UNITELNews24 n 79

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n. 79– 28 febbraio 2014
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, lavoro e
previdenza, Pubblica Amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia,
Amministrazione, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
25
inquinamento,
Pubblica
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APPROFONDIMENTI
Appalti
L'HOUSING SOCIALE È CONCESSIONE DI SERVIZI (E SI APPLICANO SOLO I PRINCIPI DEL CODICE)
In tema di raggruppamenti temporanei di imprese, la normativa vigente impone,
limitatamente ai lavori, la corrispondenza solo tra quote di partecipazione al
raggruppamento e quote di esecuzione delle prestazioni, e non anche con i requisiti di
qualificazione in capo a ciascuna impresa raggruppata.
Sotto tutt'altro profilo, la realizzazione di programmi di housing sociale, nella loro
caratterizzazione tipica, configura l'affidamento di una concessione di servizio pubblico. Di
conseguenza, la relativa procedura di gara non deve essere svolta con la necessaria
osservanza di tutte le norme del Dlgs 163/2006 relative agli appalti, ma garantendo
esclusivamente il rispetto dei principi generali in materia di contratti pubblici.
Roberto Mangani, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 12 febbraio 2014
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Appalti
L'AVCP PRENDE POSIZIONE SUGLI INCENTIVI DI PROGETTAZIONE E SOLLECITA IL LEGISLATORE A
CODICE
L’Avcp, con l’atto di segnalazione n. 4 del 25 settembre 2013 manifesta, al Governo e al
Parlamento, la necessità di intervenire sull’annosa questione del riconoscimento o meno
dell’incentivo di cui all’art. 92, comma 6, del Dlgs n. 163/2006, ai professionisti tecnici,
interni, delle amministrazioni pubbliche, anche per la redazione degli atti di pianificazione.
Paola Cosmai, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, febbraio 2014, n. 2
NOVELLARE IL
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Appalti
VERIFICA DEI REQUISITI DI PARTECIPAZIONE ALLE GARE, RIVISTO IL MECCANISMO
Il meccanismo di verifica dei requisiti minimi di partecipazione alle gare previsto
dall'articolo 48 del Dlgs 163/2006 (Codice dei contratti) è stato di nuovo analizzato
dall'Avcp nella determinazione n. 1/2014, dopo che le ultime modifiche normative hanno
reso necessario l'aggiornamento della precedente n. 5/2009.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici recepisce le consolidate acquisizioni
giurisprudenziali e ribadisce la centralità e l'obbligatorietà di tale parentesi procedimentale
per gli affidamenti di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, sia sopra sia sotto soglia
comunitaria, aggiudicati con procedura aperta, ristretta, negoziata, con o senza bando di
gara o con dialogo competitivo.
Maria Luisa Beccaria, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali, 21 febbraio 2014
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Catasto
VALORI DEGLI IMMOBILI AGGIORNATI AI DATI DI MERCATO E SE C'È DISCRASIA SCATTA IL NUOVO
"CLASSAMENTO"
Nel corso del 2013 è stata avviata da vari comuni la revisione del classamento e delle
rendite catastali degli immobili. In collaborazione con l'Agenzia delle entrate-territorio si è
riscontrato il valore catastale rispetto a quello di mercato e, in caso di rilevante discrasia,
l'ufficio ha rettificato classe e/o categoria, notificando al contribuente apposito atto di
accertamento che è giunto in molti casi alla fine dello scorso anno.
Antonio Iorio e Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 15 febbraio 2014, n. 8
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Lavoro, previdenza e professione
I CREDITI CERTI VANTATI NEI CONFRONTI DELLA PA ABILITANO IL DURC
L'Inps ha fornito le istruzioni operative, che si affiancano a quelle del Ministero del lavoro e
dell'Inail, per ottenere, anche in caso di inadempienze contributive, il rilascio del Durc,
purché si possano far valere crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica
amministrazione
(Gabriele Bonati, Il Sole 24 ORE – Guida al ALvoro, 14 febbraio 2014, n. 7)
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Pubblica amministrazione
PAGAMENTI ELETTRONICI: LE REGOLE PER CONCLUDERE L'OPERAZIONE ENTRO IL 2015
L'Agenzia per l'Italia Digitale ha pubblicato recentemente le Linee guida per l'effettuazione
dei pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici
servizi. Il documento si ricollega all'articolo 15, comma 5-bis, del decreto legge 18 ottobre
2012 n. 179, che ha introdotto l'obbligo per le Pa di accettare i pagamenti a qualsiasi titolo
dovuti, anche con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione,
avvalendosi per «le attività di incasso e pagamento della piattaforma tecnologica di cui
all'articolo 81, comma 2-bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e delle
piattaforme di incasso e pagamento dei prestatori di servizi di pagamento abilitati ai sensi
dell'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Guida agli Enti locali, 21 febbriao 2014
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Pubblica amministrazione
PATTO DI STABILITÀ, ALLENTATI I VINCOLI FINANZIARI PER GLI ENTI LOCALI
La Ragioneria generale ha predisposto la consueta circolare che illustra le novità sul patto
di stabilità interno 2014/2016 (derivanti dalla legge 147/2013) e fornisce i necessari
chiarimenti applicativi agli Enti locali. Il documento è certamente utile, perché garantisce
un quadro sistematico e un efficace raccordo tra le diverse disposizioni succedutesi nel
tempo, assicurando una visione d'insieme
Marco Rossi, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali, 21 febbraio 2014
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Pubblico impiego
PARTE LA SPERIMENTAZIONE DELLA BANCA DATI UNIFICATA DEI DIPENDENTI PUBBLICI
L’Istituto di previdenza sociale ha fornito le linee operative per una sperimentazione che
consentirà la verifica della nuova procedura di gestione delle posizioni assicurative e la
messa a punto di eventuali correttivi prima di procedere all’estensione dell’operazione a
tutti i lavoratori del settore pubblico
Nevea Lorenzato, Il Sole 24 ORE - Guida al Pubblico Impiego, febbraio 2014, n. 2
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Pubblico Impiego
PUBBLICO IMPIEGO: COSÌ LA RIFORMA DELL'ETÀ PENSIONABILE
Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, sulla razionalizzazione della Pa, è un provvedimento
omnibus che, oltre a innovare alcuni istituti lavoristici nella pubblica amministrazione, si è
occupato del regime pensionistico dei dipendenti
Guido Canavesi, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 21 febbraio 2014, n. 8
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L’ESPERTO RISPONDE
Appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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1 Appalti
§ Appalti, più vincoli per l'in house
L'affidamento in house trova il suo quadro normativo nella nuova direttiva comunitaria sugli appalti
pubblici, che definisce anche alcune importanti novità nel modello di gestione dei servizi.
L'articolo 12 della direttiva appalti approvata dal Parlamento europeo il 15 gennaio (e di prossima
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale europea) per la prima volta traduce in un dato normativo gli
elementi di principio dettati a suo tempo dalla sentenza Teckal e sviluppati dalla giurisprudenza
della Corte di giustizia, fornendo elementi specificativi dei requisiti di controllo analogo e
dell'attività prevalente a favore dell'ente affidante.
La disposizione stabilisce infatti che non rientra nell'ambito di applicazione del nuovo corpus di
regole per gli appalti un affidamento di servizio tra un'amministrazione aggiudicatrice e una
persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato quando la prima eserciti sulla seconda
proprio un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi.
Rispetto al secondo elemento costitutivo dell'in house, la direttiva introduce la prima novità,
stabilendo che l'attività è prevalente quando oltre l'80% delle attività della persona giuridica
controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione
aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi.
La seconda innovazione rispetto agli orientamenti giurisprudenziali consolidati è data dalla
previsione di un terzo elemento necessario per la definizione del rapporto interorganico, quale
l'assenza nella persona giuridica controllata di partecipazioni dirette di capitali privati, ad eccezione
di forme di partecipazione di capitali privati che non comportino controllo o potere di veto,
prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei Trattati, che non esercitano
un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
La norma permette l'ingresso dei privati negli organismi affidatari in house, a condizione che questi
non possano incidere sulle decisioni strategiche.
Proprio l'affermazione della sussistenza del controllo analogo sulla persona giuridica affidataria da
parte dell'amministrazione quando essa esercita un'influenza determinante sia sugli obiettivi
strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, costituisce il
fondamento anche per l'ulteriore grande novità: il controllo tramite holding. La norma stabilisce
infatti che l'amministrazione può esercitare il controllo sull'organismo affidatario per mezzo di una
persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione
aggiudicatrice.
La disciplina codifica anche la situazione in cui l'organismo affidatario sia partecipato da più enti,
anche con quote minoritarie, determinando la sussistenza del controllo analogo quando questo sia
esercitato in forma congiunta.
La situazione si concretizza quando gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono
composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. La direttiva
definisce per la prima volta anche i parametri per escludere dal suo ambito applicativo le forme di
cooperazione tra amministrazioni pubbliche, quando il contratto definisce un rapporto collaborativo
finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell'ottica
di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune.
Le novità
01 | LA HOLDING
Anche quando l'ente pubblico esercita il controllo sull'affidatario non direttamente ma tramite una
persona giuridica diversa, a sua volta controllata scatta l'obbligo di affidare con gara
02 | PIÙ ENTI
Quando la società affidataria è controllata da più enti, anche con quote minoritarie, se il controllo
analogo è realizzato in forma congiunta scatta la soggezione alle regole europee sugli appalti
(Alberto Barbiero, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2014)
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§ Appalti, nuove correzioni al codice con il decreto Destinazione Italia
Un pacchetto di altre tre modifiche al codice in via diretta e altre attraverso la mediazione di altre
norme. Porta con sé anche questo effetto la pubblicazione in gazzetta ufficiale dellla legge di
conversione del decreto Destinazione Italia (Dl 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014),
insieme a un nutrito pacchetto di novità per imprese e professionisti.
Le modifiche apportate in via diretta al codice dei contratti pubblici riguardano la disciplina del
pagamento dei subappaltatori contenuta nell'articolo 118 del Dlgs 163/2006. La modifica viene
apportata dal l'articolo 13 del Dl 145 /2013. Innanzitutto viene aggiunto un periodo al comma tre
dell'articolo 118 del codice con cui si specifica che in caso di crisi di liquidità dell'impresa principale
(«comprovata da reiterati ritardi nei pagamenti» a valle) la stazione appaltante può procedere al
pagamento diretto dei subappaltatori anche se questa possibilità non era stata espressamente
prevista dal bando. Vengono poi aggiunti altri due commi, allo stesso articolo. Con il primo si tenta
di ampliare le tutele per le imprese in caso di concordato preventivo del soggetto titolare
dell'appalto. La regola vale anche per gli appalti in corso e dà facoltà alle stazioni appaltanti di
pagare direttamente gli altri soggetti che costituiscono l'affidatario, in caso di raggruppamenti,
oltre ai subappaltatori e cottimisti, secondo le determinazioni del Tribunale. L'ultimo comma
aggiunto, infine, stabilisce che in questi casi l'amministrazione deve esporre sul proprio sito
internet la contabilità delle somma liquidate.
Le modifiche indirette riguardano la stipula dei contratti in forma elettronica e lo svincolo delle
garanzie. L'articolo 6 del decreto proroga l'entrata in vigore della disposizione del Codice appalti,
(articolo 11. comma 13) che prevede che i contratti pubblici siano sottoscritti, a pena di nullità, con
atto pubblico notarile informatizzato. In questo modo l'obbligo previsto dal decreto 179/2012, slitta
al 30 giugno 2014 per i contratti stipulati in forma pubblica amministrativa e al primo gennaio 2015
per i contratti stipulati in forma di scrittura privata. Vengono fatti salvi gli accordi e i contratti
stipulati a partire dal primo gennaio 2013 in modo difforme rispetto alle modalità elettroniche, fino
alle date in cui la stipula con le predette modalità diventa obbligatoria. Quanto alle garanzie negli
appalti la novità è prevista dall'articolo 13, comma 11 del decreto con cui si precisa che
l'applicazione delle norme relative al Codice appalti viene estesa anche ai rapporti contrattuali
anteriori all'entrata in vigore del Codice stesso, «ivi compresi i settori cosiddetti esclusi».
Oltre alle correzioni al codice, con la pubblicazione in Gazzetta della legge di conversione del
decreto Destinazione Italia diventano operative una serie di misure con impatto diretto per il
mondo delle costruzioni. Dalle novità sull'abilitazione alla certificazione energetica degli immobili
per gli ingegneri alla cancellazione della nullità delle compravendite effettuate senza attestato di
prestazione energetica (Ape); dalla possibilità di compensare le cartelle esattoriali con i crediti
vantati nei confronti della pubblica amministrazione ai fondi per le infrastrutture.
(Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 25 febbraio 2014)
§ Dl Enti locali decaduto, torna il caos per le imprese specialistiche
Il Governo rinuncia alla battaglia sul Dl enti locali (Dl n. 151/2013). E ritira il decreto, per evitare lo
scontro frontale con Movimento 5 stelle e Lega, che avevano minacciato ostruzionismo al
provvedimento, attualmente all'esame della Camera. Saltano, così, soprattutto le norme che
risolvevano il caos specialistiche e che mettevano una toppa sul buco di bilancio del Comune di
Roma. Anche se la partita non pare destinata a chiudersi così. Il Governo ha già annunciato
l'intenzione di intervenire con un nuovo provvedimento che contenga le misure saltate.
CAOS SPECIALISTICHE
Naufraga la norma che risolveva (almeno temporaneamente) il caos sulla qualificazione delle
specialistiche. Il provvedimento individuava una via d'uscita per la questione nata con il parere del
Consiglio di Stato del giugno scorso, recepito dal Dpr 30 ottobre 2013, che aveva smontato alcune
norme chiave del regolamento appalti, eliminando l'obbligo dell'impresa generale aggiudicataria di
subappaltare alle imprese specialistiche per la quota di lavori specialistici di cui non possiede la
qualificazione. La soluzione prevista nel Dl 151 prevedeva che, non oltre il 30 settembre prossimo,
fossero varate nuove disposizioni sulla materia, mentre nelle more si continuavano ad applicare le
regole previgenti all'annullamento (l'obbligo di subappalto).
Se non ci saranno altri interventi, invece, dal 1° marzo si tornerà al Dpr del 30 ottobre 2013.
L'aggiudicatario di un appalto pubblico qualificato nella categoria prevalente – cioè quella di
importo più elevato fra le categorie di lavori che caratterizzano l'intervento – potrà eseguire
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direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l'appalto e non solo quelle per cui non era
necessario dimostrare la qualificazione.
Salta, con la decadenza del Dl Enti Locali, anche il doppio binario, a seconda che l'impresa generale
affidi in subappalto una percentuale inferiore al 30% dell'importo scorporabile (40% se a
qualificazione obbligatoria) o superiore a questo limite. Una norma malcongegnata che per il
Consiglio di Stato andava eliminata perché "affetta da irragionevolezza".
IL BILANCIO DI ROMA
In pericolo anche il bilancio del Comune di Roma che, a questo punto, avrà bisogno di interventi
urgenti per non rischiare il blocco totale. Le norme del decreto, infatti, permettevano alla Capitale
di scontare 485 milioni dal suo debito. A patto però di impegnarsi in un piano di rientro triennale,
che prevedesse la dismissione delle società partecipate, con l'esclusione di quelle che svolgono
«attività di servizio pubblico», come Acea.
ANAS E RFI
Oltre a questi, saltano due interventi sul fronte delle infrastrutture. Per consentire ad Anas di far
fronte ai pagamenti dovuti, il ministero dell'Economia avrebbe potuto trasferire alla società le
risorse finanziarie disponibili per l'anno 2013 sul relativo capitolo di bilancio. Quanto ad Rfi, per
consentire gli interventi sulla rete, fino a chiusura del contratto di programma 2012-2016, i
rapporti tra Stato e gestore dell'infrastruttura sarebbero stati regolati sulla base del precedente
contratto di programma. Sul fronte dell'Expo 2015 venivano attribuiti 25 milioni di euro come
contributo per le spese per la realizzazione dell'evento.E venivano sbloccati anticipi di liquidità pari
a 300 milioni di euro a favore dei Comuni in dissesto finanziario.
IMMOBILI STATALI
In materia di immobili pubblici, sarebbe stata anticipata dal 31 dicembre al 30 giugno del 2014 la
facoltà di recedere dai contratti di locazione di immobili in corso a favore delle amministrazioni
dello Stato, delle Regioni e degli enti locali. Per agevolare le operazioni di valorizzazione, poi,
veniva autorizzata la spesa di 20 milioni all'anno tra il 2015 e il 2016 a favore dell'Agenzia del
Demanio. Ancora, nel caso di operazioni su immobili pubblici l'attestato di prestazione energetica
poteva essere acquisito dopo gli atti di trasferimento, senza applicare tutte le regole ordinarie sugli
obblighi di allegare il documento.
BONUS MOBILI
Sul fronte dei bonus energetici, infine, veniva rivoluzionato lo sconto fiscale per i mobili.
Cancellando la regola per la quale la relativa detrazione non poteva superare l'ammontare dei
lavori di ristrutturazione. Si tornava, quindi, al vecchio assetto, riportando il bonus al 50%, da
calcolare su un ammontare complessivo non superiore ai 10mila euro.
(Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio)
1 Catasto
§ Pioggia di ricorsi dopo la revisione delle rendite catastali nelle «microzone». A partire
da Roma
Il caos non nasce dal nulla. All'origine della marea di ricorsi presentati in queste settimane a
centinaia di professionisti dell'area capitolina c'è l'esito di una precisa strategia del comune, che ha
scelto di rivolgersi all'Agenzia del territorio (ora inglobata dall'Agenzia delle entrate) per una
revisione totale delle rendite catastali.
La norma di riferimento - A permettere un'azione così radicale è l'articolo 1, comma 335, della
legge 311/2005. Premesso che il territorio di ciascun Comune era stato a suo tempo suddiviso in
"microzone" (settori omogenei per tipologia di edifici, epoca di costruzione e aspetti socio
economici) e che alcune hanno subito un incremento di mercato maggiore rispetto a tutte le altre,
la norma rende possibile procedere alla revisione "massiva" dei classamenti a livello di microzona,
con incremento delle rendite e del gettito Ici e Irpef.
La norma prevede una revisione "parziale" del classamento e può anche essere rivolta solo ad
alcune tipologie (ad esempio solo per le abitazioni o per i negozi o per gli uffici). Nelle grandi città
le microzone sono anche centinaia, mentre nei piccoli comuni sono solo poche unità: ma per
avviare l'operazione ne occorrono però almeno tre. Migliaia di comuni italiani sono quindi esclusi.
Per ciascuna microzona esistente i comuni dovranno fare il rapporto fra il valore medio corrente di
mercato, nel secondo semestre del 2004, per le categorie individuate e il valore medio catastale,
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calcolato ai fini Ici, ricavato dalle tariffe d'estimo vigenti. Se alcune microzone presenteranno un
rapporto di incremento maggiore del 35% rispetto alla media di tutte le altre, si potrà richiedere la
revisione, per le tipologie considerate.
Le revisioni delle zone - La prima esperienza robusta è toccata al comune di Milano, dove gli
scostamenti risultavano tra loro abbastanza omogenei, nelle zone semicentrali e periferiche,
mentre in alcune zone centrali, è scattato il fatidico 35%, specie per le categorie commerciali. Lo
stesso poteva dirsi di Roma (che era stata l'ultima ad avviare la procedura).
In ogni caso circa 75 comuni, dal 2006 in poi, si erano fatti avanti ma solo 17 hanno avviato
davvero la procedura del riclassamento per microzone. E Roma è stato l'ultimo a completarla, lo
scorso ottobre.
Da notare che queste revisioni "massive" sono possibili solo dove ci sono almento tre microzone,
quindi sfuggono tutti i piccoli comuni turistici di grande pregio, come quelli delle Cinque Terre,
Ravello o Cortina d'Ampezzo.
Numerosi, invece, i comuni che hanno seguito un'altra strada, quella del comma 336 della stessa
legge: qui i municipi, circa 1.100 su 8mila, hanno chiesto conto ai cittadini delle differenze fra le
risultanza catastali e la situazione di fatto dell'immobile, come documentata dalle domande di
variazione edilizia in genere consegueti a lavori di ristrutturazione.
Ai molti che si erano dimenticati di denunciare anche al Catasto la variazione è già arrivata la
richiesta del comune. E potrebbe infatti riaprirsi la possibilità, oltre che per l'Ici, anche per l'agenzia
delle Entrate di chiedere l'eventuale Irepf arretrata di cinque anni fin dal momento in cui avrebbero
dovuto fare la denuncia.
La partita dei ricorsi - In ogni caso, ora si gioca la partita dei ricorsi: a Milano non hanno avuto
molto successo ma a Roma la partita è tutta da giocare. Una volta completata l'operazione di
riclassamento, le unità immobiliari sottoposte a revisione si sono trovate iscritte rendite che, nel
migliore dei casi, sono superiori del 35-40% a quella precedente, con analogo incremento delle
imposte sui fabbricati a esse legate: Ici in primo luogo, ma anche Irpef, Ires, imposte indirette di
registro, ipotecarie e catastali nei trasferimenti, imposte sulle plusvalenze per cessioni realizzate
nel quinquennio da privati o nel tempo dalle società.
Il mezzo più diretto per reagire è quello di impugnare l'avviso di classamento presentando ricorso
all'ufficio provinciale dell'Agenzia delle entrate.
I soggetti idonei a svolgere il ruolo di difensore sono: avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e
periti commerciali e per le materie catastali, ingegneri, architetti, geometri, periti edili, dottori
agronomi e periti agrari.
Per limitare le spese di difesa, i contribuenti potrebbero associarsi ad altri condomini, nominando
un solo difensore, ovvero appoggiarsi alle associazioni fra proprietari di casa, che sono numerose.
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE, 11 febbraio 2014)
§ Catasto, riforma a rischio rincari
Dal grande riordino del catasto ci si aspetta, soprattutto, equità. In questa breve parola sta il senso
dell'operazione, che dovrebbe ravvicinare i valori fiscali (dato che istituzionalmente è questo lo
scopo del catasto) a quelli di mercato, o quanto meno partire da questi ultimi per rielaborare i
primi. Eliminando così le sperequazioni tra immobili analoghi ma con con valori catastali
diversissimi o viceversa.
L'impianto della delega per riformare il Catasto prevede che:
- il valore patrimoniale medio dovrà essere stabilito sulla base del valore di mercato, espresso in
metri quadrati e determinato con funzioni statistiche espresse in un algoritmo;
- la rendita catastale (utilizzata attualmente, per esempio, ai fini delle imposte sui redditi) andrà
determinata con metodologie analoghe a quelle usate per il valore ma basata sul valore locativo ed
espressa anch'essa in metri quadrati;
- ai Comuni saranno delegate le funzioni di «revisione degli estimi e del classamento» di cui al Dlgs
112/98;
- sarà ridefinito il sistema delle commissioni censuarie e delle sanzioni catastali;
- le Entrate dovranno partecipare all'elaborazione di piani per lo scambio d'informazione con i
Comuni: l'Agenzia si sostituirà completamente in caso d'inerzia degli enti locali;
- il contribuente potrà ricorrere in autotutela sull'attribuzione delle nuove rendite.
La questione dell'invarianza di gettito, come ha ricordato ieri sul Sole 24 Ore Daniele Capezzone,
presidente della commissione Finanze della Camera che molto si è adoperato per il varo della
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delega, rimane comunque centrale. Ma la verifica puntuale su tutti i Comuni sarà in realtà compito
dei contribuenti, che potranno rilevare aumenti delle imposte e confrontarli con il gettito finale al
netto dei nuovi accatastamenti e fare ricorso per l'annullamento della delibera comunale che fissa
aliquote troppo alte.
Tra l'altro, ben presto si verificherà un altro problema: la base imponibile aumenterà talmente, in
alcuni Comuni, da costringere a una revisione delle aliquote Imu (i limiti minimi di legge che sono,
ricordiamo, il 2 per mille per l'abitazione principale, almeno provvisoriamente fuori gioco, e il 4,6
per mille per gli altri immobili). Dunque, se in un Comune, mediamente, la base imponibile per le
seconde case sale del 150 per cento (come a Bologna), la relativa aliquota (il 10,6 per mille)
dovrebbe calare al 7,06 per mille, cosa impossibile a meno di non abbassare ancora di più le altre
aliquote. Per non parlare delle varie situazioni nelle quali entrano in scena i limiti di reddito entro i
quali viene calcolato il valore catastale (come per l'Isee) o, peggio ancora, la rendita catastale.
Ma quando avverrà questo? Fra non meno di quattro anni, stando alle stime fatte all'inizio della
discussione sulla delega. Anche perché, oltre all'elaborazione degli algoritmi e alla scelta delle case
"campione" su cui tararli, esiste ancora la questione delle mappe catastali mancanti (3-4 milioni).
In teoria sarebbe il contribuente a dover sistemare le cose, fornendo la planimetria al momento in
cui gli arriva una rendita provvisoria. In caso contrario le cose andrebbero per le lunghe, con
accessi diretti e considerevole perdita di tempo e di denaro.
È positivo il giudizio di Confedilizia sulla riforma del catasto prevista nella legge delega. «Va
riconosciuto ai Presidenti delle Commissioni Finanze, Capezzone e Marino - scrive il presidente
Corrado Sforza Fogliani - di essersi impegnati sugli aspetti della trasparenza e della partecipazione
dei cittadini e quindi per assicurare un costruttivo contraddittorio fra le parti sociali interessate. Lo
stesso modo di procedere, ne siamo certi, vorrà seguire l'agenzia delle Entrate/Territorio sia in
sede nazionale, sia locale così che possa nascere un Catasto partecipato».
Il bilancio
FORZA
Alla fine si potrà dire di avere un catasto con valori locativi e patrimoniali che rispecchiano la realtà
e questo servirà, oltre che ai contribuenti, i quali dovrebbero vedere eliminate
le attuali sperequazioni, anche a una maggiore trasparenza
del mercato immobiliare
DEBOLEZZA
Difficile individuare con certezza i tempi di attuazione della riforma, anche perché la revisione non
potrà partire che dopo l'approvazione dei decreti legislativi.
Inoltre, l'invarianza di gettito richiederà molto impegno da parte di tutti perché sia effettiva
COME SI FA OGGI
Dalla tariffa al vano
Il sistema in vigore oggi funziona così: date determinate caratteristiche intrinseche (come quelle
costruttive) ed estrinseche (come la presenza di servizi) l'immobile viene inquadrato all'interno di
una certa categoria e classe catastale.
Si moltiplica, poi, la tariffa d'estimo corrispondente a quella categoria e classe per il numero di
«vani» (cioè una stanza di misura variabile a seconda della provincia o del comune). Il risultato di
"tariffa x vani" è la rendita catastale
DOPO LA RIFORMA
L'algoritmo
Per prima cosa si individuano le microzone, piccole porzioni di territorio comunale con
caratteristiche omogenee. Poi, nell'ambito delle microzone e per ogni tipologia immobiliare
(abitazioni, negozi, eccetera), si troverà il «valore medio di mercato». A questo si applicheranno
dei coefficienti correttivi relativi a ubicazione, epoca di costruzione, grado di finitura, eccetera.
Questi coefficienti funzioneranno sulla base di un'algoritmo che alla fine definirà il valore unitario
del metro quadrato
Le nuove misure
La superficie catastale è determinata per legge.
In base al Dpr 138/98, per la superficie catastale delle unità a destinazione ordinaria si calcolano i
muri interni e perimetrali esterni per intero fino a uno spessore di 50 cm e i muri in comunione al
50% fino a uno spessore di 25 cm. La superficie dei locali principali e degli accessori di altezza utile
inferiore a 1,50 metri non entra nel computo. Scale, rampe, ascensori interni si computano in base
alla loro proiezione orizzontale
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(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 28 febbraio 2014)
1 Edilizia e urbanistica
§ Piano 6.000 campanili, firmato il decreto che assegna 50 milioni a 59 piccoli comuni
Come promesso arriva anche la seconda anticipato dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi,
è arrivata la seconda tranche di finanziamenti al programma "6mila campanili".
A festeggiare sono 59 gli enti locali che hanno bruciato i tempi nel "click day" del 24 ottobre
scorso. L'assegnazione delle risorse è stata sancita dal decreto Infrastrutture del 13 febbraio 2014.
Gli ulteriori 50 milioni sono stati resi disponibili dall'apposito stanziamento previsto dalla legge di
stabilità (27 dicembre 2013, n.147).
Se si eccettuano alcuni enti locali "ripescati" in forza di una riserva con lo scopo di rappresentare
tutti i territori regionali, la nuova tranche di risorse premia i Comuni che hanno "cliccato" nell'arco
di una manciata di secondi: nello spazio di appena 11 secondi (dalle 9.00.22 e le 9.00.32 secondi)
si trovano ben 49 comuni.
Confermato il primato del territorio piemontese, con 9 enti locali, seguito da Veneto (7), Abruzzo e
Lombardia (6 comuni ciascuno). Nella lista figurano, tra gli altri, anche 3 comuni della Sicilia, 2
della Campania e 2 della Calabria. Si tratta delle 3 regioni cosiddette "obiettivo convergenza" sulle
quali è in atto un'operazione più ampia che punta a selezionare dai "parchi progetti" di edilizia
scolastica e 6mila campanili un ampio numero di iniziative cui assegnare i fondi frutto della
riprogrammazione delle risorse comunitarie del ciclo 2007-2013.
Dal comune torinese di Agliè (2.644 abitanti) al comune trentino di Fai della Paganella (898
abitanti). Dalla lista di questi 59 "fortunati" allegata al decreto vede rappresentate quasi tutte le
amministrazioni territoriale con la sola eccezione della provincia di Bolzano.
Anche in questo caso (come nella precedente lista dei primi 115 vincitori indicati nel Dm 470 del 27
dicembre scorso ) colpiscono le consistenti assegnazioni a progetti presentati da piccoli e
piccolissimi enti locali. I casi limite sono rappresentati dal comune bergamasco di Valnegra che
conta 207 abitanti e si è visto assegnare 640mila euro. Nel Lazio c'è poi il comune ciociaro di
Aquafondata (282 abitanti) che ha ottenuto oltre 754mila euro. Il record in Piemonte è quello del
comune torinese di Ronco Canavese (313 abitanti) che ottiene 998mila euro.
Soltanto nove comuni si aggiudicano lo stanziamento massimo di un milione di euro: sono Villa
Minozzo (Re), Orotelli (Nu), Montalbano Elicona (Me), Arrone (Tr), Lettopalena (Ch), Sesto
Campano (Is), Giucugnano (Lu), Ruvo del Monte (Pz) e Acquacarica del Capo (Le).
Un solo comune, invece, si è visto assegnare il minimo importo consentito, di 500mila euro: il
Comune sardo di Bonorva (Sassari), di 3.669 abitanti.
Le tipologie di opere finanziate. Anche in questa seconda tornata di finanziamenti emerge una
ristretta quota di iniziative legate alla tutela e salvaguardia del territorio, che vedono solo 3
progetti finanziati. Le richieste pervenute (e finanziate) in maggior numero sono invece quelle che
attengono alla realizzazione e manutenzione di piccole opere stradali e di reti (telematiche, Ngn,
wi-fi).
(Massimo Frontera, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 14 febbraio 2014)
§
Bonus antisismico con «titoli» pesanti - Permesso di costruire o super-Dia per
ottenere la detrazione del 65% fino a 96mila euro
La possibilità di detrarre dall'imposta lorda il 36% delle spese per misure antisismiche era già
contemplata dall'articolo 16-bis del Tuir, inserito nel Testo unico dal Dl 201/2011. Si tratta, in
particolare, degli interventi previsti dalla norma al comma 1, lettera i), relativi all'esecuzione di
opere per la messa in sicurezza statica, sulle parti strutturali degli edifici, per la redazione della
documentazione obbligatoria necessaria per comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio,
nonché per la realizzazione degli interventi necessari al rilascio di questa documentazione. Per
questa tipologia di interventi l'articolo 16 del Dl 63/2013 – come modificato dalla legge di stabilità
147/2013 – ha innalzato l'entità della detrazione al 65% fino a una spesa massima di 96mila euro
per unità immobiliare, per le spese sostenute entro il 31 dicembre di quest'anno (per gli anni a
venire, si veda l'articolo in basso).
Dall'incrocio delle due previsioni il riconoscimento della detrazione potenziata al 65% risulta
assoggettato ad alcune limitazioni.
1) Innanzitutto questo si riferisce ai soli interventi le cui procedure autorizzatorie siano state
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attivate dopo il 4 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge 90/2013 (di conversione del Dl
63).
2) In secondo luogo la disposizione del 2013 non trova applicazione per l'intero territorio nazionale,
poiché riguarda solo le opere eseguite sugli edifici ricadenti nelle zone sismiche a pericolosità alta o
media (zone 1 e 2) di cui all'ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20
marzo 2003.
3) Inoltre, non ogni tipologia di lavori potrà fruire dei benefici fiscali. L'articolo 16-bis, infatti,
prende in considerazione soltanto l'adozione di misure antisismiche e l'esecuzione di opere per la
messa in sicurezza statica da realizzarsi «sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici
collegati strutturalmente e comprendere interi edifici».
4) Infine il beneficio è riconosciuto solo per gli interventi riguardanti edifici destinati ad attività
produttive o ad abitazione principale del contribuente.
I titoli abilitativi ammessi
Dovendo riguardare le «parti strutturali», la tipologia delle opere va a inquadrarsi tra gli «interventi
di ristrutturazione edilizia», (articolo 3, comma 1, lettera d), Dpr 380/2001), il cui titolo abilitativo
sarà il permesso di costruire o, se prevista dalla normativa regionale, una super-Dia.
Andrà quindi tendenzialmente escluso il riconoscimento del beneficio per le opere riconducibili agli
«interventi di restauro e di risanamento conservativo» (articolo 3, comma 1, lettera c), Dpr
380/2001). D'altro canto è la stessa rubrica dell'articolo 16 a fare esplicito riferimento alla
«ristrutturazione edilizia», contribuendo a chiarire l'ambito di operatività della norma. Ulteriore
aspetto problematico è quello collegato al concreto avvio delle procedure autorizzatorie e ai limiti
temporali entro cui le spese devono essere sostenute per fruire della maggiore detrazione.
Interventi su interi edifici
La norma non consente di intervenire sulle parti strutturali della singola unità immobiliare, che
viene presa in considerazione unicamente per determinare l'ammontare massimo della detrazione,
ma solo sull'intero edificio o su complessi di edifici collegati. Pertanto, salvo i casi in cui l'immobile
appartenga a un unico soggetto, sarà indispensabile il coinvolgimento dei vari comproprietari o dei
condomini che dovranno deliberare, con i quorum costitutivi e deliberativi ex articolo 1136 Codice
civile, sull'esecuzione o meno dell'intervento, sull'eventuale acquisizione di progetti di massima e
preventivi da varie imprese, sull'individuazione del professionista cui affidare la progettazione e la
direzione dei lavori, sulla costituzione obbligatoria del fondo speciali previsto dall'articolo 1135
Codice civile.
Non va poi trascurato che nell'ipotesi in cui gli edifici ricadono nei centri storici (zone A), gli
interventi potranno essere soltanto realizzati«sulla base di progetti unitari e non su singole unità
immobiliari», il che lascia intravvedere la necessità della preventiva predisposizione e approvazione
di un piano attuativo, con ulteriore dilatazione dei tempi necessari al concreto avvio delle opere..
LA PAROLA CHIAVE: Zonazione sismica
In applicazione dell'articolo 93, Dlgs 112/98, l'ordinanza
n. 3274/2003 ha fornito alle Regioni i criteri generali di classificazione sismica (macrozonazione) e
la predisposizione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche. Tutti i Comuni italiani
sono stati classificati in quattro categorie di sismicità: zona 1, alta; zona 2, media; zona 3, bassa;
zona 4, molto bassa. Anche in quest'ultima zona le Regioni hanno facoltà di prescrivere l'obbligo
della progettazione antisismica.
Le pronunce
01|REATI SENZA ESTINZIONE
In tema di contravvenzioni antisismiche, i reati previsti dagli articoli 93 e 94 del Dpr 380/01
(interventi edizili senza deposito del progetto e autorizzazione regionale, ndr) sono reati
permanenti, in quanto il primo permane sino a quando chi intraprese l'intervento edilizio in zona
sismica non presenta la relativa denuncia con l'allegato progetto (o non termina l'intervento) e il
secondo sino a quando chi intraprende l'intervento edilizio in zona sismica lo termina od ottiene
l'autorizzazione
Cassazione pen., n. 27260/2012
02|LA COMPATIBILITÀ
Il reato previsto dall'articolo 95 del Dpr n. 380/2001 si perfeziona con l'inizio di esecuzione delle
opere: è irrilevante il giudizio di compatibilità dei manufatti realizzati con le cautele antisismiche di
legge
Cassazione pen., n. 7893/2012
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03|GLI INTERVENTI MINORI
Ricorre il reato antisismico nel caso di opere realizzate nelle zone sismiche senza adempimento
dell'obbligo di denuncia e di presentazione dei progetti allo sportello unico (articolo 94, Dpr
380/2001) e senza la preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione,
a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture. In applicazione di tale
principio, la Corte ha disatteso la tesi difensiva fondata sulla natura marginale degli interventi e
sull'esigua entità degli stessi
Cassazione pen., 30224/2011
04|LA PRESCRIZIONE
Il termine di prescrizione delle contravvenzioni di omessa denuncia di inizio lavori in zona sismica,
e di esecuzione dei medesimi in assenza di autorizzazione, decorre dalla data di inizio dei lavori
Cassazione pen., 23656/2011
05|ZONE A BASSO RISCHIO
Il reato di omessa denuncia lavori in zona sismica (articolo 93 del Dpr 380/2001) è configurabile
anche in caso di esecuzione di lavori in zona inclusa tra quelle a basso indice sismico
Cassazione pen., n. 22312/2011
06|L'ECCEZIONE
Fatta eccezione per le opere di manutenzione ordinaria, ogni intervento edilizio in zona sismica,
comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio armato, deve essere
previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire i preventivi controlli e necessita
del rilascio del preventivo titolo abilitativo
Cassazione pen., 34604/2010
(Donato Antonucci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2014)
§ Autorizzazione sismica secondo le norme regionali
Per l'esecuzione di lavori in zona sismica non è sufficiente il solo titolo abilitativo edilizio, ma è
indispensabile la preventiva denuncia dell'intervento che si intende realizzare e il rilascio della
specifica autorizzazione, come previsto dagli articoli 93 e 94 del Dpr n. 380/2001. Gli obblighi di
denuncia e autorizzazione, come chiarito dalla Cassazione penale, sussistono anche nelle zone a
basso rischio sismico (n. 22312/2011) e a prescindere dall'entità delle opere e della natura dei
materiali impiegati (n. 30224/2011), e la loro violazione configura un reato contravvenzionale
istantaneo a effetti permanenti (n. 27260/2012, n. 23656/2011 e n. 35912/2008). L'unica
eccezione è costituita delle opere di manutenzione ordinaria (n. 34604/2010).
L'impossibilità di prescindere dall'autorizzazione è stata sancita anche dalla Consulta (n.
182/2005), che ha dichiarato incostituzionale una norma della Regione Toscana (articolo 105,
comma 3, legge regionale n. 1/2005), nella parte in cui non disponeva che – per gli interventi in
zona sismica – non si potessero iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del
competente ufficio tecnico della Regione.
La non derogabilità delle previsioni del Dpr n. 380/2001 da parte delle Regioni, incluse quelle a
statuto speciale, è stata recentemente riaffermata sempre dalla Cassazione penale (n.
16182/2013), che ha ribadito come la disciplina edilizia antisismica e delle costruzioni in
conglomerato cementizio armato, attiene alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante
nella competenza esclusiva dello Stato ex articolo 117, comma 2, della Costituzione.
Alle Regioni spetta comunque la competenza autorizzatoria, che è stata generalmente delegata in
tutto o in parte alle Province o, in alcuni casi, ai Comuni, come per la Campania, che ad essi ha
assegnato il rilascio delle autorizzazioni sismiche per manufatti privati fino a 10,50 metri di altezza.
La domanda per ottenere l'autorizzazione sismica, anche insieme a quella per il permesso di
costruire, viene presentata allo Sportello unico per l'edilizia del Comune competente per territorio,
ove istituito, o all'ufficio tecnico comunale, oppure al Suap, per gli edifici destinati ad attività
produttive.
All'istanza va allegato il progetto esecutivo riguardante le strutture, il cui contenuto minimo è
stabilito dalle singole Regioni, ma che andrà comunque redatto in conformità alle norme tecniche
per le costruzioni (Dm 14 gennaio 2008) e a quanto stabilito dall'articolo 93 del Dpr n. 380/2001. Il
progetto dovrà pertanto essere accompagnato da adeguate planimetria, piante, prospetti e sezioni,
nonché da una relazione tecnica, dal fascicolo dei calcoli delle strutture portanti, sia in fondazione
sia in elevazione, e dai disegni dei particolari esecutivi delle strutture. Andrà inoltre allegata «una
relazione sulla fondazione, nella quale devono essere illustrati i criteri seguiti nella scelta del tipo di
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fondazione, le ipotesi assunte, i calcoli svolti nei riguardi del complesso terreno-opera di
fondazione».
Sui siti istituzionali, anche in ossequio alle recenti disposizioni in tema di trasparenza
amministrativa, devono comunque essere pubblicati sia i modelli di domanda che l'elenco della
documentazione necessaria.
(Donato Antonucci, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2014)
1 Immobili
§ Affitto o acquisto: cinque strumenti per le fasce deboli
È ampia la gamma degli strumenti per aiutare famiglie e persone singole a risolvere il problema
della casa. Alcuni di questi strumenti sono un'eredità di precdenti Governi, ma privi di dote. Ma vi è
anche qualche nuovo utensile, ancora, però, da mettere all'opera. L'ultimo, in ordine di tempo è il
Plafond casa, pensato per rendere più fluida da parte delle banche la concessione di mutui per
l'acquisto dell'abitazione. Ancora allo studio, poi, l'incremento del Fondo per il sostegno alle
abitazioni in affitto.
La gran parte di questi fondi è nata di recente, nell'imminenza della crisi economica (o quando essa
era esplosa), che ha aggravato la condizione di disagio abitativo, coinvolgendo soggetti in
precedenza non toccati.
L'affitto
Fa eccezione il fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in affitto, istituito dalla legge
431/1998, per dar un contributo monetario alle famiglie a basso reddito. Questo non ha mai potuto
esplicare a pieno la sua efficacia per la carenza di risorse di cui ha sofferto fin dai primi anni, che
furono anche quelli con i maggiori stanziamenti (oltre 300 milioni di euro in ognuno dei primi tre
anni). La legge di stabilità 2012 ha cancellato addirittura lo stanziamento. Meritoriamente, il
Governo in carica sta cercando di rimettere in pista questo strumento, ma i 50 milioni già stanziati
per il 2013 e il 2014 - anche se dovessero diventare 100 per ogni anno come prevede la bozza del
decreto Lupi sul disagio abitativo - sarebbero sufficienti solo per le situazioni di più grave
emergenza.
Sempre sul fronte dell'affitto è stata introdotta di recente la maggiore novità, con la creazione di
uno strumento per fronteggiare l'emergenza sfratti che sta accompagnando la perdita di lavoro e di
reddito che impedisce a famiglie che l'avevano sempre fatto di continuare a pagare i canoni: il
fondo per gli inquilini morosi incolpevoli.
L'acquisto
Un fondo con una ricca dotazione ma una scarsa efficacia è quello che dovrebbe aiutare ad
acquistare una casa le giovani coppie, le mamme e papà che crescono da soli i figli minorenni e i
giovani single. Dispone di 60 milioni di euro, ma ne sono stati impegnati talmente pochi (si veda la
scheda a fianco) che stupisce il fatto che di recente ne sia stata aumentata la sua dotazione. La
fideiussione di 75 mila euro che le giovani coppie possono ottenere dal fondo non è, probabilmente,
sufficiente alle banche per concedere i mutui, ma soprattutto non aiuta, chi fa il mutuo, a pagare le
rate.
Al contrario, un buon salvagente si sta rivelando la misura che permette ai mutuatari di
interrompere per 18 mesi il pagamento di una parte degli interessi delle rate del mutuo, nei casi in
cui essi incorrono in un evento indipendente dalla loro volontà (perdita di lavoro, morte del titolare
del mutuo) che riduce la loro capacità economica.
Anche il Governo Letta si è mosso sul versante della proprietà. Con il "Plafond casa", la Cassa
depositi e prestiti mette a disposizione delle banche due miliardi di euro per concedere mutui non
solo per l'acquisto dell'abitazione principale ma anche di seconde case. Un altro investimento
rilevante, 600 milioni di euro in tre anni, è poi costituito dal Fondo con il quale garantire il 50%
dell'importo dei mutui accesi per comprare una prima casa. È una puntata coraggiosa su un
strumento -la fideiussione- già sperimentato senza lode (e senza infamia) con il fondo per le
giovani coppie.
I tempi
I risultati delle politiche dipendono anche dalla tempestività di attuazione. Passarono ben due anni
e mezzo tra l'approvazione delle leggi e l'emanazione dei regolamenti di attuazione dei fondi per la
casa alle giovani coppie e per la sospensione delle rate dei mutui.
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Sono passati quasi sei mesi dall'emanazione del decreto legge che ha istituto il fondo
(emergenziale) per gli inquilini morosi incolpevoli, ma questo non è ancora entrato in funzione.
Anche per rendere operativo il fondo dei 600 milioni occorrono uno o più decreti ministeriali: se con
esso si vuole dare una mano a far ripartire il mercato della casa, una lunga attesa non aiuta.
La mappa delle iniziative
SOLIDARIETÀ PER L'ACQUISTO
Come funziona
Il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa previsto dalla legge 244/2007,
articolo 2 comma 475 offre la possibilità al mutuatario che è licenziato da un lavoro subordinato o
parasubordinato, agli eredi del mutuatario o a chi è stato colpito da un handicap grave o
un'invalidità superiore all'80%, di chiedere la sospensione, per 18 mesi, del pagamento della parte
degli interessi dovuti all'applicazione del tasso base (Irs o Euribor) delle rate del mutuo, di cui
continua a pagare la quota capitale e gli interessi dovuti all'applicazione dello spread.
L'ammissione al fondo è riservata ai proprietari di abitazioni principali, che abbiano contratto un
mutuo, in ammortamento da almeno un anno, di importo non superiore a 250.000 euro; il valore
della loro Isee (indicatore della situazione economica equivalente) non deve superare i 30.000
euro.
Il bilancio
Inizialmente il fondo fu dotato di dieci milioni di euro per ognuno degli anni 2008 e 2009; per il
2012-2013 sono stati aggiunti 20 milioni (Dl 201/2011); altri 20 milioni per il 2014 e altrettanti per
il 2015 (Dl 102/2013).
Fino al 21 gennaio scorso, erano stati accantonati circa 38 milioni di euro, ammettendo ai benefici
del fondo 18.977 mutuatari (ne avevano fatto richiesta circa 10 mila in più). Quasi per il 90%
ne hanno beneficiato soggetti che hanno perduto il lavoro,
con un costo medio massimo per l'erario intorno ai duemila euro. Lombardia, Lazio, Sicilia,
Campania e Emilia-Romagna sono le regioni con il maggior numero di beneficiari.
MOROSITÀ INCOLPEVOLE
Come funziona
Con la crisi economica un numero rilevante di inquilini che avevano sempre pagato l'affitto
puntulamente ora non è più in grado di farlo. Sono stati definiti "inquilini morosi incolpevoli", e
rischiano di essere sfrattati. Per contribuire ad evitarlo è stato istituito, presso il Ministero delle
infrastrutture, un fondo. L'articolo 6, comma 5 del Dl 102/2003 ne ha delineato le finalità e alcune
caratteristiche di massima.
Il fondo erogherà un contributo per evitare che si aggravi la situazione abitativa delle famiglie a cui
si è ridotto il reddito a causa delle difficoltà insorte sul lavoro o nell'attività economica. Ne potranno
beneficiare solo gli inquilini che occupano un alloggio situato in uno dei Comuni ad alta tensione
abitativa. Non in tutti però, ma solo in quelli che, già prima dell'istituzione del fondo, avevano
autonomamente emanato bandi o avviato altre iniziative per aiutare gli inquilini morosi incolpevoli.
Il bilancio
Il Fondo non è ancora operativo. Un decreto interministeriale darà la definizione ufficiale
di inquilino moroso incolpevole (alla quale tutti i Comuni dovranno attenersi), dettaglierà gli altri
requisiti per l'accesso ai contributi e stabilirà anche le modalità per l'erogazione. Il fondo ha una
dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
Le risorse saranno ripartite tra le Regioni (che a loro volta dovranno distribuirle ai Comuni),
privilegiando quelle che hanno già norme per intervenire in queste situazioni.
GIOVANI COPPIE
Come funziona
Per aiutare le giovani coppie ad ottenere dalle banche un mutuo per l'acquisto della prima casa, nel
2008 fu istituito uno speciale fondo (articolo 13, comma 3-bis, Dl 112/2008 ).
Esso non eroga finanziamenti ma rilascia alla banca una garanzia fideiussoria: se il mutuatario non
paga le rate, ci pensa il fondo. Almeno in parte. La garanzia del fondo copre, infatti, il 50% del
capitale e degli interessi che il mutuatario non riesce più a pagare, entro il tetto di 75mila euro. Il
tasso di interesse applicato ai mutui non è agevolato.
L'accesso al fondo è riservato alle giovani coppie, ai nuclei familiari monogenitoriali con figli minori,
e, con una recente apertura, anche ai single con un rapporto di lavoro atipico.
L'età non deve superare i 35 anni e l'Isee i 40.000 euro.
L'abitazione da acquistare non deve essere di lusso e non più grande di 95 metri quadrati.
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Il bilancio
La dotazione finanziaria iniziale di 50 milioni di euro, è stata recentemente incrementata di 10
milioni per il 2014 e per il 2015 (Dl 102/2013). Si possono garantire mutui per 600 milioni di euro
(700 il prossimo anno). Solo una piccola parte
di questa potenzialità risulta utilizzata.
Dal momento in cui il fondo divenne operativo (31 agosto 2010) al 31 dicembre dello scorso anno
le domande ammesse sono state 301, per un importo di mutui richiesti
di circa 34 milioni di euro;
le operazioni perfezionate sono state 176 per un controvalore di poco più di 20 milioni di euro.
Finora le banche non hanno chiesto di incassare nessuna garanzia.
GARANZIA PRIMA CASA
Come funziona
Con il riordino del sistema delle garanzie per l'accesso
al credito delle imprese e delle famiglie, previsto dall'articolo 1 comma 46 della legge 147/2013
(legge di stabilità per il 2014), è stato istituito, presso il Ministero dell'economia, anche un Fondo di
garanzia per la prima casa. Avrà una dotazione complessiva di 600 milioni
di euro, che si formerà con versamenti di 200 milioni all'anno nel triennio 2014-2016. Saranno
impiegati per concedere garanzia -nella misura del 50% del capitale- sui mutui ipotecari concessi
per l'acquisto, la realizzazione di interventi di ristrutturazione e l'aumento degli standard energetici
degli immobili da adibire ad abitazioni principali. Priorità sarà data alle richieste delle giovani
coppie, delle famiglie mono genitoriali con figli minori, dei giovani con meno di 35 anni e con un
lavoro precario (sono gli stessi soggetti ora ammessi al fondo per le giovani coppie, la cui
operatività dovrebbe cessare quando entrerà in funzione il nuovo strumento).
Il bilancio
Occorrerà aspettare l'emanazione dei decreti ministeriali con le norme di l'attuazione per capire
come opererà la garanzia non solo sui singoli mutui ma anche su "portafogli di mutui ipotecari"
relativi ad immobili che dovrebbero essere sempre destinati ad abitazione principale; con quegli
atti si specificheranno, probabilmente, anche le implicazioni della previsione secondo cui gli
interventi del fondo «sono assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza».
FONDO SOCIALE PER L'AFFITTO
Come funziona
Nel 1998 la legge 431, che riformò il regime dei contratti di locazione per le abitazioni, istituì il
Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in affitto, con lo scopo di alleggerire la
pressione del pagamento dell'affitto sui portafogli delle famiglie più a basso reddito.
I finanziamenti del fondo vengono ripartiti tra le Regioni: premiate quelle che alle risorse statali ne
aggiungono di proprie. Operativamente lo strumento è in mano ai Comuni: ad essi il cittadino deve
presentare la domanda per il contributo.
L'importo massimo del contributo deve essere tale da ridurre l'incidenza del canone annuo sul
reddito della famiglia a non più del 14 per cento, nel caso di nuclei con un imponibile non superiore
a due volte il valore di una pensione sociale Inps, e del 24% per quelli il cui reddito imponibile non
eccede l'importo oltre il quale non si può concorrere all'assegnazione di una casa popolare.
Il contributo per gli inquilini più poveri teoricamente può raggiungere i 3.100 euro circa e per i
meno poveri i 2.325.
Nei fatti le cifre incassate dagli inquilini sono sempre state molto al di sotto di questi tetti massimi,
per la cronica e crescente carenza di stanziamenti attribuiti al fondo.
Il bilancio
Dopo due anni nei quali lo stanziamento è stato cancellato, con il decreto legge 102/2013, sono
stati ora previsti 50 milioni per quest'anno e altrettanti per il prossimo (equivalenti a circa un
settimo del primo stanziamento nel 1999).
(Raffaele Lungarella, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 3 febbraio 2014)
§ I chiarimenti del Notariato sui trasferimenti immobiliari
Il Consiglio nazionale del notariato, con lo studio 1011-2013/T, approvato il 13 dicembre scorso, ha
fornito importanti chiarimenti in merito alla nuova disciplina della tassazione indiretta dei
trasferimenti immobiliari, entrata in vigore il 1° gennaio di quest’anno.
Imposta di registro con tre aliquote: 2, 9 e 12 per cento. L’articolo 10 del Dlgs 23/2011, modificato
dall’articolo 26, comma 1, del Dl 104/2013, ha sostituito completamente l’articolo 1 della tariffa,
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parte prima, allegata al Dpr 131/1986 (Testo unico dell’imposta di registro, Tur), che dal 1°
gennaio 2014 prevede le seguenti aliquote dell’imposta di registro: 9% per gli atti traslativi a titolo
oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali
immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di
espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi; 2% se il trasferimento ha per oggetto
case di abitazione, a eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le
condizioni di cui alla nota II-bis). Inoltre, la legge di stabilità 2014 ha aggiunto direttamente
nell’articolo 1, comma 1, della predetta tariffa l’aliquota del 12% per gli atti di trasferimento aventi
a oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e
dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale
(articolo 1, comma 609, della legge 147/2013).
Tassazione minima riferita al singolo negozio, anche con più beni. Uno dei punti più interessanti
dello studio del Notariato riguarda la disposizione di cui all’articolo 10, comma 2, del Dlgs 23/2011,
in base al quale l’imposta di registro, comunque, non può essere inferiore a 1.000 euro. Da taluni
era stato osservato, in proposito, che tale norma, essendo inserita nel corpus del decreto del 2011,
modificativo dell’articolo 1 della tariffa, non avrebbe avuto riflessi sulla disposizione introdotta dalla
legge di stabilità 2014, in materia di trasferimento di terreni soggetti all’aliquota del 12%, giacché
essa era stata inserita direttamente nella tariffa, senza “transitare” dall’articolo 10 del Dlgs
23/2011, modificativo della stessa tariffa e contenente anche la disposizione di cui al comma 2,
relativa all’imposta minima pari a 1.000 euro. Il Notariato ha evidenziato, però, che
un’interpretazione letterale di questo genere comporterebbe criticità a livello di impostazione
sistematica della nuova disciplina e, pertanto, deve ritenersi che, invece, la soglia minima di
tassazione pari a 1.000 euro sia sempre applicabile in relazione a tutte le fattispecie di
trasferimento contemplate nell’articolo 1, comma 1, della tariffa allegata al Tur. Peraltro, il
Consiglio nazionale ha precisato che tale imposta minima trova applicazione non solo nel caso di un
unico negozio traslativo a titolo oneroso avente a oggetto uno o più beni soggetti alla medesima
aliquota, ma anche riguardo a un negozio che contenga più beni soggetti ad aliquote diverse: in
sostanza, nel caso di acquisto di più beni immobili soggetti ad aliquote proporzionali diverse, non
saranno dovuti 1.000 euro per ogni bene, ma l’imposta di registro sarà pari alla somma degli
importi dovuti per ciascun bene nella misura minima complessiva di 1.000 euro.
Soglia di sbarramento verso il basso a 1.100 euro. Il comma 3 del già citato articolo 10 stabiliva
originariamente che gli atti assoggettati all'imposta di registro e tutti gli atti e le formalità
direttamente conseguenti posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto e i registri
immobiliari sarebbero stati esenti dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale, dai
tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie. Su tale disposizione, però, è intervenuto l’articolo
26, comma 1, del Dl 104/2013, che, pur lasciando l’esenzione dall'imposta di bollo, dai tributi
speciali catastali e dalle tasse ipotecarie, ha nuovamente reintrodotto l’assoggettamento di tali atti
di trasferimento alle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna, sempre a
decorrere dal 1° gennaio 2014. Il Notariato ha puntualizzato, in proposito, che, alla luce di tali
modifiche e stante quanto sopra esposto in relazione alla misura minima dell’imposta di registro
pari a 1.000 euro, i negozi traslativi a titolo oneroso di beni immobili risultano oggi incisi in misura
pari almeno a 1.100 euro, che rappresenta una sorta di sbarramento verso il basso utilizzabile con
riferimento alle varie fattispecie del più volte richiamato articolo 1, comma 1, della tariffa allegata
al Tur.
Salve le agevolazioni per la piccola proprietà contadina. Il Consiglio nazionale si è occupato anche
di un’altra disposizione problematica della nuova disciplina, ovvero l’articolo 10, comma 4, del Dlgs
23/2011, come modificato dall’articolo 1, comma 608, della legge di stabilità 2014, che stabilisce la
soppressione di tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi speciali, a
eccezione di quelle per la piccola proprietà contadina (Ppc) di cui all'articolo 2, comma 4-bis, del Dl
194/2009. Secondo il Notariato, non sarebbe ragionevole ritenere che la disposizione operi un
taglio lineare dei regimi agevolativi, senza alcuna valutazione di merito degli interessi tutelati nei
vari casi. Pertanto, in base a tale interpretazione, sarebbero comunque salve le norme agevolative
in materia di trasferimenti immobiliari che trovano causa negli accordi di divorzio o separazione ex
articolo 19 della legge 74/1987, nonché quelli conseguenti ad accordi di mediazione ex articolo 17
del Dlgs 28/2010.
(Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 11 febbraio 2014)
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§ Affitto
in contanti sotto mille euro - Per la tracciabilità è ritenuta sufficiente una
ricevuta del proprietario
Il dipartimento del Tesoro vanifica la legge di stabilità in merito alla tracciabilità dei canoni di
locazione per le abitazioni. È questo, in sintesi, quanto affermato dal ministero, direzione V prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario per fini illegali, nella nota prot. DT 10492 del 5
febbraio 2014.
Alcune perplessità erano infatti sorte sulla corretta interpretazione dell'articolo 1, comma 50 della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 ("legge di stabilità), entrato in vigore il 1° gennaio 2014. Secondo
il comma 50, infatti, «i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative sono corrisposti
obbligatoriamente, quale ne sia l'importo, in forme e modalità che escludano l'uso del contante e
ne assicurino la tracciabilità». La legge di stabilità, in sostanza, pare imporre l'uso di mezzi di
pagamento tracciabili in caso di corresponsione dei canoni di locazione delle abitazioni (esclusi gli
alloggi di edilizia residenziale pubblica), a prescindere dall'importo del canone stesso, sia esso pari
a 50 euro, 90 o 2mila euro.
Il Tesoro, con la nota, ribalta le previsioni del comma 50. In primo luogo, il dicastero sottolinea
come, ai fini dell'irrogazione delle sanzioni comminate ai fini del decreto antiriciclaggio, rilevi
unicamente il limite dei mille euro stabilito dall'articolo 49 del Dlgs 231/07. In sostanza, nessuna
sanzione potrebbe comunque essere irrogata al conduttore che paga un canone di locazione in
contanti per una somma comunque inferiore ai mille euro; ciò perché il decreto antiriciclaggio
prevede una sanzione amministrativa dall'1 al 40% della somma trasferita soltanto in capo a chi
trasferisce denaro contante o titoli al portatore in euro o valuta estera sopra la soglia di 999,99
euro. Poiché il legislatore ha previsto esclusivamente questa sanzione e poiché nessuna sanzione è
applicabile in caso di violazione dell'articolo 1, comma 50 della legge di stabilità, secondo il
ministero, quest'ultima non prevede un vero e proprio obbligo di utilizzo di mezzi di pagamento
differenti dal contante per la corresponsione dei canoni sotto soglia. La ratio legis sottesa alla legge
di stabilità, invero, è da rinvenirsi - secondo il Tesoro - nella necessità di arginare fenomeni di
impiego, occultamento o immissione nel sistema economico di risorse di provenienza illecita, così
abbattendo il rischio insito nella velocità di circolazione del contante e nella difficoltà di ricondurre
inequivocabilmente il contante utilizzato nella transazione ad un soggetto determinato. Tale finalità
di conservare traccia delle transazioni in contante, come può accadere per quelle che intercorrono
giornalmente fra locatore e conduttore, può ritenersi soddisfatta, continua il ministero, fornendo
una semplice prova documentale, comunque formata, purché chiara, inequivoca e idonea ad
attestare l'avvenuto pagamento in contanti del canone di locazione.
L'attestazione, in pratica individuabile in una semplice ricevuta di pagamento, basterebbe anche a
garantire alle parti le agevolazioni e le detrazioni previste dalla legge. Pare che i chiarimenti forniti,
più che fugare legittimi dubbi interpretativi, oltrepassino le finalità insite nell'articolo 1, comma 50
della legge 147/2013. Se prima della nota ministeriale il comma 50 pareva derogare all'articolo 49
del decreto antiriciclaggio prevedendo un vero e proprio obbligo di tracciabilità per la
corresponsione dei canoni di locazione abitativa, a prescindere dalla somma oggetto di
trasferimento, ci si chiede se la nota non si ponga in contrasto con le finalità di abbattere i rischi
sottesi alla velocità di circolazione del contante, richiamati dallo stesso ministero.
(Ranieri Razzante, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 14 febbraio 2014)
§ «Ape», cronaca di un ingorgo normativo
Tutti i "passaggi" per ricostruire gli obblighi legati all'Ape. Va infatti segnalato che la disciplina in
questione è stata conservata tale e quale non solo sotto il profilo letterale ma anche strutturale,
poiché l'enunciato dell'articolo 6 del decreto legislativo 192/2005 risulta ora costituito dal solo
comma 3.
Le norme che restano - La legge 9/2014 ha infatti inserito in sede di conversione del decreto
legge n. 145/2013, il comma 7-ter che ha eliminato l'ambiguo riferimento al comma 3-bis del
decreto legislativo 192/2005 che era stato introdotto nel decreto legge 63/2013, dal comma 139
dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013 n. 147 («Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - c.d. Legge di stabilità», in "Gazzetta Ufficiale" 27 dicembre 2013
n. 302, supplemento ordinario).
L'articolo 1, comma 139, lettera a) della legge di Stabilità, infatti, non modificava direttamente il
Dlgs 192/2005 contenente la disciplina sulla certificazione energetica, ma interveniva sul decreto
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legge 4 giugno 2013 n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90) il
quale, a sua volta, aveva modificato il decreto legislativo 192/2005 inserendovi il comma 3-bis, che
era del seguente tenore: «l'attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di
vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena
la nullità degli stessi contratti».
La legge di stabilità, quindi, anteponendo con le modalità sopra richiamate al comma 3-bis
dell'articolo 6 del Dlgs. 192/2005, l'espressione «A decorrere dalla data di entrata in vigore del
decreto di adeguamento di cui al comma 12», creava non pochi problemi interpretativi con il D.L.
n. 145/2013.Il dubbio era sostanzialmente legato a un possibile effetto ripristinatorio del comma 3bis da parte della legge di stabilità che l'aveva richiamato per modificarlo, dopo che il decreto
Destinazione Italia, poche ore prima, l'aveva abrogato a far data dal 24 dicembre 2013.
Il quadro definitivo della normativa - L'assetto definitivo della normativa fondamentale in
materia di prestazione energetica degli edifici, consente a questo punto di riassumere i passaggi
salienti che hanno portato all'attuale configurazione della disciplina sull'allegazione agli atti
traslativi della certificazione energetica, compreso il recente complesso intreccio normativo sopra
richiamato. Sempre tenendo presente, è il caso di aggiungere, che il corpus normativo sulla
prestazione energetica risulta composto oltre che dal Dlgs n. 192/2005, anche dai seguenti
provvedimenti: Dl n. 63/2013, Dlgs 29 dicembre 2006 n. 311, Dlgs 30 maggio 2008 n. 115, Dpr 2
aprile 2009 n. 59, Dm Mise 26 giugno 2009, Dlgs 3 marzo 2011 n. 28, Dm Mise 22 novembre
2012.
1) La soppressione dell'obbligo di allegare agli atti traslativi di edifici l'attestato di
certificazione energetica - a pena di nullità - era stata introdotta dall'articolo 35 comma 2-bis
del Dl 25 giugno 2008 n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008 n. 133. Fino a quel momento
l'obbligo di allegazione, per i soli atti traslativi a titolo oneroso, era contenuto nel comma 3
dell'articolo 6 del Dlgs 192/2005 che consentiva l'allegazione dell'originale o di copia autenticata
dell'Ace.
2) La legge 90/2013 di conversione del Dl 63/2013, ha reintrodotto l'obbligo di allegazione
dell'Ape (che fino a quel momento era denominato come Attestato di Certificazione Energetica),
inserendo nell'articolo 6 del Dlgs 192/2005 un comma 3-bis, in base al quale «l'attestato di
prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di
immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti». Il
perimetro di applicazione dell'obbligo di allegazione veniva esteso quindi anche agli atti traslativi a
titolo gratuito e si ripristinava la sanzione della nullità.
3) Con il Dl Destinazione Italia n. 145/2013 – entrato in vigore il 24 dicembre 2013 - il
legislatore è nuovamente intervenuto (articolo 1 commi 7 e 8) sulla disciplina dell'allegazione
dell'Ape, sostituendo i commi 3 e 3-bis dell'articolo 6 del decreto legislativo 192/2005, con un
unico (nuovo) comma 3.
Viene modificato il regime sanzionatorio per la violazione dell'obbligo di allegazione - in luogo della
nullità dell'atto si introduce una sanzione amministrativa – e chiarito quali sono gli atti che ricadono
nel perimetro applicativo del nuovo comma 3 dell'articolo 6 del Dlgs 192/2005.
Oltre alla compravendita si prevede che tale attestato debba essere allegato agli «atti di
trasferimento a titolo oneroso» (ad esempio: permuta, datio in solutum, transazione, conferimento
di beni in società, assegnazione di alloggi ai soci di cooperative, vendita di eredità, cessione di
azienda).
Vengono invece sottratti dall'obbligo di allegazione gli atti a titolo gratuito, e quindi la donazione o
le liberalità donative nonché ogni altro negozio nel quale – anche senza spirito di liberalità – vi sia
trasferimento di immobile senza corrispettivo a favore dell'alienante.
Per gli atti a titolo gratuito, quindi, deve essere tenuto presente che l'obbligo di allegazione dell'Ape
è stato in vigore dal 6 giugno 2013 (quando fu introdotto dal decreto legge 63/2013, poi convertito
nella legge 90/2013) fino al 23 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del decreto "Destinazione
Italia").
Nel caso in cui a tali atti non sia stato allegato l'Ape, è possibile ricorrere al meccanismo di
"sanatoria" della nullità (che come detto era la sanzione prevista prima dell'introduzione della
sanzione amministrativa).
Occorre ricordare infatti che è stato confermato dalla legge di conversione del decreto 145/2013, il
comma 8 dell'articolo 1 del decreto 145/2013, il quale prevede la possibilità, su richiesta di almeno
una delle parti o di un suo avente causa, di richiedere l'applicazione della sanzione amministrativa
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in luogo della nullità (sanzione, questa, prevista dal 4 agosto al 23 dicembre 2013) per le violazioni
all'obbligo di allegazione previsto dal previgente comma 3-bis, purché la nullità del contratto non
sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato.
Quanto ai contratti di locazione il legislatore, pur ribadendo che la disciplina si applica ai soli "nuovi
contratti" (restandone escluse pertanto tutte le vicende che hanno ad oggetto la cessione del
contratto originario o la successione nelle posizioni contrattuali), ha notevolmente ridotto la portata
dell'obbligo di allegazione dell'Ape, escludendolo per quelli che hanno ad oggetto singole unità
immobiliari e mantenendolo solo per le locazioni di interi edifici.
Per i contratti di locazione di singole unità immobiliari resta fermo l'obbligo di inserire nel contratto
– pena l'applicazione della sanzione amministrativa – la dichiarazione del conduttore di aver
ricevuto dal locatore le informazioni circa la prestazione energetica dell'edificio e il documento Ape.
4) Successivamente è entrata in vigore (il 1° gennaio 2014) la legge di Stabilità che di
riflesso ha cambiato l'articolo 6 comma 3-bis del decreto legislativo 192/2005. Si è verificata infatti
una modifica indiretta di questo provvedimento poiché la lettera a) comma 139 della legge di
Stabilità ha modificato l'articolo 6 comma 1 del decreto legge 63/2013 che a sua volta modificava –
richiamandolo - il suddetto comma 3-bis al quale veniva anteposta l'espressione «A decorrere dalla
data di entrata in vigore del decreto di adeguamento di cui al comma 12,».
In sostanza il richiamo del comma 3-bis (abrogato dal decreto Destinazione Italia) con l'obiettivo di
modificarlo, ha ingenerato in taluni interpreti il dubbio circa una possibile riviviscenza della norma
contenente il precetto sull'obbligo di allegazione.
Tale dubbio, peraltro, sembrava destinato a farsi sempre più concreto nel momento in cui anche il
decreto legge 30 dicembre 2013, n. 151 (cosiddetto milleproroghe) - in vigore dal 31 dicembre
2013 – richiamava (articolo 2, comma 5) il suddetto comma 3-bis in materia di dismissioni di
immobili del patrimonio pubblico, disponendo che «l'attestato di prestazione energetica di cui
all'articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, può essere acquisito successivamente
agli atti di trasferimento e non si applica la disposizione di cui al comma 3-bis del medesimo
articolo».
Per la verità già fin dai primi commenti a caldo della legge di stabilità veniva escluso che al
semplice richiamo della norma abrogata in un successivo provvedimento normativo, potesse
attribuirsi una portata ripristinatoria. E ciò soprattutto sulla scorta di quella giurisprudenza
costituzionale che ha sempre escluso quell'effetto "in via generale e automatica", potendosi
ammettere, se del caso, solo in modo espresso ed in ipotesi tipiche e circoscritte (Corte
costituzionale, sentenza n. 13 del 24 gennaio 2012).
(Mauro Leo , Il Sole 24 ORE - Guida al Diritto, 25 febbraio 2014)
1 Impianti
§ Fotovoltaico - In campagna o nel cortile, quando si paga e quando no
L'accatastamento degli impianti fotovoltaici ha trovato forse la soluzione definitiva con la Circolare
n. 36/E del 19 dicembre 2013 della Agenzia delle Entrate.
In particolare, per gli impianti fotovoltaici a terra, considerati beni immobili, è previsto
l'accatastamento nella categoria D/1 "opifici". Se invece di impianti a sé stanti come nel primo
caso, si tratta di impianti fotovoltaici posti su edifici, lastrici solari o su aree di pertinenza di altri
immobili, non si dovrà effettuare un autonomo accatastamento, ma si dovrà procedere alla
rideterminazione della rendita dell'immobile a cui i pannelli sono connessi. Se questa aumenta di
più del 15% rispetto al valore originario, il proprietario è tenuto a comunicare la variazione
all'Agenzia del Territorio (si veda l'altro articolo in pagina). Se l'impianto è costruito in forza di
diritto di superficie, deve essere accatastato autonomamente e quindi dovrebbe assumere la
categoria di opificio; infatti nella fattispecie il proprietario dell'impianto è diverso da quello
dell'immobile sottostante. In ultimo la Circolare considera in ogni caso come beni mobili e dunque
non meritevoli di accatastamento gli impianti di "modesta entità", cioè quelli che non hanno
potenza superiore a 3Kw per ogni unità immobiliare asservita, oppure gli impianti costruiti su parti
comuni di edifici con una potenza inferiore a 3 volte il numero di unità immobiliari, od ancora gli
impianti costruiti al suolo che occupano un volume inferiore a 150 mc. In ultimo la Circolare prende
in considerazione il caso di impianti fotovoltaici "rurali", prevedendo per questi l'accatastamento
nella categoria D/10, a condizione che gli impianti siano asserviti ad una azienda agricola
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"esistente" con un terreno di estensione non inferiore ai 10.000 mq e che la potenza dell'impianto
non risulti superiore ai 200kw. In questi casi, l'impianto potrà essere censito come D/10 anziché
D/1 purché alla dichiarazione di accatastamento si alleghi l'autocertificazione dei requisiti di ruralità
su modello conforme.
Ai fini delle imposte ricomprese nella Imposta Unica Comunale, ovvero IMU, TASI e TARI, il diverso
accatastamento ha notevoli ripercussioni.
Nel caso di immobili censiti autonomamente in categoria D/1, si dovrà procedere al calcolo dell'IMU
e delle altre imposte gravanti sugli immobili in base al valore catastale derivante dalla dichiarazione
di accatastamento. Per IMU e TASI (tariffa sui servizi non divisibili), partendo dal valore catastale
dell'immobile, si dovrà procedere al calcolo delle imposte, ricordando che la somma delle due
aliquote non dovrebbe poter superare il 10,6 per mille, e comunque l'aliquota TASI dovrà essere
compresa tra l'1 e il 2,5 per mille, ma si è in attesa di decreto. Per la TARI invece (tariffa rifiuti) la
base imponibile sarà ancora data dalla superficie calpestabile e varranno specifiche aliquote
determinate dai Comuni in modo da garantire l'integrale copertura dei costi sostenuti per la
raccolta rifiuti; pertanto non dovrebbe colpire gli impianti fotovoltaici.
Nel caso invece di immobile già censito per il quale si renda necessaria la variazione del valore
catastale, si dovrà procedere al ricalcolo dell'IMU rispetto a quello dell'anno precedente. Infatti la
variazione catastale determinerà un aumento proporzionale della base imponibile ai fini dell'IMU e
della TASI.
Gli impianti fotovoltaici "rurali" censiti nella categoria D/10, sono esenti da IMU come previsto dal
comma 708 della Legge 147/2013 per gli immobili rurali strumentali, mentre ai fini della TASI
potranno essere soggetti al massimo all'aliquota dell'1 per mille con possibilità per i Comuni di
prevedere anche ulteriori riduzioni. Ovviamente la ruralità è garantita qualora vengano rispettate le
condizioni stabilite dalla Circolare dell'Agenzia n. 32/2009 ed in particolare che il fatturato della
attività agricola sia superiore a quello della produzione di energia elettrica, tariffa incentivante
esclusa, ovvero che il terreno coltivato anche in comuni non confinanti sia pari ad almeno 10 ettari
per 100 kw.
Le regole da seguire
QUANDO L'IMPIANTO VA ACCATASTATO
01|Impianti fotovoltaici a terra
Se occupano un volume dai 150 metri cubi in su
02|Impianti su edifici, lastrici solari o su aree di pertinenza di altri immobili
Solo se, rideterminando la rendita dell'immobile a cui i pannelli sono connessi, questa aumenta di
più del 15%
QUANDO NON SCATTA L'OBBLIGO DI ACCATASTARE
01 | Casa unifamiliare composta da unità abitativa più autorimessa, tettoia o soffitta/cantina
(censite separatamente), con impianto fotovoltaico costruito sul tetto di una delle tre unità
immobiliari, ma asservito a tutte
e con potenza inferiore a 9 kW (n. 3 unità x 3 kW/unità).
02 | Complesso residenziale costituito anche da un rilevante numero di unità immobiliari che
beneficia dall'impianto, questo però ha una potenza complessiva inferiore a 3 kW per ogni unità
(per esempio 30 kW con 10 unità)
03 | Quando, anche se l'impianto è superiore ai 3 kW per unità, l'incremento di rendita determinato
dall'impianto è inferiore al 15% dell'importo originario
COME SI CALCOLA LA NUOVA RENDITA
La rendita è calcolata n proporzione al valore capitale con riferimento al biennio economico 198889, applicando un saggio di fruttuosità (tariffe d'estimo vigenti). La metodologia di stima
generalmente da utilizzarsi in queste casistiche (costo di ricostruzione decurtato per vetustà) è
stata riassunta dall'agenzia del Territorio nella circolare n. 6/2012.
Per esempio, considerato un costo attuale di 5000 €/Kw per un impianto di 4Kw, la rendita
catastale che gli competerebbe, con riferimento al biennio economico 1988-89, è pari a circa €
114,00 (ipotesi di immobile in categoria del gruppo A o C per il quale è previsto un saggio di
redditività dell'1%).
Se quindi l'unità immobiliare dove è installato ha una rendita di 760 euro, non c'è obbligo di
accastamento (114 euro è meno del 15% di 760)
(Gian Paolo Tosoni, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 19 febbraio 2014)
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1 Pubblica amministrazione
§ Pagamenti Pa, contro l’Italia la procedura d’infrazione UE
Nulla è cambiato. Anzi in qualche caso la situazione peggiora pure. La nostra Pa si conferma il
peggiore pagatore in Europa: ci mette almeno 6-7 mesi per saldare le sue fatture – contro i 30
giorni che ci ha imposto l'Ue – e a volte supera abbondantemente i mille giorni, imponendo in
alcuni casi alle imprese anche clausole "illegali" come la rinuncia agli interessi di mora. E così
Bruxelles, dopo tanti annunci, ha deciso di passare ai fatti: ieri è partito l'iter per la procedura di
infrazione per la violazione della direttiva Ue sui tempi di pagamento che obbliga appunto ogni Pa a
pagare entro un mese (60 giorni per le Asl e per casi specifici).
Adesso l'Italia avrà 5 settimane di tempo per rispondere alle contestazioni sul mancato rispetto
delle norme europee (sul cui recepimento invece sembrano appianati tutti i nodi dei mesi scorsi). E
se la risposta del nostro Governo non sarà soddisfacente si procederà con la messa in mora, il
primo step ufficiale della procedura d'infrazione. Che potrà tradursi, alla fine del suo iter,
nell'obbligo di pagare una multa. Un costo, questo della sanzione Ue, a cui si deve aggiungere
quello più salato – previsto dal Dlgs 231/2012 che ha recepito la direttiva – che obbliga ogni Pa
ritardataria a sborsare l'8,25% di interessi di mora sulle sue fatture: questo significa che il conto
finale rischia di lievitare fino a raggiungere, secondo prime stime, i 3-4 miliardi di spesa in più in
un anno.
La conferma che l'Italia sia finita formalmente nel mirino di Bruxelles è arrivata dal vice presidente
Ue e commissario all'industria, Antonio Tajani, che dopo aver ricevuto venerdì i numeri di
Confartigianato con la denuncia di tempi medi di pagamento a 170 giorni, ieri ha visto l'Ance che
ha tratteggiato un quadro anche peggiore: le imprese del settore – spiega l'associazione dei
costruttori – sono pagate sette mesi dopo l'emissione dello stato di avanzamento lavori (146 giorni
oltre i termini fissati dalla legge) con punte che superano i due anni. E anche se nel secondo
semestre del 2013 si è registrato un leggero calo dei tempi è ancora l'82% delle aziende di
costruzioni a essere colpite dai ritardi. «Non ho un intento punitivo – ha spiegato ieri il commissario
Ue – ho aspettato un anno e un mese, ma la situazione anziché migliorare è addirittura
peggiorata». «In nessun altro paese i rapporti degli advisor sono stati così negativi», ha aggiunto
Tajani che ieri ha risposto anche al ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, che nei giorni
scorsi aveva parlato di «evidenze di riduzioni significative» nei tempi dei pagamento della Pa.
Evidenze definite «difficilmente dimostrabili» da Tajani che lascia comunque uno spiraglio all'Italia:
«Se sarà in grado di dimostrare entro 5 settimane la non violazione della direttiva, non ho problemi
a chiudere la procedura». Per ora il Governo aspetta di vedere le carte, come ha spiegato ieri il
ministro per gli Affari europei: «Prima di tutto bisognerà vedere cosa ci chiederà esattamente la
Commissione Ue», ha spiegato Enzo Moavero Milanesi che ribadisce l'impegno «a rispettare
pienamente la direttiva Ue e a procedere a pagare i debiti pregressi». Un fronte sul quale si spera
che darà una mano il servizio di supporto per la fatturazione elettronica – obbligatoria dal prossimo
giugno – avviato ieri dal Mef.
L'Italia è al momento l'unico Paese sottoposto a una procedura d'infrazione sull'applicazione della
direttiva (contro altri Paesi è finito nel mirino il recepimento delle norme come per Germania e
Belgio, contro i quali l'Ue ha comunque chiuso la procedura). Il nostro Paese resta il peggior
pagatore, seguito da Grecia e Spagna (159 e 155 giorni). L'Austria è la più virtuosa (solo 13 giorni)
mentre la media Ue è di 61 giorni.
A strangolare le imprese costringendole a rinunciare alla liquidità non sono poi solo i ritardi. Ma
anche le prassi inique imposte dalle Pa, come ha raccontato ieri il presidente Ance, Paolo Buzzetti:
si va dalla richiesta a due terzi delle imprese di accettare pagamenti superiori ai 60 giorni all'invito
a metà delle aziende di inviare in ritardo le proprie fatture fino all'esplicita richiesta di rinunciare
agli interessi di mora (per il 17%).
(Marzio Bartoloni, Il Sole 24 ORE, 4 febbraio 2014)
§ Ridotto il Patto di stabilità
Sconto del 52,8% sugli obiettivi di Patto di stabilità per i Comuni che sperimentano quest'anno la
riforma della contabilità in calendario dal 2015, mentre per le Province l'abbattimento è del 17,41
per cento. La traduzione pratica degli incentivi rivolti agli enti «sperimentatori» arriva dal decreto
dell'Economia sugli obiettivi di finanza pubblica 2014 che ieri ha ottenuto il via libera in Conferenza
Stato-Città.
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Le nuove regole, come previsto dalla legge di Stabilità, introducono anche una clausola che
impedisce all'aggiornamento della base di calcolo (spesa media corrente 2009-2011, invece di
quella del 2007-2009) di peggiorare di oltre il 15% gli obiettivi di bilancio di ogni ente locale.
Dall'incrocio di questi fattori discendono gli obiettivi generali assegnati a ogni Comune e Provincia,
che sono tuttavia ancora lontani dalla definizione.
I vincoli effettivi di finanza pubblica che ogni amministrazione dovrà conseguire quest'anno
saranno infatti determinati in particolare dall'applicazione del Patto "verticale" incentivato, cioè il
meccanismo con cui le Regioni cedono spazi finanziari ai Comuni del proprio territorio (e ricevono
un bonus dallo Stato).
La data da cerchiare in rosso, in questa chiave, è quella del 15 marzo, quando le Regioni
distribuiranno i bonus fra i Comuni in base alle richieste avanzate dalle amministrazioni locali entro
il 1° marzo. Altre modifiche sono possibili in virtù del Patto «orizzontale» (con cui a scambiarsi
quote sono i Comuni).
Nella Conferenza Stato-Città di ieri è stato approvato anche il decreto ministeriale sulla
certificazione degli obiettivi, che costituisce un passaggio obbligato per evitare le sanzioni riservate
agli enti non in regola con il Patto di stabilità. La certificazione, firmata dal sindaco, dal
responsabile del servizio finanziario e dai revisori dei conti, deve essere inviata alla Ragioneria
generale entro il 31 marzo.
(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 7 febbraio 2014)
§ Per bilanci e tasse locali rinvio ufficiale al 30 aprile
È stato firmato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano il decreto che sposta al 30 aprile il termine
per la chiusura dei bilanci preventivi di Comuni e Province, e che attua l'intesa raggiunta nell'ultima
Conferenza Stato-Città. La proroga è nei fatti inevitabile, perché deve ancora essere definita la
normativa della Iuc e vanno applicati i nuovi criteri di distribuzione del fondo di solidarietà
comunale fissati nella legge di stabilità 2014, ma negli ultimi giorni si era creata parecchia
incertezza sullo strumento con cui introdurre la proroga. Il ministero dell'Economia aveva inserito
lo slittamento nel pacchetto «enti locali» del decreto casa, dove sono previste una serie di norme
sulla finanza locale che andranno probabilmente recuperate per via parlamentare nei prossimi
giorni; venerdì, invece, si era diffusa la voce di un decreto ad hoc nell'ultimo consiglio dei ministri
del Governo Letta.
La strada percorsa, invece, è quella ordinaria, tracciata dall'articolo 151, comma 1, del Dlgs
267/2000, secondo cui è il Viminale, d'intesa con il Tesoro, a far slittare la data dopo che la
Conferenza Stato-Città lo chiede per «motivate esigenze». In questo difficile avvio di 2014 per la
finanza locale le esigenze non mancano e spostano in avanti, per ora al 30 aprile, anche le
decisioni su Iuc e addizionali Irpef.
(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 18 febbraio 2014)
§ Fatturazione elettronica obbligata da giugno 2015
L'obbligo della fatturazione elettronica per le amministrazioni locali decorre dal 6 giugno 2015.
Comuni, province e regioni avranno dunque oltre 16 mesi per adeguarsi e cominciare a far
viaggiare le fatture sulle piattaforme informatiche messe a punto da Entrate e Sogei per tutti i loro
fornitori. A fissare nero su bianco la data da cui decorrerà l'obbligo previsto dalla Finanziaria 2008
sia per le amministrazioni centrali sia per quelle locali, è ora un decreto attuativo messo a punto
dal ministro dell'Economia e da quello per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione e
domani al parere definitivo della conferenza unificata.
Poche righe ma che completano il quadro normativo per far decollare una volta per tutte la "terza
gamba" dell'Agenda digitale italiana: quella della fatturazione elettronica (Identità digitale e
anagrafe nazionale della popolazione residente sono le altre due). E su cui a scommetterci non è
solo la macchina amministrativa ma anche i privati. Tra questi il Consorzio Cbi cui aderiscono 600
istituti finanziari che offrono servizi a oltre 920mila imprese. In un contesto in cui la priorità per
recuperare risorse passa per il taglio dei costi nella Pa, come ricorda il direttore generale del
Consorzio, Liliana Fratini Passi «con l'introduzione della fatturazione elettronica verso la Pa si
possono ottenere risparmi diretti per oltre un miliardo di euro l'anno (se si considerano solo gli
impatti interni alle Pa) e di circa 1,6 miliardi se si vogliono considerare anche i potenziali effetti sui
fornitori della Pa stessa».
C'è poi un risvolto difficile da quantificare ma che potrebbe dare comunque risultati eclatanti: la
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trasparenza e la tracciabilità dei pagamenti con la fatturazione elettronica sono un'arma in più per
il contrasto all'evasione fiscale e al sommerso. Ma come sempre accade i buoni propositi e le best
practices in Italia non sempre trovano riscontri immediati. Il Direttore generale del Consorzio
precisa che gli «enti che si sono dichiarati disponibili alla ricezione di fatture elettroniche
attualmente sono al di sotto delle aspettative. Da una verifica al 12 febbraio scorso le
ammministrazioni registrate ai servizi di fattura elettronica sono soltanto 50 e di queste solo 14 Pa
centrali».
Eppure la macchina e gli istituti finanziari che aderiscono al Consorzio sono pronti. Già dal 6
dicembre scorso, conclude il Dg di Cbi, è disponibile la funzione «Fattura PA» che consente a un
consorziato di interfacciarsi con il sistema di interscambio dell'agenzia delle Entrate gestito da
Sogei per l'invio delle fatture elettroniche per conto dei propri clienti aziende creditrici, così come la
ricezione di fatture elettroniche per conto delle proprie clienti pubbliche amministrazioni debitrici.
Tutto pronto dunque, ora tocca alla macchina statale e locale mettersi in gioco.
(Marco Mobili, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 19 febbraio 2014)
§ Unioni comunali, vincoli rinviati
La nuova circolare sul patto di stabilità diramata ieri dalla Ragioneria Generale dello Stato (n.
6/2014) spiega per la prima volta le modalità applicative dell'assoggettamento al patto, a partire
dall'anno in corso, delle unioni costituite dai comuni con popolazione fino a mille abitanti (comma
1, articolo 16, Dl 138/11). Le unioni in questione applicano la disciplina prevista per i comuni
aventi popolazione corrispondente. Pertanto, l'assoggettamento alle regole del patto decorre –
analogamente a quanto previsto per i comuni di nuova istituzione – dal terzo anno successivo a
quello della loro istituzione; mentre la base di riferimento su cui applicare la percentuale è data
dalle risultanze dell'anno successivo a quello della loro istituzione. La spesa corrente da considerare
è quella desunta dai certificati di conto consuntivo.
Fra le novità targate 2014 che tutti gli enti devono tener presente la circolare ricorda il "bonus"
investimenti di 1 miliardo. Gli spazi finanziari che si liberano in applicazione della norma vanno
utilizzati esclusivamente per pagamenti in conto capitale datati nel primo semestre del 2014 (per
cui i pagamenti in conto capitale che avverranno nel secondo semestre non potranno essere esclusi
a valere sui predetti spazi finanziari); il controllo sarà effettuato con il monitoraggio semestrale.
La circolare si sofferma anche sul fondo svalutazione crediti, in merito al quale conferma che i
relativi stanziamenti non rilevano ai fini del saldo finanziario di competenza mista, poiché non sono
oggetto di impegno, ma confluiscono nel risultato di amministrazione vincolato. Sul punto la
Ragioneria generale precisa anche che tali voci non rilevano fin dalle previsioni, superando in
questo modo la posizione più rigida della Corte dei conti (deliberazione 287/2012 della Toscana)
che in passato era intervenuta sul punto. Anche se la Circolare nulla dice in proposito, è da ritenere
che analogo trattamento vada riservato al fondo crediti di dubbia esigibilità che negli enti in
sperimentazione dell,armonizzazione contabile ha mandato in soffitta il fondo svalutazione crediti.
Come ogni anno, le istruzioni della Ragioneria si confermano un utile vademecum per applicare
correttamente il patto, particolarmente apprezzato dagli enti con meno di cinquemila abitanti,
costretti a fare i conti con questo vincolo da poco più di un anno.
(Patrizia Ruffini, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 19 febbraio 2014)
1 Pubblico impiego
§ Pa, stipendi massimi verso i 312mila euro
Sale ancora il tetto agli stipendi dei vertici della pubblica amministrazione, che è ancorato al
compenso del primo presidente della Cassazione e vive una dinamica un po' più vivace
dell'inflazione e della media dei redditi. Per quest'anno, la busta paga di chi occupa gli scalini più
alti nelle pubbliche amministrazioni non potrà superare i 311.658,53 euro lordi, con un aumento
del 2,9% rispetto ai 302.937,12 riconosciuti fino al 31 dicembre scorso. Se si risale al 2012, anno
di debutto della tagliola ai maxistipendi pubblici decisa con il decreto «Salva-Italia» del Governo
Monti (articolo 23-ter del Dl 201/2011), l'incremento è di 18mila euro tondi, cioè il 6,1% dei
293.658,95 euro scritti nel limite originario.
A diffondere i nuovi numeri è la Funzione pubblica, ma a definirli è il ministero della Giustizia che
comunica a Palazzo Vidoni il "peso" raggiunto nell'anno appena chiuso dal trattamento economico
del primo presidente della Cassazione. All'apparenza, il meccanismo si traduce in una sorta di scala
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mobile 2.0, che corre più veloce rispetto al costo della vita, ma serve una precisazione: nella nota
diffusa ieri la Funzione pubblica sottolinea che il nuovo importo «non comporta un adeguamento
automatico delle retribuzioni dei dirigenti pubblici», perché gli stipendi annuali di ogni dipendente
della Pa restano bloccati dal congelamento appena ribadito anche per il 2014. La costante salita del
tetto, quindi, interessa chi è titolare di più incarichi e perciò, con la somma delle buste paga può
salire un po' più in alto dell'anno scorso.
In quest'ottica, il limite si fa più alto ma anche più severo, dopo che la legge di stabilità 2014 l'ha
generalizzato applicandolo «a chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o
emolumenti» di qualsiasi tipo (articolo 1, commi 471 e seguenti della legge 147/2013). Sotto il
limite rientrano anche gli incarichi con le Authority, i professori universitari e anche i pensionati
ancora in attività, per i quali il limite si riferisce alla somma di pensione ed emolumenti aggiuntivi.
Il tetto frenerà anche i compensi degli ex parlamentari o consiglieri regionali titolari di vitalizi, ma
solo per gli incarichi iniziati dopo il 1° gennaio scorso.
(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 4 febbraio 2014)
1 Rifiuti
§ Sistri ancora a doppio binario
Con l'approvazione definitiva del Milleproroghe al Senato è stata confermata fino al 31 dicembre
2014 l'estensione del periodo di moratoria per le sanzioni del Sistri (Sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti) e il proseguimento della sua convivenza con le tradizionali scritture cartacee.
Nessuna proroga, dunque, per la partenza della seconda fase di operatività del sistema di
tracciamento elettronico dei rifiuti che rimane confermata a lunedì 3 marzo 2014. Nell' articolo 10
del Milleproroghe, in materia di "ambiente", per il Sistri ci si limita a spostare:
- dal 31 luglio al 31 dicembre 2014 il termine entro il quale tracciare i rifiuti anche con registri e
formulari di carta, oltre che con le procedure informatiche Sistri;
- dal 1° agosto 2014 al 1° gennaio 2015 il termine a decorrere dal quale troveranno applicazione le
sanzioni di cui agli articoli 260-bis e 260-ter, Dlgs 152/2006 previste per il Sistri.
Quindi, anche dopo l'approvazione definitiva del Mlleproroghe da lunedì prossimo l'obbligo di Sistri
scatterà per enti e imprese che sono:
- produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi;
- produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che effettuano la sola attività di stoccaggio (R13 o
D15);
- trasportatori di rifiuti speciali pericolosi da loro stessi prodotti (articolo 212, commi 5 e 8, Dlgs
152/2006).
Per la sola Regione Campania, si aggiungono i Comuni e le imprese di trasporto di rifiuti urbani.
Invece, i gestori di rifiuti speciali pericolosi sono già partiti il 1° ottobre 2013.
Tutti questi soggetti, dunque, dovranno iniziare o continuare a utilizzare i dispositivi elettronici
previsti dal Sistri (chiavetta Usb e black box). Fino alla fine dell'anno si applicheranno le regole e le
sanzioni relative all'invio del Mud (Modello unico di dichiarazione ambientale), alla compilazione,
tenuta e conservazione dei formulari e dei registri di carico e scarico in omaggio alle regole
previgenti rispetto alle modifiche apportate dal Dlgs 205/2010.
Entro il prossimo 30 aprile sarà necessario provvedere al pagamento del contributo Sistri per il
2014.
Se i produttori obbligati da lunedì 3 marzo non sono ancora in possesso delle chiavette Usb,
dovranno avviare i rifiuti pericolosi a smaltimento o recupero, comunicando i dati al trasportatore e
custodendo le copie della scheda Sistri area movimentazione insieme alle copie del formulario
(tutte consegnate dal trasportatore).
L'articolo 10 del Milleproroghe sposta al 31 dicembre 2014 anche la possibilità di conferire in
discarica rifiuti speciali e urbani con potere calorifico inferiore superiore a 13.000 kj/kg. Inoltre,
slitta al 30 giugno 2014 il termine entro il quale gli impianti di compostaggio italiani possono
aumentare la propria capacità autorizzata sino all'8% per accettare i rifiuti umidi della Campania.
(Paola Ficco, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 27 febbraio 2014)
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Legge e prassi
(G.U. 28 febbraio 2014 n. 49)
1 Ambiente
LEGGE 6 febbraio 2014, n. 6
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, recante
disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo
sviluppo delle aree interessate
(G.U. 8 febbraio 2014, n. 32)
Ä NOTA
Roghi illeciti, si rischia il carcere - Pena aumentata per le imprese e p er le operazioni
nelle aree in emergenza
In sintesi
01 | IL PROVVEDIMENTO
La legge 6/2014 pubblicata sulla Gu n. 32 dell'8 febbraio ha introdotto il nuovo reato di
combustione illecita dei rifiuti, aggiungendo l'articolo 256 bis al Codice ambientale
02 | PENA E AGGRAVANTI
Il nuovo reato prevede la reclusione tra 2 e 5 anni nel caso di rifiuti non pericolosi e da 3 a 6 anni
per quelli pericolosi. Se il delitto è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o di un'attività
comunque organizzata, la pena è aumentata di un terzo. Il mezzo usato per il trasporto dei rifiuti
bruciati è confiscato a meno che appartenga a persona estranea e non in concorso con i
responsabili del rogo
Pugno di ferro contro i roghi illeciti di rifiuti dopo il caso terra dei fuochi, con il debutto di un reato
che va a integrare il Codice ambientale di una nuova fattispecie.
È approdata sulla «Gazzetta Ufficiale» dell'8 febbraio la legge 6 febbraio 2014, n. 6, la quale, con
modifiche, ha convertito il Dl 10 dicembre 2013, n. 136, il cosiddetto "decreto terra dei fuochi". Il
provvedimento è entrato in vigore il giorno successivo, e cioè lo scorso 9 febbraio.
L'articolo 3 del provvedimento è dedicato alla «combustione illecita dei rifiuti», che ora diventa una
nuova specifica ipotesi di reato punita con la reclusione da tre a sei anni. Un reato di pericolo che si
aggiunge a quelli già previsti in materia di rifiuti dal Codice ambientale (decreto legislativo
152/2006), che ora si arricchisce con il nuovo articolo 256 bis. La norma si applica su tutto il
territorio nazionale anche se prende spunto dai tragici roghi che, da due decenni, offendono il
territorio ricompreso tra Napoli e Caserta.
A ben guardare, tuttavia, il nuovo articolo 256 bis aggiunto al Codice ambientale introduce due
ipotesi delittuose; infatti, il comma 1 si applica a «chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati
ovvero depositati in maniera incontrollata». Invece, il comma 2 si applica a chi (soggetto privato o
impresa) deposita o abbandona rifiuti, oppure li rende oggetto di un transito transfrontaliero illecito
in funzione della loro «successiva combustione illecita».
Per le previsioni delittuose di entrambi i commi è prevista la reclusione tra i 2 e i 5 anni per i rifiuti
non pericolosi, che aumenta da 3 a 6 se i rifiuti sono pericolosi. L'entità della pena giustifica la
custodia cautelare in carcere. In sede di conversione, sono state introdotte le aggravanti che
aumentano la pena di un terzo se il reato è commesso in un territorio il quale, all'atto della
condotta e «comunque nei cinque anni precedenti», era in situazione di emergenza ai sensi della
legge 225/1992.
Stesso aumento di pena se il delitto è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o di
un'attività comunque organizzata. Tutto questo, invece, non si applica alla combustione dei «rifiuti
vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali», a cui invece si applica la
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sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro (aumentata fino al doppio se i rifiuti sono
pericolosi). In ogni caso, e opportunamente, tutto questo apparato sanzionatorio si applica «salvo
che il fatto costituisca più grave reato» (si pensi al disastro doloso aggravato per il quale è prevista
la reclusione da 3 a 12 anni).
Il comma 3 del nuovo articolo 256 bis pone la responsabilità per «omessa vigilanza sull'operato
degli autori materiali del delitto» a carico del titolare dell'impresa o del responsabile dell'attività
organizzata anche non in forma di impresa. Costoro saranno puniti anche con le sanzioni
interdittive previste dall'articolo 9, del Dlgs 231/2001: interdizione dall'esercizio dell'attività;
sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione
dell'illecito; divieto di contrattare con la pubblica ammnistrazione (salvo per ottenere prestazioni di
pubblico servizio); esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale
revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.
I mezzi usati per il trasporto dei rifiuti bruciati saranno confiscati a meno che il mezzo appartenga
a persona estranea alle condotte e questa non abbia operato in concorso con i responsabili.
(Paola Ficco, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 11 febbraio 2014)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
DECRETO 15 gennaio 2014
Modifiche alla parte I dell'allegato IV, alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,
recante: «Norme in materia ambientale».
(G.U. 10 febbraio 2014, n. 33)
1 Appalti
AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE
DETERMINA 15 gennaio 2014
Linee guida per l'applicazione dell'articolo 48 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
(Determina n. 1).
(G.U. 11 febbraio 2014, n. 34)
AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE
COMUNICATO
Utilizzo dei lavori subappaltati ai fini della qualificazione-annullamento dell'articolo 85, comma 1,
lett. b), numeri 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 207/2010. (Comunicato n. 1
del 29 gennaio 2014)
(G.U. 11 febbraio 2014, n. 34)
1 Economia, fisco, agevolazioni e incentivi
AGENZIA DELLE ENTRATE
PROVVEDIMENTO 7 FEBBRAIO 2014 n. 2014/18173
Provvedimento di individuazione dei rimborsi da eseguire mediante procedure automatizzate e di
determinazione delle relative modalità di esecuzione
Ä NOTA
Rimborsi sprint anche per tasse e imposte di registro
La procedura sprint per i rimborsi riguarderà anche le tasse, le imposte di registro e le altre
imposte indirette. La procedura che, di norma, riguarda i rimborsi del contributo unificato di
iscrizione a ruolo e le somme spettanti al contribuente a seguito di liquidazione delle dichiarazioni
annuali sarà estesa, dal 1° luglio 2014, a tutti i rimborsi di tasse e imposte dirette e indirette. Con
un provvedimento del direttore dell'agenzia delle Entrate del 7 febbraio 2014, pubblicato ieri, sono
stati individuati i rimborsi da effettuare con procedura automatizzata, che interesserà tutti i
rimborsi che risultano dalla liquidazione delle dichiarazioni e delle istanze di rimborso di tasse,
imposte dirette e indirette, il cui pagamento è per disposizioni normative o convenzionali, di
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competenza dell'agenzia delle Entrate. È prevista una disposizione transitoria, in base alla quale,
fino al 30 giugno 2014, i "nuovi" rimborsi continueranno a essere erogati secondo le modalità
vigenti alla data di pubblicazione del provvedimento.
I dati necessari per il rimborso sono predisposti dall'agenzia delle Entrate, con la formazione di liste
emesse con procedure automatizzate, contenenti, per periodo e tipo d'imposta, in corrispondenza
del singolo contribuente, le generalità dell'avente diritto alla restituzione, il numero di protocollo
della dichiarazione o dell'istanza dalla quale scaturisce il rimborso e l'ammontare delle somme da
rimborsare.
È stabilito che il rimborso avviene con accredito sul conto corrente bancario o postale comunicato
dal beneficiario. Il contribuente, che intende accorciare i tempi, comunica le coordinate del proprio
conto corrente bancario o postale, presentando il modello reso disponibile dalle Entrate in formato
elettronico, presso qualsiasi ufficio territoriale dell'agenzia delle Entrate, oppure, previa abilitazione
ai servizi telematici, tramite il sito internet dell'agenzia delle Entrate.
Il contribuente può infatti registrarsi ai servizi telematici dell'agenzia delle Entrate, Fisconline o
Entratel, e ottenere il cosiddetto codice Pin. Fisconline è riservato a tutti i contribuenti. Il canale
Entratel è riservato ai soggetti obbligati alla trasmissione telematica di dichiarazioni e atti, quali, ad
esempio, intermediari, professionisti, Centri di assistenza fiscale.
Gli effetti della scelta esercitata con la comunicazione delle coordinate bancarie o postali si
applicano a tutti i rimborsi da erogare al contribuente. In caso di mancata comunicazione delle
coordinate bancarie o postali, i rimborsi alle persone fisiche sono effettuati:
- in contanti, mediante una comunicazione che invita la persona a presentarsi presso gli sportelli di
poste italiane, per riscuotere rimborsi il cui importo, comprensivo di interessi, è inferiore a mille
euro;
- con vaglia cambiario non trasferibile della Banca d'Italia, per i rimborsi il cui importo,
comprensivo di interessi, è pari o superiore a mille euro.
In tema di rimborsi, si ricorda che, per evitare abusi in materia di crediti risultanti dal modello 730,
la restituzione di somme per importi superiori a 4mila euro sarà fatta dall'agenzia delle Entrate e
non più dal sostituto d'imposta, datore di lavoro o ente pensionistico. A partire dai modelli 730 che
saranno presentati nel 2014, e, quindi, a partire dalla dichiarazione dei redditi dell'anno 2013, per
contrastare l'erogazione di falsi rimborsi Irpef da parte dei sostituti d'imposta nell'ambito della
liquidazione dei modelli 730, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la presentazione
"online" dei modelli, o dalla data della presentazione se la dichiarazione è inviata dopo la scadenza,
l'agenzia delle Entrate effettua controlli preventivi per i rimborsi superiori a 4mila euro, anche se
derivanti da crediti di precedenti dichiarazioni. Al termine delle operazioni di controllo, il rimborso
sarà erogato dall'agenzia delle Entrate.
Cosa cambia
01 | PROCEDURA VELOCE
La procedura sprint, di norma, interessa i rimborsi del contributo unificato di iscrizione a ruolo e le
somme spettanti al contribuente a seguito di liquidazione delle dichiarazioni annuali
02 | VIA DAL 1° LUGLIO
Dal 1° luglio 2014 questa procedura sarà estesa a tutti i rimborsi che risultano dalla liquidazione
delle dichiarazioni e delle istanze di rimborso di tasse, imposte dirette ed indirette, il cui
pagamento è per disposizioni normative o convenzionali, di competenza dell'agenzia delle Entrate
03 | TEMPI PIÙ BREVI
Chi intende accorciare i tempi del rimborso, comunica le coordinate del proprio conto corrente
bancario o postale, presentando il modello delle Entrate in formato elettronico, presso qualsiasi
ufficio territoriale dell'Agenzia, o tramite il sito internet delle Entrate
(Salvina Morina, Tonino Morina, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 febbraio 2014)
AGENZIA DELLE ENTRATE
CIRCOLARE N. 2/E del 21 febbraio 2014
OGGETTO: Modifiche alla tassazione applicabile, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e
catastale, agli atti di trasferimento o di costituzione a titolo oneroso di diritti reali immobiliari Articolo 10 del D.lgs.14 marzo 2011, n. 23
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Ä NOTA
Come cambia la tassazione dei trasferimenti immobiliari
L’applicabilità delle agevolazioni “prima casa” è vincolata alla categoria catastale in cui è
classificato o classificabile l’immobile acquistato e non più alle caratteristiche individuate dal
decreto del mMinistro dei Lavori pubblici del 2 agosto 1969. È questo uno dei chiarimenti resi
dall’Agenzia delle entrate che, con circolare 21 febbraio 2014 n. 2/E, fornisce un vero e
proprio vademecum sulle modifiche alla tassazione applicabile, ai fini dell’imposta di registro,
ipotecaria e catastale, agli atti di trasferimento o di costituzione a titolo oneroso di diritti reali
immobiliari, introdotte, a decorrere dal 1° gennaio 2014, dall’articolo 10 del Dlgs 23/2011, come
modificato dall’articolo 26, comma 1, del Dl 104/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge
128/2013, e dall’articolo 1, comma 608, della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014).
Le nuove aliquote. Per effetto delle suddette modifiche, è stato completamente riformulato
l’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al Testo unico sull’imposta di registro di cui al Dpr
131/1986 (Tur). In particolare, è stato abrogato l’impianto normativo dettato dalla citata
disposizione che prevedeva aliquote di imposta differenziate e, in alcuni casi, l’imposta in misura
fissa, in considerazione del bene oggetto del trasferimento o dei soggetti a favore dei quali è
effettuato il trasferimento; sono state, inoltre, espressamente abrogate le note al predetto articolo
1, diverse dalla nota II-bis.
Le nuove aliquote, ai fini dell’imposta di registro, sono tre:
1. del 9%, applicabile agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere,
agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e
semplice agli stessi, nonché ai provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e ai
trasferimenti coattivi;
2. del 2%, applicabile ai trasferimenti che hanno per oggetto case di abitazione, a eccezione di
quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni per l’applicazione delle
agevolazioni “prima casa”;
3. del 12%, applicabile ai trasferimenti che hanno per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze
a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti
nella relativa gestione previdenziale e assistenziale.
In ogni caso, in relazione a detti trasferimenti, l’imposta proporzionale dovuta non può essere
inferiore a 1.000 euro (si veda il paragrafo 7 della circolare).
Tali atti, inoltre, e tutti gli «atti e le formalità direttamente conseguenti» (indicati al paragrafo 5.1.
della circolare) posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il Catasto e i registri
immobiliari, sono esenti dal bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie e sono
soggetti alle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro per ciascuna imposta.
Il regime sopra descritto si applica anche:
a. agli atti immobiliari soggetti a Iva in regime di esenzione, per i quali l’imposta di registro si
applica in misura proporzionale (articoli 40 del Tur e 10, n. 8-bis), del Dpr 633/1972). Per le
cessioni soggette a Iva di immobili strumentali (articolo 10, comma 1, n. 8-ter), del Dpr
633/1972), invece, sono dovute le imposte:
– di registro in misura fissa;
– ipotecaria e catastale, rispettivamente del 3 e dell’1%;
– di bollo;
– le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali;
b. agli atti dell’autorità giudiziaria recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni
immobili (articolo 8, letteraa), della tariffa, parte I, del Tur);
c. agli atti di conferimento nelle società di diritti di proprietà o di godimento su beni immobili e agli
atti di assegnazione ai soci, associati o partecipanti, di beni immobili (articolo 4, lettera a), n. 1), e
lettera d), n. 2), della tariffa del Tur), fatte salve le eccezioni di cui all’articolo 4, lettera a), punto
2, della citata tariffa;
d. alle permute, quando entrambi i trasferimenti sono soggetti a imposta di registro. In tal caso,
l’imposta di registro con le nuove aliquote è determinata sul valore del bene che dà luogo
all’applicazione della maggiore imposta e le imposte ipotecaria e catastale sono dovute una sola
volta nella misura di 50 euro ciascuna. Se un trasferimento è soggetto a Iva e l’altro a imposta di
registro, invece, la nuova tassazione si applica solo sulla prestazione non soggetta a Iva. Se
entrambi i trasferimenti sono soggetti a Iva, si applicano:
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– l’imposta di registro in misura fissa;
– due imposte ipotecarie e due imposte catastali nella misura fissa di 200 euro ciascuna (salvo che
si tratti di immobili strumentali);
– l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali;
e. ai conguagli superiori al 5% degli atti di divisione aventi a oggetto compendi immobiliari. Per
questi atti, inoltre, è dovuta l’imposta di registro con aliquota dell’1% (articolo 3, tariffa, del Tur),
nella misura proporzionale effettiva, ancorché inferiore a 200 euro. La divisione, con conguaglio o
senza, quale atto di natura dichiarativa, sconta poi:
– l’imposta di bollo, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali;
– le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna.
Restano soggetti ad autonoma tassazione:
a. gli atti di rettifica a contenuto patrimoniale;
b. gli atti di avveramento della condizione sospensiva;
c. le vendite con riserva di proprietà.
Inoltre, non possono essere considerate «formalità direttamente conseguenti» all’atto traslativo e,
quindi, non sono soggetti all’imposta ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro né
all’esenzione dal bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie:
a. la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità;
b. l’iscrizione di ipoteca legale;
c. le cancellazioni ordinate in occasione di trasferimenti coattivi.
Agevolazioni “prima casa”. Come detto, l’imposta di registro per l’acquisto della “prima casa” è
dovuta nella misura del 2% per i trasferimenti di case di abitazione, a eccezione di quelle di
categoria catastale A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (ville) e A9 (castelli e palazzi di eminente
pregio artistico e storico), sempre che ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis della tariffa,
parte I, del Tur. Le imposte ipotecaria e catastale sono applicabili nella misura fissa di 50 euro
ciascuna, e ciò anche in caso di decadenza dalle agevolazioni (che richiederà, invece, l’applicazione
dell’imposta di registro nella misura del 9 per cento).
Come si vede, non è più richiesto, ai fini agevolativi, che l’immobile non abbia le caratteristiche «di
lusso» indicate dal Dm 2 agosto 1969; pertanto, ogni riferimento ad abitazioni «non di lusso»
contenuto nelle disposizioni che richiamano le presenti agevolazioni deve essere sostituito dal
riferimento alle categorie catastali (A1, A8 e A9) che restano escluse dalla normativa di favore.
Questo principio non vale per le agevolazioni “prima casa” applicabili ai trasferimenti soggetti a
Iva, per i quali, invece, continuano a rilevare i criteri dettati dal citato Dm, a prescindere dalla
categoria catastale nella quale l’immobile risulta censito.
Resta, infine, applicabile la disposizione che disciplina il credito di imposta per il riacquisto della
prima casa (articolo 7, commi 1 e 2, della legge 448/1998).
Altre agevolazioni. Dal 1° gennaio 2014, sono soppresse tutte le agevolazioni, anche se previste
in leggi speciali, a eccezione di quelle riferite ad atti non riconducibili nell’ambito dell’artocolo 1
della tariffa, parte I, del Tur.
In particolare, non sono più applicabili le agevolazioni previste per:
a. i piani di recupero;
b. il compendio unico nei territori delle comunità montane;
c. i trasferimenti a favore di giovani agricoltori;
d. l’acquisto di fondi rustici da parte di cooperative e società forestali;
e. i trasferimenti di immobili dello Stato, enti previdenziali pubblici, regioni, enti locali, o loro
consorzi e a favore di fondi di investimento immobiliare;
f. i piani di insediamento produttivo e per l’edilizia economico popolare;
g. i trasferimenti posti in essere nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione o di urbanizzazione e
per gli atti di obbligo;
h. i trasferimenti di immobili da Comuni a fondazioni o a società di cartolarizzazione o ad
associazioni riconosciute.
La soppressione dei regimi agevolativi non opera, invece, e restano, pertanto, in vita le previsioni
fiscali agevolative concernenti:
a. la mediazione civile e commerciale;
b. i procedimenti in materia di separazione e divorzio;
c. la conciliazione giudiziale;
d. la piccola proprietà contadina;
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e. gli atti di riorganizzazione tra enti;
f. i fondi immobiliari;
g. la partecipazione all’Expo di Milano del 2015.
Decorrenza. La nuova tassazione degli atti immobiliari trova applicazione per gli atti pubblici
formati o autenticati a partire dal 1° gennaio 2014 e per gli atti giudiziari pubblicati o emanati a
partire dalla medesima data, nonché per le scritture private non autenticate presentate per la
registrazione a partire dal 1° gennaio 2014.
Con riferimento agli atti sottoposti a condizione sospensiva, qualora l’atto di trasferimento
immobiliare sia stato formato nel 2013, ma la condizione si sia verificata dopo il 1° gennaio 2014,
si applicheranno le aliquote vigenti al momento della formazione dell’atto sospensivamente
condizionato (2013); l’atto di avveramento della condizione redatto nella forma dell’atto pubblico o
della scrittura privata autenticata sconterà, invece, l’imposta di registro in misura fissa.
Per l’applicabilità della nuova misura fissa (200 euro) delle imposte ipotecaria e catastale, si deve
tener conto della data di pubblicazione o emanazione dell’atto giudiziario, della data di formazione
dell’atto pubblico, della data della donazione o dell’autentica della scrittura privata; per le scritture
private non autenticate e per le denunce presentate per la registrazione, le nuove misure
decorrono dalla data di registrazione.
Infine, per le imposte fisse ipotecaria e catastale dovute in relazione alle dichiarazioni di
successione si applica la misura vigente alla data di apertura della successione.
(Daniela Amendola, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 26 febbraio 2014)
LEGGE 21 febbraio 2014, n. 9
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante
interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe
elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015
(G.U. 21 febbraio 2014, n. 43)
Ä NOTA
ll Dl Destinazione Italia è legge: dai pagamenti all'Ape le misure per imprese e
professionisti
Passaggio lampo al Senato per la legge di conversione del decreto Destinazione Italia (Dl n.
145/2013). ll provvedimento è stato approvato in via definitiva dal Senato e si avvia finalmente
verso la Gazzetta ufficiale. E porta un pacchetto di novità parecchio sostanzioso per l'edilizia: dalle
bonifiche allo svincolo delle garanzie, passando per la certificazione energetica, l'Ape, il pagamento
diretto al subappaltatore, il concordato preventivo, Expo 2015. Senza contare i cambiamenti in
materia di lavoro, infrastrutture, imprese impiantistiche. Vediamo, punto per punto, quali sono
questi cambiamenti, mettendo in fila tutto quello che è accaduto, dalla versione originale varata dal
Governo fino a quella uscita dai due mesi di lavori parlamentari.
Pagamento diretto al subappaltatore
L'intervento del Governo punta a risolvere i problemi connessi ai pagamenti degli appalti in corso di
esecuzione, soprattutto nel caso in cui sopraggiunga una situazione di crisi aziendale dell'impresa
appaltatrice e di liquidità. Nel mirino c'è, nello specifico, la procedura di concordato preventivo, al
centro dei pensieri di moltissime aziende della filiera delle costruzioni. In pratica, in decine di casi è
accaduto che il concordato congelasse la situazione dell'impresa, impedendogli di far fronte ai
pagamenti dovuti nei confronti dei subappaltatori. «In tale ottica – spiega la relazione tecnica –
appare opportuno prevedere che la stazione appaltante versi i corrispettivi dovuti per l'appalto
distintamente all'appaltatore principale ed ai subappaltatori». Così la modifica al Codice appalti
prevede che, ove ricorrano condizioni di particolare urgenza inerenti al completamento
dell'esecuzione del contratto, per i contratti di appalto in corso può provvedersi, anche in deroga
alle previsioni del bando di gara, al pagamento diretto al subappaltatore, al cottimista e alla società
costituita appositamente per i lavori. In base a una modifica introdotta alla Camera, la stazione
appaltante sarà obbligata a pubblicare sul proprio sito le somme liquidate e l'indicazione dei relativi
beneficiari. Ma soprattutto, con un emendamento alla legge fallimentare, nella parte che riguarda il
concordato preventivo con continuità aziendale, viene introdotta una restrizione alla partecipazione
alle gare per le imprese che chiedono l'accesso alla procedura. Dopo il deposito del ricorso, infatti,
la partecipazione dovrà essere specificamente autorizzata dal Tribunale.
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Cartelle esattoriali
La norma sulle cartelle esattoriali passa in versione depotenziata, rispetto alle prime ipotesi
circolate alla Camera. Dopo i rilievi della Ragioneria generale dello Stato, che temeva una riduzione
delle entrate, è stata cassata l'ipotesi di congelare tutte le cartelle per chi avesse crediti aperti
verso la Pa, ventilata dal Movimento 5 stelle; alla fine è stata preferita la strada della semplice
compensazione. «Con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze», recita ora il testo, «sono
stabilite, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, le modalità per la compensazione, nell'anno
2014, delle cartelle esattoriali a favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed
esigibili, per somministrazione, fornitura, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei
confronti della pubblica amministrazione e certificati». In sostanza, con il credito certificato si potrà
procedere alla compensazione e non a un automatico congelamento del debito con le Entrate.
Certificazione energetica
Una pioggia di emendamenti ha rivoluzionato le regole sulla certificazione energetica, a partire dal
Dpr n. 75/2013, in materia di accreditamento. La novità principale è la modifica di uno degli
allegati, con l'allungamento della durata minima dei corsi, che passano così da 64 a 80 ore. A
Regioni e Province autonome, poi, viene attribuito il potere di riconoscere come certificatori i
soggetti che «dimostrino di essere in possesso di un attestato di frequenza» che attesti il
superamento di un esame finale di un corso di formazione, attivato prima del 12 luglio del 2013.
Ma, soprattutto, vengono rivisti i titoli di studio che danno accesso alla professione di certificatore.
Per sanare un'anomalia segnalata dal Cni nei mesi scorsi vengono incluse nell'elenco delle lauree
magistrali e specialistiche tutte quelle in ingegneria, comprese alcune che prima non erano
considerate. Viene anche inclusa la laurea in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale.
Attestato di prestazione energetica
Con un altro intervento viene cancellata la nullità dei contratti di vendita o locazione come sanzione
per la mancata allegazione dell'attestato di prestazione energetica. Adesso si prevede che nei
contratti di compravendita e locazione sia inserita una clausola con la quale si dichiara di aver
trasferito le informazioni relative all'attestato. L'allegazione sarà obbligatoria solo per le
compravendite. La nullità, però, viene sostituita da una sanzione amministrativa da 3mila a 18mila
euro. Il pagamento della sanzione, comunque, non esenta dall'obbligo di presentare l'Ape
comunque entro 45 giorni.
Lavoro, sanzioni più salate
Giro di vite su orari, riposo e sommerso anche nei cantieri. Con rincari molto più rilevanti di quelli
adottati di recente per la sicurezza nei luoghi di lavoro. L'aumento degli importi delle sanzioni
riguardanti le violazioni riferite al regime degli orari e dei riposi, al lavoro nero ed alla sospensione
dell'attività imprenditoriale è tra le altre novità del Destinazione Italia. Più in dettaglio, sono
previsti aumenti del 30% per quanto concerne le violazioni connesse all'impiego di lavoratori "in
nero" e quelle riguardanti le somme aggiuntive da versare per la revoca del provvedimento di
sospensione dell'attività imprenditoriale. Sono invece duplicate le sanzioni amministrative relative
alle violazioni riguardanti il superamento della durata media dell'orario di lavoro e per la mancata
concessione dei riposi giornalieri e settimanali.
Bonifiche, evitato il rischio sanatoria
L'articolo 4 del decreto introduce, a favore del ministero dell'Ambiente, la possibilità di stipulare
accordi di programma con i soggetti interessati per l'attuazione di progetti di recupero ambientale e
di riconversione industriale di siti da sottoporre a bonifica. «Finora – spiega la relazione tecnica nessuno dei predetti interventi di bonifica ha avuto avvio e tantomeno attuazione»; tramite questi
accordi l'obiettivo è far ripartire le operazioni. «La norma mira, quindi, a rilanciare l'economia dei
territori coinvolti e a promuovere il riutilizzo produttivo dei siti inquinati». Questa previsione, però,
dava luogo a un rischio sanatoria, a favore dei soggetti che avessero materialmente contribuito
all'inquinamento dei siti. Con un emendamento depositato dal presidente della commissione
Ambiente alla Camera Ermete Realacci, è stato allora stabilito che la revoca degli oneri relativi ai
fatti antecedenti l'accordo di programma è subordinata, nel caso in cui tra i soggetti interessati sia
stato individuato il responsabile della contaminazione, al rilascio della certificazione dell'avvenuta
bonifica e messa in sicurezza dei siti. L'erogazione di contributi pubblici, nel caso in cui sia stato
individuato il responsabile della contaminazione, non potrà riguardare le attività di messa in
sicurezza e di riparazione del danno ambientale da questi causato.
Svincolo delle garanzie
Altra modifica punta ad assicurare omogeneità di disciplina a tutta la materia dei contratti aventi
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ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche, in relazione al fondamentale aspetto dello svincolo
delle garanzie fideiussorie. In sostanza, l'applicazione delle norme relative al Codice appalti viene
estesa anche ai rapporti contrattuali anteriori all'entrata in vigore del Codice stesso, «ivi compresi i
settori cosiddetti esclusi». La disposizione in questione – spiega la relazione tecnica «non altera
affatto il sinallagma contrattuale dei rapporti convenzionali in essere, né incide sulle esigenze
ineludibili di garanzia della committenza rispetto all'operato dell'appaltatore».
Terzo responsabile
Poi, arriva la soluzione al problema del terzo responsabile. La questione parte da una modifica
contenuta in un Dm del ministero dello Sviluppo economico (22 novembre del 2012). Con una
novità inserita in sordina, il provvedimento rivedeva il punto 52 dell'allegato A del Dlgs n.
192/2005, che disciplina le regole relative al terzo responsabile degli impianti termici: solitamente,
le grandi caldaie dei condomini. In sostanza, il ruolo di terzo responsabile non poteva più essere
svolto da persone fisiche e giuridiche ma solo da persone giuridiche. Una minuzia che, però, ha
dato adito all'Anaci, la principale associazione degli amministratori di condominio, di adottare
un'interpretazione restrittiva della regola, in base alla quale non possono essere considerate
persone giuridiche le società in nome collettivo, le società semplici, le società in accomandita
semplice e le imprese individuali. Così in molti condomini sono stati revocati, in base alla norma in
questione, contratti in essere a imprese individuali abilitate. Ad essere coinvolte dal problema sono,
secondo le stime, circa 20mila aziende. La novità portata dal decreto sostituisce l'espressione
"persona giuridica" con la parola "impresa" e mette a posto le cose.
Risarcimenti pro Tav
Sul fronte delle infrastrutture, viene introdotto un indennizzo per le imprese che subiscono danni ai
materiali, attrezzature e beni strumentali nella realizzazione delle opere di legge Obiettivo, "come
conseguenza di delitti non colposi commessi al fine di ostacolare o rallentare l'ordinaria esecuzione
delle attività di cantiere" e in grado di pregiudicare il rispetto dei tempi di consegna dell'opera. Il
risarcimento coprirà "una quota della parte eccedente le somme liquidabili dall'assicurazione
stipulata dall'impresa o, qualora non assicurate, per una quota del danno subito". Per gli indennizzi
vengono stanziati due milioni di euro per il 2014 e cinque milioni di euro per il 2015. Le modalità
con le quali saranno erogati questi soldi, però, andranno fissate con un successivo decreto del
ministero delle Infrastrutture.
Anagrafe pubblica delle revoche Cipe
Nasce l'anagrafe pubblica delle revoche dei fondi Cipe. Entro 60 giorni dalla conversione in legge
del decreto, il Comitato dovrà pubblicare sul proprio sito web un elenco dei provvedimenti aventi
forza di legge con i quali, a partire dal primo gennaio del 2010, sono state revocate le sue
assegnazioni.
Expo 2015
Sul fronte dell'Expo 2015, una serie di norme puntano a ottimizzare l'utilizzo delle risorse
disponibili. Alcune assegnazioni del Cipe vengono revocate e le relative risorse, pari a 165,3 milioni
di euro, vengono riassegnate al Fondo revoche per essere a loro volta redistribuite. E vengono
destinati 45 milioni all'accessibilità ferroviaria dello scalo di Malpensa.
Metro di Milano
La dead line per la revoca del contributo statale da 172,2 milioni di euro alla linea M4 della
metropolitana di Milano, infine, viene spostata dal 30 giugno 2014 al 31 dicembre dello stesso
anno.
Metro di Salerno
Cinque milioni di euro vengono ricollocati per assicurare il funzionamento dell'ultimo tratto della
metropolitana leggera di Salerno.
(Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio)
LEGGE 27 febbraio 2014, n. 15
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, recante
proroga di termini previsti da disposizioni legislative
(G.U. 28 febbraio 2014, n. 49)
Ä NOTA
Milleproroghe definitivo: rinvio per il Sistri, l'Avcpass, il Pos, le centrali appalti
La corsa del Milleproroghe, partita a fine dicembre, si chiude ufficialmente nell'Aula del Senato.
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Palazzo Madama ha approvato questa mattina (mercoledì 26 febbraio), con 135 voti favorevoli, 20
contrari e 78 astenuti, la legge di conversione del tradizionale provvedimento (Dl n. 150/2013) che
rinvia le scadenze di entrata in vigore di alcune norme. Diventano così definitivi diversi slittamenti
di grande significato per l'edilizia: viene rimodulata l'entrata in vigore del Sistri, per i produttori
iniziali di rifiuti pericolosi. E vengono spostati in avanti diversi termini: centrali di committenza per i
piccoli Comuni, Avcpass, Pos per i professionisti. Oltre alle verifiche triennali soft degli attestati Soa
e alle regole sulle attestazioni dei general contractor. Riepiloghiamo, punto per punto, tutte le
novità in arrivo per le costruzioni.
Proroga per il Sistri
Un emendamento firmato da Forza Italia ha portato l'ennesimo slittamento del Sistri, stavolta al
2015. In dettaglio, fino al 31 dicembre del 2014 si continuano ad applicare i vecchi adempimenti
del Codice ambiente relativi al trasporto di rifiuti, con le relative sanzioni. Tutto il pacchetto relativo
al Sistri, sanzioni incluse, durante questo periodo non troverà applicazione. E si tratta di uno
slittamento piuttosto clamoroso, visto che il sistema aveva cominciato a trovare applicazione a
partire dallo scorso ottobre, con un calendario puntualmente fissato in una serie di circolari del
ministero dell'Ambiente. Tutto cancellato, perché adesso alle imprese saranno concessi altri mesi
per studiare il sistema di tracciabilità dei rifiuti.
Professionisti slitta l'obbligo di Pos
Slitta da gennaio 2014 al 30 giugno 2014 l'obbligo per commercianti e professionisti di accettare
anche pagamenti via bancomat. Lo slittamento è stato motivato con la necessità di dare il tempo
necessario agli interessati di dotarsi di terminale Pos. La novità vale per gli studi professionali al di
sopra di 200mila euro di fatturato per consentire pagamenti tracciabili oltre i 30 euro, secondo la
disciplina del decreto interministeriale 24 gennaio 2014, che diventerà operativo decorsi 60 giorni
dalla sua pubblicazione. Prima però arriverà lo slittamento. Contro l'obbligo di dotare imprese e
studi professionali di Pos si erano espressi sia gli ingegneri che gli architetti. Annunciando
l'intenzione di ricorrere al Tar per l'abrogazione del provvedimento. Per Armando Zambrano,
presidente del Cni e della rete delle professioni tecniche, il decreto non aiuta «la lotta all'evasione,
di contro è un regalo alle banche». Proteste anche da Leopoldo Freyrie, numero uno degli
architetti. «Sulla questione del Pos obbligatorio siamo pronti ad andare fino alla Corte
Costituzionale – ha spiegato - per una evidente limitazione della libertà del cittadino. Da parte mia
segnalo fin da ora alle Autorità che non intendo installare e non installerò il Pos nel mio studio
professionale».
Proroga per la banca dati appalti (Avcpass)
Richiesta a gran voce da Comuni e imprese, rispedita al mittente dall'Autorità di Vigilanza, alla fine
è arrivata la proroga del sistema Avcpass per la verifica telematica dei requisiti di partecipazione
alle gare d'appalto. La novità sposta al primo luglio 2014 l'entrata in vigore del sistema gestito
dall'Autorità di Vigilanza che fa del portale Avcpass il punto di raccolta dei documenti a comprova
dei requisiti di partecipazione autodichiarati dalle imprese in gara. L'emendamento contiene
peraltro una "sanatoria" per i bandi già pubblicati senza esplicito riferimento all'obbligo di verifica
dei requisiti tramite la banca dati gestita da Via Ripetta. Ricordiamo, infatti, che dopo due proroghe
il sistema - avviato in via solo sperimentale nel corso del 2013 - è ufficialmente partito lo scorso
primo gennaio. Una partenza segnata dalle proteste delle stazioni appaltanti e delle imprese e
dall'allarme lanciato dalla stessa Autorità a dicembre, preoccupata dagli effetti negativi (pioggia di
ricorsi e blocco del mercato) che sarebbero potuti derivare da una scarsa adesione al nuovo
servizio da parte delle amministrazioni. Rischio che si è puntualmente tramutato in realtà.
Edilizia scolastica
L'articolo 6, comma 3 del decreto affronta la materia dell'edilizia scolastica e punta a evitare
qualche ricorso. La misura riguarda l'obbligo per gli enti finanziati con i fondi del decreto del fare
(150 milioni, Dl 69/2013) di affidare i lavori di riqualificazione delle scuole entro il 28 febbraio,
pena la revoca dei finanziamenti. Il decreto milleproroghe sposta questo termine al 30 giugno 2014
nel caso di contestazione della graduatoria regionale di assegnazione delle risorse.
Centrali di committenza
Ritocco anche per l'obbligo, a carico dei Comuni sotto i 5mila abitanti, di bandire gare tramite una
centrale di committenza, inserito all'articolo 33 comma 3 bis del Codice appalti. La norma è
storicamente contestata sia da Ance e Anci perché si teme che possa generare un blocco dei bandi,
dal momento che impone di mettere insieme le gare di amministrazioni che non hanno
collegamenti. L'attività di lobbying, in questo caso, è sempre stata molto efficace. Perché il decreto
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Milleproroghe inanella il quarto rinvio consecutivo, stavolta fino al 30 giugno del 2014. Le
precedenti avevano fissato il termine al 31 marzo 2012, poi al 31 marzo 2013 e, infine, al 31
dicembre del 2013. Tutto questo tempo, evidentemente, non è bastato ai sindaci per mettersi in
rete. Tra l'altro, va ricordato che la legge di Stabilità ha rivisto il perimetro della norma del Codice
appalti che fissa l'obbligo di centrale unica per le amministrazioni. La manovra ha depotenziato
parecchio la misura, stabilendo che questa non si applica per gli affidamenti di lavori, servizi e
forniture effettuati in economia tramite amministrazione diretta e per i cottimi fiduciari. La proroga
fa salvi i bandi avviati tra il primo gennaio (data in cui è scattata la novità) e la pubblicazione della
legge di conversione del decreto. Non è nemmeno la prima volta che questa previsione va in vigore
e viene rinviata subito dopo: è accaduto già ad aprile del 2013.
Lavori pubblici, verifica triennale soft
Viene ripristinata una misura di favore per i costruttori alle prese con la verifica triennale
dell'attestato Soa, che abilita a partecipare al mercato dei lavori pubblici. Si tratta della tolleranza
del rapporto di congruità tra cifra d'affari in lavori, costo delle attrezzature e spesa per il personale
dipendente. Il 31 dicembre è scaduta la misura che innalzava la percentuale di tolleranza dal 25%
al 50%. Ora, con il decreto Milleproroghe, fino al 30 giugno 2014 torna in vigore la percentuale più
alta.
General contractor
Si allunga di un anno, fino al 31 dicembre 2014, la possibilità per i general contractor di dimostrare
il possesso dei requisiti tecnico-economici esibendo un'attestazione Soa in luogo dei certificati di
esecuzione dei lavori. L'obiettivo, si spiega nella stessa relazione al provvedimento, è consentire
una più ampia partecipazione possibile al club dei contraenti generali "eliminando il rischio effettivo
di creare un circolo chiuso e inaccessibile di soggetti qualificati". Va detto, peraltro che da tempo
ormai non si vedono più bandi destinati a questo tipo di soggetti, nati sull'onda della realizzazione
delle cosiddette infrastrutture strategiche annunciate dalla legge obiettivo. «Appare evidente - si
legge ancora nella relazione - che questa forma di incentivazione del mercato dei contraenti
generali e di semplificazione non ha potuto produrre gli effetti voluti dal legislatore soprattutto a
causa della crisi economica soprattutto nel settore delle costruzioni che ha prodotto una
contrazione degli appalti».
Norme antincendio negli hotel
Un passaggio è dedicato agli hotel. Sono in arrivo semplificazioni della normativa antincendio per
strutture ricettive di piccole dimensioni. Il Milleproroghe dà al ministero dell'Interno sessanta giorni
dalla conversione per aggiornare la regola tecnica di prevenzione incendi (Dm Interno 9 aprile
1994). Al nuovo provvedimento, il compito di semplificare le prescrizioni di sicurezza fissate per le
strutture con meno di 50 posti letto. Per alberghi, motel, agriturismo, ostelli, fino a 50 posti letto,
rispettare la normativa antincendio dovrà essere più facile.
Resuscitati i programmi «articolo 18»
Tornano in vita - per altri tre anni - i programmi cosiddetti «Articolo 18», cioè gli interventi
promossi nel 1992 con una dote iniziale di oltre mille miliardi di vecchie lire per realizzare alloggi
destinati alle forze dell'ordine. Nato nell'era immediatamente pre-tangentopoli questo programma,
avviato dall'articolo 18 del Dl 152/1991, ha dato risultati scarsi e in qualche caso discutibili. Ma
soprattutto, si è andato trascinando in modo improduttivo per 20 anni, al punto che - dopo vari
tentativi - il governo aveva fatto l'ennesimo tentativo di terminare la procedura, per poter utilizzare
in modo più efficace i soldi rimasti immobilizzati per anni. L'ultima "eutanasia" di questi programmi
era stata celebrata il 31 dicembre scorso, scadenza fissata nell'articolo 12 del decreto "crescita"
83/2012 (lo stesso articolo con il quale è stato lanciato il programma "del piano città"). Il comma 7
dell'articolo 12 del Dl "Crescita" concedeva tempo fino appunto al 31 dicembre 2013 per
"rilocalizzare" l'intervento che, per vari motivi, non era stato possibile realizzare nella città scelta
inizialmente. Tale rilocalizzazione poteva avvenire «nell'ambito della medesima regione ovvero in
regioni confinanti ed esclusivamente nei comuni capoluogo di provincia". A tal fine "il termine per la
ratifica degli Accordi di programma è fissato al 31 dicembre 2013». La legge di conversione ha
spostato la scadenza al 31 dicembre 2016. In particolare la proroga viene in soccorso di programmi
concentrati in città della Puglia.
Rinnovabili, resta l'obbligo del 35%
Doveva allungarsi di un anno, ma alla fine un emendamento del Movimento cinque stelle ne ha
bloccato il rinvio. Resta dunque fissato a questo anno il periodo nel quale le imprese dovranno
rispettare i requisiti minimi previsti dalla legge nel realizzare fabbricati alimentati tramite energie
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rinnovabili. La proroga sulla quota di rinnovabili per le nuove costruzioni avrebbe ritoccato le regole
fissate dal Dlgs n 28/2011, che applica le direttive europee in materia. Qui si disciplina la
certificazione energetica ma, soprattutto, all'articolo 11 viene previsto che i progetti di edifici di
nuova costruzione e i progetti di ristrutturazioni rilevanti degli edifici esistenti prevedano l'utilizzo
in quota parte di fonti rinnovabili. Un obbligo molto restrittivo perché, se non viene rispettato, dà la
possibilità ai Comuni di negare il rilascio del titolo abilitativo, impedendo di fatto la realizzazione
dell'immobile. Questo meccanismo è puntualmente regolato dall'allegato terzo del decreto. Qui si
stabilisce che gli impianti di produzione di energia termica degli edifici devono essere realizzati e
progettati in modo da garantire che una parte del riscaldamento e del raffrescamento sia
alimentata tramite fonti rinnovabili. La quota di questa energia aumenta con il passare del tempo.
Per i titoli edilizi richiesti fino al 31 dicembre 2013 è del 20%; dal 2014 al 2016 arriva fino al 35%;
dal 2017 si arriva alla soglia obiettivo della normativa, pari al 50 per cento del totale. L'obiettivo
del milleproroghe era rivedere questi gradini. Che, però, adesso resteranno intatti.
Gestioni commissariali
Nella sua prima versione il decreto concedeva più tempo (fino al 31 dicembre 2014) anche alle
gestioni commissariali al Sud. La prima proroga riguarda i termini di conclusione delle opere e
dell''incarico di commissario ad acta per gli interventi di ricostruzione nei Comuni colpiti dal sisma
tra il 1980 e il 1981. La proroga era finalizzata alla prosecuzione degli interventi ancora in corso,
come la strada a scorrimento veloce Lioni-Grottaminarda (collegamento tra l'A3 Salerno-Reggio
Calabria e l'A16 Napoli-Bari). La seconda proroga riguardava la gestione della commissariale della
galleria Pavoncelli, via d'acqua fondamentale per l'approvvigionamento idrico della Puglia. Entrambi
questi rinvii sono stati cancellati nel testo appena licenziato dal Senato.
(Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 27 febbraio 2014)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 20 febbraio 2014
Certificazione relativa al rimborso degli oneri per interessi per l'attivazione delle maggiori
anticipazioni di tesoreria conseguiti all'abolizione della seconda rata dell'anno 2013 dell'imposta
municipale propria
(G.U. 28 febbraio 2014, n. 49)
1 Energia
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
DECRETO 31 gennaio 2014
Attuazione dell'articolo 42 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sulla disciplina dei controlli e
delle sanzioni in materia di incentivi nel settore elettrico di competenza del Gestore dei Servizi
Energetici GSE S.p.a
(G.U. 12 febbraio 2014, n. 35)
1 Lavoro, previdenza e professione
INAIL - Direzione centrale rischi –
Nota 13 febbraio 2014 n. 1123
OGGETTO: Durc in presenza di certificazione dei crediti ai sensi dell'art. 13-bis, comma 5, d.l.
52/2012 e d.m. 13 marzo 2013. Verifica capienza per l'emissione del Durc
Ä NOTA
Durc a creditori Pa solo con certificati registrati nella piattaforma informatica
Nessun valore hanno le certificazioni non rilasciate con le modalità stabilite dai decreti di attuazione
del ministro dell'Economia e delle Finanze e registrate nella Piattaforma per la certificazione dei
crediti ai fini del rilascio del Durc.
Questa la più importante precisazione sull'iter per il rilascio del Durc per le aziende creditrici della
pubblica amministrazione contenuta in una recente nota dell'Inail.
Il susseguirsi delle norme. Come si ricorderà, l'articolo 13-bis, comma 5, del decreto legge
52/2012 aveva disposto che il documento unico di regolarità contributiva era rilasciato anche in
UNITELNews24
35
presenza di una certificazione, emessa ai sensi dell'articolo 9, comma 3-bis, del decreto legge 29
novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, attestante
la sussistenza e l'importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche
amministrazioni di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da
parte di un medesimo soggetto. Era poi seguito il Dm 13 marzo 2013 del ministero dell'Economia
nonché le varie circolari applicative (si veda al proposito la circolare del ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali 21 ottobre 2013 n. 40, nonché la n. 53/2013 dell'Inail, oggi in parte modificata).
L'iter complesso. L'Inail fa presente che nella Piattaforma per la certificazione dei crediti
(«sistema PCC») gestita dal ministero dell'Economia e delle Finanze sono operative le funzionalità
per il Durc in presenza di una certificazione dei crediti, ai sensi dell'articolo 13-bis, comma 5, del Dl
52/2012, e riepiloga i passaggi indispensabili per le aziende nonché gli obblighi dell'Istituto in
presenza di tali richieste. Si tratta di un iter complesso al quale, sia detto per inciso, non è
applicabile il meccanismo del silenzio-assenso dopo 30 giorni dalla richiesta. L'iter è peraltro
descritto nella «Guida al rilascio del Durc in presenza di certificazione del credito (versione 1.0. del
9 gennaio 2014)» predisposta dal ministero dell'Economia e delle finanze - Ragioneria generale
dello Stato.
In primis, occorre che il titolare del credito effettui la «Richiesta di rilascio del DURC» nella
piattaforma (selezionando "Utilità - Gestione Richieste DURC - Genera una nuova richiesta DURC").
È necessario che il richiedente specifichi il numero della certificazione/comunicazione del debito
rilasciata dall'amministrazione/ente debitore oppure selezioni la certificazione o le certificazioni da
utilizzare per la richiesta di emissione del Durc.
Il richiedente dovrà salvare su un dispositivo elettronico (chiavetta Usb, hard disk eccetera),
ovvero stampare la richiesta di rilascio del Durc, poiché all'interno è riportato il codice di verifica,
senza il quale Inps, Inail e Casse edili non possono effettuare il controllo della sussistenza e
dell'importo dei crediti certificati per attestare la regolarità ai fini del rilascio del Durc ai sensi
dell'articolo 13-bis, comma 5, del Dl 52/2012.
Allorchè l'azienda chieda il Durc dovrà far pervenire via Pec all'Inail la richiesta di emissione Durc
effettuata nel sistema Pcc, corredata dal Cip e dal numero di protocollo. Il richiedente dovrà avere
cura di precisare che si tratta di Durc in presenza di crediti certificati.
I successivi passaggi sono a cura degli enti e sono dettati dalla speciale disciplina in materia di
Durc rilasciato in presenza di certificazione dei crediti. I funzionari Inail addetti al rilascio del
documento debbono raccordarsi con i colleghi di Inps e Cassa edile per determinare l'importo totale
del debito: infatti solo qualora i crediti siano almeno pari alle somme dovute agli enti il Durc potrà
essere rilasciato. Diversamente, qualora l'importo dei debiti nei confronti degli enti previdenziali sia
superiore ai crediti certificati, la ditta sarà comunque irregolare.
La precisazione sulla validità delle certificazioni. La precisazione più importante è quella già
citata in premessa: solo le certificazioni dei crediti rilasciate dalle amministrazioni statali, dagli enti
pubblici nazionali, dalle Regioni, dagli enti locali e dagli enti del Servizio sanitario nazionale con le
modalità stabilite dai decreti di attuazione del ministro dell'Economia e delle Finanze e registrate
nella Piattaforma per la certificazione dei crediti sono valide ai fini del rilascio del Durc.
Nessun rilievo potrebbero pertanto avere eventuali dichiarazioni o certificazioni sotto altra forma
pur provenienti da amministrazioni, nemmeno se queste ultime attestassero eventuali difficoltà a
inserire i crediti nella Piattaforma: in tali casi, le sedi Inail rilascerebbero comunque, in presenza di
debiti con l'Istituto, un Durc irregolare.
Va infine ricordato che il procedimento descritto non muta qualora si tratti di Durc richiesto da
amministrazioni pubbliche, sia che si tratti di stazioni appaltanti sia che l'amministrazione operi
nell'ambito di un procedimento preordinato all'erogazione di finanziamenti, sovvenzioni eccetera.
Anche in caso di acquisizione d'ufficio, infatti, il titolare del credito deve effettuare la richiesta nel
sistema Pcc e trasmetterla agli enti previdenziali che controlleranno la capienza dei crediti
disponibili.
(Fabrizio Vazio, Il Sole 24 ORE – Guida Normativa, 25 febbraio 2014)
INPS
Messaggio 27 febbraio 2014, n. 2889
Ä NOTA
Durc interno: da aprile nuovo processo di gestione
UNITELNews24
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L’Inps annuncia, con il messaggio n. 2889/2014, l’innovazione del processo di gestione del “DURC
interno” di cui al comma 4, articolo 3 del D.M. 24 ottobre 2007.
Il nuovo processo, che diventerà operativo dal mese di aprile 2014, prevede che la richiesta del
DURC interno venga ora effettuata dall’Istituto, in qualità di ente tenuto a riconoscere i benefici di
legge, e non più dal datore di lavoro attraverso la denuncia contributiva Uniemens relativa al mese
in cui sono richiesti i benefici stessi.
Regolarità o irregolarità
Dal mese di aprile 2014 i sistemi informativi centrali provvederanno, con frequenza mensile
(approssimativamente verso la metà di ogni mese di calendario), ad interrogare gli archivi
elettronici dell’Istituto per rilevare eventuali situazioni di irregolarità incompatibili con i benefici.
Si potranno verificare le seguenti situazioni:
1) rilevazione immediata di regolarità. Nel caso in cui non siano rilevate situazioni di irregolarità,
verrà immediatamente attivata all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione positiva
(Semaforo verde), che assumerà il significato di DURC interno positivo.
Il datore di lavoro potrà quindi godere dei benefici con riferimento al mese per il quale sarà attivato
il Semaforo verde; in attuazione del comma 8ter, articolo 31 del DL n. 69/2013il DURC interno
positivo consentirà anche il godimento dei benefici con riferimento ai 3 mesi successivi (tale
validità quadrimestrale del DURC interno positivo sarà rappresentata dall’immediata
contemporanea accensione del semaforo verde per 4 mesi consecutivi);
2) rilevazione iniziale di irregolarità. Nel caso in cui siano rilevate situazioni di irregolarità, si
attiverà sempre all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione di allarme temporaneo
(Semaforo giallo) e contemporaneamente verrà inviata via PEC al datore di lavoro (e a chi lo
rappresenta per gli adempimenti previdenziali) una comunicazione detta “preavviso di DURC
interno negativo”.
In questo caso si potranno verificare le seguenti situazioni:
Verrà attivata all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione
positiva (Semaforo verde), che si sostituirà al precedente segnale di
Regolarizzazione
della
temporaneo allarme e assumerà il significato di DURC interno
posizione o accertamento
positivo.
dell’insussistenza
Il datore di lavoro potrà godere dei benefici con riferimento al mese
dell’irregolarità
per il quale verrà attivato il semaforo verde e per i 3 mesi successivi
(accensione del semaforo verde per 4 mesi consecutivi).
Verrà attivata all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione
negativa (Semaforo rosso), che si sostituirà al precedente segnale di
temporaneo allarme e assumerà il significato di DURC interno
negativo.
Il datore di lavoro, per il mese in relazione al quale sarà attivato il
semaforo rosso, non potrà godere dei benefici (tale esclusione
Nessuna
regolarizzazione
riguarderà solo il mese per cui sarà generato il semaforo rosso).
della posizione
Nota bene: se il datore di lavoro provvede alla regolarizzazione, si
genererà un DURC interno positivo sul nuovo mese considerato; tale
DURC consentirà il godimento dei benefici anche per i 3 mesi
successivi, mentre rimarranno definitivamente preclusi i benefici
relativi al mese per il quale si era precedentemente generato il DURC
interno negativo.
Emissione delle note di rettifica con la nuova procedura di Gestione contributiva
(DM2013)
Il messaggio in commento annuncia il rilascio, nella prima settimana del mese di marzo, della
procedura di gestione delle note di rettifica che permetterà anche la visualizzazione, all’interno del
Cassetto previdenziale aziende, delle note di rettifica la cui visualizzazione era stata sospesa
dall’avvio delle operazioni di reingegnerizzazione.
Con riferimento ai periodi pregressi viene previsto che le note di rettifica saranno spedite secondo il
seguente calendario:
- note di rettifiche relative alle denunce contributive con periodo di competenza fino a marzo 2013:
spedizione il 15.05.2014;
UNITELNews24
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- note di rettifiche relative alle denunce contributive con periodo di competenza aprile - luglio
2013: spedizione il 16.06.2014;
- note di rettifiche relative alle denunce contributive con periodo di competenza agosto 2013 maggio 2014: spedizione il 15.09.2014.
Le note di rettifica recanti gli addebiti contributivi relativi agli incentivi per la cosiddetta “Piccola
mobilità” saranno invece spedite il 15.09.2014, a prescindere dal mese cui si riferiscono.
(Luca Vichi, Il Sole 24 ORE - Lavoro 24, 28 febbraio 2014)
1 Pubblica amministrazione
AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE
DETERMINA 22 gennaio 2014
Approvazione ed emanazione del documento recante «Linee guida per l'effettuazione dei
pagamenti a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi». (Determina
commissariale n. 8/2014 DIG).
(G.U. 7 febbraio 2014, n. 31)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 gennaio 2014
Approvazione dello Statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale.
(G.U. 14 febbraio 2014, n. 37)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 3 febbraio 2014
Certificazione relativa alla richiesta del contributo erariale per l'aspettativa sindacale concessa al
personale dipendente.
(G.U. 11 febbraio 2014, n. 34)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 16 novembre 2013, n. 162
Regolamento recante disposizioni attuative del Fondo di solidarieta' civile, istituito dall'articolo 2-bis
del decreto-legge 12 novembre 2010, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 17
dicembre 2010, n. 217.
(G.U. 12 febbraio 2014, n. 35)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO INFORMAZIONI PER LA
SICUREZZA
COMUNICATO
Comunicato relativo all'adozione del Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio
cibernetico e del Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica
(G.U. 19 febbraio 2014, n. 41)
Ä NOTA
Sicurezza dello spazio cybernetico
In attuazione dell’art. 3 del DPCM del 24 gennaio 2013, vengono adottati il “Quadro strategico
nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico” ed il “Piano nazionale per la protezione
cibernetica e la sicurezza informatica”.
Su proposta del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica, a conclusione di un
lavoro condotto dagli esperti della Presidenza del Consiglio e delle diverse amministrazioni
competenti, il Presidente del Consiglio ha adottato i due provvedimenti aventi ad oggetto il
“Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico” ed il “Piano nazionale per la
protezione cibernetica e la sicurezza informatica”.
Nel Quadro, così delineato, vengono individuati i profili e le tendenze in evoluzione riguardanti le
minacce e i punti deboli dei sistemi nonché delle reti aventi rilievo nazionale, elencando i ruoli che i
diversi soggetti pubblici e privati coinvolti devono svolgere, al fine di perseguire l’accrescimento
delle capacità nazionali di difesa dello spazio cibernetico.
Affinché vengano garantiti il rispetto dell’individuo, l’affidabilità e la sicurezza del sistema
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finanziario, per le aziende e i consumatori, nel Quadro viene esplicitata l’esigenza di cogliere le
opportunità offerte dalle piattaforme digitali.
Contemporaneamente si affronta il problema della crescente dipendenza delle società moderne
dallo spazio cibernetico, mettendo in luce la minaccia che può colpire il soggetto più debole e meno
protetto, ovvero l’utente comune.
Vengono elencati, inoltre, i crimini che possono compiersi tramite la rete, dallo scambio online di
materiale pedopornografico, furti e truffe.
Nel Quadro, pertanto, viene evidenziata la necessità di sviluppare un concetto di difesa innovativo,
che preveda e prevenga l’attacco, reagendo e risalendo ai responsabili.
L’impegno a livello internazionale può facilitare l’affermazione delle regole comportamentali
coerenti con i valori espressione delle società moderne.
Il Quadro è stato elaborato dal Tavolo Tecnico Cyber, istituito in seno al CISR, al fine di affrontare
la criminalità cibernetica ed il suo impatto economico, affrontando tematiche relative al mercato del
computer crime.
Nel Piano, invece, sono individuati i punti prioritari e gli obiettivi concreti che danno attuazione al
Quadro sopra descritto.
In primis, viene evidenziata l’esigenza del potenziamento delle capacità di intelligence, di polizia e
difesa civile e militare, nonché della cultura della sicurezza informatica.
Nel Piano si affrontano gli interventi per rendere operativo il CERT nazionale, il CERT-PA e i CERT
dicasteriali, uniformando i protocolli di sicurezza e di supporto allo sviluppo industriale e
tecnologico.
Con questi due documenti l’Italia si dota di una strategia necessaria per guardare con fiducia alle
sfide di sicurezza del cyberspazio, volgendo lo sguardo ad un sistema dove si concretizza la
ricchezza delle nazioni
(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione 24, 20 febbraio 2014)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 13 febbraio 2014
Ulteriore differimento al 30 aprile 2014 del termine per la deliberazione del bilancio di previsione
2014 degli enti locali. (14A01248)
(G.U. 21 febbraio 2014, n. 43)
LEGGE 21 febbraio 2014, n. 13
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante
abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticita' dei
partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore
(G.U. 26 febbraio 2014, n. 46)
Ä NOTA
È legge l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti
Via libero definitivo dalla Camera, a maggioranza, alla conversione in legge del decreto, varato dal
governo Letta, che abolisce il finanziamento pubblico diretto e indiretto ai partiti e lo sostituisce
con agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini attraverso detrazioni per le
erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2 per mille Irpef.
L'accesso dei partiti alle nuove uniche forme di contribuzione viene condizionato dalla nuova legge
al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità indicati dal decreto-legge, in cui si prevede
anche l'istituzione di un registro dei partiti politici ai fini dell'accesso ai benefici. Con la nuova
disciplina viene superata la parziale riforma della legge del 2012, con la quale, al sistema dei
rimborsi elettorali era stato affiancato il cofinanziamento dello stato, proporzionato alle capacità di
autofinanziamento dei partiti, che ora è stato abolito.
Il requisito della democrazia interna
La nuova disciplina si inserisce in un processo, sviluppatosi negli ultimi anni, di progressiva
riduzione dell'entità dei contributi diretti ai partiti, istituiti nel 1974 ed erogati, a partire dal 1993,
esclusivamente sotto forma di contributi per le spese delle campagne elettorali. Le principali
caratteristiche del sistema introdotto dalla nuova legge riguardano l'adozione da parte dei partiti di
statuti recanti necessari elementi procedurali e sostanziali che garantiscano la democrazia interna.
Registro nazionale dei partiti politici
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Istituito il registro nazionale dei partiti politici che accedono ai benefici previsti dalla legge. Sarà
consultabile dal sito internet del parlamento la realizzazione da parte di ciascun partito di un sito
internet dal quale devono risultare le informazioni relative all'assetto statutario, agli organi
associativi, al funzionamento interno e ai bilanci.
Come funziona
Fra le principali misure c'è l'estensione delle funzioni di controllo della commissione di garanzia sui
bilanci dei partiti anche al rispetto delle prescrizioni sul contenuto statutario e sulla trasparenza, la
riduzione delle risorse loro spettanti per i partiti che non rispettano le norme in materia di parità di
accesso alle cariche elettive, l'introduzione di un tetto alle donazioni pari a 100 mila euro,
l'introduzione di una detrazione per le erogazioni liberali pari al 26% per gli importi da 30 a 30 mila
euro, l'assoggettazione a Imu degli immobili dei partiti politici, la possibilità di destinare il 2 per
mille irpef ai partiti, la previsione di un apposito codice di autoregolamentazione delle raccolte
telefoniche di fondi, l'applicazione progressiva della abrogazione con la riduzione parziale dei
contributi diretti che cesseranno completamente nel 2017, l'estensione al personale dei partiti della
disciplina sul trattamento straordinario di integrazione salariale e di contratti di solidarietà.
Sulla nuova legge sul finanziamento dei partiti hanno confermato il no già espresso al Senato, in
particolare, il Movimento Cinque Stelle e la Lega. Complessivamente, alla Camera si sono espressi
321 deputati mentre 141 sono stati i voti contrari e cinque le astensioni.
(Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 26 febbraio 2014)
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Giurisprudenza
1 Appalti
§ CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 17 febbraio 2014, n. 744
APPALTI – Art. 37, c. 13 d.lgs. n. 163/2006 – A.T.I. – Quote di partecipazione e quote di
ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto – Indicazione all’atto della
partecipazione alla gara – ATI costituende – Applicabilità del principio.
Il comma 13 dell’art. 37 d. lgs. n. 163/2006, stabilisce che i concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di
partecipazione al raggruppamento, il che comporta che deve sussistere una perfetta
corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, parti del servizio o della
fornitura) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al
raggruppamento, essendovi peraltro la necessità che sia l'una che l'altra siano specificate dai
componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione alla gara (Cons. St., sez. III, 11
maggio 2011 n. 2805; in senso conforme, Cons. St., sez. IV, 27 gennaio 2011 n. 606; Cons. St.,
sez. VI, 24 gennaio 2011 n. 472; sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8253). La regola non può non
valere poi anche per le A.T.I. costituende, che correttamente sono dunque tenute anch'esse ad
indicare, già nella fase di ammissione alla gara, e dunque prima dell'aggiudicazione, le quote di
partecipazione di ciascuna impresa al futuro raggruppamento e le quote di ripartizione delle
prestazioni oggetto dell'appalto, ai fini della verifica della rispondenza della prestazione da
eseguirsi ai requisiti di qualificazione tecnico-organizzativa fatti valere secondo le relative
corrispondenti percentuali. L’indicazione delle quote di partecipazione ad un’ATI costituenda,
dunque, deve indispensabilmente avvenire in sede di gara e non può essere desunta dalla diversa
indicazione delle quote di ripartizione delle prestazioni oggetto dell’appalto.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
§ CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 17 febbraio 2014, n. 742
APPALTI – Offerta anomala – Artt. 87 e 88 d.lgs. n. 163/2006 – Elementi documentali su
cui si fonda la valutazione – Posizione dell’amministrazione.
In tema di offerta anomala, il d.lgs. n. 163/2006 (artt. 87 e 88) prevede una scansione articolata
di elementi documentali su cui si fonda la valutazione di anomalia (offerta, giustificazioni scritte,
precisazioni ritenute pertinenti, nonché ogni altro elementi ritenuto utile), che costruisce un
sistema compiuto di valutazione che pone obblighi in capo ad entrambi i contraenti. Non va, infatti,
dimenticato che si tratta di un segmento di una procedura destinata alla formazione di un
contratto, per cui non è rinvenibile nell’ordinamento (e sarebbe in contrasto con il principio di
libertà negoziale) un obbligo per la stazione appaltante di accertare l’esistenza di situazioni di
mercato favorevoli alla concorrente. Spetta invece all’amministrazione rispettare i limiti di legge e
quindi svolgere la propria funzione nei limiti ordinamentali, che, a loro volta, discendono dalle
posizioni reciproche delle parti per cui, una volta che il concorrente sia stato posto nella condizione
di predisporre, integrare e giustificare la propria posizione, non può la stazione appaltante portare
tanto in avanti il proprio potere da sostituirsi alla volontà negoziale della parte stessa. Deve quindi
affermarsi che la base del giudizio di anomalia è solo quella risultante dalle disposizioni sopra
indicate, non potendosi immaginare una supplenza della stazione appaltante anche nella raccolta di
elementi non allegati, né prodotti dal concorrente.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
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§ CONSIGLIO DI STATO, Sez. 4^ - 17 febbraio 2014, n. 736
APPALTI – Possesso dei requisiti necessari per la partecipazione a gare pubbliche –
Condanne per le quali sia intervenuta la riabilitazione ex art. 178 c.p.p. o l’estinzione ex
art. 445 c.p.p. – Obbligo di dichiarazione – Inconfigurabilità.
Se, in linea generale, le false dichiarazioni sul possesso dei requisiti necessari per la partecipazione
a gare pubbliche, relativamente all'assenza di sentenze penali di condanna, si configurano come
causa autonoma di esclusione dalla procedura comparativa, nondimeno l’art. 38, comma 1, lettera
c), Cod. contr. pubbl., per cui “resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice
penale e dell’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale”; esprime un principio di diritto
in base al quale non è giustificata l'esclusione dalla gara in caso di mancata dichiarazione
-- delle condanne per le quali sia intervenuta la riabilitazione ex art. 178 c.p. con pronuncia
dichiarativa del tribunale di sorveglianza all’esito delle indagini concernenti, tra l’altro, la buona
condotta del condannato e l’avvenuto risarcimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato(ex
art. 179 c.p.); ovvero
-- delle pronunce di patteggiamento per le quali sia decorso il prescritto periodo di tempo (dei
cinque anni o due anni rispettivamente per delitti o contravvenzioni) senza che l’imputato abbia
commesso altro reato della stessa indole.
E’ dunque evidente il chiaro intento del legislatore di estendere inequivocabilmente alla materia dei
requisiti generali per la partecipazione alle gare d’appalto anche gli effetti -- di estinzione delle
pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna – conseguenti al sopravvenire di una
pronuncia della riabilitazione ai sensi dell'art. 178 c.p. e dell’estinzione di cui al 445. II co c.p.p
(cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V 25/01/2011 n. 5139). Di conseguenza, una volta affermata
l’irrilevanza delle suddette condanne ai fini dell’art. 38 del d.lgs n. 163 cit. deve coerentemente
concludersi per l’inesistenza di un obbligo di dichiarare le pronunce di condanna per cui è
intervenuta la riabilitazione o l’estinzione del reato, in quanto da tale dichiarazione non avrebbe
comunque potuto sortire alcuna conseguenza sul piano procedimentale.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
§ TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ - 12 febbraio 2014, n. 387
APPALTI – Affidamento di progettazione ed esecuzione di lavori - Variazioni progettuali
migliorative – Varianti essenziali.
Qualora, nell’ambito di una gara per l’affidamento di progettazione ed esecuzione dei lavori, la
stazione appaltante preveda che la proposta progettuale debba essere conforme al progetto
definitivo, potendo, però, i candidati, avere facoltà di inserire nell’offerta la proposta di variazioni
progettuali migliorative (fermo restando i vincoli posti dal capitolato speciale di appalto), si deve
ritenere che in tal modo, la detta stazione abbia esercitato la facoltà prevista dall’art. 76, primo
comma, del D. Lgs. n. 163/2006 indicando, i “requisiti minimi” che le varianti debbono presentare
per essere ammissibili, e, precisamente, la corrispondenza al progetto definitivo ed il rispetto delle
prescrizioni di capitolato speciale. Stante tali presupposti si deve considerare che, in dette
proposte, non sono consentite varianti coinvolgenti aspetti strutturali, o attinenti alle funzioni
essenziali cui i manufatti sono destinati nel Progetto definitivo. (C. di S., Sez. IV, sent. n. 5145 del
21.10.2008)
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
§ CORTE DEI CONTI - Sentenza 3 gennaio 2014, n. 3
Ä NOTA
Opera viziata, il progettista-direttore è sempre responsabile per mancata vigilanza
Non è sufficiente dire che lo smottamento è da ricondursi non già a difetti di progettazione
(progettazione di cui è parte integrante la relazione geologica) bensì a difetti di esecuzione
addebitabili all'impresa appaltatrice, per escludere ogni responsabilità di coloro i quali, come i
direttori dei lavori, sono designati proprio per vigilare sulla corretta esecuzione dei lavori da parte
dell'appaltatore.
La terza sezione centrale di appello della Corte dei Conti (sentenza numero 3 del 3 gennaio 2014)
merita di essere segnalata per tre importanti insegnamenti in essa contenuti: a) viene infatti
confermata la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti di liberi professionisti che svolgono,
contemporaneamente, incarichi di direttore dei lavori e progettista; b) per il danno conseguente
UNITELNews24
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all'inutilizzazione e alla mancata fruibilità del campo sportivo, rispondono per pregiudizio al
pubblico patrimonio sia il progettista che il direttore dei lavori (e non anche il Responsabile del
Procedimento); c) se la condotta è caratterizzata da una grave negligenza, non vi puo' essere
spazio per accordare il dimezzamento del danno, proprio della discrezionalità del giudizio contabile
e adottato in primo grado (cd potere riduttivo).
In ordine all'ambito di giurisdizione della Corte dei Conti, nella citata sentenza viene richiamata
quella giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in tema di responsabilità per danni cagionati
all'amministrazione appaltante dal direttore dei lavori che abbia svolto anche l'incarico di
progettista, afferma la giurisdizione del giudice contabile. Occorre infatti considerare che il direttore
dei lavori è, sia pure temporaneamente, inserito nell'apparato organizzativo della P.A., quale
organo tecnico e straordinario della stessa, con conseguente giurisdizione del giudice contabile.
Quindi, pur se, per il progettista, la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario, in difetto del
rapporto di servizio e considerata la necessaria approvazione del progetto da parte
dell'amministrazione, ove il danno erariale sia prospettato come derivante dal complesso di tali
attività sussiste la giurisdizione contabile. Da tale cumulo di incarichi deriva, infatti, una
complessiva attività professionale nella quale la progettazione è prodromica alla successiva attività
di direzione. Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione ritiene di dover affermare la giurisdizione della
Corte dei conti, non potendo giungersi alla scissione delle giurisdizioni in presenza di un rapporto
unitario (cfr., ex multis, Sezioni Unite, ordinanza 2 dicembre 2008 n. 28537).
Passando invece alla parte meramente tecnica della controversia, l'adito giudice contabile nel
ricordarci che il danno non corrisponde alle future spese da sostenere per ripristinare l'opera, ma
coincide con la spesa inutilmente sostenuta per realizzare una parte dell'opera viziata, conferma
l'assoluzione del Responsabile del Procedimento in quanto risulta del tutto evidente che l' evento
pregiudizievole non è in alcun modo riconducibile ad illegittimità procedimentali, ma a
responsabilità connesse al controllo nell'esecuzione dei lavori
Inoltre, il danno di cui trattasi è già venuto a giuridica esistenza con la viziata realizzazione
dell'opera, e nessuna incidenza a tal fine ha l'addotta circostanza che l'appalto sarebbe ancora
pendente, che vi sarebbe la possibilità di escutere una polizza fideiussoria a copertura del danno,
che vi sarebbe un contenzioso con l'impresa responsabile e, da ultimo, che il Comune ha adottato
una delibera con la quale ha approvato uno schema di transazione. Invero, per giurisprudenza
costante il danno viene meno (e, quindi, può procedersi a declaratoria di cessazione della materia
del contendere) unicamente qualora il pregiudizio subito abbia ottenuto piena ed effettiva
soddisfazione, non potendo ritenersi che ciò si sia verificato in conseguenza di futuri ed ancora
ipotetici esiti satisfattivi per l'ente locale. Ne consegue che, allo stato, il danno sussiste ancora.
Sulla base di queste considerazioni, anche il giudice di appello non ha dubbi: rientrava pienamente
nei compiti in capo alla direzione lavori la vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori e sulla
conformità qualitativa e quantitativa dei materiali utilizzati, ed i fatti dimostrano chiaramente che
ciò non è avvenuto e che, di conseguenza, si è verificato l'evento lesivo. Competeva ai due
appellanti incidentali verificare l'idoneità dei materiali, la rispondenza alle regole dell'arte delle
modalità esecutive degli interventi e la verifica dell'adeguatezza del piano di posa. Il che non è
avvenuto con la diligenza richiesta e, anzi, è certamente ravvisabile nella condotta tenuta dai
predetti una grave colpa, idonea a radicare la loro responsabilità amministrativa.
Le omissioni nella direzione dei lavori sono sufficienti per affermare la responsabilità a prescindere
dalla mancata richiesta di accertamenti geognostici da parte del progettista (che pure aggrava la
posizione quantomeno del sig. C_). Invero, non è sufficiente dire che lo smottamento è da
ricondursi non già a difetti di progettazione (progettazione di cui è parte integrante la relazione
geologica) bensì a difetti di esecuzione addebitabili all'impresa appaltatrice, per escludere ogni
responsabilità di coloro i quali, come i direttori dei lavori, sono designati proprio per vigilare sulla
corretta esecuzione dei lavori da parte dell'appaltatore e per impedire che si verifichino
problematiche quali quelle oggetto dell'odierno giudizio
Ma nella sentenza che ci occupa, merita di essere anche segnalata la contestazione attuata
dall'adito giudice di appello avverso l'applicazione del potere riduttivo adottato nei confronti dei due
responsabili ( e che ha permesso di dimezzare la loro quota di danno), si ribadisce infatti che l
danno è unicamente, e nella sua totalità, imputabile ai soggetti legati all'amministrazione da
rapporto di servizio, restando irrilevante la condotta eventualmente posta in essere dall'extraneus.
Neanche la condotta del responsabile del procedimento ha rilievo ai fini dell'esercizio del potere
riduttivo, posto che, come si è detto diffusamente, la stessa non ha avuto nessuna incidenza
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causale sul determinarsi del danno.
Questa Sezione ritiene, quindi, che non vi sia spazio alcuno per ridurre l'addebito ai responsabili del
danno, in considerazione della grave negligenza da loro manifestata nella fattispecie, a causa della
quale si sono verificati i vizi sopra esposti e si è determinata l'impossibilità, allo stato, di fruire
dell'opera, con rilevante pregiudizio anche per la collettività.
(Sonia Lazzini, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 24 febbraio 2014)
§
CONSIGLIO DI STATO, Sentenze Sez. III, 22 g ennaio 2014, n. 294 e Sez. V, 27
gennaio 2014, n. 412,
Ä NOTA
Consiglio di Stato contro l'avvalimento generico: il contratto deve indicare i mezzi
prestati
Con due recenti sentenze il Consiglio di Stato torna ad occuparsi del contratto di avvalimento,
divenuto ormai uno degli elementi centrali ai fini dell'individuazione delle corrette modalità di
utilizzo dell'istituto. Le pronunce della Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 294 e della Sez. V, 27 gennaio
2014, n. 412, portano un'ulteriore contributo in questo senso poiché, se da un lato ribadiscono
alcuni principi già conosciuti, dall'altro propongono anche alcune affermazioni idonee a meglio
definire caratteri e contenuti del contratto di avvalimento.
L'avvalimento di garanzia e i contenuti del relativo contratto.
La sentenza n. 294 del 22 gennaio 2014 contiene interessanti precisazioni in merito ai contenuti
del contratto di avvalimento nell'ipotesi in cui questo si configuri come avvalimento così detto «di
garanzia».
Il caso affrontato dalla pronuncia riguarda l'affidamento di un appalto di servizi per il quale il bando
richiedeva, come da prassi, che i concorrenti avessero, tra gli altri requisiti, anche una certa misura
di fatturato nonché lo svolgimento di servizi analoghi per un determinato importo. Ai fini della
dimostrazione di entrambi i suddetti requisiti l'impresa risultata aggiudicataria si era avvalsa di
altro soggetto (impresa ausiliaria), fornendo all'ente appaltante il relativo contratto di avvalimento.
Proprio il contenuto di questo contratto è stato oggetto di censura in sede di ricorso davanti al
giudice amministrativo da parte del secondo classificato, che lo riteneva generico e indeterminato.
In base a tale contenuto, infatti, l'impresa ausiliaria si impegnava a mettere a disposizione
dell'impresa principale la realizzazione di un determinato fatturato e lo svolgimento dei servizi
analoghi, attraverso le competenze specifiche acquisite nel corso della relativa attività, con
particolare rifermento agli strumenti di coordinamento e monitoraggio delle attività e delle
prestazioni.
Secondo il ricorrente il contratto in questione era carente dell'individuazione puntuale e dettagliata
dei mezzi e delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria, che deve considerarsi
requisito essenziale ai fini della configurazione di un valido contratto di avvalimento e quindi del
legittimo ricorso all'istituto.
A fronte di questa censura l'impresa aggiudicataria aveva replicato in primo luogo che le norme
vigenti non individuano in maniera puntuale quali siano i mezzi e le risorse che l'impresa ausiliaria
deve mettere a disposizione, lasciando quindi all'autonomia negoziale delle parti la concreta
definizione di tali elementi. Ma soprattutto ciò che andava attentamente considerato è che nel caso
di specie si era di fronte a un'ipotesi di avvalimento di «garanzia», in cui ciò che l'impresa ausiliaria
presta sono i requisiti del fatturato e dei servizi analoghi a garanzia dell'affidabilità economicofinanziaria nello specifico settore di mercato cui si riferisce la gara. In questa ipotesi, ciò che viene
sostanzialmente prestato è l'esperienza pregressa in un determinato settore di attività, che come
tale non può essere tradotta in termini di mezzi e risorse materiali, come invece avviene nel caso
del cosi detto avvalimento «operativo».
Queste argomentazioni sono state respinte sia dal giudice amministrativo di primo grado che dal
Consiglio di Stato con la sentenza in commento. In particolare, il giudice di appello ha ribadito che
il legittimo utilizzo dell'avvalimento presuppone che l'impresa ausiliaria non si limiti a prestare il
requisito richiesto dal bando quale mero valore astratto in sé considerato, ma debba assumere
l'obbligo di mettere a disposizione le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le
componenti che sono collegate al requisito oggetto di prestito.
In sostanza vi deve essere una stretta corrispondenza funzionale tra il requisito prestato e i mezzi
e le risorse messi a disposizione, costituiti da attrezzature, personale, prassi operative, know how e
UNITELNews24
44
qunt'altro è collegato al requisito stesso, nel senso che si pone in funzione servente di quest'ultimo.
Questa conclusione, secondo il Consiglio di Stato, non muta nell'ipotesi in cui ci si trovi di fronte a
un ‘ipotesi di avvalimento cosi detto di garanzia, relativo cioè al prestito dei requisiti economicofinanziario piuttosto che a quelli tecnico-organizzativi (avvalimento operativo).
Anche in questo caso, infatti, l'avvalimento non può rimanere un valore astratto, cioè svincolato da
uno stretto collegamento con le risorse materiali e immateriali proprie dell'impresa ausiliaria,
perché ciò comporterebbe uno snaturamento dell'istituto e una sostanziale elusione delle regole di
qualificazione definite nel bando di gara. E del resto la funzione di garanzia assunta dall'impresa
ausiliaria, per essere effettiva, deve comportare che quest'ultima metta a disposizione le risorse
aziendali su cui si fonda la solidità economico finanziaria che viene "prestata" all'impresa principale.
Con queste affermazioni il Consiglio di Stato viene quindi a ridimensionare fortemente
quell'indirizzo giurisprudenziale che, in relazione alla particolare configurazione dell'avvalimento di
garanzia, ha sostenuto in passato che esso non comporterebbe necessariamente la materiale
messa a disposizione di mezzi e risorse da parte dell'impresa ausiliaria, ma si risolverebbe appunto
in una mera garanzia aggiuntiva fornita dall'impresa ausiliaria all'ente appaltante in merito alla
corretta esecuzione delle prestazioni oggetto dell'appalto (Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012,
n. 5692; 6 agosto 2012, n. 4510).
Di conseguenza, la pronuncia in commento ribadisce la necessità che anche nell'avvalimento di
garanzia il relativo contratto abbia un contenuto specifico e dettagliato. Viene in questo modo
respinta la soluzione accolta dall'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato secondo cui in
questo caso l'oggetto del contratto di avvalimento potrebbe avere un maggior grado di
indeterminatezza, non dovendo specificare in maniera puntuale i mezzi e le risorse messe a
disposizione dall'impresa ausiliaria.
Certificazione di qualità e contratto di avvalimento.
Sulla stessa lunghezza d'onda si colloca anche la seconda pronuncia della Sezione V, 27 gennaio
2014, n. 412. In questo caso si trattava dell'affidamento di un servizio integrativo di trasporto
pubblico locale, in cui il soggetto risultato aggiudicatario si era avvalso di altra impresa ai fini della
dimostrazione del requisito relativo alla certificazione di qualità.
Analogamente a quanto visto nella fattispecie presa in considerazione dalla precedente sentenza, il
secondo classificato ha contestato i contenuti del contratto di avvalimento, che non conteneva una
puntale indicazione degli elementi e delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria. Tali
contenuti, quindi, non potevano ritenersi idonei a dare adeguata dimostrazione dell'effettiva
disponibilità del requisito oggetto di prestito.
Il giudice di primo grado ha accolto questa censura e il Consiglio di Stato, con la sentenza in
commento, ha confermato l'impostazione del Tar. Il giudice di appello ha infatti evidenziato che,
anche con rifermato alla certificazione di qualità, l'impresa ausiliaria non può limitarsi a prestare il
requisito come mero valore astratto; di conseguenza, nel contratto di avvalimento deve risultare in
maniera esplicita e puntuale la messa a disposizione di tutti gli specifici elementi aziendali (mezzi,
personale, prassi operative, etc.) che giustificano l'attribuzione della certificazione di qualità.
Un contratto di avvalimento che non abbia questo grado di dettaglio da un lato, deve considerarsi
nullo sotto il profilo civilistico per indeterminatezza dell'oggetto; dall'altro, finisce per rappresentare
uno strumento di agevole elusione delle regole di qualificazione. Inoltre, la mancata puntuale
definizione dell'oggetto del contratto di avvalimento impedisce all'ente appaltante di verificare
l'effettiva messa a disposizione da parte dell'impresa ausiliaria dei mezzi e delle risorse relative al
requisito oggetto di prestito.
Il Consiglio di Stato ha inoltre evidenziato che le carenze contenutistiche del contratto di
avvalimento non possono essere superate desumendo da altre fonti la natura e le caratteristiche
delle risorse messe a disposizione dall'impresa ausiliaria. Nel caso specifico, infatti, l'impresa
aggiudicataria aveva sostenuto che tali elementi potevano essere ricavati dal progetto tecnico che,
ancorché fosse stato firmato esclusivamente dalla stessa, conteneva al suo interno tutti i dati da
cui poter verificare l'effettiva messa a disposizione dei mezzi e delle risorse (procedure e personale
qualificato) da parte dell'impresa ausiliaria.
Questa prospettazione è stata respinta dal giudice amministrativo sulla base della considerazione
che, in base alle specifiche previsioni contenute nell'articolo 49 del Dlgs 163/2006, il contratto di
avvalimento assolve ad una funzione tipica e come tale non ammette equipollenti, nel senso che
non può essere sostituito o integrato con atti o documenti equivalenti.
Infine, a nulla rileva che in sede di offerta l'impresa principale abbia dimostrato il possesso
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autonomo del requisito oggetto di avvalimento, giacché la scelta di ricorrere a questo istituto fa
sorgere in capo al concorrente che l'abbia esercitata una serie di adempimenti e obblighi
conseguenti che non possono successivamente essere disattesi sulla base di una unilaterale
decisione del concorrente stesso.
Il soccorso istruttorio.
Entrambe le sentenze escludono che le carenze del contratto di avvalimento rilevate dall'ente
appaltante possano essere superate attraverso il ricorso al così detto soccorso istruttorio di cui al
comma 1 dell'articolo 46 del Dlgs 163/2006. Ciò in quanto tale strumento può essere
legittimamente utilizzato solo per integrare o regolarizzare la documentazione lacunosa o
incompleta, mentre nel caso di specie si tratterebbe di superare il mancato assolvimento di un
adempimento – presentazione di un contratto di avvalimento rispondente ai requisiti desumibili dal
sistema normativo – che grava sui concorrenti, con una conseguente violazione del principio della
par condicio.
Ne deriva che l'indeterminatezza dell'oggetto del contratto di avvalimento non può essere sanata
consentendo al concorrente di introdurre in un momento successivo alla presentazione dell'offerta
elementi ulteriori e più dettagliati, con lo scopo di meglio definire tale oggetto e superare quindi la
carenza originaria del contratto.
(Roberto Mangani, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 25 febbraio 2014)
§ CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 20 febbraio 2014, n. 819
APPALTI – Affidamento secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa
– Soluzioni migliorative – Varianti – Differenza.
Sono consustanziali alle procedure di affidamento secondo il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa le soluzioni migliorative che si differenziano dalle varianti perché possono
liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati “aperti” a diverse soluzioni sulla base del
progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione del pregio delle offerte dal punto di vista
tecnico, come si evince proprio dalla clausola di equivalenza sopra richiamata. Si tratta
di“variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche”,
direttamente riferibili alle singole forniture e lavorazioni in cui si sostanzia l’opera, in virtù delle
quali quest’ultima può risultare meglio rispondente al quadro delle esigenze funzionali poste a base
della progettazione ed ai relativi aspetti qualitativi, come predeterminati nel progetto preliminare
(e, quindi, non a quello esecutivo), ai sensi dell’art. 17 d.p.r. n. 207/2010. Le varianti, invece, si
sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la
cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante,
mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara ex art. 76 d.lgs. n. 163-2006 e
l’individuazione dei relativi requisiti minimi (comma 3 della citata disposizione), che segnano i limiti
entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata
dall’Amministrazione, pur tuttavia consentito (cfr. C.d.S., sez. V, 21 dicembre 2012 n. 6615). Il
confronto competitivo è in questo secondo caso necessariamente ristretto a singoli e
predeterminati aspetti del progetto, entro i quali il ventaglio delle alternative progettuali proponibili
è nondimeno più esteso, tant’è vero che è ammesso anche in procedure di gara con a base il
progetto preliminare, come l’appalto-concorso (cfr. C.d.S., Sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6388).
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
§ CONSIGLIO DI STATO, Sezione 6, Sentenza del 07-02-2014, n. 591
Ä NOTA
Consiglio di Stato: esclusa dalle gare l'impresa che non denuncia l'estorsione
Non denunciare un tentativo di estorsione può comportare l'esclusione dell'impresa dal mercato
degli appalti pubblici. È questa la conclusione cui è arrivato il Consiglio di Stato con la decisione
numero 591 del 7 febbraio 2014. Per i giudici di Palazzo Spada la scelta non collaborativa
dell'imprenditore ovvero omettere di denunciare talune attività estorsive subite comporta
l'annotazione nel casellario informatico. L'esistenza di un procedimento per l'applicazione di una
misura di prevenzione è già di per sé già sufficiente, ai sensi di quanto previsto dalla lettera b)
dell'articolo 38 del codice degli appalti, per l'iscrizione nel casellario informatico, con conseguente
sospensione annuale dalla partecipazione alle procedure di gara. Mentre l'omessa denuncia non
rileva soltanto se la condotta è stata posta in essere «nell'adempimento di un dovere o
nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa».
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Il fatto .La Procura della Repubblica nell'ambito di procedimenti per reati di estorsione, oltre a
richiedere il rinvio a giudizio per gli autori della estorsione, ha richiesto l'annotazione nel casellario
informatico, in base all'art 38 comma 1 lettera m ter), a carico di un consorzio, indicato come
persona offesa nella richiesta di rinvio a giudizio nella persona del legale rappresentante.
A ciò è seguita l'annotazione nel casellario informatico con un provvedimento emesso dall'Autorità
di vigilanza sui contratti pubblici, con cui è stata decisa e determinata la sospensione triennale
dalla partecipazione alle procedure di affidamento.
Il primo grado. Nel corso del giudizio di primo grado avverso questi provvedimenti, il Tar Lazio ha
ritenuto fondati i motivi del ricorso in quanto a) per quanto concerne la violazione dell' art. 38,
comma 1, lettera m-ter), mancherebbe il presupposto costituito dall'applicazione di una misura di
prevenzione in corso; b) per la la violazione dell'art. 4, comma 1, della legge 24 novembre 1981,
n. 689 e 54 Cod. pen., in quanto la Procura della Repubblica non ha escluso l'esistenza di una
causa di giustificazione;
La decisione del giudice di appello. Il Consiglio di Stato ribaltando questo giudizio, dà ragione
all'Autorità che ha dedotto che l' art. 38, comma 1, lettera m), deve essere applicato anche in
mancanza di una misura di prevenzione, in quanto unico presupposto per l'annotazione nel
casellario informatico è rappresentato dalla omessa denuncia dei reati ivi contemplati. Il Supremo
giudice amministrativo ci ricorda infatti che l'art. 38, comma 1, lettera m-ter) del Dlgs 163/2006 –
nella versione antecedente alle modifiche recate dal decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (il
cosiddetto decreto sviluppo) – prevedeva che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di
affidamento i soggetti: «di cui alla precedente lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di
un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi
previste», pur essendo stati vittime dei reati di corruzione (art. 317 Cod. pen.) ed estorsione (art.
629 Cod. pen.) aggravati dall'essere stati commessi avvalendosi delle condizioni previste dalla
norma (art. 416-bis) che disciplina il reato di associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare
l'attività della associazione stessa (art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152) non risultino
aver denunciato i fatti all'autorità giudiziaria. L'omessa denuncia non rileva soltanto se la condotta
è stata posta in essere «nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima
ovvero in stato di necessità o di legittima difesa» (art. 4, primo comma, della legge 24 novembre
1981, n. 689).
La norma proseguiva stabilendo che tale circostanza «deve emergere dagli indizi a base della
richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato nei tre anni antecedenti alla
pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha
omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all'Autorità (…), la quale
cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell'Osservatorio».
La richiamata lettera b) dell'art. 38, comma 1, prevede, nella prima parte, un'autonoma causa di
esclusione operante con riferimento ai soggetti: «nei cui confronti è pendente procedimento per
l'applicazione di una delle misure di prevenzione (…)». Nella seconda parte si specifica, sul piano
della rilevanza soggettiva, che «l'esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento
riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore
tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si
tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il
direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società
con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società».
Alla luce della riportata disciplina risultava che unico presupposto per l'annotazione nel casellario
informatico, ai sensi della lettera m-ter) dell'art. 38, fosse rappresentato dalla omessa denuncia dei
reati ivi contemplati. Il richiamo alla lettera b) dello stesso art. 38 era espressamente limitato a
quella parte della norma che indicava le qualifiche soggettive rilevanti.
Il decreto-legge n. 70 del 2011 ha modificato la predetta lettera m-ter) e, oltre ad avere ridotto da
tre a un anno il periodo di rilevanza delle condotte antecedente alla pubblicazione del bando, ha
abrogato l'inciso «anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una
misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi prevista».
La ragione giustificativa della abrogazione non può essere rinvenuta, come ritenuto dal primo
giudice, nella volontà legislativa di assegnare rilievo anche al requisito oggettivo, di tipo negativo,
sopra indicato. L'esistenza, infatti, di un procedimento per l'applicazione di una misura di
prevenzione è già di per sé già sufficiente, ai sensi di quanto previsto dalla lettera b), per
l'iscrizione nel casellario informatico. Ne consegue che richiedere la presenza anche di tale
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requisito, affinché possa ritenersi integrata la previsione di cui alla lettera m-ter), si risolverebbe in
una non ragionevole sovrapposizione di fattispecie. In altri termini, l'abrogazione dell'inciso in
esame non implica che, per potersi procedere all'annotazione nel casellario, devono ricorrere anche
"tutti" i presupposti contemplati dalla richiamata lettera b).
La modifica legislativa non ha, pertanto, valenza innovativa, costituisce una mera specificazione di
quanto già desumibile dalla precedente formulazione della richiamata lettera m-ter) e ha la sua
ratio nell'esigenza di eliminare un precetto inutile privo di una reale portata applicativa.
(Sonia Lazzini, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 26 febbraio 2014)
§ CONSIGLIO DI STATO, Adunanza plenaria Sentenza 25 febbraio 2014 n. 10
Ä NOTA
Il Consiglio di Stato smentisce l'Autorità: il vincitore deve provare i requisiti in 10 giorni,
altrimenti è fuori
L'impresa vincitrice di un appalto pubblico e il secondo classificato devono presentare i documenti
necessari a provare il possesso dei requisiti di gara entro il termine di 10 giorni dalla richiesta della
stazione appaltante. Il termine ha natura «perentoria», chi non lo rispetta va escluso dalla gara.
Con la sentenza n. 10/2014 emessa in Adunanza Plenaria e depositata lo scorso 25 febbraio ,
relativa all'appalto per il restauro del Colosseo, il Consiglio di Stato chiarisce la corretta
interpretazione della procedura di verifica dei requisiti dichiarati dai primi due classificati in una
gara per l'assegnazione di un contratto pubblico, nel caso in cui non siano stati sorteggiati per la
verifica a campione eseguita sul 10% dei partecipanti, prima dell'apertura delle buste.
La norma di riferimento è l'articolo 48 del codice degli appalti. Al comma 1, l'articolo impone alle
stazioni appaltanti, prima di procedere all'apertura delle offerte, di chiedere al 10% dei partecipanti
alla gara, scelti con sorteggio, di esibire i documenti che provano il possesso dei requisiti di gara. I
documenti, dispone il codice, devono essere presentati «entro dieci giorni dalla data delle
richiesta», pena l'esclusione dalla gara, l'escussione della cauzione e la segnalazione all'Autorità di
vigilanza. Il comma 2 prevede che questa verifica venga eseguita anche sui primi due classificati
nel caso in cui non siano stati sorteggiati per la verifica a campione. Il punto è che nel secondo
comma il termine dei 10 giorni è riferito soltanto alla richiesta che la stazione appaltante deve
inoltrare «entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni», mentre nulla si dice sul termine di
risposta delle imprese. Un'ambiguità che ha prodotto una giurisprudenza discordante. E indotto
anche l'Autorità a valutare questo termine come non perentorio nella determinazione n.1/2014,
diffusa solo pochi giorni fa con le «linee guida per l'applicazione dell'articolo 48» del codice. Nelle
istruzioni alle stazioni appaltanti l'Authority ricorda che «la questione è stata rimessa all'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato», ma intanto avanza l'interpretazione per la quale la «norma non
pone il termine di dieci giorni per la presentazione della documentazione» visto che «il riferimento
al termine di dieci giorni» riguarda la richiesta che deve inoltrare la stazione appaltante ai due
concorrenti, che in quanto tale non può che avere «natura sollecitatoria», dunque senza essere
immediatamente vincolante.
Non la pensa così il Consiglio di Stato. Palazzo Spada ripercorre le ragioni che hanno prodotto il
contrasto giurisprudenziale, concludendo per l'orientamento che prevede che «l'aggiudicatario, e il
secondo classificato, devono presentare la documentazione comprovante il possesso dei requisiti
tecnico – organizzativi ed economico - finanziari entro il termine di dieci giorni dalla data della
richiesta e che tale termine ha natura perentoria». Per Palazzo Spada si tratta di un adempimento
«essenziale per la definizione del procedimento», perché «se la verifica è positiva, viene stipulato il
contratto, se manca, si procede al ricalcolo della soglia di anomalia e all'eventuale nuova
aggiudicazione». Impossibile ammettere che, in assenza di un termine, l'aggiudicatario possa
costringere l'amministrazione, «a tenere in piedi sine die per l'esame della documentazione la
struttura organizzativa predisposta per la gara». Il termine dunque è perentorio. Ed è di dieci giorni
«non essendovi motivo per ritenere che le disposizioni dei due commi, fondate sulla stessa ratio e
coordinate con il rinvio del secondo al primo, si differenzino poi per la durata del periodo fissato per
l'adempimento».
Tassativita' delle cause di esclusione
Il 25 febbraio febbraio, sempre in Adunanza plenaria il Consiglio di Stato ha depositato un'altra
sentenza (la numero 9/2014)con riflessi importanti sul mercato dei contratti pubblici. Diversi in
questo caso i principi fissati dai giudici amministrativi. Il primo riguarda l'irretroattività del principio
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di tassatività elle cause di esclusione, introdotto nel codice (all'articolo 46), dal cosiddetto primo
decreto sviluppo (Dl 70/2011). Secondo Palazzo Spada il principio di tassatività «non ha effetti
retroattivi e trova esclusiva applicazione alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano pubblicati
(nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui inviti siano inviati), successivamente al 14
maggio 2011, data di entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011». Il secondo principio riguarda la
possibilità di estendere l'applicazione della tassatività a procedure non disciplinate dal codice,
eventualità esclusa dai giudici che danno però un'altra importante interpretazione. Secondo la
sentenza, le stazioni appaltanti sono libere di inserire nei bandi di gara clausole «che prevedono
adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi
contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del codice dei contratti pubblici,
del regolamento di esecuzione e delle leggi statali». Il quarto importante principio riguarda il
cosiddetto «potere di soccorso», cioè la possibilità che le imprese vengano chiamate a completare
eventuali lacune della documentazione di gara. Per il Consiglio di Stato questo potere è possibile
solo per regolarizzare la documentazione, mai per integrarla chiarendo che «il "soccorso istruttorio"
consente di completare dichiarazioni o documenti già presentati (ma, giova ribadirlo, non di
introdurre documenti nuovi), solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione dell'impresa;
esso non può essere mai utilizzato per supplire a carenze dell'offerta».
(Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Edilizia e Territorio, 28 febbraio 2014)
1 Catasto
§ CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sezione 6, Ordinanza del 03-02-2014, n. 2357
EDILIZIA ED URBANISTICA - EDILIZIA ED URBANISTICA (IN GENERE) - RENDITA
CATASTALE
La revisione delle rendite catastali deve essere fatta rendendo noto l'atto con il quale si è
provveduto alla revisione dei «valori della microzona sulla base di significativi e concreti
miglioramenti del contesto urbano». In caso contrario l'atto è nullo, perché non viene reso possibile
al contribuente conoscere i presupposti del nuovo classamento.
Ä NOTA
Per le nuove rendite va specificato l'atto
La revisione delle rendite catastali deve essere fatta rendendo noto l'atto con il quale si è
provveduto alla revisione dei «valori della microzona sulla base di significativi e concreti
miglioramenti del contesto urbano». In caso contrario l'atto è nullo, perché non viene reso possibile
al contribuente conoscere i presupposti del nuovo classamento.
Questo principio, già espresso dalla sentenza 9629 del 13 giugno 2012, viene ripreso dalla Corte di
cassazione con la sentenza 2357/2014, depositata ieri, che ha dichiarato illecito il comportamento
dell'agenzia quando, pur enfatizzando e descrivendo il rinnovato contesto urbano nel quale si trova
l'immobile riclassificato, omette la precisa indicazione dell'atto.
La vicenda prende le mosse da un contenzioso sorto a seguito del riclassamento operato a Napoli
(a livello di microzona) in base alla legge 662/96, articolo 3, comma 58. La Commissione regionale,
nel 2011, aveva dato ragione all'agenzia del Territorio. Contro quest'ultima pronuncia il
contribuente aveva fatto ricorso in Cassazione.
La Corte di cassazione ha affrontato, quindi, il delicato tema delle modalità con cui era stato
operato il riclassamento, specificando che il fatto che l'agenzia avesse tenuto conto dei parametri
costruttivi dell'immobile, delle sue caratteristiche edilizie e del fabbricato che la comprende, nonché
del livello di capacità reddituale degli immobili della zona ma anche, appunto, dei significativi e
concreti miglioramenti del contesto urbano, non è sufficiente a motivare la nuova rendita. Infatti,
per quanto riguarda il contesto, occorre indicare l'atto con cui si è provveduto alla revisione dei
parametri della microzona, mentre per quanto riguarda l'immobile in sé e per sé si devono indicare
le trasformazioni edilizie avvenute. Dati che invece l'agenzia aveva trascurato.
L'orientamento, che riprende quello di due anni fa, è particolarmente significativo nel contesto di
contenzioso che si va sviluppando a Roma, dove sono state mutate 175mila rendite catastali a
livello sempre di microzona, anche se sulla base di un'altra norma, la legge 311/2005, articolo 1,
comma 335.
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 4 febbraio 2014)
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§ CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sezione 6, Ordinanza del 13-02-2014, n. 3394
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI - IMPOSTE IPOTECARIE E CATASTALI
Ä NOTA
Il Catasto deve motivare il rifiuto del Docfa
In Liguria la Cassazione bacchetta il Catasto. È di ieri una sentenza della Cassazione (n. 3394,
depositata il 13 febbraio 2014) che afferma un importante principio: il classamento di un'unità
immobiliare a seguito della presentazione di un Docfa non deve solo esser comunicato, ma occorre
anche fornire gli elementi che spieghino perché la proposta del contribuente è stata rifiutata.
L'agenzia del Territorio (indipendente all'epoca del ricorso e ora inglobata nelle Entrate) aveva
impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, che aveva dato torto
all'Amministrazione in relazione alla qualificazione di un'abitazione come A/2 (civile) invece di A/4
(popolare) come richiesto dal contribuente.
Il proprietario aveva infatti presentato un Docfa con il quale proponeva un classamento della
propria abitazione (dopo importanti lavori di ristrutturazione) come «abitazione popolare».
L'Agenzia aveva però rifiutato la proposta, classificandola invece come «abitazione civile», con un
incremento della rendita catastale (e di tutte le imposte, a cascata) di quasi il doppio. Tuttavia, si
era limitata a comunicare il nuovo classamento senza motivarlo in alcun modo.
Contro questo provvedimento si era instaurato un contenzioso che, passo dopo passo, è arrivato
sino in Cassazione, la quale ha dato definitivamente torto all'Agenzia, pur compensando le spese di
giudizio: il contribuente si terrà il Docfa in A/4. Del resto l'Avvocatura dello Stato aveva già
rinunciato al giudizio «stante l'avvenuta composizione del contrasto giurisprudenziale». Insomma,
una delle cause inutili intentate dalla Pubblica amministrazione.
Del resto, ha detto la Cassazione «l'atto con cui l'amministrazione disattende le indicazioni del
contribuente circa il classamento di un fabbricato deve contenere una adeguata - ancorché
sommaria - motivazione che delimiti l'oggetto della successiva ed eventuale controversia
giudiziaria». Ma importante è la critica al «sistema catastale italiano (...). Il classamento non è oggi
disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di
un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione (...) all'Ufficio tecnico erariale».
Il quale precede «sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo. (...)
Dunque l'Ufficio non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve
anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con il
Docfa viene disattesa».
(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 14 febbraio 2014)
1 Edilizia e urbanistica
§ CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 15 Gennaio 2014 (C.C. 3/12/2013), Sentenza
n. 1486
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - PARCHI E RISERVE - DIRITTO URBANISTICO Interventi edilizi eseguiti su immobili - Area vincolata - Totale difformità dal permesso Delitto paesaggistico - Configurabilità - Artt. 32, 34 , c.2-ter e art. 44, lett. C), d.P.R. n.
380/2001 - Artt. 136, 142, lett. F), art. 167, cc.4 e 5, e 181, c.1-bis, d. Lgs. n. 42/2004.
Gli interventi eseguiti su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali
(ipotesi contestata agli indagati: artt. 136 e 142, lett. f), d.lgs. n. 42/2004), sono considerati in
totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44 d.P.R. n. 380/2001,
non trovando applicazione nemmeno la speciale ipotesi del comma 2-ter dell'art. 34, d.P.R. n.
380/2001.
Conseguentemente, il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio
eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall'art. 181,
comma 1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Cass. Sez. 3, n. 7216 del 17/11/2010 - dep.
25/02/2011, Zolesio e altro).
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DIRITTO URBANISTICO - BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Area vincolata - Interventi
edilizi eseguiti su immobili - Reati urbanistici - Concessione in sanatoria – Effetti Autorizzazione paesaggistica in sanatoria – Esclusione -Autonomia della valutazione
dell'A.G. penale - Artt. 32, 34, c.2-ter e art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380/2001 - Artt. 136,
142, lett. F), art. 167, cc.4 e 5, e 181, c.1-bis, d. Lgs. n. 42/2004.
In materia urbanistica, permane l'autonomia della valutazione dell'A.G. penale da quella
amministrativa in materia, posto che, da un lato, il giudice penale deve accertare la conformità
dell'atto agli strumenti urbanistici, in ossequio alla previsione degli artt. 36 e 44 del d.P.R. n.
380/2001, per i quali la concessione in sanatoria estingue i reati urbanistici solo se le opere
risultano conformi agli strumenti urbanistici, senza ricorrere all'istituto della disapplicazione del
provvedimento ex art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all.E (Sez. 3, n. 18764 del
26/02/2003 - dep. 18/04/2003, Demori, Rv. 224731) e, dall'altro, che ai fini della configurabilità
dei fatti-reato previsti dalle disposizioni di settore, è necessaria la valutazione sulla legittimità degli
atti amministrativi autorizzatori, ovviamente non estesa ai profili di discrezionalità, allorché tali atti
costituiscano il presupposto o elementi costitutivi o integrativi del reato, atteso che una attività
formalmente assentita non può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore e con conseguente
lesione del bene protetto finale). Nella specie, l'accoglimento della richiesta difensiva, atteso che
non potendosi rilasciare l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria per l'incremento volumetrico,
non poteva nemmeno essere rilasciato il permesso di costruire in sanatoria.
(Massime a cura della Rivista giuridica Ambiente & Diritto)
§ CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sentenza del 11-02-2014, n. 3080
EDILIZIA ED URBANISTICA - COSTRUZIONE EDILIZIA - COSTRUZIONE "DI LUSSO"
Perché l'abitazione si consideri di lusso e quindi non possa beneficiare dell'agevolazione prima casa
è necessario che venga costruita con determinate caratteristiche. Quindi non basta per dover
versare il tributo che l'area su cui insiste l'immobile sia successivamente destinata a villa o a parco
privato
Ä NOTA
La villa è «di lusso» se lo dice il Prg
La prima casa "di lusso" non può diventarlo dopo la costruzione. Se lo strumento urbanistico,
all'atto della costruzione dell'edificio, non prevedeva che l'area fosse destinata a "villa", l'edificio
non può essere considerata di lusso. Questo, in sostanza, il principio affermato dalla Corte di
cassazione con la sentenza 3080/2014, depositata ieri.
La questione è arrivata in Cassazione dopo che l'agenzia delle Entrate aveva perso in appello con il
contribuente sulla liquidazione delle maggiori imposte di registro, chieste dopo aver accertato che
l'abitazione, comprata nel 2005 con le agevolazioni fiscali per la prima casa, si trovava in una zona
che il piano regolatore aveva destinato a villa o parco privato. Il contenzioso era iniziato nel 2008,
con una sentenza 80/1/2008 della Commissione tributaria provinciale di Livorno che aveva dato
ragione al contribuente ed era proseguito con la sentenza 59/10/11, depositata il 21 aprile 2011,
della Commissione tributaria regionale della Toscana, che a sua volta aveva bocciato le richieste
dell'agenzia delle Entrate.
Ricordiamo che la differenza a carico del contribuente non è di poco conto: si tratta di versare la
differenza tra un importo pagato, pari al 4% del valore fiscale dell'immobile come imposta di
registro più (all'epoca) 336 euro complessive e fisse per le imposte ipotecaria e catastale, e le
imposte piene, pari al 10% complessivo del valore fiscale. Inoltre, scatta una sanzione del 30%
dell'imposte complessivamente dovuta.
Premesso quindi che l'articolo 1 del Dm dell'8 agosto 1969 (quello cui si fa riferimento per
individuare le abitazioni "di lusso" escluse dai benefici prima casa) stabilisce che le costruzioni
considerate "di lusso" nelle aree destinate a villa o parco privato dagli strumenti urbanistici sono
tali proprio per la destinazione dell'area e non per le loro caratteristiche intrinseche, in questo caso
si era trattato di una modifica al Prg intervenuta nel 1999, ben dopo l'ultimazione della costruzione
nel 1990: «È tuttavia evidente - ha affermato la Suprema Corte - come l'adozione o l'approvazione
di uno strumento urbanistico che destini l'area a villa o parco privato debba precedere la
costruzione dell'immobile; e ciò in quanto si presuppone che la costruzione realizzata in area
destinata a villa o a parco privato corrisponda tipologicamente al tipo di abitazione che su
quell'area può essere realizzato - villa o parco privato. Diviene pertanto irrilevante per la
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qualificazione dell'abitazione come "di lusso" l'adozione di uno strumento urbanistico che destini
l'area a "villa" o "parco privato" successivamente alla realizzazione della costruzione stessa».
Quindi, per la Cassazione, anche se l'acquisto oggetto di revoca dei benefici era intervenuto dopo la
variazione (nel 2005), è proprio la data di costruzione che fa fede. E ha respinto il ricorso
dell'agenzia, confermando i benefici al contribuente acquirente.
(Saverio Fossati, Il sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 febbraio 2014)
§ CORTE DI CASSAZIONE - Sezione III penale – Ordinanza 19 febbraio 2014 n. 7765
Ä NOTA
Concorso nei reati urbanistici anche per la condotta colposa del funzionario
Anche gli organi pubblici deputati al controllo sugli interventi di trasformazione del suolo posti in
essere da privati possono essere chiamati a rispondere dei reati urbanistici. E ciò non solo nel caso
in cui il rilascio dell'atto illegittimo sia avvenuto con dolo, ma anche nelle ipotesi di semplice colpa
del funzionario. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza 7765/2014, con la quale pur
annullando la condanna del geometra di un comune riconosciuto colpevole di aver dato il via libera
ad un'opera abusiva, ha affermato che, in linea generale, «non può escludersi la possibile
corresponsabilità del funzionario anche in relazione a condotte meramente colpose».
Il giudizio di merito
Il tribunale di Trento aveva affermato la responsabilità del funzionario, preposto al procedimento
amministrativo per il rilascio della concessione edilizia, a titolo di concorso con la parte che aveva
realizzato una demolizione non consentita sulla base del fatto che dalle tavole del progetto,
successivamente presentate, si sarebbe potuta dedurre la violazione del Piano regolatore.
Imputando così al dipendente un comportamento omissivo connotato o da negligenza o da
imperizia che si è poi inserito casualmente nel processo che ha portato alla realizzazione
dell'abuso.
Il giudizio della Suprema corte
«Ma ciò - osserva la Suprema corte - è stato correlato al deposito di tavole processuali che lo
stesso Tribunale ha definito "ambigue" ed idonee ad indurre "qualche dubbio interpretativo"».
«Omettendo - prosegue la sentenza - di valutare adeguatamente quali fossero le motivazioni per le
quali il dirigente del competente ufficio comunale - al quale spetta in via definitiva l'accertamento
della conformità dell'opera "alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente" (ex art. 12, 1° comma, del TU n. 380/2001) - avesse
ritenuto di rilasciare la concessione edilizia e quale incidenza causale sul provvedimento finale del
dirigente dovesse riconnettersi alla formulazione concreta della proposta positiva del responsabile
del procedimento». Giudizio da rifare, dunque, tenendo conto delle osservazioni sopra svolte.
(Il Sole 24 ORE - Guida al Diritto, 20 febbraio 2014)
§ TAR Campania –Napoli, Sentenza n. 5567/2013
Ä NOTA
Abuso edilizio, l'ordinanza di demolizione è legittima anche se il proprietario è
«incolpevole»
L'ordinanza di demolizione di una costruzione abusiva può essere legittimamente essere emanata
nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, in considerazione del
fatto che l'abuso edilizio costituisce un illecito permanente e che l'adozione dell'ordinanza, di
carattere ripristinatorio, non richiede l'accertamento del dolo e della colpa del soggetto interessato.
È il principio formulato dalla sentenza n.5567 /2013 del TAR Campania –Napoli, che ha respinto il
ricorso avverso l'ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Giugliano in Campania (Na) nei
confronti di una società immobiliare che aveva acquistato un residence rivelatosi abusivo.
Il ricorso
La ricorrente, asserendo di essere vittima inconsapevole di un raggiro, aveva denunciato,
l'illegittimità dell'ordinanza di demolizione, perché l'amministrazione comunale avrebbe violato, tra
l'altro, gli articoli 7 della legge 7 agosto 1990, n.241 "Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi") e 31, comma 2, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia", per aver adottato l'atto senza la preventiva comunicazione di
avvio del procedimento e notificato lo stesso al proprietario dell'immobile, anziché al responsabile
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dell'illecito edilizio.
La sentenza del Tar Campania
Entrambe le tesi sono state ritenute prive di pregio. Non la prima, stante l'orientamento dominante
della giurisprudenza amministrativa, secondo cui le norme in materia di partecipazione al
procedimento non devono essere applicate in qualsivoglia occasione, in quanto l'obbligo della
comunicazione di avvio è sancito in funzione dell'arricchimento che ne deriva all'attività
amministrativa, sul piano del merito e della legittimità, dalla partecipazione del destinatario al
provvedimento, fermo restando che, in mancanza di tale condizione, la suddetta comunicazione
appare superflua (vedasi, ex multis, Tar Lazio, Sezione III, sentenza n. 1405/1998).
Muovendo da questo presupposto, il Collegio ha pertanto rilevato che l'operato
dell'amministrazione è stato determinato dalla necessità di ripristinare tempestivamente la
legittimità violata mediante la realizzazione di un manufatto abusivo. Ragione per la quale, non si
comprende «la necessità di acquisire l'apporto partecipativo del privato, il quale non ha introdotto
elementi tali da evidenziare l'utilità della sua partecipazione al procedimento».
Quanto all'individuazione dei soggetti a cui deve essere notificata l'ordinanza, il Collegio si
conforma all'indirizzo giurisprudenziale, secondo cui - a prescindere dalla formulazione del primo
comma dell'articolo 31 del Testo unico dell'edilizia - il proprietario "incolpevole" di un immobile
abusivo non può ottenere l'annullamento dell'ordinanza che ne ordina demolizione, perché:
- l'amministrazione non ha alcun obbligo di compiere accertamenti circa l'esistenza di rapporti
inter-privati tra autore dell'abuso e proprietari, ma ha solo l'onere di individuare il proprietario
catastale (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 1878/2010);
- l'acquirente dell'immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti
giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, subendo gli
effetti dell'ingiunzione di demolizione, anche se l'abuso risulta commesso prima della traslazione
della proprietà (T.A.R. Lombardia, Sezione IV, sentenza n. 1721/2010);
-l'azione sanzionatoria prescinde dalle modalità con cui l'abuso è stato realizzato e dagli eventuali
rapporti intercorrenti tra proprietari e costruttori (Consiglio di Stato: Sezione V, sentenza
n.87/1992 ; Sezione IV , sentenze nn. 6554/ 2008 e 1179/2013).
Giurisprudenza contrastante
In altre pronunce la giurisprudenza è pervenuta a diverse conclusioni. Ad esempio, è stata ritenuta
legittima l'ordinanza di demolizione e di acquisizione di opere edilizie abusive effettuata nei soli
confronti del responsabile dell'abuso e non del proprietario dell'immobile, in quanto "l'articolo 31 si
riferisce esclusivamente all'uno, e non all'altro, per l'evidente ragione di ancorare l'attività
riparatoria in primo luogo all'effettivo autore dell'illecito" (Consiglio di Stato Sezione V, sentenza
n.2450/ 2012). Mentre è stata ritenuta illegittima l'ingiunzione non notificata al responsabile
dell'abuso né al proprietario dell'opera abusiva, ma solo al proprietario dell'area sulla quale è stata
realizzata la stessa opera, soprattutto se questi non ha la materiale disponibilità e non può
procedere alla demolizione o rimozione dell'opera abusiva" (T.A.R. Lazio, Sezione prima quater,
sentenza n.2042/2011)
1 Immobili
§ CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sezione 3, Ordinanza del 03-01-2014, n. 37
LOCAZIONI - CONTRATTI NON REGISTRATI - VALIDITÀ - RINVIO.
In tema di contratti di locazione non registrati, va rinviata alle Sezioni unite la questione relativa
alla loro validità - essendo da ritenersi superata la precedente posizione, (sentenza n.
16089/2003), in cui si riteneva che "la mancata registrazione del contratto di locazione non
determinasse nullità, in quanto, nonostante l’indubbio risalto dato dalla L. n. 431 del 1998 al profilo
fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a
requisito di validità del contratto, atteso che l’art. 1, c. 4, L. n. 431 del 1998 richiede quale
requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione,
sicché un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante
per le parti, e può essere fatto valere in giudizio".
UNITELNews24
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Ä NOTA
Abuso del diritto «fiscale» con riflessi sul contratto (civilistico) di locazione
Il Fisco sempre più parte integrante (e forse sostanziale) dei contratti privati, tanto da incidere
addirittura sulla validità degli stessi o da permettere all'amministrazione di decidere la durata di
una locazione, in caso di violazioni delle norme tributarie. Recentemente la Corte di cassazione con
l'ordinanza n. 37/2014 ha affermato che i principi sull'abuso del diritto in materia fiscale trovano
piena applicazione anche per l'interpretazione dei contratti tra privati. Questi ultimi infatti, se
prevedono accordi o condizioni volte solo a un risparmio fiscale, sono illegittimi.
La vicenda riguardava la circostanza in cui locatore e conduttore sottoscrivono un accordo, che
stabilisce un canone superiore rispetto a quello contenuto nel contratto registrato. Va segnalato
che l'articolo 13 della legge 431/1998 dispone che è nulla ogni pattuizione volta a determinare un
importo del canone superiore a quello risultante dall'accordo scritto e registrato. In passato, con
orientamento confermato in pronunce successive (sentenza n. 16089/2013), è stato precisato che
con tale norma il legislatore non ha voluto sanzionare con la nullità la «meno grave ipotesi della
sottrazione all'imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo», ma piuttosto evitare che
durante la locazione, sia preteso un canone più elevato rispetto a quello originario.
I giudici di legittimità, ora con l'ordinanza n. 37/2013 contrastando il precedente orientamento,
hanno affermato che l'accordo con il quale è stabilito un canone superiore rispetto al contratto
registrato, avendo quale unica finalità il risparmio dell'imposta, configura un abuso del diritto.
Infatti, configura uno strumento negoziale funzionalmente volto a eludere i diritti di terzi e in
particolare del Fisco.
Ne consegue che alla stregua delle decisioni della Corte di giustizia non possono trarsi benefici da
operazioni che - seppure realmente volute e immuni da invalidità - risultino prive di ragioni
economicamente apprezzabili ed eseguite essenzialmente allo scopo di ottenere un indebito
vantaggio fiscale. L'applicazione civilistica dei principi sull'abuso del diritto in materia fiscale ha
reso necessario il rinvio alle Sezioni unite, dettato dalla necessità di un revirement
dell'orientamento interpretativo precedente.
Attualmente più norme, di carattere squisitamente fiscale, con la dichiarata finalità di contrastare il
fenomeno degli "affitti in nero", invadono prepotentemente la sfera civilistica degli accordi.
L'articolo 1, comma 346, della legge 311/2004 ha introdotto la nullità dei contratti di locazione se,
ricorrendone i presupposti, non sono registrati. Si aggiungono, poi, le previsioni dei commi 8 e 9
dell'articolo 3 del Dlgs 23/2011 (decreto che ha introdotto la cosiddetta cedolare secca).
Il comma 8 dispone che per i contratti di locazione a uso abitativo, se non sono registrati entro il
termine stabilito dalla legge:
a) la durata è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o
d'ufficio, rinnovabili di altri quattro, salvo deroghe previste per legge;
b) dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato nel triplo della rendita catastale, oltre
l'adeguamento, dal secondo anno, del 75% dell'Istat.
Il comma 9 aggiunge poi che la nullità del contratto è prevista anche quando l'accordo registrato
contiene un importo inferiore a quello effettivo o quando è registrato un contratto di comodato
fittizio.
Proprio per "l'invadenza" civilistica che hanno tali disposizioni è stata sollevata da sei tribunali
questione di legittimità costituzionale, ora all'esame della Corte. E infatti, a parere dei giudici,
l'imposizione legale delle norme citate costituisce una sorta di sanzione a carico del locatore per la
mancata/tardiva registrazione del contratto, che travolge, di fatto, il principio consensualistico,
sovrapponendosi all'accordo contrattuale.
È così penalizzata, in modo eccessivo, sproporzionato e per lungo periodo di tempo, la proprietà
privata e le rendite conseguibili in regime di libero mercato. Tra l'altro la norma parrebbe in
contrasto con il principio secondo cui le violazioni aventi rilievo tributario non possono essere causa
di nullità del contratto (articolo 10 dello Statuto del contribuente).
(Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Fisco, 17 febbraio 2014)
UNITELNews24
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1 Pubblica amministrazione
§ CORTE DI CASSAZIONE, Civile, Sentenza del 09-02-2014, n. 2795
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - ATTI AMMINISTRATIVI - DOCUMENTAZIONE IMPRECISA
O ERRONEA
Ä NOTA
Uffici pubblici tenuti alla lealtà - Illegittimo negare un aiuto con la giustificazione
dell'istanza incompleta
Il principio - enunciato dall'articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 - di «collaborazione,
efficacia ed economicità dell'azione dell'amministrazione pubblica» vale anche nei procedimenti
aventi ad oggetto il riconoscimento di contributi, sussidi e finanziamenti pubblici. Pertanto,
l'amministrazione - nell'ipotesi di documentazione incompleta o erronea - ha l'obbligo di precisare
quali documenti siano eventualmente carenti e di invitare l'interessato ad integrare quelli mancanti,
non potendo limitarsi a respingere la richiesta, a distanza di anni, rappresentando genericamente
che la documentazione era incompleta.
È questo, in sintesi, ciò che ha sancito la sentenza 2795 della I sezione civile della Cassazione. Un
giudicato, quest'ultimo, destinato a rimanere come riferimento autorevole, non solo in campo
giurisprudenziale - e non solo nella materia dei cosiddetti "incentivi pubblici" - ma anche nella
corretta "impostazione culturale" delle modalità di strutturazione del rapporto tra Stato e cittadini.
L'essenzialità del dispositivo non ne diminuisce, infatti, la valenza valoriale, l'applicabilità diffusa a
fattispecie molteplici e, soprattutto, l'innovatività, in particolar modo nell'atteggiamento con quale
la Corte affronta il tema della "parità" tra istituzioni e soggetti privati e, più in generale, quello
della funzione strumentale della pubblica amministrazione agli interessi della collettività governata.
La vicenda oggetto di giudicato prende le mosse dalla non completa erogazione della terza quota
(comprensiva dello stato finale per il completamento dei lavori) di un "contributo per la
ricostruzione" di un immobile colpito dal sisma della Campania/Basilicata del 1980 (disciplinato
dalla legge 219/81). Dopo aver erogato le prime due quote del beneficio al proprietario di un
immobile oggetto di lavori di ristrutturazione, un Comune del napoletano aveva corrisposto solo in
parte quanto richiesto con la presentazione del terzo (ed ultimo) stato d'avanzamento lavori. Ne
era conseguito un procedimento monitorio, con emissione - nel 1996 - di un decreto ingiuntivo a
carico dell'ente inadempiente che - costituendosi nel giudizio di primo grado - aveva motivato il suo
comportamento adducendo che «lo stato finale dei lavori non era corredato dalla documentazione
prevista dalla legge e che, con una delibera di giunta, era stato stabilito che le pratiche per la
determinazione del contributo definitivo dovessero ricevere il parere (qui mancante, ndr)
dell'apposita commissione di cui all'articolo 14 delle legge 219 del 1981».
In altre parole, si era concretizzata una fattispecie ricorrente nella gestione degli aiuti pubblici e
che riguarda anche molte imprese italiane, destinatarie degli incentivi della legge 488/92. Alle
prime erogazioni del beneficio corrispondono le richieste del saldo (al termine della realizzazione
degli investimenti) che, però, non vengono seguite né dalla corresponsione di quanto richiesto né
da un altro atto (nemmeno di revoca del pregresso).
A fronte di tale circostanza, è evidente che l'unica strada per l'assegnatario del beneficio rimane
quella del ricorso alle "vie legali", con l'avvio di un lungo iter processuale, peraltro «certo nei costi
e incerto negli esiti».
Nel caso di specie, l'esito è stato favorevole. Se una legge - come l'articolo 21, comma 3, del Dlgs
76/90 - pone a carico dell'amministrazione l'accertamento della regolarità della documentazione
amministrativo-contabile a corredo della pratica per la liquidazione del contributo, è evidente che
l'obbligo di accertamento è «a carico dello Stato» (al pari dell'obbligo di prova del diritto, gravato
sul richiedente). L'ente erogatore è sempre "obbligato" a svolgere un'attività di verifica, di cui è
tenuta a rendere conto nell'ambito del contraddittorio con il privato, configurandosi come contrario
alla legge (quella che impone, più in generale, il rispetto della "buona fede") un comportamento
difforme.
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In definitiva, viene segnato un nuovo punto a favore di chi ritiene che l'attività della pubblica
amministrazione deve svolgersi nel rispetto dei principi e delle disposizioni del Codice civile e, in
generale, di quello della "buona fede", anche interpretativa. Mai la posizione di preminenza,
derivante dai diritti potestativi, deve contrastare coi principi di efficacia, imparzialità e trasparenza
dell'azione dello Stato.
(Amedeo Sacrestano, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 8 febbraio 2014)
1 Rifiuti
§ TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ - 24 gennaio 2014, n. 228
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabile dell'inquinamento – Principio “chi inquina
paga” - Proprietario non responsabile.
La nostra legislazione ha recepito il principio “chi inquina paga”, per il quale è il responsabile
dell’inquinamento il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell’art. 242 decreto legislativo n. 152 del
2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della
constatazione di uno stato di contaminazione. Il proprietario non responsabile è gravato di una
specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l’adozione delle misure di prevenzione
di cui all’art. 242, (che, all’ultimo periodo del comma 1, ne specifica l’applicabilità anche alle
contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di
contaminazione). A carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come
responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun ulteriore obbligo di facere; in particolare, egli
non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha
solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi (art. 245). Nell’ipotesi di mancata
individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello
stesso – e sempreché non provvedano spontaneamente il proprietario del sito o altri soggetti
interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dall’Amministrazione competente (art.
250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche
esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei
medesimi interventi (art. 253). In sostanza, deve ritenersi che nel nostro ordinamento, il principio
“chi inquina paga”, richiede comunque l’accertamento della responsabilità del soggetto inquinatore.
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Artt. 242 e ss. d.lgs. n. 152/2006 – Iter
procedimentale.
L’art. 242 d.lgs. 152/2006 introduce un complesso iter diretto a porre in capo al soggetto
inquinatore l'obbligo di procedere alla bonifica del sito contaminato. Il procedimento è scandito da
una prima fase che ha inizio al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di
contaminare un sito. Nella seconda fase, l’art. 242 prevede che il responsabile dell’inquinamento,
attuate le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione,
un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti che il livello delle
concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della
zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune e alla Provincia
competenti per territorio. Qualora il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione risulti
invece superato, il responsabile dell'inquinamento deve immediatamente informare il Comune e la
Provincia competente con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di
emergenza adottate. Tutte le successive fasi della procedura di bonifica devono essere approvate
dalla Regione. Il piano di caratterizzazione deve essere presentato alle amministrazioni e alla
Regione territorialmente competente, e questa, convocata la conferenza di servizi, autorizza il
piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. Sulla base delle risultanze della
caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la
determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Entro sei mesi dall’approvazione del
piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla Regione i risultati dell'analisi di
rischio. La conferenza di servizi, convocata dalla Regione a seguito dell'istruttoria svolta in
contraddittorio con il soggetto responsabile approva il documento di analisi di rischio. Se gli esiti
dell'analisi di rischio sono positivi, in quanto dimostrano che la concentrazione dei contaminanti
presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con
l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il
procedimento. Se invece sono superate le soglie di concentrazione di rischio, il soggetto
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responsabile sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di
analisi di rischio, il progetto degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o
permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. Il
procedimento non muta, salvo che per la competenza del Ministero, per i siti di interesse nazionale.
Da quanto esposto emerge che l’intervento di bonifica è l’ultima fase di un complesso iter
procedimentale volto a verificare l’effettivo inquinamento e a individuare le corrette modalità per
effettuare la bonifica. Iter procedurale che richiede l’effettiva partecipazione, nell’ambito della
conferenza di servizi, di tutte le parti coinvolte, al fine di garantire l’effettività degli obiettivi che si
intendono realizzare.
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabile dell'inquinamento – Principio “chi inquina
paga” - Applicabilità alle misure di messa in sicurezza d'emergenza.
Il principio “chi inquina paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza,
secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240 comma 1 lett. m), d.lg. n. 152
del 2006 (ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di
emergenza di cui alla lett. t), in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto
a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre
matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di
messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in
sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile
dell’inquinamento (art. 242, d.lg. n. 152 cit.).
(Massime a cura della rivista giuridica Ambiente & Diritto)
§ TAR LIGURIA, Sez. 2^ - 6 febbraio 2014, n.225
RIFIUTI – Discariche – Gestione post operativa – Soggetto divenuto proprietario
dell’area in epoca successiva alla chiusura della discarica – Misure urgenti imposte dal
sindaco ex art. 50 d.lgs. n. 267/2000 – Fattispecie.
Gli obblighi concernenti la fase di gestione post-operativa di una discarica non possono essere
addossati al privato che sia divenuto proprietario del sito in un’epoca successiva alla chiusura della
discarica medesima, peraltro non avendo in alcun modo contribuito alla smaltimento di rifiuti in
loco. Tuttavia, non sono configurabili come attività di gestione post operativa della ex discarica
(caratterizzata da interventi soggetti a programmazione e orientati al risultato finale rappresentato
dalla completa eliminazione di rischi per la salute e l’ambiente derivanti dalla presenza di rifiuti), le
misure urgenti, imposte dal Sindaco ex art. 50 d.lgs. n. 267/2000, volte a rimediare ad una
situazione di pericolo imprevedibile e straordinaria per il superamento della quale sia richiesto il
compimento di lavori atipici, non rientranti nelle normali azioni programmate per la fase post
mortem. Stante l’urgenza, tale ordinanza è ragionevolmente rivolta al proprietario attuale dell’area,
ossia all’unico soggetto che, pur non essendo direttamente responsabile dell’inquinamento, aveva
concretamente la possibilità di eseguire, nei tempi brevi richiesti dalla situazione di pericolo, i
necessari interventi di messa in sicurezza (fattispecie relativa all’ordine di deviare un corso d’acqua
al fine di evitare l’azione erosiva dello stesso nei confronti dell’accumulo di rifiuti e di impedire il
contatto dei predetti rifiuti con l’acqua piovana).
(Massime a cura della rivista giuridica Ambiente & Diritto)
§ CONSIGLIO DI STATO, Sez. 5^ - 20 febbraio 2014, n. 818
RIFIUTI
- Procedura semplificata – Prova della sussistenza delle condizioni per
l’applicazione del regime di favore – Soggetto che beneficia della procedura semplificata.
Spetta al soggetto che voglia agire il regime di favore rispetto a quello ordinario del rifiuto, fornire
la prova della sussistenza di tutte le condizioni per l’applicazione di un regime di favore e
differenziato (cfr. Corte di Cassazione, sez. III pen., 1° ottobre 2008, n. 37280), in presenza,
ovviamente di una contestazione seria e dettagliata da parte dell’Amministrazione. Sulla base,
infatti, delle considerazioni derivanti dal complesso ordito normativo in materia, appare evidente
che consentire tempi e quantità superiori per la messa in riserva di un rifiuto in regime di
procedura semplificata comporta il rischio di creazione di una discarica, facendo insorgere il
sospetto di una probabile perdita di controllo del flusso del rifiuto. E’ evidente, dunque, che
impostare un onere probatorio in capo al soggetto che beneficia della procedura semplificata è
coerente con i rischi ambientali e di inquinamento che tale procedura potrebbe implicare (creazione
di fatto di una discarica) che si vogliono senz’altro prevenire.
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RIFIUTI – Art. 239, c. 2 d.l gs. n. 152/2006 – Avvio a recupero o smaltimento di rifiuti
abbandonati in modo incontrollato – Attività di caratterizzazione – Avvenuta rimozione
del rifiuto – Impossibilità giuridica della trasformazione del rifiuto abbancato in terreno.
L’art. 239, comma 2, del d.lgs. n. 152-2006, in caso di avvio a recupero, smaltimento rifiuti
abbandonati o deposito in modo incontrollato, subordina l’attività di caratterizzazione dell’area ai
fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale all’avvenuta rimozione del rifiuto.
Ciò implica che il legislatore abbia riconosciuto l’impossibilità giuridica di una trasformazione del
rifiuto abbancato in “terreno”, non più soggetto a smaltimento.
RIFIUTI – Concetto di rifiuto tal quale – Art. 8 D M 5.2.1998 – Campionamento –
Effettuazione del test di cessione – Allegato 3 dello stesso DM.
Il concetto di rifiuto “tal quale” è rilevante soltanto ai sensi dell’art. 8 del DM 5.2.1998, che
disciplina le modalità di campionamento al fine della caratterizzazione chimico fisica del rifiuto
stesso, mentre non compare nel successivo art. 9 ai fini dell'effettuazione del test di cessione di cui
all’Allegato 3 dello stesso DM 5.2.1998.
(Massima a cura della Rivista Giuridica Ambiente e Diritto)
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Appalti
&
L'housing sociale è concessione di servizi (e si applicano solo i principi del
codice)
In tema di raggruppamenti temporanei di imprese, la normativa vigente impone, limitatamente ai
lavori, la corrispondenza solo tra quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione
delle prestazioni, e non anche con i requisiti di qualificazione in capo a ciascuna impresa
raggruppata.
Sotto tutt'altro profilo, la realizzazione di programmi di housing sociale, nella loro caratterizzazione
tipica, configura l'affidamento di una concessione di servizio pubblico. Di conseguenza, la relativa
procedura di gara non deve essere svolta con la necessaria osservanza di tutte le norme del Dlgs
163/2006 relative agli appalti, ma garantendo esclusivamente il rispetto dei principi generali in
materia di contratti pubblici.
Roberto Mangani, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 12 febbraio 2014
In tema di raggruppamenti temporanei di imprese, la normativa vigente impone, limitatamente ai
lavori, la corrispondenza solo tra quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione
delle prestazioni, e non anche con i requisiti di qualificazione in capo a ciascuna impresa
raggruppata.
Sotto tutt'altro profilo, la realizzazione di programmi di housing sociale, nella loro caratterizzazione
tipica, configura l'affidamento di una concessione di servizio pubblico. Di conseguenza, la relativa
procedura di gara non deve essere svolta con la necessaria osservanza di tutte le norme del Dlgs
163/2006 relative agli appalti, ma garantendo esclusivamente il rispetto dei principi generali in
materia di contratti pubblici.
Questi gli importanti principi affermati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 7 del 30 gennaio 2014, che affronta anche altre rilevanti questioni relative al ricorso
incidentale e alle modalità di individuazione delle norme specifiche che, in materia di contratti
pubblici, possono considerarsi espressione dei principi generali.
Il caso. La pronuncia trae origine da una vicenda complessa che, anche in relazione alla novità
della materia, ha dato origine a un lungo e articolato contenzioso.
Si tratta della procedura avviata dal Comune di Roma per l'individuazione di un soggetto cui
assegnare la realizzazione di un programma di housing sociale. Il programma ha un contenuto
complesso, posto che prevede in primo luogo la progettazione e la realizzazione su un'area di
proprietà del Comune e attribuita in diritto di superficie di un considerevole numero di alloggi, da
locare o da vendere in regime convenzionale. Nel contempo l'assegnatario dell'iniziativa deve
provvedere alla progettazione e realizzazione di edifici a destinazione commerciale, delle opere di
urbanizzazione primaria, nonché alla gestione degli alloggi, con particolare riferimento
all'assegnazione degli stessi agli aventi diritto.
La procedura di gara risentiva evidentemente della complessità del relativo oggetto, richiamando in
maniera esplicita alcune norme del D.lgs. 163/2006 ma nel contempo dettando una disciplina
autonoma su numerosi aspetti quali i requisiti di partecipazione, i raggruppamenti temporanei, i
soggetti ammessi alla gara.
A fronte dell'aggiudicazione operata a favore di un concorrente, il secondo classificato proponeva
ricorso davanti al giudice amministrativo, muovendo una serie di contestazioni tra cui assumeva
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particolare rilievo quella volta a contestare il mancato rispetto da parte del soggetto aggiudicatario
della norma dettata in materia di raggruppamenti temporanei dall'articolo 37, comma 13, del D.lgs.
163/2006, che impone la corrispondenza tra quote di partecipazione al raggruppamento e quote di
esecuzione delle prestazioni.
A sua volta il concorrente aggiudicatario originario proponeva ricorso incidentale, deducendo che il
ricorrente principale doveva essere escluso dalla gara per aver presentato un'offerta difforme
rispetto alle previsioni dei documenti di gara.
Il Tar Lazio riteneva il ricorso incidentale non idoneo a paralizzare il ricorso principale,
dichiarandolo come tale inammissibile per carenza di interesse. Nel contempo accoglieva il ricorso
principale sulla base dell'assunto che alla procedura oggetto, ancorché fosse finalizzata
all'affidamento non di un appalto di lavori bensì di un contratto misto, doveva comunque ritenersi
applicabile la previsione dell'articolo 37, comma 13 – disattesa dall'aggiudicatario - in quanto
espressione di un principio generale del sistema.
Contro la decisione del giudice di primo grado l'originario aggiudicatario ha a sua volta proposto
appello davanti al Consiglio di Stato. La Sezione V, investita del ricorso, considerato il particolare
rilievo delle questioni di diritto da affrontare per risolvere la controversia, ha rimesso le stesse
all'Adunanza Plenaria.
Il ricorso incidentale. La prima rilevante questione affrontata dall'Adunanza Plenaria ha
riguardato il ruolo del ricorso incidentale ed il suo rapporto con il ricorso principale. È noto che con
la famosa sentenza n. 4/2011 la stessa Adunanza Plenaria si è espressa sul punto, sancendo il
principio che il ricorso incidentale deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso
principale solo qualora abbia potenzialmente un effetto paralizzante su quest'ultimo, nel senso che
il suo eventuale accoglimento ha come conseguenza l'illegittimità dell'ammissione alla gara, fin
dall'origine, del ricorrente principale.
Nella pronuncia in esame il Consiglio di Stato precisa che questa condizione si verifica quando le
censure proposte con il ricorso incidentale riguardano la mancata esclusione del concorrente che ha
proposto il ricorso principale o per carenza dei requisiti soggettivi o per difetti dell'offerta. Al
contrario, tutte le censure che attengono ad attività della stazione appaltante diverse e successive
rispetto a quelle volte ad accertare la regolarità dei requisiti soggettivi o dell'offerta non sono
idonee a imporre l'esame prioritario del ricorso incidentale. In questi casi, infatti, si controverte in
tema di valutazioni effettuate dalla stazione appaltante relativamente ai contenuti dell'offerta, che
tuttavia presuppongono l'avvenuto superamento di ogni questione inerente la regolare
partecipazione del concorrente alla gara.
La situazione da ultimo illustrata ricorre, ad esempio, nel caso di censure volte a contestare
l'attribuzione dei punteggi in caso di utilizzo del criterio dell'offerta economicamente più
vantaggiosa ovvero relative al giudizio di anomalia dell'offerta. Ma vale anche nel caso oggetto del
presente contenzioso, che a prima vista potrebbe apparire più dubbio. Anche in questo caso,
infatti, le contestazioni mosse con il ricorso incidentale, anche se apparentemente volte a
contestare la regolarità dell'offerta presentata dal ricorrente principale in relazione ad alcune
prescrizioni di gara, sono in realtà dirette a censurare l'attività valutativa dell'ente appaltante sui
contenuti dell'offerta.
Da qui la conclusione che nel caso di specie non sussistono le condizioni per l'esame prioritario del
ricorso incidentale, che si verificano solo qualora quest'ultimo sia volto a censurare valutazioni
dell'ente appaltante attinenti strettamente alla verifica della regolare partecipazione alla procedura
di gara del ricorrente principale.
L'housing sociale. Di grande interesse sono le affermazioni operate dall'Adunanza Plenaria in
tema di housing sociale, volte a inquadrare la tipologia contrattuale dei relativi interventi definendo
quindi anche le conseguenti modalità di affidamento.
Il Consiglio di Stato ricorda in via preliminare la finalità dell'housing sociale e il quadro normativo
che negli ultimi anni ne ha delineato i contorni sotto il profilo giuridico. Si tratta di programmi volti
a incrementare la disponibilità dei cosi detti alloggi sociali, cioè quegli alloggi che vengono offerti in
locazione o in vendita a prezzi o a canoni convenzionati – quindi inferiori a quelli di mercato - a
particolari categorie di soggetti. Questi programmi di edilizia abitativa tendono a soddisfare le
esigenze di quei soggetti il cui reddito si colloca in una fascia mediana, nel senso che non sono in
grado di accedere al libero mercato ma non hanno neanche i requisiti per rendersi assegnatari di
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alloggi di edilizia residenziale pubblica.
In questo contesto si inserisce la procedura indetta dal Comune di Roma per la realizzazione di un
programma di housing sociale su un'area di sua proprietà. Come indicato più sopra, l'oggetto
dell'affidamento è complesso, in quanto l'assegnatario dell'iniziativa è chiamato a svolgere non solo
le prestazioni relative alla progettazione e realizzazione degli alloggi di edilizia sociale e di altre
opere, ma anche la successiva attività di gestione dei medesimi, consistente nella relativa
assegnazione agli aventi diritto.
Per risolvere la specifica questione oggetto della controversia, relativa all'applicabilità alla
procedura della previsione dell'articolo 37, comma 13 in materia di raggruppamenti temporanei, il
Consiglio di Stato affronta la questione della qualificazione giuridica del relativo contratto oggetto
di affidamento.
Al riguardo l'Adunanza Plenaria afferma che tale contratto va inquadrato nella concessione di
servizio pubblico, ricorrendo tutti gli elementi caratterizzanti tale figura. In primo luogo l'housing
sociale si qualifica in termini di servizio di interesse economico generale, venendo a soddisfare un
interesse pubblico essenziale quale la soddisfazione di un'esigenza abitativa primaria dei soggetti
che non possono accedere al libero mercato.
In secondo luogo, lo schema contrattuale proposto riprende i caratteri tipici della concessione di
servizio pubblico, in cui vi è un rapporto trilaterale tra ente pubblico (concedente), soggetto
atttuatore (concessionario) e una platea indifferenziata di utenti del servizio, rappresentati da
coloro che utilizzano o si rendono acquirenti degli alloggi sociali. Coerentemente a tale schema, il
ritorno economico del concessionario non è rappresentato da un corrispettivo pagato dall'ente
pubblico (come nell'appalto), bensì dai proventi derivanti dalla gestione degli alloggi (canoni di
locazione e corrispettivi delle vendite). Quale ulteriore conseguenza, sussiste anche l'assunzione a
carico del concessionario del relativo rischio d'impresa, che rappresenta elemento discriminante
della concessione rispetto allo schema dell'appalto.
Le affermazioni del Consiglio di Stato hanno un rilievo significativo, anche perché intervengono per
la prima volta a definire con chiarezza i contorni giuridici delle iniziative di housing sociale, fino ad
oggi oggetto di notevoli incertezze. Nel merito, appare del tutto condivisibile la conclusione
secondo cui il modello contrattuale utilizzato per la realizzazione di tali iniziative non è riconducibile
allo schema dell'appalto. Manca infatti l'elemento essenziale di tale schema, e cioè lo svolgimento
di una prestazione a favore dell'ente committente a fronte di un corrispettivo da quest'ultimo
erogato.
Meritevole di attenzione è anche la scelta di qualificare il contratto finalizzato alla realizzazione dei
programmi di housing sociale in termini di concessione di servizio pubblico. Anche se l'esistenza di
un'area di proprietà dell'ente pubblico che viene messa a disposizione per l'attuazione
dell'intervento, normalmente mediante l'attribuzione di un diritto di superficie, potrebbe far
configurare anche la diversa ipotesi della concessione di bene pubblico, cui si accompagnano una
serie di obblighi a carico del concessionario.
La norma in materia di raggruppamenti e la concessione di servizio pubblico. L'effetto
fondamentale dell'impostazione accolta è che, non essendo lo schema contrattuale in esame
riconducibile all'appalto pubblico, la relativa procedura di gara è sottratta all'integrale applicazione
delle specifiche norme dettate dal D.lgs. 163/2006 relativamente agli appalti.
Vale invece la previsione di cui all'articolo 30 del D.lgs. 163, secondo cui la scelta del
concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato Ue e dei principi
generali in materia di contratti pubblici (trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
etc.).
Proprio alla luce di questa previsione, al fine di risolvere la specifica questione sollevata dal
ricorrente principale, l'indagine del Consiglio di Stato si è concentrata nello stabilire se la previsione
dell'articolo 37, comma 13, che impone la corrispondenza tra quote di partecipazione al
raggruppamento e quote di esecuzione delle prestazioni, debba considerarsi espressione di un
principio generale del sistema dei contratti pubblici e come tale applicabile anche all'affidamento
delle concessioni di servizio pubblico, ai sensi del richiamato articolo 30.
Al riguardo il giudice amministrativo richiama il criterio, già affermato in precedenti pronunce, che
deve guidare l'analisi volta a stabilire quando una specifica norma sia da considerare espressione di
un principio generale. Questa condizione ricorre quando la norma abbia il fine di tutelare in via
immediata e diretta valori immanenti al sistema, che cioè attengono alla realizzazione di finalità di
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carattere generale.
Nel caso di specie questa situazione non si realizza, in quanto la previsione sull'obbligo di
corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di esecuzione nell'ambito del raggruppamento
temporaneo mira a soddisfare esclusivamente un interesse specifico dell'ente appaltante ai fini di
agevolare la sua attività di verifica e controllo, che non assurge tuttavia a valore di interesse
generale del sistema.
La conclusione è che la norma contenuta all'articolo 37, comma 13, dettata con specifico
riferimento agli appalti, non trova applicazione nella diversa ipotesi di concessione di servizio
pubblico.
Il principio della corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di esecuzione.
Nell'affrontare la questione relativa all'applicabilità dell'articolo 37, comma 13 al caso di specie, la
pronuncia del Consiglio di Stato interviene anche a definire l'esatto ambito applicativo di questa
norma.
Secondo il giudice amministrativo l'unico obbligo imposto dalla norma è che vi sia corrispondenza
tra quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione delle prestazioni. Tale obbligo
di corrispondenza, invece, non si estende – come pure ritenuto da una parte significativa della
giurisprudenza – ai requisiti di qualificazione, nel senso che questi ultimi non devono
necessariamente coincidere con le quote di partecipazione (e, conseguentemente, con le quote di
esecuzione).
A sostegno di tale tesi vengono richiamate sia ragioni di ordine letterale che sistematico. Sotto il
primo profilo, viene evidenziato che la formulazione testuale della norma è chiara nel prevedere
l'obbligo di corrispondenza solo tra quote di partecipazione e quote di esecuzione, mentre nulla
dice per ciò che concerne i requisiti di qualificazione. L'estensione di tale obbligo anche ai suddetti
requisiti costituisce quindi un salto interpretativo che peraltro, secondo l'Adunanza Plenaria,
incontra anche delle controindicazioni di natura sistematica.
Il quadro normativo, infatti, già delinea un regime di qualificazione per i raggruppamenti in cui
sono definiti i requisiti che devono essere posseduti dalle imprese raggruppate. Inoltre, l'estensione
dell'obbligo di corrispondenza anche ai requisiti di qualificazione produrrebbe l'effetto di precludere
la partecipazione alle gare di raggruppamenti caratterizzati da un «eccesso di qualificazione».
Le considerazioni operate a sostegno della tesi accolta hanno un loro indubbio fondamento. Resta
tuttavia la perplessità legata al fatto che in questo modo vengono ad essere ignorate – con effetti
negativi sul sistema - le ragioni che una parte della giurisprudenza aveva individuato a sostegno
della tesi opposta.
Tali ragioni sono da ricercare nell'esigenza di assicurare agli enti appaltanti la preventiva
conoscenza della specifica qualificazione dei soggetti che effettivamente eseguiranno le prestazioni,
allo scopo di verificare la sussistenza in capo ad essi delle necessarie capacità tecniche. In
sostanza, se non vi è questo obbligo di corrispondenza, il raggruppamento potrebbe diventare uno
schermo dietro al quale la materiale esecuzione delle prestazioni avverrebbe senza alcuna
trasparenza, con l'effetto che singoli componenti potrebbero operare anche molto oltre i requisiti di
qualificazione posseduti.
Vengono invece ribaditi alcuni principi ormai consolidati nell'elaborazione giurisprudenziale,
secondo cui le quote di partecipazione al raggruppamento vanno indicate già in sede di offerta e il
mancato adempimento di tale obbligo costituisce causa di esclusione dalla gara del
raggruppamento stesso, anche se non vi sia un'espressa previsione del bando in tal senso.
L'obbligo di corrispondenza, infine, vale per tutte le tipologie di raggruppamento, anche se – a
seguito della modifica normativa introdotta dalla legge 135/2012 – è oggi circoscritto solo agli
appalti di lavori, con esclusione quindi dei settori delle forniture e dei servizi.
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Appalti
&
L'Avcp prende posizione sugli incentivi di progettazione e sollecita il
legislatore a novellare il Codice
L’Avcp, con l’atto di segnalazione n. 4 del 25 settembre 2013 manifesta, al Governo e al
Parlamento, la necessità di intervenire sull’annosa questione del riconoscimento o meno
dell’incentivo di cui all’art. 92, comma 6, del Dlgs n. 163/2006, ai professionisti tecnici, interni,
delle amministrazioni pubbliche, anche per la redazione degli atti di pianificazione.
Paola Cosmai, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, febbraio 2014, n. 2
L’Avcp, con l’atto di segnalazione n. 4 del 25 settembre 2013 manifesta, al Governo e al
Parlamento, la necessità di intervenire sull’annosa questione del riconoscimento o meno
dell’incentivo di cui all’art. 92, comma 6, del Dlgs n. 163/2006, ai professionisti tecnici, interni,
delle amministrazioni pubbliche, anche per la redazione degli atti di pianificazione.
La questione
La problematica trae origine dalla difficoltà ermeneutica registrata dagli operatori di delimitare con
esattezza l’area semantica dell’“atto di pianificazione”, quale prestazione foriera del diritto al
riconoscimento degli incentivi di progettazione ai professionisti interni delle amministrazioni
pubbliche a mente dell’art. 92, comma 6, del Dlgs n. 163 del 12 aprile 2006, recante il codice dei
contratti pubblici (di qui in poi anche solo codice).
Difficoltà originata dalle locuzioni atecniche impiegate dal legislatore e aggravata dalle opposte
posizioni assunte in proposito dalla Corte dei conti in sede consultiva e in chiave restrittiva, da un
lato, e dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (da ora in poi Avcp o Autorità) e dall’Anci
Toscana, in senso ampliativo, dall’altro, con, al centro, le amministrazioni pubbliche interessate, le
quali, come noto, se per un verso tendono ad adeguarsi all’orientamento espresso dal giudice
contabile, onde evitare di incorrere in responsabilità erariale per liquidazioni dal medesimo ritenute
illegittime, dall’altro si espongono alle azioni giudiziarie, innanzi al giudice del lavoro, del personale
tecnico che assume essere stato pregiudicato per il denegato diritto a percepire la quota parte di
retribuzione incentivante spettantegli.
L’art. 92 del codice, rubricato “Corrispettivi, incentivi per la progettazione e fondi a disposizione
delle stazioni appaltanti”, statuisce, al comma 6, che: “Il trenta per cento della tariffa professionale
relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità
e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti dell’amministrazione
aggiudicatrice che lo abbiano redatto”. Il tenore letterale della norma, come anticipato, non
consente la chiara individuazione degli atti di pianificazione in relazione ai quali è possibile
corrispondere l’incentivo de quo al personale incaricato della redazione degli stessi, ragion per cui,
nel tempo, sono emersi due distinti orientamenti, che l’Autorità chiede agli organi legislativi di
comporre in via definitiva attraverso un intervento specifico.
La tesi dell’Avcp
Premessa la duplice funzione degli emolumenti in parola, per un verso, incentivante e, per l’altro,
di contenimento della spesa pubblica derivante dal conferimento degli incarichi esterni correlati alla
valorizzazione delle professionalità interne, l’art. 92 del codice dopo la scarna previsione sull’an e
sul quantum, rimette alla contrattazione decentrata integrativa e al regolamento di ciascuna
amministrazione la definizione del quomodo e dei criteri di distribuzione tra il responsabile del
procedimento, gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione
dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori (ossia, tra i soli professionisti dipendenti che
abbiano materialmente redatto l’atto)(1).
La disposizione contempla invero due tipologie di incentivi: l’uno per la progettazione di opere
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pubbliche, di cui al comma 5; e l’altro per la redazione di atti di pianificazione, di cui al successivo
comma 6, sul quale l’Autorità concentra l’attenzione.
In particolare, il comma 6 cit., statuisce (analogamente ai previgenti artt. 17 e 18, della legge n.
109 del 12 febbraio 1994) che: “Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione
di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel
regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano
redatto”, di guisa che, osserva l’Avcp, dal dato testuale non è dato evincere con certezza
incontrovertibile quali siano i documenti pianificatori la cui redazione dà luogo al riconoscimento dei
predetti compensi.
Anzi, dopo averne fornito una generica definizione, la disposizione aggiunge la locuzione
“comunque denominato” lasciando intendere l’assimilazione di una congerie di atti eterogenea e
omnicomprensiva, sulla quale, pertanto, secondo l’Autorità, è rimessa all’autonomia regolamentare
della singola amministrazione interessata l’esatta individuazione di quali atti di pianificazione
effettivamente includere tra quelli per la cui redazione da parte dei propri dipendenti riconoscere il
diritto al compenso de quo. Allo scopo di indirizzare gli enti, peraltro, l’Avcp era già intervenuta ab
initio, con il parere n. 43 del 25 settembre 2000, nel quale aveva affermato, benché con
riferimento al previgente assetto normativo recato dall’omologo art. 18, comma 2, della legge n.
109/1994, che: “La dizione utilizzata dal legislatore ‘atto di pianificazione comunque denominato’
fa ritenere che in esso possano ricomprendersi, oltre che i vari tipi di atti di pianificazione, anche
quegli atti a contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti edilizi, che accedono alla
pianificazione, purché completi e idonei alla successiva approvazione da parte degli organi
competenti”. Orientamento ribadito di lì a poco con la deliberazione n. 385 del 13 giugno 2000, alla
stregua della quale riteneva potersi assimilare “a tale categoria i piani di lottizzazione, i piani per
insediamenti produttivi, i piani di zona, i piani particolareggiati, i piani regolatori, i piani urbani del
traffico, e tutti quegli atti aventi contenuto normativo e connessi alla pianificazione, quali i
regolamenti edilizi, le convenzioni, purché completi per essere approvati dagli organi
competenti”(2), cui un decennio precisava, alla stregua del novellato codice dei contratti, che
“il documento identificativo degli interventi manutentivi su opere o impianti pubblici e la loro
pianificazione rientrano nella nozione di ‘piano comunque denominato’ che fonda il diritto
all’incentivo per la progettazione in capo ai redattori del piano stesso”(3).
Tesi ampliativa confermata con specifico riguardo al settore urbanistico anche più di recente,
avendo l’Autorità chiarito che “la natura stessa e il contenuto della pianificazione urbanistica e in
particolare dei piani regolatori consente ... l’erogazione dell’incentivo ex art. 92, comma 6, del
codice dei contratti pubblici a favore dei dipendenti che abbiano partecipato alla redazione di tali
strumenti urbanistici, in quanto tali atti afferiscono, sia pure mediatamente, alla progettazione di
opere o impianti pubblici o di uso pubblico, dei quali definiscono l’ubicazione nel tessuto
urbano”(4).
In altri termini restando esclusa, ai fini della corresponsione degli incentivi solo la pianificazione in
materia di servizi e forniture (come nel caso di quella inerente all’igiene urbana), atteso che deve
pur sempre esistere un nesso tra la pianificazione urbanistica e la realizzazione di opere pubbliche
(e, infatti, i piani regolatori contengono tra le altre previsioni di c.d. zonizzazione, nonché la
localizzazione di aree destinate a formare spazi di uso pubblico, ovvero riservate a edifici pubblici o
di uso pubblico).
Tale preclusione derivando dal medesimo art. 92, comma 6, del codice, che, trattandosi di norma
di carattere eccezionale e derogatorio del principio di omnicomprensività della retribuzione del
dipendente pubblico, deve essere di stretta interpretazione e trovare, pertanto, applicazione
unicamente nelle attività relative all’effettiva progettazione di opere pubbliche ivi prevista
(ancorché intesa in senso ampio tale da ricomprendere, a giudizio dell’Avcp, anche gli atti di
pianificazione di natura generale o attuativa, laddove previsto dal regolamento dell’ente).
La tesi della Corte dei conti
Di opposto avviso, naturalmente, il giudice contabile, che, quale tutore dell’Erario, ha propugnato
da sempre un’interpretazione ancor più restrittiva, espungendo dall’alveo applicativo della norma
non solo la pianificazione in materia di servizi e forniture, già esclusa dall’Autorità, bensì pure quelli
in materia urbanistica inerenti al governo del territorio, così da limitare gli esborsi incentivanti in
favore dei dipendenti pubblici e a carico dell’amministrazione di appartenenza.
L’incipit del ragionamento seguito dalle diverse sezioni regionali della Corte dei conti(5), in sede
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consultiva, è incentrato sull’interpretazione sistematica della previsione del codice e congiunta sia
con le altre disposizioni che disciplinano le modalità di affidamento degli incarichi tecnicoprofessionali in materia di contratti pubblici, sia con la normativa che regola il trattamento
economico dei dipendenti pubblici recata dal Dlgs n. 165 del 30 marzo 2001 (di qui in poi Tupi).
Alla stregua tanto degli artt. 10, 84, 90, 112, 120 e 130 del Codice, quanto dell’art. 7, comma 6,
del Tupi, possono essere conferiti incarichi a soggetti esterni alla compagine amministrativa solo
qualora essa non disponga di professionalità adeguate nel proprio organico e tale carenza non sia
altrimenti risolvibile con strumenti flessibili di gestione delle risorse umane, di guisa da preservare
sia le finanze pubbliche, sia le prerogative dei professionisti dipendenti. Pertanto, nelle ipotesi
ordinarie, in cui gli incarichi tecnici siano espletati da dipendenti in organico, ai fini della loro
remunerazione, occorre far riferimento alle regole generali previste per il pubblico impiego, il cui
sistema retributivo è conformato da due principi cardine, quello di definizione contrattuale delle
componenti economiche e quello di omnicomprensività della retribuzione, ai sensi degli artt. 2, 24,
40 e 45 del Tupi)(6).
Avcp, atto di segnalazione n. 4 del 25 settembre 2013
Con deliberazione n. 4 approvata nella seduta consiliare del 25 settembre 2013, l’Autorità di
vigilanza dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. f), del Dlgs n. 163 del 12 aprile
2006, segnala al Governo ed al Parlamento la necessità di intervenire sull’ormai annosa questione
del riconoscimento o meno dell’incentivo di cui all’art. 92, comma 6, del medesimo Dlgs n.
163/2006, ai professionisti tecnici, interni, delle amministrazioni pubbliche, anche per la redazione
degli atti di pianificazione, denegato dai giudici contabili in sede consultiva, ma ammesso, entro
determinati limiti, sia dalla medesima Autorità, che dall’Anci Toscana.
Il c.d. “incentivo alla progettazione” (art. 92, comma 5) e l’analogo compenso per la “redazione di
atti di pianificazione” (art. 92, comma 6), previsti dal Dlgs n. 163/2006, costituiscono, dunque, uno
dei casi eccezionali e, dunque, di rigorosa interpretazione, nei quali il legislatore, derogando al
principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è fissato dai contratti collettivi
nazionali di comparto, attribuisce loro direttamente un compenso ulteriore.
Coerentemente con tali premesse, quindi, il giudice contabile, trae due stringenti corollari, l’uno di
carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Il primo, per il quale è necessario che la prestazione del tecnico dipendente pubblico consista nella
diretta “ redazione di un atto di pianificazione”, e non già pure nel compimento di attività
variamente sussidiarie nel contesto dell’attività di governo del territorio, che già rientrano nei suoi
doveri d’ufficio.
Il secondo, per il quale detta attività non sia stata esternalizzata a un professionista estraneo
all’ente. Quanto poi al significato da attribuire all’espressione “atto di pianificazione comunque
denominato”, recata dall’art. 92, comma 6, il giudice contabile, con orientamento ormai
consolidato, assume che tale documento debba necessariamente riferirsi ed essere collegato alla
progettazione di opere pubbliche (come, ad esempio, una variante necessaria per la localizzazione
di un’opera) e non già essere un mero atto di pianificazione territoriale, onde limitare,
evidentemente, la possibilità di corrispondere l’incentivo de quo esclusivamente nel caso in cui lo
strumento di pianificazione sia strettamente connesso con la realizzazione di un’opera pubblica e
non anche in relazione alla redazione di atti di pianificazione generale, quali possono essere il piano
regolatore o una variante generale, i quali costituiscono diretta espressione dell’attività istituzionale
dell’ente e non giustificano la deroga al principio dell’omnicomprensività della retribuzione(7).
Ad avviso del tutore dell’erario depongono in tal senso una serie di elementi: la collocazione
sistematica della norma sugli incentivi alla progettazione, contenuta nel Capo IV del codice
dedicato ai servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e la sua intima connessione con l’art. 90
(progettazione interna ed esterna alle amministrazioni aggiudicatrici in materia di lavori pubblici)
del medesimo codice; la ratio della disposizione, volta a contenere i costi connessi alla
progettazione delle opere pubbliche valorizzando le professionalità interne alla pubblica
amministrazione; il canone letterale della norma stessa, la quale fa espresso riferimento
all’amministrazione aggiudicatrice, con ciò implicando la realizzazione di un’opera pubblica
mediante procedura di gara.
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Sulla base di tali elementi il giudice contabile ha quindi concluso che “il riferimento a un ‘atto di
pianificazione’ operato dal richiamato art. 92, comma 6, Dlgs n. 163/2006, è da intendersi come
limitato ai soli atti che abbiano ad oggetto la pianificazione collegata alla realizzazione di opere
pubbliche, e non anche ad atti di pianificazione generale, quali possono essere la redazione del
piano regolatore o di una variante generale (...). Gli atti di pianificazione generale, infatti,
costituiscono diretta espressione dell’attività istituzionale dell’ente e non giustificano la deroga al
principio di omnicomprensività della retribuzione”(8) di talché “ciò che rileva ai fini della
riconoscibilità del diritto al compenso incentivante non è tanto il nomen juris attribuito all’atto di
pianificazione, quanto il suo contenuto specifico intimamente connesso alla realizzazione di
un’opera pubblica, ovvero a quel quid pluris di progettualità interna, rispetto a un mero atto di
pianificazione generale (piano regolatore o variante generale) che costituisce, al contrario, diretta
espressione dell’attività istituzionale dell’ente per la quale al dipendente è già corrisposta la
retribuzione ordinariamente spettante”(9).
In buona sostanza, osserva l’atto di segnalazione n. 4/2013 in epigrafe, la Corte dei conti, pur
ritenendo, come la medesima Avcp, che l’art. 92, comma 6, del codice è norma di stretta
interpretazione, applicabile esclusivamente in relazione alla progettazione di opere pubbliche,
àncora il riconoscimento dell’incentivo ivi previsto esclusivamente alla redazione di atti di
pianificazione urbanistica puntuali e non anche generali, che afferiscono cioè alla progettazione di
un’opera pubblica, pur evidenziando che, comunque, compete alla fonte regolamentare prevista
dall’art. 92, comma 5, del codice la definizione dell’esatta portata ermeneutica del concetto di
“atto di pianificazione comunque denominato”, se del caso tramite l’elencazione delle fattispecie di
riferimento che comunque tengano conto dell’alveo interpretativo elaborato dalla giurisprudenza
contabile.
Considerazioni finali dell’Avcp
Alla stregua delle suesposte discrasie, stante il diffuso interesse sulla questione, sia affinché le
amministrazioni interessate redigano atti regolamentari ex art. 92, comma 5, del codice omogenei
e in armonia con lo spirito della norma, sia affinché possano escludersi profili di responsabilità
erariali connesse a riconoscimenti impropri, l’Autorità segnala agli organi legislativi l’opportunità di
procedere a una modifica o ad una integrazione dell’art. 92, comma 6, del codice, volta a
individuare in maniera chiara la tipologia di atti di pianificazione in relazione ai quali è possibile
riconoscere l’incentivo ivi contemplato in favore dei tecnici interni che li hanno redatti, spingendosi,
però, fino a suggerire che l’addenda sia di carattere estensivo, tale “da contemplare espressamente
anche il riferimento a quegli atti che afferiscono, sia pure mediatamente, alla progettazione di
opere o impianti pubblici o di uso pubblico”.
Conclusioni
Nel dibattito ha preso posizione anche l’Anci Toscana che, il 30 giugno 2013, è intervenuta con una
nota di approfondimento, con la quale, ripercorsi i diversi orientamenti, ha aderito a quello
dell’Avcp, anche alla stregua dell’evoluzione normativa e, segnatamente, sia della legge n. 127 del
15 maggio 1997, che, con l’art. 6, comma 13, innovando l’art. 18 della legge Merloni, estendeva gli
incentivi di che trattasi anche per la redazione di “ogni singola opera o atto di pianificazione, sulla
base di un regolamento dell’amministrazione aggiudicatrice o titolare dell’atto di
pianificazione”, inequivocabilmente includendovi la pianificazione urbanistica generale o attuativa
(“particolareggiata”, perché di iniziativa pubblica), sia della successiva legge n. 144 del 17 maggio
1999, che, riscrivendo i commi 1, 1bis e 2, del menzionato art. 18, hanno ricompreso nella
fattispecie de qua anche quell’ “atto di pianificazione comunque denominato”, poi riprodotto
nell’art. 92, comma 6, del vigente codice e, per mera elaborazione redazionale, in luogo del
riferimento soggettivo espresso “all’amministrazione titolare dell’atto di pianificazione” si semplifica
e sintetizza con “l’amministrazione aggiudicatrice”, aprendo in tal modo all’orientamento
giurisprudenziale restrittivo che correla la pianificazione solo ai lavori pubblici oggetto di gara
d’appalto.
In definitiva, l’Anci Toscana conclude per il riconoscimento del diritto all’incentivo in discorso,
secondo i criteri e le modalità stabilite nella fonte regolamentare locale, anche per la progettazione
urbanistica o territoriale prestata, anche ove di carattere non puntuale, militando in tal senso “la
ratio legis di valorizzazione delle professionalità interne; l’interpretazione costituzionalmente
orientata della norma; l’evoluzione della previsione legislativa e l’esame dei lavori preparatori;
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nonché le ragioni sistematiche concernenti la straordinarietà dell’impegno conseguente
all’affidamento interno dell’incarico di progettazione urbanistica generale”.
Con esclusione, però, nella medesima sede regolamentare, del diritto all’incentivo sia qualora la
progettazione si areni per la mancata adozione del piano urbanistico cui afferisce, risultando
evidente che l’interesse pubblico sotteso non si è concretizzato(10), sia per la progettazione di ogni
altro strumento urbanistico diverso da quelli poc’anzi indicati, ivi compresi i numerosi atti
programmatori comunque denominati, allo scopo di evitare ogni ulteriore, indebita, dilatazione
della spesa pubblica.
----(1) Come sottolineato dalla medesima Avcp con parere sulla normativa, 10 maggio 2010, n. 13.
(2) In termini anche la deliberazione Avcp 11 settembre 2000, n. 530.
(3) Avcp nel parere sub nota “1”.
(4) Avcp nel parere sulla normativa 21 novembre 2012, n 22.
(5) Ex multis: Corte dei conti, sezione controllo Lombardia, 25 giugno 2013, n. 279.
(6) Corte dei conti, sezione giurisdizionale Puglia, sentenze nn. 464, 475 e 487 del 2010.
(7) Conf. ex plurimis: Corte dei conti, sezione controllo Lombardia cit. sub nota “5”; id., Umbria, 9
luglio 2013, n. 119; id., Campania 10 aprile 2013, n. 141; id., Emilia Romagna del 25 giugno
2013, n. 243; id., Piemonte, 30 agosto 2012, n. 290; id., Puglia 16 gennaio 2012, n. 1; id.,
Toscana, 18 ottobre 2011, n. 213.
(8) Corte dei conti, sezione controllo Emilia Romagna, 25 giugno 2013, n. 243.
(9) Corte dei conti, sezione controllo Lombardia sub nota “5”.
(10) Tanto, sottolinea l’Anci Toscana, anche in analogia con l’orientamento della Corte di
cassazione, sezione lavoro, 11 aprile 2011, n. 8344, che richiede, ai fini della incentivazione della
progettazione di opere pubbliche, l’effettiva utilità pubblica dell’opera.
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Appalti
&
Verifica dei requisiti di partecipazione alle gare, rivisto il meccanismo
Maria Luisa Beccaria, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali, 21 febbraio 2014
Il meccanismo di verifica dei requisiti minimi di partecipazione alle gare previsto dall'articolo 48 del
Dlgs 163/2006 (Codice dei contratti) è stato di nuovo analizzato dall'Avcp nella determinazione n.
1/2014, dopo che le ultime modifiche normative hanno reso necessario l'aggiornamento della
precedente n. 5/2009.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici recepisce le consolidate acquisizioni
giurisprudenziali e ribadisce la centralità e l'obbligatorietà di tale parentesi procedimentale per gli
affidamenti di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, sia sopra sia sotto soglia comunitaria,
aggiudicati con procedura aperta, ristretta, negoziata, con o senza bando di gara o con dialogo
competitivo.
GLI ADEMPIMENTI
Nella lettera invito o nel bando la stazione appaltante deve solo specificare i requisiti minimi di
partecipazione, nonché i parametri di valutazione degli stessi. Va descritto, inoltre, con quali mezzi
di prova gli operatori economici possono dimostrare la veridicità delle dichiarazioni presentate; in
mancanza di indicazioni essi possono produrre i documenti ritenuti più idonei.
Il controllo riguarda il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria e tecnicoorganizzativa (articoli 41 e 42 del Dlgs. 163/2006), per i servizi e le forniture. Quanto ai lavori,
l'articolo 61, comma 5, del Dpr 207/2010 impone la verifica del possesso della cifra d'affari, nei
cinque anni anteriori la data di pubblicazione del bando.
L'articolo 48 si applica alle concessioni di lavori pubblici e, in base all'articolo 32, comma 1, lettera
f), del Dlgs 163/2006, ai lavori pubblici affidati dai concessionari di servizi, quando essi sono
strettamente strumentali alla gestione del servizio e le opere pubbliche diventano di proprietà
dell'amministrazione aggiudicatrice.
Sono esentati le concessioni di servizi, gli appalti di lavori pubblici affidati dai concessionari che non
sono amministrazioni aggiudicatrici (se lo sono vale il disposto dell'articolo 142, comma 3, e quindi
le disposizioni del Dlgs 163/2006), i settori speciali, fatte salve le previsioni dell'articolo 230,
commi 2 e 3, del Dlgs 163/2006.
Non possono sfuggire, invece, gli appalti di lavori di importo inferiore o uguale a 150.000 euro,
quelli di importo superiore a 20.658.000 euro, nonché tutti gli appalti di servizi e forniture, senza
limiti di importo. Per gli appalti di progettazione ed esecuzione, in cui il progettista sia solo indicato
e non sottoscrive l'offerta, le sanzioni prescritte dall'articolo 48 del Dlgs 163/2006 scattano nei
confronti dell'appaltatore. Non rileva al riguardo la modalità di partecipazione del progettista.
L'arco temporale di riferimento per l'attività documentabile è il triennio, decorrente dalla
pubblicazione del bando. In particolare sono da considerare i documenti tributari e fiscali depositati
presso l'agenzia delle Entrate o la Camera di commercio, nei tre anni precedenti la pubblicazione
del bando. Se quest'ultimo è pubblicato quando non è ancora scaduto il temine della loro
presentazione, possono essere presentate le dichiarazioni Iva relative al fatturato conseguito nel
2009/2011, qualora il bando sia pubblicato dal primo giugno e il 31 ottobre 2013 e l'operatore
economico abbia inviato la dichiarazione dei redditi in via telematica. Sono da valutare i certificati
attestanti l'esecuzione di servizi e forniture nel predetto triennio.
AVVALIMENTO
I requisiti oggetto di avvalimento, che l'impresa ausiliaria ha dichiarato di possedere in base
all'articolo 49, comma 2, lettera c) del Dlgs 163/2006 sono oggetto di comprova, pena esclusione
del concorrente che si è avvalso ed escussione della cauzione provvisoria.
In considerazione della responsabilità solidale, che lega entrambi nei confronti della stazione
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appaltante, l'ausiliaria rischia di essere sospesa dalla partecipazione alle gare.
TERMINI
È perentorio quello di 10 giorni per la verifica dei concorrenti sorteggiati. E' stata rimessa
all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla natura ordinatoria del termine
previsto dall'articolo 48, comma 2, del Dlgs 163/2006.
Per l'Avcp la verifica del possesso dei requisiti speciali da parte del primo e del secondo classificato,
che è strumentale alla redazione della graduatoria finale da sottoporre all'approvazione dell'organo
competente, può essere attivata dopo l'aggiudicazione provvisoria, quando è ancora competente la
commissione di gara.
DOCUMENTI
Nella determinazione del 10 ottobre 2012 n. 4 l'Avcp aveva sostenuto che anche dopo l'articolo 15
della legge 183/2011 rimanevano in vigore le modalità di comprova del possesso dei requisiti
previste dall'articolo 48 del Dlgs 163/2006.
Di contro, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4785/2013 ha sottolineato che gli accertamenti
d'ufficio, disciplinati dal novellato articolo 43, comma 1, del Dpr 445/2000 riguardano tutte le
ipotesi di informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive elencate agli articoli 46 e 47 del Dpr
445/2000, che gli articoli 41 e 42 del Dlgs 163/2006 consentono ai concorrenti di utilizzare per
comprovare i requisiti tecnico-organizzativi ed economico-professionali "senza che possa in alcun
modo rilevare la "specialità" della disciplina dei contratti pubblici".
Secondo il Consiglio di Stato questa ricostruzione non contrasta con l‘articolo 6-bis del Dlgs
163/2006, secondo cui fino alla data di avvio della Banca dati nazionale sui contratti pubblici le
stazioni appaltanti devono verificare il possesso dei requisiti secondo le modalità previste dalla
normativa vigente. Il riferimento a quest'ultima include anche la rinnovata disciplina degli articoli
43 e 47 del Dpr 445/2000, in vigore dal 1° gennaio 2012.
Nella determinazione 1/2014 l'Avcp conclude evidenziando che dopo l'attivazione della banca dati
saranno centralizzati i controlli d'ufficio sui requisiti speciali.
SANZIONI
L'articolo 48 del Dlgs 163/2006 prevede l'esclusione dalla gara e la sanzione accessoria
dell'escussione della cauzione provvisoria solo nel caso in cui i concorrenti (o l'aggiudicatario) non
dimostrino il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, ossia
nelle ipotesi di falsità qualificata. Tale norma è di stretta interpretazione e non può essere estesa
ad altre fattispecie, come quelle di falsa attestazione, di omessa o non conforme presentazione
della documentazione a comprova.
La sanzione per le generiche false dichiarazioni, invece, è prescritta dall'articolo 6, comma 11, del
Dlgs 163/2006 che commina, dopo uno specifico procedimento attivato dall'Autorità, agli "operatori
economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore di
comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, nonché agli
operatori economici che forniscono dati o documenti non veritieri, circa il possesso dei requisiti di
qualificazione", la "sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 25.822 se rifiutano od omettono,
senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti, ovvero la sanzione
amministrativa pecuniaria fino a euro 51.545 se forniscono informazioni o esibiscono documenti
non veritieri".
La sanzione della sospensione dalla partecipazione alle gare si applica a tutti i settori degli appalti
relativi a forniture, servizi e lavori. Quindi il responsabile dell'inadempimento rilevante, nel caso di
affidamento di un servizio, sarà escluso da un procedura inerente a lavori. Tale sanzione va da uno
a dodici mesi in ragione della gravità della violazione, alla ricorrenza di giustificati motivi, della
buona fede, nell'errore scusabile.
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Catasto
&
Valori degli immobili aggiornati ai dati di mercato e se c'è discrasia scatta
il nuovo "classamento"
Nel corso del 2013 è stata avviata da vari comuni la revisione del classamento e delle rendite
catastali degli immobili. In collaborazione con l'Agenzia delle entrate-territorio si è riscontrato il
valore catastale rispetto a quello di mercato e, in caso di rilevante discrasia, l'ufficio ha rettificato
classe e/o categoria, notificando al contribuente apposito atto di accertamento che è giunto in molti
casi alla fine dello scorso anno.
Antonio Iorio e Laura Ambrosi, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 15 febbraio 2014, n. 8
La norma - L'articolo 1, comma 335, della legge 311/2004 consente ai comuni di richiedere
all'Agenzia delle entrate-territorio la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di
proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato e
il corrispondente valore medio catastale si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo
all'insieme delle microzone comunali, individuato ai sensi del regolamento approvato con Dpr
138/1998.
Questo decreto è stato emanato proprio per disciplinare la revisione delle zone censuarie, delle
tariffe d'estimo delle unità immobiliari urbane, dei relativi criteri nonché delle commissioni
censuarie.
L'Agenzia delle entrate-territorio, esaminata la richiesta del comune per la revisione del
classamento e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento che deve osservare
le linee guida contenute nel provvedimento del direttore dell'Agenzia del 16 febbraio 2005.
Il primo dato da considerare al fine di comprendere se sia o meno necessaria una revisione della
rendita è il valore medio di mercato per microzona.
Al riguardo vale la pena di ricordare che la "microzona" rappresenta una porzione del territorio
comunale o, nel caso di zone costituite da gruppi di comuni di un intero territorio comunale, che
presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico ambientali, socioeconomici,
nonché nella dotazione dei servizi e infrastrutture urbane.
In ciascuna microzona, le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di
costruzione e destinazione prevalenti.
Da ciò ne deriva che anche i valori attribuibili alle diverse unità sono pressoché omogenei.
Normalmente per il riscontro sono considerate le unità immobiliari appartenenti alla categoria
catastale più rappresentativa nella microzona esaminata.
Vale a dire quindi che in un'area densa di abitazioni singole, ad esempio, saranno queste a essere
considerate ai fini della valutazione. In un'area industriale saranno verosimilmente i capannoni e
così via.
I comuni poi rendono pubblica la divisione nelle citate microzone, delimitandone per ciascuna il
perimetro sulle mappe comunali.
A proposito del valore medio di mercato per microzona, l'articolo 1 del provvedimento dell'Agenzia
del Territorio del 16 febbraio 2005 prescrive l'aggiornamento mediante l'utilizzazione della media
dei valori dell'osservatorio del mercato immobiliare (Omi) per categorie omogenee di immobili in
considerazione delle diverse zone territoriali.
Il risultato va poi rapportato al corrispondente valore medio catastale.
Qualora questo dato dimostri una significativa discrepanza rispetto al rapporto tra il valore medio
di mercato e quello medio catastale di tutte le microzone comunali, è possibile procedere a una
revisione del classamento.
Il citato provvedimento ha limitato le variazioni solo nei casi in cui lo scostamento non sia inferiore
al 35%. Ciascun Comune potrà quindi assumere un valore percentuale più elevato per tale soglia,
ma non uno inferiore.
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Uno volta accertato lo scostamento, sarà possibile procedere alla revisione del classamento.
Il classamento e la formazione della rendita catastale - Il classamento consiste nel riscontro
per ogni singola unità immobiliare della destinazione ordinaria e delle caratteristiche influenti sul
reddito. Va quindi collocata l'unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona
censuaria che per caratteristiche risulti conforme all'unità tipo.
Si tratta quindi di attribuire alle unità immobiliari a destinazione ordinaria la categoria e la classe di
competenza e a quelle a destinazione speciale la sola categoria.
Tra le destinazioni ordinarie (vgs tabella) si trovano ad esempio le A/1, ossia abitazioni un tempo
nobiliari, con particolari rifiniture pregiate anche a carattere storico, o le A/2, cioè le normali
abitazioni, con rifiniture semplici di impianti e servizi, ovvero gli A/10, ad esempio, ossia le unità
immobiliari destinati ad attività professionali. Ancora, sempre tra gli immobili a destinazione
ordinaria, vi sono i C/1, ossia locali per attività commerciale per vendita o rivendita di prodotti, i
C/6, cioè garage, box auto o posti macchina, stalle e scuderie.
Tra quelli a destinazione speciale, ad esempio vi sono i D/1, capannoni, fabbriche o comunque
strutture dove è lavorata e trasformata la materia prima, ovvero i D/2, ossia gli alberghi.
La categoria è, così, assegnata in base alla normale destinazione funzionale per l'unità immobiliare,
tenuto conto dei caratteri tipologici e costruttivi specifici e delle consuetudini locali.
Vanno distinte per ciascuna zona censuaria le varie categorie che determinano la destinazione
ordinaria e permanente delle unità immobiliari stesse.
Ogni categoria è poi suddivisa in classi. La classe rappresenta il livello reddituale ordinario ritraibile
e dipende dalla qualità urbana e ambientale (ossia il livello delle infrastrutture e dei servizi, il
pregio o degrado dei paesaggi circostanti ecc), dalle caratteristiche edilizie dell'unità e del
fabbricato che la comprende.
Il classamento considera anche il cosiddetto fattore edilizio, ossia i caratteri distintivi del fabbricato
e dell'unità immobiliare, quali la dimensione, l'epoca di costruzione, la struttura e la dotazione
impiantistica, la qualità e lo stato edilizio, la presenza di pertinenze comuni o esclusive, il livello di
piano.
Determinate, dunque, le classi in cui ciascuna categoria deve essere divisa, va identificato un certo
numero di unità tipo che siano atte a rappresentare per ogni classe gli immobili che vi debbono
essere compresi.
Per ciascuna zona censuaria è così compilato un quadro di qualificazione e classificazione che
contiene i dati di identificazione e la descrizione delle unità immobiliari scelte come tipo.
In corrispondenza poi di ciascuna classe deve essere indicata la relativa tariffa che esprime la
rendita catastale per unità di consistenza.
La consistenza di ciascun immobile va quantificata in base all'unità di misura prevista per legge
quali il vano (utilizzato per le abitazioni), il metro quadrato (utilizzato per negozi, botteghe,
magazzini, locali di deposito, laboratori per arti e mestieri, stalle, scuderie, autorimesse, palestre,
tettoie e simili) o il metro cubo (utilizzato per alloggi collettivi quali collegi, ospizi, conventi,
caserme, ospedali, prigioni e simili).
Queste informazioni sono necessarie per l'attribuzione della rendita catastale di un immobile, che
è, di fatto, il "risultato" derivante dalla moltiplicazione tra la consistenza e la tariffa corrispondente
alla categoria e la classe attribuite.
In sintesi dunque, ogni unità immobiliare è qualificata con una determinata categoria e, in
relazione alla "qualità" dell'immobile stesso, una specifica classe.
Ogni comune stabilisce una tariffa per ogni classe che moltiplicata per la dimensione del fabbricato
(vano, metro quadrato o metro cubo) dà la rendita catastale.
L'attività di classamento in corso da parte di alcuni comuni - Alcuni comuni si sono accorti
che il rapporto tra valore medio di mercato e quello catastale era ben superiore alla soglia del 35%
(valore minimo previsto per legge) rispetto alla media dell'intero contesto comunale.
A ciò è conseguita la richiesta alle competenti Agenzie del Territorio affinché fosse revisionato il
classamento delle diverse unità, dal quale ne è ovviamente discesa una nuova rendita catastale.
Sono così iniziate notifiche a pioggia degli avvisi di accertamento, finalizzati a informare il cittadino
dei nuovi valori dell'immobile.
Gli atti, in linea di massima, dopo aver richiamato le diverse norme, contengono una motivazione
stereotipata con la quale giustificano l'operato.
UNITELNews24
71
In primo luogo è riportata una tabella nella quale è dimostrato (o almeno così si vorrebbe) il
calcolo dello scostamento rispetto al valore di mercato.
Come detto, infatti, perché il Comune possa richiedere un nuovo classamento è necessario lo
scostamento dei valori medi di almeno il 35 percento.
Tuttavia in molti avvisi manca ogni specifico riferimento ovvero l'allegato relativo alla fonte dei dati
riportati.
E infatti, come precisato, è necessario riscontrare il valore medio di mercato desumibile dall'Omi,
ma l'origine di tali elementi non è in alcun modo indicata.
Il contribuente dovrebbe dunque, qualora volesse concretamente riscontrare l'esattezza dei
conteggi o avere possibilità di difesa in caso di errore, reperire autonomamente i citati listini,
determinare le medie (che in assenza di ulteriori dati risulterebbe alquanto difficoltoso) e
verificarne la rispondenza nell'atto di accertamento.
Va poi evidenziato che i valori Omi sono aggiornati semestralmente e pertanto, in assenza di
qualsivoglia notizia al riguardo, risulterebbe oltremodo difficoltoso comprendere quale sia stato il
dato di partenza.
Nell'avviso di accertamento segue, di norma, una descrizione della microzona nella quale sono
ubicati gli immobili oggetto di revisione, rilevandone le principali peculiarità. Si legge, ad esempio,
che l'area è caratterizzata dalla presenza di attività commerciali o sedi istituzionali e di
rappresentanza diplomatica. Ancora che vi è stata, negli anni, una consistente rivalutazione del
patrimonio immobiliare, interventi di riqualificazione edilizia, insediamenti di attrazione sociale o
culturale, e così via.
Motivi, questi, che dovrebbero dimostrare il miglioramento dell'intera area oggetto di rilevazione.
Per tali ragioni, l'ufficio ha ritenuto necessario l'intervenuto sui classamenti non più coerenti,
rettificando i dati presenti negli archivi catastali.
Nello stesso avviso di accertamento è poi precisato che «la categoria catastale viene attribuita in
base alla destinazione d'uso e alle caratteristiche costruttive dell'immobile e che la classe viene
determinata, in primo luogo sulla base del contesto urbano di ubicazione e, in secondo luogo, con
riferimento alle altre caratteristiche proprie dell'unità immobiliare non considerate nella
determinazione della categoria».
Tuttavia gli elementi vagliati dall'ufficio a tali fini, non sono noti.
E infatti, nell'atto non si evincono le «caratteristiche proprie dell'unità» esaminate per le quali si è
ritenuto corretto rettificare il classamento.
Tanto meno sono specificati i requisiti di ciascuna classe, ovverosia i parametri di riferimento per
una o l'altra classe.
Spesso pertanto non si comprendono le esatte caratteristiche dell'immobile qualificabile ad esempio
nella classe 2, piuttosto che nella 3 o nella 4 e così via. Sarebbe stato necessario infatti avere un
dettaglio della classificazione adottata al fine di riscontrare che l'operato dell'amministrazione è
stato
corretto,
rispetto
alle
reali
qualità
dell'immobile
oggetto
di
accertamento.
Si aggiunga poi, che l'attribuzione della categoria e della classe, avviene comparando ogni unità
immobiliare oggetto di revisione con le cosiddette unità tipo (o di riferimento), che più si
avvicinano a essa.
L'elenco delle unità tipo, a oggi non è consultabile liberamente e, in assenza di uno specifico
allegato all'atto di accertamento, ne consegue che per il contribuente è precluso ogni controllo in
tal senso.
In buona sostanza, dunque, per comprendere concretamente la variazione, il contribuente
dovrebbe disporre di una molteplicità di dati, alcuni dei quali, trattandosi di una mera valutazione
eseguita dall'ufficio, di impossibile reperimento.
Va segnalato che proprio sugli stessi avvisi di accertamento sono richiamati gli articoli 6 e 7 dello
statuto del contribuente (legge 212/2000).
In particolare l'articolo 7 rubricato «Chiarezza e motivazione degli atti» prevede che gli atti
dell'amministrazione finanziaria devono essere motivati indicando i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione e se nella motivazione si fa
riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato.
Appare evidente, che potrebbe essere ravvisabile una violazione di tale norma nei provvedimenti
emessi dall'Agenzia.
Al riguardo si segnala che la Ctp di Lecce (sentenza n. 536 del 2013) su un accertamento non
dissimile da quelli ora notificati, ha annullato una rettifica catastale perché non era dato conoscere
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72
le modalità di rilevazione dei valori medi, gli atti di trasferimento monitorati e rilevati per il
riscontro del valore di mercato, la metodologia e la bontà dei sistemi di rilevazione.
A parere dei giudici, infatti, il contribuente si è trovato nell'impossibilità di verificare se
sussistessero realmente le anomalie poste a base della revisione del classamento e se, e in qual
misura, le asserite anomalie avessero inciso sulla classe dei singoli immobili.
Il Collegio ha anche rilevato che è onere dell'ufficio provare il confronto delle unità da revisionare
con le "unità tipo" ai fini del collocamento nelle categorie e classi prestabilite per le diverse
microzone.
La decisione della Ctp di Lecce appare confermare che gli avvisi di accertamento così notificati
presentino carenze motivazionali e pertanto potrebbero essere passibili di nullità.
Le novità in dettaglio
•
Dagli estremi catastali accertare che sia effettivamente di
proprietà del soggetto che ha ricevuto l'atto
La categoria e la classe prima della rettifica corrispondano a
quelle note al contribuente
La consistenza (vani, metri quadrati o metri cubi) sia esatta
con lo stato dell'immobile
•
La zona censuaria a cui è imputato l'immobile corrisponda
all'ubicazione dello stesso
I miglioramenti dei dintorni di ubicazione dell'immobile siano
realmente evidenti
Siano riportati gli elementi specifici dell'immobile utilizzati
dall'ufficio per ritenere la diversa classe
•
Accertare che la categoria e/o la classe attribuite possano
essere idonee all'immobile
•
L'autotutela
È un'istanza presentata all'ufficio con la quale si richiede di
rivalutare il provvedimento
Non esistono termini di presentazione
Non sospende i termini per l'impugnazione dell'atto
La risposta da parte dell'ufficio è facoltativa e discrezionale
Il ricorso
Va notificato all'ufficio che ha emesso il provvedimento entro
60
giorni
dalla
notifica
Entro i successivi 30 giorni va depositato nella segreteria della
Ctp competente per territorio
Il contributo unificato dovuto (in assenza di una pretesa
tributaria sull'atto ricevuto) è di 120 euro
Vanno evidenziati motivi di diritto e di merito sull'erroneità
della pretesa, anche producendo documentazione a sostegno
Gli immobili oggetto di
rettifica
La
motivazione
provvedimento
del
Il nuovo classamento
Il "classamento" dei fabbricati
IMMOBLI
DESTINAZIONE
ORDINARIA
A
GRUPPO A
Categoria
Descrizione
Informazioni
A/1
Abitazione di tipo signorile.
Sono abitazioni un tempo nobiliari,
con particolari rifiniture pregiate
UNITELNews24
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anche a carattere storico.
Abitazione di tipo civile.
Sono le normali
rifiniture semplici
servizi.
A/3
Abitazioni di tipo economico.
Fabbricati
realizzati
con
caratteristiche
e
rifiniture
economiche
sia
nei
materiali
utilizzati che per gli impianti
tecnologici ma principalmente di
dimensioni contenuti rispetto al
territorio di cui fanno parte.
A/4
Abitazioni di tipo popolari.
Abitazioni molto modeste, nelle
rifiniture, nei materiali di costruzione
e con impianti limitati.
Abitazioni di tipo ultrapopolare.
Abitazione facenti parte di fabbricati
di basso livello, privi di impianti,
servizi igienici. Questa categoria è
ormai in disuso, è presente solo su
vecchi classamenti del catasto.
Abitazione di tipo rurale.
Abitazione a servizio delle attività
agricole, ci cui alle caratteristiche
del
decreto
ministero
Finanze
701/1994.
A/7
Abitazione in villini.
Sono abitazioni
verde o cortile
possono essere
schiera oppure a
A/8
Abitazione in villa.
Abitazione di pregio con rifiniture di
alto livello con grandi giardini o
parchi a servizio esclusivo.
A/9
Castelli, palazzi di eminenti Antiche strutture
pregi artistici o storici.
riferimenti storici.
A/10
Uffici e studi privati.
A/11
Sono case tipiche che per la loro
Abitazioni o alloggi tipici dei forma e struttura individuano il
luoghi.
luogo dove si trovano, ricordiamo i
trulli, i sassi o i rifugi di montagna.
A/2
A/5
A/6
abitazioni, con
di impianti e
con un minimo di
privato o comune,
sia singole, che a
piani.
con
importanti
Unità
immobiliari
destinati
attività professionali.
ad
GRUPPO B
B/1
Collegi e convitti, educandati, Strutture destinate all'assistenza dei
ricoveri,
orfanotrofi,
ospizi, disagiati, dei religiosi o caserme
conventi, seminari, caserme.
dello Stato.
B/2
Strutture
per
Case di cura e o spedali senza
ammalati che
fine di lucro
economici.
B/3
Prigioni e riformatori.
UNITELNews24
l'assistenza
non hanno
agli
fini
Strutture costruiti e destinate alla
74
reclusione degli evasori della Legge.
B/4
Uffici Pubblici.
Strutture costruiti o adattati per sedi
di Uffici Pubblici.
B/5
Scuole e laboratori scientifici.
Strutture
costruiti
e
all'istruzione
e
alla
scientifica.
B/6
Biblioteche, pinacoteche, musei,
gallerie, accademie che non
Sedi culturali che non hanno scopi
hanno sede in edifici della
economici e non sono già in palazzi
categoria A/9. Circoli ricreativi e
storici.
culturali, e attività similari se
non hanno fine di lucro.
B/7
Cappelle e oratori non destinati Strutture destinate all'esercizio della
all'esercizio pubblico del culto.
religione.
B/8
Magazzini
sotterranei
depositi di derrate.
destinati
ricerca
per Magazzini che hanno lo scopo di
deposito di scorte.
GRUPPO C
C/1
Negozi e Botteghe
Locali per attività commerciale per
vendita o rivendita di prodotti.
C/2
Magazzini e locali di Deposito
Locali utilizzati per il deposito di
merci, locali di sgombero, sottotetti.
C/3
Laboratori per arti e mestieri.
Locali destinati all'esercizio della
professione di artigiano per servizi,
realizzazione o trasformazioni dei
prodotti.
C/4
Fabbricati e locali per esercizi Strutture destinate all'esercizio delle
sportivi (senza fine di lucro)
attività sportive private.
Categoria
Descrizione
C/5
Stabilimenti balneari e di acque Stabilimenti
curative (senza fine di lucro).
privati.
C/6
Stalle,
scuderie,
autorimesse.
C/7
Tettoie chiuse o aperte.
Strutture
gazebo.
D/1
Opifici.
Capannone, fabbrica, struttura dove
viene lavorata e trasformata la
materia prima.
D/2
Alberghi e p ensioni (con fine di Strutture ricettive a pagamento.
IMMOBILI
DESTINAZIONE
SPECIALE
PARTICOLARE
Informazioni
e
strutture
balneari
rimesse, Garage, box auto o posti macchina,
stalle e scuderie.
destinate
a
tettoia
o
A
O
GRUPPO D
UNITELNews24
75
lucro).
D/3
Teatri, cinematografi, sale per
Lodali destinati all'esibizione artistica
concerti e spettacoli e simili
aventi ingresso a pagamento.
(con fine di lucro).
D/4
Case di cura e ospedali (con fine Ospedali, cliniche e case di cura
di lucro)
private.
D/5
Istituto di credito, cambio e
Banche, assicurazioni e istituti di
assicurazione
(con
fine
di
credito privati.
lucro).
D/6
Unità destinate ad attività sportive
Fabbricati e locali per esercizi
privati a pagamento, club sportivi,
sportivi (con fine di lucro).
campetti, piscine ecc.
D/7
Fabbricati costruiti o adattati
per le speciali esigenze di
un'attività industriale e non
suscettibili
di
destinazione
diversa
senza
radicali
trasformazioni.
D/8
Fabbricati costruiti o adattati
per le speciali esigenze di
un'attività commerciale e non
Grandi negozi, centri commerciali.
suscettibili
di
destinazione
diversa
senza
radicali
trasformazioni.
D/9
Edifici galleggianti o s ospesi
assicurati a punti fissi del suolo, Edifici che
ponti
privati
soggetti
a proprio.
pedaggio.
D/10
Fabbricati
per
funzioni
Sarebbero la categoria a cui devono
produttive connesse alle attività
accatastarsi i vecchi fabbricati rurali.
agricole.
Sono
quelle
strutture
costruiti
specificatamente per quel tipo di
attività a cui sono destinati. Un
esempio
esplicativo
sono
i
rifornimenti di carburante
non
hanno
un
suolo
GRUPPO E
E/1
Stazioni per servizi di trasporto,
terrestri, marittimi e aerei.
E/2
Ponti comunali e
soggetti a pedaggio
E/3
Costruzioni e fabbricati per
speciali esigenze pubbliche.
E/4
Recinti
chiusi
per
esigenze pubbliche
E/5
Fabbricati
costituenti
fortificazioni e loro dipendenze.
E/6
Fari, semafori, torri per rendere
d'uso
pubblico
l'orologio
comunale.
UNITELNews24
provinciali
speciali
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E/7
Fabbricati destinati all'esercizio
pubblico dei culti.
E/8
Fabbricati e costruzioni nei
cimiteri, esclusi i colombari, i
sepolcri e le tombe di famiglia.
E/9
Edifici a destinazione particolare
non compresi nelle categorie
precedenti del gruppo E.
GRUPPO F
F/1
F/2
F/3
F/4
F/5
UNITELNews24
Area urbana.
Aree o corti a piano terra di
fabbricati già accatastati all'urbano.
Coefficiente per il calcolo valore ai
fini Imu: Stima del valore attribuita
dal proprietario.
Unità collabenti.
Fabbricati diruti, con tetto crollato e
inutilizzabili.
Coefficiente per il calcolo valore ai
fini Imu: Stima del valore attribuita
dal proprietario.
Unità in corso di costruzione.
Unità che non sono state ancora
ultimate.
Coefficiente per il calcolo valore ai
fini Imu: Stima del valore attribuita
dal proprietario.
Unità in corso di definizione.
Unità incomplete non definite nella
consistenza e nella destinazione
d'uso.
Coefficiente per il calcolo valore ai
fini Imu: Stima del valore attribuita
dal proprietario.
Lastrico solare.
Terrazze e aree libere sopra unità
immobiliari
preesistenti.
Coefficiente per il calcolo valore ai
fini Imu: Stima del valore attribuita
dal proprietario.
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Lavoro, previdenza e professione
&
I crediti certi vantati nei confronti della Pa abilitano il Durc
L'Inps ha fornito le istruzioni operative, che si affiancano a quelle del Ministero del lavoro e
dell'Inail, per ottenere, anche in caso di inadempienze contributive, il rilascio del Durc, purché si
possano far valere crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione
(Gabriele Bonati, Il Sole 24 ORE – Guida al ALvoro, 14 febbraio 2014, n. 7)
Inps
Circolare 30.1.2014, n. 16
L'Inps, con la circolare n. 16 del 30 gennaio 2014, ha diffuso le istruzioni operative finalizzate al
rilascio, anche in caso di inadempienze contributive, del documento unico di regolarità contributiva
(Durc), in presenza di certificazione attestante crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati dall'azienda
interessata nei confronti delle pubbliche amministrazioni, secondo quanto disposto dell'art. 31, del
D.L. n. 69/ 2013 cd. del fare (legge n. 98/2013).
Dette istruzioni si aggiungono a quelle già impartite, per il medesimo oggetto, dal Ministero del
lavoro (circ. n. 40/ 2013) e dall'Inail (circ. n. 53/2013).
La norma
L'art. 31, del D.L. n. 69/2013 (legge n. 98/2013), cd. "decreto del fare", attraverso la modifica
dell'art. 13bis, comma 5, del D.L. n. 52/2012 (legge n. 94/2012), ha stabilito che, a decorrere dal
22 giugno 2013, il documento unico di regolarità contributiva (Durc) deve essere comunque
rilasciato (in tutti i casi in cui è richiesto il Durc), in presenza di una certificazione (emessa a norma
dell'art. 9, comma 3bis, del D.L. n. 185/2008 legge n. 2/2009) che attesti la sussistenza e
l'importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni
(amministrazioni statali, enti pubblici nazionali, regioni, enti locali ed enti del Servizio sanitario
nazionale.), di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di
un medesimo soggetto.
Crediti certi, liquidi ed esigibili
Un credito è:
- certo, quando non è controverso nella sua esistenza;
- liquido, quando è determinato nel suo ammontare o facilmente determinabile;
- esigibile, quando il termine per la relativa riscossione è scaduto.
Il decreto attuativo - Il decreto a cui fare riferimento per accedere alla procedura è quello
emesso dal Ministero dell'economia il 13.3.2013, attuativo dell'art. 13-bis, c. 5, del D.L. n. 52/2012
(legge n. 94/2012), nella versione precedente alle modifiche disposte dal D.L. n. 69/2013
(l'applicazione di un decreto previgente risulta possibile perché il D.L. n. 69/2013 ha provveduto
semplicemente ad ampliare il campo di azione: ora la norma opera in tutti i casi di rilascio del Durc
e non più solo per l'applicazione dei benefici normativi e contributivi). Come precisato dalla
circolare Inps n. 16/ 2014, in commento, la predetta disposizione ha praticamente istituito una
specifica e nuova tipologia di Durc.
Modalità operative
Per permettere la concreta applicazione della disposizione sopra richiamata sono intervenute le
seguenti istruzioni operative:
- Ministero del lavoro: circc. n. 36/ 2013 (Guida al Lavoro n. 43/2013, pag. 38) e n. 40/2013
(Guida al Lavoro n. 37/2013, pag. 41);
UNITELNews24
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- Inail: circ. n. 53/2013 (in Guida al Lavoro n. 46/2013, pag. 42);
- Inps: circ. n. 16/2014.
Partendo da queste ultime istruzioni dell'Inps (circ. n. 16/2014), le modalità operative possono
essere così riepilogate:
[_] presupposto per attivare la procedura: la procedura è attivabile qualora si possano far valere
crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione, di valore almeno pari
agli oneri contributivi accertati e non ancora versati che altrimenti determinerebbero il rilascio del
Durc negativo;
[_] rilascio della certificazione attestante i crediti certi: la richiesta di certificazione di crediti certi
deve essere presentata dal soggetto titolare dei crediti stessi (possono quindi essere più di uno),
ovvero da un suo delegato appositamente registrato nel sistema, attraverso la "Piattaforma per la
certificazione dei crediti " (Pcc), realizzata dal Ministero dell'economia e delle finanze, utilizzando la
funzione "gestione richieste Durc". Una volta generato il documento dalla citata piattaforma (sarà
connotato da "reso ai sensi del comma 5 dell'art. 13-bis del decreto legge 7 maggio 2012, n, 52"),
quest'ultimo può essere salvato in un dispositivo elettronico (oppure stampato), si potrà quindi
attivare il procedimento di richiesta del Durc attraverso lo Sportello unico previdenziale;
[_] richiesta del Durc specifico: tale Durc può essere richiesto (in questa ipotesi occorre specificare
che la richiesta è formulata ai sensi del comma 5 dell'art. 13-bis del decreto legge 7 maggio 2012,
n, 52) sia direttamente dall'interessato (casi residuali) sia d'ufficio da parte delle amministrazioni
pubbliche interessate, in particolare:
[_] richiesta diretta (nell'ambito dei rapporti tra soggetti privati e qualora l'ente interessato abbia
attivato il procedimento art. 7, comma 3, D.M. 24.10.2007 recante la richiesta di regolarizzare il
debito contributivo accertato entro il termine massimo di 15 giorni): il documento attestante i
crediti certi emesso dalla piattaforma Pcc è trasmesso all'ente previdenziale mediante Pec o
consegnato cartaceo alla struttura territoriale;
[_] richiesta d'ufficio da parte dell'amministrazione pubblica (in tutti i rapporti con la pubblica
amministrazione): il documento attestante i crediti certi emesso dalla piattaforma Pcc è trasmesso
dalla Pa all'ente previdenziale (qualora l'amministrazione abbia ricevuto dall'interessato "richiesta
di Durc ex art 13-bis, comma 5, D.L. n. 52/2012, legge n. 94/2012") mediante Pec;
l'amministrazione pubblica richiederà il Durc d'ufficio attraverso lo Sportello unico previdenziale
specificando, in tale ipotesi, che l'acquisizione deve avvenire a norma dell'art 13-bis, comma 5, del
D.L. n. 52/2012 (legge n. 94/2012);
[_] rilascio del Durc: l'operatore dell'ente interessato, attraverso la funzione "Verifica la capienza
per l'emissione del Durc", presente all'interno della "Piattaforma per la certificazione dei crediti"
(Pcc), ha la possibilità di verificare la consistenza dei crediti accertati e verificare se il relativo
ammontare risulti non inferiore al debito contributivo complessivo dell'azienda interessata (se
inferiore, l'esito è negativo - se pari o superiore, l'esito è positivo - la procedura genererà una
certificazione in formato pdf). E' evidente che prima di emettere il Durc, gli enti interessati Inps,
Inail e Casse edili dovranno scambiarsi (via Pec, in attesa dell'implementazione delle funzionalità
della procedura informatica) le informazioni riguardanti l'esposizione debitoria dell'interessato al
Durc, il cui importo complessivo dovrà essere confrontato con i crediti accertati e vantati dalla
medesima azienda. Qualora l'istruttoria si chiuda con esito positivo, il Durc verrà rilasciato con le
seguenti annotazioni:- la specifica che l'emissione del Durc avviene ai sensi dell'art. 13-bis, comma 5, del D.L. n.
52/2012;
- la quantificazione del debito e la data in cui lo stesso è stato accertato;
- gli estremi del n. richiesta e la data e l'ora apposta dal sistema generati in automatico dalla Pcc
attraverso la funzione "Gestione Richieste Durc";
- il "Totale saldo disponibile al GG/MM/AAAA" riportato nel certificato all'esito delle operazioni di
verifica effettuate attraverso la funzione di "Verifica la capienza per l'emissione del Durc".
[_] Validità del Durc: anche il Durc emesso a norma delle disposizioni in commento mantiene la
validità per 120 giorni dalla data del rilascio (così some definito dal D.L. n. 69/2013);
[_] Modalità di utilizzo del Durc specifico: il Durc rilasciato a norma della disposizione in commento
può essere utilizzato per tutte le finalità previste dalle vigenti disposizioni di legge.
UNITELNews24
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Schema riepilogativo
Debiti contribuitivi e intervento sostitutivo della pubblica amministrazione
L'Inps, ricorda che vige anche l'obbligo dell'intervento sostitutivo da parte delle amministrazioni
pubbliche nei debiti contributivi delle aziende, qualora acquisiscano un Durc negativo. Vale a dire
che, nei predetti casi, le pubbliche amministrazioni sono tenute a trattenere dal certificato di
pagamento (stati avanzamento lavoro e/o pagamento delle prestazioni relative a servizi e
forniture) le somme necessarie per sanare i citati debiti contributivi. L'Inps ricorda che il c. 3,
dell'art. 3, del D.M. 13.3.2013 ha esteso detta norma alle erogazioni che le amministrazioni
pubbliche devono erogare a qualsiasi titolo spettanti ai soggetti titolari di crediti certificati. Peraltro,
il decreto n. 69/2013 (art. 31), confermando quanto sopra ha ulteriormente precisato che
l'intervento sostitutivo deve riguardare anche quelle amministrazioni che rogano sovvenzioni,
contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere compresi quelli di cui
all'art. 1, c. 533, della legge n. 266/2005 (benefici ed alle sovvenzioni comunitarie per la
realizzazione di investimenti).
Altro utilizzo delle certificazioni che attestano crediti certi nei confronti della Pa
Le certificazioni attestanti i crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica
amministrazione, emesse dalla piattaforma per la certificazione dei crediti (Pcc), possono essere
utilizzate anche per:
- compensare somme iscritte a ruolo (art. 28-quater del D.P.R. n. 602/1973);
- la cessione o l'anticipazione del credito alle banche o agli intermediari finanziari
UNITELNews24
80
Pubblica amministrazione
&
Pagamenti elettronici: le regole per concludere l'operazione entro il 2015
Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Guida agli Enti locali, 21 febbriao 2014
L'Agenzia per l'Italia Digitale ha pubblicato recentemente le Linee guida per l'effettuazione dei
pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi. Il
documento si ricollega all'articolo 15, comma 5-bis, del decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, che
ha introdotto l'obbligo per le Pa di accettare i pagamenti a qualsiasi titolo dovuti, anche con l'uso
delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, avvalendosi per «le attività di incasso e
pagamento della piattaforma tecnologica di cui all'articolo 81, comma 2-bis, del decreto legislativo
7 marzo 2005, n. 82, e delle piattaforme di incasso e pagamento dei prestatori di servizi di
pagamento abilitati ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».
Le Linee, composte da 18 pagine di indicazioni e da quattro di norme di riferimento, chiariscono,
dettagliatamente, le specifiche che le pubbliche amministrazioni devono mettere in atto per
consentire, agli utenti dei servizi, una regolare esecuzione di pagamenti mediante strumenti
elettronici, così ampliando, anche in tale ambito, le loro possibilità di colloquiare in modo moderno
con le Pa.
Ambito soggettivo di applicazione delle nuove regole sono le pubbliche amministrazioni, le società
interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto
economico consolidato della Pa, così come individuate dall'Istituto nazionale di statistica. Sono
assoggettate alle prescrizioni anche i gestori di pubblici servizi qualora richiedano pagamenti ai
propri clienti per servizi a loro resi.
IL CICLO DI VITA DEL PAGAMENTO
Il testo chiarisce, innanzitutto, le fasi del processo amministrativo, in cui si colloca la relazione di
pagamento tra cittadini, imprese e professionisti, da un lato, e pubbliche amministrazioni, dall'altro
lato, individuando le principali fasi: nascita della necessità del pagamento (da parte dell'ente o del
privato); generazione delle informazioni necessarie per dar corso al pagamento; pagamento;
regolamento e riversamento degli importi; riconciliazione del pagamento; emissione della
quietanza da parte dell'ente creditore ed eventuale erogazione del servizio. La sequenza delle fasi
può mutare in base alla tipologia di servizio.
In tale processo possono essere utilizzati come strumenti per il pagamento:
-il bonifico bancario/ postale,
- il bollettino postale,
- i versamenti mediante carte di debito, di credito, prepagate o altri strumenti di pagamento
elettronico disponibili, che consentano anche l'addebito in conto corrente, attraverso prestatori di
servizi di pagamento (in seguito, per brevità, PSP) individuati secondo la procedura di cui al
comma 1, lettera b) dell'articolo 5 del CAD.
LE INFORMAZIONI MINIME PER IL PAGAMENTO
Il documento individua anche le informazioni essenziali che le pubbliche amministrazioni dovranno
mettere a disposizione dei pagatori o dei soggetti versanti. Esse sono:
?Denominazione dell'ente creditore;
?Identificativo dell'obbligato (il pagatore);
?Importo del pagamento dovuto;
?Identificativo univoco di versamento e causale del versamento;
?Identificativo del conto di pagamento sul quale versare le somme dovute (IBAN o conto corrente
postale);?Scadenza (se prevista).
Tra tali elementi informativi è fondamentale lo IUV (Identificativo univoco di versamento) che
individua la causale del versamento, che ciascun ente creditore deve attribuire a ogni operazione di
incasso, così rendendo univoco quel pagamento.
PROFILI SULL'EFFETTUAZIONE DEL PAGAMENTO
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L'Agenzia non si spinge a definire anche specifici workflow procedurali. Ciò è lasciato,
opportunamente, agli enti creditori in relazione ai procedimenti amministrativi correlati e quindi
all'autonomia organizzativa degli stessi singoli Enti.
Le Linee Guida, invece, si soffermano sui seguenti profili specifici dell'effettuazione del pagamento,
dettando contenuti ad hoc su:
* pagamenti contestuali all'erogazione di servizi, cioè effettuati dall'utilizzatore finale
attraverso i siti web degli enti creditori parallelamente all'erogazione del servizio richiesto o
nell'ambito di un procedimento amministrativo "ad hoc". In tale ipotesi, presumibilmente per avere
immediata informazione sull'avvenuto pagamento, si consente agli enti creditori di escludere il
bonifico quale strumento di pagamento.
Sempre nel suddetto ambito di pagamenti gli enti potranno richiedere l'identificazione informatica
del soggetto che effettua il versamento attraverso gli strumenti previsti dall'articolo 64 del CAD
(Carta Nazionale dei Servizi o Carta d'Identità Elettronica) o con altri strumenti equipollenti.
Per trasparenza dei pagamenti citati gli Enti dovranno rendere note «le condizioni, anche
economiche per l'utilizzo» degli strumenti di pagamento;
* pagamenti non contestuali all'erogazione di servizi, che cioè non richiedono, secondo l'ente
creditore, interattività, sul sito web dell'ente creditore, con l'utilizzatore finale. In questa ipotesi,
come previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera a), punto 1 del CAD, tra gli strumenti di pagamento
utilizzabili dal pagatore si aggiungono il bonifico bancario o postale o il bollettino di conto corrente
postale:
* la piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche
amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento (in sintesi, "Nodo dei PagamentiSPC"). Consente agli enti creditori di gestire tutte le soluzioni organizzative adottate per far
eseguire i pagamenti dovuti e all'utilizzatore finale di avvalersi di tutti gli strumenti di pagamento
disponibili. Al riguardo l'Agenzia per l'Italia Digitale è obbligata a mettere a disposizione delle Pa
quell'infrastruttura, mentre gli enti creditori pubblici sono obbligati a utilizzarla. I gestori di pubblici
servizi, invece, hanno solo una facoltà di utilizzazione.
Per l'utilizzo dei servizi del "Nodo dei pagamenti-SPC" si richiede la sottoscrizione di apposita
convenzione (in forma di "Lettere di adesione") con l'Agenzia per l'Italia Digitale e l'impiego di
apposite procedure rese disponibili proprio dall'Agenzia.
* Convenzioni e atti negoziali con i PSP. Di regola, per le operazioni di pagamento richieste a
un prestatore di servizi di pagamento scelto dall'utilizzatore finale non sono necessarie convenzioni
o atti negoziali tra la singola Pa e i PSC, essendo sufficiente che il prestatore rientri tra quelli
aderenti alla piattaforma "Nodo dei Pagamenti-SPC". Il testo precisa, tuttavia, che, ove la pubblica
amministrazione abbia una necessità che non risulti essere soddisfatta dai servizi di pagamento già
erogati dai PSP aderenti al "Nodo dei Pagamenti-SPC", dovrà avvalersi «di prestatori di servizi di
pagamento, individuati mediante ricorso agli strumenti di acquisto e negoziazione messi a
disposizione da CONSIP o dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi
dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296».
ULTERIORI PROFILI
Regolamento contabile e riversamento. Solo per talune forme di esecuzione di pagamento (bonifico
e addebito diretto, bollettino di conto corrente postale, carta di pagamento) e per i "pagamenti
complessi" (su cui vi è un provvedimento della Banca d'Italia del 5 luglio 2011), le Linee Guida
dettano specifiche tecniche.
Riconciliazione e rilascio della quietanza. A proposito di tale fase gli enti creditori eseguono la
riconciliazione dei pagamenti sulla base delle informazioni fornite dal proprio istituto tesoriere, dei
codici IUV dei prestatori di servizi di pagamento e dei codici IUV presenti sulle proprie evidenze
informatiche. Il testo dell'Agenzia digitale fornisce una serie dettagliata di specifiche tecniche,
rimandando a documenti tecnici.
Le Linee impongono che l'ente, avuta la sicurezza del pagamento, renda disponibile sul proprio sito
web o tramite pec o strumenti analoghi (ad esempio il domicilio digitale del cittadino), il documento
che provi l'avvenuto pagamento. Tale attestato deve poter essere riproducibile, a cura del
pagatore, su supporto cartaceo.
-Allegati
Il documento dell'Agenzia considera sua parte integrante due documenti di carattere tecnico utili a
definire nel dettaglio le modalità di pagamento. Essi sono l'"Allegato A - Specifiche attuative dei
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codici identificativi di versamento, riversamento e rendicontazione" e l'"Allegato B - Specifiche
attuative del Nodo dei Pagamenti-SPC".
TEMPI DI ATTUAZIONE
L'articolo 5 comma 1 del CAD obbliga le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi ad
adeguare, entro il primo giugno 2013, procedure informatiche e strumenti per consentire i
pagamenti elettronici sulla base delle presenti Linee guida. Queste ultime ora chiariscono che
l'adesione agli Accordi per l'attivazione con il "Nodo dei pagamenti-SPC" costituisce rispetto di
quella norma del CAD, a condizione che la singola pubblica amministrazione, al momento
dell'adesione, definisca un piano di attivazione, che individui attività e tempi di realizzazione da
terminare entro il 31 dicembre 2015 e che potrà prevedere un'attivazione graduale per singoli
servizi offerti.
Inoltre, il documento prevede che le amministrazioni potranno ricevere senza l'uso della
piattaforma, in via transitoria e sino al 31 dicembre 2015, pagamenti informatici a mezzo bonifico
e/o bollettino postale, a condizione che abbiano già espletato la procedura di adesione suddetta.
IN CONCLUSIONE
In virtù delle Linee guida sintetizzate si intravedono all'orizzonte i pagamenti elettronici verso la
Pa, largamente attesi da quella parte di cittadini grandi utilizzatori delle nuove tecnologie. Anche in
questo caso, l'Agenzia per l'Italia digitale dà uno stimolo efficace alla smaterializzazione di attività
delle Pa, non solo ponendo regole, ma anche fissando un orizzonte temporale ragionevole (31
dicembre 2015) ad Enti locali e altre amministrazioni pubbliche.
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Pubblica amministrazione
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Patto di stabilità, allentati i vincoli finanziari per gli Enti locali
Marco Rossi, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali, 21 febbraio 2014
La Ragioneria generale ha predisposto la consueta circolare che illustra le novità sul patto di
stabilità interno 2014/2016 (derivanti dalla legge 147/2013) e fornisce i necessari chiarimenti
applicativi agli Enti locali. Il documento è certamente utile, perché garantisce un quadro
sistematico e un efficace raccordo tra le diverse disposizioni succedutesi nel tempo, assicurando
una visione d'insieme.
NOVITÀ
Le novità salienti della normativa definita per il 2014/2016 sono riepilogate nella premessa. E' così
specificato, in primis, che la manovra determina un intervento correttivo soltanto a partire dal
2016 (per 344 milioni, di cui 275 milioni a carico dei Comuni), mantenendo fermo il concorso già
previsto per le annualità precedenti.
Inoltre, è sottolineato (positivamente per gli Enti) che è disposto un allentamento dei vincoli del
patto di stabilità in misura pari a 1,5 miliardi di euro, attraverso l'esclusione, fino a 1 miliardo, di
pagamenti in conto capitale da sostenere nel primo semestre 2014 e, fino a 500 milioni, di
pagamenti eseguiti per estinguere debiti in conto capitale rientranti nelle fattispecie dello "sbloccadebiti".
BASE DI RIFERIMENTO
Viene aggiornata, inoltre, la base di riferimento della spesa corrente considerata, con lo slittamento
del periodo assunto dal triennio 2007/2009 al triennio 2009/2011: aggiornamento che, come
chiarisce la stessa circolare, è destinato a premiare indirettamente gli Enti locali che hanno
maggiormente contratto la spesa corrente nel corso del tempo (il cambiamento del periodo assunto
ha imposto, tra l'altro, la modifica delle percentuali da applicare).
Ancora, significativo (alla luce dell'esperienza del 2013) è l'adeguamento del calendario degli
adempimenti legati ai "patti di solidarietà" attraverso l'anticipo dei rispettivi termini: l'obiettivo, in
questo caso, è consentire alle amministrazioni locali di conoscere in modo più tempestivo i nuovi
obiettivi programmatici e quindi pianificare al meglio le spese in coerenza con i vincoli del patto di
stabilità interno. Rispetto ai patti di solidarietà, inoltre, c'è l'ulteriore proroga al 2015 dell'avvio del
"patto regionale integrato", in base al quale le Regioni potrebbero concordare con lo Stato le
modalità di raggiungimento dei propri obiettivi e di quelli degli enti locali del proprio territorio.
Altra novità importante è legata al meccanismo di valutazione della virtuosità, in vista della
distribuzione del "peso" del patto di stabilità tra i diversi Enti: la circolare ricorda che la legge
124/2013 ne ha sospeso l'applicazione che, al momento, è intervenuta esclusivamente con
riferimento al 2012. Rilevante anche la novità legata al meccanismo di correzione introdotto in
relazione allo svolgimento di funzioni e servizi in modo associato: lo scopo, in questo caso, consiste
nella sterilizzazione dell'impatto conseguente per gli Enti capofila, mediante la riduzione degli
obiettivi in capo a questi ultimi, compensata dal corrispondente aumento degli obiettivi dei Comuni
associati.
Sempre nella premessa, infine, è segnalata la "clausola di salvaguardia", novità che preveder la
rideterminazione del saldo finanziario (fermo l'obiettivo complessivo di comparto), in modo da
garantire che per nessun Comune si realizzi un peggioramento (in base alle nuove regole)
superiore al 15% rispetto all'obiettivo calcolato con le modalità previste dalla normativa
previgente. E' utile ricordare che su alcuni di tali aspetti, come per esempio l'applicazione della
clausola di salvaguardia, sono già stati emanati i decreti attuativi ai quali rinviava la disciplina di
riferimento.
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PERIMETRO APPLICATIVO
Sintetizzati i principali aspetti innovativi, la circolare affronta in modo sistematico la disciplina del
patto di stabilità interno, a partire dal perimetro applicativo, rispetto al quale continua a valere la
regola che vi sono sottoposti i Comuni con più di 1.000 abitanti e le Province. E' ribadito, alla luce
della legge 147/2013, che la popolazione da prendere a riferimento è quella anagrafica e non
quella censuaria e che, tenendo conto dell'articolo 156 del Tuel, per il 2014 rileva il dato al 31
dicembre 2012.
Dal 2014, però, entrano anche le Unioni di Comuni formate dagli Enti con meno di 1.000 abitanti,
secondo quanto previsto dall'articolo 16 della legge 148/2011. L'ingresso effettivo, in realtà, è
condizionato anche dall'esercizio di costituzione dell'Ente sovracomunale, alla luce anche della
disciplina che regola gli Enti di nuova istituzione: è precisato che le Unioni sono assoggettate al
patto dal terzo anno successivo a quello della loro nascita, assumendo come base di riferimento
(cui applicare le percentuali previste) le risultanze dell'anno successivo a quello di istituzione. In
termini più concreti, quindi, un'Unione costituita nel 2012 sarà sottoposta ai vincoli del patto a
partire dal 2015 e prenderà in considerazione la spesa corrente 2013 (impegnata) per la
determinazione dell'obiettivo programmatico da conseguire.
DETERMINAZIONE OBIETTIVO
Chiarito l'ambito applicativo, la circolare della Ragioneria generale dello Stato richiama le principali
regole e il percorso da svolgere per determinare gli obiettivi programmatici per il 2014/2016,
rilevanti anche fini della costruzione del bilancio pluriennale. Per individuare l'obiettivo, in primis, è
necessario individuare il saldo obiettivo provvisorio in base alla spesa corrente media e alle
percentuali introdotte dalla legge 147/2013, pari al 20,25% (2014 e 2015) e al 21,05 (2016) per le
Province e al 15,07% (2014 e 2015) e 15,62% (2016) per i Comuni.
Come di consueto, quindi, la circolare suggerisce prudenzialmente di assumere (anche per le
annualità successive alla prima, in attesa dell'applicazione della "virtuosità") provvisoriamente
l'obiettivo massimo individuato per gli Enti non virtuosi, essendo possibile computare la riduzione
solo successivamente all'emanazione del relativo decreto annuale.
SPESA CORRENTE
La spesa corrente deve essere assunta in misura corrispondente a quella registrata nei conti
consuntivi senza alcuna esclusione, non potendo essere prese in considerazione richieste di rettifica
amministrativa di eventuali errori di contabilizzazione nei documenti di bilancio relativi agli anni
2009, 2010 e 2011.
Di seguito, secondo il percorso indicato, occorre determinare il saldo obiettivo al netto della
riduzione dei trasferimenti disposta dall'articolo 14, comma 2, della legge 122/2010 (tale
passaggio, quindi, interessa i Comuni con più di 5.000 abitanti e le Province). Nessuna rettifica,
invece, per i "tagli" disposti da provvedimenti successivi, tra cui la Legge 135/2012 recante la
"spending review".
Per gli enti in sperimentazione e limitatamente al 2014, invece, occorre fare riferimento al nuovo
obiettivo ridefinito in funzione dell'applicazione del meccanismo di premialità specificamente
previsto, che si traduce in uno "sconto" del 52,80% per i Comuni e del 17,41% per le Province. In
questo caso, in particolare, l'obiettivo è desunto dal decreto (n° 10574) cui si è fatto cenno in
precedenza.
Sempre per il 2014, questa volta esclusivamente per i Comuni (nella loro generalità), poi, occorre
considerare gli effetti derivanti dall'applicazione della clausola di salvaguardia, desumendo
l'obiettivo dall'altro decreto attuativo già emanato (n° 11400) che individua puntualmente il valore
assegnato a ogni amministrazione. Giunti a questo punto rimangono da verificare gli effetti
scaturenti dall'applicazione dei "patti di solidarietà", sia di livello regionale (orizzontale, verticale e
verticale incentivato), sia nazionale (orizzontale), che possono comportare variazioni all'obiettivo
da conseguire.
PATTO VERTICALE INCENTIVATO
La circolare rammenta che per il 2014 resta vigente la disposizione per la quale ciascuna Regione
deve destinare almeno il 50% degli spazi finanziari ceduti con il patto verticale incentivato a favore
dei Comuni tra 1.000 e 5.000 abitanti, fino al conseguimento del saldo zero. Gli eventuali spazi non
assegnati, poi, devono essere destinati ai Comuni con meno di 5.000 abitanti dislocati in tutto il
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territorio nazionale che presentino un obiettivo positivo.
APPLICAZIONE SANZIONI
Ancora, gli obiettivi attribuiti potranno subire una riduzione (in base ai criteri individuati in un
successivo decreto ministeriale) per un importo commisurato agli effetti finanziari determinati
dall'applicazione delle sanzioni legate alla riduzione del fondo di solidarietà a carico degli Enti che,
nell'esercizio precedente, non hanno raggiunto l'obiettivo assegnato.
Sul punto, la circolare evidenzia la precisazione contenuta nella legge 147/2013 (articolo 1, comma
545), che ha affermato come possano beneficiare della riduzione degli obiettivi annuali
esclusivamente gli Enti assoggettabili alla sanzione correlata, risultando esclusi – quindi – quelli
delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome.
GESTIONE ASSOCIATA
In ultimo, è rilevante il meccanismo di correzione introdotto proprio dalla legge 147/2013 sulla
gestione associata di funzioni e servizi, per evitare la penalizzazione conseguente a carico degli Enti
capofila. Tale modifica sarà attuata a marzo con la collaborazione dell'Anci e comporterà un
corrispondente peggioramento dell'obiettivo per gli Enti non capofila. In realtà, il percorso
individuato per giungere alla determinazione degli obiettivi è più teorico che pratico, in particolare
per il 2014, e avrà una sua valenza soprattutto (a invarianza di normativa) sul 2015 e sul 2016.
I diversi meccanismi specificamente introdotti per il 2014 (in particolare quello legato alla clausola
di salvaguardia), infatti, non consentono una costruzione strettamente aritmetica dell'obiettivo,
dovendosi fare riferimento ai contenuti nel decreto del 10 febbraio 2014 n° 11400, che ha definito
puntualmente il saldo programmatico dei diversi Enti sulla base dei diversi elementi che vi
concorrono (inclusa la riduzione per gli Enti in sperimentazione).
IL SITO MINISTERIALE
Di conseguenza, con riguardo a tale esercizio, è indispensabile fare riferimento alle informazioni
messe a disposizione sul sito web http://pattostabilitainterno.tesoro.it della Ragioneria generale
dello Stato, nel quale è contenuto un prospetto precompilato che ciascun Ente può consultare per
conoscere il proprio obiettivo. Quest'ultimo, insieme alle informazioni per la sua determinazione,
tra l'altro, secondo un adempimento ormai divenuto consueto, deve essere trasmesso alla
ragioneria generale entro 45 giorni dalla pubblicazione del relativo decreto attuativo (il mancato
invio è assimilato al mancato rispetto del patto di stabilità).
PATTI DI SOLIDARIETÀ
Rispetto ai "patti di solidarietà", tendenzialmente differenziati, la circolare sottolinea soprattutto le
novità, introdotte dalla legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013), relative al calendario delle
scadenze da rispettare per l'attivazione dei diversi meccanismi, anche per garantirne la migliore
efficacia. Così, in relazione al patto verticale incentivato (destinato a operare, per il 2014, per il
medesimo importo potenziale del 2013, ossia per 1.272.006.281 euro), è anticipata la scadenza
per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica al 15 marzo (dalla
precedente scadenza del 31/5).
Per quanto riguarda, invece, il patto verticale (non incentivato) è portato al 1° marzo (dal
precedente 15 settembre) il termine entro il quale gli Enti locali dichiarano all'Anci, all'Upi, alle
Regioni e alle Province autonome l'entità dei pagamenti che possono effettuare nel corso dell'anno.
Il 15 marzo, poi, è il nuovo termine riconosciuto alle Regioni e alle Province autonome per
comunicare al ministero dell'Economia, con riferimento a ciascun ente beneficiario, gli elementi
informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica.
Rispetto al patto orizzontale nazionale, invece, i nuovi termini sono individuati nel 15 giugno (dal
precedente 15 luglio) per la comunicazione dei differenziali positivi o negativi alla Ragioneria
generale (ora da eseguire esclusivamente via web) e nel 10 luglio (dal precedente 10 settembre)
per l'aggiornamento del prospetto degli obiettivi dei Comuni interessati dalla rimodulazione, con
riferimento all'anno in corso e al biennio successivo.
In ordine ai patti di solidarietà, la nota ricorda che gli spazi finanziari acquisiti dagli Enti (che
trovano corrispondenza nella riduzione degli obiettivi) sono attribuiti con uno specifico vincolo di
destinazione, rispetto al quale non possono essere diversamente orientati.
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ADEMPIMENTI FORMALI
Concludono la circolare ministeriale le indicazioni riguardanti gli adempimenti formali (monitoraggio
e certificazione), il quadro sanzionatorio in caso di mancato conseguimento degli obiettivi nonché la
disciplina antielusiva, corrispondenti alle informazioni già rilasciate in relazione alle annualità
precedenti. Meritano un approfondimento la trasmissione telematica della certificazione finale, sulle
quali si sofferma la stessa nota, destinata a superare la precedente regola dell'invio in forma
cartacea.
La sottoscrizione del certificato rilasciato dal sistema web, quindi, dal patto 2014 dovrà essere
assicurata mediante l'utilizzo della firma elettronica qualificata da parte del rappresentante legale,
del responsabile del servizio economico-finanziario e dei componenti dell'organo di revisione
economico-finanziaria.
ALLEGATI
Completano la circolare, infine, due allegati: il primo, contenente i prospetti denominati OB/14/P e
OB/14/C, relativi, rispettivamente, all'individuazione degli obiettivi 2014/2016 delle Province e dei
Comuni con più di 1.000 abitanti; il secondo, contenente un documento denominato ACCESSO
WEB/14, destinato a fornire le istruzioni sulle modalità di accesso al sistema web.
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Pubblico impiego
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Parte la sperimentazione della banca dati unificata dei dipendenti pubblici
L’Istituto di previdenza sociale ha fornito le linee operative per una sperimentazione che consentirà
la verifica della nuova procedura di gestione delle posizioni assicurative e la messa a punto di
eventuali correttivi prima di procedere all’estensione dell’operazione a tutti i lavoratori del settore
pubblico
Nevea Lorenzato, Il Sole 24 ORE - Guida al Pubblico Impiego, febbraio 2014, n. 2
Nell’ambito del processo di estensione del servizio Estratto conto integrato, che l’Inps ha da
tempo messo in atto al fine di rendere progressivamente disponibile il servizio di consultazione
della propria posizione assicurativa a tutti i lavoratori attivi iscritti alle forme di previdenza
obbligatoria, prosegue anche l’iter per il consolidamento della banca dati unificata dei
dipendenti pubblici. Lo si riscontra nel messaggio dell’Inps n. 20998 del 20 dicembre 2013, che
fornisce le linee operative per una sperimentazione che consentirà di verificare la nuova
procedura di gestione delle posizioni assicurative e di mettere a punto eventuali
correttivi prima di procedere all’estensione dell’operazione a tutti i lavoratori del settore pubblico.
La banca dati unificata dei dipendenti pubblici La ricostruzione della banca dati unificata del
settore pubblico è stata pianificata dalsoppresso Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti
pubblici (Inpdap) prima ancora del 4 febbraio 2005, data di emanazione del decreto attuativo del
Casellario delle posizioni previdenziali attive istituito presso l’Inps con legge n. 243 del 23
agosto 2004 (art. 1, comma 23). L’Istituto ha messo in atto progetti finalizzati al miglioramento
della qualità e della completezza dei dati inerenti alle posizioni assicurative dei propri iscritti in più
fasi, coinvolgendo tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e territoriali.
Il popolamento della banca dati unificata (Bdu) è stato posto in essere in diverse fasi temporali:
• progetto Sonar: avviato nel 1999 prevedeva, attraverso l’utilizzo di specifici programmi
informatici, il supporto degli enti datori di lavoro nella raccolta e trasmissione di dati e
informazioni necessari per la costruzione delle singole posizioni assicurative del personale
assunto fino al 31 dicembre 1995 (data limite del sistema di calcolo della pensione con il
metodo retributivo);
• dal 1999 la trasmissione delle informazioni giuridico-economiche relative a tutti gli iscritti è
stata demandata alla dichiarazione annuale unificata delle retribuzioni ai fini fiscali e
previdenziali (mod. 770);
• dal 1° gennaio 2005 i dati retributivi e contributivi dei dipendenti sono trasmessi a
mezzo denuncia mensile analitica (Dma);
• dal 2006, inoltre, gli enti dispongono dell’applicativo Passweb ideato per apportare, via
web, correzioni e/o integrazioni alle informazioni presenti nelle singole posizioni
assicurative;
• nello stesso anno l’Inpdap ha inviato in via sperimentale, ad un campione selezionato di
propri iscritti, 26mila “prime comunicazioni”contenenti le informazioni e i dati presenti
nella Bdu, in previsione di un invio massivo a tutti i dipendenti delle amministrazioni
pubbliche.
Memorizzazione fascicolo
A
Periodi riconosciuti da riscatti, ricongiunzioni, computi ecc. ante e post subentro
inseriti ex novo in PA.
B
Periodi di servizio inseriti ex novo in PA.
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C
Periodi di servizio/riconosciuti aggiornati/completati.
Domande di riscatti, ricongiunzioni, computi ecc. ai fini pensionistici
D
Domande di prestazione pensionistica in vigenza.
E
Domande presentate al datore di lavoro “ante subentro” non determinate.
F
Domande inoltrate all’Istituto, non presenti negli archivi Sin (in corso di
determinazione “fuori sistema” Sin).
L’obiettivo finale di poter disporre di una base dati completa, integrata ed affidabile è
stato raggiunto solo in parte ed ora tocca all’Inps Gestione dipendenti pubblici, completare il
lavoro.
La sperimentazione operativa dell’Inps Con messaggio n. 20998 del 20 dicembre scorso, l’Inps
detta le linee operative da seguireper la realizzazione di un’operazione di coinvolgimento degli
iscritti alle Gestioni pensionistiche dei dipendenti pubblici nella verifica della propria posizione
assicurativa. Prima di entrare nel dettaglio dei contenuti del messaggio si evidenzia una differenza
procedurale rispetto a quella seguita dall’Inpdap: l’ente previdenziale svolge in casa una serie di
attività, escludendo, in una prima fase, gli enti datori di lavoro. L’operazione è iniziata nel
mese di dicembre 2013 e coinvolge un campione di 15mila lavoratori di enti locali e
amministrazioni statali. I destinatari, che potranno visionare la propria posizione assicurativa,
sono stati individuati secondo specifici criteri:
• dipendono da enti locali della regione Marche e delle province di Rieti, Livorno, Trieste e
Imperia;
• sono nati tra il 1° gennaio 1954 e il 31 dicembre 1969;
• non hanno in corso una domanda di pensionamento e nemmeno istruttorie in stato
avanzato di riconoscimento periodi-(riscatti e ricongiunzioni). Le fasi preliminari all’invio
delle comunicazioni consistono, per le sedi Inps coinvolte nella sperimentazione,
nell’espletamento di alcune attività propedeutiche. In sostanza, è stato richiesto, per
ciascun nominativo presente negli elenchi degli iscritti coinvolti nell’operazione, di:
• memorizzare il fascicolo;
• inserire le domande di prestazione pensionistica in vigenza;
• rendicontare le attività. La “Memorizzazione del fascicolo” prevede di riportare nella
banca
dati
delle
singole
posizioni
assicurative
le informazioni
di
tipo
previdenziale presenti nella documentazione conservata nei fascicoli “pensionistici” o su
supporti informatici diversi da quello in uso (Sin) (si veda tabella in alto).
Per il completamento delle attività richieste è stato posto il termine del 31 gennaio 2014.
A conclusione delle operazioni preliminari è previsto l’invio della comunicazione agli
iscritti interessati, a mezzo lettera cartacea o con messaggio di posta elettronica oppure via
Pec. Quello che sarà inviato, però, non sarà un estratto conto, bensì un invito a prenderne
visione, accedendo tramite Pin Inps al sito dell’Istituto previdenziale. A chi non dispone del Pin
saranno inviati, al momento dell’invio della comunicazione, i primi otto caratteri del Pin assegnato,
unitamente alle indicazioni per chiedere i restanti otto caratteri e poterne così chiedere
l’attivazione.
Visualizzata la propria posizione, gli iscritti sono invitati a richiedere eventuali correzioni e
integrazioni direttamente on line, utilizzando il servizio Rvpa (richiesta variazione posizione
assicurativa) presente nella pagina di consultazione dell’estratto conto, oppure rivolgendosi ai
Patronati.
Il servizio Rvpa permette anche di allegare documentazione utile alle verifiche.
Successivamente alla raccolta delle richieste di integrazione e variazione da parte dei dipendenti
iscritti, saranno coinvolti anche gli enti datori di lavoro per il completamento dell’inserimento
dei dati in posizione assicurativa. L’operazione, che sarà gradualmente estesa a tutti gli iscritti,
costituisce un passo importante per il miglioramento e consolidamento della banca dati unificata
dei dipendenti pubblici, con conseguente allineamento a quella delle aziende private.
Il buon esito sarà assicurato solo con l’interazione di tutte le parti coinvolte. Il complesso impianto
organizzativo dell’Istituto previdenziale è stato così strutturato:
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1. presso la Direzione generale dell’Istituto opera la Struttura di progetto “Consolidamento PA”
che, con il supporto delle direzioni centrali Pensioni e Previdenza è coinvolta per la pianificazione,
il monitoraggio e il governo del progetto nel suo complesso e per la conduzione dei rapporti
con le amministrazioni centrali statali delle seguenti direzioni centrali:
• “Pianificazione e controllo di Gestione” per la pianificazione, l’indirizzo ed il monitoraggio
delle attività produttive;
• “Organizzazione” per il governodegli assetti e dei modelli organizzativi di lavoro;
• “Sistemi informativi e tecnologici” per la realizzazione e gestione delle infrastrutture
informatiche a supporto del progetto;
• “Formazione e sviluppo delle competenze” per la progettazione e attuazione delle azioni
formative;
2. presso ciascuna direzione regionale sarà costituito un gruppo di lavoro che dovrà
pianificare, coordinare e monitorare le fasi operative dell’operazione in ambito regionale, oltre che
assicurare livelli omogenei di servizio, tenendo conto delle problematiche e delle specificità
regionali. Ogni direttore regionale dovrà individuare un dirigente incaricato di presidiare il
complesso delle attività e di svolgere il ruolo di referente nei confronti delle direzioni centrali
coinvolte. La direzione regionale dovrà presentare l’operazione agli enti ed amministrazioni
regionali, alle associazioni degli enti datori di lavoro pubblici, alle organizzazioni dei patronati a
livello regionale e alle strutture interessate delle organizzazioni sindacali. Dovrà inoltre operare con
le direzioni provinciali promuovendo di concerto con le stesse le iniziative opportune, anche per
il coinvolgimento delle amministrazioni di particolare rilevanza nella fase di invio delle
comunicazioni, nella formazione e supporto agli enti in relazione all’utilizzo della nuova
procedura Passweb. Inoltre dovrà assicurare il coordinamento e il monitoraggio delle attività
sul territorio, con particolare riferimento al processo di gestione delle richieste di variazione
della posizione assicurativa inoltrate dagli scritti;
3. la direzione provinciale, in stretto collegamento con il gruppo di coordinamento regionale, ha
il compito di mantenere i rapporti con enti iscritti ed i patronati di livello provinciale;
svolgerà attività di coinvolgimento delle amministrazioni di pertinenza nella fase di invio delle
comunicazioni, erogherà la formazione e fornirà il necessario supporto agli enti in merito all’utilizzo
della procedura Passweb. La direzione provinciale avrà il compito inoltre di gestire le richieste di
variazione della posizione assicurativa inoltrate dagli iscritti, relazionandosi, quando
necessario, con gli enti datori di lavoro e con gli iscritti stessi al fine di ottimizzare i tempi e
massimizzare i risultati;
4. il personale Inps prioritariamente interessato dal progetto è quello operante sulle linee di “
Posizione assicurativa” e sulle linee delle prestazioni pensionistiche in vigenza (Riscatti/
Ricongiunzioni/Computi ecc.). L’analitica descrizione del messaggio Inps circa le competenze
assegnate alle proprie strutture lascia intravedere l’intenzione di portare a termine il progetto di
consolidamento della Bdu nel più breve tempo possibile. Gli enti datori di lavoro sono citati
come secondi attori che saranno chiamati a contribuire all’integrazione delle posizioni assicurative.
In realtà per poter rispondere alle richieste dell’Inps in tempi congrui, dovranno tutti essere
allineati sia sotto il profilo di capacità di utilizzo della procedura Passweb, sia nella possibilità di
organizzarsi per far fronte, oltre che alle attività ordinarie, all’incremento di lavoro che il
progetto richiede.
La procedura Passweb
Nella nota operativa n. 11 del 29 dicembre 2008 l’Inpdap scriveva: “Gestire la posizione
assicurativa significa non solo essere in grado di erogare le prestazioni istituzionali con tempestività
e senza errori, ma essere anche lo strumento attraverso il quale l’iscritto può conoscere i propri
diritti pensionistici e previdenziali, presenti e futuri. A tal fine è stato realizzato e distribuito alle
sedi provinciali e agli enti datori di lavoro l’applicativo Passweb attraverso il quale è
possibile completare e correggere le posizioni assicurative individuali degli iscritti. Le sedi
operative inviteranno i datori di lavoro a certificare i servizi svolti e le retribuzioni
percepite tramite Passweb e non più S7. Il datore di lavoro può certificare, se in possesso di
tutta la documentazione necessaria, non solo il periodo prestato dall’iscritto alle proprie dipendenze
e le relative retribuzioni, ma anche i periodi svolti presso enti diversi. Si evidenzia l’importanza
dell’azione sinergica dell’ente previdenziale e d el datore di lavoro nella costruzione e nel
consolidamento della banca dati unificata che sarà il fulcro per l’erogazione di tutte le prestazioni
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dell’Istituto.”. In effetti l’applicativo Passweb è stato fornito alle amministrazioni nel 2006; la sua
funzione era quella di inserire correzioni e integrazioni di dati già presenti nelle singole posizioni
assicurative. Questo perché, in teoria, la maggior parte delle informazioni doveva già essere
presente in Bdu a seguito dei flussi trasmessi a mezzo Sonar, modelli 770 e Dma. In realtà, a
causa di problemi tecnici di caricamento dei dati e didifficoltà da parte delle amministrazioni,
in particolare nella prima fase di ricostruzione delle posizioni degli assunti prima del 1° gennaio
1996, la Bdu presenta ancora una significativa carenza di dati. La gestione dei flussi
contributivi e della posizione assicurativa dei dipendenti pubblici è stata oggetto di diversi
aggiornamenti e a breve sarà disponibile una nuova versione di Passweb aggiornata e
semplificata.
Posto che l’Inps è il titolare dell’intera operazione, non si deve tuttavia dimenticare la rilevanza
del ruolo riservato agli enti datori di lavoro, che dovranno essere omogeneamente preparati
nel momento in cui sarà loro richiesto di intervenire sulle posizioni assicurative.
I presupposti ci sono e molto probabilmente numerosi enti stanno già alimentando la Bdu, per la
parte loro riservata, a prescindere dall’invio dell’estratto conto al proprio personale. Altri però
potrebbero aver incontrato delle oggettive difficoltà. Senza pretesa di esaustività si può comunque
delineare una serie di adempimenti che gli enti devono aver messo in atto per garantire il
corretto utilizzo di Passweb e questo deve avvenire prima dell’invio massivo delle comunicazioni
ai pubblici dipendenti. Innanzitutto occorre:
• aver individuato i dipendenti chiamati ad operare in Passweb assegnando loro i rispettivi
ruoli di esecutore, certificatore e validatore;
• aver chiesto all’Inps l’abilitazione per consentire loro di accedere e utilizzare la procedura;
• aver chiesto ed ottenuto dall’Istituto previdenziale una formazione di base
adeguata sulle modalità di utilizzo di Passweb;
• essere in costante interazione con la sede provinciale Inps di riferimento, sia per
ottenere supporto adeguato per la soluzione dei problemi, sia per chiedere inserimenti di
dati di esclusiva competenza dell’Inps. A tal proposito si rammenta che gli enti datori di
lavoro possono integrare e c orreggere, utilizzando Passweb, gli stati di servizio e i
dati retributivi,mentre le variazioni anagrafiche e i dati inerenti a riscatti, ricongiunzioni e
servizi con o senza onere sono di esclusiva competenza dell’ente previdenziale. Per questo è
bene che, una volta inseriti i dati inerenti a retribuzioni e servizi si chieda, ove necessario,
l’inserimento delle informazioni a carico esclusivo dell’Inps per il completamento delle
posizioni lavorate;
• sapere come procedere nella scelta del percorso operativo da seguire; premesso che vi
sono casi in cui la posizione assicurativa deve essere lavorata interamente per motivi
specifici, le posizioni da individuare per la lavorazione sono quelle ante 2005 e quelle della
Dma fino al 30 settembre 2012. Dal 1° ottobre 2012 è stata introdotta la Dma2 e non è
opportuno lavorare retribuzioni e servizi dalla stessa data perché è ancora in corso il
caricamento dei dati in Bdu; ne consegue il rischio di sovrapposizione dei dati già inseriti.
Sull’altro fronte l’Inps (come peraltro già previsto nella pianificazione) dovrà garantire agli enti
datori di lavoro adeguata formazione e sollecito supporto tecnico per evitare il rallentamento
delle attività o, nel caso peggiore, il blocco delle stesse.
Da ultimo, su ambedue i fronti è importante impostare una forma di comunicazione efficace
con gli utenti, che devono in primo luogo essere consapevoli del fatto che il contenuto della loro
posizione rappresenta un processo in fieri e non il mero effetto di operazioni errate. In secondo
luogo, deve essere assicurata la regolarizzazione della loro posizione, che sarà comunque
sempre consultabile accedendo al servizio on line dell’Istituto.
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Pubblico Impiego
&
Pubblico impiego: così la riforma dell'età pensionabile
Il D.L. 31 agosto 2013, n. 101, sulla razionalizzazione della Pa, è un provvedimento omnibus che,
oltre a innovare alcuni istituti lavoristici nella pubblica amministrazione, si è occupato del regime
pensionistico dei dipendenti
Guido Canavesi, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 21 febbraio 2014, n. 8
Con l'art. 2, commi 4 e 5, D.L. 31.8.2013, n. 101 (L. 30.10.2013, n. 125), il legislatore è, tra
l'altro, tornato ad occuparsi del regime pensionistico dei pubblici dipendenti. Più precisamente, il
comma 4 ha interpretato autenticamente l'art. 24, c. 3, primo periodo, D.L. 6.12.2011, n. 201
(legge 22.12.2011, n. 214), stabilendo che "il conseguimento da parte di un lavoratore dipendente
delle pubbliche amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31.12.2011 comporta
obbligatoriamente l'applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgente rispetto
all'entrata in vigore del predetto articolo 24".
Altrettanto ha fatto il comma 5, interpretando il secondo periodo del comma 4, del medesimo art.
24, "nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite
ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d'ufficio e
vigente alla data di entrata in vigore del decreto legge stesso, non è modificato dall'elevazione dei
requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non
per il trattenimento in servizio o per consentire all'interessato di conseguire la prima decorrenza
utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l'amministrazione
deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i
requisiti per il diritto a pensione".
Il quadro normativo
Per comprendere il senso dell'intervento legislativo, occorre ricordare sinteticamente la disciplina
dettata dalle disposizioni ora interpretate.
Come noto, per il comma 3 di tale disposizione le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di
anzianità sono state sostituite con la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata, conseguite
esclusivamente in base ai nuovi requisiti previsti dai successivi commi, rispettivamente, 6 e 7 per
la prima, 10 e 11 per la seconda.
Pertanto, per i lavoratori in regime di calcolo misto, ossia con anzianità contributiva al 31.12.1995:
a) il requisito anagrafico per la maturazione della pensione di vecchiaia è passato da 65 anni agli
attuali 66 e 3 mesi, mentre quello contributivo resta fermo a venti anni di contribuzione;
b) per la pensione anticipata sono richiesti 42 anni e 5 mesi, per gli uomini, e 41 e 5 mesi, per le
donne, con un aumento, in entrambi i casi, di un ulteriore mese dall'1.1.2014. In tal caso, peraltro,
riduzioni del trattamento sono previste qualora si acceda alla pensione in età inferiore a 62 anni
(1).
Invece, per i lavoratori in regime di calcolo contributivo, ossia coloro il cui primo accredito
contributivo decorre dall'1.1.1996, fermi restando i requisiti anagrafico e contributivo di cui alla
lett. a) (2), la pensione di vecchiaia matura a condizione che l'importo del trattamento sia almeno
pari ad 1,5 volte il valore dell'assegno sociale di cui all'art. 3, c. 6, L. 8.8.1995, n. 335, oppure a
70 anni di età e 5 anni di contribuzione effettiva, a prescindere dall'importo della pensione.
Quanto alla pensione anticipata valgono gli stessi requisiti richiamati alla lett. b), con l'esclusione
dell'abbattimento in caso di accesso in età anteriore al 62° anno di età. In aggiunta, però, la
pensione è conseguibile con 63 anni di età e 20 anni di contribuzione.
L'effetto complessivo è il venir meno delle pensioni di anzianità, da un lato, l'innalzamento del
requisito anagrafico nonché, in alcuni casi, di quello contributivo per gli altri trattamenti, dall'altro.
Ciò, tuttavia, soltanto per i lavoratori soggetti ai regimi di calcolo del trattamento misto e
contributivo, che maturino i nuovi requisiti a decorrere dall'1.1.2012.
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Infatti, il primo periodo di quel comma sottrae al novello regime il lavoratore che, al 31.12.2011,
abbia maturato "i requisiti di età e di anzianità contributiva... ai fini del diritto all'accesso e alla
decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità" allora vigenti. E si precisa che
chi li possiede "può chiedere... la certificazione di tale diritto".
Il solco tra vecchi e nuovi requisiti è poi ulteriormente ribadito sia dal comma 5, laddove dispone la
disapplicazione del regime delle decorrenze (o finestre) di cui all'art. 12, cc. 1 e 2, D.L. 31.5.2010,
n. 78, "con riferimento esclusivamente ai soggetti che a decorrere dall'1.1.2012 maturano i
requisiti per i pensionamenti indicati ai commi da 6 a 11", sia dal comma 14, secondo cui le
disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze previgenti l'entrata in
vigore del D.L. n. 201/2011 "continuano ad applicarsi ai soggetti che maturino i requisiti entro il
31.12.2011" (3).
Per questi lavoratori la conservazione della previgente disciplina non è probabilmente vantaggiosa,
neppure in termini di anticipato accesso alla pensione, poiché trova applicazione il regime delle
decorrenze, mentre è senza dubbio meno conveniente quanto alla misura della pensione,
considerato che il secondo periodo del comma 4 - l'altra norma soggetta ad interpretazione incentiva la prosecuzione del rapporto di lavoro fino all'età di 70 anni, con espressa salvezza,
tuttavia, dei "limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza".
I contrasti interpretativi
Orbene, proprio l'accesso a tale opportunità ha dato luogo ai contrasti interpretativi che hanno
indotto il legislatore ad intervenire. Due sono le questioni dibattute, in realtà strettamente
connesse. Quanto alla prima, dunque, ci si è chiesti se, col riferimento ai "requisiti di età e
anzianità... ai fini dell'accesso... del trattamento pensionistico di vecchiaia o anzianità ", il
legislatore abbia voluto collegare l'inapplicabilità della nuova disciplina alla presenza congiunta,
piuttosto che alternativa, dei requisiti dell'uno e dell'altro trattamento. Ovvero se fosse sufficiente
la maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, piuttosto che della pensione anticipata od
ancora della "quota" richiesta per la pensione di anzianità. La differenza è evidente: la soluzione
alternativa allarga la platea dei soggetti esclusi, l'operare congiunto dei requisiti, invece, la riduce;
inversamente, la prima produce un minore risparmio previdenziale della seconda. Altrettanto
evidente risulta allora che quest'ultima era la regola che il legislatore intendeva sancire.
Ed in effetti, a mio avviso, una lettura sistematica dei commi 3, 5 e 14 basterebbe a risolvere in
questo senso il dubbio, come pure si ricava dalla considerazione disgiunta ("o") delle due tipologie
di pensione, semmai con riserva quanto ai quaranta anni di contribuzione indipendentemente
dall'età (4).
Neppure questo limite, invece, ha ritenuto sussistente il Dipartimento della funzione pubblica,
secondo cui, a partire dal 2012, "l'amministrazione... dovrà collocare a riposo al compimento dei
65 anni... quei dipendenti che nell'anno 2011 erano già in possesso della massima anzianità
contributiva o della quota o comunque dei requisiti previsti per la pensione" (5), ovvero 65 anni di
età per i lavoratori e 61 per le lavoratrici, entrambi con 20 anni di contribuzione per la pensione di
vecchiaia in regime retributivo, oppure 5 anni di contribuzione in regime contributivo; invece, per
la pensione di anzianità, 60 o 61 anni di età, congiuntamente a 36 o 35 anni di contribuzione,
secondo il sistema delle "quote", oppure 40 anni di contribuzione indipendentemente dall'età
anagrafica. Secondo questa interpretazione, perciò, la sussistenza in capo al pubblico dipendente
del diritto ad uno qualsiasi dei trattamenti pensionistici previsti dall'ordinamento sottrae
all'applicazione dell'intera riforma e non già del solo segmento corrispondente al trattamento
maturato (es. vecchiaia vs vecchiaia).
Questa interpretazione non ha però trovato consenziente la giurisprudenza, secondo cui vi sarebbe
un diritto del lavoratore a maturare il "limite massimo anagrafico previsto dalla legge",
corrispondente all'età per il pensionamento di vecchiaia, mentre le altre tipologie di pensione
sarebbero nella disponibilità del lavoratore e non dell'amministrazione.
Pertanto, la conservazione del vecchio regime si verificherebbe ex lege quando in capo al
lavoratore sussistano, al 31.12.2011, i requisiti anagrafici e contributivi richiesti per il trattamento
di vecchiaia, mentre sarebbe rimessa alla volontà dello stesso in caso contrario, anche qualora
abbia maturato il diritto alla pensione di anzianità (6). Per tal ragione, il Tar del Lazio ha annullato
nella parte sopra richiamata la circolare del Dipartimento della funzione pubblica (7).
In realtà, queste sentenze si fondano su una regola di diritto che, pur espressione di un costante
orientamento giurisprudenziale (8), risulta qui erroneamente richiamata. Infatti, l'effetto del
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possesso dei requisiti per l'accesso al trattamento di anzianità è soltanto di rendere inapplicabili i
nuovi requisiti, ovvero di cristallizzare il lavoratore nel regime previgente, non anche di abilitare il
datore di lavoro a porre unilateralmente fine al rapporto di lavoro prima della maturazione dell'età
pensionabile.
Né l'opzione legislativa sembra incontrare ostacoli costituzionali nell'art. 3 Cost., in termini di
irragionevolezza, o nell'art. 38, comma 2, perché qui non si tratta di una modifica in pejus del
trattamento pensionistico intervenuta "in una fase avanzata del rapporto di lavoro...", cui
conseguirebbe una "irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal
lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa" (9). Quelle
aspettative, infatti, restano integre, soltanto non si applica il nuovo regime.
Ora la norma d'interpretazione, non si limita a ribadire che, ai sensi dell'art. 24, c. 3, primo
periodo, D.L. n. 201/2011, a rilevare è il possesso di "un qualsiasi diritto a pensione entro il 31
dicembre 2011", ma chiarisce anche la portata precettiva della regola, quando afferma che essa
"comporta obbligatoriamente l'applicazione del regime di accesso e delle decorrenze previgente
rispetto all'entrata in vigore del predetto art. 24". Oltre che corretta, l'interpretazione non pare
imputabile di lesione del principio della prevalenza del diritto e dell'equo processo, precostituendo,
a vantaggio di una parte, l'esito del giudizio, ai sensi dell'art. 6 Cedu. Infatti, diversamente da altri
casi noti, l'interpretazione giurisprudenziale non può dirsi consolidata e, d'altra parte, come detto,
qui non si dà lesione di alcuna situazione soggettiva del lavoratore. Semmai, è da rilevare come la
norma d'interpretazione riguardi unicamente i pubblici dipendenti, mentre la questione ha una
portata più generale, investendo anche il settore privato. Risulterebbe, dunque, irragionevole una
sua applicazione differenziata.
La questione ora considerata si è posta anche perché numerosi pubblici dipendenti esclusi
dall'applicazione della riforma aspiravano a usufruire della possibilità, di cui al successivo comma 4
dell'art. 24, di proseguire l'attività lavorativa oltre la nuova età pensionabile (66 e 3 mesi) e fino al
compimento di settanta anni. Ciò, tuttavia, "fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi
settori di appartenenza".
Formula, questa, che è stata intesa come conferma della vigenza dei limiti massimi di collocamento
a riposo, fissati, per i dipendenti civili dello Stato e degli altri enti pubblici, "nel compimento del
sessantacinquesimo anno di età" e addirittura nel "sessantesimo ", per le lavoratrici dello Stato,
mentre soltanto per alcune categorie è prevista un'età pari o superiore a settanta anni. Secondo
questa lettura l'estinzione automatica del rapporto di lavoro seguirebbe al raggiungimento dei
suddetti limiti che però, dopo la riforma pensionistica del 2011, risultano di norma inferiori all'età
pensionabile. Pertanto, seguendo l'insegnamento della Corte costituzionale (10), il lavoratore
avrebbe diritto a permanere in servizio fino alla maturazione del requisito anagrafico, ma quale
deroga alla regola generale e dunque con esclusione della prosecuzione fino a settanta anni (11),
che quindi non troverebbe mai applicazione nel pubblico impiego. Ancora una volta, la
giurisprudenza non pare condividere questa interpretazione, quanto meno nel senso che "la
permanenza in servizio non sia un diritto del pubblico dipendente, ma una situazione soggettiva
affievolita", con facoltà per l'amministrazione di accogliere la domanda in tal senso (12). Da qui,
l'intervento autoqualificato dal legislatore d'interpretazione di cui al comma 4 dell'art. 2, D.L. n.
101/2013. Che questa sia la natura della norma è, peraltro, fortemente dubbio, soprattutto per
l'estraneità al suo originario significato della previsione secondo cui "l'amministrazione deve far
cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti
per il diritto a pensione". Ma, in realtà, i dubbi di irrazionalità investono direttamente l'originaria
previsione, considerato che l'età anagrafica per il pensionamento è normalmente superiore a quel
limite, cosicché la deroga diverrebbe regola generale.
_____
(1) I requisiti sono indicati tenendo conto dell'adeguamento alla speranza di vita disposto con D.M.
6 dicembre 2011.
(2) Il requisito contributivo è dunque incrementato di ben quindici anni, passando da cinque a
venti.
(3) Nonché ad alcune altre ipotesi, qui non rilevanti.
(4) Il dubbio deriva dal riferimento congiunto al requisito anagrafico, in tal caso inesistente, e
contributivo.
(5) Circolare n. 2 dell'8 marzo 2012.
(6) Trib. S. Maria Capua Vetere 13 luglio 2012; Tar Lazio, sez. I-quater, 7 marzo 2013, n. 2446;
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Tar Napoli, sez. II, 4 aprile 2013, n. 1763; Trib. Ascoli Piceno 27 agosto 2013.
(7) Tar Lazio, sez. I-quater, 7 marzo 2013, n. 2446.
(8) Cass. 20 aprile 1999, n. 3907; Cass. 5 marzo 2003, n. 3237.
(9) Corte cost. 14 luglio 1988, n. 822; Corte cost. 28 dicembre 1990, n. 573.
(10) Da ultimo, Corte cost. 6 marzo 2013, n. 33; Corte cost. 18 giugno 1991, n. 282.
(11) Dipartimento funzione pubblica, circ. n. 2 dell'8 marzo 2012; Inps, circ. 14 marzo 2012, n.
37.
(12) Trib. Milano 31 maggio 2013 e 23 luglio 2013.
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Casi pratici
1 Appalti
§ CONTROLLI AD AMPIO SPETTRO NEGLI APPALTI TRA PRIVATI
Dal Durc al tesserino le verifiche per i servizi affidati all'esterno - LA SCADENZA - Per
contributi e premi la responsabilità solidale continua ad applicarsi entro due anni dalla
fine del periodo di esecuzione
D. Scrivo a nome di un istituto scolastico privato che ha affidato ad alcune ditte esterne le attività
riguardanti la pulizia dei locali, la sorveglianza dell'ambiente e l'assistenza telematica. Per eseguire
tali attività alcuni dipendenti delle ditte fornitrici lavorano quotidianamente all'interno della nostra
sede.
Le ditte fornitrici sono tenute, su nostra richiesta, a presentare il Durc (documento unico regolarità
contributiva)? E lo stesso documento può essere chiesto anche a tutti gli altri fornitori abituali (per
esempio, il residence dove dormono gli studenti)?
Per quella parte di personale delle ditte fornitrici che svolge il proprio lavoro presso di noi, la
scuola, in qualità di committente, può chiedere il Lul (libro unico del lavoro)? In caso di rifiuto, può
bastare un attestato della ditta, nel quale venga specificato lo status del dipendente?
Infine, tutti gli esterni che operano all'interno della scuola, compresi gli artigiani, sono tenuti a
esporre il cartellino di riconoscimento?
---R. È opportuno che il committente, nell'ambito del contratto di appalto, preveda una serie di
verifiche al fine di assicurarsi che l'appaltatore sia in regola: per questo conviene sempre chiedere
la presentazione del Durc e di copia delle comunicazioni obbligatorie di instaurazione dei rapporti di
lavoro (in modo da escludere la presenza sull'appalto di lavoratori in nero), così come costituisce
una buona prassi prendere visione del Lul. A un preciso obbligo di legge, poi, sono tenuti
appaltatori e/o subappaltatori per quanto riguarda l'esposizione del cartellino di riconoscimento da
parte del personale da loro impiegato.
Peraltro, la risposta al quesito è condizionata da una preventiva "catalogazione" della forma
giuridica con cui avviene l'affidamento in outsourcing di servizi od opere, poiché, a seconda
dell'utilizzo di una o dell'altra fattispecie, derivano responsabilità e obblighi diversi. Nel caso
specifico, ci si trova di fronte ad attività che vengono effettuate nei locali aziendali, ma valutazioni
analoghe possono essere fatte con riferimento a medesime situazioni, che comportino lo
svolgimento in esterna (fuori dalla sede aziendale) di attività affidate a terzi.
Per quanto concerne l'oggetto del quesito, pare che effettivamente possa trattarsi di appalti, che
quindi andrebbero regolamentati con contratti ad hoc. In particolare, l'articolo 1665 del Codice
civile individua come primo elemento tipico della figura dell'appaltatore l'organizzazione dei fattori
produttivi: essa implica un'attività direttiva e di coordinamento dei diversi elementi necessari per la
realizzazione dell'opera o del servizio (i capitali, i materiali, le attrezzature, i lavoratori) e anche il
controllo dei lavori e la gestione dei rapporti con i terzi.
Un altro elemento fondamentale per qualificare l'appalto come "genuino" è l'assunzione del rischio
economico, costituente una naturale conseguenza del fatto che la gestione dev'essere
necessariamente in capo all'appaltatore. Diventa, quindi, fondamentale l'individuazione dei limiti di
genuinità dell'appalto, nonché la realizzazione degli affidamenti con le metodologie corrette,
proprio perché il reticolo di responsabilità tra le parti attrici del contratto si presenta molto
complesso.
Qualora, infatti, il processo di esternalizzazione non dovesse essere stato costituito in maniera
genuina, scatterebbero le sanzioni previste in caso di appalto illecito: si realizzerebbero così una
somministrazione di manodopera irregolare, o fraudolenta, e la costituzione, in capo all'utilizzatore,
del rapporto di lavoro con i lavoratori impiegati nell'appalto/subappalto.
La bussola applicativa della materia (a proposito della quale vanno tenuti in considerazione anche i
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diversi interventi giurisprudenziali) si può rinvenire nella circolare del ministero del Lavoro 5/2011,
che ha operato una ricognizione del quadro giuridico degli appalti. I tratti che li differenziano dalla
somministrazione di lavoro vanno ricercati nei requisiti citati: deve, cioè, sussistere una concreta
entità imprenditoriale – con conseguente rischio economico in capo all'appaltatore – anche con
riferimento all'esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell'appalto. Inoltre, l'appaltatore dev'essere dotato di un ampio margine di autonomia rispetto al
committente, nel senso che la gestione materiale dei fattori produttivi deve sottrarsi all'ingerenza
di quest'ultimo. Con riferimento agli appalti che non richiedono un rilevante impiego di beni
strumentali, in cui la consistenza organizzativa dell'appaltatore sia esigua, riducendosi
all'organizzazione del lavoro (si pensi, per esempio, ai servizi di pulizia), la liceità dell'appalto può
altresì risultare da un accertamento su chi – di fatto – esercita il potere organizzativo e direttivo
nei confronti dei lavoratori utilizzati.
Nell'ambito del regime di responsabilità solidale in materia di appalti, occorre tenere presenti non
solo gli adempimenti riferiti a retribuzione, contribuzione e premi assicurativi ma anche quelli di
natura fiscale; sono invece escluse dall'obbligazione le sanzioni civili, di cui risponde solamente il
responsabile dell'inadempimento. Ma quando scatta la tutela solidaristica? Dopo le modifiche
avvenute a seguito del Dl 5/2012, l'intervento più recente sul campo è stato operato dalla riforma
del lavoro, che ha innovato l'articolo 29 della legge Biagi: il committente, imprenditore o datore di
lavoro, è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, a
corrispondere ai lavoratori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, i trattamenti
retributivi e contributivi che risultano dovuti in relazione al periodo di esecuzione dell'appalto
stesso.
Pertanto, in caso di inadempienza da parte dell'appaltatore/subappaltatore, la norma chiama in
causa il committente, anche se non ha commesso illeciti.
Sette questioni risolte
LE FORME CONTRATTUALI
Il caso
In tema di responsabilità solidale, i profili connessi all'obbligazione in materia di retribuzioni,
contributi e premi riguardano solo i lavoratori inquadrati con contratto di lavoro subordinato o si
estendono anche alle altre forme contrattuali impiegate nell'ambito dell'appalto/subappalto?
La soluzione
Il regime di solidarietà tutela tutti i lavoratori e, quindi, non solo i subordinati, ma anche quelli
autonomi, inquadrati con altre tipologie contrattuali (per esempio, i collaboratori a progetto) o
quelli "in nero", purché utilizzati direttamente nell'opera o nel servizio oggetto dell'appalto
I SOGGETTI COINVOLTI
Il caso
Dal punto di vista fiscale, quali soggetti sono coinvolti nell'obbligazione solidale e nel sistema di
verifica? Imprenditori individuali e lavoratori autonomi sono soggetti a queste stringenti
disposizioni quando figurano come committenti in contratti di appalto che riguardano la loro sfera
"privata"?
La soluzione
Sono coinvolti i soggetti Ires, che svolgano o meno attività commerciale, lo Stato e gli altri enti
pubblici, i soggetti Irpef che esercitano abitualmente attività d'impresa, arte o professione, con
conseguente apertura della posizione Iva. La risposta al secondo quesito è negativa
I «TEMPI» DELL'OBBLIGAZIONE
Il caso
Dal momento che sono intervenute modifiche legislative che hanno cambiato i termini della
responsabilità, da quando decorre l'obbligazione solidale per i profili fiscali? È corretto affermare
che non sussiste alcun limite prescrizionale al regime di responsabilità solidale in materia fiscale?
La soluzione
La solidarietà fiscale riguarda i pagamenti effettuati dall'11 ottobre 2012, per i contratti di appalto
e subappalto stipulati e/o rinnovati dal 12 agosto 2012. Non ci sono limiti prescrizionali, pur
restando validi i termini decadenziali ex articolo 43 del Dpr 600/1973
L'APPALTO NON «GENUINO»
Il caso
Se un appalto (o un subappalto) non è genuino e, quindi, è realizzato senza il rispetto dei requisiti
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previsti dalla legge, con conseguente trasformazione dello stesso nella fattispecie di
somministrazione irregolare di manodopera (appalto illecito), che cosa prevede l'apparato
sanzionatorio?
La soluzione
Scattano le sanzioni civili e penali (ammenda di 50 euro per ogni lavoratore e per ogni giornata).
Si configura, invece, la somministrazione fraudolenta se vi è un intento specifico di eludere le
norme di legge o del Ccnl: in questo caso l'ammenda di cui al punto precedente è maggiorata di 20
euro
SULL'IVA NIENTE SOLIDARIETÀ
Il caso
Il Dl 69/2013 ha innovato il regime di responsabilità in materia fiscale: dal momento che le regole
precedenti prevedevano che l'obbligazione in questione si estendesse anche all'Iva, come va
considerato l'obbligo in relazione ai diversi regimi temporali che si sono creati per via delle
modifiche legislative?
La soluzione
Dal 22 giugno 2013 (data di entrata in vigore del Dl 69/2013) l'appaltatore risponde in solido con il
subappaltatore del versamento all'erario delle sole ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente
dovute dal subappaltatore, e non più sull'Iva, fino al termine dell'accertamento delle imposte
LA MANCATA VERIFICA
Il caso
In quali conseguenze incorre, e a quali sanzioni va incontro, il committente che non provveda a
effettuare le verifiche imposte dalla legge per accertare il corretto adempimento degli obblighi
tributari da parte dell'appaltatore, che si rivelino poi non rispettati?
La soluzione
Il committente non risponde dei mancati versamenti all'erario da parte dell'appaltatore/
subappaltatore, ma è obbligato a controllare la regolarità degli stessi prima di effettuare il
pagamento del corrispettivo all'appaltatore: in caso di mancata verifica, è soggetto a una sanzione
da 5.000 a 200.000 euro
GLI ADEMPIMENTI RICHIESTI
Il caso
Quali sono gli adempimenti dovuti dal committente/ appaltatore per evitare di essere coinvolto nel
regime sanzionatorio o per scongiurare (nel caso che sia prevista) l'applicazione del vincolo
solidaristico sulle ritenute a carico dei lavoratori impiegati nell'appalto/subappalto?
La soluzione
Il coinvolgimento è escluso se l'appaltatore/committente acquisisce un'asseverazione/
autocertificazione. La certificazione può essere rilasciata in modo unitario e può essere fornita
anche con cadenza periodica, purché, al momento del pagamento, si attesti la regolarità di tutti i
versamenti delle ritenute scadute a tale data
La check-list
1 I PROFILI LAVORISTICI
I committenti imprenditori o datori di lavoro nei confronti degli appaltatori e/o subappaltatori
rispondono per i trattamenti retributivi (comprese le quote di Tfr), i contributi, i premi assicurativi.
È esclusa la solidarietà sulle eventuali sanzioni. Si prescrive in due anni l'azione di Inps e Inail nei
confronti del responsabile solidale, mentre resta ferma la prescrizione per il recupero contributivo
verso il datore di lavoro
2 I CONTROLLI LAVORISTICI
Il committente, per verificare il regolare versamento della contribuzione e dei premi dovuti
dall'appaltatore/subappaltatore, può farsi esibire da questi ultimi il Durc. Il committente, tra i vari
controlli, può anche riscontrare alcuni aspetti formali:
- iscrizione al registro delle imprese,
- elaborazione del Lul,
- verifica dei modelli Unilav circa il personale assunto
3 I PROFILI FISCALI
L'appaltatore risponde in solido con il subappaltatore – nei limiti del corrispettivo – del versamento
all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute. Il committente deve pagare
l'appaltatore solo dopo aver verificato che siano stati eseguiti gli adempimenti degli obblighi
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tributari già scaduti, relativi al versamento delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente a
carico dall'intera filiera dell'appalto
4 OBBLIGHI FISCALI I CONTROLLI
Va verificata la regolarità circa i versamenti all'erario delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro
dipendente e sulle prestazioni nell'ambito del rapporto di appalto/subappalto. Il coinvolgimento è
escluso se l'appaltatore/committente acquisisce un'asseverazione rilasciata da professionisti
abilitati o da Caf imprese. È valida anche un'autocertificazione ai sensi del Dpr 445/2000
(Alessandro Rota Porta, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 3 febbraio 2014)
§ CONTRATTI PUBBLICI: LE REGOLE PER IL COLLAUDO
D. Quando un ente pubblico, di qualsiasi, grado effettua un gara d'appalto per una fornitura deve,
secondo il Codice appalti, effettuare una verifica di conformità, o collaudo .Qauli sono le modalità
prescritte per eseguire questa verifica? La ditta aggiudicatrice della fornitura deve partecipare, a
titolo di contraddittorio, a tale verifica di conformità?Quali leggi o regolamenti normano tali
verifiche di conformità per appalti/contratti di forniture definendo le modalità esecutive?
---R. Innanzitutto, si evidenzia che la normativa che attiene al collaudo dei contratti pubblici è
disciplinata dal regolamento generale (Dpr 207/2010) di attuazione del Codice sugli appalti pubblici
(Dlgs 163/2006).Le operazioni di collaudo iniziano con la fissazione, da parte dell'organo di
collaudo, del giorno per la visita di collaudo, informandone il responsabile del procedimento e il
direttore dei lavori o dell’esecuzione; questi ultimi ne danno tempestivo avviso all'esecutore, al
personale incaricato della sorveglianza e della contabilità dei lavori e, ove necessario, agli eventuali
incaricati dell'assistenza giornaliera dei lavori, affinché intervengano alle visite di collaudo.Per
quanto riguarda la fornitura di beni e servizi, si parla di verifica della conformità (articolo 312 del
Dpr 207/2010) e l’intervento dell’esecutore, nelle operazioni di verifica, è previsto dall’articolo 318
del Dpr 207/2010.Ciò premesso, si osserva che il collaudo o la verifica di conformità si conclude
con l’emissione di un certificato, redatto dall’organo incaricato del collaudo per i lavori o dal
direttore dell’esecuzione (De) per i servizi e le forniture (articolo 322 del 207/2010). Il documento
fornisce il giudizio finale e discrezionale, in merito alla circostanza che l’opera realizzata, il servizio
prestato o la fornitura esperita siano stati eseguiti a regola d’arte e nel rispetto degli accordi
stabiliti nel contratto d’appalto. Esso, dunque, non si risolve in un accertamento tecnico di parte,
posto che il collaudatore ha il dovere di indicare, tra l’altro, nel certificato medesimo, anche l’esatto
ammontare della somma dovuta all’appaltatore dalla stazione appaltante (Sa), dopo avere
proceduto al conguaglio tra le somme cui questi abbia diritto (a qualsiasi titolo) e gli acconti già
ricevuti.Di norma, in seguito a una formale comunicazione dell’appaltatore dei lavori (si veda
l'articolo 199 del Dpr 207/2010) o del fornitore del bene o del servizio di intervenuta ultimazione
dei lavori (articolo 309 del Dpr 207/2010), il direttore dei lavori (Dl) o della fornitura o il direttore
dell’esecuzione dei servizi e delle forniture (De) rilascia il certificato attestante l’avvenuta
ultimazione.Si noti che l’articolo 297 del Dpr 207/2010 stabilisce che gli articoli riferiti al direttore
dei lavori, ai lavori, alle opere si applicano anche ai servizi e alle forniture, intendendosi sostituiti
dal riferimento al direttore dell'esecuzione. Successivamente, il Dl provvede alla redazione del
conto finale (Cf) e alla trasmissione (ex articolo 200 del Dpr 207/2010) del Cf al responsabile unico
del procedimento (Rup). Quest’ultimo invita, poi, l’appaltatore a sottoscrivere il Cf entro un termine
non superiore a 30 giorni (articolo 201 del Dpr 207/2010). Nelle more, la Sa, entro 30 giorni dalla
data di ultimazione dei lavori, attribuisce l’incarico del collaudo (articolo 216 del Dpr 207/2010), ai
sensi dell’articolo 120, comma 2-bis, del Dlgs 163/2006 e successive modifiche e integrazioni;
l’attività di verifica, nei contratti di servizi e forniture, è effettuata direttamente dal direttore
dell’esecuzione del contratto (articolo 314 del Dpr 207/2010). Il collaudo dei lavori deve avere
luogo non oltre sei mesi dalla loro ultimazione o delle prestazioni di servizi o delle forniture, salvo
estensione fino a un anno, e si conclude con l’emissione del certificato di collaudo provvisorio
(articolo 141 del Dlgs 163/2006). Nel caso di lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro, il
certificato di collaudo è sostituito da quello di regolare esecuzione (Cre): per i lavori di importo
superiore, ma non eccedente un milione di euro, è in facoltà della Sa sostituire il certificato di
collaudo con quello di regolare esecuzione; per i servizi e le forniture di importo inferiore alla soglia
comunitaria (attualmente 207.000 euro), qualora la stazione appaltante non ritenga necessario
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conferire l’incarico di verifica di conformità, si dà luogo a un’attestazione di regolare esecuzione,
emessa dal direttore dell’esecuzione e confermata dal responsabile del procedimento, non oltre 45
giorni dalla ultimazione dell’esecuzione (articolo 325 del Dpr 207/2010). Nei lavori, a differenza del
certificato di collaudo, quello di regolare esecuzione è emesso dal Dl entro 90 giorni
dall’ultimazione dei lavori. Alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del Cre, si
provvede allo svincolo della cauzione definitiva, di cui all’articolo 113 del Codice e all'articolo 123
del Dpr 207/2010 e, previa garanzia fidejussoria, al pagamento della rata di saldo entro 90 giorni
dall’emissione del certificato di collaudo (articolo 141, comma 9, del Dlgs 163/2006 e articolo 235
del Dpr 207/2010).Va precisato che il termine di 90 giorni per il pagamento della rata di saldo –
disposto previa garanzia costituita ai sensi dell’articolo 124, comma 3, del Dpr 207/2010 – avviene
con decorrenza dalla presentazione della garanzia stessa (articolo 143 dello stesso Dpr).Il
certificato di collaudo provvisorio assume carattere definitivo decorsi due anni dalla sua emissione.
Decorso tale termine, il collaudo si intende tacitamente approvato, ancorché l’atto formale di
approvazione non sia intervenuto entro due mesi dalla scadenza del medesimo termine (articolo
141 del Dlgs 163/2006). Qualora nel biennio di cui all'articolo 141, comma 3, del Codice, dovessero
emergere vizi o difetti dell'opera, il responsabile del procedimento provvederà a denunciare entro il
medesimo periodo il vizio o il difetto, e ad accertare, sentiti il direttore dei lavori e l'organo di
collaudo, e in contraddittorio con l'esecutore, se questi difetti derivino da carenze nella
realizzazione dell'opera; in tal caso proporrà alla stazione appaltante di fare eseguire
dall'esecutore, o in suo danno, i necessari interventi. Nell'arco di tale biennio l'esecutore è tenuto
alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, indipendentemente dalla intervenuta liquidazione
del saldo.
(Mario Maceroni, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 febbraio 2014)
1 Catasto
§ L'IMPIANTO FOTOVOLTAICO VA IN CATEGORIA D/1
D. Nel 2011 ho realizzato un impianto fotovoltaico su un posto auto (come privato) di circa sei kW,
accedendo al 2° conto energia. Per errore, il tecnico che ha seguito la pratica non lo ha mai
accatastato. Vorrei, pertanto, procedere con l'accatastamento.Alla luce della circolare 36/E/2013
dell'agenzia delle Entrate, mi chiedo quale sia la corretta categoria catastale. Inoltre, sotto il profilo
fiscale, il contributo in conto scambio e le tariffe incentivanti erogate dal Gse (gestore dei servizi
energetici) devono essere indicati in dichiarazione dei redditi?Sto per realizzare un agriturismo
(ditta individuale) nella costruzione adiacente, ma vorrei tenere l'impianto fotovoltaico al di fuori di
tale attività. È possibile, anche se il contatore cui è collegato l'impianto fotovoltaico è lo stesso
dell'agriturismo? Altrimenti, se facessi un cambio di titolarità dell'impianto, dovrei tenere una
contabilità ordinaria separata rispetto a quella dell'agriturismo?
---R. Gli impianti fotovoltaici, quando hanno rilevanza autonoma (cioè costituiscono unità immobiliari
indipendenti), sono censiti, nella quasi generalità dei casi, in categoria D/1, salvo per gli immobili
riconoscibili strumentali per l’esercizio dell’attività agricola iscritti nella categoria D/10. Tali
indicazioni emergono dalle disposizioni di prassi emanate dall’agenzia del Territorio a partire dalla
risoluzione 3/2008, e trovano conferma nella circolare 36/E/2013 dell’agenzia delle
Entrate.Qualora, invece, l’impianto sia a servizio di una unità immobiliare già censita (come
sembrerebbe nel caso descritto), nella circolare citata viene ribadito che la dichiarazione di
variazione catastale è dovuta se il valore dell’impianto (riferito al 1988/1989) supera il 15% della
rendita catastale, rivalutata con i coefficienti ai fini Imu.Sempre la circolare 36/E/2013 fornisce
risposta alla seconda parte della domanda, precisando che continuano ad avere valenza le
disposizioni di cui alla circolare 46/E/2007 dell’agenzia delle Entrate, emanata per disciplinare i
profili fiscali dei Conti energia antecedenti al n. 5. Tale ultima circolare, in sintesi, evidenzia che per le persone fisiche, gli enti non commerciali e i condomìni che utilizzano pannelli solari al di fuori
dell’esercizio di attività d’impresa - i contributi percepiti dal Gse non formano reddito imponibile se
l’energia è destinata esclusivamente agli usi domestici, e non a scopi commerciali. Tuttavia, i
proventi derivanti dall’attività di vendita dell’energia risultata esuberante rispetto al fabbisogno
dell’utente rilevano fiscalmente come redditi diversi: in particolare, come redditi derivanti da
attività commerciali non esercitate abitualmente, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera i, del
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Tuir.In risposta all’ultima parte del quesito, si fa presente che la posizione fisica del contatore non
sembra avere alcuna rilevanza catastale e fiscale (salva la costituzione di una servitù di fatto
passiva per l’unità su cui è collegato il contatore) e, se l’impianto fotovoltaico verrà a costituire una
unità autonoma trasferita ad altro soggetto diverso da quello che svolge attività di agriturismo, le
due gestioni richiedono ciascuna unacontabilità autonoma.
(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 febbraio 2014)
1 Pubblica amministrazione
§ INCOMPATIBILITÀ DEI MEMBRI DELLA COMMISSIONE EDILIZIA
D. Il consiglio del Comune ha deliberato l'individuazione di comitati, commissioni, consigli e organi
collegiali indispensabili, come previsto dall'articolo 96 del Dlgs 267/2000. In tali organi è inserita
anche la commissione edilizia. Con propria determinazione, il responsabile dell'ufficio tecnico
comunale ha approvato il "verbale di gara deserta" e ha aggiudicato a trattativa privata
l'affidamento dei servizi tecnici di progettazione, coordinamento della sicurezza e certificazione
energetica, relativi ad un intervento di ristrutturazione della copertura della scuola, ad un
professionista che fa parte dei componenti della commissione edilizia del Comune stesso. Vorrei
sapere se esiste incompatibilità.
---R. Occorre precisare che, con l'affidamento alle Regioni della normazione edilizia, in concorrenza
con lo Stato, operato dall'articolo 2 del Dlgs 301/2002, spetta ad esse, nell'ambito dei principi
affermati dalla legislazione statale, la disciplina edilizia ed ai Comuni (comma 4) la
regolamentazione dell'attività edilizia in concreto, compreso - se prevista sulla base dell'articolo 4,
comma 2 del citato Dlgs - la composizione e il funzionamento della commissione edilizia.
Quest'ultima, per espressa previsione legislativa (articolo 4,comma 2, citato) ha natura consultiva
e, per costante orientamento giurisprudenziale (si veda, fra tutti, l'ultima pronuncia del Consiglio di
Stato n.4532 del 13 settembre 2013) esprime il parere (endoprocedimentale) la cui natura non è
caratterizzata da autonomia in senso strutturale e funzionale rientrando nell'ambito del
provvedimento conclusivo di competenza sindacale o dirigenziale per il rilascio del permesso a
costruire. Il mantenimento del parere della commissione edilizia, come detto, di competenza del
regolamento comunale deve ubbidire ai principi di: semplificazione amministrativa; separazione di
competenze tra gestione ed indirizzo politico; non aggravamento del procedimento amministrativo
ai sensi dell'articolo 1, legge 241/90. Il regolamento comunale dovrà disciplinare, oltre alla
composizione della commissione, il suo funzionamento, individuando anche la casistica delle
eventuali incompatibilità funzionali. Si dovrà, pertanto, tenere conto del principio generale di
astensione obbligatoria previsto dall'articolo 51 del Codice di procedura civile, nonché del dovere di
astensione in caso di conflitto di interessi da parte di uno o più componenti l'organo collegiale,
affermato in diverse sentenze dalla giurisprudenza amministrativa (si veda, ad esempio, Consiglio
di Stato, sezione V, n. 3133 del 28 maggio 2012). Venendo al caso prospettato, si ritiene che non
possa rientrare nella fattispecie sopraindividuata, sia perché non dovrebbe sussistere alcuna
ragione per l'intervento nella procedura di affidamento della gara da parte della Commissione
edilizia (nel qual caso, comunque, se provato l'eventuale conflitto di interessi, il componente in
questione si sarebbe dovuto astenere), e sia in quanto l'esercizio di attività imprenditoriale
nell'ambito edilizio non comporta, di per sé, l'incompatibilità giuridica rispetto all'appartenenza del
soggetto medesimo ad un organo consultivo comunale sebbene inerente la stessa attività. Ciò,
ovviamente, a meno che tale cicostanza sia esplicitamente vietata in sede regolamentare comunale
nell'ambito della definizione della composizione della commissione edilizia (il che, comunque,
potrebbe anche prefigurare l'ipotesi di violazione del principio di eguaglianza, nonché del diritto
costituzionale alla libera iniziativa economica ai sensi dell'articolo 41 della Costituzione).
(Giorgio Lovili, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 10 febbraio 2014)
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