Mondonio – approfondimento

MONDONIO
Casa di Domenico Savio
A circa 2 chilometri da Castelnuovo, sulla strada per Gallareto e Montechiaro (4 chilometri
da Morialdo, per chi segue la strada sulla collina), si incontra Mondonio, paese in cui il 9
marzo 1857 muore Domenico Savio.
Carlo (1815-1891) e Brigida (1820-1871) Savio si erano qui trasferiti, con i figli, nel
febbraio 1853, andando ad abitare la prima casa che si incontra a sinistra, salendo lungo
la strada principale del paese. La casa, affittata dai fratelli Bertello, fu abitata dai Savio
fino all'anno 1879. I Salesiani la acquistarono nel 1917, pagandola 2000 lire.
Al pian terreno, da destra a sinistra, si incontra la cucina (nella parete si intravede il
luogo del focolare) che comunica con la stanza nella quale il 9 marzo 1857 morì
Domenico.
Don Bosco ci descrive la morte di Domenico con queste parole:
“Dopo aver recitato con lui alcune preghiere, il parroco era per uscire, quando Savio lo
chiamò dicendo:
signor prevosto prima di partire mi lasci qualche ricordo.
— Per me, rispose, non saprei che ricordo lasciarti.
— Qualche ricordo, che mi conforti.
— Non saprei dirti altro se non che ti ricordi della passione del Signore.
— Deo gratias, rispose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia
mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi in questa
ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia.
Dopo tali parole si addormentò e prese mezz'ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno
sguardo ai suoi parenti:
— Papà, disse, ci siamo.
— Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?
— Mio caro papà, è tempo; prendete il mio Giovane provveduto (ndr: si tratta di un
manuale di preghiere scritto da Don Bosco per i suoi ragazzi) e leggetemi le preghiere
della buona morte.
A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla camera dell'infermo. Al
padre scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano la voce; tuttavia si fece
coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente
ogni parola; ma infine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate
pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l'anima mia comparirà davanti a voi, e
vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà, non la rigettate dal
vostro cospetto, ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia,
affinché io canti eternamente le vostre lodi;
— Ebbene, soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare
eternamente le lodi del Signore!
Poscia parve prendere di nuovo un po' di sonno a guisa di chi riflette seriamente a cosa
di grande importanza. Di lì a poco si risvegliò e con voce chiara e ridente:
— Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro ed io non posso più
ricordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai...
Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in
forma di croce senza fare il minimo movimento”.
Dalla stanza in cui morì Domenico (che serviva probabilmente da dispensa e laboratorio
di sartoria per mamma Brigida), una scala in legno conduceva al piano superiore. Ora non
esiste più, ma se ne può indovina: re la posizione nella luce di una porta che era collocata
sulla parete a settentrione e immetteva in un altro vano, al tempo utilizzato come
ripostiglio e cantina. Oggi si sale al piano superiore attraverso una scala, di costruzione più
recente, che fa parte della casa vicina.
Anche il ballatoio esterno non esisteva.
Al piano superiore, sopra la cucina era collocata la camera dei genitori e, accanto, quella
dei figli. Il locale che si trova sopra il vano-cantina, e al quale si accede anche dalla strada
sul retro della casa, veniva utilizzato da papà Carlo come officina per la sua attività di
fabbro.
I coniugi Savio ebbero dieci figli. Sei morirono bambini o giovanissimi: Domenico
Giuseppe Carlo (3-18 novembre 1840), san Domenico Giuseppe (1842-1857), Carlo (15-16
febbraio 1844), M. Teresa Adelaide (1847-1859), Giuseppe Guglielmo (1853-1865), Maria
Luigia (1863-1864).
Papà Carlo, morta la moglie Brigida Gaiato (1871), dopo aver accasato le tre figlie Maria
Caterina Raimonda (1845-1912), Maria Caterina Elisabetta (1856-1915?) e Maria Firmina
Teresa (1859-1933), nel 1878, lasciato il figlio Giovanni Pietro (1850-1894), si trasferì con
Don Bosco a Valdocco, dove morirà il 16 dicembre 1891 all'età di 76 anni.
Di fronte alla casetta si trova il primo monumento dedicato a Domenico Savio. Fu
inaugurato nel 1920 dal Cardinale Giovanni Cagliero, che era stato assistente e maestro di
musica di Domenico all'Oratorio di Valdocco.
Chiesa parrocchiale e scuola
Inerpicandosi lungo la strada che costeggia la casa di Domenico Savio si arriva alla chiesa
parrocchiale, dedicata a san Giacomo. Qui Domenico, fino alla sua partenza per Valdocco e
poi durante i brevi giorni di vacanza, partecipa ogni giorno alla messa. Preferisce pregare
davanti a una statua della Madonna del Rosario, collocata in una nicchia in fondo alla
chiesa, a destra di chi entra. Oggi quella statua non c'è più: nel 1863 fu trasferita nella
chiesetta del Rasetto, frazione nella quale abitava il nonno di Domenico. La festa patronale
del paese si celebrava il giorno della Madonna del Rosario, la prima domenica di ottobre,
come ai Becchi aveva iniziato a fare Don Bosco dal 1848. È proprio il lunedì 2 ottobre
1854, giorno successivo alla festa, che papà Carlo e Domenico - per interessamento di don
Cugliero, maestro di scuola nel paese - si recarono ai Becchi per incontrare Don Bosco.
Il parroco di Mondonio, don Domenico Grassi (1804-1860), assiste il Savio durante
l'ultima malattia, lo confessa, gli porta il santo Viatico e il mattino del 9 marzo gli
amministra il sacramento degli infermi e la benedizione papale.
Quella stessa sera, verso le venti e trenta, visita Domenico per l'ultima volta e, dopo aver
recitato con lui alcune preghiere, richiesto di un pensiero come ricordo, raccomanda al
morente di pensare alla passione del Signore.
Poco oltre la facciata della chiesa, una stradicciola che sale a sinistra conduce davanti a
un edificio che, dall'Ottocento fino a tempi recenti, è stato utilizzato per la scuola
elementare del paese. Domenico Savio la frequenta dal febbraio 1853 al giugno 1854,
sotto la guida del maestro don Giuseppe Cugliero.
Qui avviene il fatto ricordato nella biografia scritta da Don Bosco. Accusato ingiustamente
di una grave mancanza disciplinare, subisce in silenzio i rimproveri e il castigo del maestro,
per evitare l'espulsione dei veri colpevoli. Sulla porta della scuoletta una lapide, collocata
nel 1952, ricorda il fatto (la data di frequenza della scuola indicata sulla lapide è però
errata: non 1852, ma 1853).
Cappella cimiteriale
Poco al di sotto della casa dei Savio, presso la strada provinciale, esiste ancora la
cappella dell'antico cimitero di Mondonio nel quale furono sepolti Domenico, i suoi fratellini
e la mamma. Nel cimitero (che è stato smantellato nel 1942) i resti di Domenico rimasero
sino al 1914, quando, all'aprirsi del processo apostolico per la causa di beatificazione,
furono trasferiti a Torino in Maria Ausiliatrice.
Domenico era stato interrato in una semplice fossa. Due anni dopo, un pio signore di
Genova che ne aveva letta la biografia scritta da Don Bosco (1859), ammirato per le sue
virtù fece collocare su quella tomba una piccola lastra di marmo con questa iscrizione:
“Domenico Savio modello di virtù — ai giovanetti — morto — il nove marzo — MDCCCLVII
— in età d'anni quindici”. Nel 1866 la salma, riesumata dalla fossa in piena terra, fu
composta in una cassa nuova e deposta in un loculo entro il muro posteriore della
cappella, all'altezza della base dell'altare. La lapide del signore genovese venne fissata
sulla stessa parete esterna. Oggi la piccola lastra è stata collocata nel giardinetto dietro la
cappella, sul luogo della primitiva sepoltura. Nel 1907, cinquantesimo anniversario della
morte, le spoglie del giovane furono ricomposte in un sarcofago in marmo bianco ancora
visibile nella cappella. L'iscrizione latina, dettata dal salesiano don Giovanni Battista
Francesia (1838-1930), suo antico maestro, suona così: “Hic — in pace Christi quiescit —
Dominicus Savio — Joannis Bosco sac. — alumnus piissimus — anno MCMVII — ad ejus
excessu L” (Qui nella pace di Cristo riposa Domenico Savio, piissimo alunno del sac.
Giovanni Bosco. 1907, cinquantesimo della sua morte).
La traslazione della salma a Torino nel 1914 fu avventurosa. Quando il 19 ottobre
autorità religiose e civili si presentarono a Mondonio per il trasporto, trovarono tutti gli
abitanti del paese schierati attorno alla cappella per impedirlo, in atteggiamento
minaccioso: non volevano perdere il loro piccolo protettore. Per il momento si procedette
alla ricognizione, rinunciando al trasporto. Di ricuperare la salma fu incaricato allora don
Cesare Albisetti, futuro grande missionario, che era alla vigilia della sua partenza per il
Brasile. Egli, dalla casa salesiana di Castelnuovo, arrivò a piedi a Mondonio (27 ottobre);
trovata la cappella aperta, asportò l'urna che nel primo tentativo era già stata estratta dal
sarcofago, e la trasferì a Torino con l'aiuto di un automobilista precedentemente avvisato.
Gli abitanti di Mondonio si accorsero subito del fatto, ma non giunsero in tempo per
impedirlo.
Tratto da: Aldo Giraudo, Giuseppe Biancardi - “Qui è vissuto Don Bosco” - elledici 2004