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BOSNIA-ERZEGOVINA
AREA
51.210 km2
BOSNIA-ERZEGOVINA
APPARTENENZA RELIGIOSA
Musulmani 45,2%
Cristiani 52,3%
Cattolici 14,2% - Ortodossi 37,9% - Protestanti 0,2%
Non affiliati 2,5%
POPOLAZIONE RIFUGIATI (interni*) RIFUGIATI (esterni**) SFOLLATI
3.833.900
6.927
27.419
103.368
*Rifugiati stranieri che vivono in questo Paese **Cittadini di questo Paese rifugiati all’estero
La Costituzione e le leggi in vigore nel Paese tutelano la libertà religiosa e vietano ogni forma di discriminazione nei confronti di comunità religiose. Il Ministero
della Giustizia tiene un Registro unificato di quelle presenti e il Ministero dei Diritti umani e dei Rifugiati ha il compito di documentare le eventuali violazioni della
libertà religiosa. Un gruppo di 300 cittadini adulti può costituire una nuova Chiesa
o comunità religiosa, presentando richiesta scritta al Ministero dei Diritti umani
che, entro 30 giorni dal ricevimento della domanda, deve emettere una decisione.
Le organizzazioni religiose minoritarie possono registrarsi in base alla normativa
vigente e operare senza restrizioni.
Le scuole pubbliche offrono corsi soltanto della religione che risulta essere di maggioranza sul territorio comunale; se un numero sufficiente di studenti appartenenti
a un gruppo religioso minoritario frequenta una scuola elementare o media (ce ne
sono 20 nella Republika Srpska e 15 nella Federazione croato-musulmana), la
scuola ha l’obbligo di offrire corsi di quella religione. In cinque Cantoni a maggioranza bosniaca (la Federazione croato-musulmana è costituita da 10 Cantoni), le
scuole elementari e medie offrono corsi di istruzione religiosa islamica di due ore
alla settimana.
Nei Cantoni a maggioranza croata, gli studenti delle scuole elementari e medie frequentano un corso di religione cattolica di un’ora settimanale; in 13 scuole elementari e medie a maggioranza croata, gli studenti possono optare tra il corso di religione cattolica e quello di etica. Il Ministero dell’Istruzione pubblica del Cantone di Sarajevo ha introdotto corsi alternativi a quelli di religione, denominati «Società, cultura e religione» (nelle scuole elementari) e «Cultura della religione» (nelle scuole
medie) per gli studenti che non vogliono frequentare quelli di religione.
Le autorità delle due entità e dei Cantoni osservano le festività religiose celebrate
dai membri della religione localmente di maggioranza: Pasqua e Natale ortodossi
nella Republika Srpska, Pasqua e Natale cattolici in Erzegovina, il Ramadan Bajram
(Eid al-Fitr) e Kurban Bajram (Eid al-Adha) a Sarajevo e nella Bosnia centrale.
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Esiste una piccola comunità ebraica di circa un migliaio di persone che ha un ruolo
attivo in seno al Consiglio inter-religioso che, creato nel 1997, media tra le quattro
comunità religiose “tradizionali” (musulmani, ortodossi, cattolici ed ebrei).
Formalmente, la Bosnia-Erzegovina è uno Stato laico, ma la religione ha cominciato ad assumere un ruolo più importante dopo della guerra che, secondo
i dati disponibili, ha causato la distruzione o il danneggiamento di circa 3.300
edifici religiosi1.
Da segnalare che nel Paese, diversamente da quanto accade nel mondo islamico, religione islamica e nazionalità si sovrappongono. Nella ex-Jugoslavia l’etnonimo “musulmano” è stato usato per gli slavi di religione islamica a partire dal
1971 quando il Governo jugoslavo li riconobbe come una nazionalità jugoslava a
parte (prima potevano scegliere di dichiararsi serbi, croati o di nazionalità jugoslava indefinita). Nel 1993, i musulmani di Bosnia adottarono il termine bosniacco
per darsi un’identità nazionale più precisa; per molti bosniacchi secolarizzati, l’identità musulmana riguarda più le radici culturali che le convinzioni religiose.
I musulmani di Bosnia sono sunniti e appartengono alla scuola giuridica hanafita.
La principale organizzazione musulmana del Paese è la Comunità islamica in Bosnia-Erzegovina che è responsabile delle principali attività religiose: moschee,
preghiere, istruzione, editoria, opere caritatevoli. Ci sono otto muftì (i giureconsulti musulmani) nelle principali città, vale a dire a Sarajevo, a Bihac, a Travnik, a
Tuzla, a Goražde, a Zenica, a Mostar e a Banja Luka. Le comunità musulmane
bosniacche più conservatrici vivono nelle città di Travnik, Zavidovici, Tesanj, Maglaj, Bugojno e Zenica.
L’istruzione islamica è offerta a 60mila allievi in oltre 1.400 scuole primarie coraniche (mekteb), 13 scuole medie islamiche (madrasse); esistono poi due Accademie islamiche per la formazione degli insegnanti di religione delle scuole pubbliche e la Facoltà di Studi islamici a Sarajevo2.
Nel corso del 2012 si sono registrate tensioni tra la comunità islamica e il Cantone
di Sarajevo, in merito all’istruzione religiosa. Il Ministro dell’Istruzione cantonale
aveva infatti emesso una Direttiva che ordinava alle scuole di escludere i voti del
corso di religione dal calcolo della media ufficiale del profitto gli studenti, in modo
da consentire a chi lo avesse voluto, di non frequentare tale corso3. Due giorni dopo aver ricevuto una lettera minatoria che conteneva una pallottola, il Ministro ha
presentato le dimissioni e il Governo cantonale ha rimandato l’attuazione della Direttiva; un accordo Governo-comunità islamica è in fase di elaborazione.
Durante e dopo la guerra del 1992-1995, sono apparsi sul territorio di questo
Paese, i primi salafiti, definiti “wahabiti”; il loro numero esatto non è noto, ma dovrebbero essere alcune migliaia. Ci sono pochi musulmani sciiti o associazioni
Nadzida Cano, BIRN Justice Report
Velko Attanassoff “Islamic Revival in the Balkans”
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pro-sciiti e nessuna moschea sciita. I combattenti stranieri musulmani sono stati riconosciuti ufficialmente con la creazione nel 1993 del distaccamento El
Mudžahid. Dai due ai 5mila di questi volontari si sono battuti contro serbi e croati4.
A guerra conclusa e come ricompensa per il loro supporto, la Bosnia ha concesso
la cittadinanza bosniaca a quasi 1.500 di essi.
Molti musulmani conservatori – la cui preoccupazione principale è l’integrità della
fede e della pratica della loro religione – riconoscono la comunità islamica e l’autorità del Governo bosniaco, ma esistono piccoli gruppi salafiti che, invece, non accettano l’autorità della comunità islamica o dello Stato bosniaco e sono favorevoli
all’introduzione della Shari’a. Fautori di interpretazioni estremiste dell’islam, essi
considerano la maggior parte dei bosniacchi come pagani. Per loro, la politica si
articola intorno alla Umma (la comunità islamica mondiale) e a questioni come
quella palestinese o quella della guerra in Siria. La maggior parte degli islamisti
“senza appartenenza” ha scelto di vivere in zone remote, dove, in taluni casi, creano tensioni, in quanto incoraggiano i bosniacchi a denunciare i concittadini musulmani come non-credenti. I principali patrocinatori delle idee salafite sono alcune Agenzie di soccorso come l’Alto Comitato saudita, la Fondazione Al-Haramain
e la Società per la rinascita del patrimonio islamico. Secondo la Società di Controllo della sicurezza nell’Europa sud-orientale, oltre 250 organizzazioni religiose
umanitarie che operano in Bosnia, provengono dal Medio Oriente e dall’Europa.
Durante la guerra, anche i luoghi di culto musulmani hanno subito ingenti danni:
secondo i dati disponibili, delle 1.144 moschee che esistevano, 614 sono state distrutte e 307 danneggiate. In questo patrimonio architettonico ci sono 557 mesdzid
(piccole moschee), 954 mekteb (scuole coraniche), 15 tekké (sedi di confraternite
sufi), 90 türbe (mausolei islamici) e 1.425 edifici comunitari di altro tipo.
La maggioranza degli ortodossi del Paese è di etnia serba. La storia di questa confessione religiosa in Bosnia-Erzegovina comincia nel 1219, quando san Sava, all’interno della Chiesa serbo-ortodossa, fondò l’Eparchia di Zahumlje ed Erzegovina.
Tra il 1760 e il 1880, gli ortodossi locali erano sotto la diretta autorità del Patriarcato
di Costantinopoli; nel 1920, dopo la Prima guerra mondiale e la fondazione del
Regno di Jugoslavia, il Paese ritornò sotto l’autorità della Chiesa serbo-ortodossa
nuovamente riunificata. Nel 2008 lo Stato siglò con essa un Accordo; secondo i dati
forniti dalla Chiesa serbo-ortodossa, durante la guerra 125 chiese e 66 altre realtà
sacre parrocchiali, sono state distrutte, mentre altre 172 chiese e 50 altre strutture
sono state danneggiate.
Un Concordato ratificato nel 2007 tra la Bosnia Erzegovina e la Santa Sede, riconosce alla Chiesa la personalità giuridica e il diritto di fondare Istituti d’insegnamento e opere caritatevoli, oltre che quello di offrire istruzione religiosa. Le festività cattoliche sono ufficialmente riconosciute. La Chiesa cattolica è organizzata
in una Provincia ecclesiastica con sede a Sarajevo, a cui si aggiungono l’arcidiocesi
di Vrhbosna e tre diocesi suffraganee, a Banja Luka, Mostar-Duvno e Trebinje-Mrkan,
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oltre all’Ordinariato militare. Nel Paese ci sono anche due Province francescane,
quella dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, con sede a Mostar, e quella di
Bosna Srebrena, con sede a Sarajevo.
La Chiesa cattolica ha subito gravi perdite durante la guerra. Secondo i dati che
essa stessa fornisce, 269 edifici religiosi cattolici sono stati completamente distrutti – cappelle, conventi e cimiteri – e 731 danneggiati.
Il cristianesimo è giunto nel territorio della Bosnia-Erzegovina nel corso del primo
secolo, portato, si presume, da discepoli di san Paolo o da san Paolo stesso. Dopo
l’Editto di Milano, esso si diffuse rapidamente e cristiani e vescovi si concentrarono
attorno a due Sedi metropolitane, Salona (l’odierna Solin) e Sirmium (l’odierna
Sremska Mitrovica). Da segnalare che alcune diocesi paleocristiane furono create
nel IV, V e VI secolo.
Le popolazioni della Bosnia-Erzegovina hanno vissuto separate fino alla conquista ottomana, avvenuta, la prima nel 1463, la seconda circa vent’anni dopo, nel
1482. Con il Congresso di Berlino nel 1878, la Bosnia-Erzegovina passò sotto il
dominio austro-ungarico; successivamente, nel 1918, si unì con altre regioni abitate da slavi del Sud, per costituire il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Nel Paese s’incontrano culture occidentali e orientali. In un piccolo territorio, infatti,
tre gruppi nazionali e tre religioni coesistono tra tensioni etniche e pacifica convi­
venza. Nonostante la guerra non sia scoppiata a causa di odi religiosi o proselitismo
cattolico, islamico o ortodosso, il pericolo che il conflitto diventasse di natura religiosa è stato assai concreto, soprattutto quando il Governo bosniaco, disilluso dalle
politiche dell’Europa occidentale, ha accettato l’assistenza di Paesi islamici. Si
potrebbe affermare che religione e comunità religiose non hanno causato la guerra
ma – contrariamente a quanto spesso detto – non sono riuscite a evitarla.
Il bilancio di quattro anni di conflitto è stato di 250-280mila morti e dispersi, circa
50mila torturati e 500mila persone passate dalle circa 900 prigioni e campi di concentramento improvvisati; le fosse comuni individuate sono, al momento, oltre 160.
L’Accordo di Dayton che mise fine alla guerra, fu una sorta di male minore. I serbi di Bosnia lo accettarono perché comportava un ampio decentramento che, di
fatto, concedeva loro uno Stato nello Stato (la Republika Srpska), accanto alla
Federazione (croato-musulmana) di Bosnia-Erzegovina, entità a sua volta fortemente decentrata e divisa in 10 Cantoni. Solo la pressione internazionale di Unione
Europea e Nato, nonché il sostegno economico di donatori internazionali, hanno
imposto alle due entità una moneta comune e realizzato un’accettabile sicurezza
interna e la riforma del sistema giudiziario.
Il dopo-guerra è stato più complesso per la Bosnia-Erzegovina di quanto sia stato
per le altre Repubbliche ex-jugoslave, perché, malgrado il riconoscimento internazionale della sovranità, la sua identità appare tuttora contestata. Il prossimo
principale obiettivo è diventare membro dell’Unione Europea.
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