Dicembre Italia 2014_italiano.qxp 18/11/14 19.55 Pagina 8 BASILICA DI SANT’ANTONIO Le Sibille dipinte da Achille Casanova (1925) La nascita di Gesú e la profezia delle Sibille La tradizione ricorda che anche le Sibille, personaggi presenti nella mitologia greca già nel VI secolo a.C., avevano predetto la nascita di Gesú. E santʼAntonio la richiama in un Sermone. di Alfredo Pescante a tradizione ricorda che anche un personaggio del mondo pagano, la Sibilla, annunciò con i suoi oracoli la nascita di Gesú. E non sorprenderà che lo stesso sant’Antonio entusiasticamente rammenti nei suoi scritti questo mito, forte della citazione, riportata nel secondo sermone dedicato alla Natività di Gesú, da papa Innocenzo III, pontefice che governò la Chiesa nel periodo di vita del Taumaturgo (1198-1216). È bello rimembrare questa “curiosità” nel bimillenario della morte dell’imperatore Ottaviano Augusto il quale originò la leggenda, riportata fin dai primi secoli in Oriente e che godette di autorevolezza presso i Padri della Chiesa, a cominciare da sant’Agostino. La profezia sibillina, ambientata a Roma, ebbe grande diffusione nel Medioevo, cristianizzando un momento del mondo pagano. Nel XV secolo la predizione venne accolta quasi con ufficialità dal mondo cristiano, consacrata in numerosi dipinti, ospitati nelle chiese, che ritraggono l’avvenimento augusteo avente a protagonista la sibilla Tiburtina. Il mondo delle sibille, personaggi presenti nella mitologia greca già nel VI secolo a.C., la cui rivelazione lo stesso scrittore Lattanzio ritiene ispirata dall’unico Dio e che accetta la lista compilata da Varrone nel II secolo L 8 a.C., il quale ne individua dieci, dal nome della località in cui profetavano (Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontina, Frigia e Tiburtina), è assai complesso. Mi è stato utile un dettagliato studio di Arianna Pascucci, “L’iconografia medievale della Sibilla Tiburtina”, da lei gentilmente inviatomi. Sant’Antonio e la Sibilla Il Santo, nel sermone dell’Epifania del Signore, afferma: «Si racconta che Ottaviano Augusto, su indicazione della Sibilla, abbia veduto in cielo una vergine, gravida di un figlio e che da allora vietò che lo chiamassero Signore, perché era nato “il Re dei re e il Signore dei signori” (Ap 19,16)». Antonio prosegue: «Perciò il poeta (Virgilio) scrisse: Ecco una nuova prole scende dall’alto del cie- lo». (Egloga IV, 7). E seguita: “ I Romani, infatti, a motivo della pace universale in cui si trovava tutto il mondo sotto Cesare Augusto, avevano costruito un meraviglioso tempio alla Pace. Coloro che vi entravano per consultare la divinità e sapere quanto sarebbe durata quella pace, ebbero questo responso: Finché una vergine partorirà. Essi furono felici perché lo interpretarono cosí: La pace durerà in eterno, perché mai una vergine potrà partorire. Ma Dio distrusse la sapienza dei sapienti e la prudenza dei prudenti (1 Corinti 1, 19, perché il tempio crollò dalle fondamenta nell’ora della nascita del Signore». Quanto riportato da Antonio è frutto della tradizione, in auge nel suo tempo e avente, in parte, fondamenti storici. Dell’apparizione d’una vergine (Maria Santissima per i cristiani) all’imperatore Augusto non esiste certezza storica, mentre è tuttora documentata l’esistenza dell’“Ara Pacis”, il “Tempio alla Pace”, come lo chiama Antonio, caduto presto in abbandono e smembrato fino alla ricomposizione avvenuta nel XX secolo. La tradizione romana, cristianizzando quell’Ara pagana, individua una “Ara Coeli”, ovvero un “Altare del cielo”, conservato nell’omonima chiesa francescana che sorge, preceduta da ripida scalinata, sul Colle del Campidoglio. Il tempio, la cui prima costruzione risale al VI secolo, sarebbe sorto là dove Augusto ebbe la visione della donna col bimbo in braccio, udendo le parole: “Questa è l’Ara del figlio di Dio”. Vicino al pulpito di sinistra esiste infatti un tempietto ottocentesco, dedicato a Sant’Elena, ricoprente un altare medievale costruito nel luogo della visione. In tale chiesa francescana è presente anche una cappella dedicata a Sant’Antonio e vigoreggia la devozione al Bambinello, rappresentato in una miracolosa statua di legno d’olivo del Getsemani, non originale, perché trafugata nel 1994. Le Sibille della Basilica Achille Casanova, il pittore che nel secolo scorso dipinse l’intera abside della Basilica, deve essere stato am- Dicembre Italia 2014_italiano.qxp 18/11/14 19.55 Pagina 9 maliato da questi personaggi avvolti quasi nella fiaba. Forse un frate gli sarà stato musa ispiratrice nella descrizione di alcune sibille, ricordate anche da sant’Antonio. O, meglio ancora, amante del mondo medioevale, avrà voluto popolare la Basilica di sembianze di particolare afflato, a lui tanto congeniali. Le quattro profetesse (Eritrea, Cumana, Tiburtina e Libica), immortalate sui pilastri del tempio antoniano, rappresentano quanto di piú bello e geniale, nei colori, nei movimenti e nell’architettura sia uscito dal suo pennello. I vaticini delle prime tre si riferiscono alla nascita di Gesú, benché la piú celebre e la piú ricordata dalla storia, anche perché legata alla leggenda di Ottaviano Augusto, sia la Tiburtina, che operava a Tivoli, città nei pressi di Roma. Non è casuale la scelta di Casanova di affrescare, nel 1925, queste magnifiche presenze sui due pilastri portanti i campanili, poste al passaggio tra ambulacro e zona presbiteriale, a due a due, l’una di faccia all’altra, perché rappresentano la continuità tra Antico e Nuovo Testamento, quest’ultimo reso vivo dalla splendida Annunciazione, posta piú in altro, divisa in due su ambo i lati del tornacoro. Con l’apparizione delle sibille il pittore dà inizio infatti alla storia del Vecchio Testamento, dipanata in gran parte dell’abside. Nella parte alta della cupo- la centrale egli esalterà i Patroni di Padova e i santi francescani, terminando nella parete esterna del presbiterio col racconto della morte e del trionfale trasferimento del corpo di Antonio nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini. Padre Valerio Zaramella ci introduce in questa testimonianza pagana che prepara al cristianesimo. «Il Casanova dice - ha ritratto le sibille nell’esercizio della loro professione, quindi, a differenza delle altre figure stilizzate che riempiono il presbiterio, queste sembrano berniniane, tanto sono mosse, anzi contorte dalla testa ai piedi. Invasate dallo spirito del dio Apollo, stanno offrendo ai fedeli i vaticini. Chi agisce in loro è lo spirito del dio che parla in loro e per mezzo di loro: esse sono solo una tromba che trasmette le parole del dio. Di solito i vaticini erano sibillini, difficili a comprendersi, scritti su foglie che si confondevano, alterando il senso. Il pittore ha fissato invece i responsi su nastri che paiono uscire come nuvolette dalla bocca delle sibille, che poi li trattengono in mano». I quattro personaggi femminili, leggiadre nel viso, in movenze di danza, riccamente vestite, poggianti i loro piedi su un alto gradino, sono racchiuse entro un’edicola gotica formata da un arco trilobato e con le braccia aperte svolazzano all’azzurro cielo i loro cartigli, riportanti le celebri frasi, in lingua latina. L’arco è poi racchiuso, in alto, da un tettuccio gotico, a tre segmenti, popolato di dorati pinnacoli. L’intera composizione ha la parete di fondo mosaicata, pullula di fiori e accanto ad ogni sibilla ne compare il nome. La prima, sulla parte sinistra dell’ambulacro, accanto al monumento Marchetti, è l’Eritrea (foto in alto a sinistra), che del promesso Redentore profetizza: «Nasce, in una grotta, da una Vergine di origine ebrea». La Libica, sulla parete di fronte, in atteggiamento triste e con la mano destra aperta, è l’unica ad annunciare la passione di Gesú, ricordandone un momento doloroso con il verso: «Daranno schiaffi a Dio». La Cumana, con passi di gioia e di esaltazione, rivela l’origine divina di Gesú e dei cristiani: «La nuova generazione scende all’alto cielo». La piú bella e pregna di significato è la Tiburtina (foto in alto a destra) cui il pittore ha legato un curioso particolare: di mattina presto il sole, penetrando da un oculo dell’abside, illumina nella parte superiore le sembianze della Vergine seduta in trono che presenta ai fedeli il piccolo Gesú, ritto in piedi sul suo grembo. Facilmente l’immagine è stata ripresa dalla scultura mariana del Donatello, che troneggia sull’altare maggiore. Il cartiglio, dispiegato dalla mano sinistra d’una gioiosa Tiburtina, recita: «Cristo nascerà in Betlemme».l 9
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