atlante_della_tavola2 - Luna Rossa Ristorante Tipico

ATL ANTE
DELL A
TAVOL A
Recupero e reinterpretazione degli antichi sapori
Proposte per il gastronauta in terra di Basilicata
Federico Valicenti
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Un ringraziamento speciale a mia moglie Franca che mi supporta e sopporta
e ai miei figli Ida, Domenico e Bruna che ne facciano tesoro.
Progetto e ricerca sul territorio: Federico Valicenti
Direttore tecnico: Luigi Oliverio - Plane
Copertina: Francesco Spinelli - Plane
Progetto grafico e impaginazione: Massimo Barberio - Plane
Coordinamento editoriale: Simona Pescatore - Plane
Fotografie: Domenico Olivito - Plane
Ottimizzazione immagini: Gabriele Morelli - Plane
Composizione piatti: Federico Valicenti
Consulenti grafici e per le fotografie: Biagio Oliverio e Emilio Arnone - Plane
© 2008 Ed. Librare
© Provincia di Potenza
© Federico Valicenti
ISBN 978-88-88637-54-9
Indice
Una proposta letteraria da assoporare
Continua l’incantevole viaggio | di Federico Valicenti
La lucanità contagia il viaggiatore del gusto e della natura | di Antonella Millarte
Basilicata ricca e gaudente | di Carmela Formicola
I mille volti del cuoco esploratore | di Elisa Forte
Chi è lo Chef Federico Valicenti
Bibliografia
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I prodotti della tradizione
Crostate torte e pasticci
I funghi
La lumaca
La melanzana di Vincenzo L’Africano
Miele Lucani dolci come il miele!
L’ulivo
Gli oli della Basilicata
Patata Lucana
Il peperoncino
Podolica
Riti Arborei La Pita
Il baccalà Il pesce che non è pesce
La cicerchia
Le cerase nel parco del Pollino
Le ciliegie sotto spirito
Il fico
Officina botanica
Pistiddi
Verdure
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Un paese una tradizione
Chiaromonte | Ruosciolo
Pietrapertosa | Pasticcio
Trecchina | Timballo di riso e sanguinaccio
Vaglio di Basilicata | Manatelle al sugo di cardoncelli e salsiccia
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Vietri di Potenza | Tortiera di agnellone, patate e funghi
Albano di Lucania | Marrucchedde
Sant’Arcangelo | O vavalisce po pulejo
Rotonda | Tortino
Ripacandida | Ricotta e miele
Ripacandida | Capocollo di maiale ai profumi di miele
Missanello | Bruschetta all’olio Missanello | Broccoli aglio e olio
Laurenzana | Patan alla runzanese
Acerenza | ‘A turtiera a ‘u forn’
San Severino Lucano | Minestra mpastata
Paterno | Patate raganate
Sant’Angelo Le Fratte | Patan’ nzane
Calvello | U sciuscill’ piccante
Sasso di Castalda | Ricchiettelle fort’
Abriola | Ragù di podolica
Cancellara | Gran ragù
Viggianello | Pitta gnuttucata pu’zazizz e patan’
Savoia di Lucania | Baccalà arraganato con noci, uva passa, olive al forno
Guardia Perticara | Baccalà e lampascioni
Calvera | Cicerchie e salsiccia
Campomaggiore | Zuppa di cicerchia
Castelgrande | Ricchie di lepre con cicerchia
Maiale alle ciliegie
Ratafìa di ciliegie
Carbone | Soppressata di fichi
Teana | A ficarella fichi chi nuci
Noepoli | Pulìata
Tito | Strascinati ca’ menta
Castelsaraceno | Munnulata
Spinoso | Castagnaccio
Anzi | Minestra maritata
Palazzo San Gervasio | Capunti chi cime chicozze
Episcopia | Minestra di verza e peperoni cruschi
Ruoti | Carchiolla cu rape
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Una proposta letteraria da assaporare
La Provincia dei Cento Comuni continua nella sua missione di promozione delle comunità locali.
Un secondo volume che attraversa una ulteriore e significativa parte di territorio e di tradizioni interpretate con la proposta gastronomica di Federico Valicenti.
La cucina e la gastronomia sono elementi che sempre più interpretano, con l’aiuto dei profumi e dei
sapori riproposti secondo le più moderne tendenze dell’alimentazione, l’esigenza identitaria di una terra
come la Basilicata ancora sconosciuta ai più. Concorrono col paesaggio e con le attrazioni naturali
proprie dei nostri territori, ma anche con una rete di accoglienza sempre meglio organizzata, ad attirare
l’attenzione di un turista che vuole entrare in sintonia e contaminarsi con le usanze dei luoghi fino ad
entrare a farne parte.
Una proposta “letteraria” che è una suggestione fatta di poesia e immagini, di luoghi e tradizioni, di
prodotti tipici e abilità culinaria che devono arrivare al lettore e far pregustare sensazioni in grado di
raccontare i cento modi di essere parte della complessa realtà rappresentata da una grande provincia
che dal Vulture al Pollino parla linguaggi, interpreta culture e produce tipicità tanto varie quanto intriganti.
Ci sono prodotti che ormai legano il loro nome indissolubilmente ai territori di produzione proponendone una tipicità che è unicità non facilmente riproducibile e quindi garanzia di genuinità e riconoscibilità
in un contesto globale in cui la “località” è sempre più valore aggiunto.
Proposte per il “gastronauta” in terra di Basilicata seguendo una scansione che dalle radici greco-latine
è in grado di proiettare una terra da assaporare, lentamente, dolcemente verso i nuovi orizzonti di un
futuro saldamente ancorato a valori e sentimenti autentici. E, perché no, capace di promuovere modalità
e stili di vita in armonia con la natura, i territori e con i loro straordinari elementi.
Giancarlo D’Angelo
Assessore al Turismo della Provincia di Potenza
Sabino Altobello
Presidente della Provincia di Potenza
Continua l’incantevole viaggio
di Federico Valicenti
Mentre l’economia globale tende a stritolare le diversità omogeneizzandole, rendendo tutto uguale e asettico, inodore, insapore, la Basilicata
del cibo e delle tradizioni si ritaglia uno spazio nell’economia, nella
memoria, nella cultura.
Una Basilicata fatta di uomini e donne, consapevoli che il cibo crea
legami e progetta la vita dei piccoli paesi. Non si può far finta che non
sia vero, ormai è un corpus culturale enorme che non vuole più essere
sottovalutato. Va stimolato e preservato.
Il cibo lucano è fatto di storia, tradizione, artigianato, cultura del territorio, degli oggetti.
Solo chi non ha memoria di se stesso, della sua cultura, non se ne
cura, si lascia morire, deperire e getta via se stesso come se fosse un
fardello.
Chi si affida il compito di salvare e mantenere viva la cultura della
diversità ha e deve avere, la possibilità di realizzare il presidio della
memoria nel proprio luogo, nella propria comunità.
Come?
Scrivere la storia e le storie del cibo e delle persone che con il loro impegno contribuiscono a caratterizzare un prodotto, una tradizione.
Valorizzare le coltivazioni e le sue trasformazioni, la musica, i miti e i
riti, le manualità, i modi di costruire, di sopravvivere e di raccontarsi,
creando una rete. La rete serve per contribuire ad arricchire i territori,
preservarli da scempi architettonici, culturali, ecologici, così tutto diventa economia locale.
Creare un sistema per incanalare i processi produttivi, per sprigionare
energia dando impulso alla piccola economia, valorizzare in tutto e per
Atlante della tavola | Provincia di Potenza
tutti le risorse umane del territorio.
Solo agendo in questo modo, solo sprigionando forza all’interno di
un’economia locale, che fa da sistema, si possono coinvolgere produttori, realizzatori e conoscitori di prodotti, sostenitori di diversità.
Una rete sistema dove sostenibilità non significa solo guardare il mondo
rurale ma incontrare anche la gente che ci vive, che lo circonda, con le
sue capacità i suoi valori, la sua generosità.
Dove i vari soggetti che compongono questo mondo sono in contatto tra
di loro, costantemente, comunicano e sono disposti ad aiutarsi.
Con la convinzione che la forza delle idee cambia il mondo.
Lavorare in sinergia affinché il piacere diventi un diritto universale, perché il piacere significa anche stare bene su un pianeta in salute.
Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante nell’acquisizione della
coscienza del sano e pulito, per ricominciare a vivere con gusto, per
uscire dalla cultura del mangiare glutammato e “gonfiato”.
Passaggi che diventano punti cardine del marchio qualità.
Ed è compito di tutti divulgare il concetto di qualità che si va sempre
di più allargando e a cui si devono aggiungere gli aggettivi di pulito e
giusto, che risultano essere due aspetti fondamentali e importanti per la
cultura del cibo.
Il nostro impegno si deve tradurre soprattutto in progetti volti principalmente alla diffusione del cibo lucano, per salvaguardare e mantenere in
vita le tradizioni popolari, le diversità.
Continuiamo questo splendido viaggio in terra di Basilicata, con il coraggio e la consapevolezza di cercare un mondo migliore, con costante
evoluzione rispetto a dove ci troviamo, cosa e con chi mangiamo.
Atlante della tavola | Provincia di Potenza
La lucanità contagia il viaggiatore
del gusto e della natura
di Antonella Millarte
Esperto in enogastronomia
Ma quando mai avevate creduto di mangiare senza ascoltare? Di masticare senza pensare a chi e a come quel piatto lo aveva tramandato?
Di buttare giù in fretta qualcosa senza passato? Di scansare tutto ciò che
è grasso, o meglio sarebbe considerato tale?
Tutte false convinzioni, leggende sbilenche o storie narrate da chi - statene certi – alla tavola di Federico Valicenti non si è mai seduto. Perché,
qui nella Lucania vera e sincera, l’affabulazione arriva prima con le
parole che con i sapori. A chi volesse stuzzicare un po’ l’appetito in
attesa dei piatti – diciamo – consistenti, potrebbe capitare di sentirsi
chiedere se gradisce le “vavalisce”. Come non le conoscete? Ma allora
preferite “marrucche”? Dite che non si mangiano, e allora vi portano le
“zinnedde”? E manco quelle sapete che sono? Chissà le “monaciedd”?
Vabbuò, e se pensate che quelle stanno in convento e che manco le
“marrozze” vi dicono nulla … benissimo, ecco perché nella Basilicata
di Valicenti, o non ci siete andati o dovete ritornarci per approfondire un
po’ la conoscenza con la tavola delle tipicità. Ed è così che, per i lucani
d’adozione “di gola” o quelli che vogliono rispolverarsi la memoria, non
sarà difficile dal profumo capire che quel “diavolo” (o meglio quel “peperoncino”) di Valicenti vi ha offerto – a modo suo, naturalmente – una
umile ma squisitissima lumaca, senza pedigree e con tanto sapore.
La lucanità è un qualcosa di profondo, è un po’ come il mal d’Africa
che contagia il viaggiatore del gusto e della natura: apparentemente
diversi, profondamente legati dalla stessa misura (lenta) dello scorrere
del tempo.
Le ricette narrate da Valicenti, anche in questo secondo “Atlante”, restano
fedeli a se stesse o meglio alla sua visione visionaria: sembrano semplici,
quando proverete a rifarle inciamperete nelle trappole della semplicità.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Lui è un segugio del freschissimo e del tipico vero. Valicenti scansa accuratamente le elaborazioni esagerate, e ne guadagna il sapore mentre la
salute si rallegra. Fa nulla che, ogni tanto, ricompare il tanto demonizzato grasso di maiale (la sugna!) con il quale generazioni di lucani (e non
solo) sono cresciuti in ottima salute (e campando centenni). Il segreto,
oramai notissimo, è solo nella giusta misura: un poco di tutto.
E a voi che, leggendo e guardando, state sognando i profumi del Pollino che così efficacemente lo chef–segugio Valicenti vi propone … non
pensate di ritrovarvi solo con le prelibatezze dei ricchi. Il tartufo, in Lucania, c’è ma a tavola Federico Valicenti ama portare quel tocco di umiltà
che alla fine fa la differenza. Ve ne siete accorti? No, ancora no? E
allora questo “Atlante” fa proprio al caso vostro! Il filo conduttore mica è
solo il maiale, al quale Valicenti ha dedicato altri libri di tripudio gastronomico lucano. Sono loro le reginette delle sue ricette: fa rima, non l’ho
fatto apposta ed ora capirete perché. Provate a impastare le polpette
con quel pangrattato “figlio” di una multinazionale e di un grano tenero:
non avranno il sapore di quelle che facevano mammà o la nonna. Conservate il pane raffermo, quello lucano, quello figlio di una massaia che
lo impasta e del lievito madre lasciato dal giorno prima unito sull’altare
al grano duro: e che differenza. Quel pane secco, che rinasce a nuova
vita con l’arte della gastronomia, non vi deve ingannare. La cucina lucana, nelle mani sapienti degli chef e ricercatori come l’amico Federico
Valicenti, non è cristallizzata nel passato. I sapori di una volta, come
l’esplosione di colori e composizioni gastronomiche di questo “Atlante”
dimostra, sono deliziosamente presentati con quel tocco di moderna
composizione … che non guasta! E ora, un buon appetito lucano!
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Basilicata ricca e gaudente
di Carmela Formicola
Giornalista
Ho conosciuto Federico Valicenti in un pomeriggio di giugno, nel mare
verde del Pollino dove l’anima naufraga di felicità.
Così ho scoperto questo esploratore del gusto, il Bruce Chatwin della
Basilicata epicurea e paffuta. Cuoco, scrittore, pensatore, creatore di
sapori quanto di suggestioni. Seduti, dinanzi a un buon bicchiere, affacciati sulla Falconara mozzafiato che ridisegna l’orizzonte tra “Luna
Rossa” e il resto dell’universo, Federico parla, cucina, brinda e affascina, l’uomo che ti conduce nella meraviglia della gastronomia e della
storia di un Sud segreto e fascinoso, il Cappellaiomatto che ogni Alice
è destinata a incontrare sulla sua strada di liriche frivolezze.
Chiudendo gli occhi, tra il gusto, la tradizione e la leggenda, in questo
luogo sospeso riesci ad ascoltare i bisbigli della gente antica; il fruscìo
delle sottane delle donne, tra la cucina e l’alcova; le risa, i gemiti, le
parole, le grida degli uomini. Ma come si può narrare un popolo attraverso la sua attitudine al convivio? Basta miscelare ironia e realismo
e convincersi che nessuna chiave di lettura è riduttiva rispetto ai codici
stantii della storiografia ufficiale. Federico Valicenti, d’altronde, nella sua
impresa pubblicistica, da sempre predilige parlare di quella Basilicata
ricca e gaudente, aristocratica, piena d’agi, distruggendo – finalmente
- l’icona infelice e a senso unico della folla contadina condannata alla
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
fame, al disagio e alle fotografie color seppia. Pure c’è, nella nostra
anima, questa memoria amara di sofferenza, tuttavia scorre potente,
nelle vene lucane, il sangue rosso della festa e della felicità, la biografia
meno ufficiale, il trionfante squasso dei luoghi comuni.
Ecco allora i colori e i sentimenti buoni dell’«Atlante della tavola - secondo volume». Atlante, si badi. E non solo perché Federico è propenso
alle misure ampie. Non libro, non almanacco. Atlante. Cioè un’epopea
di viaggi, di mappe, di luoghi, di abitudini. Un globo di ingredienti e
di pensieri. E di ricette.
Il maiale, i peperoni, la cipolla. Le spezie, le erbe, i semi, le radici. È un
sentiero lungo di echi di questo ventre di Mezzogiorno, la storia di un
popolo che siede a tavola. Ricette come frammenti di vita. E poi odori
e piatti sapidi. Così, pagina dopo pagina, si ricompone il ritratto del
narratore, dello chef, del filosofo. O, con molta meno enfasi, di un figlio
della Lucania che ha imparato l’importanza di lasciare traccia. Seguire
questa traccia significa addentrarsi nell’Atlante e viaggiare lungo i borghi bellissimi e sperduti del lembo meridionale della Basilicata. I paesi,
la gente, la tradizione. E la cucina, linguaggio universale che parla al
gusto e all’olfatto, al tatto e all’udito. La cucina e il piacere. Perché – diceva James Joyce - «Dio fece il cibo, il diavolo i cuochi».
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
I mille volti del cuoco esploratore
di Elisa Forte
Giornalista
“La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che
la scoperta di una nuova stella” - Brillat-Savarin-, fisiologia del gusto
Tu chiamala, se vuoi, cucina. Ma forse si dovrebbe dire arte.
Artista, dunque. Ma non solo. Cuoco, certo, ma anche ambasciatore.
Testimone e interprete della sapienza culinaria di terra lucana. Studioso
enogastronomico, scrittore e divulgatore. È Federico Valicenti.
Le sue missioni, dalla Germania alla Terra Santa, dagli Stati Uniti all’Australia, sono viaggi di conquista. Sotto le insegne della cucina lucana,
l’obiettivo è prendere tutti per la gola. E ciò accade, invariabilmente.
Gerusalemme o Milano, non fa differenza. Seduce i palati, appaga
curiosità storiche legate alle antiche tradizioni delle ricette, trasmette
buonumore.
Sono oramai quasi tre decenni (27 anni) che Federico Valicenti ha deciso di valorizzare i saperi e i sapori della cucina che facevano le nonne
lucane. Lo ha fatto partendo dal suo regno, Terranova. Uno dei posti
più incantevoli del Parco Nazionale del Pollino. Montagne mozzafiato
da vivere secondo tempi da slow-style, lasciandosi abbagliare da un
tripudio di colori.
Valicenti ha interrogato massaie, ha rovistato nei ricettari della loro memoria. Ha ricostruito l’alfabeto culinario del passato. Investigatore, dunque, prima che ambasciatore. Ha chiesto alle donne della montagna.
Loro, che hanno ereditato ricette e sapori dalle nonne. Sempre loro,
che, come si usava fino a 50 anni fa, hanno preparato banchetti nuziali
“mped a na ciars”, all’ombra di una quercia. Quando sposarsi era una
festa in tutto il paese e il rito del pranzo nuziale si svolgeva all’aperto,
in campagna, all’ombra degli alberi più maestosi. Tutti insieme, intorno
a lunghe e allegre tavolate.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Investigatore, studioso, ambasciatore. E finalmente cuoco. Ecco come
lavora tra i fornelli, in cucina. Procede per gradi. I piatti vengono prima
preparati e sperimentati nella sua terra, a Terranova del Pollino, nel tempio dei sapori, nel ristorante “Luna Rossa”. Se, nel piatto, la tradizione
sposa l’innovazione e il gusto convince il guru della cucina made in
Basilicata, accade che storia, tempi e procedimenti per la preparazione
dei piatti si trasformano in una nuova scoperta. Piatti-scultura come quelli
che lo stesso Federico Valicenti ha prima preparato e poi fotografato per
l’Atlante che state leggendo, compagni di impagabili di indimenticabili
viaggi sensoriali. Nuove micidiali armi di conquista sotto i vessilli della
lucanità.
Cuoco? Sì, ma anche divulgatore. Ricette a base di capretto e patate,
maiale condito con le arance, peperoni cruschi e baccalà, tortino di
patate di montagna e salsiccia, melanzane che diventano dessert. Federico Valicenti oltre che prepararle, ha iniziato a raccontarle nell’Atlante,
su quotidiani e in tv, dove è ospite molto richiesto e testimonial delle
specialità regionali
E adesso, viaggiatore di questo Atlante, chiamala, se vuoi, cucina. Ma
forse si dovrebbe dire arte. Per i buongustai e i globe-trotter del gusto
che a centinaia raggiungono Terranova, ogni anno, per degustare le
delizie “valicentiane”, si potrebbe, addirittura, osare di più. Del resto
c’è chi, una volta, disse: “La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa
per il genere umano che la scoperta di una nuova stella” (Brillat-Savarin,
Fisiologia del gusto).
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Basilicata, Provincia di Potenza
Lavello
Montemilione
Melfi
Venosa
Rapolla
Barile
Rionero in Vulture Ginestra
Atella
Rapone
Palazzo San Gervasio
Maschito
Ripacandida
Banzi
Forenza
Genzano di Lucania
Ruvo del Monte
Castelgrande
San Fele
Acerenza
Filiano
Pietragalla
Muro Lucano
Baragiano
Balvano
Oppido Lucano
Cancellara
Tolve
Avigliano
Bella
Ruoti
Vaglio Basilicata
Potenza
Picerno
Vietri di Potenza
Tito
Savoia di Lucania
Pignola
Brindisi Montagna
Albano di Lucania
Campomaggiore
Trivigno
Sant’Angelo le Fratte
Satriano di Lucania
Abriola
Sasso di Castalda
Brienza
Calvello
Anzi Castelmezzano
Pietrapertosa
Laurenzana
Gorgoglione
Marsico Nuovo
Marsico vetere
Paterno
Viggiano
Corleto Perticara
Guardia Perticara
Armento
Galliccini
Montemurro
Missanello
Spinoso
Sant’Arcangelo
San
Martino
d’Agri
Sarconi
Roccanova
Moliterno
San Chirico Raparo
Castronuovo di Sant’Andrea
Castelsaracento
Calvera
Senise
Carbone
Lagonegro
Chiaromonte
Teana
Noepoli
Latronico
Rivetto
Episcopia Francavilla in Sinni
Nemoli
Lauria
San Costantino Albanese
Trecchina Castelluccio Superiore
San Severino Lucano
San Paolo Albanese
Tramutola
Grumento Nova
Maratea
Viggianetto
Rotonda
Teranova di Pollino
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Crostate, torte e pasticci
P
resentare alla fine di un lauto pranzo o in certi intimi momenti, una
torta, una crema, una crostata, è diventata consuetudine oltre che
legge consacrata da secoli di usanze familiari.
Un dolce È come avere nell’armadio abiti pronti da mettere nelle occasioni improvvise che richiedono eleganza e sobrietà, cosi è vanto e
ricchezza vedere nella propria dispensa allineati, oltre che buoni rosoli,
anche barattoli di marmellate, confetture, gelatine tutte preparate con le
proprie mani. Marmellate pronte per essere trasformate in crostate, gelatine pronte per accompagnare prelibati formaggi, confetture da usare
per insieme a carni selvaggine o semplicemente da offrire al mattino con
il latte, con i biscottini fatti in casa, per preparare una bella merenda o
semplicemente gustarle al cucchiaio accompagnate con un bicchierino
di rosolio.
Le crostate dolci sono composte da una crosta di pasta su cui adattare
marmellate o condimenti vari, quasi sempre a base di frutta.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
La crostata dolce va fatta risalire almeno al XIV secolo. Già allora, come
ancora oggi si usa fare, veniva ricoperta con una grata di listelli di pasta
frolla.
I pasticci, invece,sono crostate composte da una crosta ripiena di alimenti salati. L’origine della crostata salata va fatta risalire al XVI secolo,
periodo in cui veniva preparata con il metodo che oggi ricorda molto la
pizza, semplicemente con una pasta di pane e condimento.
Oggi i pasticci sono preparati quasi sempre con formaggi, verdure e
uova sode e le sue ricette sono passate indenni attraverso la storia.
Nel corso dei secoli le crostate hanno avuto momenti altalenanti tra
dolce e salato, però sono riuscite ad arrivare fino ad oggi quasi senza
grossi stravolgimenti gastronomici. Le crostate, le torte o i pasticci sono
piatti da buongustai.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Chiaromonte
Ruosciolo
Gli ingredienti 350 gr di zucchero
500 gr di farina di grano duro
4 uova
10 cucchiai di sugna
1 buccia di limone grattugiata
1 bustina di lievito per dolci
150 gr di ricotta fresca
250 gr di marmellata di ciliegie (o albicocca)
Il procedimento
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Mescolare le 4 uova con i cucchiai di sugna e la buccia di limone,
aggiungere la bustina del lievito e lo zucchero quindi versare la farina
mescolando il tutto grossolanamente, senza legare eccessivamente, con
un movimento dal basso verso l’alto. Adagiare una parte dell’impasto in una teglia unta di sugna e spolverata di farina, aggiungere la
marmellata di ciliegie (o di albicocca) amalgamata alla ricotta fresca,
aggiungere l’altro impasto e far cuocere a forno caldo 180° per circa
20 minuti.
Pietrapertosa
Pasticcio
La pasta 500 gr di farina
5 uova
1 bicchiere di strutto
sale q.b.
La preparazione Preparare la farina a fontana sulla spianatoia, versarvi le uova, lo strutto
e il sale. Impastare a lungo fino a quando la pasta diventa lucida e
morbida. Preparare il ripieno
Il ripieno 4 uova fresche
100 gr di formaggio grattugiato
500 gr di ricotta
500 gr di toma tagliata a fettine
4 uova sode tagliate a fettine
200 gr soppressata e salame
prezzemolo
pepe
sale q.b.
Il procedimento
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
In una terrina mettere la ricotta, il formaggio, le quattro uova fresche,
il prezzemolo, il pepe e il sale. Assemblare bene fino ad ottenere un
impasto consistente e morbido. Riprendere la pasta e con il mattarello
ricavare due dischi dello spessore di ½ cm circa. Stendere su un disco
il preparato di ricotta, formaggio ed uova; su questo fare uno strato di
uova sode tagliate, uno di salame e infine uno di toma; spargere un
pochino di sale e di pepe. Ricoprire con l’altro disco di pasta; chiudere
bene i bordi; lucidare con un tuorlo d’uovo sbattuto, punzecchiare con
una forchetta, porlo sulla piastra del forno e cuocere a 250°. Ritirare il
pasticcio quando ha assunto il colore dorato di un biscotto.
Trecchina
Timballo di riso e sanguinaccio
Gli ingredienti 1 kg di riso
500 gr di uva sultanina
1 lt di acqua
1 lt di sangue di maiale
1 mazzetto di odori
1 cucchiaio di strutto
1 sfoglia di pasta per crostate
1 tuorlo d’uovo
sale q.b.
Il procedimento In una capiente pentola fare bollire per circa 10 minuti il sangue, l’acqua, il cucchiaio di strutto e gli odori.
In un’altra pentola fare cuocere il riso al dente, quindi scolarlo e amalgamare l’uva sultanina ed il composto precedentemente ottenuto. Aggiustare di sale e versare il tutto in una pirofila da forno foderata con la
pasta sfoglia. Richiudere la parte superiore con un altro strato di pasta,
spalmare con un pennello intriso con il rosso d’uovo e bucherellare con
la punta della forchetta prima di passarla al forno caldo per circa un
ora.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
I funghi
I
funghi si vedono spuntare dal nulla su terreni o su tronchi di alberi,
magari dopo una persistente nebbiolina che avvolge il bosco. Avvolti
in un alone di magia e di riti che si perdono nella notte dei tempi
vengono usati da maghi e fattucchiere, da santoni e asceti, da antropologi e sciamani, diventando protagonisti di credenze, racconti, storie e
leggende popolari. Alcuni racconti popolari affermano che, i funghi che
crescono in “cerchio”, sono generati da danze di streghe o da abitanti
notturni del bosco come elfi e gnomi.
Nell’antica Magna Grecia il fungo veniva venerato al pari degli dei
perché simbolo divino. Infatti, una leggenda vuole che Perséo, assetato
e stanco, trovò una cappella di fungo piena d’acqua e, ringraziando
gli dei per averlo salvato, decise di fondare la città di Micene (dal
greco Mykès–fungo), dando corso alla civiltà micenea e, molti secoli
dopo, allo studio della micologia. Invece nella Roma antica il termine
latino fungus significa portatore di morte (funus–morte e ago–portare).
Gli antichi romani ne celebravano la bontà mettendoli sullo stesso piano
della cacciagione e delle ostriche. Giovenale usava i funghi ingannando i commensali creduloni... “boletum condire, et eodem iure natantes
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
mergere ficedulas...” – insaporire un fungo a fuoco spento e ingannare
i beccafichi.
Mentre Marziale ammoniva “è facile regalare argento e oro... difficile è
regalare funghi”, ponendo il piacere di un buon pranzo a base di funghi
al di sopra dei regali preziosi. I funghi hanno da sempre interessato e
influenzato la vita dell’uomo, anche se in qualche caso l’hanno funestata
accorciandone la durata. Di sicuro l’hanno resa più gradevole e quindi
piacevole. Conoscerli è indispensabile per salvare la vita ed evitare
tragedie, cercando di non cadere nei metodi tutti “casalinghi” per stabilirne la velenosità, come il cambio del colore dell’aglio, farli mangiare al
gatto di casa, ascoltarne l’odore e così via, frutto di credenze popolari
che non hanno nessun riscontro scientifico. Chiedere a chi ci credeva,
se è vivo! Un antico proverbio lucano dice che “murì pì fùngi è murì’ da
fess” (morire per funghi è un morire da fessi).
Nel periodo di raccolta i funghi che spuntano nei prati, nei boschi, sulle
colline, ci ammaliano con i colori, ci nutrono con i sapori, ci inebriano
con i profumi.
Suggestioni e odori rendono la Basilicata profumata e invitante, dove
tutto si mescola per diventare un unico sapore!
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Vaglio di Basilicata
Manatelle al sugo di cardoncelli e salsiccia
Le Manatelle 500 gr di farina di grano duro; 2 uova;1 cucchiaio di strutto; 1 cucchiaio di olio; 1 bicchiere di acqua tiepida; sale q.b.
La preparazione
Impastare la farina di grano duro con lo strutto, olio e acqua tiepida,
un pizzico di sale e due uova. Una volta preparato l’impasto che deve
essere morbido ma non molle, fatero riposare per almeno mezz’ora
coperto da un leggero telo. Quindi ridurre l’impasto in piccole panelle.
Praticare un buco al centro di ogni panella e allargatera ungendovi le
mani di olio, ottenendo una matassa che si lavorerà sempre allungandola, fino a piegarla in due senza spezzare la pasta. Si otterranno così
due matasse una sull’altra. Lavorare ancora spolverando con della farina ad evitare che si incollino. Quando si ha finito di allargare la doppia
matassa, si ripiega su se stessa ottenendone 4 sempre collegate sempre
più sottili. Aprire le matasse e tagliarle sui due punti opposti, da ottenere
cosi le manatelle lunghe circa 30 cm. Isolarle tra di loro con la farina.
Il sugo 300 gr di funghi cardoncelli; 3 cucchiai di olio extravergine; ½ cipolla
bianca; 1 spicchio d’aglio; 1 ciuffo di prezzemolo; 1 peperoncino;
200 gr di salsiccia lucana; 150 gr di passato di pomodoro; 1 bicchiere di aglianico; sale q.b.
Il procedimento Mondare e pulire con un coltellino i funghi, tagliarli a fette larghe.
Togliere dal budello la salsiccia fresca e soffriggerla in una padella con
poco olio. Mondare e tagliare a fettine la cipolla bianca, schiacciare
l’aglio e tritare il peperoncino. In una padella larga imbiondire la cipolla
e l’aglio, aggiungere il peperoncino quindi i funghi e farli cuocere per
qualche minuto. Aggiungere il vino rosso, aggiustare di sale e versare
il passato di pomodoro. Il sugo deve risultare oleoso e non deve essere
molto pieno di pomodoro, proseguire regolarmente la cottura.
A cottura quasi ultimata aggiungere al sugo la salsiccia spellata, sminuzzata e rosolata. Cuocere le manatelle in abbondante acqua salata.
Condire con il sugo e cospargere di prezzemolo tritato finemente.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Vietri di Potenza
Tortiera di agnellone, patate e funghi
Gli ingredienti 1,500 kg di agnellone
500 gr di patate
aglio
1 cipolla
100 gr di pomodorini invernali “appesi”
500 gr di funghi misti
1 ciuffo di prezzemolo
150 gr di formaggio pecorino grattugiato
200 gr di mollica di pane rafferma
100 cc di olio extravergine oliva
sale q.b.
La preparazione Pelare e tagliare a spicchi grossolani le patate, mondare e tagliare a
strisce i funghi. In una capiente ciotola mettere i funghi e le patate assieme, condire con abbondante olio, aglio e cipolla tritati, pomodorini tagliati a metà, prezzemolo, abbondante formaggio pecorino grattugiato;
aggiustare di sale e mescolare con cura.
Oleare una teglia da forno e aggiustare l’agnellone tagliato a pezzi
grossolani. Aggiungere sulla carne le patate e funghi conditi; livellare
e spolverare con il restante formaggio grattugiato e mollica di pane;
aggiungere mezzo bicchiere di acqua.
Cuocere a 150° per circa 50 minuti.
Quando le patate sono morbide, i funghi croccanti e l’agnello asciutto
e rosolato, servire.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
La lumaca
L
a cucina elicica. In alcuni centri della Provincia di Potenza come
Sant’Arcangelo e Albano di Lucania, la lumaca è un mollusco molto
ricercato. Raccolta da grandi estimatori, arricchisce i piatti della cucina lucana. Di piacevole e particolare sapore, presente nella gastronomia “paesana” da secoli, la lumaca viene insaporita con spezie locali e
ricette antiche diventando un piatto di grande gastronomia.
Molte persone dopo una bella pioggia si riversano, con il paniere in
mano, negli orti e nei campi alla ricerca delle “vavalisce”, “marrucche”,
“zinnedde”, “monaciedd”, “marrozze” – questi, alcuni nomi dialettali
delle lumache – dopo averle raccolte e fatte spurgare si cucinano, quasi
sempre, a zuppa accompagnate con belle fette di pane casereccio
arrostito o fritte in padella.
La scrittrice napoletana Matilde Serao ricorda che mangiare la “maruzzella” il Giovedì Santo era una sana tradizione e che i “maruzzari”,
ambulanti di un tempo, riempivano i vicoli di urla che invitavano a comprare le lumache – “àccattativ’ e’ maruzze d’à festa cà sò meglio d’è
cunfiette” – compratevi le lumache che sono meglio dei confetti.
Non sappiamo se era un invito a non sposarsi – i confetti – così da
evitare di portarsi dietro il peso della casa e rischiare di uscire con le
corna.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Il letargo della lumaca ricorda il tema della morte e della resurrezione.
I suoi gusci sono stati trovati nei sepolcri e nelle catacombe, uso scomparso dopo il primo millennio. In una necropoli pagana è stata trovata
una tomba con trecento gusci che circondavano lo scheletro del defunto.
Altre analogie esistono tra la lumaca e la luna, questa ultima appare e
sparisce come le corna del mollusco, la spirale è legata alle fasi lunari
e secondo la mitologia azteca il Dio Tecciztecatl – “Dio della vecchia
luna” – è racchiuso in una spirale di lumaca a rappresentare la luna
stessa.
Al contrario della linea retta che rappresenta una via, la spirale, in una
particolarità più simbolistica, rappresenta un cammino più lungo, labirintico o spiralico che viene messo in atto nelle processioni, nelle danze
e nei riti sacri.
Non a caso nei balli popolari lucani, come la tarantella, l’uomo nella
sua danza di corteggiamento, forma delle spirali per avvicinarsi alla
donna a cui rivolge l’attenzione.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Albano di Lucania
Marrucchedde
Gli ingredienti 1 kg di lumache
1 costola di sedano bianco (accio)
300 gr di pomodorini
1 cipolla
1 peperoncino
1 cucchiaio di menta
1 cucchiaio abbondante di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
La preparazione Spurgare le lumache per un giorno e una notte in un contenitore munito
di piccole aperture per permettere agli animali di espellere gli escrementi. Lavare e bollire le lumache in una pentola alta con acqua salata per
circa 10 minuti. A cottura scolare.
Il sugo Tagliare i pomodori a pezzettini, a fettine la cipolla, il sedano a dadini.
Fare appassire contemporaneamente in una padella con un cucchiaio
di olio la cipolla e il sedano, quindi aggiungere la menta e il peperoncino. Amalgamare il tutto e aggiungere i pomodorini.
Aggiustare di sale. Scolare e sgocciolare le lumache e versare il tutto
nella padella del sughetto, aggiungere dell’acqua tiepida fino a coprire
le lumache e continuare la cottura per altri 10 – 15 minuti.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Sant’Arcangelo
O vavalisce po pulejo
Gli ingredienti 500 gr di lumache spurgate
2 cipolle tipo “sponzali”
300 gr di pomodori pelati
1 cucchiaio di menta calaminda (pulejo)
olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Mettere le lumache in una pentola con acqua, cuocere a fuoco moderato. Quando le lumache iniziano ad uscire dal guscio e l’acqua inizia a
sobbollire, alzare il livello della fiamma facendo arrivare subito ad alta
temperatura. Scolare e mettere da parte.
In una padella far rosolare abbondante cipolla in olio extravergine d’oliva, appena la cipolla appassisce aggiungere i pomodori tagliuzzati, le
lumache, la menta puleggia, il sale, un mestolo d’acqua e far asciugare
fino ad insaporire.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
La melanzana di Vincenzo L’Africano
V
oi ci avete rubato il posto al sole, ed io vi frego la melanzana:
questo ha pensato Vincenzo detto l’Africano quando di nascosto
intasca nel campo di prigionia etiope il seme della melanzana
dell’Africa tropicale. Finita la guerra, Vincenzo l’Africano, di ritorno a
Rotonda, un po’ più vecchio e malandato, incontra la moglie vicino ad
una fontana fuori dal paese natìo, che non lo riconosce!
Chiede alla donna se sia sposata e se qualcuno l’attende a casa sospettoso il nostro eroe - la donna impaurita dalle domande dell’uomo barbuto e canuto, con la faccetta quasi nera, inizia a gridare e a
prenderlo a sassate, l’uomo deve arrendersi e farsi riconoscere dalla
coniuge. Si lava e si rade alla fontana che dopo quell’incontro diventa,
a memoria dei posteri, la Fontana dell’Africano. Porta in dono dall’Etiopia, alla giovine moglie e al palato fine degli abitanti di Rotonda, i semi
della “merlingiana a pummarola”. È Peppe Cosenza che mi racconta
questa simpatica storia, tra il serio e il faceto, che vuole progenìo della
melanzana il suo lontano parente, Vincenzo l’Africano appunto!
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
D’altronde cosa è la cucina se non un fiume di parole e scritti che l’uomo
riempie di profumi, aneddoti, storie e allegria?
Che poi la melanzana rossa di Rotonda sia davvero arrivata dal continente Africano è un dato di fatto, anche perché suffragato da indagini
di studi condotti da istituti qualificati, come l’Alsia - Agenzia di Sviluppo
Agricolo della Regione Basilicata.
Tesi rafforzata anche da G. Laghetti che nel 1995 ha condotto una
ricerca basata sulle testimonianze orali dei novantenni locali.
Per nulla somigliante alla melanzana comune, questo strano ortaggio
(Solanum aethiopicum)
che assomiglia vagamente al pomodoro, è coltivato unicamente a Rotonda, 4000 abitanti, altitudine circa 600 metri, a una cinquantina di
chilometri dal mare di Maratea, sede del Parco Nazionale del Pollino,
una piccola capitale dello sviluppo sostenibile e dell’orticoltura inserita
in un contesto ambientale unico.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Rotonda
Tortino
Gli ingredienti 4 melanzane di Rotonda mature
1 cipolla rossa di media grandezza
4 patate lessate
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
pane grattato fine
polvere di peperoncino di Senise
burro
sale q.b.
Il procedimento Lavare e asciugare le melanzane, senza sbucciarle tagliarle a cubetti
piccoli. Affettare la cipolla e versarla in padella con l’olio, insieme ai
cubetti di melanzane.
Fare cuocere per circa 15/20 minuti a fuoco lentissimo mettendo un
coperchio sopra la padella, se necessario aggiungere un cucchiaio abbondante di acqua. Passare il tutto con il mixer a immersione ottenendo
una crema densa. Schiacciare le patate con lo schiacciapatate e incorporarvi la crema di melanzane. Amalgamare bene il tutto.
Ungere con burro e pane grattato fine i contenitori di allumino per il
tortino. Versare la crema nei contenitori e passare al forno per 10 minuti
circa. Servitela con crostini di pane caldo, un filo di olio extravergine di
oliva e polvere di peperone di Senise.
Come conservarla Melanzane sott’olio
Pelare e tagliare a fettine dello spessore di 2/3 millimetri le melanzane.
Disporle a strati alternati con sale grosso in una casseruola messa con un
lato alzato per favorire la fuoriuscita del liquido amarognolo. Lasciarle
riposare e scolare per 24 ore. Strizzare le melanzane per liberarle dall’acqua ancora rimasta ed immergerle per 24 ore in aceto
di vino bianco. Scolarle e sistemarle in un canovaccio a maglie larghe,
mettere sul canovaccio in un largo colapasta e fare pressione con un
peso sopra, perderanno l’aceto in eccesso. Condire con pezzi di aglio,
olio extravergine di oliva, spicchi di peperoncino e foglie di menta larga. Conservare in vasetti di vetro.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Miele Lucani dolci come il miele!
L
a parola miele ha assonanze praticamente universali, deriva da medhu e melit quindi è da presumere che nacque assieme al linguaggio
dell’uomo, questo ad indicare che il vocabolo nacque prima che le
lingue prendessero a differenziarsi tra di loro mentre il nome ape – bee
– venne coniato in seguito.
Storicamente ed etimologicamente parlando possiamo affermare che la
parola miele si nominizzò prima di ape, quindi l’uomo ha conosciuto
prima il miele e poi chi lo produceva, le api.
Plinio il Vecchio nell’Historia Naturalis così descrive il miele: “qualunque
cosa sia questa sostanza, la dolcezza stessa del cielo o un umore secreto dalle stelle o una specie di essudorato dell’aria stessa scaturito dal
suo processo di purificazione… vero è che il nettare ci giunge purissimo,
limpido, genuino”. Questo nettare prodotto dagli dei, sacro e mitico di
cui anche il grande filosofo Aristotele, nel primo secolo a.C. scrive: “il
nettare cade dai cieli, soprattutto al sorgere delle stelle e quando l’arcobaleno compare splendente nel cielo” (Historia animalium vv.22-24). Il
miele come mezzo per tracciare origini divine, associato alle bellezze
del paradiso, alla Terra dei Beati. I musulmani promettono vergini e fiumi di miele, gli ebrei nella Terra Promessa fanno scorrere latte e miele,
il profeta Isaia apostrofa: “ricotta e miele mangerai fin quando saprai
rifiutare il male e scegliere il bene”.
I riti magici e propiziatori sono tanto antichi quanto più vetusti; in Basilicata in occasione del giorno dei morti si prepara il grano cucinato con
mosto cotto, chicchi di melograno e miele; in alcune zone ancora si conserva la tradizione del giorno di Santa Lucia dove il miele misto al grano
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
viene cotto nella “pignata” e offerto a tutti i famigliari. Nella tradizione
dei matrimoni il miele rappresenta la dolcezza e la purezza dell’amore,
basta pensare alla meravigliosa figura del dio dell’amore Kama, armato
di un arco divino e magico la cui corda tesa è costituita da una catena
di api, oppure alla Corona Aurea di Armento (PZ) rarissimo ed originale
reperto di fine arte orafa lucana del IV sec. a.C. Lo stesso modo di dire
“luna di miele” sta a significare che il primo mese di matrimonio è il più
dolce ed il più bello.I Romani, calpestando con asini e sandali l’Herculeia e la Popilia, portano in Lucania gli alveari di loro invenzione, che
poco si discostano, a parte i materiali impiegati, da quelli che usiamo
attualmente. Un antichissimo proverbio lucano dice che per essere ricchi
bisogna avere il maiale sotto il letto e il favo di miele vicino la porta.
Ed ecco oggi il miele in Basilicata.
La nascita nel 2003 del Consorzio Regionale di Tutela e Valorizzazione
del miele lucano a Ripacandida (PZ) conta più di 20 aziende associate
con circa 200 produttori. Il lavoro sinergico tra il Consorzio e l’Amministrazione comunale ha fatto inserire Ripacandida nel circuito delle Città
del Miele. L’azione d’insieme del privato con il pubblico ha prodotto
una grande realtà nella piccola ma ricca Terra di Basilicata. L’arguta
creazione della carta dei mieli diventa non solo prodotto eccellente di
marketing ma trait-d’union tra prodotto e comunicazione, che fa della
qualità e della professionalità un punto di partenza e non di arrivo della
nostra amata Basilicata.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Ripacandida
Ricotta e miele
Gli ingredienti 250 gr di ricotta fresca; 1 cucchiaio piccolo di cannella macinata fine;
30 gr di mandorle leggermente tostate; 20 gr di semi di sesamo leggermente tostato; 1 cucchiaio abbondante di miele di castagno 2 cucchiai
di olio extravergine di oliva
Il procedimento
In una padella antiaderente versare l’olio extravergine di oliva, quando
l’olio è caldo aggiungere la ricotta e lavorare velocemente con una spatola; quando è ben sciolta aggiungere la cannella e i semi di sesamo,
continuare a mescolare fin quando i grumi saranno sciolti.
In un piatto di portata versare la ricotta calda, aggiungere le mandorle
tritate e a filo il miele di castagno.
Capocollo di maiale ai profumi di miele
per 4 persone
Gli ingredienti 8 fette di maiale dalla parte del capocollo; 1 cucchiaio abbondante di
miele; 1 cucchiaio di aceto al miele; 1 bicchiere di vino bianco secco
una grattugiata abbondante di buccia di limone; una grattugiata abbondante di buccia d’arancia; sale q.b.
Il procedimento Incidere con un coltellino la carne da un lato, batterla energicamente
per sciogliere i nervetti.
Adagiare in una capiente padella le fette di carne e farle rosolare da
ambo le parti, aggiungere il vino, l’aceto, la buccia di limone e quella
d’arancia, quindi far cuocere, aggiustare di sale. A cottura quasi ultimata aggiungere il miele e rigirare in continuazione le fette di carne fino
ad ottenere un sugo denso e ambrato.
Servire caldo.
“Mangerai fin quando saprai rifiutare il male e scegliere il bene” (Isaia 7.15.)
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
L’ulivo
L
a riconquista del mercato l’olio extravergine di oliva trova nell’olivicoltura lucana un cenacolo di artigiani oleari le cui capacità e
opere consentono di riportare l’extravergine fra le eccellenze dei
prodotti del Mezzogiorno d’Italia.
Maestri artigiani che con lungimiranza e caparbietà sono stati capaci di
non dilapidare l’eredità delle “cultivar” autoctone ma al contrario hanno
migliorato il patrimonio genetico esaltandone anche l’identità territoriale, così da non essere fagocitato dalla lava oleosa che prepotentemente
sta conquistando il mercato, livellandone il gusto.
L’ulivo viene da lontano, si perde nei millenni, proviene dalle coste siriane e palestinesi da dove poi si è diffuso nel bacino del Mediterraneo.
Racconti e leggende sulla pianta dell’ulivo si susseguono e si rincorrono
nella letteratura antica; il poeta Omero nell’Iliade e nell’Odissea lo cita
in diversi occasioni e racconta di Ulisse che costruisce il suo giaciglio in
un albero d’ulivo incavo privato della cima.
Secondo altre leggende l’ulivo fu donato agli egiziani dalla dea Iside.
La mitologia greca racconta che Atena, dea della saggezza, e Poseidone, dio del mare, litigavano per conquistare il dominio dell’Attica.
Zeus per porre fine al diverbio, stabilì che l’Attica sarebbe andata a chi
avesse portato agli uomini il dono più utile!
Poseidone offrì il cavallo, ma Atena, aiutata dalla dea Pallade, vinse
portando una pianta d’ulivo, a rappresentare un albero immortale dai
cui frutti gli uomini avrebbero ricavato nutrimento, luce, bellezza, forza,
salute, calore. I Greci, in seguito, per ringraziare la dea che aveva dato
il nome alla città di Atene, nelle gare olimpiche disponevano in testa ai
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
vincitori corone fatte con un ramo d’ulivo e durante le feste portavano in
processione dei rami o corone d’ulivo.
Con i Greci la coltivazione di ulivo si espande, ma sono i Romani che
impongono la coltivazione in ogni territorio.
Considerato un importante simbolo di ricchezza, usato come moneta
di scambio per un breve periodo, l’ulivo viene addirittura coniato sulle
prime monete a Crotone.
Nel tardo Medioevo le repubbliche marinare intensificano e favoriscono
il consumo di derrate e l’olio diventa protagonista dei commerci italiani.
L’ulivo torna ad essere uno degli elementi più importanti del paesaggio
mediterraneo espandendo in più parti del mondo la sua coltivazione e
quindi la cultura salutistica che il suo frutto racchiude.
La Basilicata, anche se è una delle regioni più piccole d’Italia, ha una
grande tradizione ulivicola. L’ulivo è coltivato in Basilicata sin dai tempi
della Magna Grecia e l’olio che si ricava dalla premitura delle olive
lucane è sempre stato di grande qualità. La coltura dell’ulivo costituisce
ancora oggi una tradizione storica millenaria della nostra Basilicata,
un prodotto carico di misticismo, una pratica che ha influito non poco
sull’economia e sulla gastronomia della tavola lucana.
Premitura che raccoglie e racconta storie e aneddoti nati vicino ai frantoi. Frantoio che diventa luogo di incontro, piazza, agorà!
Per tutta la stagione della molitura diventa centro e motore della vita, di
luogo sacro. Luogo spontaneo di chiacchiere e scambio di idee, mentre
le olive vengono trasformate in olio, che oggi, senza rendercene conto
e ignorandone i passaggi, ci ritroviamo in bottiglia.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Gli oli della Basilicata
L’
Ogliarola del Vulture e Cima di Melfi sono presenti nella provincia
di Potenza, fra il Monte Vulture e l’area nord del fiume Bradano.
È l’area più settentrionale della Basilicata, identificabile con la
zona vulcanica del Vulture.
La Maiatica è diffusa nell’area sud della regione a cavallo delle due
province fra la parte media dei fiumi Basento, Agri e Sinni.
L’area della Maiatica è localizzata nella parte centrale della regione.
Le coltivazioni d’ulivo sono presenti sia su terreni collinari quanto pianeggianti.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
L’Ogliarola del Bradano copre in parte la pianura collinare compresa
fra i fiumi Bradano ed Agri.
La Coratina, coltivata anche in Basilicata con caratteristiche differenti, è
presente nel basso Melfese.
L’olio che ne deriva è verde dorato, dal gusto ricco e aromatico e retrogusto leggermente piccante, con un profumo fruttato e intenso di oliva.
La Farisana è coltivata nella Basilicata sud occidentale ed è presente
soprattutto nel senisese e in Val Sarmento, che rappresenta l’area più
interna della Basilicata, identificabile con la zona del Parco Nazionale
del Pollino.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Missanello
Bruschetta all’olio
Gli ingredienti pane
polvere di peperone macinato finissimo
aglio
olio di maiatica di frantoio
sale q.b.
Il procedimento Tagliare il pane in fette alte un dito e farlo abbrustolire sulla brace oppure su una piastra rovente. Strofinarle poi con aglio, e disporle su
un piatto da portata caldo. Spruzzarle di sale e polvere di peperone
macinato finissimo. Irrorare con olio di maiatica di frantoio. L’olio deve
cadere anche sul fondo del piatto per inzuppare bene il pane.
Servire caldissime.
Broccoli aglio e olio
Gli ingredienti 500 gr di broccoli
2 spicchi d’aglio
2 cucchiai d’olio extravergine di oliva
pepe
sale q.b.
Il procedimento Lavare i broccoli e staccare le cimette dal torsolo.
Cuocerle per 25 minuti a vapore, oppure lessarle per 8 minuti in abbondante acqua salata e scolarle facendo attenzione a non romperle.
In una capace padella soffriggere due spicchi d’aglio, spellati e leggermente schiacciati, in due cucchiai d’olio. Quando si saranno dorati, togliere la padella dal fuoco qualche istante per far passare un poco il calore.
Riportare la padella sul fuoco ed unire le cime dei broccoli. Farle soffriggere a fiamma vivace per qualche minuto, unire una manciata di pepe
e regolare di sale.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Patata Lucana
A
lzi la mano a chi non piace la patata.
Sicuramente ne vedremmo poche abbassate. Fritte, al forno, arrostite, bollite, a purè, a crocchette, al sugo, sotto la cenere; intere,
spaccate, a bastoncini, a foglie larghe, a falde strette; nelle zuppe di
pesce, nello spezzatino di manzo, come contorno o piatto unico, nelle
verdure, nelle insalate, comunque come si desiderano le patate attirano
l’attenzione di adulti e bambini, grandi e piccoli. Arrivata dall’America al sèguito di conquistatori spagnoli, fu tenuta come ornamento nei
giardini botanici fino al 1700. Per fortuna c’è sempre chi ha dei lampi
di genialità e guarda lontano. Così successe che il signor Parmentier
(Montdidier, 17 agosto 1737 – Parigi, 17 dicembre 1813) ottenne dal
re Luigi XVI un terreno dove impiantare una coltivazione sperimentale. Il
nostro Parmentier, conoscendo a fondo le pochezze dell’essere umano, du-
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
rante il giorno fece mettere delle sentinelle armate a guardia del campo
coltivato a patate, così che di notte il popolo, affamato, potesse trafugare i tuberi che pensava bene prezioso per i ricchi. Fu così che la patata,
dalle tavole dei ricchi aristocratici, si diffuse nelle mense quotidiane dei
ceti meno abbienti. Non avendo nessun bisogno di coltivazione intensiva, nè terreni particolari, la patata si diffuse velocemente e diventò un
valido aiuto nei periodi di carestia.
Un’antica ricetta racconta che le patate lucane si sbucciano e si tagliano
in piccoli pezzi, vengono lavate e messe in acqua fredda con qualche
foglia di alloro, quando il bollore sale si toglie la schiuma, si aggiungono i pomodorini e si aggiusta di sale; qualche altro minuto dopo si
aggiunge la pasta. A cottura ultimata si possono mangiare le patate ben
cotte assieme alla pasta.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Laurenzana
Patan alla runzanese
Gli ingredienti 500 gr di patate lunghe
4 uova
200 gr di formaggio grattugiato
300 gr di salsiccia affettata
olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Sbucciare e lavare le patate, quindi tagliarle a fette larghe.
Preparare un impasto con le uova, formaggio e salame affettato.
In una teglia oleata, formare uno strato di patate sul quale spalmare l’impasto e sovrapporne un altro. Infornare il tutto a 180° per circa 15/20
minuti. Quando le patate sono belle dorate si servono.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Acerenza
‘A turtiera a ‘u forn’
Gli ingredienti 1 kg di agnello
4 uova
100 gr di pecorino
300 gr di mollica di pane raffermo
1 cucchiaio abbondante di prezzemolo tritato
1 spicchio d’aglio
un pizzico di pepe
400 gr di patate sbucciate
50 cc di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Preparare uno sbattuto d’uovo con il prezzemolo tritato, il pecorino grattugiato,
l’aglio a fettine sottili, un pizzico di pepe e sale q.b.
Tagliare a fette alte la carne di agnello, salarla e immergerla nel preparato
d’uovo quindi nella mollica di pane grattugiata.
Sbucciare e lavare le patate, tagliarle a fette larghe alte un dito e disporle in
una teglia da forno ben oleata, quindi aggiustare sulle patate le fette di carne
d’agnello impanate e spargere a pioggia la rimanente mollica di pane.
Infornare a 180° per circa 30 minuti.
Era un piatto che si faceva nei pranzi matrimoniali.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
San Severino Lucano
Gli ingredienti
Minestra mpastata
1 kg di patate novelle
1 kg di fagiolini
2 cucchiai d’olio extravegine d’oliva
4 peperoni secchi di Senise
1 cucchiaio di strutto
1 spicchio d’aglio
100 gr di “frittoli” (ciccioli)
sale q.b.
La preparazione Pelare le patate e lavarle, mondare e togliere le estremità ed eventuali
filamenti ai fagiolini (vaiane).
In una grossa pentola d’acqua salata cuocere i fagioli e le patate;
a cottura ultimata scolare l’acqua e schiacciare il tutto con un mestolo
di legno. Mettere in una padella l’olio e friggere i peperoni secchi (cruschi). Scolarli e metterli in un piatto di portata, salarli.
Nell’olio dei peperoni aggiungere un cucchiaino di sugna (strutto) rosolare uno spicchio d’aglio, aggiungere i “frittoli” (ciccioli) dorare e
versare nella minestra. Servire caldo con i peperoni.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Paterno
Patate raganate
Gli ingredienti 10 patate
6 cipolle bianche
30 gr di pecorino grattugiato
500 gr di pomodori maturi
60 gr di mollica di pane
1 cucchiaio di origano
olio extravergine d’oliva
sale q.b
un pizzico di sale
Il procedimento Pelare e affettare le patate, i pomodori e le cipolle; disporre le patate a
strati in una pirofila unta d’olio alternandole alle cipolle e ai pomodori;
salare, pepare e irrorare con un filo d’olio ogni strato. Cospargere infine
la superficie con il pecorino, la mollica e spolverizzare con l’origano.
Cuocere in forno già caldo a 150° per circa 30 minuti.
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Sant’Angelo Le Fratte
Patan’ nzane
Gli ingredienti 8 piccole patate
4 peperoni rossi
1 spicchio d’aglio
1 bicchiere di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Bollire e sbucciare le patate, versarle intere in una zuppiera. In una
capiente padella versare l’olio extravergine d’oliva e l’aglio tagliato a
fettine. Mondare e tagliare a fette i peperoni, soffriggerli nell’olio; quando sono dorati versare sulle patate, aggiustare di sale.
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Il peperoncino
l
l piccante che eccita! Il peperoncino scoperto dagli Europei alla fine
del XV secolo nell’America centrale, era anche l’unica spezie presente
in Messico e Cile. Portata dagli Spagnoli, con la scoperta dell’America si diffuse velocemente in tutte le regioni meridionali. Il primo a parlare
di questa spezie “…La spezie che essi mangiano è abbondante e più
importante del pepe nero...” fu Cristofaro Colombo nei suoi diari del
1493. Chiamato chili in Messico, coltivato dagli Aztechi, attraverso la
colonizzazione, il peperoncino fu diffuso in tutta Europa dai portoghesi
e dagli spagnoli.
Nella biografia di Montezuma, ultimo regnante degli Aztechi, si racconta che mentre era prigioniero di Cortez, egli lasciava scorrere il
tempo giocando con le sue concubine e mangiando cibi solo a base
di peperoncino rosso. Ma ci vollero duecento anni per far apprezzare
questa gastronomia agli europei dal palato sensibile, mentre fu subito
accolto dagli africani, arabi e asiatici. Usato per la conservazione degli alimenti, come lo descrive la “Statistica Murattiana” del 1800, con
qualità disinfettanti ma soprattutto con un presunto potere afrodisiaco e
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di longevità, la coltivazione del peperoncino era un prodotto di largo
consumo nelle regioni dell’Italia meridionale.
Cangaricchio, diavulicchio, cerasella, chiuv’i crist’, pupacciell’, francisiedd’: questi alcuni nomignoli censiti per la più piccante delle spezie, il
peperoncino. Il pizzicore che eccita il mondo!
Il peperoncino facilmente coltivabile in ogni posto diventa quasi subito
la spezie dei poveri, di tutti quelli che non potevano permettersi le costosissime spezie orientali.
In pochi anni diventò una pianta presente in ogni coltivazione e in ogni
continente. Nicolò Monardes, autore di un trattato del Cinquecento,
così scrive: “il peperoncino si usa esattamente come le spezie aromatiche che si portano dalle Molucche, a differenza che quelle delle Molucche costano molti ducati, et quest’altre non costa altro che seminarle”.
Niente business quindi. Il destino vuole che il peperoncino sia popolare
e democratico e che in pochissimo tempo si diffonda in tutto il mondo,
soprattutto tra le popolazioni povere con regimi alimentari carenti di
vitamine e proteine.
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Calvello
U sciuscill’ piccante
Gli ingredienti 1 coratella di capretto
300 gr di capretto disossato
1 spicchio d’aglio
300 gr di pelati
50 gr di pecorino
4 uova
5 peperoncini
sale q.b.
Il procedimento Pulire e tagliare a pezzettini la coratella, quindi versarla in una pentola
d’acqua portandola a bollore togliendo la schiuma. Fare cuocere per
10 minuti, quindi scolare i pezzettini e lavarli sotto l’acqua fredda. In
una padella fare soffriggere l’aglio, 3 peperoncini, aggiungere la coratella, fare dorare e aggiungere la carne fatta a fettine, quindi versare
i pomodori, aggiustare di sale e fare cuocere per 20 minuti. A cottura
ultimata versare nella salsa le uova sbattute con il pecorino, fare rapprendere. Fare arrostire sulla brace i due peperoncini rimasti e tagliuzzali sullo “sciuscillo”.
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Sasso di Castalda
Ricchiettelle fort’
La pasta 250 gr di farina bianca
250 gr di farina di grano duro
1 bicchiere di acqua tiepida
sale q.b.
La preparazione Disporre sul piano di lavoro infarinato la farina bianca mischiata con
la semola e con un pizzico di sale, quindi lavorare con l’acqua tiepida
necessaria ad ottenere un impasto piuttosto sodo ed omogeneo. Dopo
10 minuti circa di lavoro suddividere la pasta in pezzetti. Distendere
in modo da formare dei lunghi cilindri da cui staccare tanti pezzettini
lunghi di 1 cm. Aiutandosi con la punta del coltello, trascinare ogni pezzetto sul piano infarinato in modo da dare la forma di una conchiglia.
Appoggiare poi ciascuna conchiglia sulla punta del pollice e rovesciare
all’indietro così da formare le orecchiette, che si disporranno su un canovaccio infarinato.
Il sugo 500 gr di carne di manzo tritata grossolanamente
1 cipolla
5 peperoncini piccanti
50 gr di pecorino grattugiato
500 gr di pomodori maturi
foglie di basilico abbondanti
1 cucchiaio abbondante di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Mondare la cipolla e affettarla sottilmente, quindi farla rosolare lentamente nell’olio. Quando la cipolla si è quasi liquefatta, aggiungere un
peperoncino tritato e la carne, far dorare e aggiustare di sale. Sbollentare i pomodori in acqua calda e privarli velocemente della pellicina e
dei semini, aggiungere alla carne con le foglie di basilico e far cuocere
a fuoco moderato aggiungendo, se necessario, qualche mestolo di acqua
calda o di brodo. Cuocere, infine, le orecchiette in abbondante acqua salata e condire con il sugo e il pecorino grattugiato. Portare in tavola gli altri
peperoncini tritati grossolanamente assieme alla carne cotta nel sugo.
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Podolica
L
a razza podolica appartiene alla razza bovina Bos Taurus.
Discendente dal Bos primigenius Podolicus, fu introdotto in Italia tra
il I e V secolo dopo Cristo. Probabilmente proviene dall’Ucraina o
da Creta, di sicuro è che grazie alla sua capacità di adattamento in
ambienti impervi e difficili e alla sua straordinaria capacità di utilizzare
risorse alimentari come macchie e pascoli di cespugli, si è diffusa immediatamente nel Sud Italia. È una vacca a triplice attitudine: latte, carne e
lavoro. Negli ultimi anni, con la meccanizzazione agricola non ha avuto più impiego nel campo lavorativo, per cui adesso è rimasta soltanto
come razza da carne e, in alcune zone e in alcuni periodi dell’anno,
per lo sfruttamento del latte di ottima qualità dovuta all’alto contenuto di
grasso, proteine e vitamine. Dal suo latte si produce un buon formaggio:
il caciocavallo. Ha trovato il suo habitat naturale vivendo allo stato semi
brado nei territori lucani, dove è stato utilizzato soprattutto come animale da lavoro e da latte. La podolica tradizionalmente ha dato latte in un
Sud dove da sempre si è consumata poca carne. È una razza che offre
non solo un latte particolarmente aromatico, ma anche carni sapide,
sane, ricche di sali minerali. Carni difficili per la massaia moderna perché non riconducibili ai canoni estetici comuni: il grasso è giallo perché
gli animali mangiano erbe ricche di carotene.
Dunque, l’abitudine a consumare la carne di podolica e a trattarla, non
è molto radicata. La carne di podolica ha pochi paragoni con quelle
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che normalmente si trovano sul mercato ma trova difficoltà a farsi un
mercato. Nel meridione la carne di vitello o mucca viene mangiata
appena macellata. Questo per la carne podolica è un vero “macello”
perché risulta dura, ostica.
È una carne che va frullata parecchi giorni, preparata per dare il massimo del sapore, una carne complicata nella preparazione anche se
estremamente semplice nella presentazione. Carne rossa, molto saporita
e di ottima consistenza, da animali che hanno una struttura muscolare
possente e poco grasso infiltrato, che garantisce un colesterolo basso e
un raggio importante di antiossidanti.
Questa carne, alla fine, si è dimostrata davvero importante: con una
giusta frollatura, è una carne versatile e dalla personalità decisa, che sa
resistere anche ai peggiori maltrattamenti.
Finora la conoscevamo per il latte, anzi per il caciocavallo, mitico!
Dà un latte eccezionale, concentrato e poco in quantità, ma ricco di
nutrienti e di sostanze preziose che splendide mucche raccolgono nel
sottobosco. Così nasce il prezioso caciocavallo podolico.
Ora, oltre al formaggio, si comincia a capire che anche la carne di
queste mucche è ottima.
Bisogna far conoscere questo prodotto e cercare di capire come conquistare una nicchia nel mercato dei gourmet, perché questa carne è una
materia importante e di fascia alta.
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Abriola
Ragù di podolica
Gli ingredienti 4 fettine di retrocoscia
200 gr di cappello di prete (o campanello di coscia)
200 gr di muscolo
200 gr di magatello
50 cc di olio extravergine di oliva
1 lt di salsa di pomodoro
½ cipolla
1 spicchio d’aglio
1 punta di cucchaio di strutto
1 ciuffo di prezzemolo
pepe nero
sale q.b.
Il procedimento
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Battere le braciole e condirle con pepe, sale, prezzemolo, strutto. Avvolgere su se stesse le braciole e legarle con filo di cotone incolore o
con uno stecchino.
Tagliare a tocchi non molto alti gli altri pezzi di carne.
In una capiente padella alta versare l’olio, aggiungere la cipolla mondata e tagliata a fettine, e fare rosolare ben bene la carne; aggiustare
di sale e versare la salsa di pomodoro e un bicchiere abbondante di
acqua. Fare cuocere a fuoco lento per almeno 90 minuti.
Condire qualsiasi formato di pasta con il sugo, arricchendola di caciocavallo podolico grattugiato.
Cancellara
Gran ragù
Gli ingredienti 200 gr di polpa di maiale
200 gr di carne di vitellone podolico
1 bottiglia di salsa concentrata di pomodoro
1 bicchiere di vino rosso
2 salsicce fresche di Cancellara.
1 spicchio d’aglio
1 ciuffo di prezzemolo tritato
1 pizzico di pepe
20 gr di lardo
30 cc di olio extravergine d’oliva,
pepe nero
sale q.b.
Il procedimento
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Tritare il lardo, finemente il prezzemolo e l’aglio, condire con il pepe e
amalgamare con un cucchiaio.
In una capiente padella, riscaldare l’olio e versare il composto facendolo soffriggere a fuoco dolce lentamente per circa 5 minuti, quindi
aggiungere i pezzi di carne a rosolare, il pepe e il sale alzando un
poco il fuoco. Quando la carne è dorata, aggiungere e le salsicce intere leggermente bucherellate, senza togliere dal budello, fare rosolare
per 5 minuti e versare un bicchiere di vino rosso, sfumare per 15 minuti
e aggiungere la salsa di pomodoro.
Abbassare il fuoco e cuocere, aggiungendo talvolta, per tenere il fondo
di cottura morbido e abbondante, un poco di acqua tiepida per almeno
2 ore.
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Riti Arborei La Pita
O
ggetto di studi demoantropologici questi riti arborei si sono conservati nei secoli.
Di probabile origine pagana (si tratterebbe in effetti dell’unione
propiziatoria di due alberi) questi riti si presentano inglobati nei calendari delle feste cristiane primaverili, soprattutto in quella di S. Antonio
da Padova. Il rito è uno dei tanti che si svolgono nella stagione primaverile in vari paesi della Provincia di Potenza a Terranova di Pollino,
Viggianello, Rotonda, Oliveto Lucano, Castelmezzano, Pietrapertosa e
Castelsaraceno.
Questi sono i momenti culminanti di un rituale che dura parecchi giorni
e comprende la scelta accurata dell’albero, il taglio, il trasporto effettuato da coppie di buoi, il percorso nel paese in modo che tutti possano
vederne la maestosità, quindi l’innalzamento nella piazza, la scalata, la
messa all’asta e l’abbattimento.
Il coinvolgimento totale della popolazione e l’enorme impegno organizzativo fa sì che i riti arborei diventino vere e proprie feste per i centri in
cui sono praticati e che la loro preparazione venga seguita periodicamente. Nei riti arborei, la presenza del cibo e del vino assume un ruolo
di comunione e di convivio. Quando si va in montagna a scegliere
l’albero, di solito la settimana prima di issarlo, è di fondamentale importanza portare soppressate, salsicce, formaggi, frittate, pane di casa
e tanto vino come se si andasse a fare un pic–nic; ognuno porta da
mangiare e tutto si mescola bevendo allo stesso bicchiere e mangiando
nello stesso piatto, di solito composto da interi pani scavati e usati come
vassoi ripieni di funghi fritti o peperoni, uova e salsiccia, di verdure o
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di pezzi di carne, di salumi e formaggi, le “pitte”, come la “gnutticata”,
assaggiando di qua e di là in un interminabile miscuglio di sapori e di
profumi che si fondono con l’odore delle ginestre e dei prati in fiore.
Le zampogne, surdulline, tamburelli, fisarmoniche, organetti – ma anche
gruppi bandistici – accompagnano costantemente tutte le fasi del rito e
si mescolano ai suoni dei campanacci e ai muggiti dei buoi coinvolti
durante il trasporto degli alberi.
I riti arborei rappresentano un unicum nel ventaglio delle tradizioni del
sud Italia. L’albero issato simboleggia la parte maschile e la buca dove
viene collocato quella femminile, a simboleggiare la fecondità della
terra.
Durante la discesa verso il paese vengono distribuiti dolci e prodotti tipici come i “cannariculi”, le crespelle, le zeppole, i biscotti “scaudatielli,
le “strazzate”, “pitte nchiuse”, innaffiati con bicchieri di vino e offerti su
vassoi alla gente che si affolla, come un grande rito conviviale.
Il tutto avviene con urla, canti, suoni di strumenti a fiato e percussioni,
ma senza mortaretti. Sembra di essere nel bel mezzo di un rito di esorcizazione. Dopo aver portato l’albero d’abete (pita) di solito alto più
di 30 mt in giro per il paese, viene innalzato nella piazza e scalato a
mani nude dai giovani, raccogliendo il premio, di solito composto da un
capretto per il primo, un gallo per il secondo e una pezza di formaggio
per il terzo che arriva in cima, anche per questo definito anche albero
della cuccagna. I riti arborei rappresentano un notevole patrimonio culturale della nostra regione che bisogna valorizzare e tutelare senza essere
tentati di trasformarli in fenomeno da baraccone turistico di massa.
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Viggianello
Pitta gnuttucata pu’zazizz e patan’
Gli ingredienti 500 gr di farina 00
2 patate
200 gr di salsiccia fresca
100 gr di peperoni secchi
1 panetto di pasta lievitata (crisciuta)
1 bicchiere di acqua tiepida
olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento
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Fare un impasto con il panetto di pane cresciuto, la farina, il bicchiere di
acqua tiepida e il sale. Lavorare bene fino ad ottenere un impasto liscio
ed omogeneo. Fare riposare per un’ora.
Nel frattempo pulire i peperoni secchi privandoli del picciolo e dei semi
e metterli in ammollo in acqua calda per circa 15 minuti.
Pelare le patate e tagliare a tocchi, quindi versarli in una padella di olio
e soffriggerla; aggiungere la salsiccia sbriciolata e alla fine i peperoni
secchi in ammollo e tagliuzzati, aggiustare di sale.
Stendere la pasta lievitata e versare sopra il composto di patate, salsiccia e peperoni secchi, quindi arrotolare la pasta su se stessa e schiacciarla nuovamente. Con il palmo della mano unto di olio lisciate la
superficie della pasta, prendere una teglia da forno, ungerla bene con
dello strutto e versarci la “gnuttucata” (pizza). Infornate a 150° per circa
20 minuti.
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Il baccalà Il pesce che non è pesce
Q
ualcuno si chiederà cosa c’entra il baccalà con la terra lucana?
Domanda più che legittima ed a giusta ragione. Il baccalà è
un pesce d’acqua salata, non viene pescato nei nostri mari, ma il suo
metodo di lunga conservazione era una forma di sostegno notevole
nella cucina invernale dell’entroterra lucano. La sua conservazione sotto
sale e/o affumicata rende il baccalà una sicura scorta per l’inverno;
non dobbiamo poi dimenticare le varie dominazioni spagnole che ci
hanno insegnato i metodi di conservazione delle “scapece” o della
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“cantarata”, così come ci hanno insegnato a cucinare il baccalà, che è
così entrato a pieno titolo nella cucina lucana invernale.
In Basilicata, terra ricca di sapienti “cucinieri” e dove ogni prodotto
viene valorizzato in varie ricette, non poteva mancare il pesce che non
viene considerato pesce.
Dal mare del nord alla tavola del sud. Questo è il viaggio che il baccalà e lo stoccafisso devono intraprendere prima di arrivare nelle nostre
mense.
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Savoia di Lucania
Baccalà arraganato con noci,
uva passa, olive al forno
Gli ingredienti 1 kg di baccalà bagnato
20 gherigli di noci
30 gr di uva sulatanina
50 gr di mollica di pane raffermo
30 gr di pecorino grattuggiato
15 olive nere
1 cucchiaio di salsa di pomodoro
1 cucchiaio di origano
1 bicchiere d’acqua
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
Il procedimento
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Scolare il baccalà, spinarlo e farlo a pezzi. Mettere il baccala in una
teglia da forno facendo attenzione a che la pellicina vada sul fondo.
Versare a pioggia sul baccalà il pecorino, il pane grattuggiato, l’uva
sultanina, i gherigli di noci tritati, le olive nere, l’origano, il pomodoro,
l’olio e il bicchiere d’acqua. Mettere in forno caldo per circa 20 minuti,
aggiungere dell’altra acqua se necessario. Servire con il fondo di cottura.
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Guardia Perticara
Baccalà e lampascioni
Gli ingredienti 1 kg di baccalà ammollato
300 gr di lampascioni (cipolline selvatiche-muscari)
500 gr di patate
aglio
prezzemolo
100 gr di formaggio grattugiato
olio extravergine d’oliva
pepe
sale q.b.
Il procedimento Spinare il baccalà e tagliarelo a fette larghe. Pulire e affettare le patate
alte un dito.
Pulire dalla pellicina collosa i lampascioni, lavarli bene e lessarli in
acqua leggermente salata.
Schiacciare i lampascioni con la forchetta e unire l’aglio, il prezzemolo,
il formaggio grattugiato, sale e olio d’oliva.
In una teglia da forno alternare a strati le patate, il composto di lampascioni e le fette di baccalà, aggiungere un bicchiere d’acqua e un filo
d’olio e coprire con una spolverata di formaggio grattugiato.
Portare a cottura nel forno ben caldo.
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La cicerchia
Q
ualcuno ha detto che “la Storia è fiume di nomi della conoscenza”, i grandi padri, nostri antenati, scrivevano opere di agricoltura seminando cultura, dando indicazioni su come scegliere e
rendere produttivo un campo, cosa seminare nel campo, cosa e come
raccogliere, consapevoli che le proprie radici culturali provenivano dalla terra e ritornavano alla terra.
Davano i nomi alle persone e alle città prendendoli dai doni della terra
che consideravano i più preziosi.
Così come derivò da Cicer o Cicercula, ceci o cicerchia, il nobile cognome di Marco Tullio Cicerone. Certamente era stato un onore per la
gens Tullia assumere il nome di una pianta così importante prodotta in
grande quantità nelle proprie terre!
Le cicerchie rappresentarono l’alimentazione base fino al XVII secolo,
l’utilizzo è chiaramente documentato in ricette seicentesche di zuppe e
minestre, fino a quando, con la diffusione del mais, dei fagioli e delle
patate provenienti dal nuovo mondo, fu destituita dal ruolo di piatto di
tutti i giorni. La cicerchia è un legume ormai dimenticato.
Pianta che ha nutrito intere popolazioni, ha costituito un tributo feudale
e le cui proprietà nutritive sono superiori ad altri legumi, ricchi di vitamine, proteine e sostanze in grado di combattere le malattie dell’uomo,
soppiantata dall’arrivo del fagiolo, come se fosse avvenuto un antico
passaggio dalle tradizioni pagane a quelle religiose cristiane attraverso
il cibo.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Sono praticamente pronte per l’inverno e fino ai primi anni sessanta
sono state per molte famiglie una delle risorse fondamentali durante i
lunghi e freddi mesi invernali. Con l’abbandono delle campagne anche
la cicerchia è andata nel dimenticatoio, ricordo di un periodo di fame
e di stenti. In particolare, le cicerchie erano presenti in ogni orto familiare ed erano componenti di nutrienti e saporiti minestroni. Ma proprio
in quel periodo si erano affinate ed erano arrivate al culmine alcune
tradizioni alimentari.
Avere legumi tra cui la cicerchia, era già una garanzia per l’inverno che
presto sarebbe arrivato e ogni donna gestiva con oculatezza e misura
le risorse della casa.
Come cuocere la cicerchia
Usare acqua senza sale. Si consiglia la proporzione di 1 litro d’acqua
per 100 grammi di cicerchia. Mettere la cicerchia nella pentola con
l’acqua fredda. Portare a ebollizione a fuoco moderato.
Quando l’acqua bolle, continuare la cottura per 40 minuti, coprendo a
metà la pentola con un coperchio.
A fine cottura lasciare la cicerchia nell’acqua.
Scolare all’ultimo momento, prima della preparazione finale o del servizio in tavola. In tal modo si evita l’indurimento causato da raffreddamento.
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Calvera
Cicerchie e salsiccia
Gli ingredienti 300 gr di cicerchia messa in ammollo la sera precedente
1 costola di sedano
½ cipolla
1 carota
1 salsiccia di maiale
1 peperoncino
150 gr di passato di pomodoro
1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento
Cuocere in acqua abbondante la cicerchia. Aggiungere il sale alla fine.
Mondare le verdure e togliere dal budello la salsiccia.
In un capiente tegame preparare un fondo di sedano, carota e cipolla;
far soffriggere quindi aggiungere la salsiccia, il peperoncino e il passato di pomodoro.
Far cuocere per qualche minuto quindi aggiungere la cicerchia lessata
con un po’ d’acqua di cottura e lasciar insaporire per cinque minuti.
Aggiustare di sale.
Il piatto, semplice ma gustoso, viene servito caldo su crostoni di pane
abbrustoliti.
La cicerchia viene usata in cucina per accompagnare salsicce, scarti di carne di maiale o cotiche.
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Campomaggiore
Zuppa di cicerchia
Gli ingredienti 100 gr di cicerchia
2 peperoni “cruschi” (croccanti)
4 rametti di rosmarino
1 patata sbucciata tagliata a cubetti piccoli
1 spicchio d’aglio
4 fette di pane casereccio arrostito
olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Mettere a bagno la cicerchia la sera prima, scolarla e risciacquarla
in acqua corrente. Lessare la cicerchia, togliere con una schiumarola
le piccole bucce che vengono a galla, aggiungere le patate, l’aglio
sbucciato e i rametti di rosmarino a tre quarti di cottura, sale alla fine
della cottura. Una volta cotte le cicerchie mettere una fetta di pane in
ogni piatto di portata e versare sopra le cicerchie e brodo fino a coprire il pane. Frantumare con le mani i peperoni cruschi e aggiungerli a
pioggia nella zuppa, quindi aggiustare di sale e un filo dell’olio extravergine.
per 4 persone
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Castelgrande
Ricchie di lepre con cicerchia
La pasta 200 gr di farina 00
200 gr di farina di grano duro
acqua
sale q.b.
La preparazione Su una spianatoia setacciare le farine.
Fare una fontana al centro e aggiungere l’acqua ed un pizzico di sale,
fino ad ottenere un impasto liscio e piuttosto sodo.
Avvolgere nella pellicola e lasciarlo riposare per 30 minuti.
Quindi tirare con il mattarello una sfoglia spessa e tagliarla a piccoli
rombi di circa 3/4 cm per lato: ecco le “ricchie di lepre”.
Fate asciugare la pasta su un canovaccio.
Il sugo 1 cipolla
1 spicchio d’aglio
1 ciuffo di basilico
1 ciuffo di prezzemolo
100 gr di pancetta
1 peperoncino
300 gr di pomodorini di collina
Il procedimento Tritare finemente la cipolla, uno spicchio di aglio, il basilico ed il prezzemolo e fare a dadini la pancetta, quindi mettere il tutto a soffriggere
in un tegame con l’olio. Aggiungere un pezzetto di peperoncino, unire i
pomodori tagliati a pezzi e fare cuocere per 15 minuti. Aspettare che il
sugo sia pronto, quindi unirlo alla minestra di cicerchie: attenzione a verificare che le cicerchie siano quasi alla fine della cottura. Versare anche
le “ricchie di lepre” nella minestra e farle cuocere al dente. Togliere la
minestra dal fuoco, lasciarla riposare per 10 minuti e portare in tavola.
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Le cerase nel parco del Pollino
N
on è semplice fare agricoltura nei paesi dell’entroterra, fuori
dalle direttrici di sviluppo e soprattutto di sostentamento economico.
I terreni impervi, le alte quote scoraggerebbero, qualunque piccolo imprenditore agricolo a coltivare prodotti di cosi breve durata come appunto le ciliegie, giusto 30 gg di raccolto e vendita.
Ma la Basilicata è bella anche per questo, riesce a dar vita a sognatori
ed incoscienti anche nelle più sperdute zone di montagna.
Le ciliegie che coltivano nel Parco Nazionale del Pollino sono di qualità,
innaffiate con acqua del Pollino e cresciute su sali minerali che solo il
terreno di un Parco naturale può offrire. In attesa di avere il marchio
Parco per la commercializzazione.
Proveniente dal Mar Nero e dal Mar Caspio il ceraso ere ampliamente
diffuso nella Magna Grecia, ne troviamo infatti descrizione su alcuni
testi di Teofrasto (IV sec. a.C.).
Il proconsole romano Lucullo, prima di abbandonare il porto di Keracos
diede ordine ai suoi legionari di portare a Roma il frutto che subito diventò un prodotto di largo consumo, come risulta dagli scritti di Plinio il
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vecchio, Varrone ed Apicio. Da allora i popoli latini le preferirono subito
alle più aspre amarene e trascurarono quasi del tutto queste ultime.
Ma è nel 1500 che la ciliegia conosce il suo massimo splendore in
Europa. Ricette su trattati di cucina rinascimentali italiani e francesi ci
riportano sapori e profumi che da piccoli abbiamo saziato.
Se tornate indietro con la memoria di qualche ventennio, e i più metropolitani di qualche trentennio, quanti di voi non hanno scorazzato per le
campagne a rubare ciliegie?
Quanti di voi non si sono messe le ciliegie a cavallo sulle orecchie, scimmiottando le amichette che avevano gli orecchini? La ciliegia oltre ad
essere mangiata fresca, è molto utilizzata anche in cucina come base
per marmellate, come decorazione di torte, ma anche per accompagnare cibi salati. Ad esempio, le marasche attenuano i sapori selvatici della
cacciagione (lepre, arrosti di cinghiale, capriolo, fagiano...) mentre le
foglie delle ciliegie sono utilizzate per produrre un vino aromatizzato
che si accompagna benissimo con i dolci al biscotto.
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Maiale alle ciliegie
Gli ingredienti 4 fette di maiale non alte
20 ciliegie
20 cl di vino ratafià (precedentemente preparato)
4 foglie di salvia
20 gr di olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Tritare 10 ciliegie e snocciolando le altre, infarinare le fette di maiale.
In una capiente padella versare l’olio e aggiungere le fette di maiale,
rigirarle e farle cuocere per un minuto, quindi rigirarle di nuovo le fette
e aggiungere le ciliegie tritate. Quando volterete di nuovo le fette di
maiale aggiungere le altre ciliege denocciolate e il ratafìa, aggiustare
di sale e pepe. Fare evaporare il vino e servire.
Ratafìa di ciliegie
Gli ingredienti 5 lt di vino rosso
2 kg di ciliegie
1kg di zucchero
1lt di alcol a 90°
Il procedimento Si togliere i noccioli dalle ciliegie e pestarle. Aggiungerle al vino con
la metà delle ciliegie denocciolate e far fermentare per 40 gg al sole.
Quindi filtrare con una garza sottile. Far sciogliere 1kg di zucchero in
1lt di alcol a 90°. Mescolare il tutto e imbottigliare.
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
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Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Le ciliegie sotto spirito
L
a preparazione della ricetta delle ciliegie sotto spirito è molto semplice e veloce.
Sterilizzare accuratamente un barattolo di vetro a chiusura ermetica
dalle giuste dimensioni. Comprare ciliegie sode e togliere il picciolo di
ognuna, quindi pulirle accuratamente fino a farle divenire lucide. Porre
i frutti nel barattolo di vetro e riempirlo di alcol puro a 90°. Chiudere
ermeticamente e riporre in un luogo fresco e buio per un paio di mesi.
Sarà possibile gustare le ciliegie sotto spirito da sole o accompagnate
da gelato e dolci vari.
Una possibile variazione della ricetta prevede il cambio delle ciliegie
con visciole o amarene.
Suggerimenti:
Quando acquistate le ciliegie controllate che non ci siano tracce di
muffa, ammaccature o parti annerite.
La buccia non deve avere macchie e screpolature e il colore deve risultare brillante e uniforme. Ricordate che le ciliege migliori sono quelle
con la polpa soda e che in frigo conservano più a lungo il sapore e la
carica di vitamine. In ogni caso è meglio mangiarle entro pochi giorni,
sciacquandole prima sotto un getto d’acqua corrente.
100 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Il fico
S
e si dovesse dare per davvero retta ai modi di dire, il fico sarebbe
una di quelle cose che non valgono proprio niente: “Non me ne
importa un fico secco!” E invece, se ti è capitato di assaggiarne
qualcuno, sai benissimo che i fichi valgono, eccome!
L’introduzione del fico in Basilicata, originaria dell’Arabia meridionale,
sembra essere precedente al VI secolo a.C. comunque da attribuire ai
coloni greci che da queste parti erano di casa.
Fin dall’antichità il fico fu collegato alla fondazione di Roma e considerato un albero fausto; era venerato soprattutto dai pastori, che vi si
recavano con offerte di latte.
Gradualmente questo frutto coltivato da sempre si è trasformato da
“companatico dei poveri”, come un tempo veniva definito, ad alimento
pregiato da consumare soprattutto nel periodo natalizio che da secoli
caratterizza la tipica cucina lucana.
I fichi secchi vengono essiccati naturalmente al sole, artificialmente in
essiccatoi o infornati. Più che negli impasti dei dolci, i fichi secchi sono
usati come dolci essi stessi, sia infornati con dentro mandorle o semi di
finocchio, sia imbottiti con noci e scorze d’arancia candite, sia spolverizzati di cacao, sia ripieni di noci e scorza d’arancia e ricoperti di una
glassa di cioccolato.
101 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Carbone
Soppressata di fichi
Gli ingredienti 500 gr di fichi freschi
80 gr di gherigli di noci
50 gr di buccia di arancia
50 gr di mandorle
un pizzico di cannella in polvere
Il procedimento La soppressata di fichi prende il nome dal salume soppressata e oltre
al frutto è farcito con mandorle, noci, finocchietto e scorza d’arancia. I
fichi dopo la maturazione sono fatti “asciugare” al sole, sfruttando l’aria
tiepida autunnale delle zone collinari, quindi riempiti con impasti di
frutta secca e spezie selezionate, vengono infornati e avvolti nelle foglie
delle stesse piante di fico, legate con un filo di cotone e appesi alle travi
come le soppressate appunto, per una perfetta conservazione.
Al taglio il prodotto mostra un colore bruno-dorato con inserti chiari di
frutta secca disseminati nella pasta. La consistenza è compatta e soda
ma oppone scarsa resistenza alla masticazione. Il sapore è gradevole e
dolce, si percepisce nettamente il gusto del fico essiccato, con un forte
sentore di frutta a guscio. Avvolto da foglie di fico, il frutto trasformato
dalla saggezza dei contadini in “dolce frutto” che si affetta come i classici salami casalinghi dopo un adeguata stagionatura.
E’ un esempio di come conservare i fichi insieme ad altri frutti secchi, la
soppressata di fico è perciò un prodotto da difendere e valorizzare.
102 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
103 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Teana
A ficarella fichi chi nuci
Gli ingredienti fichi estivi
gherigli di noci
buccia di limone fresca
un bicchiere di rosolio o strega
Il procedimento Quando i fichi sull’albero iniziano a “ammusculare” (maturare) si raccolgono e si mettono su una “spasa” di vimini ad asciugare. La notte la
“spasa” viene rientrata per evitare che la notte inumidisca i fichi.
Quando hanno assunto un colore ambrato si tagliano a metà e si aprono a portafoglio, vi si adagia dentro qualche gheriglio di noci e di
buccia di limone. Si aggiustano in una teglia richiudendoli su se stessi
e si passano al forno già caldo a 120° per circa 3 minuti, quindi si rigirano e si fanno cuocere per altri 3 minuti. Ancora caldi si schiacciano
con il palmo della mano e si mettono nel vaso, si aggiunge il cucchiaio
di liquore e si tappa velocemente, quindi i barattoli si coprono con una
coperta e si aspetta che si raffreddano.
Vengono riposti nella credenza e si aspetta il natale, quando la nonnina
che li ha preparati ti invita a casa sua e ti dice: “A vuoi a ficarella?
Pigliatilla na ficarella”.
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105 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Officina botanica
C
’era una volta, tanti e tanti anni fa, sicuramente più di qualche
millennio, un nostro antenato che scopre di potersi nutrire anche
con le piante. Circondato da profumi e da odori che si riproducono da soli e si rinnovano nel tempo, l’uomo conosce una fonte
inesauribile di cibo che diventa archivio della memoria, da cui attingere
per vivere di più e meglio. Memoria che diventa sempre più labile e in
dissolvenza perché la confezione ci informa dall’etichetta, non dal profumo o dall’odore, le spezie che ci servono e che andremo ad usare.
La Basilicata con il suo paesaggio intatto e poco antropizzato può ancora ritenersi l’officina botanica del Mezzogiorno se non dell’Italia intera.
In questi primi caldi, andando per campi e boschi, si incontrano persone che raccolgono l’origano, il timo, il ginepro o il finocchietto selvatico,
la borragine, la vitalba, la menta calaminda o la cicoriella, la salvia,
la mortella, la rosa canina, le corniole e tante altre specie di erbe e
spezie. La spezie oltre a rendere la cucina ricca di sapori, la rende
anche salutista e saporita, si può cucinare con meno grassi, i cibi si
insaporiscono facendoli cuocere nel proprio liquido, e anche nei dolci
“speziare” significa usare meno zuccheri.
Il loro uso per condire gli alimenti è fondamentale, in cucina si può tranquillamente usare poco sale, se non completamente eliminarlo, fonte di
ritenzione idrica che produce anche cellulite e aumento della pressione
arteriosa. Chi ama la cucina è custode di memoria olfattiva difficile da
cancellare. I piatti, le pietanze, il cui successo è legato ad un sapore,
ad un ricordo, riporta indietro nel tempo e raccoglie gli umori, l’attimo
che il tempo ha fermato per regalare l‘emozione. Basta raccogliere il
profumo, l’aroma, per riuscire a fissare l’essenza della spezie, dell’erba
aromatica, prìncipe del gusto in tutte le ricette. Naturalmente vi deve
essere un uso sapiente delle erbe, che si acquisisce con uso sapiente del
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palato. Le erbe si esaltano nella loro cottura, che reggono senza disfarsi
come può essere il rosmarino, l’origano, la salvia, il timo, il finocchietto
selvatico, la maggiorana, l’alloro, che compongono il mazzetto aromatico per la preparazione di salse robuste, che ben si sposano con carni
decise come gli ovini adulti, manzo o con il pesce come l’anguilla, le
sarde, lo sgombro. Le erbe che si sciolgono nella cottura, si strapazzano
come il basilico, il prezzemolo, la menta, il cerfoglio, vanno usati a crudo per sentirne appieno la freschezza e l’intensità del profumo.
Ormai alcune spezie vengono accoppiate di rito, sono diventate dei
classici, come abbinare il basilico al pomodoro, il rosmarino all’arrosto,
le sarde al finocchietto, l’alloro al fegato, la salvia al pollo, al coniglio
mentre la menta con le carni bianche, l’origano, con il pomodoro crudo,
con l’agnello, il timo nelle insalate, nei formaggi, nel maiale, diventando
pietanze di culto al primo ”annuso”. Il palato oramai si è così raffinato
che distingue subito le spezie buone, selvagge da quelle che non hanno odore e sapore. Essiccate o surgelate vanno sempre bene, e fanno
sempre bene, basta avere qualche accortezza. Appena raccolte vanno
lasciate essiccare all’aria aperta, al riparo dal sole e legati a mazzetto.
Una volta essiccate vanno conservate in vasetti di vetro chiusi ermeticamente. Surgelate, dopo averle lavate, scolate e lasciate asciugare
vanno tritate e sistemate in contenitori di plastica con l’aggiunta di poco
brodo o acqua. L’importante è aggiungerli al cibo in cottura senza scongelare. Se nella bottiglia di aceto si aggiunge un rametto di lavanda o
di rosmarino o qualche altra spezie a piacere si può condire l’insalata o
le carni dando così un piacevole sapore di erba .
La stessa cosa si può fare con l’olio così da usarne di meno perché già
molto profumato.
D’altronde... quale migliore dentifricio della salvia?
107 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Noepoli
Pulìata
Gli ingredienti 1 lt di acqua
1 mazzo di pulìo (menta calaminda)
3 peperoncini piccanti
2 spicchi d’aglio
1 uovo
1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva
4 fette di pane casereccio
sale q.b.
Il procedimento Mettere a bollire l’acqua, versare il mazzetto delle erbe pulìo, l’aglio e
il peperoncino, far bollire riducendo di metà l’acqua, aggiungere l’uovo
e farlo incamiciare, quindi l’olio e il sale.
In una zuppiera versare il pane e aggiungere il brodo di erbe.
Tenere chiusa la zuppiera con un coperchio per alcuni minuti.
Mentre si mangia, cercare di raccogliere con il naso i vapori della zuppa. Oltre che essere un alimento sano è anche un ottimo corroborante
con funzioni espettoranti.
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109 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Tito
Strascinati ca’ menta
La pasta 400 gr di farina
1 uovo
1 bicchiere d’acqua
sale q.b.
La preparazione Su una spianatoia versare la farina, fare una fontana al centro aggiungendo l’uovo, l’acqua e il sale. Impastare fino ad ottenere un impasto
morbido ed elastico.
Fare riposare sotto un tovagliolo di lino per circa 30 minuti e dividere
l’impasto in piccoli panetti. Quindi fare dei cilindretti lunghi 6/8 cm e
alti un dito, incavate il cilindretto con 3 dita larghe ad ottenere un maccherone aperto e schiacciato: gli strascinati.
Cuocere in abbondante acqua salata.
Il sugo 50 gr di ottimo lardo
2 peperoni “cruschi”
1 ciuffo abbondante di menta fresca
1 cucchiaino di radice di rafano.
Il procedimento Preparare un battuto con il lardo,e scioglierlo in una padella alta.
Appena prende colore aggiungere i peperoni secchi spezzettati e tritati
grossolanamente, cospargere di menta tritata finissima e allungare con
qualche cucchiaio di acqua di cottura.
Togliere la pasta al dente e versarla nella padella con il soffritto e mescolare. Su ogni piatto di portata grattugiare della radice di rafano.
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111 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Pistiddi
È
il nome dialettale della castagna, che per moltissimo tempo ha
svolto un ruolo molto importante nell’alimentazione delle aree interne della provincia di Potenza.
Era la risorsa alimentare dei paesi di montagna e spesso suppliva alla
mancanza di pane e carne, fino all’arrivo della patata.
Nel Lagonegrese è chiamata “pistidd” e viene cucinata quasi sempre
senza la buccia. I suoi boschi hanno sfornato tonnellate di castagne
adatte a fare mirabilìe gastronomiche.
Negli anni a venire diventarono regali di augurio, di felicità e abbondanza. Ma qual è la differenza tra castagne e marroni?
Le castagne sono il frutto del castagno selvaggio: ogni riccio ne contiene tre, secondo un vecchio detto, le tre castagne del riccio erano
destinate una al padrone, una al contadino e una ai poveri.
Il marrone proviene da alberi coltivati e sempre migliorati con successivi
innesti, ogni riccio contiene normalmente un solo frutto. All’interno del
suo riccio questo frutto è protetto da ogni inquinamento e mantiene le
caratteristiche che per migliaia di anni lo hanno reso popolarissimo.
La castagna è un frutto molto nutriente, anche se molto digeribile: per
ogni 100 gr di frutto sbucciato fornisce 250 calorie.
Per chi vuol conservare più a lungo un senso di sazietà si possono facilmente sostituire con legumi e castagne una porzione di pasta o di pane
o addirittura gli zuccheri semplici (frutta, miele, marmellata, saccarosio).
Attenzione però a non sommare le castagne al pane e alla pasta se non
si vuole assumere una quantità di calorie molto alta.
Alla castagna, infine, può essere ancora attribuito un aggettivo raro: frutto naturale. Il suo riccio infatti la “protegge” da trattamenti chimici ormai
così diffusi, quindi la sua produzione agricola è biologica.
112 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Come preparare le castagne:
Bollite nella “pignata”:
Lavare le castagne e cuocerle in una “pignata” di creta con abbondante
acqua fredda salata e con qualche foglia di alloro e un goccio di olio
per circa 1 ora.
Bollite:
Sbucciare le castagne (solo la scorza esterna) e lessarle in acqua bollente con sale e semi di finocchio.
Arrostite:
Per arrostire è indispensabile la padella di ferro con il fondo forato.
Dopo aver strofinato con un canovaccio le castagne, inciderle con un
coltellino nella parte tonda e disporle nel tegame in uno strato solo.
Le castagne si possono abbrustolire anche in forno, caldo e ad alta temperatura, dopo averle incise e poste in una pirofila; rigirarle ogni tanto.
Secche:
Per essiccarle si può tentare di ricreare nel forno domestico, preferibilmente elettrico, il calore blando e costante che, negli antichi essiccatoi,
faceva perdere l’umidità alle castagne. I frutti devono essere tutti della
stessa grandezza, incisi e allineati sulla grata del forno caldo, mantenuto
per ore a bassa temperatura (70-90 gradi). Se vengono scosse quando
“suonano” internamente, è il momento della sbucciatura: per facilitarla
si possono mettere in sacchetti di carta o di tela, sbatterli e fregarli tra di
loro. Le castagne essiccate si utilizzano dopo averle lasciate in ammollo
in acqua tiepida per una notte.
113 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Castelsaraceno
Munnulata
Gli ingredienti 300 gr di castagne
150 gr di fagioli rossi
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaio di polvere di peperone di Senise
sale q.b.
Il procedimento Sbucciare le castagne dalla corteccia esterna, metterle in acqua fredda
per un po’ e togliere le pellicine interne.
Bollire le castagne in pignata, recipiente di coccio, con acqua e un
pizzico di sale, far cuocere evitando una cottura prolungata, non far
ammorbidire troppo le castagne.
Cuocere a parte i fagioli preferibilmente rossi e non bianchi, in acqua
con un pizzico di sale nella pignata.
A cottura ultimata mischiare fagioli e castagne.
In una padella soffriggere olio aglio, e polvere di peperone (puparul
pisat: u cift), versare nel composto di castagne e fagioli mischiare tutto
e servire.
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Spinoso
Castagnaccio
Gli ingredienti 500 gr di farina di castagne
750 gr d’acqua
150 gr di olio extravergine di oliva
80 gr di uvetta sultanina
60 gr di pinoli
1 cucchiaio di semi di finocchio
un pizzico di sale
Il procedimento
Mettere la farina setacciata in una terrina e versarvi l’acqua ed un pizzico di sale mescolando con cura per evitare che si formino grumi.
Ungere di olio una teglia, versarvi l’impasto livellandolo all’altezza di
circa un centimetro e cospargerlo con l’uvetta, già ammollata in un po’
d’acqua tiepida e asciugata, quindi i pinoli e i semi di finocchio. Irrorare con un filo d’olio e infornare a 180° per 15 minuti.
per 4 persone
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Verdure
P
rofumi di verdure bollite si mischiano agli odori di legna bruciata,
sale il filo di fumo dal camino di casa e fila nel cielo grigio, sentinella e testimone della presenza dell’uomo nella montagna lucana.
I freddi paesini d’inverno offrono al naso, dell’avventore cittadino, profumi antichi, scomparsi.
Celofannati gli odori dalla grossa distribuzione, nei supermercati il cliente consumatore si aggira senza sorriso, spento e come un meccano
riempie di cibarie il carrello senza sapori nè odori, tristemente.
Mentre nei paesini si sente il vociare dell’ambulante, il chiacchiericcio
dei vicini di casa.
I menù che si scambiano le massaie spingono l’epiglottide dell’uditore
su e giù, come se ingoiasse le parole condite di verdure e salse.
Molecole di parole intrise di sapori aleggiano nell’aria del piccolo
paese, l’oziare davanti al camino, il suono delle scintille della legna
che arde, il ritmo della “pignata” che bolle piena di verdure e legumi,
riempie di gioia la vita, la rende umana, come se il bollore scandisse il
ticchettio del tempo. Nelle nostre piccole comunità, nei ristoranti, nelle
trattorie, ancora vive le magia della comunanza e le porte e le finestre
sono libere da inferriate e da doppie mandate. Il paese lucano con i
118 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
suoi ritmi “slow” diventa, così paese della qualità della vita. Non più
paesi di emigrazione e di disperazione, ma portatori di un nuovo progetto: fare della lentezza una scelta di vita, penso che questo sia il suo
futuro su cui scommettere e puntare.
In Basilicata la cucina regionale è piena di verdure e di ortaggi.
Le ritroviamo da sole o accompagnate da altri alimenti nella cucina
durante tutto l’anno. In estate i minestroni idratano il nostro organismo
mentre in autunno accompagnano legumi e bacche.
Durante l’inverno le verdure le usiamo per sgrassare le robuste e grassi
carni del maiale e in primavera le prime uscite di erbette ci aiutano ad
eliminare le tossine delle libagioni passate.
Alla base di tutto esistiamo noi, quello che desideriamo, quello che
effettivamente vogliamo. Scegliere bene per poter ben cucinare e ben
vivere!! L’inverno ci regala cavoli, cavolfiori, cappucci, rape, verza,
bietolone. Come si può resistere ad una minestra di verdure maritata con
pezzi di maiale? O ad un bel piatto di rape con peperoncino e aglio
su una pizza di granturco?
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Anzi
Minestra maritata
Gli ingredienti 1 kg di verza cappuccio e verdure selvatiche
500 gr di pezzi vari di maiale lasciati in ammollo per una notte, sbianchiti e sgrassati
200 gr di lardo
1 peperoncino
1 spicchio d’aglio
una macinata di pepe
sale q.b.
Il procedimento Far cuocere i pezzi di carne di maiale in acqua salata, possibilmente in
una pentola di coccio, a cottura scolare la carne.
Mondare e bollire la verdura e la verza, cuocere in abbondante acqua
salata, a cottura ultimata aggiungere i pezzi di carne e mescolare.
In un mortaio fare un battuto di aglio, lardo e peperoncino, soffriggere
in una padella oleata per pochi minuti, quindi versare tutti gli ingredienti
nella pentola della verdura. Aggiungere a piacere una macinata di
pepe, mescolare, aggiustare di sale ed amalgamare, servire ben caldo
accompagnando con pane affettato.
120 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
121 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Palazzo San Gervasio
Capunti chi i cime e cocozza
La pasta 400 gr di farina
1 uovo
1 bicchiere di acqua calda
La preparazione In una spianatoia versare la farina e fare una fontana al centro, mettere
l’acqua e l’uovo, amalgamare bene l’impasto e fare riposare per 20
minuti sotto un tovagliolo di lino.
Tagliare a piccoli panetti l’impasto e con le mani affusolare in lunghi cordoni la pasta, riducendoli ad un altezza di circa due centimetri, tagliarli
con l’apposito utensile in bastoncini lunghi 7 cm e incavare con le tre
dita premendo in maniera energica. Mettere sulla spianatoia infarinata
ad asciugare un pochino “i capunti”.
Il sugo
un mazzo di cime di zucca
1 patata
3 zucchine
1 cipolla
½ kg di pomodori
basilico
olio extravergine d’oliva
sale q.b.
Il procedimento Lavare e mondare le cime di zucca privandole dei filamenti.
Tagliare lo stelo e le foglie più tenere, sbollentare in acqua leggermente
salata, dopo qualche minuto togliere le foglie e non buttare l’acqua di
cottura. A parte sbucciare e tagliare a dadi piccoli le patate e le zucchine. In una padella soffriggere la cipolla tagliata a fettine, aggiungere
i pomodori a pezzetti, le foglie di zucca fatte a fette, il basilico e far
cuocere per circa 15 minuti. Aggiustare di sale.
Nella stessa pentola dove avete sbollentato le cime di zucca, aggiungere nella stessa acqua le patate e le zucchine a cottura quasi ultimata versare i “capunti”. Scolare e condire con il sugo di cime di “cocuzze”.
122 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Episcopia
Minestra di verza e peperoni cruschi
Gli ingredienti 1 cavolo verza
300 gr di fagioli rossi
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
4 peperoni cruschi
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaio di peperone macinato
1 kg di farina di mais
1 bicchiere di acqua tiepida
sale q.b.
Il procedimento Lavare e mondare la verza, cuocerla in abbondante acqua salata e a
cottura versare in una zuppiera.
Cuocere i fagioli nella “pignata” con acqua e sale. A cottura scolare e
aggiungere alla verza.
Soffriggere nell’olio i peperoni secchi, togliere i peperoni e aggiungere
nello stesso olio l’aglio a fettine, quindi il cucchiaio di peperone macinato e versare il soffritto nella minestra. Accompagnare con la “pitta” di
farina di granturco i peperoni cruschi di Senise.
La pitta (focaccia di mais)
Su di una spianatoia versare la farina di mais e impastare con l’acqua
calda, fino ad ottenere un impasto morbido, quindi schiacciare il composto ad una altezza di 1 cm. La “pitta” viene cucinata sul mattone del
caminetto oppure passata nel forno.
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125 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Ruoti
Carchiolla cu i rape
Gli ingredienti 500 gr di farina di mais
1 bicchiere di acqua bollente
1 kg di broccoli di rape
3 spicchi d’aglio
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 peperoncino
sale q.b.
Il procedimento Su di una spianatoia versare la farina di mais e fare una fontana al
centro, aggiungendo il sale e poco alla volta versare l’acqua bollente
aiutandosi con l’apposita spatola di ferro (rasorra). Impastare bene e
ridurre l’impasto come una pizza schiacciata alta 2 cm. Adagiarla su
una graticola e farla cuocere sulla brace lentamente.
Nel frattempo mondare e bollire i broccoli di rape, scolarli e versarli in
una padella oleata dove avete messo a soffriggere gli spicchi d’aglio
con il peperoncino. Servire la verdura con la “carchiolla” arrostita.
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127 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Chi è lo Chef
Federico Valicenti
Residente in via Salita Carmine 17- via Marconi 18, 85030 Terranova di Pollino
Telefono 0973 - 93254 - 5, cell. 347 - 8567385, [email protected]
Dati anagrafici e personali
Nato a Cersosimo (PZ) il 22-03-1958.
Coniugato con Franca Friolo.
Ha tre figli: Ida Libera, Domenico e Bruna.
Studi
Diploma di scuola media superiore: tecnico commerciale e per geometri;
chef di cucina;
consulente enogastronomico.
Attività
Proprietario del ristorante tipico “Luna Rossa” in via Marconi 18 a Terranova di Pollino (PZ).
Proprietario di Lucanicherie - carni & salumi in via Dante 85 a Terranova di Pollino (PZ).
Presidente dell’Università Popolare del Pollino, Convento Cappuccini, Senise (PZ).
Pubblicazioni
• A proposito di identità gastronomica - atti convegno Potenza, 19-20 maggio 1997.
Società Dante Alighieri - Cultura nazionale e cultura regionale: il caso della Basilicata edizioni Osanna,
dicembre 1997.
• I fagioli in cucina - Quaderni ALSIA, ed. Regione Basilicata, dipartimento Agricoltura, luglio 2000.
• Prefazioni “Le ricette pittate” - FI.DA.PA. Bernalda (MT), marzo 2005.
Libri
• Sapori e profumi di una terra: I prodotti di Basilicata in cucina, ed. Regione Basilicata, dipartimento
Agricoltura, Supergrafica, novembre 1999.
• A tavola con i Papi: breviario di cucina, ed. Cirigliano, Senise, gennaio 2000.
• Guida enogastronomica di Basilicata, ed. De Agostini, agosto 2001.
• La storia a tavola. I prodotti tipici lucani, ed. BMG Matera, settembre 2001.
• Purcis in fundo - Il maiale lucano, ed. Bruna Basile, Matera, settembre 2002.
• “I dolci del Parco del Pollino” - ed. Pugliesi, Martina Franca (TA), aprile 2005.
• Ricette di Basilicata - ed. Pugliesi, Martina Franca (TA), maggio 2005.
• Atlante della Tavola - ed. Librare, Potenza, gennaio 2007.
129 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
Bibliografia
Riconoscimenti
Le Perline di Petronilla, Sonzogno Editore
Premio “Sapori Lucani”
Regione Basilicata - Matera 30-03-1995.
Buono, pulito, giusto, Carlo Petrini, SlowFood Editore
Premio “Profumi di Primavera”
I.P.S.S.A.R. Maratea 20-05-1997.
La patata, Annalisa Barbaglia, SlowFood Editore
La civiltà della forchetta, G.Rebora, editore Laterza
Premio “ La Chiocciola d’Oro - Arcigola Slow Food”
Torino 1997, Torino 1998, Bologna 1999, Torino 2000, Napoli 2001, Brà 2002, Firenze 2003,
Verona 2004, Roma 2005, Palermo 2006, Modena 2007.
Il miele è salute, Eva Crane, Muzio editore
Premio “Il piatto del Giubileo 2000”
VII concorso interregionale arte culinaria dei cuochi FIC Monticchio Laghi 17-04-2002.
Mense e cibi ai tempi della Bibbia, Phyllis Glazere, Piemme editore
Premio “Miglior ristorante lucano”
Regione Basilicata Matera 22-09-2002.
Medaglia d’oro Camera di Commercio di Potenza
Fedeltà al lavoro e progresso economico, XXVI edizione, 27-03-2004, Potenza.
Premio “Marchio di qualità” Camera di Commercio FORIM Potenza
ISNART, Roma 2006.
Mense e cibi della Roma antica, Ilaria Gozzini Giocosa, Piemme editore
www.wikimedia.it
www.lalumaca.net
www.wikipedia.it
www.taccuinistorici.it
Premio “Marchio di qualità” Camera di Commercio FORIM Potenza
ISNART, Roma 2007.
Premio Buona Cucina, Touring Club, 2006, 2007, 2008.
Presente in tutte le guide d’Italia dal 1990.
130 Atlante della tavola | Provincia di Potenza
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