veda Il Sole 24 Ore del 28
giugno). Considerando che i soli investimenti in sostenibilità ambientale (le aziende italiane hanno il maggior
numero di certificazioni internazionali) valgono il 4% del fatturato, nel complesso la spesa in R&S supera il
6% (con una media italiana ferma all'1,25%, secondo l'Istat).
Grazie a questo mix di tradizione millenaria e desiderio di guardare al futuro, il settore è riuscito, nel 2013, a
superare i 5 miliardi di fatturato, crescendo del 9,5%, con un export record del 76,3%, pari a oltre 4 miliardi.
Le imprese, circa 1.300, sono tutte Pmi, con una media di 14 addetti: anche per questo appare tanto più
lodevole lo sforzo in innovazione e internazionalizzazione, che in genere caratterizza aziende di dimensioni
ben maggiori. La sfida per il 2014 riguarda poi la promozione, in Italia e all'estero: ieri si è aperta a Milano
Anteprima, la "mini fiera" (80 espositori) pensata per dare un assaggio delle collezioni di pellami per
l'autunno-inverno 2015-16 che verranno esposte a Lineapelle dal 12 al 14 settembre, in occasione della
prima edizione milanese della grande fiera di settore, che ha deciso di lasciare Bologna per meglio inserirsi
nel calendario delle manifestazioni della filiera tessile-moda-abbigliamento che si tengono a Milano. «Gli
espositori saranno oltre 1.100 e aspettiamo 18mila buyer da 110 Paesi. Lo spostamento di città è stato
accolto da tutti, e in particolare dagli stranieri, con estremo favore - spiega Salvatore Mercogliano,
amministratore delegato di Lineapelle -. L'appuntamento successivo è a Guangzhou, in Cina, il 9 e 10
ottobre, per Lineapelle Asia, nata nel 2003. In tutto organizziamo 13 eventi fieristici nel mondo ed è anche
grazie a queste vetrine globali che la conceria ha un export superiore al 76%».
Nel 2013 il peso a livello globale della conceria italiana è stato del 18% e, secondo una ricerca
commissionata da Unic a Bain, i consumi mondiali di pelle da qui al 2016 continueranno a crescere, con un
Cagr del 5%, passando da 27 a 31 miliardi di euro. La sfida per le aziende italiane sarà mantenere la
leadership nel segmento del lusso, che nel 2013 valeva il 23% del totale, ma in tre anni dovrebbe arrivare al
28%, crescendo dell'11% contro il 5% del premium (che passerà dal 13% al 14%) e dell'economico, che
vedrà scenderà dal 63% attuale al 58%.
Le concerie italiane sono concentrate in Veneto (dove si trovano il 52% delle aziende, che nel 2013 hanno
aumentato la produzione del 10% e l'export del 13%) e Toscana, ma sono presenti anche in Campania e in
Lombardia. Negli ultimi anni hanno saputo cogliere i cambiamenti del mercato, come il balzo dell'utilizzo degli
interni in pelle nella carrozzeria di lusso, cavalcato in particolare in Veneto. In Toscana si è invece
ulteriormente rafforzato il legame con i marchi del lusso specializzati in scarpe e pelletteria.
Secondo la ricerca Bain, oltre a quello della dimensione, esiste un problema di managerializzazione,
indispensabile per garantire l'indipendenza. I grandi gruppi francesi negli ultimi anni hanno cercato di
integrarsi verticalmente per quanto riguarda la filiera della pelle: dal 2007 a oggi Lvmh, Hermès, Kering e
Chanel hanno acquisito concerie in Francia e all'estero e hanno messo gli occhi su quelle italiane. A insidiare
la leadership italiana nel lusso, in prospettiva, c'è il Brasile, che già oggi è, dopo la Cina, il primo produttore di
pelle lavorata e quello con la crescita più forte. Ma il Paese - sottolinea l'indagine Bain - va considerato anche
un mercato di sbocco: i mobili imbottiti e l'automotive assorbono il 60% della domanda e per i marchi del
lusso italiani - e le concerie loro partner - è una grande opportunità.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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cover story
04/07/2014
Il Sole 24 Ore - Moda 24
Pag. 13
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Scarpe e borse trainano la concia +9,0% +8,6% 76,3% Incidenza
export/produzione 5.251 mln € produzione 4.008 mln € export var. % 2012/2013 var. % 2012/2013 +1,6% 1,0% 17.958 addetti 1.269 imprese var. % 2012/2013 var. % 2012/2013 fonte: Unic l'industria conciaria
italiana nel 2013 Valore della produzione e dell'export, numero di imprese e dipendenti e var% sul 2012
UTILIZZO DELLA PELLE PER FASCIA DI PREZZO lusso premium economico lusso premium economico
lusso premium economico lusso premium economico % DEL TOTALE MAPPATO 2% 60% 25% 13%
Automotive Calzature Pelletteria Imbottiti il poker di settori che assorbe l'85% della produzione mondiale Il
consumo di pelle lavorata, in volume, nei 4 settori principali e per fasce di prezzo Automotive Calzature
Pelletteria Imbottiti 733 2013 885 2016 Var. % attesa 2013/2016 +7% +7% +4% +5% +6% la corsa di scarpe
e automotive Stime sulla crescita 2013-2016 dei consumi nei principali settori di sbocco; valori in mld di
Automotive Calzature Pelletteria Imbottiti 4,8 mld € italia Il settore conciario italiano, il secondo più grande al
mondo in valore, copre il 18% dei fabbisogni nei settori mappati e raggiunge la quota più elevata nella
pelletteria 26,7 mld € mondo la concia made in italy al secondo posto nel mondo La produzione mondiale e
italiana di pelle conciata destinata ai settori di sbocco in valore (mld di €)
Foto: fonte: Elaborazioni e stime Bain su dati Unic
04/07/2014
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:24728, tiratura:83923)
L'idea che con maggiore flessibilità contrattuale si consegua una riduzione della disoccupazione ed un
aumento dell'occupazione non trova supporto nell'evidenza empirica
Paolo Pini
In Italia il 2014 è iniziato con il tema del «Lavoro» al centro dell'agenda politica. Il Jobs Act annunciato già a
gennaio si fondava su quattro pilastri: 1) riduzione del cuneo fiscale; 2) politica industriale per il manifatturiero
italiano ed il Made in Italy; 3) ricomposizione del mercato del lavoro tramite il contratto di lavoro a tutele
progressive; 4) semplificazione delle norme sul lavoro. Erano pilastri importanti e di buon auspicio per
realizzare il cambio di verso annunciato. Dopo 120 giorni di Governo Renzi, cosa è rimasto di quell'annuncio?
Il primo pilastro è contrassegnato dal cartello «lavori in corso». Il bonus degli 80 euro è appunto un bonus,
non strutturale e dalle coperture incerte. Dovrà divenire strutturale con la legge di stabilità del prossimo
autunno. La riduzione dell'Irap è prevista nell'ordine del 10%, ma anche in tal caso non vi certezza sulle
coperture. Tuttavia, sono passi significativi realizzati. Non avranno però effetti economici significativi nel
breve periodo come lo stesso Def2014 certifica. Il secondo pilastro è stato purtroppo abbandonato, a meno
che non si ritenga che «politica industriale» sia sinonimo di «privatizzazioni». Vi è necessità invece di politica
industriale pubblica per i settori strategici, sia tradizionali, maturi, sia innovativi, per realizzare cambiamenti
nei processi e nei prodotti, nell'organizzazione e qualità del lavoro, in tecnologie verdi e conoscenza, quali
fattori cardine per contrastare la stagnazione della produttività che frena sia la competitività delle imprese che
le retribuzioni dei lavoratori. Il terzo pilastro è stato depotenziato e rinviato al disegno di legge delega, una
volta approvata dal Parlamento, troverà attuazione forse nel 2015. Sarebbe stato auspicabile che con
l'introduzione del contratto a tutele progressive si segnasse una discontinuità rispetto al passato, andando
verso una radicale eliminazione del supermarket delle forme contrattuali per indurre le imprese ad investire in
capitale cognitivo ed in innovazione organizzativa. Invece, si ipotizza l'introduzione in via sperimentale di una
ulteriore modalità contrattuale, flessibile e graduale nelle tutele, che si aggiunge alle numerose forme
esistenti, senza sostituirne alcuna. Si è invece intervenuti a partire dal quarto pilastro, quello della
semplificazione normativa sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato, declinando la
semplificazione in termini di liberalizzazione. Molto si è già scritto su ciò. Qui ci preme sintetizzare alcune
questioni. Anzitutto, il rischio è che, come vari giuslavoristi hanno evidenziato, la semplificazione dia vita ad
un percorso di contenziosi a livello europeo, non solo nei tribunali del lavoro italiani, in quanto la revisione
della a-causalità economica-organizzativa contrasterebbe con importanti direttive comunitarie che
distinguono il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, inteso come prevalente da quello a
termine. La semplificazione mirava ad eliminare i contenziosi in sede nazionale, in realtà rischia di proiettarli
su dimensione europea. In secondo luogo, l'eliminazione della causalità, il meccanismo di proroghe e rinnovi
legati alla mansione più che al lavoratore, le sanzioni pecuniarie, pongono il lavoratore stesso in una
condizione di ulteriore debolezza nei confronti del datore di lavoro. In aggiunta, altre obiezioni sono di tipo
economico. In estrema sintesi, ne indichiamo tre. Primo, l'idea che con maggiore flessibilità contrattuale si
consegua una riduzione della disoccupazione ed un aumento dell'occupazione non trova supporto
dall'evidenza empirica, come mostrano peraltro le stesse analisi condotte dall'Oecd. Questa idea si dimostra
in verità una prima falsa credenza. Più che accrescere l'occupazione, sembra emergere una sostituzione tra
(minore) occupazione stabile e (maggiore) occupazione instabile. Secondo, la maggiore flessibilità nei
contratti a termine favorisce la ripetitività dei contratti più che la stabilizzazione degli stessi, senza peraltro
che aumenti la durata complessiva dello status occupazionale, mentre si riduce la retribuzione percepita,
come insegna anche l'esperienza spagnola. Quindi l'idea che maggiori opportunità per un lavoro a termine
accrescano la probabilità che tale lavoro si trasformi in stabile risulta una seconda falsa credenza. Terzo, la
maggiore flessibilità del rapporto di lavoro, in uscita oltre che in entrata garantita dai contratti a termine e dalle
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Lavori in corso e ripensamenti, a che punto è il Jobs Act?
04/07/2014
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:24728, tiratura:83923)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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semplificazioni apportate ai contratti di apprendistato, non appare positivamente correlata alla produttività del
lavoro ed alla sua crescita. Anzi se una relazione sussiste, è opposta a quella presunta, ovvero la riduzione
delle protezioni all'impiego (minori tutele per il lavoratore) appare associata a riduzioni della produttività
piuttosto che ad un suo aumento. La ragione è rintracciabile nel fatto che forme contrattuali flessibili se da un
lato possono favorire la mobilità del lavoro da imprese ed industrie poco dinamiche verso quelle più
dinamiche, dall'altro abbassano la propensione ad innovare ed investire sulla qualità del lavoro da parte delle
imprese, le quali cercano piuttosto di trarre vantaggio dai minori costi del lavoro invece di accrescere la
produttività. Per cui, che la maggiore flessibilità del lavoro porti a più produttività è la terza falsa credenza. Se
questi sono i rischi che corre il nostro paese nel proseguire lungo la strada della flessibilità del lavoro, peraltro
comprovati dall'avere coniugato dalla fine degli anni '90 dosi crescenti di deregolamentazione del mercato del
lavoro con la progressiva stagnazione della produttività del lavoro, non sarebbe opportuno ripartire dalle
potenzialità che potevano essere rintracciate nella versione annunciata del Jobs Act piuttosto che percorrere
il declivio improntato dalla fallace idea della «precarietà espansiva»?
04/07/2014
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:24728, tiratura:83923)
Il premier ha in mente un Paese trainato dall'export senza una politica economica, industriale e di investimenti
Giulio Marcon
Questi mesi di renzismo nelle politiche economiche ci consegnano una strana miscela di populismo nuovista,
(a parole) rapido e antiburocratico, senza intaccare la sostanza delle politiche di austerità di questi anni. I
cambiamenti (per il momento) invocati da Renzi, anche in economia, si mettono in sintonia con il senso
comune di un paese stanco dell'immobilismo, delle lentezze e dell'incapacità di decidere. Se si guarda alla
sostanza, nulla cambia rispetto al passato e le ricette sono sempre le stesse: precarizzazione del mercato del
lavoro, privatizzazioni, riduzione della spesa pubblica, riduzione degli investimenti pubblici, agevolazioni alle
imprese. Tutto scritto nel Def (Documento di Economia e Finanza) dell'aprile scorso. La grande baraonda
intorno alla messa in discussione in Europa delle politiche di austerità si è risolta in un modestissimo risultato:
«il migliore uso della flessibilità intrinseca al patto di stabilità». La montagna ha partorito un topolino. Quello
che Renzi ha in mente è un paese che si fa trainare dall'export, una specie di Baviera con capitale Prato, una
sorta di Hub per le piccole e medie imprese che competono sul mercato europeo e mondiale, rinunciando ad
essere un paese che ha una politica economica, industriale e di investimenti pubblici degna di questo nome.
Poi c'è il resto, che attrae l'elettorato: l'elargizione populista (spacciata per redistribuzione) degli 80 euro
(bene per chi li prende), lo sciabolismo antiburocratico della giungla della pubblica amministrazione, la
crociata anticasta della (pochissime) auto blu dismesse, la sfida facile alle corporazioni già in ginocchio o la
sforbiciata agli stipendi dei grand commiss. La girandola di annunci e micro-provvedimenti spiazza la politica
e e fa decollare l'immaginario dell'opinione pubblica. Renzi qui colpisce efficacemente in superficie (con
annunci e proclami), almeno tanto quanto non riesce ancora a intaccare quello che accade sotto la superficie.
Copre con l'innovazione populista l'incapacità di rimettere in discussione le politiche di austerità e di ridare al
paese una politica economica di impronta diversa. Infatti, in questi mesi non ci sono i segni di una politica
fiscale redistributiva, non ci sono misure per il rilancio degli investimenti pubblici (i 3,7 miliardi annunciati per
la messa in sicurezza delle scuole si sono ridotti a 122 milioni nel decreto Irpef), non c'è una politica di lavoro,
che non sia quella dell'ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro. Ricetta, tra l'altro, non nuova: e
nonostante il progressivo allentamento delle regole e dei diritti del lavoro in questi anni non si sono creati più
posti di lavoro, ma solo più disoccupazione e precariato. Ma il nuovismo di superficie di Renzi potrebbe
giungere presto al capolinea. In autunno ci sarà la resa dei conti, forse anche prima. All'inizio di agosto l'Istat
ci fornirà i dati del Pil nel secondo trimestre. E saranno guai (si parla di una decrescita del Pil con il segno
meno): la crescita dell'0,8% nel 2014 (previsto dal Def) è già dunque nel libro dei sogni. Questo significherà
una manovra correttiva con la legge di stabilità, che dovrà prevedere anche gli stanziamenti per la
stabilizzazione degli 80 euro nel 2015 (14 miliardi secondo Banca d'Italia, se si includono gli incapienti) e per
le altre misure previste nella legge, come le missioni internazionali, la cassa in deroga, il cinque per mille, ecc
(qualcosa come 6-7 miliardi di euro). Dove troverà tutti questi soldi? Lo stock del debito (135% sul Pil) è
destinato a crescere inesorabilmente, come dicono tutti gli analisti: c'è chi parla come ha fatto Federico Fubini
di una crescita inerziale del debito al 150% nel 2016. E proprio da questo aumento potrebbe arrivare lo stop
dall'Europa -con la richiesta di apertura di procedura di infrazione- che porrebbe fine al sogno renziano.
Allora, non basterebbero più i 17 miliardi di tagli nel 2015 (previsti dal piano della spending revie w di
Cottarelli, comunque un piano «lacrime e sangue») e ci chiederebbero di intervenire ancora più duramente su
pensioni, sanità e welfare. In questo caso non basteranno più tweet e power point. Servirebbero invece
politiche veramente radicali e alternative all'austerità.
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Un'idea di Baviera con Prato capitale
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Business People - N.7 - luglio 2014
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(tiratura:60000)
GLI INGREDIENTI DEL SUCCESSO? FIDUCIA E FORMAZIONE
È IL RESPONSO DEL RAPPORTO PRESENTATO IN CONCOMITANZA CON LA CLASSIFICA BEST
WORKPLACES 2014 DEDICATA AL VECCHIO CONTINENTE. PREMIATE LE AZIENDE PIÙ VIRTUOSE
SUL FRONTE DELLE RISORSE UMANE
Fiducia e formazione. Sono questi i due pilastri per costruire un'azienda di successo. La conferma arriva dal
rapporto Working on the Human Touch , presentato in occasione della classifica Best Workplaces in Europe
2014 e stilata da Great Place to Work, realtà che ogni anno interroga decine di migliaia di dipendenti per
scoprire il posto di lavoro ideale. Il rapporto, che accompagna le tre classifiche Best Workplaces - suddivise
tra multinazionali, grandi aziende e pmi - evidenzia come negli ultimi cinque anni la maggior parte dei Paesi
ha visto un avanzamento del livello di fiducia dei dipendenti relativo al proprio ambiente di lavoro, in alcuni
casi anche molto significativo, come nel caso dell'Italia, che ha registrato un aumento del 6%. La sempre più
diffusa tendenza delle multinazionali di chiedere ai dipendenti di fare di più con meno e la sensazione di
essere sempre a contatto con il posto di lavoro grazie ai (o a causa dei) dispositivi mobili, ha innalzato il
livello di stress. Per migliorare questa situazione, le nuove ricerche hanno individuato nelle tecniche di
rilassamento e di meditazione una soluzione; e, poiché queste ultime si traducono con una migliore
redditività, «I Best Worplaces», spiega Alessandro Zollo, a.d. di Great Placet o Work Italia, «si stanno
attrezzando con la predisposizione di corsi di yoga e laboratori di consapevolezza e di intelligenza emotiva».
Per creare un'azienda salda e in salute un altro dei segreti è la formazione; non a caso tra i Best Workplaces
- che hanno registrato in media un aumento nei ricavi pari al 6,2% nel periodo 2012/2013 - le ore medie
annue per persona dedicate alla formazione sono passate da 57 a 62 (+9%). Lo studio evidenzia, inoltre,
come in Europa le migliori aziende sono più attente nel trattare i dipendenti come individui e non solo come
lavoratori. In Cygni - pmi al primo posto della classifica 2014 - i dipendenti vengono interpellati sulle
tecnologie con cui preferiscono lavorare, su quale sia il settore lavorativo di preferenza e quale il luogo. I
dipendenti possono anche selezionare in libertà i propri orari di lavoro e i singoli benefit.
ISTOCKPHOTO.COM JOHNNY GREIG
6,2
per cento L'aumento dei ricavi registrato da aziende Best Workplaces, mentre il fatturato dei competitor
calava del 4,3%
per cento La crescita del livello di fiducia degli italiani riguardante il proprio ambiente di lavoro. Il dato è tra i
più alti d'Europa
62
ore La media annua per persona che le migliori aziende in Europa hanno dedicato alla formazione dei
dipendenti (+9%)
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Great Place to Work
04/07/2014
Business People - N.7 - luglio 2014
Pag. 15
(tiratura:60000)
VERSO UN MERCATO DA 140 MILIARDI
Sarà ancora sottovalutato, ma il mercato dei servizi di business analytics è destinato a crescere e a giocare
un ruolo importante per le imprese. Secondo gli ultimi dati Gartner il settore, da qui al 2020, registrerà una
crescita del 9% anno su anno, per un giro d'affari globale che passerà da 70 a 136 miliardi di dollari. E se
oggi i dati vengono analizzati da aziende di qualsiasi dimensione, Sas, società leader nel settore del software
e dei servizi di business analytics, prevede che in Italia non saranno sole le grandi aziende, ma anche
imprenditori e manager delle pmi a riconoscere l'importanza strategica degli analytics. Soluzioni sempre più
user-friendly, in grado di offrire alle imprese un sistema di analisi e reportistica sofisticata, capaci di
supportarle nel loro processo di crescita, per minimizzare i rischi di business, e avere un immediato ritorno
dell'investimento. ISTOCKPHOTO.COM GETTY IMAGES
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 04/07/2014
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Big data
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Business People - N.7 - luglio 2014
Pag. 27
(tiratura:60000)
BENVENUTI A OCCHIALAND
IL BELLUNESE È UN DISTRETTO D'ELEZIONE PER IL COMPARTO DELL'OTTICA. SCELTO ANCHE
DALLE MULTINAZIONALI STRANIERE. COSÌ IL NOSTRO PAESE VANTA IL PRIMO POSTO SUL
FRONTE DELLE ESPORTAZIONI
DI ANDREA SALVADORI
Parla italiano l'occhialeria nel mondo. Un italiano, a dire il vero, con una marcata cadenza bellunese, dal
momento che nella provincia veneta è concentrato l'80% della produzione nazionale. Il comparto, negli ultimi
anni, ha poi iniziato a parlare anche il linguaggio della finanza internazionale, entrata nel capitale di alcune
delle più importanti aziende del settore. Nel 2013, secondo l'Anfao, l'associazione nazionale fabbricanti
articoli ottici, la quota del nostro Paese nel mercato delle esportazioni di occhiali da sole e montature si è
aggirata intorno al 24% a valore, ponendo l'Italia al primo posto della classifica. La produzione tricolore è
molto forte sul fronte delle lenti scure, con una quota prossima al 29%, mentre per le montature lo share è del
21%. Complessivamente l'occhialeria italiana ha esportato nel 2013 circa 93,5 milioni di paia di occhiali,
l'1,6% in più rispetto al 2012. Nonostante la globalizzazione e la concorrenza delle economie emergenti,
dunque, da noi si fabbricano ancora occhiali venduti in tutto il globo. E, particolare non trascurabile, l'Italia è
scelta soprattutto per le produzioni di qualità, mentre Cina e Hong Kong primeggiano sui modelli di fascia
bassa. Le esportazioni di occhiali da sole, montature e lenti sono cresciute nel 2013 del 7,2% rispetto al 2012
e hanno raggiunto il loro valore massimo nella storia, oltre 2,8 miliardi di euro. La propensione all'export
dell'occhialeria la si coglie anche nell'analisi della sua bilancia commerciale, ampiamente in attivo (il saldo
export-import è stato di oltre 1,919 miliardi nel 2013) e in aumento del 7,9% rispetto al 2012. Il bilancio è
ancora più positivo se si considera che l'anno scorso anche le importazioni sono aumentate del 5,7% (per un
valore di 892 milioni di euro). EXPORT VINCENTE Le esportazioni vedono dunque protagoniste le aziende
tricolore, ne assorbono il 90% della produzione e, soprattutto, ne trainano i conti. Il 2013 è stato più che
positivo: la produzione italiana è stata di oltre 2,9 miliardi di euro, in crescita del 4,3% rispetto al 2012. La crisi
economica frena invece i consumi interni. Per il sesto anno consecutivo, infatti, la chiusura d'anno è stata
negativa e le aspettative per i mesi a venire non sono improntate all'ottimismo. In questo contesto, il futuro
dell'ottica italiana pare sempre più legato all'internazionalizzazione del business, strada non a caso da tempo
percorsa dai grandi player del settore. «Nell'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook del Fmi»,
conferma Cirillo Marcolin, presidente di Anfao, «viene delineata una situazione per il 2014 in cui l'economia
mondiale accelera, ma restano rischi al ribasso. Quanto all'Italia, le previsioni ribadiscono che la risalita è
lentissima e contrassegnata anche da bruschi passi indietro. Il miglioramento della situazione internazionale
è necessario, ma non sufficiente. In questo quadro, non potendo ancora contare sulla ripresa del mercato
interno, per il settore dell'occhialeria resta imprescindibile una strategia di internazionalizzazione. Su questo
versante», aggiunge «credo che non potremo sbagliare e coglieremo altri successi: del resto, da sempre,
internazionalizzazione, innovazione, flessibilità e capacità di competere sono i punti cardine della nostra
leadership nel mondo». BELLUNO CAPITALE DELLE STANGHETTE Occhialeria in Italia vuol dire distretto
di Belluno, provincia nella quale l'insediamento del settore ha avuto inizio nel 1878, con l'avvio di un primo
stabilimento industriale, ed è proseguita con il diffondersi di una miriade di piccole imprese (l'anno scorso
erano 869, in calo dell'1,3% rispetto al 2012). È in quest'area che sono sorti i colossi dell'occhialeria. Come
Luxottica, fondata nel 1961 quale azienda terzista, oggi leader indiscussa del settore. L'ultimo coup de
théâtre è stato l'accordo per la produzione dei Google Glass. Una partnership che vede protagonisti due dei
marchi di proprietà più importanti del portafoglio dell'azienda, Ray-Ban e Oakley. Un'operazione che gioverà
sicuramente al business, ma anche all'immagine: la storia di Luxottica d'altronde è un susseguirsi di successi,
in modo più marcato sotto la gestione dell'a.d. Andrea Guerra. Nel 2004 la società fatturava poco più di 3,2
miliardi, diventati 7,3 miliardi di euro nel 2013 (+7,5% a valuta costante sul 2012), anno in cui gli utili hanno
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Mercato
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superato i 600 milioni, in aumento di oltre il 10%. Al centro delle strategie della compagnia, che tuttora fa
capo al fondatore Leonardo Del Vecchio, pur essendo quotata a New York, figurano i mercati più maturi: i
ricavi provengono per il 78% dal Nord America, ma il gruppo l'anno scorso è riuscito a incrementare il
business anche nella tormentata Europa. Il secondo operatore del comparto è Safilo, realtà che fattura più di
1,1 miliardi di euro e ha un bilancio in attivo. Un fiore all'occhiello dell'occhialeria italiana, passato nel 2010
nelle mani del capitale internazionale. La famiglia Tabacchi ha ceduto, infatti, la maggioranza delle azioni
della società, allora fortemente indebitata, al fondo olandese Hal. Dall'ottobre del 2013 il gruppo è guidato
dall'a.d. Luisa Delgado, subentrata a Roberto Vedovotto, il manager che si è occupato del risanamento dopo
l'ingresso di Hal. Quotato a Piazza Affari, Safilo vanta nel suo portafoglio marchi in licenza di alcune delle più
celebri griffe della moda, come Gucci, Dior e Hugo Boss. ANCHE I "PICCOLI" CRESCONO Marcolin ha visto
nel 2012 l'ingresso nel suo capitale di Pai Partners con una quota dell'85% (il restante 15% è diviso Diego e
Andrea Della Valle, 6%, Antonio Abete, 3%, e la famiglia Marcolin, 6%). Grazie al fondo francese, spiega il
ceo Giovanni Zoppas, «Marcolin ha portato a termine l'anno scorso l'acquisizione della statunitense Viva,
società specializzata nel campo ottico. Grazie all'operazione, il nostro bilancio non dipende più oggi da
mercati in sofferenza, come i Paesi dell'Europa del Sud, o con andamenti variabili, come gli Stati dell'Europa
dell'Est. Il 40-45% del business è ora concentrato in America, il 30% nel resto del mondo (Medio Oriente e
Asia), il 25% in Europa. L'operazione Viva rappresenta per Marcolin una forte discontinuità anche per altre
ragioni: la società abbina la forza di Viva nel segmento vista alla sua tradizionale leadership nel sole. Per
quanto riguarda le licenze, il portafoglio ha aggiunto a un brand del lusso come Tom Ford un pilastro del
mondo diffusion come Guess». La parte preponderante del giro d'affari di Marcolin è legata proprio alle
licenze (oltre il 95%). «Di recente», prosegue Zoppas, «abbiamo acquisito Zegna e Agnone. Inoltre, un altro
marchio, a target femminile, entrerà presto nel nostro portafoglio». Nel 2014 il gruppo si attende una crescita
in tutti i segmenti in cui opera. Il giro d'affari, secondo quanto risulta a Business People , dovrebbe chiudere
con un incremento a livello organico nell'ordine del 5-10%, per un giro d'affari di 380-400 milioni. Fa invece
capo ancora oggi alla famiglia, che detiene il 99% del capitale, il gruppo De Rigo, fondato da Ennio De Rigo
nel 1978 a Pozzale di Cadore. La società, dopo aver chiuso il 2013 con ricavi stabili a quota 368 milioni di
euro (+1,6% a parità di cambi), punta a consolidare il business nel 2014. «Una previsione prudenziale»,
spiega l'a.d. Michele Aracri, «dovuta all'incertezza del quadro economico e soprattutto alla debolezza delle
valute di alcuni dei mercati dove operiamo». Gli indicatori dei primi mesi dell'anno sono in crescita, ma
soprattutto, ragiona Aracri, «la nostra posizione finanziaria netta è positiva, non abbiamo debiti. Un quadro
che ci permette di valutare con attenzione possibili acquisizioni sul mercato». A De Rigo fanno capo De Rigo
Vision, la società che produce e distribuisce occhiali propri e in licenza, e la Divisione Retail, realtà con un
giro d'affari di 160 milioni, che controlla catene di negozi di ottica in Spagna, Portogallo e Turchia. Fiore
all'occhiello del portafoglio è Police, uno dei tre marchi di proprietà insieme a Lozza e Sting, che vale il 30%
del fatturato del gruppo. «Un brand attorno al quale abbiamo creato un progetto di licensing (profumi, orologi,
gioielli) in continuo sviluppo, i cui volumi di vendita sono risultati in forte crescita nel primo trimestre». Il
business di De Rigo Vision è garantito per circa il 40% dai brand di proprietà e per il 60% da licenze.
L'Europa pesa per il 65% del giro d'affari, l'Italia per l'8,5%. «Il nostro obiettivo», conclude l'a.d., «è
aumentare la penetrazione nel Vecchio Continente, sviluppare il business negli Stati Uniti - dove siamo entrati
meno di due anni fa - e in Sud America, dove al momento siamo presenti in Brasile. Gli altri mercati che ci
vedono protagonisti sono Russia, Turchia, Emirati Arabi e i paesi dell'Asia Pacific, tra cui Cina e Giappone».
GLI AMERICANI DELOCALIZZANO NEL CADORE Nel distretto di Belluno producono anche le multinazionali
straniere. Marchon Eyewear, il gruppo nato nel 1983 a New York, celebre per il marchio Flexon, ha avviato la
sua espansione nel mondo nel corso degli anni '90, dopo aver acquisito la licenza di Calvin Klein.
L'internazionalizzazione del business ha riguardato prima l'Europa e poi il continente asiatico. Gli investimenti
in terra italiana, nel distretto bellunese, risalgono alla metà degli anni '90, quando a Puos D'Alpago, sono stati
aperti il centro progettazione e design e lo stabilimento produttivo. Nel 2008 i tre fondatori di Marchon cedono
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la società a Vsp Global. Nel 2010 anche la gestione delle licenze, del marketing e della comunicazione a
livello europeo viene centralizzata in Italia (prima se ne occupava la sede olandese). In Italia, Marchon
produce i marchi della fascia lusso, come Valentino e Salvatore Ferragamo, e di recente anche una parte
delle collezioni Nike, Calvin Klein e Lacoste (prima fabbricate in Cina). «La presenza in Italia», spiega Nicola
Zotta, direttore generale Emea, «rappresenta per Marchon una vetrina molto importante a livello globale. La
fama delle competenze tecnico-stilistiche che caratterizzano la manifattura del Cadore è universale. Inoltre, la
presenza locale consente il rafforzamento delle relazioni con i principali brand del lusso, che ritengono l'Italia
un mercato strategico». Il terzo operatore mondiale del settore punta a superare nel 2014 i 700 milioni di euro
di fatturato tra occhiali e lenti oftalmiche, con un risultato in crescita rispetto allo scorso anno. L'Europa si
conferma uno dei mercati che meglio performano, con un incremento delle vendite nel 2013 pari al 20% e
l'Italia che gioca un ruolo da protagonista anche sul fronte dei consumi. GETTY IMAGES THINK STOCK
BARTEKSZEWAZYK
2,8 miliardi di euro Le esportazioni di occhiali da sole, lenti e montature nel 2013
I NUMERI DEL SETTORE Nel 2013, secondo l'Anfao, la quota del Belpaese nel mercato dell'export di
occhiali da sole e montature si è aggirata intorno al 24% (1° posto)
+4,3 L'incremento della produzione italiana nel 2013
93,5
milioni Gli occhiali italiani esportati (l'1,6% in più rispetto al 2012)
+7,9 La crescita del saldo export-import nel 2013 (1,9 mld)
MICHELE ARACRI A.d. Gruppo De Rigo DOPO AVER CHIUSO IL 2013 CON RICAVI STABILI (368 MILIONI
DI EURO, +1,6%), IL GRUPPO PUNTA A CONSOLIDARE IL BUSINESS NEL 2014
LUISA DELGADO A.d. Safilo LA SOCIETÀ, PASSATA NEL 2010 AL FONDO OLANDESE HAL, CHE HA
ACQUISITO LA MAGGIORANZA DELLE AZIONI, HA ORA UN BILANCIO IN ATTIVO
ANDREA GUERRA A.d. Luxottica AL CENTRO DELLE STRATEGIE DELLA COMPAGNIA FIGURANO I
MERCATI PIÙ MATURI, IN PRIMIS IL NORD AMERICA, MA ANCHE L'EUROPA
CIRILLO MARCOLIN Presidente Anfao PER L'ITALIA LE PREVISIONI PER IL 2014 RIBADISCONO CHE LA
RISALITA È LENTISSIMA E CONTRASSEGNATA ANCHE DA BRUSCHI PASSI INDIETRO
GIOVANNI ZOPPAS Ceo Marcolin IL 40-45% DEL BUSINESS È CONCENTRATO IN AMERICA, IL 30% IN
MEDIO ORIENTE E ASIA, IL 25% NEL VECCHIO CONTINENTE
NICOLA ZOTTA Managing Director Marchon Emea e Asia LA PRESENZA IN ITALIA VIENE RITENUTA
UNA VETRINA MOLTO IMPORTANTE A LIVELLO GLOBALE
7,3 miliardi
È il fatturato di Luxottica nel 2013 (utili oltre i 600 mln)
65
Giro d'affari di De Rigo Vision in europa
1,1 miliardi
Il fatturato di Safilo, secondo operatore del comparto
-1,8
La perdita dell'ottica italiana nel 2013
2,8
miliardi
Il giro d'affari lo scorso anno
20
La quota delle montature nel comparto (+1%)
20
La quota degli occhiali da sole (-8%)
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44 Panel Ottica di Gfk
La quota delle lenti oftalmiche (-0,1%)
MONTANO LE MONTATURE Consumi in calo per l'ottica italiana. A certificarlo sono i dati di vendita del
Panel Ottica di Gfk, l'istituto che monitora l'andamento delle vendite nei principali mercati europei (oltre
all'Italia, Francia, Germania e Spagna). «La crisi economica ancora in atto nel nostro Paese impatta
negativamente sui consumi», spiega Gianni Cossar, Global Director della divisione ottica del Gruppo Gfk
Retail and Technology. «L'anno scorso il comparto ha lasciato sul campo l'1,8% a valore rispetto al 2012, per
un giro d'affari di poco inferiore ai 2,8 miliardi di euro». L'andamento è stato positivo per le montature, quasi il
20% del valore del comparto, con un incremento dell'1%. Male invece gli occhiali da sole (-8% circa), un dato
preoccupante se si considera che la quota di mercato del sole nel nostro Paese raggiunge il 20% (contro
l'11% del resto d'Europa). Le lenti oftalmiche tengono (-0,1%, il 44% del mercato contro una media europea
superiore al 57%), mentre lenti a contatto e liquidi chiudono con il segno più (+0,5%). «In Italia», riprende
Cossar, «le performance rimangono positive per i modelli alto di gamma, mentre le private label lanciate dalle
catene retailer dell'ottica continuano la loro ascesa, grazie a una gamma di prodotti che ben coniuga il fattore
prezzo alla qualità». All'ottica comunque non mancano spazi per crescere in Italia: in Europa, sul fronte dei
consumi, la fetta più importante della torta spetta alla Francia, che detiene una quota del 37%, seguita dalla
Germania con il 33%; terza l'Italia, con il 18,03%, quarta e ultima la Spagna con l'11,7%. Un importante
stimolo al mercato, che potrebbe aiutare il Bel Paese a colmare il gap con i Paesi più maturi, potrebbe
arrivare, sottolinea Cossar, «dalle campagne volte a diffondere la cultura della prevenzione della vista,
ancora poco diffusa, soprattutto per quel che riguarda le fasce più giovani della popolazione».
Foto: Nel 1878 è nato il primo stabilimento industriale del bellunese. L'anno scorso il distretto è arrivato a
contare 869 piccole imprese (-1,3% rispetto al 2012). Qui sono sorti i colossi del settore, come Luxottica e
Safilo
Foto: Gli occhiali da sole possono diventare aaccessori di moda, che fanno tendenza e valorizzano il sex
appeal. In foto, da sinistra: gli attori Brad Pitt e Tom Cruise e lo stilista-regista Tom Ford IL FUTURO
DELL'OTTICA TRICOLORE È LEGATO SEMPRE PIÙ STRETTAMENTE ALL'INTERNAZIONALIZZAZIONE
Foto: A BELLUNO PRODUCONO ANCHE LE MULTINAZIONALI STRANIERE, COME LA STATUNITENSE
MARCHON EYEWEAR L'ultimo colpo di scena è stato l'accordo di Luxottica per la produzione dei Google
Glass. Una partnership che vede protagonisti due dei marchi più importanti del portafoglio dell'azienda, RayBan e Oakley