Sentenza del Consiglio di Stato

N. 03802/2014REG.PROV.COLL.
N. 07269/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7269 del 2013, proposto da Roma Capitale, in persona del
Sindaco in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosalda Rocchi, dell’avvocatura municipale
con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove n.21;
contro
Loreal Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario
Libertini, Mario Nigro e Francesco Annarumma, con domicilio eletto presso Francesco Annarumma
in Roma, via Cosseria, n. 2;
e con l'intervento di
ad adiuvandum dell’Associazione Assoconsum, in persona del legale rappresentante, rappresentata
e difesa dagli avvocati Emiliano Varanini e Vittorio Marinelli, con domicilio eletto presso Emiliano
Varanini in Roma, via Lombardia n. 30 - int. 8 bis;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II TER n. 06721/2013, resa tra le parti,
concernente diniego autorizzazione apertura esercizio somministrazione alimenti e bevande
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Loreal Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2014 il Consigliere Carlo Schilardi e udita per
Roma Capitale l’avvocato Rosalda Rocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La società " LOREAL s.r.l." presentava in data 20 settembre 2012 una istanza per il rilascio di
una nuova autorizzazione per l'apertura di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande,
in un locale sito in via di Monserrato 32 in Roma, per una superficie totale di mq. 155.
2.- L'amministrazione comunale, con provvedimento del 7 novembre 2012, ne negava il rilascio ai
sensi degli artt. 10, comma 4 ed 11, comma 1 del regolamento per l'esercizio della attività di
somministrazione di alimenti e bevande, approvato con delibera del consiglio comunale n. 35 del
2010.
Detto art. 10, comma 4, del regolamento, disponeva che “ai fini della regolamentazione delle
attività di somministrazione sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali, caratterizzati dalla
presenza di particolari condizioni di concentrazione delle attività commerciali e di elevati livelli di
pressione antropica e/o di eventuali vincoli di tutela ai sensi della normativa vigente in materia
ambientale, archeologica, monumentale, culturale, paesaggistico -territoriale e storico-artistica” e
l'art.11, comma 1, con riferimento agli ambiti di cui al citato art. 10, comma 4, stabiliva che “non è
consentito il rilascio di autorizzazioni per nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande,
nonché per il trasferimento di sede di attività ubicate all’esterno degli ambiti medesimi”.
Il diniego dell'amministrazione veniva, quindi, motivato con la circostanza che il locale, sito in via
di Monserrato, ricadeva nel rione Regola, ambito territoriale nel quale non era consentito rilasciare
nuove autorizzazioni, né trasferire la sede di attività ubicate all'esterno di tale area.
3.- Avverso il provvedimento emesso da Roma Capitale n. 90221 del 7 novembre 2012 e, in parte
qua, del regolamento per l’esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, la
società "LOREAL s.r.l." proponeva ricorso al T.A.R. per il Lazio.
La ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione di legge, con particolare riguardo al decreto
legge n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, ed al decreto legge n. 201 del 2011,
convertito dalla legge n. 214 del 2011; falsa o errata motivazione nonché eccesso di potere per
difetto di istruttoria, vessatorietà, sviamento, illogicità, errata valutazione di presupposti,
travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta e contraddittorietà.
4.- Il T.A.R., con sentenza n.6721 del 29 maggio 2013, depositata il 9 luglio 2013, ha accolto il
ricorso ed ha annullato il provvedimento di diniego n. 90221/2012 ed ha, altresì, ordinato a Roma
Capitale di riesaminare l'istanza presentata dalla società "LOREAL s.r.l.".
In ottemperanza alla sentenza del T.A.R., Roma Capitale ha riesaminato la domanda della società
ricorrente e, in data 4 ottobre 2013, ha emesso un ulteriore provvedimento (prot. n. 90179) di
diniego all'apertura della attività di ristorazione.
5.- Avverso la sentenza ha proposto appello Roma Capitale, con istanza di sospensione cautelare
dell'efficacia esecutiva.
Si è costituita in giudizio la società "LOREAL s.r.l." e ha chiesto di rigettare l'appello perché
infondato e soprattutto inammissibile ai sensi dell'art. 329 c.p.c., in quanto ottemperando
spontaneamente al dispositivo della sentenza n. 6721/2013 emessa dal T.A.R. Lazio - Roma sezione II ter, Roma Capitale ha riattivato l'istruttoria ed ha emesso un nuovo provvedimento (prot.
n. 90179 del 7 ottobre 2013) di diniego alla richiesta di autorizzazione per l'esercizio di una nuova
attività di somministrazione di alimenti e bevande formulata dalla "LOREAL s.r.l.".
E' intervenuta, in sede di appello, l'associazione "Assocomsum" ad adiuvandum della società
resistente "LOREAL s.r.l.", a sostegno delle tesi esposte da quest'ultima.
Con atto datato 28 aprile 2014 si è costituito per la società "LOREAL s.r.l.", in aggiunta ai difensori
già costituiti, l'avv. Mario Libertini che, riportandosi ai precedenti scritti difensivi, ha chiesto il
respingimento dell'appello.
All'udienza pubblica del 4 giugno 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
6.- Preliminarmente questo Collegio ritiene di doversi pronunciare in ordine all’eccezione di
inammissibilità dell'appello avanzata dalla società "LOREAL s.r.l.".
L’eccezione è infondata, atteso che l'acquiescenza a sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi
dell'art. 329 comma 1 c.p.c., in mancanza di accettazione espressa, sussiste soltanto quando
l'interessato ponga in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il
proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e cioè quando sia possibile
affermare che detti atti sono incompatibili, sotto il profilo logico o giuridico, con la volontà di
avvalersi dell'impugnazione.
Diversamente, il mero adeguarsi dei soccombenti alla statuizione del giudice rileva, in generale, un
atteggiamento passivo e "sicuramente non incompatibile con la volontà di avvalersi delle
impugnazioni ammesse dalla legge" (Cassazione civile, sez. II, 4 giugno 2013, n. 14120).
7.- Nel merito l'appello di Roma Capitale è fondato e va accolto.
8.- Con il primo motivo di censura Roma Capitale lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 3
del D.L. n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, dell'art. 64 del D.lgs. n. 59/2010 e degli artt.
31 e 34 del D.L. n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011 nonché difetto di motivazione.
Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del
D.L. n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27/2012 e difetto di motivazione.
Con il terzo motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 117,
119 e 120 della Costituzione, degli artt. 6 e 10 del D.lgs. n. 114/1998 e difetto di motivazione.
I tre motivi di appello sono collegati tra loro e richiedono una trattazione congiunta.
L'appellante sostiene, con essi, l'erroneità della sentenza perché fondata sul presupposto che il
provvedimento di diniego del Comune è stato adottato successivamente all’emanazione ed
all’entrata in vigore (25 marzo 2012) del decreto così detto “Salva Italia” e del decreto legge 6
dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214
e che l'amministrazione comunale, in osservanza del principio tempus regit actum, avrebbe dovuto
tenerne conto.
Al riguardo, l'appellante assume che le nuove disposizioni richiamate dal T.A.R. avrebbero lo stesso
"contenuto precettivo" del D.L. n. 223/2006 e del D.Lgs. n. 59/2010, per cui il tribunale, nel
pronunciarsi, avrebbe omesso di accertare se le nuove norme fossero confliggenti con le previsioni
del regolamento per la disciplina della attività di somministrazione di alimenti e bevande (approvato
con delibera del consiglio comunale n. 35/2010), adottato recependo la normativa già all'epoca
vigente.
L'appellante sostiene che con la normativa del 2012 (decreto Salva Italia) persisterebbe la
legittimazione dell'ente locale a porre dei limiti all'esercizio dell'attività economica, purché essi
siano proporzionali, ragionevoli e adeguati "alle perseguite finalità di interesse pubblico generale,
alle stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo
condizioni di pari concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti…".
Ad avviso del Comune si tratterebbe di accertare, quindi, se nel caso di specie il regolamento
comunale, approvato con deliberazione n. 35/2010, sia divenuto inapplicabile a seguito delle
disposizioni introdotte dal legislatore del 2012 o se le sue previsioni permangano vigenti
nell'aggiornato quadro normativo.
Il Comune contesta, altresì, che l'art. 31, comma 2, del D.L. n. 201/2011 imponga un riesame ex
novo della materia, stante la non innovatività delle disposizioni introdotte dalla norma.
9.- Orbene, deve osservarsi che il T.A.R. nella sentenza appellata ha richiamato la sentenza n. 1802
del 27 marzo 2013 di questa Sezione, in tema di rilascio di nuova autorizzazione all'apertura di
esercizi pubblici nel centro storico di Roma, in cui è detto che "l'introduzione (in via regolamentare)
di divieti per zone territoriali è in astratto consentita quando nessun'altra misura meno restrittiva
consenta di tutelare la vivibilità del quartiere interessato”
Tali divieti, evidentemente, possono essere imposti, quindi, sulla base di elementi oggettivi e non
discriminatori, che consentano di apprezzare la congruità della restrizione massima con la tutela
della suddetta esigenza e dunque nel rispetto dei principi comunitari di ragionevolezza e
proporzionalità, sulla cui base deve sempre essere effettuato il bilanciamento tra le esigenze di
liberalizzazione in funzione di promozione della concorrenza e la salvaguardia di urgenze di ordine
imperativo a tutela di interessi generali.
Alla luce delle suddette coordinate di carattere generale, correttamente il T.A.R. ha anche ritenuto
rilevante lo studio del dipartimento per il commercio e le attività produttive del Comune, allegato al
regolamento impugnato, ove è detto che in alcuni municipi del centro la rete distributiva
commerciale è particolarmente densa, sostenuta da una domanda maggiore in quanto attratta dalla
presenza di un patrimonio storico, artistico e culturale, per cui il divieto di cui trattasi si pone quale
misura congrua rispetto alle esigenze, debitamente esternate ed agevolmente comprensibili, di
preservare la vivibilità di ambiti territoriali sottoposti a forte pressione demografica, veicolare e di
sviluppo commerciale, grazie alla loro attrattività architettonico - culturale e paesaggistica.
Malgrado ciò, il T.A.R. ha sostenuto che il provvedimento dell'amministrazione comunale fosse “di
per sé illegittimo in quanto - in presenza della previsione di cui all'art. 31, comma 2, del D.L. n.
201/2011 che ha imposto di rivalutare gli interessi in gioco alla luce delle prescrizioni contenute
nello stesso art. 31 - il riferimento ad una fonte normativa previgente non può ritenersi esaustivo".
10.- La tesi del T.A.R. non è condivisibile.
Al riguardo si deve osservare, infatti, che la Regione Lazio non ha ritenuto necessario o urgente
integrare la legislazione statale del 2011 e del 2012, intendendo ancora applicabile la propria
normazione di dettaglio esistente e, alla luce di ciò, il Comune ha continuato, ragionevolmente, ad
applicare il regolamento n. 35/2010, considerandolo tuttora conforme ai principi nazionali e
comunitari posti a tutela della concorrenza e dell'iniziativa economica.
Ed invero questo Collegio è dell’avviso che non vi siano differenze sostanziali di contenuto, per
quanto qui interessa, nella legislazione nazionale e comunitaria susseguitasi, a far tempo dal D.L. n.
223/2006, dalla direttiva 2006/123/CE e dalla relativa legge di recepimento (decreto legislativo n.
59/2010) fino ai più recenti decreti "Salva Italia" (D.L. n. 201/2011, con legge n. 214/2011) e
"Cresci Italia" (D.L. n. 1/2012, convertito con legge n. 14/2012).
In detta legislazione, in particolare, viene posto in rilievo, costantemente, il carattere preminente dei
valori costituzionalmente garantiti, di salvaguardia del patrimonio ambientale, storico - artistico e
culturale del Paese, rispetto ai quali la libertà di concorrenza, cui tende la liberalizzazione delle
attività commerciali, può subire limitazioni nell'ambito di una programmazione volta a
contemperare i bisogni delle imprese commerciali, ivi compresi i pubblici esercizi, con le esigenze
di sostenibilità ambientale e con la salvaguardia dei valori storico - artistici del contesto del
territorio di riferimento.
Nella medesima linea si è anche posta la giurisprudenza della Corte Costituzionale e, al riguardo, si
richiamano le sentenze n. 430 del 19 dicembre 2007, n. 299 del 19 dicembre 2012, n. 27 del 22
febbraio 2013, n. 38 del 15 marzo 2013 e n. 65 del 12 aprile 2013.
Circa il permanere della valenza di tali principi, non scalfiti dall’evolversi delle norme in materia, si
è peraltro già espressa questa sezione, da ultimo con sentenza n. 1860 del 16 aprile 2014.
11.- Con il quarto motivo di censura l'appellante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 del cod. proc. civ., travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
L'appellante assume l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale,
nell'accogliere il ricorso, ha disposto che l'amministrazione, in sede di rilascio delle autorizzazioni
commerciali per pubblici esercizi nelle aree del centro storico, "deve compiere una valutazione
maggiormente analitica e svincolata da norme che, in assenza dell'adeguamento di cui all'art. 31,
comma 2, ultima parte, del d.l. n. 201 del 2011, non possono ritenersi più cogenti, tale da dare conto
in maniera specifica delle ragioni per le quali l'autorizzazione può essere assentita o deve essere
denegata".
Orbene, per quanto già motivato, in assenza di nuova normazione regionale, che, peraltro, non può
in ogni caso derogare alla legislazione quadro nazionale e comunitaria in materia, diversamente da
quanto ritenuto dai giudici di prime cure, nessuna particolare indagine doveva essere condotta
dall'amministrazione, in vigenza, come si è detto, della regolamentazione esistente per l'esercizio
della attività di somministrazione di alimenti e bevande, frutto del bilanciamento degli interessi
pubblici e privati in campo.
In concreto, nel caso di specie, l’amministrazione comunale ha ritenuto necessario salvaguardare
l'assetto di via di Monserrato da trasformazioni connesse ad una "commercializzazione esasperata",
considerata la rilevanza storica del luogo.
Nel contestare, poi, la tesi dell’appellante, il Comune, sulla base delle risultanze, ha evidenziato che
in via di Monserrato n. 32, alla data del 30 giugno 2011, nessuna attività di somministrazione
veniva svolta, con ciò smentendo la circostanza, peraltro non rilevante, che il numero complessivo
dei pubblici esercizi sarebbe rimasto immutato in caso di rilascio dell'autorizzazione richiesta dalla
società.
12.- Conclusivamente l'appello di Roma Capitale è fondato e va accolto.
13.- Attesi i delicati risvolti interpretativi della materia oggetto del contendere, sussistono, tuttavia,
giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza
appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese dei due gradi di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Fulvio Rocco, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)