L’erbario (a cura di Francesca Mantino) Cosa è un erbario? Un erbario è una collezione di campioni vegetali essiccati, pressati, montati su fogli di cartoncino di formato standard e corredati di un cartellino con le principali informazioni sul campione (specie, località e data di raccolta, coordinate, altitudine, esposizione e inclinazione, ambiente di raccolta, nome del raccoglitore (legit), nome di chi ne fa la determinazione (determinavit), ecc.) e sulla sua “storia” (eventuali revisioni, acquisizioni nel tempo di vari erbari, ecc.). Un erbario è organizzato secondo criteri di ordinamento, preventivamente scelti, e conservato presso strutture specializzate, dotate di appositi locali anche climatizzati, in modo da essere protetto nel tempo, per esempio dall’attacco di parassiti fitofagi. Così, può restare anche per secoli a testimonianza del lavoro scientifico botanico relativo a un determinato periodo storico, può dare importanti informazioni sugli elementi della Flora di un territorio, può costituire un valido supporto agli studi dei botanici attuali e rappresentare un importante materiale di interesse scientifico, storico, culturale e didattico. Piccola storia dell’Erbario Fin dall’antichità, l’uomo ha mostrato molto interesse nei confronti del mondo delle piante. Ha imparato a conoscere le piante, raccoglierle e utilizzarle per vari scopi (alimentazione, medicina, rituali magici e religiosi, ecc.). Inizialmente, ha utilizzato le risorse vegetali spontanee ritrovate in natura, poi ha imparato a selezionare e coltivare le piante per alimentarsi (cereali, legumi, alberi da frutto, ecc.) e per ricavare materie prime per la realizzazione di oggetti d’uso quotidiano (piante da fibra, coloranti, materiali da costruzione, ecc.). In modo parallelo si sono sviluppate le raffigurazioni pittoriche delle piante d’uso comune e ornamentali, con una verosimiglianza tale da dimostrare una conoscenza piuttosto approfondita. Intorno al VI‐V secolo a.C., il mondo vegetale delle piante “utili” comincia a essere studiato (anche se in maniera molto empirica) almeno per quel che riguarda gli aspetti pratici o utilitaristici. Alle conoscenze pratiche sulle piante si succedono indagini filosofiche sugli organismi viventi, sul loro comportamento (germinazione, accrescimento, aspetto, ecc.) e sulle loro proprietà terapeutiche. Si sviluppano anche il commercio e la coltivazione di piante esotiche d’interesse alimentare e ornamentale, dando impulso alla produzione di scritti di carattere agricolo o medico che costituiranno il substrato per la nascita della botanica come scienza, anche se non ancora autonoma ma legata ad altre discipline (agricole, mediche, ecc.). Il primo botanico “ufficialmente” considerato è il filosofo greco Teofrasto (373‐285 a.C.) che, con le sue opere, fornisce molte informazioni di tipo teorico, non ancora supportate da sperimentazioni scientifiche, sulla morfologia, l’aspetto, la vita di numerose piante, cominciando anche a chiamarle con nomi popolari, espressi da una o più parole (cosa che si è protratta con le stesse modalità fino a Linneo). Con Teofrasto si hanno le prime descrizioni di piante e le prime osservazioni sistematiche con rudimentali “classificazioni”. La botanica non è, però, ancora una scienza autonoma e non compare ancora il concetto di raccolta e conservazione di campioni di piante. La conoscenza delle piante, dopo Teofrasto, è trasferita nel tempo attraverso l’opera di alcuni scienziati e scrittori greci e romani, tra cui spicca il greco Dioscoride (I sec. d.C.), la cui opera De Materia Medica ha costituito fino al XIV secolo il fondamento della botanica. In essa sono descritte, da un punto di vista prettamente farmacologico, circa 600 droghe d’origine vegetale e sono fornite anche informazioni sulle piante da cui si ottengono. In edizioni successive questo testo è corredato d’illustrazioni e costituirà un’opera fondamentale per lo sviluppo delle conoscenze botaniche. Nei primi secoli dopo Cristo e per quasi tutto il Medio Evo, l’interesse scientifico è rivolto verso le piante di uso medicinale, soprattutto per quel che riguarda gli effetti terapeutici. Anche se non si faranno grandi passi avanti sulle conoscenze botaniche, in questo periodo un contributo positivo è dato dall’impatto con la cultura araba. Infatti, alcuni scienziati e filosofi arabi illustrano le proprietà di numerose piante sconosciute all’epoca di Dioscoride. I testi scientifici manoscritti prodotti in merito sono tradotti in latino e diffusi in Occidente. Inoltre, un importante ruolo nella conservazione e divulgazione delle conoscenze botaniche e mediche nel Medio Evo è svolto dai monasteri e centri religiosi. In questi luoghi, i manoscritti sono ricopiati e conservati; inoltre, le piante alimentari e medicinali utili alla comunità monastica sono coltivate all’interno di piccoli giardini (horti conclusi), consentendo anche di fare nuove acquisizioni in merito ad altre piante d’interesse terapeutico. Si sviluppano e si diffondono gli Herbaria, codici‐erbari dipinti che raffigurano le piante d’uso medicinale, ne illustrano le proprietà e ne fanno a volte anche una descrizione. L’iconografia botanica di questi testi è generalmente poco fedele alla realtà e non dà una buona rappresentazione della morfologia delle piante. Inoltre, spesso i disegni sono fantasiosi e riconducono alle proprietà e agli usi delle piante rappresentate. Fino alla fine del XV secolo, lo studio delle piante non è fatto indipendentemente dal loro uso; inoltre, non vi sono scienziati che si occupino esclusivamente dello studio sulla biologia delle specie vegetali, anche nelle nascenti università (tra il XII e il XII secolo). Non esiste ancora l’idea di una raccolta di campioni di piante da organizzare in un erbario. E’ nel XVI secolo che la botanica assume un nuovo ruolo nell’ambito degli studi scientifici, acquisendo l’autonomia di una scienza vera e propria, non necessariamente legata alla medicina e alla farmacologia. Le piante, infatti, sono studiate da un punto di vista morfologico, funzionale, ecologico, per comprenderne i vari aspetti della biologia. Questo è fatto sia direttamente in natura e sia in giardini appositamente allestiti, in modo da consentire l’osservazione delle piante con continuità e per seguirne lo sviluppo e il comportamento nel tempo. Nascono, così, nella metà del 1500, i primi Orti Botanici Universitari in Italia dedicati alla coltivazione delle piante da studiare, che inizialmente sono quelle a uso medicinale. I primi sono l’orto botanico di Pisa, realizzato da Luca Ghini nel 1543, quelli di Padova e Firenze istituiti nel 1545, l’ultimo sempre da Luca Ghini. E’ in questo stesso periodo e in questo clima scientifico‐culturale che nasce e si sviluppa l’idea dell’erbario (hortus siccus) come si intende oggi, costituito da una collezione di campioni di piante, essiccate e pressate, e conservate tra fogli di carta, per un tempo indefinito e in uno spazio piuttosto limitato. Gli erbari permettono, così, lo studio della struttura e della morfologia delle piante in qualsiasi momento, gli scambi scientifici tra le diverse istituzioni e la conservazione di esemplari anche provenienti da luoghi lontani. Questi aspetti danno un impulso forte alla ricerca botanica. Gli erbari più antichi sono stati realizzati nella prima metà del XVI secolo da Luca Ghini e dai suoi allievi e corrispondenti (Ulisse Aldrovandi, Andrea Cesalpino, Gherardo Cibo, Francesco Calzolari, ecc.). Questi erbari costituiscono un’importante testimonianza storico‐scientifica, soprattutto quello di Cesalpino realizzato presumibilmente tra 1555 e il 1563, durante i suoi anni di insegnamento all’Università di Pisa. Mentre negli altri erbari i campioni sono disposti casualmente, senza un ordine preciso, quello di Cesalpino è organizzato secondo un criterio sistematico che tiene in considerazione affinità e differenze tra le piante, caratteri sessuali, sistema che lo studioso svilupperà e pubblicherà nel libro De Plantis Libri XVI (1583). Grande impulso alla produzione degli erbari in Europa si è avuto nei secoli XVII e XVIII anche grazie allo sviluppo delle esplorazioni geografiche cui si associavano esplorazioni naturalistiche e botaniche. Dalle nuove e misteriose terre lontane giungono piante secche e vive che sono studiate da un punto di vista prima di tutto sistematico e poi per la coltivazione a scopo di piante ornamentali o alimentari. Numerosi sono i botanici che si occupano di sistematica utilizzando e realizzando campioni d’erbario dei nuovi reperti. John Ray, J.P. de Tournefort, Linneo sono alcuni tra i più importanti botanici dell’epoca, i cui erbari rappresentano un esempio di prezioso documento storico‐scientifico. Si vuole ricordare principalmente l’erbario di Linneo, conservato presso la Linnean Society di Londra, che raccoglie i tipi linneani e che è tuttora fonte inesauribile per gli studi di carattere tassonomico. In seguito, nel XIX secolo, anche agli studi floristici dei territori nazionali e regionali sono associati gli erbari di riferimento, a testimonianza delle specie presenti nelle varie località, con tutte le diverse informazioni sui campioni e sulle stazioni di raccolta. Erbario oggi Gli erbari sono ancora oggi un importante strumento di lavoro nel campo della sistematica, della tassonomia e degli studi sulla biodiversità. Per restare attuali e per essere valorizzati, nell’era della tecnologia e della comunicazione globale, è fondamentale che le informazioni che essi forniscono (riportati sui cartellini) siano digitalizzate e rese di facile e accessibile fruizione per la comunità scientifica. Un impulso in questo senso è stato dato anche dall’acquisizione, tramite scanner ad alta risoluzione, delle immagini dei campioni d’erbario, in modo che questi possano essere studiati anche a distanza tramite la rete internet. Bibliografia Taffetani F. (a cura di), 2012. Herbaria. Il grande libro degli erbari italiani. Nardini Editore.
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