SU ETTY HILLESUM

SU ETTY HILLESUM1 3 luglio 1943: una data. Un venerdì afoso di Deventer, Olanda, regione dell’Overijssel Il fiume Ijssel pare immobile, incollato al cielo biancastro, indistinguibile. Simmetrie e difformità attraggono. La stessa sera, una ragazzina di Amsterdam annota nel diario un incontro e un ritardo. Si chiama Anna Frank. Passeranno pochi giorni perché lei e tutta la famiglia entrino nel rifugio. Più del clima, a essere mortalmente pesante è l’atmosfera che gli ebrei olandesi respirano e vivono. Anche un piccolo ritardo adolescenziale può riempire d’angoscia l’attesa. Negli anni 1941­42, un altro diario è percorso da annotazioni esistenziali: “alle mie condizioni, quelle poste da me. Vivere sotto questo segno significa comprare la conoscenza di una linea della vita, al prezzo della solitudine.” Forse è la stessa sera di venerdì 3 luglio 1942, forse a Jönköping. A tracciare quelle righe è un giovane svedese, coetaneo di Etty Hillesum, Dag Hammerskjöld, in un contesto affatto diverso, più disteso ma non meno problematico. Pensieri che s’intrecciano senza mai incontrarsi, che si slanciano nel tempo e lo solcano, senza un senso apparente. Vite auto imprigionate nella ricerca del significato profondo dell’umano esistere, in grado di percorrere in solitudine gli alti crinali del dono, e vite sprecate. Poi, quasi per contrasto, difformità abissali di vite intente a scavare baratri fra un’esistenza ben delineata e migliaia di altre deboli, che pullulano il fondale. Cumuli di dormienti e rare menti vigili disposte a vegliare su altre, pur di aiutare la vita a compiersi, tese a percepire l’attimo unico della richiesta, a intercettare per quietare, sollevare, accompagnare. Nella sera del 3 luglio 1942, la scrittura fitta della ventottenne Etty Hillesum percorre veloce il foglio, decolla dal flusso della vita che così intensamente ama, sosta nel silenzio estatico della solitudine e traccia il bilancio della giornata appena trascorsa: “È vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dιo e il cielo e l’inferno e la terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori”. Poco oltre, scriverà brevemente delle circostanze esteriori, della giornata soffocante e difficile: lunghi giri camminando nella città arroventata con piedi pieni di vesciche e altre “piccole miserie simili”. Il grido di sangue e siero quotidiano è anch’esso silente, e “ogni 1
Devo ringraziare Gabriella Caramore e la trasmissione Uomini e profeti per aver fatto conoscere a più di una generazione
la personalità lucida, delicata e insieme forte di Etty Hillesum cosa doveva essere sofferta e accettata”. Poche parole bastano a conquistare non l’abisso di male da cui emergono, ma il picco del “castello interiore”. “A un certo punto mi ha preso un grande scoraggiamento e incertezza, e sono passata un momento da lui e sapremo ben trovare il modo di aiutarci reciprocamente nei tempi difficili che verranno”. Un’asserzione positiva per Etty Hillesum e per noi, che non stiamo sul crinale, una domanda e un mistero. Nelle circostanze estreme di caccia all’uomo, pronunciare “oggi non ho combinato molto”, da chi aveva tutto il giorno tentato di porre la persona davanti a sé senza finzioni, dinnanzi al tribunale interiore della propria coscienza, rende la testimonianza il martirio di chi interpella ostinatamente, fino alla nausea fisica e alla disperazione, pur di suscitare altre domande, pur di non abbandonare lo scomodo territorio della ricerca e dell’insoddisfazione nell’attuarla, pur di non lasciare addormentare la vita indifferente alla vita, fino a tracciare quel segmento nella linea che le compete. Il 3 luglio di un anno dopo,1943, nella pagina di diario di un giovane pastore luterano scritto nella cella del carcere di Tegel si legge: “Cari genitori (…) è strano quanto potere le campane abbiano sugli uomini.(…) Svanisce ogni insoddisfazione, ogni ingratitudine, ogni egoismo”. Dietrich Bonhoeffer testimonia nelle parole il desiderio, forse ribaltato anche in preghiera: “Se solo fosse possibile amare di più gli altri!” Persone diverse per età, sesso, origine, cultura, unite dalla lucida fiducia nell’intrinseco valore della parola. “Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e queste circostanze non possono essere mai così determinanti, perché esisteranno sempre delle circostanze – buone e cattive – che dovranno essere accettate, il che non impedisce poi che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Però si deve sapere per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno da capo.” Struttura generatrice del pensare e dell’agire di Etty Hillesum è la profonda unità di tutto il creato, una sorgente da cui scaturiscono infinite unicità, come espressioni di riflessi e di doni diversi. E la richiesta: “Signore, fammi vivere di un unico grande sentimento – fa’ che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. Allora quel che farò, o il luogo in cui mi troverò, non avrà più molta importanza. Ma non sono ancora affatto a questo punto” è stata accolta. Forse ognuno, a partire dal proprio contesto, deve contribuire affinché sia esaudita.