Arrossamenti e tumefazioni: ecco come si manifesta la gengivite

Anno III – Numero 531
AVVISO
Ordine
1. Campagna
antinfluenzale 20142015
2. Crisi occupazionale:
Istituito un fondo di
solidarietà per i colleghi
iscritti all’ albo in stato
di disoccupazione
Notizie in Rilievo
Scienza e Salute
3. Parkinson: verso
diagnosi (e cure)
sempre più precoci
Prevenzione e
Salute
4. Arrossamenti e
tumefazioni: ecco come
si manifesta la gengivite
5. l bugiardino delle
allergie ora entra nel
menu
6. Quell’ossessione per i
cibi sani Ma non esiste
la dieta «perfetta»
7. Vaccino antinfluenzale,
10 cose da sapere
Lunedì 01 Dicembre 2014, S. Natalia, Mariano
Proverbio di oggi………..
Parlanno d' 'o riavulo spuntajene 'e ccorne
Arrossamenti e tumefazioni:
ecco come si manifesta la gengivite
Ma i sintomi possono essere anche molto lievi e passare
inosservati. Per il benessere della bocca è bene non abbassare
mai la guardia
Gengive arrossate, che si retraggono, che fanno male al tatto o che
sanguinano, anche poco, quando le spazzoliamo o quando passiamo il filo
interdentale: sono i sintomi della gengivite, l'infiammazione del tessuto che
riveste il colletto dei denti e forma le arcate dentarie, la gengiva.
La causa più frequente all'origine di questo disturbo è la presenza di placca
batterica sottogengivale che scatena la reazione del sistema immunitario,
dando vita allo stato infiammatorio tipico della gengivite. Oltre alla placca
batterica, altre sono le condizioni che possono causare questo disturbo:
l'assunzione di determinati farmaci, malnutrizione, lesioni traumatiche,
presenza di virus e funghi, predisposizione genetica. E ci sono poi alcuni
fattori che possono favorire l'insorgenza di gengiviti: tra questi l'abitudine al
fumo, la presenza di alcune malattie come cancro, il diabete, e Hiv e le
variazioni ormonali (nella donna).
Sebbene, in caso di gengiviti iniziali o di lieve entità, i sintomi possano essere
leggeri e pressoché trascurabili, è bene non sottovalutarli e farsi visitare da un
dentista di fiducia che indicherà la strada migliore da seguire per risolvere la
condizione: in questo modo si eviterà che il processo infiammatorio a carico
della gengive si aggravi. Se trattata, la maggior parte delle volte la gengivite
regredisce senza lasciare problemi; se, al contrario, non viene curata, può
evolvere in affezioni più gravi come gengiviti ricorrenti, ascessi e parodontiti.
Attività di prevenzione quotidiana per ridurre al minimo il rischio di
gengiviti: lavare i denti dopo ogni pasto; utilizzare un dentifricio specifico;
utilizzare il collutorio in abbinamento alla quotidiana igiene orale; eseguire
quotidianamente il controllo del bordo gengivale per individuare precocemente
segnali di allarme come gonfiore o sanguinamento a carico delle gengive, al
fine di intervenire al più presto per ristabilire il benessere di gengive e bocca;
effettuare periodiche visite dal dentista per valutare la salute del cavo orale.
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 531
SCIENZA E SALUTE
PARKINSON: VERSO DIAGNOSI
(E CURE) SEMPRE PIÙ PRECOCI
Oggi si dispone di più indizi che aiutano a prevedere con largo anticipo chi
potrebbe sviluppare la malattia. Ruolo chiave dei medici di famiglia per i segnali
sospetti
Nella malattia di Parkinson la diagnosi
precoce è fondamentale. Quando infatti
arrivano i primi sintomi, il 70% dei
neuroni dopaminergici, fondamentali
per il movimento, è, in genere, già
compromesso.
Se i trattamenti che oggi si usano a
malattia avanzata venissero utilizzati
prima, questa percentuale calerebbe,
con l’effetto di prevenire in parte, o
almeno ritardare, la patologia.
È questo il messaggio per la Giornata del
Parkinson - 29 novembre - delle due
principali società scientifiche che si
occupano della malattia, la Lega Italiana per la Lotta contro la malattia di Parkinson e l’Ass. Italiana
Disordini del Movimento e Malattia di Parkinson. «Anche se il processo patologico produce alterazioni
inizialmente impercettibili, stiamo imparando a coglierne i segni premonitori» spiega Alfredo
Berardelli, dell’Università La Sapienza, di Roma.
I marker che aiutano la diagnosi: In questa prospettiva possono giocare un ruolo importante i
medici di famiglia: secondo un recente studio, la loro valutazione può individuare i segnali clinici
precoci (marker ).
Se un paziente di una certa età, presenta, per es.,
 per oltre due anni stipsi senza cause dimostrabili,
 sudorazione eccessiva,
 abbassamento della pressione quando sta in piedi,
 alterazioni del sonno o sintomi più aspecifici come impellenza a urinare oppure dolorabilità
diffusa,
andrebbe avviato al neurologo anche se non ha la caratteristica triade del Parkinson, cioè tremore,
rigidità e rallentamento motorio. «Attenzione però alle interpretazioni rigide: molti possono avere
disturbi gastrointestinali o del sonno senza poi sviluppare Parkinson. Come una rondine non fa
primavera, così un solo marker non fa malattia e occorre sempre valutare il quadro generale:
il persistere senza spiegazione di certi sintomi è un campanello d’allarme, non un verdetto
diagnostico». Un aiuto nella diagnosi precoce può arrivare dal controllo della scrittura, che nel
Parkinson tende a rimpicciolirsi ( micrografia ). All’Università di Seul hanno messo a punto un software
per normali computer che, tramite scansione, valuta le dimensioni della grafia, così basterà far scrivere
al paziente qualche riga in ambulatorio per controllare questo segnale, insieme agli altri. Ma aiutano a
orientarsi anche altri fattori di rischio, come depressione o, soprattutto, calo e perdita dell’olfatto che,
secondo un recente studio compare con un anticipo di 4 anni in quasi metà dei casi di morbo di
Parkinson: ciò però vale se ci sono anche alterazioni in esami di imaging cerebrale, e quindi, ancora, il
solo disturbo olfattivo non basta.
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 531
I disturbi del sonno possibili campanelli di allarme
Fino a 10 anni prima dell’esordio del Parkinson vero e proprio si possono poi presentare, secondo
diversi studi, disturbi del sonno: si parla, in particolare di iRBD, cioè disturbo idiopatico del
comportamento del sonno REM (quello in cui si sogna). Il problema consiste nella perdita dell’atonia
muscolare che accompagna questa fase del sonno, così, invece di stare inerti, i muscoli si muovono
durante i sogni. Anche in questo caso non si tratta di una generica insonnia, bensì di un problema che
va diagnosticato da uno specialista con l’aiuto di un esame polisonnografico.
Altro disturbo del sonno accostato a un eventuale, successivo, morbo di Parkison è la cosiddetta
sindrome delle gambe senza riposo.
Il deficit cognitivo, infine, è un altro sintomo che può entrare nella valutazione: un aiuto in questo
senso arriverà ancora dall’informatica, grazie a software, come uno realizzato dall’Università del South
Carolina, che analizzano con la webcam del computer i movimenti oculari durante lettura e scrittura,
alterati nei parkinsoniani a rischio di demenza.
Secondo ricercatori canadesi vanno, infine, valutate alterazioni cardiovascolari, andatura e capacità di
distinguere i colori. Si tratta quindi di vari indizi che non fanno prove ma che, nel tempo, aiuteranno a
capire meglio chi rischia di sviluppare la malattia, per la quale ci sono anche sviluppi sul fronte delle
terapie: dall’ipotesi vaccino alle tecniche di neuromodulazione, prima fra tutte la stimolazione
cerebrale profonda che, tramite microimpulsi elettrici, riattiva i neuroni dopaminergici, recentemente
evoluta in DBS adattativa , che adegua continuamente gli impulsi alle esigenze del momento.
La neuromodulazione, si affianca alle tradizionali cure farmacologiche il cui principio cardine rimane la
levodopa, analogo della dopamina, che non viene più prodotta.
Poiché l’efficacia di questa sostanza col tempo si riduce occorre affiancarle farmaci che risparmiano o
potenziano la poca dopamina residua. Recentissime cure geniche usano vettori virali per trasportare
geni programmati a riattivarne la produzione . (Salute, Corriere)
l bugiardino delle allergie ora entra nel menu
I gestori dei locali in rivolta contro un regolamento comunitario che da metà
dicembre obbliga a segnalare la presenza nei piatti di sostanze che provocano
intolleranze
Non ci sarà più ingrediente segreto che tenga. Dal 13 dicembre il menu dei piatti al ristorante
diventerà come il bugiardino dei medicinali in farmacia: un minuziosissimo elenco di cibi e
componenti. Che più che prendere per la gola gli affamati con i nomi appetitosi delle pietanze
informerà i clienti della presenza o meno degli allergeni, cioè di tutte quelle sostanze, dal glutine al
lattosio, responsabili delle intolleranze alimentari di due milioni e mezzo di italiani e di 21 milioni di
europei.
A prescriverlo è un regolamento comunitario che entrerà in vigore in contemporanea in tutti i paesi
membri e che obbliga le imprese che operano nell'alimentare, preconfezionato e non, a indicare in
etichetta i componenti che potrebbero scatenare nei soggetti sensibili delle reazioni pericolose.
Quindi i già citati glutine e lattosio, presenti per es. nella pasta e nella mozzarella di una pizza
margherita, ma anche il sedano frequente nei concentrati di pomodoro per fare i sughi, e poi le uova,
i crostacei, la soia, il pesce, la senape e i molluschi.
L'obiettivo è garantire la trasparenza ai consumatori e metterne al sicuro la salute. Ma rischia di
trasformarsi in un boomerang per gli esercizi commerciali più piccoli, già sul piede di guerra. "Non
facciamo i chimici, il nostro è un mestiere artigianale. Ciò che rende celebre l'enogastronomia italiana è
la ricchezza degli ingredienti locali che cambiano a ogni stagione e l'estro ai fornelli: codificare i piatti
tipici, svilirli in una formula sempre uguale neanche fossero dei medicinali è mortificante". Perché oltre
a svilire la creatività dei nostri chef, la norma solleva ostacoli pratici. (salute, Repubblica)
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Anno III – Numero 531
PREVENZIONE E SALUTE
QUELL’OSSESSIONE PER I CIBI SANI
MA NON ESISTE LA DIETA «PERFETTA»
Uno studio ha confrontato diversi regimi alimentari. Non c’è una risposta univoca,
ma un consiglio: «Mangiate senza esagerare, soprattutto vegetali»
Cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. Anzi no, meglio sette, come sostiene l’ultima ricerca
dell’University College London. Un paio di cucchiai di bacche di
goji, che sono antiossidanti e rinforzano il sistema immunitario.
E pure una porzione di legumi, che riducono il colesterolo
«cattivo».
Senza rinunciare a una tazza di cioccolata calda, che secondo la
«dieta di Maria Antonietta» (codificata dalla scrittrice inglese
Karen Wheeler) aiuta il metabolismo.
Ma siamo sicuri che seguendo alla lettera tutti questi consigli
staremmo davvero meglio? Gli esperti la chiamano «ortoressia»
ed è l’ossessione per i cibi sani. Un disturbo alimentare che porta
a vedere gli alimenti solo come elementi chimici da assimilare e digerire, rinunciando al gusto e
trasformando la dieta in una formula matematica del benessere.
Ore a leggere le etichette: Secondo il Ministero della Salute, il 15% delle persone affette da
problemi alimentari, circa tre milioni di italiani, soffrirebbe proprio di questa patologia, identificata per
la prima volta dal medico americano Steven Bratman, ortoressico lui stesso, che si è accorto per es. di
non riuscire a gustarsi una cena preparata da amici senza sapere esattamente come fosse stata
preparata e con quali ingredienti, o di passare ore al supermercato analizzando le etichette dei
prodotti prima di metterli nel carrello.
Ma anche per i neoipocondriaci del cibo resta una difficoltà fondamentale: come orientarsi tra tutti i
consigli degli esperti, le ricerche che ogni volta svelano segreti per «allungare la vita», le diete che
assicurano di tener lontane le malattie?
Quale dieta è meglio per me?
Risponde il dr David Katz, nutrizionista del centro di ricerca e prevenzione dell’Univ. di Yale, che ha
confrontato diversi regimi alimentari (la dieta con pochi carboidrati, quella con pochi grassi,
l’ipoglicemica, la mediterranea, la Dash contro l’ipertensione, la paleolitica e la vegana) per capire
quale sia il migliore. In un saggio pubblicato da Annual Reviews, Katz sostiene che non ci sono prove
evidenti che facciano propendere per una dieta povera di grassi piuttosto che per una ricca di grassi
«sani» come la mediterranea, senza negare che questa sia «potenzialmente associata a una funzione
di difesa dalle malattie neurodegenerative e la preservazione delle funzioni cognitive, riduzione delle
infiammazioni e protezione anti-asma».
Mangiare senza esagerare
E se i regimi che prevedono un’attenta selezione dei carboidrati (privilegiando quelli integrali) aiutano
a ridurre il rischio di cancro e a controllare meglio il peso corporeo, ridurre il tasso glicemico permette
di abbassare il rischio di malattie cardiache. Insomma una risposta univoca non c’è, ma piuttosto un
consiglio: «Mangiate senza esagerare, soprattutto vegetali».
E agli ortoressici che ripetono il mantra «mai ingerire alimenti che vengano da sacchetti, scatole,
bottiglie, barattoli o lattine», Katz ribatte:
«È vero che prendendo il cibo direttamente dalla natura non occorre preoccuparsi di grassi saturi o
dell’eccesso di sale. Ma se ci si concentra sugli alimenti “reali”, i nutrienti arriveranno da soli».
(Salute, Corriere)
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Anno III – Numero 531
VACCINO ANTINFLUENZALE, 10 COSE DA SAPERE
Gli effetti, i rischi, chi dovrebbe farlo, le allergie: ecco le domande comuni dopo le
morti sospette e il ritiro di un farmaco
Mi devo vaccinare? I benefici del vaccino
antinfluenzale secondo tutti gli esperti sono
sicuramente superiori ai rischi, a patto che si
seguano alcune precauzioni.
Ecco dieci cose da sapere per vaccinarsi in
tranquillità anche dopo l'allarme sulle morti
sospette per due lotti di un vaccino della Novartis
che e' stato bloccato.
Secondo il sito VaccinarSi della Società Italiana di
Igiene (Siti) non ci si deve vaccinare se si
è allergici a qualche componente del vaccino, se si hanno meno di 6 mesi o se ci sono in corso
malattie con febbre alta.
E se ho un raffreddore? Ci si può vaccinare se si hanno malattie acute di lieve entità, ma anche in
allattamento o in caso di malattie che compromettono il sistema immunitario.
Che cosa rischio? Gli effetti più comuni segnalati sono arrossamento, gonfiore, indurimento nella
sede dell'iniezione (circa il 15% dei vaccinati con vaccino intramuscolo, e 61% per via intradermica) e si
manifestano tra 6 e 24 ore dopo la vaccinazione. Hanno una breve durata, massimo 2 giorni. Ci sono
poi sintomi lievi simil-influenzali in circa il 42% dei vaccinati.
Rischio conseguenze più gravi? Secondo il Cdc statunitense le reazioni avverse gravi, che vanno
dalla morte al pericolo della vita alle disabilità permanenti fino alle ospedalizzazioni o al ricorso al
pronto soccorso hanno una frequenza estremamente bassa di 2,6 ogni 10mila dosi.
Cosa rischio se prendo l'influenza? Le complicanze, spiega il sito del ministero della Salute, sono
più frequenti in soggetti predisposti, ma tutti sono a rischio.
Si va dalle polmoniti batteriche, alla disidratazione, al peggioramento di malattie preesistenti (quali ad
esempio il diabete, malattie immunitarie o cardiovascolari e respiratorie croniche), alle sinusiti e alle
otiti nei bambini. si stimano ogni anno circa 8mila morti dovuti all'influenza.
Sono tra le categorie a rischio? Le conseguenze gravi sono più frequenti nei soggetti al di sopra dei
65 anni di età e con condizioni di rischio, come malattie preesistenti, ma anche le donne in
gravidanza hanno una probabilità maggiore di avere problemi.
Perché devo vaccinarmi in gravidanza? Secondo la Siti dovrebbero vaccinarsi le donne nel
secondo e nel terzo trimestre di gravidanza, perché hanno un maggior rischio di complicanze come
parto prematuro e basso peso del feto. La vaccinazione inoltre protegge il nascituro dall'influenza fino
ai 6 mesi.
Quando devo vaccinarmi, e per quanto protegge il vaccino? Il vaccino dovrebbe essere preso
tra meta' ottobre e fine dicembre. Siamo protetti dall'influenza dopo due settimane dalla
somministrazione, e la protezione dura minimo un anno.
Se penso di avere avuto un effetto avverso cosa devo fare? Gli esperti consigliano di parlare
con il medico, che poi farà la segnalazione all'Aifa.
Quante sono le segnalazioni per i vaccini antinfluenzali in Italia? Secondo il rapporto dell'Aifa
nella stagione 2012/2013, l'ultima di cui sono disponibili i dati, le segnalazioni di sospetti eventi avversi
sono state 285, di cui il 16,8% considerate gravi. (Salute, Panorama)