FALCO PELLEGRINO (Falco peregrinus)

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FALCO PELLEGRINO (Falco peregrinus)
Il falco pellegrino (Falco peregrinus) è una specie di falconide diffusa quasi in tutto il mondo.
Nel binomio scientifico l’epiteto peregrinus (utilizzata per indicare la specie) fa riferimento al suo
cappuccio nero che, un tempo, i pellegrini erano soliti indossare.
Il falco pellegrino con la velocità che può raggiungere in picchiata durante la caccia, superiore ai
320 km/h, è il più veloce tra tutti gli animali.
Ha una lunghezza compresa tra 34 e 58 cm, e un’apertura alare di 80-120 cm. Maschi e femmine
hanno piumaggio simile ma, come accade in molti altri rapaci, le femmine sono circa il 30% più
grandi dei maschi. Il peso varia quindi dai 440-750 g dei maschi, ai 910-1500 g delle femmine.
Il dorso e le ali appuntite degli adulti sono solitamente di un colore che va dal nero bluastro al grigio
ardesia, con alcune striature caratteristiche delle sottospecie; la punta delle ali è nera; la parte
inferiore è striata con sottili bande marrone scuro o nere. La coda, dello stesso colore del dorso, ma
come:nera e una banda bianca a
con striature nette, è lunga, sottile e arrotondata alla fine conRegistrato
una punta
Lo scopo finale del WWF è fermare e far regredire il degrado
dell’ambiente naturale del nostro pianeta e contribuire a costruire
un futuro in cui l’umanità possa vivere in armonia con la natura.
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Cod.Fisc. 90063860630
ciascuna estremità. La testa nera contrasta con i fianchi chiari del collo e la gola bianca La “cera” del
becco e le zampe sono gialle, mentre il becco e gli artigli sono neri. La punta del becco ha un
intaglio, risultato di un adattamento biologico, che permette al falco di uccidere le prede spezzando
loro le vertebre cervicali del collo. I giovani immaturi sono caratterizzati da un colore più bruno con
parti inferiori striate invece che barrate; la “cera” e l’anello orbitale è blu pallido.
Il Falco pellegrino è considerato un superpredatore. Come tale le sue popolazioni sono soggette a
notevoli variazioni, dovute alle fluttuazioni delle popolazioni delle prede (quasi esclusivamente
uccelli), alle persecuzioni messe in atto dall’uomo (per esempio la sistematica distruzione di
esemplari nelle Highlands scozzesi, dove i falchi predano prevalentemente le pernici bianche, o
durante la seconda guerra mondiale, quando il Governo inglese tentò, senza riuscirvi, di distruggere
la specie per proteggere il traffico dei piccioni viaggiatori, usati per tenere i contatti con
la Resistenza francese).
Nonostante questo, intorno al 1950, vi erano nel mondo numerosi falchi pellegrini. In Europa
occidentale e in America settentrionale, poco dopo il 1950, ebbe inizio un autentico tracollo del
falconide, che portò alcune popolazioni al completo collasso; in Europa centrale e settentrionale si
registrò parimenti una quasi totale scomparsa e in Inghilterra si passò dalle circa 700 coppie
del 1955 alle 68 del 1962. Resistettero invece quasi tutte le popolazioni del Mediterraneo.
In seguito al bando del DDT, alla rigorosa protezione dei siti di nidificazione dal prelievo di uova e
nidiacei per la rinascita della falconeria e agli importanti interventi di reintroduzione, le popolazioni,
a partire dagli anni settanta ebbero una progressiva e quasi totale ripresa. La specie, fra l’altro, si
adatta volentieri alla presenza dell’uomo, tanto da nidificare spesso nei palazzi cittadini.
Da molti secoli, in Europa, collezionisti di uova, guardiacaccia e allevatori di piccioni
viaggiatori hanno prelevato un costante, e talora pesante, tributo di uova, giovani e adulti di falco
pellegrino, ma la popolazione complessiva ha resistito, nonostante una forte mortalità giovanile.
Intorno al 1955 molte popolazioni hanno conosciuto un’importante decrescita: si osservavano con
frequenza esemplari morti ma, soprattutto, si trovavano le uova, rotte nei nidi abbandonati.
Molti ricercatori cominciarono ad intuire che la causa potesse essere l’inquinamento da insetticidi
clorurati (DDT e, in particolare, DDE). Si scoprì che contemporaneamente all’introduzione
massiccia di questi prodotti in agricoltura, i gusci delle uova di falco pellegrino, improvvisamente,
avevano cominciato a perdere spessore. Gli insetticidi in questione provocano infatti
un’alterazione enzimatica dell’anidrasi carbonica e del calcio ATPasi, che trasportano
il calcio dalla circolazione sanguigna della femmina al guscio in formazione dell’uovo. Le stesse
alterazioni, e la stessa catastrofe, si riscontravano in altri falconiformi, in particolare in quelli che si
nutrono principalmente di uccelli, per esempio nello sparviero. Le modalità di avvelenamento erano
da individuare nella catena alimentare: insetto-uccello insettivoro-falco. La discrepanza fra gli anni
dei primi massicci avvelenamenti e quelli degli effettivi collassi delle popolazioni è spiegata con la
sopravvivenza degli adulti, più resistenti all'avvelenamento, la cui mancata riproduzione portò a
effetti visibili solo alcuni anni più tardi.
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In considerazione del valore sentimentale che lega l’uomo a questa mitica specie, fin dai tempi degli
antichi Egizi e per la falconeria, in pochi anni ci si convinse a bandire, l’uso di DDT e DDE, almeno
in Europa e America settentrionale. Contemporaneamente furono rinforzate le tutele nei confronti
delle predazioni tradizionali da parte dell’uomo: falconeria, difesa della selvaggina e dei piccioni
viaggiatori. Prelievi che erano tollerabili in epoche di popolazioni abbondanti, non lo erano certo più
quando la specie sembrava sull’orlo dell'estinzione. In Europa e in particolare nelle Isole
britanniche le popolazioni residue di falchi si dimostrarono sufficienti a una ripresa spontanea. Vi
furono piccoli nuclei di esemplari riprodotti e rilasciati (in Francia, a Pavia, in Inghilterra), ma solo a
scopo di studio. Negli Stati Uniti e in Canada, invece, la specie era praticamente scomparsa. Un
gruppo di studiosi facenti capo alla Cornell University, sotto la guida di Tom J. Cade fondò il
Peregrine Fund, con lo scopo di riprodurre in cattività e successivamente liberare i falchi pellegrini.
L’operazione ebbe un successo completo, tanto che nel 2003 si potevano contare complessivamente
2.000 coppie nidificanti, che occupavano quasi gli stessi ambienti di prima del tracollo, e in più
molto numerosi, le aree urbane.
Il falco pellegrino è facilmente distinguibile dalla poiana comune (Buteo buteo) per il suo corpo
compatto e la sua silhouette più agile, le ali sono strette e a punta e non larghe e frangiate
all’estremità, come quelle della Poiana. Notevoli sono anche i suoi colpi d’ala veloci e vigorosi,
mentre i battiti della poiana tendono ad essere più lenti. Più difficile è distinguerlo dal gheppio, più
piccolo e meno massiccio e con la coda più lunga, ma per il resto simile. Il pellegrino, a differenza
del gheppio, non fa mai lo "spirito santo", un atteggiamento di caccia, utile per la cattura di insetti e
roditori, che consiste nel librarsi fermo nell'aria, grazie a piccoli movimenti delle ali.
Caccia prevalentemente negli spazi aperti e sui bacini lacustri con abbondanza di uccelli. In alcune
città si è pure urbanizzato. Cova anche in strutture architettoniche prominenti in alti palazzi come
campanili delle chiese, vecchie fabbriche dove caccia prevalentemente piccioni. Altrove il falco
pellegrino predilige ripide rupi come luogo di cova, molto più raramente nidi abbandonati di altri
rapaci. I metodi di caccia del falco pellegrino sono tutti condizionati dalle sue caratteristiche fisiche.
Il falco pellegrino è un abile cacciatore in grado di attaccare anche le prede a mezz’aria.
Contrariamente a quanto si crede, esso non è in grado di volare in orizzontale a velocità importanti.
Al contrario, nella picchiata, il falco pellegrino è imbattibile. Può raggiungere in picchiata velocità
fra i 368 e i 384 chilometri all’ora.
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Un’altra caratteristica importante del falco pellegrino è la rigidità delle penne remiganti, importante
per la manovrabilità alla fine della picchiata. Ma penne rigide significa anche penne fragili. Quindi la
cattura deve sempre avvenire in spazi aperti, evitando il rischio di colpi con rami e perfino fogliame.
La cattura vera e propria avviene con la cosiddetta "stoccata", un colpo sferrato con entrambi gli
artigli, che dovrebbe tramortire, o sbilanciare, o ferire la preda, che cade a terra, dove viene uccisa
con il potente becco. Più raramente il falco ghermisce la preda. Il Falco pellegrino non caccia mai a
terra e mai animali terrestri. Il fabbisogno quotidiano del falco pellegrino è pari a circa 140 grammi
di carne. Con i bocconi inghiotte volentieri un poco di piume, che poi rigetta il mattino dopo, prima
di riprendere le attività venatorie. I partner di una coppia di falchi pellegrini rimangono insieme per
tutta la vita e si riaccoppiano in caso di morte di uno dei partner. La durata della cova dura circa dai
32 ai 37 giorni. La covata può prevedere da 2 a 6 uova (casi eccezionali) ma di solito 3/4 uova.
Il falco pellegrino raggiunge in media un’età massima di 17 anni allo stato libero, ma sono stati
osservati in cattività casi in cui dei soggetti superavano l’età di 20 anni.
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