DoctorWine - Tenuta di Tavignano

Misco Riserva: Verdicchio
con i cingoli (1)
di Francesco Annibali 15-05-2014
I Castelli di Jesi, patria del Verdicchio, hanno
un “altro” lato, quello più meridionale. Quello
che ricade, un po’ per casualità e molto per
ragioni storiche, nella provincia di Macerata. Di
più: è qui, ai piedi di due monti non particolarmente elevati ma meteorologicamente decisivi,
che si sviluppano i terroir non necessariamente
migliori, ma molto probabilmente i più particolari
dell’intera denominazione. Quelli che danno gli
Jesi più espressionisti e chiaroscurati.
Dicevamo: due monti.
Il San Vicino ha una inconfondibile sagoma a trapezio, o a piramide con la punta tagliata. Oltre a separare
la zona del Verdicchio di Matelica da quella di Jesi, influisce sui vini che si fanno nelle campagne jesine di
Apiro, Cupramontana e, forse, Staffolo. Un po’ chiusi e vegetali in gioventù, i bianchi qui prodotti dispiegano
profumi più minerali con l’affinamento, mantenendo un certo senso di linearità al palato.
Il monte di Cingoli, con la cittadina omonima posta sulla cima, amministrativamente maceratese, ma culturalmente jesina, più basso e vicino al mare Adriatico rispetto al San Vicino, fa invece quasi da muro per
i vigneti comunali posti immediatamente a nord. In comune con i vini di Apiro e Cupramontana c’è la chiusura iniziale, ma l’evoluzione è meno
minerale nei profumi e più articolata
al palato. Il fiume che scorre a valle
del comune di Cingoli è il Musone, per
cinquecento anni confine meridionale
della Repubblica Marinara di Ancona.
In latino il Musone si chiamava Misco.
E Misco è il nome dato dall’azienda
Tavignano, forse la migliore dell’intero,
estesissimo, prevalentemente montuoso territorio di Cingoli, ai suoi Verdicchio migliori: il superiore e il riserva.
Un’azienda, e che azienda. La sede
coincide con il Castello omonimo, uno
dei più belli dei Castelli di Jesi, e ci
volle una battaglia in epoca medievale
tra la città che diede i natali a Federico II e Cingoli per decidere le sorti di questo luogo di confine.
Di proprietà per parecchio tempo della famiglia Castiglioni, il Castello di Tavignano fu acquistato circa quaranta anni fa da Stefano Aymerich di Laconi (“ma qui lo chiamiamo tutti l’ingegnere”, mi avvisano in amministrazione). Il cognome non mente: l’ingegnere possiede non solo i tratti caratteriali e il savoir faire tipici
della nobiltà di campagna, ma è un nobile sul serio (“nella mia famiglia ci sono stati anche dei Re di Sardegna, ma non lo scriva che non sono tipo da darsi delle arie”, mi dice con un filo di voce, quasi scusandosi,
prendendomi in disparte).
Il Castello di Tavignano sta alto sopra i 230 ettari
di proprietà, solo 29 dei quali a vigneto. Qui l’agricoltura è pratica ultracentenaria, ma la svolta
avvenne nei primi anni Novanta del secolo scorso, quando l’ingegnere e sua moglie, Beatrice
Lucangeli, decisero di puntare tutto sulla qualità. E sugli autoctoni, in particolare il verdicchio.
Cosa che appare un’ovvietà adesso, un po’ meno
allora, quando era norma piantare chardonnay e
merlot da Bressanone a Pachino, e c’era pure chi
proponeva di espiantare tutto il sangiovese del
Chianti Classico a favore del cabernet sauvignon
(ricordate?).
In vigna la densità di impianto è nella norma, e si ferma a 3000 ceppi per ettaro (“il verdicchio è molto
vigoroso, lo devi lasciare andare: una forte densità di impianto sarebbe controproducente”, mi ricorda Giulio
Piazzini, giovane e simpatico enologo aziendale), la forma di allevamento, il cordone speronato, è invece
un unicum, in una zona dove c’è quasi tutto guyot. Una scelta che condividerebbero in pochi, ma una scelta
che permette, senza scendere in tecnicismi, di non diradare quasi mai.
Le piante si nutrono di un terreno argilloso calcareo. La conduzione del vigneto è affidata ad una splendida, ragionevole normalità, che non si è lasciata influenzare dalla recente ondata di prescrizioni del mondo
cosiddetto ‘naturale’.
E insomma la ricerca della qualità e il rispetto dell’ambiente e di chi beve sono fuori discussione, ma il
biologico è un sistema che non convince (“in una annata piovosa e tardiva come la 2013 probabilmente
non avrei mai potuto portare così tanta uva sana in cantina, se avessi praticato il biologico. Non solo: nelle
annate prive di difficoltà le differenze e i risultati ottenuti tra conduzione bio e normale sono questioni di
lana caprina”, continua l’enologo Giulio Piazzini).
Ma veniamo alla ragione per la quale abbiamo deciso di occuparci di Tavignano, aziende tra le più silenziose e sottovalutate all’interno di una denominazione di per sé già tra le più silenziose e sottovalutate. Abbiamo un buon parere dei rossi aziendali (e l’esperienza ci dice che qui, nella roccaforte regionale dei bianchi,
i Rosso Piceno, privi delle pesantezze picene, possono essere molto interessanti), ma i bianchi sono altra
cosa.
Quando interessanti, lo vedremo domani.
Misco Riserva: Verdicchio con i
cingoli (2)
di Francesco Annibali 16-05-2014
Se le bottiglie entry level di Tavignano sono sempre
impeccabili, i due Verdicchio più importanti, il Classico
Superiore e soprattutto il Classico Riserva, accomunati dal
nome Misco (scelta francamente discutibile sul piano della
comunicazione) ci hanno sempre colpito almeno per un
paio di motivi: la costanza qualitativa e soprattutto il senso
di sobrietà, di compostezza.
Vini figli di una tecnica irreprensibile, e non potrebbe essere altrimenti, visto che a supervisionare la produzione c’è un professionista di prim’ordine come l’enologo
Luigi Lorenzetti, ma nei quali la tecnica si limita a tradurre nel modo più chiaro e leale la varietà e il territorio
di riferimento.
Insomma vini – se così si può dire, e senza esclusività – per ‘intenditori’. Intenditori veri, poco interessati
alle mode, privi di ideologie ma molto sensibili al piacere e alla cultura del vino.
“Sarà poco poetico, ma per imbottigliare un ottimo Misco è essenziale produrre parecchio sfuso, e noi fortunatamente abbiamo un bel giro di clienti affezionati che lo acquistano. Questo ci consente di selezionare
sempre masse di un certo livello. La questione del rapporto tra sfuso e imbottigliato è di prim’ordine, e non
se ne occupa mai nessuno sui giornali”, continua Giulio.
Entrambi i Misco, il Classico Superiore e il Classico Riserva, sono ottenuti da uve lievemente surmature (ma nel vino finito lo zucchero residuo non va mai oltre i 3 grammi, e dunque il vino è secco secco) e
vengono vinificati con una brevissima macerazione, ma
senza l’utilizzo del freddo. In seguito entrambi vengono affinati in acciaio sulle fecce fini. La differenza nelle
tempistiche: mentre nel Superiore la sosta nell’inox si
limita (si fa per dire) a 6 mesi, con il Riserva si arriva ad
un anno.
Il risultato, in entrambi i casi, non è però, come verrebbe
automatico pensare, quello di un Verdicchio ‘ingrassato’,
o con le note biscottate in primo piano, né tanto meno
quello di un vino ‘romantico’ per bevitori in camicia a
scacchi, che viaggia sul filo della riduzione: ma di un
bianco algido, teso ma articolato, nel quale le fecce irrobustiscono le ossa e la salute, senza dare muscoli né
adipe, se così si può dire. Garantendo al contempo una
evoluzione inizialmente lenta, ma sicura.
Il nostro consiglio è quello di acquistare entrambi i Misco, sia il Classico che il Riserva, senza esitazioni,
e di consumare il Classico tra il secondo e il quinto anno, e il Riserva a partire dal quinto anno. E, per una
volta, sugli abbinamenti rasentiamo il qualunquismo: il carattere super equilibrato e mai urlato dei Misco
permette una notevole versatilità a tavola. Di certo con un cervo in salmì ci sta meglio un Amarone, ma il
Misco non vi imporrà mai un rombo chiodato o gli scamponi calibrati. Starà bene un po’ con tutto, in particolare con le carni bianche.
Tutti i vini sono verdicchio 100%: cosa non troppo scontata, in una zona nella quale fino a trenta anni fa era
consuetudine stemperare il carattere amarognolo della varietà con un tocco di malvasia.
Misco 2012
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Docg Riserva
Tenuta di Tavignano
Punteggio »
Categoria »
Regione »
Nazione »
89+
Bianco
Marche
Italia
C’è poco da fare: il 2012 continua a fornire segnali più che incoraggianti in zona,
con vini classici e di buona, forse ottima prospettiva futura. Leggermente contratto
in apertura, poi varietale bene espresso, che da queste parti è poco fiori e molto
vegetale (anice, finocchio), lievissima, ed elegante, nota di frutta secca tostata, palato di equilibrio totale,
ancora un poco squadrato, molto saporito e lungo. Buono, non ottimo il succo nella persistenza. O forse no.
Buona vita davanti.
18 Euro
Misco 2011
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Docg Riserva
Tenuta di Tavignano
Punteggio »
Categoria »
Regione »
Nazione »
87
Bianco
Marche
Italia
Un andamento meteo che di certo non ha favorito lo stile tutta sobrietà della casa,
con un fine estate bollente e privo di piogge. E infatti il colore è deciso, non molto
nervoso, ma privo di pesantezze. Non proprio un cristallo ai profumi (ma a tavola non ve ne accorgerete),
con una nota di anice appena rustica, un frutto maturo e una piacevole nota torbata ma dolce. Molto ricco
ma senza eccessi strutturali e di grande forza al palato, con un frutto un po’ maturo e un finale molto potente e appena caldo ma né asciugato né tanto meno bruciato, anzi molto profumato. Non durerà altri dieci
anni, ma se amate i Verdicchio di sostanza lo apprezzerete molto. Particolarmente gradito alla proprietà.
Astenersi esteti e talebani delle lame al gusto di limone.
18 Euro
Misco 2010
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Docg Riserva
Tenuta di Tavignano
Punteggio »
Categoria »
Regione »
Nazione »
91
Bianco
Marche
Italia
L’ultima grande annata in zona (ma chi nel 2013 ha lavorato bene uscirà con cose
molto incisive e gustose, anche se non proprio perfette sul piano dell’espressione
varietale), e un vino che sin dai primi assaggi di un paio di anni fa ci è sembrato di livello molto alto. Lo stile
aziendale al meglio: definizione senza scadere nel tecnicismo, varietale e lavoro sulle fecce fini di grande
classe, e tanta, tanta sobrietà. Nota di acqua di mare, tipica di questo vino e presente anche in tutti gli altri
campioni, oltremodo fine. Struttura quanta ce ne deve essere e finale deciso ma al contempo modulato,
e rigato da una piacevole nota di finocchio salato. Un vino di grande classe che ricorda due grandi Misco
Riserva del passato, il 2005 e soprattutto il 2004. Quest’ultimo un autentico capolavoro, assurdamente sottovalutato a suo tempo e che certamente sarà ancora eccezionale (wine searcher siete avvisati). Tornando
a questo 2010, il consiglio è di attenderlo un altro paio di anni. Molta vita davanti.
18 Euro
Misco 2009
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Docg Riserva
Tenuta di Tavignano
Categoria »
Regione »
Nazione »
Bianco
Marche
Italia
Una annata media a Jesi, con un vino stancato sin dal colore da un lieve problema
di tappo in entrambe la bottiglie aperte.
18 Euro
Misco 2008
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Docg Riserva
Tenuta di Tavignano
Punteggio »
Categoria »
Regione »
Nazione »
92
Bianco
Marche
Italia
Non capita purtroppo di bere tutti i giorni una riserva di Jesi quando andrebbe
bevuta. Complici un pregiudizio duro a morire nei consumatori e una critica straniera gravemente
disinformata, i migliori bianchi di questa zona (ma si potrebbe fare un discorso analogo per gli altri
grandi bianchi nazionali, dall’Irpinia al Timorasso) vengono spesso sacrificati quando devono ancora
terminare di mostrare tutto il proprio corredo. Paglierino dorato vivo, pieno di riflessi acidi, questo
2008 alterna continuamente note di idrocarburi e miele, attorno alla nota varietale di mandorla e anice perfettamente espressa e al consueto timbro di acqua di mare. Grandi profumi al palato, soffuso
e modulato e finale talmente mielato da sembrare abboccato, squisito, di notevole persistenza, con
terziari e varietale in costante alternanza. Un Verdicchio silenzioso, ma con i cingoli. Un Tavignano
puro.
18 Euro