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Costantino Marmo
LA SEMIOTICA DEL XIII SECOLO
TRA ARTI LIBERALI E TEOLOGIA
Bompiani
ISBN 978-88-452-6467-2
© 2010 RCS Libri S.p.A.
Via Mecenate 91- 20138 Milano
Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl
Prima edizione Studi Bompiani ottobre 2010
PREFAZIONE
Questo libro intende tratteggiare una panoramica (non esaustiva, temo) degli interessi semiotici degli Scolastici del XIII secolo, a
partire dagli studi presentati soprattutto negli ultimi anni. L’intento è quello di offrire non solo agli studenti di Storia della semiotica
dell’Università di Bologna, ma anche ai colleghi semiologi, filosofi del
linguaggio e storici delle idee semiolinguistiche, e eventualmente a
un pubblico di curiosi, un primo approccio al complesso delle teorie
sviluppate in questo periodo, conosciute troppo spesso in modo approssimativo o frammentario. Il panorama degli studi recenti si è notevolmente arricchito grazie agli studi di Irène Rosier-Catach che ha
dedicato a questo secolo due volumi fondamentali usciti a distanza di
10 anni uno dall’altro: in primo luogo, La parole comme acte (ROSIER
1994) e, infine, La parole efficace (ROSIER-CATACH 2004), assieme a una
grande quantità di articoli apparsi su numerose riviste specialistiche.
Le prospettive aperte da questi studi, assieme ad alcuni miei lavori sui
Modisti (MARMO 1994, 1999, 2006b), permettono di restituire un quadro molto più complesso della semiotica medievale e della sua declinazione nell’ambito della prima Scolastica, aprendo l’orizzonte degli
studi, tradizionalmente concentrato sulle arti del Trivio, alla teologia
e ai suoi rapporti con la grammatica e la logica, in particolare.
Il volume, aperto da una brevissima introduzione al secolo, è suddiviso in dieci capitoli di carattere tematico, che si distendono in parte
sulla prima metà del secolo (capp. 1-3) e in parte sulla seconda (capp.
4-10). Lo squilibrio sui testi e le teorie sviluppate nella seconda metà
del secolo dipende in larga parte dalla maggior quantità di testi editi
e di studi pubblicati su quel periodo. Occorre precisare inoltre che
gli ultimi quattro capitoli trattano di teorie (di ambito teologico e medico) che appartengono cronologicamente, in parte, al secolo successivo, ma sono talmente radicate nei dibattiti del XIII da trovare in
questo volume, a mio avviso, la loro collocazione più adeguata.
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LA SEMIOTICA DEL XIII SECOLO
Voglio infine ringraziare alcune delle numerose persone cui sono
debitore per le innumerevoli discussioni e i suggerimenti generosamente donati nel corso degli ultimi anni: in primo luogo, Irène
Rosier-Catach, con la quale abbiamo condiviso, fi n dal momento in
cui ci siamo conosciuti, temi di ricerca e approcci metodologici; Sten
Ebbesen, al quale devo molte idee e interpretazioni, oltre al poco di
filologia latino-medievale che ho appreso durante un lontano soggiorno di studio presso l’Institut du Moyen Âge Grec et Latin di Copenhagen; Umberto Eco che mi ha sempre incoraggiato in questo tipo di
ricerche anche quando i testi studiati non erano direttamente rilevanti
per la storia della semiotica; Luisa Valente per il continuo scambio
di idee, testi e indicazioni bibliografiche; Stefania Bonfiglioli per l’attenta lettura della versione quasi definitiva, che mi ha evitato alcuni
grossolani errori e sviste soprattutto nella traduzione dei testi; Dafne
Murè e Iacopo Costa che hanno controllato alcune citazioni da testi
non disponibili a Bologna. Dedico questo libro a Micol, Ettore e Lea,
i più straordinari compagni di strada che mi potessero capitare.
0. INTRODUZIONE
Pur nella consapevolezza della convenzionalità e artificiosità delle
periodizzazioni storiche, è possibile delineare alcuni caratteri generali
del secolo XIII che ne fanno un momento di svolta nella storia culturale europea. Dopo la rinascita economica e culturale del XII secolo,
il XIII presenta una grande novità: la nascita e il consolidamento delle
istituzioni universitarie (Parigi, Oxford e Bologna), come oggi le conosciamo, con curricula definiti, in diversi ambiti, dalle arti liberali
(Trivio e Quadrivio), al diritto, alla medicina e alla teologia.1 È in questo quadro istituzionale che si producono le teorie che esamineremo,
all’interno di procedure di insegnamento e apprendimento che vanno
affermandosi e consolidandosi proprio in questo secolo. Semplificando molto, l’insegnamento universitario si presenta come commento
a un testo base, variabile a seconda delle discipline, e consiste, a un
primo livello, nella spiegazione del testo, nel suo senso immediato o
letterale (ciò che nei testi universitari medievali corrisponde alla sententia); e, a un secondo livello, nella spiegazione dei passi più difficili
e controversi o nella discussione di problemi sollevati dal testo di base
(quaestio). Se però in teologia e diritto i testi di base erano scritti in
latino (come appunto le Sentenze di Pietro Lombardo, il Corpus iuris
civilis o il Decretum di Graziano), in altri ambiti i testi, originariamente in greco o in arabo, sono frutto di traduzioni, eseguite in epoche
diverse (dal VI secolo, con Boezio, al XII o XIII secolo, come alcuni
testi aristotelici di logica, etica o filosofia, o alcuni testi di medicina).
Il metodo traduttivo generalmente impiegato è quello de verbo ad verbum (parola per parola) che verrà messo in discussione e ridicolizzato dagli umanisti rinascimentali per la scarsa eleganza linguistica e
l’eccesso di calchi, ma che aveva uno scopo ben preciso, per uomini
1
Per una introduzione sintetica, ma più sistematica, al periodo, si vedano BIANCHI 1997a e b, con la relativa bibliografia.
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spesso del tutto ignari della lingua originaria del testo da commentare: fornire cioè una sorta di mappa 1:1 del testo, che permettesse
il rapido confronto tra traduzioni diverse (nel caso ne esistessero) e
desse un’idea dell’andamento (anche sintattico) del testo originario.
Spettava al commentatore (sul modello di Severino Boezio, traduttore
e poi commentatore) il compito che oggi riserviamo alla sola figura
del traduttore, quello cioè di rendere assimilabile il testo commentato
dal proprio uditorio (cfr. MARMO 1998).
I testi scolastici medievali si dividono in almeno tre categorie o tipi:
1) il commento letterale (detto anche Sententia) in cui il maestro si
limita alla spiegazione del senso immediato del testo; 2) il commento
per questioni (ad modum quaestionis) che, tralasciando la spiegazione
della lettera del testo, si concentra sui problemi da esso sollevati o sollecitati (in alcuni casi, come le questioni quodlibetali, sono gli studenti stessi a proporre gli argomenti da trattare), esaminando le ragioni
per una risposta e per quella contraria, e fornendo infine la soluzione
proposta dal maestro; 3) il trattato indipendente da ogni testo di base,
in forma di trattazione organica o di questioni variamente articolate.
Tutti questi tipi di testo costituiranno, a vario titolo, fonti per la storia
delle teorie semiotiche del XIII secolo. Accanto alle università (originariamente corporazioni o collegi di studenti e/o di professori) si
sviluppano anche gli studia degli Ordini religiosi (Domenicani, Francescani e Agostiniani) che formano le giovani leve nelle arti del Trivio,
come nell’ermeneutica biblica e nella teologia.
In questo contesto di consolidamento e istituzionalizzazione dei
percorsi formativi superiori, il pensiero fi losofico e teologico del XIII
secolo è caratterizzato dall’accesso a nuove fonti, dovuto alla riscoperta di antiche traduzioni (come per i Sophistici elenchi o i Topici di
Aristotele, tradotti da Boezio e poi perduti di vista) o alla circolazione
delle nuove traduzioni realizzate soprattutto durante il XII secolo.
L’allargamento delle fonti porta con sé 1) una ridefinizione di discipline consolidate, come la logica, per esempio, che si arricchisce della sillogistica, della topica e della teoria della confutazione, grazie ai
nuovi testi dell’Organon aristotelico (Analitici Primi e Secondi, Topici
e Sophistici elenchi); 2) un rafforzamento di discipline poco sviluppate, come le scienze naturali e filosofiche, grazie all’introduzione dei
trattati naturalistici e filosofici di Aristotele (Fisica, De anima, De generatione et corruptione, Parva naturalia, Metafisica ecc.) o di Avicenna
(Liber sextus de naturalibus) e Averroè (commenti al De anima, o alla
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Metafisica); 3) una ridefinizione generale dello statuto epistemologico
delle scienze, da quelle naturali a quelle del linguaggio (grammatica
inclusa, come si vedrà). La storia delle teorie linguistiche e semiotiche
si sviluppa in questo quadro e risente naturalmente dei cambiamenti
di paradigma culturale introdotti dall’allargamento delle fonti.
1. SEGNI E SACRAMENTI, 1: TEORIE A CONFRONTO NELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO
Il campo della riflessione teologica sui sacramenti (e in particolare
sull’eucaristia) rimane anche per il XIII secolo un terreno privilegiato
di elaborazione semiotica. Come è stato sottolineato,1 già a partire
da Berengario di Tours la definizione di ‘segno’ di Agostino diventa
il punto di riferimento obbligato per qualsiasi discussione sui sacramenti, tanto più dopo che Pietro Lombardo l’ha richiamata all’inizio
del quarto libro delle Sentenze proprio al fine di definire la nozione
di ‘sacramento’.
Irène Rosier-Catach (2004) ha ben chiarito i termini della questione e il contesto della discussione, che si sviluppa per autori come
Guglielmo di Alvernia (vescovo di Parigi all’inizio del XIII secolo)
anche in opere di carattere giuridico (cfr. ROSIER 2005). La definizione più appropriata di sacramentum, secondo Pietro Lombardo,
è “segno della grazia di Dio e forma della grazia invisibile, così da
esserne l’immagine e la causa” (signum est gratiae Dei et invisibilis
gratiae forma, ut ipsius imaginem gerat et causa existat).2 Da questa
definizione prendono avvio tutte le successive riflessioni dei teologi
sulle caratteristiche e sulle diverse funzioni dei sacramenti: funzione
sociale, funzione cognitiva (ovvero la rappresentazione sensibile, iconica, motivata e insieme convenzionale di un significato intelligibile),
e funzione operativa.
1
2
Cfr. ROSIER 1996; MARMO 2007a.
Pietro Lombardo, Sententiae, IV, d. 1, cap. 4.2, in Sententiae in 4 libris distinctae, Grottaferrata (Roma): Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras
Aquas, 1981, vol. IV, p. 746.
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LA SEMIOTICA DEL XIII SECOLO
1.1. La funzione sociale
I segni sacramentali sono associati ad altri segni sensibili nella loro
funzione sociale di aggregazione di una comunità, che è insieme di
unione e di distinzione dalle altre comunità, analogamente a quanto
si è mostrato altrove a proposito del Symbolum niceno-costantinopolitano nelle parole di Rufino d’Aquileia (riprese poi nell’alto Medioevo da Isidoro di Siviglia e da altri teologi).3 In questo senso vanno le
riflessioni di Guglielmo di Alvernia nel suo trattato sui sacramenti.4
Il segno sacramentale è ciò che permette a un gruppo di individui di
riconoscersi come membri di una stessa comunità, grazie alla convenzione da essi adottata; assolve cioè a una funzione identitaria, ed
è necessario che questa funzione aggregativa si realizzi attraverso un
segno sensibile: la necessità di cui si parla qui – precisa sempre Guglielmo – non è di tipo costrittivo, né denota una qualche forma di
inevitabilità; è solo per i nostri limiti (necessitate indigentiae nostrae)
che l’appello a segni sensibili si rende necessario.5 In termini modali,
si può leggere questa distinzione come quella tra il non poter non fare
che deriva dalla mancanza di circostanze idonee (o dalla presenza
di costrizioni) e il non poter non fare che deriva dalla mancanza di
capacità o abilità specifiche. Accanto ai sacramenti, Guglielmo menziona tutti quei segni che servono per marcare la funzione sociale,
politica, religiosa o militare e che si accompagnano al conferimento
o al riconoscimento di queste funzioni o di altri diritti (come l’eredità
o la donazione):
È consuetudine conferire, e riconoscere, ogni nobile diritto di cittadinanza attraverso segni visibili, come la cittadinanza romana attraverso
un mantello. Ogni carica o dignità militare (è conferita e segnalata) attraverso un segno visibile come il cingere una spada. O ancora, ogni carica o funzione amministrativa, come la gestione del denaro, attraverso
3
4
5
Cfr. MARMO 2006a, pp. 142-143.
Cfr. ROSIER-CATACH 2004, pp. 54-55.
“Visibilibus ergo sanctificationibus necesse est ipsum [scil. templum Dei]
aedificari. Visibiles ergo sanctificationes sacramenta vocamus, hoc est sacrativa, seu sacrantia, signa; ‘necesse’ inquam necessitate indigentiae nostrae,
non necessitate inevitabilitatis, aut necessitate coactionis” (De sacramentis,
pars 2, c. 2, in Opera omnia, Parisiis, 1674, f. 410b, cit. in ROSIER-CATACH
2004, p. 506, n. 101).