corso di laurea in scienze e tecnologie alimentari economia e

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ALIMENTARI
LAUREA TRIENNALE
ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE ALIMENTARI
DISPENSA DELL’INSEGNAMENTO
ELEMENTI DI GESTIONE DI IMPRESA
(a cura del Prof. Gianluca Nardone)
INDICE
1. Gli operatori economici e il sistema d'impresa
2. La dimensione competitiva
3. La dimensione economico-finanziaria
4. L'assetto giuridico dell'impresa
5. La struttura organizzativa
6. Elementi di contabilità’ e bilancio
7. Valutazione economica dell’investimento
1. GLI OPERATORI ECONOMICI E IL SISTEMA D'IMPRESA
1.1. L'Economia aziendale
Le scienze economiche si articolano in due rami: l'Economia politica e l'Economia aziendale. Esse
hanno come oggetto comune lo studio delle attività di produzione e di consumo di beni atti a
soddisfare i bisogni delle persone. L'Economia politica osserva i fenomeni economici propri dei grandi
aggregati regionali, nazionali e internazionali; l'Economia aziendale li osserva nelle manifestazioni
delle singole aziende, delle classi e degli aggregati particolari di aziende. L'Economia politica elabora
le conoscenze e le teorie economiche utili per le decisioni di politica economica regionale, nazionale e
internazionale. L'Economia aziendale elabora le conoscenze e le teorie economiche utili per il governo
delle aziende di ogni ordine.
1.2. L'attività economica e gli operatori economici
Gli operatori economici rappresentano gli istituti all'interno dei quali viene attuata l'attività economica.
Si riconoscono tre operatori principali: la famiglia, l'impresa e gli operatori pubblici territoriali. Prima
di approfondire la conoscenza degli operatori economici (nel nostro caso l'interesse sarà concentrato
allo studio dell'impresa) è bene chiarire la natura dell'attività economica.
L'attività economica può essere sinteticamente definita come l'attività di consumo e produzione dei
beni economici ed è (insieme ad altre forme di attività umana) svolta per soddisfare i bisogni delle
persone. Essa si svolge nei sistemi economici progrediti secondo una vasta gamma di operazioni che
possono essere sintetizzate in sei classi:
a.
operazioni di trasformazione fisico-tecnica;
b.1.
negoziazione di beni;
b.2.
negoziazioni di capitale di prestito (o di credito);
b.3.
negoziazioni di rischi specifici (assicurazione);
c.1.
negoziazioni di capitale proprio (capitale di rischio);
c.2.
negoziazioni di lavoro.
Le classi di operazioni sono state distinte in tre grandi gruppi a seconda che siano operazioni di
trasformazione tecnico-fisica (a), negoziazioni di merci e di servizi (b), negoziazione di capitale
proprio e di lavoro (c).
− Nel primo gruppo rientrano le operazioni tipiche delle industrie manifatturiere (apprestamento
e manutenzione macchinari; trasporto, conservazione, lavorazione e assemblaggio materie
prime e semilavorati vari; confezionamento, conservazione e trasporto dei prodotti finiti), delle
imprese commerciali (trasporto, immagazzinamento e confezionamento dei beni negoziati,
apprestamento e manutenzione degli impianti;...), delle imprese del credito e assicurazione
(trattamento di dati e informazioni; produzione, riproduzione, conservazione e trasporto dati,
documenti, titoli e mezzi monetari), degli istituti pubblici territoriali (produzione e consumo
dei servizi di trasporto, servizi sanitari, servizi di polizia,...).
− Nel secondo gruppo rientrano tutte quelle attività economiche volte alla negoziazione di merci
e servizi che si svolgono tipicamente nella forma di scambi monetari. Lo scambio monetario si
distingue dal baratto poiché un bene è scambiato a fronte di un prezzo complessivo che è
espresso in moneta. Vaste classi di negoziazioni non hanno per oggetto beni (merci o servizi)
bensì crediti di prestito e rischi specifici. Le negoziazioni di prestito (b.2.) riguardano la
disponibilità temporanea di mezzi monetari necessario alla copertura del fabbisogno
finanziario connesso alle proprie attività economiche definendo le modalità del rimborso e il
prezzo, di regola espresso in forma di interessi. Le negoziazioni di rischi specifici (b.3.)
riguarda quegli eventi sfavorevoli particolari che possono essere negoziati a fronte del
pagamento di un premio di assicurazione.
− Le negoziazioni del terzo gruppo si distinguono da quelle appena trattate per due caratteristiche
o lavoro e capitale sono le due condizioni primarie di produzione;
o i prestatori del capitale e i fornitori di lavoro sono in linea di principio dei membri
dell'istituto pertanto, in linea di principio, queste negoziazioni non sono operazioni di
scambio.
1.3. Il sistema d'impresa
In genere gli studiosi di economia aziendale distinguono tra i concetti di azienda e di impresa. Tale
distinzione risiede nella nozione che si può ricavare dal codice civile. Secondo l'art. 2555 c.c. l'azienda
è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Dall'art. 2082 c.c. si
deduce invece che l'impresa è l'esercizio professionale di un'attività economica organizzata al fine
della produzione e dello scambio di beni o servizi. In sostanza l'azienda rappresenta lo strumento di cui
l'imprenditore si serve per esercitare la sua attività professionale.
Al di là delle distinzioni dottrinali comunemente si fa preferibilmente utilizzo dell'accezione più
ampia, ossia del termine impresa. La più moderna dottrina considera l'impresa non più come un
soggetto unitario ma come un sistema:
sociotecnico, perché i suoi componenti sono l'elemento umano e i fattori produttivi;
complesso, perché articolato in più aree funzionali e sottosistemi;
aperto, perché interagisce con l'ambiente esterno;
continuo, perché tutta la sua attività si sussegue senza soluzione di continuità;
finalizzato, perché il suo comportamento è finalizzato al raggiungimento di determinati
obiettivi.
Tra le possibili rappresentazioni schematiche del sistema d'impresa si privilegia qui un modello inputoutput che presenta l'impresa come un complesso insieme di variabili strutturali (input),
comportamentali, e risultanti (output) in continuo rapporto con l'ambiente e tra di loro (Figura 1e
Tavola 1).
1.3.1. L'ambiente
Qualunque organismo economico non deve essere visto come una massa sospesa in un liquido inerte
ma lo si deve configurare a stretto contatto con una miriade di altri decisori, alcuni dei quali intessono
rapporti di affari con l'agente considerato. Questi rapporti si concretizzano in operazioni quali le
vendite, gli acquisti, la locazione di servizi, di cose o di denaro, i pagamenti, le riscossioni, etc. Questa
situazione oggettiva può essere raffigurata con una struttura a raggiera tale che ad un nucleo centrale,
rappresentato dall'agente considerato, siano collegati alcuni corpi periferici, cioè gli agenti terzi.
•
Un agente periferico della raggiera di cui analizziamo la struttura è riconoscibile nei
finanziatori ovvero in coloro che, avendo a disposizione mezzi finanziari destinabili ad attività
produttive, li investono nell'impresa. Nella fattispecie si parla dell'imprenditore individuale oppure nei
soci sottoscrittori di azioni o di quote di capitale ma si considerano anche gli istituti di credito che
sopperiscono alle necessità finanziarie dell'impresa mediante la concessione di prestiti a breve e lungo
termine. Le operazioni che si instaurano tra l'agente principale e quello periferico appena definito sono
di sue ordini e di direzione contraria:
il conferimento del capitale di dotazione ovvero delle risorse necessarie alla costituzione e alla
gestione dell'impresa che da diritto all'agente a percepire gli utili della gestione (quando questi
non sono distribuiti il loro ammontare aumenta direttamente la dotazione iniziale);
la stipulazione di prestiti dietro il pagamento delle quote annuali di rimborso del prestito
contratto e degli interessi maturati.
•
Per attuare il processo produttivo una figura essenziale è quella dei fornitori che garantiscono
all'impresa l'ottenimento delle materie prime e accessorie, nonché dei servizi indispensabili alla
produzione. Nel momento in cui viene distinto il fattore di produzione essenziale, ovvero il lavoro, è
possibile individuare due ordini di operazioni che si instaurano tra agente principale e periferico:
l'acquisto di fattori produttivi dietro erogazione degli adeguati mezzi finanziari;
l'apprestamento di attività lavorative ricevendo in cambio la corresponsione di stipendi (lavoro
"intellettuale") e salari (lavoro "manuale").
•
Un altro agente della raggiera è costituito dai clienti: i prodotti ottenuti dalla realizzazione del
processo produttivo sono offerti sul mercato per la vendita e ceduti agli eventuali clienti dietro la
riscossione del relativo prezzo.
•
L'ultimo agente periferico può essere individuato nella Pubblica Amministrazione in cui si
comprende lo stato, gli enti locali territoriali, i consorzi fra comuni o fra province, e gli istituti di
assistenza e previdenza sociale. La Pubblica Amministrazione cerca di predisporre l'ambiente più
favorevole per assolvere convenientemente alla funzione di produzione dei beni o di apprestamento
dei servizi e al loro conseguente collocamento sul mercato, garantendo, fra l'altro, la validità giuridica
dei rapporti instaurati con i terzi, persono fisiche o giuridiche. In generale, i rapporti su questo ramo
della raggiera si possono così sintetizzare:
pagamento di imposte e tasse per l'utilizzazione delle infrastrutture;
pagamento di contributi assistenziali e previdenziali per l'acquisizione di diritti diversi.
1.3.2. La struttura
La struttura viene definita come "l'insieme di variabili che definiscono l'assetto istituzionale,
organizzativo e patrimoniale dell'impresa" cioè dall'insieme delle cosiddette "risorse organizzate",
quelle risorse (materiali e immateriali) che costituiscono il patrimonio imprenditoriale, direzionale,
tecnologico, commerciale e finanziario dell'impresa.
•
L'assetto istituzionale è definito dall'insieme delle persone che compongono il soggetto di
impresa, i fini e le prerogative che ad esse fanno capo, le modalità di esercizio di tali prerogative. In
pratica si fa riferimento a colui (o coloro) che persegue materialmente l'azione imprenditoriale e alle
regole che definiscono il funzionamento dell'impresa (vedasi la parte relativa all'assetto giuridico
dell'impresa).
•
L'assetto organizzativo si riferisce alla combinazione della struttura organizzativa e dei suoi
sistemi operativi. Essa riguarda la divisione del lavoro nell'impresa e quindi la definizione di compiti e
di responsabilità assegnati agli organi aziendali. In più si fa riferimento all'organismo personale ovvero
alle singole persone o gruppi di persone interagenti e presuppone, ai meccanismi di funzionamento e
alla definizione del potere interno dell'organizzazione.
•
L'assetto patrimoniale rappresenta l'insieme delle condizioni di produzione e di consumo di
pertinenza dell'impresa.
1.3.3. L'attività
L'attività di un'impresa comprende "le decisioni, azioni e interazioni che si svolgono a livello
direzionale e a livello esecutivo, volte direttamente al conseguimento di risultati o al cambiamento
della struttura".
•
Tra le attività direzionali si distingue tra direzione strategica e operativa.
La direzione strategica definisce la "formula" ovvero l'impostazione imprenditoriale nei suoi contenuti
gestionali ed organizzativi. In pratica la formula imprenditoriale è la risultante delle scelte effettuate
circa:
a)
i mercati cui è indirizzata la propria offerta;
b)
il prodotto che si offre;
c)
la proposta progettuale che contiene determinate prospettive offerte alle forze economiche e
sociali coinvolte o da coinvolgere nell'impresa e i contributi (o consensi) richiesti;
d)
il sistema degli attori sociali interessati;
e)
la struttura che consente di presentarsi sul mercato con quella certa offerta e agli attori sociali
con quella certa proposta progettuale.
La direzione operativa è quella che consente il "funzionamento" dell'impresa ed è preposta allo
svolgimento di quelle attività volte al conseguimento degli obiettivi di fondo dell'attività aziendale.
•
Le attività esecutive, ovviamente, sono il complesso di attività che i membri
dell'organizzazione svolgono quotidianamente per permettere il perseguimento degli obiettivi
dell'impresa.
1.3.4. I risultati
Le performance di un'impresa vanno valutate facendo riferimento a diverse categorie di risultati
(economico-finanziari, competitivi, sociali), che qualificano altrettante dimensioni del sistema
d'impresa (Figura 2).
•
I risultati economico-finanziari sono espressi da indicatori di economicità della gestione
(reddito operativo, margine di contribuzione, R.O.E., R.O.I., etc.), di solidità patrimoniale (ad
esempio il tasso di indebitamento), di liquidità (indice di liquidità, capitale circolante netto, etc.) che
poi vanno opportunamente interpretati in una visione sistemica.
•
I risultati competitivi sono un'espressione del grado di affermazione dell'impresa nella "arena"
o nelle "arene" in cui la stessa è impegnata (settori, mercati, nicchie di mercato).
•
I risultati sociali esprimono il livello di soddisfazione, di coesione dei diversi interlocutori
sociali dei cui contributi o consensi l'impresa ha bisogno.
L'impresa deve tendere ad una sintesi delle tre dimensioni perché solo questo consente il successo
della formula imprenditoriale e lo sviluppo dell'azienda (Figura 3). Infatti la produzione di adeguati
flussi di reddito (successo economico-finanziario) porta al soddisfacimento delle attese sociali e,
essendo le prospettive di ricompensa rispettate, ad una continua attrazione delle risorse (successo
sociale). Quanto maggiori e più intense sono le risorse investite nell'impresa tanto più è probabile la
produzione di un "sistema di prodotto" competitivo che possa soddisfare al meglio i bisogni del
mercato (successo competitivo) e che porti alla produzioni di adeguati flussi di reddito.
2. LA DIMENSIONE COMPETITIVA
La dimensione competitiva riguarda essenzialmente la capacità di un'impresa di riuscire a
comprendere e a soddisfare i bisogni della popolazione fornendo ad essa un determinato prodotto o
servizio. E' stato già detto in precedenza che ogni attività economica è volta a soddisfare dei bisogni
reali o latenti del consumatore. I bisogni scaturiscono dai molteplici fini che vengono perseguiti dalle
persone nel loro complesso divenire. Essi sono in continuo mutamento per la nascita di nuove
esigenze, la dilatazione di quelle già avvertite, la continua variazione della scala soggettiva. Pertanto
dai bisogni primordiali (bisogni fisici) quali l'alimentazione, l'alloggio, il vestiario, il riscaldamento, la
conservazione della salute, si è passati a percepire i bisogni affettivi relativi all'instaurazione e al
mantenimento dei rapporti con i propri simili, quelli politici o comunitari relativi all'ordine sociale e
quelli intellettuali che riguardano lo svago, la lettura, l'istruzione, il sentimento religioso.
Si può concludere che la dimensione competitiva di un'impresa è collegata direttamente con la sua
formulazione strategica, ovvero con il modo in cui essa si rapporta all'ambiente, e può venire
rappresentata dal trinomio Prodotto/Mercato/Ambiente ovvero analizzando che cosa offre l'azienda,
dove lo offre e come lo produce.
2.1. Il sistema P/M/C
•
Prodotto. L'impresa risponde ad un determinato sistema di bisogni da soddisfare con un
prodotto.
Oggi si preferisce dire che l'attività dell'impresa non si riduce all'offerta di un prodotto ma piuttosto di
un sistema di prodotto. In questo modo si vuole fare riferimento a quell'insieme di elementi
caratterizzanti un prodotto che assumono un peso variabile (a seconda del prodotto e del consumatore)
nella scelta finale d'acquisto, e cioè:
i caratteri materiali del prodotto o del servizio offerto (attributi qualitativi, estetici, la
composizione chimica delle materie prime, etc.);
gli elementi immateriali (prestigio, eleganza, sicurezza, immagine, etc.);
il servizio collegato al prodotto (assistenza post-vendita, velocità di consegna, etc.);
le condizioni di scambio (prezzo, modalità di pagamento, garanzie, etc.).
•
Mercato. Il mercato a cui l'impresa vuole indirizzarsi va ricercato in stretta connessione ai
bisogni che i prodotti sono in grado di soddisfare. Normalmente i mercati si distinguono in base al
prodotto, in senso geografico, per tipo di soggetti o per canali di vendita.
•
Tecnologia. La tecnologia di un'impresa non va pensata astrattamente ma va finalizzata ad
attivare un certo sistema di prodotto-mercato.
2.2. La valutazione delle strategie
Come già accennato i risultati competitivi vanno valutati considerando il grado di affermazione
dell'impresa nei mercati in cui essa opera. Esistono diversi indicatori di successo competitivo anche se
quello più diffusamente utilizzato è la quota di mercato dell'azienda ovvero il rapporto tra il fatturato
(valore delle vendite) dell'azienda e il fatturato dell'intero settore. Le imprese leader del settore sono
caratterizzate da un'elevata quota di mercato ma non sono le uniche ad avere un strategia competitiva
di successo. Insieme a queste vanno considerate le imprese che si riescono ad insediare con successo in
una nicchia di mercato ovvero in un piccolo segmento di mercato caratterizzato dalla presenza di un
gruppo di consumatori caratterizzati da un modello di consumo omogeneo.
Oltre ai risultati, un'analisi critica della strategia deve considerare la maniera in cui essi si formano. Più
in particolare bisogna valutare l'intensità delle forze e dei condizionamenti ambientali insieme alla
natura della concorrenza all'interno del sproprio settore. Tra i tanti schemi di analisi proposti per la
valutazione delle strategie proponiamo qui il modello della BCG (Boston Consulting Group) anche
detta matrice BCG. Questa matrice considera due parametri caratterizzanti una strategia: il livello di
successo competitivo dell'impresa e l'attrattività del settore.
La prima componente viene misurata utilizzando la quota di mercato. A questo proposito che per le
imprese che perseguono una strategia di nicchia il mercato la quota di mercato va calcolata
considerando il fatturato totale della nicchia e non del settore.
L'attrattività di un settore viene collegata al concetto di ciclo di vita del prodotto. Ogni prodotto segue
un'evoluzione delle proprie vendite che ha un andamento tipico. Normalmente, nel tempo si succedono
quattro fasi:
la prima fase è detta di lancio e coincide con l'immissione del prodotto nuovo sul mercato.
Essa è caratterizzata da bassi volumi di vendita con tassi di crescita piuttosto limitati;
alla fase di lancio fa seguito una fase di sviluppo in cui il prodotto comincia ad essere
conosciuto dal consumatore, anche grazie agli sforzi dell'azienda nell'attività di
comunicazione, e si ha una crescita esponenziale delle vendite;
la fase di sviluppo è seguita dalla fase di maturità in cui le vendite si assestano avendo
raggiunto la massima potenzialità;
l'ultima fase è quella del declino del prodotto ovvero della diminuzione delle vendite dovute
all'introduzione di prodotti migliori o concorrenti.
Ovviamente i settori più interessanti da un punto di vista strategico sono quelli che si trovano nella
fase di sviluppo, in quanto si prospettano maggiori margini di profitto. La fase di lancio può anche
essere interessante con l'incognita, però, di non conoscere quale sarà l'evoluzione del settore e su quale
livello si assesteranno le vendite una volta raggiunta la maturità.
Combinando quote di mercato e attrattività del settore si può compilare la matrice BCG da cui si
ricavano semplici e diretti giudizi sulla propria condotta strategica.
QUOTA DI MERCATO
ATTRATTIVITA'
STAR
?
COW
DOG
Secondo gli esperti della BCG quando un'impresa ha successo competitivo (alta quota di mercato)
allora può essere in condizioni di STAR (stella) se il prodotto è in una fase di lancio o di sviluppo,
oppure può essere in una condizione di COW (vacca) quando il prodotto è in una fase di maturità. Nel
primo caso la posizione strategica è ottimale perché i ritorni sono elevati ma allo stesso tempo sono
richiesti dei forti investimenti per vincere la concorrenza ed imporre il proprio prodotto. Nel secondo
caso l'impresa gode di una posizione privilegiata per cui deve solo "mungere" il mercato per ricavarne
i profitti; non sono necessari forti investimenti.
Se l'impresa non ha successo di mercato, allora essa dovrà considerare bene cosa fare nel caso in cui
l'attrattività del settore sia elevata. Il PUNTO DI DOMANDA serve appunto a sottolineare come in
una situazione di questo genere venga richiesto all'impresa di prendere una decisione se lasciare il
settore o investire di più. Nel caso in cui l'attrattività del settore sia bassa allora non ci sono dubbi:
l'impresa è in una posizione di DOG (cane) e quindi dovrebbe uscire dal mercato.
3. LA DIMENSIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
L'attività dell'impresa si distingue in fatti interni e fatti esterni di gestione. I fatti interni sono legati
alla trasformazione tecnico-economica dei fattori di produzione e consistono nella lavorazione delle
materie prime, nel consumo di scorte, nei passaggi da un reparto all'altro, nell'ottenimento dei prodotti
finiti. I fatti esterni corrispondono ad atti di scambio e consistono nell'acquisto di materie prime, nel
pagamento di salari e stipendi, nel sostenimento di spese amministrative e di vendita, nello smercio dei
prodotti.
I fatti esterni di gestione possono essere considerati nell'aspetto finanziario e nell'aspetto economico:
nell'aspetto finanziario danno luogo ad entrate ed uscite di mezzi finanziari, nell'aspetto economico
fanno sorgere costi o ricavi. Nel seguito si analizzeranno più da vicino i due aspetti cercando di
sottolineare come sia possibile definire i risultati economico-finanziari della gestione.
3.1. L'aspetto economico della gestione
L'aspetto o profilo economico delle operazioni di gestione riguarda i riflessi che esse hanno sulla
produzione e sulla distribuzione della ricchezza (reddito e capitale). In particolare ogni operazione può
dar luogo ad un costo o ad un ricavo. La differenza tra il totale dei ricavi di un'azienda e il totale dei
costi sostenuti danno il reddito o profitto dell'impresa.
Il modo migliore di analizzare il profilo economico dell'azienda è suddividere le operazioni effettuate
in funzione delle aree di gestione a cui esse fanno riferimento. Infatti la gestione ordinaria di
un'impresa può essere suddivisa in quattro aree principali: la gestione tipica o caratteristica, la gestione
accessoria, la gestione finanziaria e la gestione fiscale.
•
Nella gestione tipica rientrano quelle operazioni collegate con la tipica attività produttiva e di
commercializzazione dei prodotti che l'impresa colloca sul mercato. Pertanto, sotto il profilo
economico, si considerano i costi di acquisto delle materie prime, i costi di lavoro, le quote di
ammortamento dei macchinari, etc. mentre dal lato dei ricavi si prendono in considerazione i ricavi di
vendita dei prodotti.
•
Nella gestione accessoria o patrimoniale rientrano tutte quelle operazioni che non rientrano
nella gestione tipica ma che comunque danno luogo a costi o ricavi (ad esempio, i costi o i costi
inerenti beni patrimoniali quali immobili o titoli a reddito fisso).
•
La gestione finanziaria riguarda le operazioni di acquisizione, di remunerazione e di rimborso
di finanziamenti negoziati dall'impresa per soddisfare il fabbisogno di capitale. Tipicamente sono da
considerare solo gli oneri finanziari.
•
La gestione fiscale considera quelle operazioni da collegare alla presenza della pubblica
amministrazione. Si considerano pertanto i costi fiscali (ad esempio, i tributi che colpiscono il reddito
prodotto dall'azienda) e gli eventuali contributi che si possono ottenere dallo stato.
Perché vi sia un equilibrio reddituale la condizione minima è che il totale dei ricavi sia maggiore o
uguale al totale dei costi. Questa condizione esprime l'attitudine dell'impresa a remunerare, con i
componenti positivi di reddito, alle condizioni richieste dal mercato, tutti i fattori produttivi, compreso
il capitale. Oltre a questa condizione, che è oggettiva, esiste una condizione di equilibrio detta
soggettiva secondo cui l'impresa è in equilibrio quando il risultato economico è giudicato congruo per
l'attuazione del programma di gestione volto al soddisfacimento del fine dell'impresa. Nel formulare
questo giudizio (che spetta solo alle persone che sono titolari dell'azienda) i soggetti economici
possono usufruire di determinati indicatori che si possono costruire avendo a disposizione il conto
Profitti e Perdite. Tra questi i più importanti sono il R.O.E. (return on equity) e il R.O.I. (return on
investment) che misurano la redditività del capitale netto e degli investimenti.
3.2. L'aspetto finanziario della gestione
Le operazioni di gestione possono essere analizzate secondo l'aspetto finanziario ovvero considerando
i riflessi che hanno a riguardo delle fonti e degli impieghi di capitale. Le operazioni di finanziamento
di un'impresa sono legate a due ordini di circostanze:
dall'asincronia degli investimenti rispetto ai disinvestimenti (normalmente vi è un lasso di
tempo più o meno ampio tra gli esborsi connessi agli acquisti e gli introiti connessi alle
vendite);
dalla non contemporaneità delle controprestazioni nella fase dell'acquisto dei fattori di
produzione o di vendita dei prodotti (ad esempio, le anticipazioni o le dilazioni di pagamento
accordate ai fornitori o ai clienti).
Lo Stato Patrimoniale è quel documento del Bilancio di Esercizio che fotografa in un dato momento
della vita dell'impresa (abitualmente alla fine di ogni anno) la situazione delle ATTIVITA' (impieghi
di capitale) e delle PASSIVITA' E MEZZI PROPRI (fonti di finanziamento).
•
Il capitale può essere impiegato in disponibilità liquide, (ovvero il contante detenuto
dall'azienda nella cassa o in banca), crediti concessi, rimanenze di magazzino o immobilizzazioni (che
sono tecniche, economiche o finanziarie)
•
Le fonti di finanziamento possono essere debiti di funzionamento (ad esempio, debiti verso i
fornitori), debiti finanziari, fondi spese future e rischi o mezzi propri (il capitale netto).
Un altro modo per considerare le attività e le passività dell'impresa è in funzione della loro liquidità e
della esigibilità.
La liquidità è l'attitudine degli impieghi a generare risorse finanziarie. Si parla perciò di impieghi a
liquidità immediata (se sono assimilabili al contante), a liquidità differita (se saranno trasformati in
denaro entro l'anno), o fissi (se possono essere convertiti in valuta in un periodo superiore ai 12 mesi).
Restano a parte le rimanenze.
L'esigibilità è l'attitudine delle fonti ad assorbire risorse finanziarie. Si parla di passività liquide (o
debiti correnti) per quei debiti che daranno luogo ad un esborso di denaro entro l'anno, di passività a
medio-lungo termine (i debiti che non scadono entro l'anno) e, a parte, dei mezzi propri che sono le
fonti di capitale che non richiedono il rimborso.
Le ragioni di una tale riclassificazione delle attività e passività sta nel fatto che si possono creare degli
aggregati omogenei che poi sono messi a confronto per valutare l'equilibrio finanziario dell'impresa.
Ad esempio si può calcolare l'indice di liquidità per valutare se entro l'anno ci saranno più introiti o più
esborsi; si può calcolare il grado di indebitamento ovvero il rapporto tra le fonti di capitale ottenute da
terzi e i mezzi propri; si possono calcolare altri indici quali il margine di tesoreria o il grado di
copertura immobilizzazioni. Grazie a questi indici è possibile giudicare l'attitudine dell'impresa a far
fronte ai propri impegni a breve oppure valutare se la struttura finanziaria è nel complesso equilibrata.
4. L'ASSETTO GIURIDICO DELL'IMPRESA
4.1. L’imprenditore
Sulla figura dell’imprenditore si fonda tutto il nostro sistema legislativo preposto alla regolazione dei
fenomeni economici. Il concetto di imprenditore è introdotto nel sistema del diritto privato dall’art.
2082 c.c. che definisce come imprenditore colui che “esercita professionalmente una attività
economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi”.
L’imprenditore è quindi colui che svolge un’attività creativa di ricchezza sia attraverso le attività
produttive in senso stretto sia attraverso le attività di scambio (attività commerciali) che sono
considerate creative di nuove ricchezza perché con la distribuzione ai consumatori accrescono l’utilità
dei beni preesistenti1.
L’aggettivo “professionalmente” sta ad indicare che l’attività esercitata deve avere i caratteri della
stabilità e della non occasionalità. Ciò non significa che non sia attività imprenditoriale quella
stagionale (alberghi) o un’attività secondaria svolta dal soggetto. Incompatibile con il concetto di
professionale è solo il compimento occasionale di un affare quale l’acquisto occasionale seguito da
rivendita o una isolata operazione di mediazione.
E’ imprenditore solo chi esercita un’attività economica ovvero colui che nell’attività di produzione o
di scambio esercita con criteri di economicità nel senso che il capitale investito nell’attività deve,
quanto meno, riprodursi al termine del ciclo produttivo. In base a questo criterio si può distinguere tra
ente pubblico e ente pubblico imprenditore.
Il codice civile distingue nell’ambito della nozione generale due specie di imprenditori:
l’imprenditore agricolo2 (art. 2135) e l’imprenditore commerciale3 (art. 2195). Entrambe le specie
hanno una propria disciplina normativa ulteriore rispetto alla disciplina dell’imprenditore in genere.
Mentre la disciplina dell’imprenditore agricolo e formata da poche norme, quella dell’impresa
commerciale prevede, tra l’altro, l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese, la tenuta delle
scritture contabili, la soggezione al fallimento e alle altre procedure concorsuali in caso di insolvenza.
Un discorso più complesso è quello che riguarda gli enti pubblici per i quali la qualifica di imprese
commerciali nasce quando l’attività commerciale costituisce l’oggetto esclusivo o almeno principale.
Tutti gli enti pubblici sono comunque esentati, in casi di insovenza, dal fallimento e alle altre
procedure concorsuali.
Un’altra classificazione è quella che tiene conto delle dimensioni dell’impresa. Secondo l’art. 2083
sono piccoli imprenditori “i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei
componenti della famiglia”. I caratteri che distinguono il piccolo imprenditore sono quindi il fatto che
egli presta nell’impresa il proprio lavoro (coadiuvato eventualmente da quello dei propri familiari) e
che questo possa essere giudicato prevalente. Il giudizio di prevalenza vale non solo nel confornto tra
lavoro proprio e lavoro altrui ma anche in quello tra lavoro dell’imprenditore e capitale ivestito
1
Le attività dei professionisti intellettuali e degli artisti, che pure consistono nella creazione di beni e servizi, non danno
luogo ad un’impresa (art. 2238 c.c., comma 1°).
2
L’imprenditore agricolo è colui che esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura,
all’allevamento del bestiame e attività connesse. Queste attività differiscono dalle altre dirette al fine della produzione di
beni per la specifica natura del mezzo produttivo impiegato ovvero la terra.
3
Per l’art. 2195 sono attività commerciali:
• le a. industriali dirette alla produzione di beni o di servizi;
• l’a. intermediaria nella circolazione dei beni;
• l’a. di trasporto per terra, er acqua e per aria;
• l’a. bancaria o assicurativa;
• altre a. ausiliarie delle precedenti.
•
nell’impresa (ad esempio un gioielliere non può essere considerato piccolo imprenditore). Il piccolo
imprenditore è sottoposto all’applicazione delle norme formulate per l’imprenditore in genere ma, al
pari dell’imprenditore agricolo, è sottratto agli obblighi dellimprenditore commerciale.
4.2. Le società
Secondo l'art. 2247 c.c. una società rappresenta un contratto con cui "due o più persone conferiscono
beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili". Con
il termine società si intende riferirsi sia al contratto stipulato tra i soci, sia all'ente che deriva da tale
contratto e al quale fa capo l'impresa.
La scelta del tipo di società è lasciata alla volontà dei soci fondatori che, nel prendere la decisione,
tengono conto del genere di attività da esercitare, delle dimensioni che l'azienda dovrà assumere,
dell'entità dei rischi che verranno affrontati e di ogni altra circostanza che potrà influire sulla gestione
dell'impresa.
La legge stabilisce che le società che hanno per oggetto una attività commerciale (mercantile,
industriale, bancaria, di servizi, etc.) devono costituirsi secondo uno dei seguenti tipi:
•
società di persone
- società in nome collettivo
- società in accomandita semplice
•
società di capitali
- società a responsabilità limitata
- società per azioni
- società in accomandita per azioni
La distinzione tra i vari tipi di società è basata soprattutto sul diverso grado di responsabilità dei soci
nei confronti delle obbligazioni sociali, cioè dei debiti dell'impresa.
Nelle società di persone i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali:
questo vuol dire che essi dovranno pagare i debiti della società dopo l'escussione del patrimonio
sociale non soltanto con quanto hanno conferito nell'impresa ma anche col proprio patrimonio
personale (responsabilità illimitata); inoltre ognuno di essi potrà essere perseguito per tutti i debiti
della società, anche se contratti da altri soci (responsabilità solidale).
Nelle società di capitali i soci hanno una responsabilità che è limitata unicamente alle somme
sottoscritte, per cui i creditori della società possono agire solo contro il patrimonio dell'impresa
collettiva e non contro il patrimonio personale dei singoli soci.
A parte bisogna considerare poi un gruppo molto vasto di società che si distinguono per non avere fini
di lucro: le cooperative. Infatti le cooperative perseguono un fine che si definisce mutualistico.
4.2.1. Le società di persone
Le società di persone si costituiscono con un contratto redatto con scrittura privata a firme autenticate,
oppure con atto pubblico (redatto da un notaio); esso viene portato a conoscenza dei terzi mediante
l'iscrizione nel registro delle società tenuto dalla Cancelleria del Tribunale. Il nome di queste società è
detto ragione sociale ed i beni in esse conferiti dai vari soci formano un complesso dotato di
autonomia patrimoniale che si manifesta con il distacco dagli altri beni personali dei soci. Esistono due
tipi di società di persone: la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice4.
4
Oltre a questi tipi di società legali o regolari si devono comprendere anche le società irregolari e le società di fatto,
ovvero quelle società che non hanno l'iscrizione al Tribunale o che addirittura mancano di contratto. In questo tipo di
società i soci hanno comunque responsabilità illimitata e solidale nei confronti delle obbligazioni sociali. L'unica differenza
è che il patrimonio personale non risulta distinto da quello della società.
•
La società in nome collettivo (s.n.c.) secondo l'art. 2291 c.c. e una società in cui "tutti i soci
rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali". Il forte peso che incombe sui
soci fa sì che le s.n.c. si addicano soltanto a quei casi in cui l'azienda è esercitata da poche persone
legate tra loro da solidi rapporti di reciproca fiducia, di stretta amicizia o persino di parentela. Ne
consegue che dato il numero necessariamente piccolo di soci, deve trattarsi di un'attività che non
richieda l'impiego di capitali molto ingenti. L'atto costitutivo di una s.n.c. deve contenere:
- nome e dati personali dei soci;
- ragione sociale;
- indicazione dei soci che hanno l'amministrazione della società:
- la sede della società;
- il tipo di attività esercitata (oggetto sociale);
- i conferimenti dei diversi soci;
- le norme da seguire per il riparto degli utili;
- la durata della società.
•
La società in accomandita semplice (s.a.s.) è stata istituita per consentire la partecipazione
all'impresa, a fianco di persone dotate di capacità imprenditoriali ma sprovviste di parte dei capitali
necessari per l'attività prescelta, anche a persone fornite dei mezzi occorrenti ma non disposte a
sopportare una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali. La legge ha pertanto provveduto a
distinguere i soci in due categorie:
- i soci accomandatari, che rispondono in maniera illimitata e solidale per le obbligazioni
sociali ed ai quali è destinata l'amministrazione e la rappresentanza della società;
- i soci accomandanti che rispondono solo per il capitale conferito nella società ed ai quali è
fatto divieto di amministrare l'azienda o di compiere affari in suo nome.
4.2.2. Le società di capitali
Le società di persone sorgono mediante un atto costitutivo redatto da un notaio. L'atto deve essere poi
depositato presso la Cancelleria del Tribunale dove, dopo la verifica dell'adempimento di tutte le
condizioni stabilite dalla legge, viene iscritto nel registro delle società. La forma scritta dell'atto
costitutivo rappresenta la condizione di esistenza delle società di capitali mentre nelle società di
persone era solo condizione di regolarità. Il nome assegnato alle società di capitali è detto
denominazione sociale ed il loro elemento caratteristico è la personalità giuridica che acquistano
quando la loro costituzione si completa con l'iscrizione nel registro della società. Esistono tre tipi
fondamentali di società di capitali: società a responsabilità limitata, società per azioni e società in
accomandita per azioni.
•
la società a responsabilità limitata (s.r.l.) è una società in cui i soci rispondono per le
obbligazioni sociali solo per la quota di capitale sociale sottoscritta. Essa rappresenta una forma legale
adatta alle piccole-medie aziende per la difficoltà di reperire finanziamenti in quanto l'unica garanzia
offerta ai finanziatori esterni è dato dal capitale netto. Quindi le quote di partecipazione dei soci
rappresentano la principale fonte di finanziamento e ne deriva la ridotta possibilità di queste aziende
ad effettuare investimenti e produzioni di ampia portata ed il loro adattarsi solo ad organismi di
dimensioni modeste. L'atto costitutivo deve contenere:
- nome e dati personali dei soci;
- denominazione sociale;
- indicazione dei soci che hanno l'amministrazione della società:
- la sede della società;
- il tipo di attività esercitata (oggetto sociale);
- i conferimenti dei diversi soci;
- le norme da seguire per il riparto degli utili;
- il numero dei componenti del collegio sindacale;
- la durata della società.
•
la società per azioni (s.p.a.) è una società di capitali in cui le quote dei diversi soci sono
rappresentate da azioni. Le azioni sono dei titoli che rappresentano quote di comproprietà dell'azienda
e in più rappresentano dei beni mobili (possono essere vendute, acquistate, permutate, donate,
pignorate, possedute in comproprietà) e dei beni a sé stanti ovvero distinti dai beni che compongono il
patrimonio sociale. Il fatto che il capitale sociale sia formato da azioni da una maggiore flessibilità alle
s.p.a. che possono più facilmente reperire mezzi finanziari da parte di potenziali soci. In più la capacità
della s.p.a. di reperire finanziamenti è accentuata dalla possibilità di emettere prestiti obbligazionari
ovvero titoli che possono essere sottoscritti da una pluralità di finanziatori. Quindi la s.p.a. è una forma
societaria adatta alle imprese medio-grandi che possono ottenere capitale di rischio o di credito con
maggiore facilità.
•
la società in accomandita per azioni (s.a.p.a.) è identica ad una s.a.s. con l'unica differenza
che le quote di partecipazione sono rappresentate da azioni.
4.3. Le cooperative
Le cooperative sono delle società particolari che non perseguono fini di lucro ma fini mutualistici. Il
principio della mutualità ha la sua ragion d'essere nel fatto che le cooperative storicamente sono state
viste come uno strumento per consentire la difesa e l'emancipazione (sociale, culturale, economica) di
determinate classi sociali. Con il termine mutualità si sottintende il carattere sociale della
cooperazione. L'estrinsecazione di tale principio è contenuta in una serie di norme che regolano
l'attività delle cooperative tra cui vanno ricordati la devoluzione del patrimonio a scopi di pubblica
utilità qualora la cooperative si sciolga (la capitalizzazione non è un patrimonio cooperativo ma
sociale) e il vincolo al versamento e alla remunerazione del capitale cosicché il fattore più importante
diviene il conferimento del socio (fattori produttivi che possono essere diversi ma con uguale
remunerazione = i grandi aiutano i piccoli). Oltre al principio mutualistico, la cooperazione è regolata
da altri due principi: la porta aperta e il principio democratico.
Il principio della porta aperta prevede che chiunque ne faccia domanda può entrare a far parte della
cooperativa purché rispetti le condizioni di ammissione previste. Tale principio è una regola necessaria
per praticare l'aconfessionalità delle cooperative, accrescenrne il "valore sociale" e garantirne la
gestione democratica (anche se in Italia è nota la differenza tra cooperative bianche e cooperative
rosse). Tra le condizioni di ammissione previste vale la pena sottolineare l'esistenza il più delle volte di
una clausola di gradimento in base alla quale lo status di socio non può essere comprato da chiunque
ma esiste la possibilità di giudizio da parte degli amministratori.
Infine, il principio democratico che può essere sintetizzato con la frase "una testa, un voto" serve a
garantire una sorta di gestione egualitaria. In tal modo ogni socio ha una rappresentatività in quanto
"essere umano" e non in proporzione alla ricchezza da lui investita nell'impresa.
Quando tali principi sono rispettati, le cooperative sono ammesse ad usufruire di facilitazioni, fiscali e
non, quali possibilità di avere finanziamenti a fondo perduto o a tasso agevolato, non tassazione di utili
non distribuiti (destinati a riserva) e dei patrimoni delle cooperative.
4.4. Gli organi sociali
La legge prevede per le società l'esistenza di alcuni organi sociali di cui disciplina il funzionamento. I
vincoli risultano più stringenti specie per le s.p.a., la forma societaria più complessa, che presentano:
assemblea degli azionisti, consiglio di amministrazione e collegio sindacale.
•
Assemblea degli azionisti. E' l'organo sovrano della società e svolge le funzioni volitive poiché
rappresenta l'organo all'interno del quale i comproprietari della società esercitano il loro diritto a
partecipare al governo dell'azienda. Ogni socio potrà esprimere un determinato numero di voti che è
proporzionale al quota di azioni che possiede. Il Codice Civile distingue le assemblee degli azionisti in
ordinarie e straordinarie.
- L'assemblea ordinaria deve essere convocata dagli amministratori almeno una volta all'anno
entro i quattro mesi successivi alla chiusura dell'esercizio e delibera a maggioranza
sull'approvazione del bilancio, sul riparto degli utili, sulla nomina di amministratori e sindaci.
- L'assemblea straordinaria, per la quale la legge prescrive che le decisioni siano prese con
maggioranze di voto più elevate rispetto a quelle previste per l'assemblea ordinaria, delibera
sulle modifiche dell'atto costitutivo (e, in particolare, sugli aumenti e sulle diminuzioni del
capitale sociale), sull'emissione di prestiti obbligazionari, sullo scioglimento anticipato della
società.
Perché le assemblee siano valide è necessaria la presenza di un "quorum" ovvero la presenza di un
numero di soci che rappresentino una certa quantità minima del capitale sociale (normalmente il 50%).
Se il "quorum" stabilito non viene raggiunto l'assemblea deve essere nuovamente convocata e, in sede
di seconda convocazione, i "quorum" vengono abbassati.
•
Consiglio di amministrazione (c.d.a.). Rappresenta l'organo con funzioni direttive al quale
compete di realizzare gli obiettivi indicati dall'assemblea degli azionisti guidando l'impresa e
dirigendola verso la realizzazione dei suoi fini. Essi sovrintendono all'attività aziendale avvalendosi
dell'opera degli organi con funzioni esecutive ai quali sono preposti gerarchicamente. Gli
amministratori possono anche non essere soci e sono nominati per un periodo non superiore ai tre
anni, sono rieleggibili e possono venir revocati dall'assemblea in ogni momento. I diversi
amministratori nominati eleggono al loro interno un presidente. Inoltre, poiché molto spesso il numero
di amministratori è molto elevato, per rendere più agile e sollecito il funzionamento del c.d.a., si
possono delegare alcune attribuzioni ad uno o più dei suoi membri (Consiglieri Delegati) oppure ad un
ristretto Comitato Esecutivo. La legge consente che la funzione direttiva nell'ambito della società
venga affidata anche ad una sola persona, che assume in tal caso la veste di Amministratore Unico.
Tra i principali doveri ricordiamo quello di tenere la contabilità ed i libri sociali, di redigere il bilancio
di esercizio accompagnandolo con una propria relazione sull'andamento della gestione e di convocare
l'assemblea degli azionisti.
•
Collegio sindacale. E' l'organo di controllo che vigila sulla regolarità formale e sostanziale
delle operazioni effettuate dagli amministratori e sulle osservanze delle disposizioni di legge e dell'atto
costitutivo. Il collegio sindacale è composto da tre o cinque membri effettivi e di due membri
supplenti, che possono anche non essere soci e restano in carica un triennio. Non si possono eleggere
parenti o affini, difendenti degli amministratori e chi è incapace di agire.
Tra i principali compiti dei sindaci vi è il controllo contabile, che consiste nell'accertamento della
regolare tenuta delle scritture e della veridicità del bilancio d'esercizio.
5. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Ogni attività umana organizzata fa nascere due esigenze: la divisione del lavoro in vari compiti da
eseguire e il coordinamento di questi compiti per portare a termine l’attività. L’organizzazione può
essere definita come il complesso delle modalità secondo le quali viene effettuata la divisione del
lavoro in compiti distinti e quindi viene realizzato il coordinamento tra tali compiti. Per analizzare
l'organizzazione interna di un'impresa bisogna perciò riconoscerne la struttura e i meccanismi
operativi.
5.1. La struttura
La struttura comprende i modi in cui le attività da compiere vengono ripartite tra i diversi operatori
pertanto esprime i criteri di fondo con cui si attua la divisione tecnica (più persone che svolgono lo
stesso lavoro) e funzionale (più persone che hanno funzioni diverse o partecipano a fasi diverse di
un lavoro) del lavoro.
La componente essenziale di una struttura organizzativa è l’organo aziendale. Per capire cosa sia
un organo aziendale conviene definire dapprima cosa significa compito, mansione e posizione:
• i compiti assegnati a ciascun operatore sono l’insieme di attività elementari rivolte al
perseguimento di un piccolo obiettivo;
• la mansione associata a ciascun operatore è l’insieme dei compiti di perrinenza di un operatore;
• la posizione dell’operatore è il ruolo che l’operatore ha all’interno di un organo aziendale ed è
definita dalla mansione che gli è conferita.
L’organo aziendale è l’insieme di più posizioni volte al perseguimento di una o più funzioni e a cui
sono assegnate le relative responsabilità (es.Organo aziendale: ufficio marketing; posizione: capo
servizio marketing Italia; compiti: collabora con direzione commerciale nella messa a punto
strategie, per formazione budget, controlla l’efficienza dell’attività commerciale, ....).
La struttura può essere analizzata nella sua dimensione verticale e orizzontale ovvero le modalità di
subordinazione tra gli organi in funzione di una determinata gerarchia e le modalità di
specializzazione degli organi in termini di diversità di funzioni.
• Gerarchicamente si distingue tra organi istituzionali, organi direttivi e organi operativi. Gli
organi istituzionali sono quelli di governo (assemblea dei soci o consiglio di amministrazione) o
di sindacato. Gli organi direttivi comprendono la direzione generale, le direzioni di funzione o di
divisione, gli organi direttivi di secondo, terzo,...., livello. Gli organi operativi sono quelli che
hanno funzioni riguardanti l’economicità dei signoli processi produttivi o di insiemi di
operazioni. In linea di massima nella progettazione dell’impresa si fa in modo di attuare il
principio di unità direttiva e di comando che prevede l’unicità della dipendenza gerarchica.
Questo per evitare l’insorgere di conflitti organizzativi.
• Gli organi possono essere specializzati per prodotto mercato o tecnica a seconda che il
responsabile coordina tutte le attività che si riferiscono ad un prodotto, cura tutti i prodotti
venduti su un mercato o coordina tutte le attività omogeneeda un punto di vista tecnico
economico.
Gli organi aziendali possono essere riclassificati in modo da riconoscere quali sono le componenti
fondamentali dell’assetto organizzativo di un’impresa. Si possono riconoscere 5 componenti
essenziali della struttura organizzativa di un’impresa: il nucleo operativo, il vertice strategico, la
linea intermedia, la tecnostruttura, lo staff di supporto.
Il nucleo operativo costituisce la base dell'organizzazione e si riferisce all'attività tipica di ciascuna
impresa. Comprende quindi gli operatori che svolgono l'attività fondamentale direttamente
collegata all'ottenimento dei prodotti e dei servizi. Pertanto rientrano in questa componente
coloro che procurano gli input per la produzione, quelli che trasformano gli input in output,
quelli che distribuiscono gli output, quelli che forniscono un supporto diretto a queste
operazioni (es. manutenzione macchine, gestione magazzini,...). Nelle organizzazione più
semplici gli operatori del nucleo operativo sono autosufficienti nel senso che coordinano il
proprio lavoro attraverso l'adattamento reciproco.
Il vertice strategico risponde ad un aumento delle dimensioni dell'impresa per cui nasce l'esigenza
di una divisione del lavoro di tipo direttivo. Il vertice strategico ha la responsabilità globale
dell'amministrazione e deve assicurare che venga assolta la missione individuata dai titolari
dell'azienda. Il v.s. assolve le sue funzioni in tre modi: con la supervisione diretta dell'operato
dei componenti sottostanti dell'organizzazione; con la gestione delle relazioni
dell'organizzazione con il suo ambiente; con la definizione della strategia di impresa.
La linea intermedia rappresenta una gerarchia di autorità che si frappone tra n.o. e v.s. In questa
componente rientrano i manager di linea che svolgono supervisione diretta al di sotto della
propria posizione, che raccolgono informazioni sulle performance della propria unità e le
trasmette al v.s., che contribuisce ad elaborare la strategia della propria unità.
La tecnostruttura si trova in organizzazioni ancora più complesse e risponde ad esigenze di
standardizzazione del lavoro. Fanno parte di questa componente gli ananlisti che progettano,
pianificano, modificano il lavoro ed addestrano le persone ma non lo eseguono (analisti del
lavoro, analisti di pianificazione e controllo, analisti del personale). Questa componente nono è
in linea gerarchica ma lavora all'esterno della linea (quindi in staff) a tutti i livelli dela gestione
organizzativa.
Lo staff di supporto rappresenta un'unità del sistema organizzativo che fornisce un supporto
all'attività aziendale esterno rispetto al flusso operativo dell'attività stessa (es. ufficio legale,
relazioni pubbliche, ricerca e sviluppo, amministrazione del personale, portineria, mensa
aziendale). A differenza della tecnostruttura queste unità non forniscono consigli nè
standardizzazione. Vengono integrate nell'azienda quando questa scelta diventa più conveniente
rispetto al ricorso al mercato.
5.2. I meccanismi operativi
I meccanismi operativi rappresentano le modalità previste con cui i membri dell’organizzazione
comunicano per lo svolgimento dei compiti assegnati. Essi tendono a produrre una pressione
organizzativa sui comportamenti in maniera da concretizzare le richieste e le apettative indicate
nella struttura.
I meccanismi operativi riguardano i processi di comunicazione, decisione, coordinamentto,
controllo, e valutazione.
1. I meccanismi di comunicazione riguardano la diffusione delle informazioni tra gli operatori di
un’organizzazione. Essi sono di solito formalizzati in procedure di comunicazione che di solito
prevedono l’impiego di forme scritte di trasmissione di dati o “moduli”. Oggi per il progresso
tecnologico si assiste ad un progressivo abbandono di questo supporto burocratico per l’adozione
di unità video collegate ad un C.E.D.
2. I sistemi di decisione, coordinamento e controllo riguardano i processi di elaborazione di scelte
(sottoforma di programmi), l’assicurazione della coerenza e della complementarietà dei
comportamenti delle diverse unità organizzative, e la misurazione dei risultati conseguiti con
ovvia azione di feed-back. Questi meccanismi sono di norma definiti come meccanismi di
controllo e, nelle organizzazioni più evolute, si fanno rientrare nei programmi di pianificazione e
controllo che concerne “la definizione di uno o più standard di riferimento, il confronto dei
risultati conseguiti con tali standard su base continua o periodica e l’assunzione di misure
correttive in presenza di scostamenti dagli standard”. In generale si può dire che i sistemi di P&C
riguardano la definizione dei compiti e dei comportamenti che si ottiene attraverso la
formulazione di obiettivi e di risorse.
3. I sistemi di valutazione del personale concernono le modalità con cui si valutano le prestazioni
degli operatori in termini di erogazioni di incentivi o disincentivi che in ultima analisi devono
servire a motivare professionalmente gli operatori. Normalmente gli incentivi più importanti
sono quelli monetari ma non c’è da sottovalutare altre forme di premio che soddisfano i bisogni
di stima (qualità dei rapporti interpersonali), di status (riconoscimenti formali quali macchina
d’ufficio), di potere (maggiori responsabilità), di autorealizzazione (maggiore autonomia). Il tutto
si traduce in avanzamenti di carriera intesi come assunzioni di posizioni più gradite all’individuo.
2. Gli schemi organizzativi fondamentali.
vedi fotocopie
6.ELEMENTI DI CONTABILITÀ’ E BILANCIO
6.1. BILANCIO DI ESERCIZIO
Il codice civile (art. 2424 e seg.) obbliga le società a redigere un bilancio di esercizio e a diffonderlo
depositandolo presso le cancellerie dei tribunali. In questo modo si vuole tutelare chiunque abbia
interessi per l’impresa (dagli azionisti di minoranza, ai fornitori, ai creditori, ai lavoratori, ai clienti,
allo Stato) garantendo la disponibilità di informazioni circa l’attitudine dell’impresa a realizzare
condizioni di equilibrio economico, patrimoniale e finanziario. In realtà il bilancio di esercizio è
reso obbligatori anche da finalità fiscali (Legge fiscale 684 e successive modifiche; codice tributario
art.598 e seguenti) poiché da esso deve apparire chiaramente il reddito imponibile.
Il bilancio di esercizio costituisce un insieme di documenti costituiti dallo Stato Patrimoniale, dal
Conto Economico, dalla Nota Integrativa e dalla Relazione sulla Gestione.
I primi due documenti si compilano sulla base della contabilità che giorno per giorno (anche se
esiste una tolleranza di 60 giorni) registra sul libro giornale e sui mastrini del libro mastro tutte le
operazioni di gestione in cui l’impresa è venuta a contatto con terzi. Alla fine di ogni esercizio si
procede alla chiusura di tutti i conti si sommano delle “scritture di assestamento” (integrazione e
rettificazione) per arrivare così ad una visione sintetica della gestione dell’impresa durante
l’esercizio.
6.1.1. Stato Patrimoniale
E’ il documento che fotografa la situazione del patrimonio dell’azienda in un determinato istante. Il
documento si compone di due sezioni contrapposte in un prospetto bilanciante (nel senso che il
totale delle due sezioni deve essere uguale). Le due sezioni sono denominate Attività e Passività e
netto.
− La sezione “Attività” elenca tutte le voci patrimoniali materiali e immateriali, tecniche e
finanziarie (cassa, crediti, rimanenze, fabbricati, impianti, brevetti, licenze, ecc.) di proprietà
dell’azienda e i diritti che essa vanta nei confronti di terzi.
− La sezione “Passività e netto” elenca invece i diritti che hanno sui beni dell’azienda i terzi
(debiti, mezzi finanziari a disposizione, obbligazioni) e gli azionisti (capitale netto).
Una seconda lettura dello stato patrimoniale complementare alla precedente è la lettura in chiave
finanziaria. In questo caso le due sezioni rappresentano gli impieghi e le fonti finanziarie ovvero i
valori patrimoniali che rappresentano operazioni le quali hanno assorbito o generato risorse
finanziarie.
Lo stato patrimoniale di un esercizio dipende dallo stato patrimoniale dell’esercizio precedente e
dalla dinamica finanziaria (andamento degli approvvigionamento e dell’impiego di mezzi
finanziari) dell’esercizio. I due profili sono fortemente connessi ma va specificato che per l’analisi
dell’equilibrio patrimoniale si fa riferimento all’equilibrio interno delle voci dello stato patrimoniale
mentre per equilibrio finanziario si fa riferimento all’analisi dei flussi finanziari.
6.1.2. Conto Economico
E’ il documento che si propone di rappresentare il risultato economico della gestione ovvero l’utile
o la perdita. Per tale motivo esso è costituito da componenti negativi di reddito (costi) e da
componenti positivi di reddito (ricavi). La differenza tra i due componenti fornisce il risultato
d’esercizio. A differenza dello stato patrimoniale qui non si rappresenta una situazione istantanea
ma una situazione dinamica nel senso che viene espresso il flusso di tutti i valori dei fattori di
produzione utilizzati e dei risultati della produzione ottenuti nell’intero periodo.
Fino al 1991 la rappresentazione dei costi e dei ricavi veniva data in due sezioni contrapposte. Dal
1992 si è avuta l’introduzione della nuova forma del Conto Economico (previsto dal Decreto Legge
n.127 del 9-4-1991) la cui rappresentazione è mostrata nell’articolo 2425 del codice civile. La
validità del nuovo schema consiste nel maggiore contenuto informativo ad esso connesso in quanto
esso consente di distinguere tra risultati operativi, risultati finanziari e risultati extragestionali.
6.1.3. Nota integrativa
Prima del D.L. 127/91 il bilancio di esercizio comprendeva solo un terzo documento, ovvero la
relazione degli amministratori. Ora tale documento risulta sdoppiato nei due documenti nota
integrativa e relazione sulla gestione.
La nota integrativa deve avere un contenuto che è previsto dall’art. 2427 c.c. ed articolato in 18
punti. In generale si può dire che questo documento ha una tipica funzione esplicativa dei valori
iscritti nei precedenti documenti.
6.1.4. Relazione sulla gestione
Il contenuto della relazione di gestione è specificato nell’art. 2428 c.c. in cui in pratica si chiede agli
amministratori di illustrare l’andamento della gestione e la situazione dell’impresa analizzata sotto i
tre profili, economico, patrimoniale e finanziario.
Il contenuto di questo documento è dettagliato in maniera meno precisa dalla legge ma in generale si
può dire che esso assolve ad una funzione integrativa, nel senso di fornire ulteriori informazioni che
non sono presenti nei due documenti contabili.
6.2. STATO PATRIMONIALE
La discussione delle voci contenute nello stato patrimoniale seguirà l’impostazione che di questo
documento ha previsto l’art. 2424 c.c. Innanzitutto occorre distinguere tra Attivo e Passivo e netto.
6.2.1. Attivo
Si costituisce di quattro parti fondamentali: crediti verso soci, immobilizzazioni, attivo circolante, e
ratei e risconti. Oltre a queste voci l’attivo dello stato patrimoniale contiene anche dei conti sotto la
riga (ovvero che non partecipano a formare il totale delle attività) che sono i conti d’ordine.
Crediti verso soci: si riferisce al versamento del capitale sociale: il socio sottoscrive il capitale
sociale ma non lo ha ancora versato.
Immobilizzazioni: si riferisce ai fattori di produzione ad utilità ripetuta ovvero utilizzabili in più
esercizi e che non hanno terminato la loro utilità nell’esercizio in questione. Da un punto di vista
finanziario sono impieghi durevoli di capitale.
Le immobilizzazioni si distinguono tra immateriali, materiali e finanziarie.
− Le immobilizzazioni immateriali sono rappresentate dai beni immateriali e dai costi ad utilità
poliennale: brevetti, marchi, costi di ricerca e sviluppo, costi di pubblicità, costi di impianto, di
ampliamento e di avviamento5. In questa categoria quindi faccio rientrare quei costi che si ritiene
di pertinenza non solo di questo esercizio poiché gli effetti saranno utilizzati anche nei prossimi
esercizi. Questa operazione è detta di “capitalizzazione dei costi” che si attua aumentando le
5
I costi di impianto sono le spese sostenute per la costituzione della società come forma giuridica ma anche quelle
sostenute per costituire la società come entità economica (ricerche di mercato in via preliminare, produzioni pilota, studi
di fattibilità,...). I costi di ampliamento sono analoghi ai precedenti ma riguardano l’impresa quando è in espansione.
L’avviamento si ha quando si acquista un’altra impresa per la quale bisogna pagare anche un prezzo per l’avviamento.
componenti positive di reddito. Bisogna fare attenzione a questa voce per il fatto che vi sono
aziende con risultati negativi che possono artificialmente migliorare i propri risultati ma anche
perché i costi di R&D o di pubblicità di norma sono continuativi (nel senso che queste attività
sono continuative).
− Le immobilizzazioni materiali sono i terreni, fabbricati industriali, impianti e macchinari,
attrezzature commerciali e industriali e immobilizzazioni in corso e acconti6.
− Le
immobilizzazioni finanziarie si dividono in partecipazioni, crediti costituenti
immobilizzazioni finanziarie e azioni proprie. Le partecipazioni sono azioni o quote di altre
società detenute in modo durevole e con possibilità di influire effettivamente sulla gestione
dell’impresa7. I crediti costituenti immobilizzazioni finanziarie sono quei crediti (finanziari o
commerciali) che verranno incassati oltre i prossimi 12 mesi. Una società può anche acquistare le
proprie azioni e in questo caso non fa nient’altro che rimborsare il capitale agli azionisti8.
L’effetto è quello di una decapitalizzazione che permane fino a quando non rivendo le quote sul
mercato.
Le immobilizzazioni materiali e immateriali partecipano alla formazione del risultato di esercizio
attraverso l’operazione di ammortamento con cui si ripartisce nel tempo, in più esercizi, il valore di
un fattore produttivo a fertilità ripetuta. Il totale cumulato delle quote di ammortamento annuali
vanno a formare i Fondi di Ammortamento che rappresentano il valore del bene che è stato finora
utilizzato (ammortizzato). Questi fondi vanno a rettificare le corrispondenti voci presenti nell’attivo.
Quando il Fondo Ammortamento è uguale al valore della relativa immobilizzazione, il bene resta in
bilancio, perché si continua ad utilizzarlo. Quando si aliena l’immobilizzazione (si vende o si
dismette) può darsi che il valore di realizzo sia maggiore o minore del valore non ammortizzato del
bene iscritto in bilancio. In questo caso si ha un ricavo o una perdita straordinaria (plusvalevenze o
minusvalenze da eliminazione o da realizzo).
Attivo circolante: si riferisce ai fattori di produzione ad utilità semplice ovvero a quei beni che si
rinnovano continuamente. Da un punto di vista finanziario sono impieghi di capitale a breve. In
questa classe distinguiamo le rimanenze, i crediti, le attività finanziarie non costituenti
immobilizzazioni e le disponibilità liquide.
− Nelle rimanenze vi rientrano le scorte in possesso dell’impresa alla chiusura dell’esercizio e
quindi le materie prime, sussidiarie e di consumo, i semilavorati e i prodotti finiti. Rientrano
anche gli acconti (ovvero i pagamenti anticipati fatti ai fornitori di materie prime) e i lavori in
corso di ordinazione (ovvero lo stato di avanzamento dei lavori su commessa di durata
poliennale tipo una strada o un acquedotto).
− I crediti sono tipicamente quelli commerciali ovvero che hanno alla base un’operazione di
vendita. E’ fatto obbligo dalla legge l’indicare in modo separato quanto del credito è esigibile
oltre i futuri 12 mesi.
− Le attività finanziarie non costituenti immobilizzazioni costituiscono tutte le partecipazioni che
non hanno le caratteristiche della durevolezza.
− Le disponibilità liquide sono i depositi bancari e postali, gli assegni e il danaro e i valori in cassa
dell’azienda.
Ratei e Risconti rappresentano crediti di questo esercizio nei confronti del seguente. Queste voci
nascono dalle scritture di rettifica e di integrazione che si fanno a fine esercizio e riguardano quelle
operazioni che sono a cavallo tra due esercizi ovvero manifestano asincronia tra manifestazione
monetaria e manifestazione economica.
6
Le immobilizzazioni in corso sono i costi sostenuti per gli edifici in costruzione. Gli acconti sono i pagaenti che faccio
in anticipo e in via parziale per l’acquisto di macchinari o impianti non ancora ricevuti.
7
Se la partecipazione è maggiore del 50% la società è detta controllata, se è maggiore del 20% è detta collegata.
8
Secondo il c.c. l’acquisto di azioni proprie può avvenire solo tramite utili non distribuiti.
− I ratei attivi sono dei ricavi che saranno riscossi nel prossimo esercizio ma sono di pertinenza di
questo esercizio (ad esempio ratei attivi su interessi attivi).
− I risconti attivi sono invece dei costi sostenuti in questo esercizio ma che si devono rimandare al
prossimo (esempio risconto attivo su premio assicurativo).
I conti d’ordine servono a dare ulteriori informazioni circa l’attivo e il passivo. Essi evidenziano
gli impegni di natura commerciale o finanziaria, i rischi (come le fidejussioni, gli avalli, i crediti
concessi con clausola pro-solvendo), i beni di terzi che sono in mia possesso o i beni di mia
proprietà che sono presso terzi.
6.2.2. Passivo e netto
Distinguiamo tra patrimonio netto, fondi per rischi ed oneri, trattamento di fine rapporto di lavoro
subordinato, debiti e ratei e risconti.
Il patrimonio netto è costituito da una serie di voci “ideali” il cui importo totale è dato dalla
differenza tra attività e passività. Esse rappresentano “idealmente”9 i diritti vantati dai proprietari
(soci, azionisti) sull’azienda. Il patrimonio netto si compone di tre componenti strutturali:
− il capitale sociale esprime il valore nominale dei conferimenti dei soci;
− le riserve rappresentano dei redditi messi a disposizione dell’impresa per accrescere i mezzi
propri investiti nel processo produttivo. Si distingue tra riserve di capitale, che traggono la loro
genesi da conferimenti fatti dai soci che non avvengono sotto la forma giuridica del capitale
sociale10, e riserve di utile, che nascono dalla mancata distribuzione del reddito d’esercizio11;
− l’utile d’esercizio rappresenta il risultato di gestione e rimane tra i componenti del patrimonio
netto finché non si decida la sua destinazione.
I fondi per rischi ed oneri comprendono i fondi spese future e i fondi rischi.
− Nel primo caso vanno quelle spese che è di competenza di questo esercizio ma sosterrò in futuro.
Si differenzia dai ratei perché c’è certezza dell’evento ma incertezza dell’ammontare12.
− I fondi rischi si differenziano dai precedenti perché c’è incertezza anche sull’evento oltre che
sull’ammontare13.
Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato si riferisce alla liquidazione dei dipendenti
ovvero quanto si paga al lavoratore al momento della cessazione del contratto. Si tratta di una forma
di retribuzione differita che per la cassazione va sempre e comunque corrisposto (qualunque sia la
causa che fa cessare il rapporto).
I debiti devono essere indicati specificando per ciascuna categoria gli importi esigibili oltre
l’esercizio successivo. In questa categoria si distinguono debiti di finanziamento e debiti di
funzionamento.
9
Idealmente perché non sempre esso corrisponde alla reale differenza tra attività e passività al momento della
liquidazione dell’azienda.
10
Sono riserve di capitale le riserve di sovrapprezzo e le riserve di valutazione. Nel primo caso la riserva nasce (specie
in caso di aumenti del capitale) se io vendo azioni che nominalmente valgono 1000 per 1500. La differenza va nella
riserva. Le riserve di valutazione si possono avere quando per legge viene concessa la facoltà di rivalutare determinati
immobili (Visentini, Visentini bis).
11
Si distingue tra riserve legali, riserve statutarie, altre riserve. L’art. 2430 c.c. prevede che ogni anno debba essere
preso dall’utile il 5% per costituire una riserva fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del acapitale sociale. Lo
statuto della società può prevedere altre parti di utile da destinare a riserva mentre nella voce “altre” rientrano quelle
riserve che non rispondono ad obblighi.
12
In questi fondi vanno i trattamenti di quiescenza che riguardano i pagamenti integrativi alle pensioni dei propri
lavoratori che le aziende possono prevedere per il fatto che le pensioni che essi ricevono dallo Stato sono al di sotto di
una soglia prevista.
13
Tra i fondi rischi rientra il Fondo Imposte che raccoglie le imposte incerte dovute al fatto che il Fisco può entro 5 anni
dalla dichiarazione dei redditi fare l’accertamento di rettifica. Se il contribuente fa ricorso (entro 60 giorni) allora
l’onere tributario è incerto nell’evento e nell’ammontare in funzione del giudizio delle commissioni tributarie.
− Tra i debiti finanziari rientrano obbligazioni e obbligazioni convertibili (che alla fine del corso
possono essere trasformate in azioni della società per cui si tramuterebbero in capitale sociale),
debiti verso banche e debiti verso altri finanziatori.
− I debiti di funzionamento racchiudono gli acconti ricevuti dai propri clienti, i debiti verso i
fornitori, i debiti cambiari (dovuti all’emissione di titoli di credito quali le cambiali), i debiti
tributari14 e i debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale15.
6.3. CONTO ECONOMICO
Per analizzare le voci del conto economico si può fare riferimento allo schema previsto dal codice
civile che prevede la contrapposizione di ricavi e costi in modo da evidenziare i diversi margini
della gestione.
6.3.1. Valore della produzione
E’ il valore dei risultati produttivi ottenuti. Esso si ottiene dalla somma di diverse voci di cui le
principali sono:
− i ricavi delle vendite che rappresentano la somma degli importi di tutte le fatture relative alle
merci (o servizi) emesse nel periodo. Tale voce no comprende l’I.v.a. sulle vendite;
− le variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti (riman.
finali-riman. iniziali). Questa voce serve ad individuare quale è stato il valore della produzione
effettivamente ottenuta nell’esercizio. Infatti posso aver venduto più di quanto abbia prodotto se
ho utilizzato parte delle scorte (diminuzione delle rimanenze).
Esempio:
Riman. iniziali Prod. ottenuta Prod.venduta Riman. finali
50
200
220
30
6.3.2. I costi della produzione
Comprendono i costi operativi, ovvero quei costi che si devono sostenere per condurre l’attività
tipica dell’impresa Tra questi:
− i costi per l’acquisto delle materie prime e per i servizi;
− il costo del lavoro che comprende i salari, gli stipendi, gli oneri sociali e le quote per il T.F.R. e
per il trattamento di quiescenza;
− gli ammortamenti per le immobilizzazioni materiali e immateriali;
− le svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante;
− gli accantonamenti per rischi;
− le variazione delle rimanenze delle materie prime (riman. iniziali- riman. finali) poiché i costi
devono essere riferiti solo ai costi delle materie prime effettivamente utilizzate e non a quelle
utilizzate.
14
L’impresa paga IRPEG e ILOR versando entro la fine di novembre un acconto e, entro un mese dalla presentazione
del bilancio, il conguaglio. Per questo al momento della stesura del bilancio sono in presenza di un debito certo per la
manifestazione e l’ammontare nei confronti del fisco costituito appunto dal conguaglio. Lo stesso meccanismo avviene
per il pagamento mensile dell’IVA poiché l’impresa paga l’IVA sugli acquisti, l’incassa sulle vendite e deve versare la
differenza all’Erario entro il 20 del mese successivo. Per cui si trovano solo i debiti di dicembre. Lo stesso meccanismo
vale per il pagamento delle ritenute fiscali dei dipendenti.
15
Lo stesso meccanismo di pagamento mensile visto per l’IVA vale per il versamento dei contributi all’INPS e simili.
6.3.3. Proventi ed oneri finanziari
In questa classe rientrano gli interessi attivi e quelli passivi dovuti a rapporti con le banche,
all’emissione di obbligazioni, a rapporti con società consociate, controllate o controllanti, al
possesso di titoli.
6.3.4. Rettifiche di valore di attività finanziarie
Rientrano le minusvalenze e le plusvalenze da valutazione ovvero quei ricavi o costi che derivano
solo dal cambiamento di valutazione del bene e non dalla vendita. Esse possono essere riferite a
partecipazioni, immobilizzazioni finanziarie e titoli che non costituiscono partecipazioni.
6.3.5. Proventi e oneri straordinari
Vi rientrano le minusvalenze e le plusvalenze da alienazione16.
6.4. L’ANALISI DI BILANCIO
Il bilancio è sicuramente un documento utile per conoscere la gestione di un’impresa poiché
l’oggetto esplicito dei due documenti contabili è quello di misurare in maniera congiunta il risultato
di esercizio e il capitale di funzionamento (ovvero il patrimonio dell’azienda alla fine
dell’esercizio). Ciò nonostante bisogna considerare i limiti connaturati con il fatto l’informazione
che esso fornisce per i terzi è minima e certamente non completa. Ovviamente maggiori sono gli
interessi nell’impresa, maggiori saranno le informazioni richieste.
Le analisi di bilancio rispondono all’esigenza di avere una conoscenza più precisa dell’impresa.
Esse possono essere definite come “tecniche di confronto di dati tratti da più bilanci di esercizio e
comparati nel tempo (serie storica) o nello spazio (cross-section) per studiare aspetti di gestione
complementari alla misura del reddito di esercizio e del capitale di funzionamento”.
Partendo dai documenti contabili del bilancio di esercizio e possibilmente con l’utilizzo di
informazioni aggiuntive, si effettuano conteggi, calcoli e rielaborazioni che conducono a Bilanci
riclassificati ovvero differenziati e pronti per l'individuazione di un insieme di indicatori che, da
un punto di vista tecnico, somigliano molto ai risultati delle analisi mediche o chimiche, ovvero
sono sintomatici del fenomeno che si sta misurando.
In generale si può dire che attraverso il sistema dei dati espressi nel bilancio è possibile ricavare un
insieme di indici che favoriscono la conoscenza dell'impresa (dei suoi punti di forza e delle sue
debolezze) e contribuiscono alla formulazione di previsioni sugli andamenti futuri della gestione.
Dall'esame degli elementi contenuti nei bilanci le informazioni più importanti che si possono
ricavare riguardano:
1. la struttura finanziaria;
2. le determinanti del risultato del periodo;
6.4.1. L’analisi dello stato patrimoniale
Per giudicare circa la possibilità di una sopravvivenza profittevole nel tempo dell'azienda è
necessario constatare non solo il perseguimento di obiettivi economici ma anche la capacità
dell'impresa di superare eventuali periodi di congiuntura sfavorevoli e di attuare strategie di crescita
16
vedi Attivo circolante (voce: immobilizzazioni)
senza aumentare eccessivamente il livello del rischio finanziario. Per rispondere a questa necessità
utili informazioni si possono ricavare dalla valutazione della composizione quali-quantitativa delle
fonti e degli impieghi di capitale così come riportate nello Stato Patrimoniale.
Il primo passo è quello di riclassificare lo Stato Patrimoniale secondo il criterio della liquidità
degli impieghi e della esigibilità delle fonti così da poter confrontare i valori patrimoniali secondo le
rispettive attitudini a generare o ad assorbire risorse finanziarie.
Gli impieghi risulteranno così distribuiti:
DLI = Liquidità immediate ovvero i mezzi di pagamento e assimilati;
DLD = Liquidità differite ovvero crediti a breve termine (destinate a trasformarsi in denaro
nell’arco dei 12 mesi successivi all’esercizio);
RIM = Rimanenze che anche se generano entrate nei prossimi 12 mesi rappresentano un maggior
rischio di realizzo, specie nell’agro-alimentare, legato a eventuali errori di lavorazione, ad un
loro possibile deterioramento, a rischi commerciali, o ancora all’incasso dei crediti;
IMM = Impieghi fissi, ovvero gli impieghi che non daranno luogo ad entrate nei prossimi 12 mesi.
Le fonti saranno distinte in:
PL
= passività liquide o debiti correnti che danno luogo ad esborsi entro il prossimo esercizio;
PML = passività a medio-lungo termine ovvero debiti consolidati, che non scadono nei prossimi
12 mesi (ci va dentro anche T.F.R. e fondo imposte, a meno che non sappia che stiano per
chiudersi);
MP
= mezzi propri ovvero fonti senza obbligo di rimborsi.
Dopo aver riclassificato il bilancio è possibile passare alla fase di costruzione degli indici:
− si può fare un’analisi (piuttosto semplice) basata su indicatori percentualizzati degli impieghi e
delle fonti che chiariscono l’incidenza delle singole poste sul totale delle attività e delle passività
− un’analisi più approfondite della struttura patrimoniale è quella che riguarda invece la posizione
di liquidità e quella di solvibilità e solidità delle imprese17.
Attraverso l’analisi di liquidità è possibile verificare in che misura la combinazione qualiquantitativa di impieghi e fonti consenta di mantenere equilibrati flussi finanziari nel breve periodo.
In pratica si vuole segnalare l'attitudine dell'impresa a fronteggiare gli esborsi per il pagamento dei
debiti a breve con i mezzi derivanti dal rientro degli impieghi a breve. Tra gli indici più
comunemente utilizzati per valutare la liquidità di un’impresa si ricordano il capitale circolante
netto (CCN) e l'indice di liquidità secondaria (o corrente) che si ricavano rispettivamente per
differenza e per rapporto tra gli impieghi circolanti e le fonti a breve. Il CCN può essere negativo o
positivo. Nel primo caso significa che nei prossimi 12 mesi i flussi in uscita supereranno i flussi in
entrata e ovviamente l'opposto è vero nel secondo caso. La stessa situazione è verificabile per il
secondo indice a seconda che esso assuma un valore inferiore o superiore all'unità.
I due indici possono assumere una rilevanza ancora maggiore se vengono escluse le rimanenze di
esercizio che rappresentano la voce del capitale circolante lordo che presenta il maggior rischio
nell'essere accolta come liquidità immediate. Da questa operazione si ottengono due nuovi indici
analoghi ai precedenti, ovvero il margine di tesoreria e l'indice di liquidità primaria (o immediata).
Con gli indicatori di solidità e solvibilità strutturale ci si propone di indagare una generale
attitudine dell’impresa ad avere una struttura patrimoniale complessiva equilibrata la quale a sua
volta è una premessa per una ordinata gestione finanziaria non solo nel breve ma anche nel lungo
periodo. Per valutare la solidità patrimoniale dell'impresa i più comuni indicatori utilizzati sono
17
Gli indici che si ottengono dal confronto tra attività e passività possono essere espressi in valore assoluto o in forma
proporzionale a seconda che si ricavino tramite differenza o rapporto tra indicatori semplici. Ovviamente le esigenze
conoscitive che le due tipologie di indici soddisfano sono diverse. Nel caso di dover operare dei confornti nel tempo o
nello spazio gli indicatori in forma di rapporto appaiono più appropriati.
invece il margine di struttura e l'indice di copertura immobilizzi. Essi si ottengono rispettivamente
per sottrazione o per rapporto tra mezzi propri e impieghi fissi. Il margine di struttura è positivo
quando le fonti finanziarie senza obblighi di rimborso eccedono gli impieghi caratterizzati da un
rientro finanziario graduale ed indiretto (tramite gli ammortamenti). L'indicatore sarà negativo
quando gli impieghi fissi sono in parte coperti dall'indebitamento verso terzi. Corrispondentemente
l'indice di copertura del capitale fisso sarà superiore o inferiore all'unità. Un giudizio di valore
positivo sulla struttura degli impieghi e delle fonti si può esprimere quando l'indice di copertura è
superiore all'unità poiché ciò è premessa indispensabile per uno svolgersi ordinato dei processi
finanziari nella successione fabbisogni-copertura di mezzi finanziari. Se l’indice fosse inferiore
all’unità allora vorrebbe implicherebbe una struttura finanziaria più debole per il fatto che i recuperi
finanziari derivanti dalle quote di ammortamento (autofinanziamento improprio) servirebbero al
rimborso di mezzi di terzi.
Altri due indicatori molto importanti sono il grado di indebitamento che indica la proporzione con
cui l’impresa ricorre all’esterno rispetto ai mezzi propri, e il grado di indipendenza finanziaria che
misura invece l’indipendenza dai mercati finanziari e quindi l’attitudine della struttura ad ulteriori
espansioni.
6.4.2. Analisi del conto economico
A partire dallo schema di conto economico imposto dall’applicazione della IV Direttiva
comunitaria si può ottenere un nuovo conto economico a scalare che consente di analizzare la
gestione dell’impresa in funzione dei suoi diversi aspetti ovvero distinguendo tra: la gestione
operativa, cioè l'attività di acquisto, trasformazione e vendita. Il margine generato dalla gestione
caratteristica si ottiene dai ricavi netti di vendita sottraendo i costi di trasformazione che si
riferiscono al processo produttivo; la gestione finanziaria volta a reperire, al minore costo, i mezzi
necessari al funzionamento e all'espansione dell’impresa; la gestione straordinaria che rende conto
degli effetti e degli eventi che non sono frequenti nella vita aziendale.
A partire dal fatturato netto e con una modalità “a cascata” si determinano pertanto dei saldi
intermedi o margini. Si ottiene così:
− il valore aggiunto pari al fatturato meno il costo della produzione venduta (acquisti più
variazione delle rimanenze). Questo margine esprime ciò che viene aggiunto dall’impresa al
valore delle materie prime impiegate nel processo di produzione;
− il risultato operativo è pari alla voce precedente meno i costi operativi netti (lavoro, servizi,
ammortamenti,...). Esso rappresenta la capacità di produrre ricchezza dell’impresa e pertanto è
un indicatore sintetico di efficienza;
− il risultato della gestione caratteristica è pari al risultato operativo meno gli oneri finanziari netti.
E’ il risultato che l’impresa riesce ad ottenere nella sua attività tipica (ovvero acquistoproduzione-vendita) insieme con i problemi di finanziamento.
− il risultato ante-imposte è pari alla voce precedente a cui sono aggiunti i proventi e detratti i costi
non caratteristici;
− il risultato d’esercizio si ricava dal precedente per sottrazione delle imposte.
Sulla base del conto economico così riclassificato si possono costruire indicatori in grado di
supportare nell’analisi della valutazione dell’impatto delle singole determinanti della redditività
aziendale. In tale ottica è possibile utilizzare lo schema di analisi che valuta la redditività
dell'impresa secondo i tre classici indici: il ROE, il ROI e l'indice di indebitamento.
L’indicatore di estrema sintesi della gestione dell’impresa è l’indice della redditività del
capitale netto o R.O.E. (return on equity) che si calcola come rapporto tra l’utile netto e il capitale
investito nell’azienda a titolo di rischio. In pratica questo indice è costruito per servire come
parametro di riferimento per gli azionisti che intendono sapere quale sia il rendimento dei propri
capitali investiti in azienda18. Le dimensioni di questo indice possono essere determinate da una
serie di cause. In generale un alto R.O.E. è riflesso di un efficiente management.
Per esplicare in maniera quanto più completa possibile l’effetto delle singole determinanti
gestionali sulla redditività del capitale di rischio si può utilizzare l’equazione della redditività.
Nell’equazione sono messe in evidenza la redditività del business (R.O.I.), la gestione finanziaria
intesa come grado di indebitamento e costo dei capitali, l’incidenza della gestione straordinaria e
fiscale:
U 19
T

R.O.E. = R.O.I. + ( R.O.I. - i) x  x
Ri
C

La redditività del capitale investito o R.O.I. (return on investments) è pari al rapporto tra il
reddito operativo e i capitali investiti in azienda. Questo indice esprime il tasso di rendimento delle
attività dell’azienda a prescindere dal mix di finanziamenti utilizzato, dalla gestione straordinaria e
da quella fiscale. Proprio per queste sue caratteristiche oltre a rappresentare l’efficacia del
18
Nei confronti tra investimenti alternativi va valutato se il R.O.E. ha un valore nominale o reale. Infatti se si usano
come termine di confronto il rendimento delle obbligazioni si può affermare che l’interesse nominale periodico
rappresenta sia la remunerazione del capitale impiegato sia la perdita di potere di acquisto dello stesso. Nel caso di
investimenti in azioni il ROE ha valenza reale quanto più le attività mantengono il loro valore reale nel tempo. In questi
casi l’azionista oltre ai dividendi considera la possibilità dell’incremento di valore delle azioni nel tempo che a sua volta
dipende dalla capacità dell’impresa di formulare strategie di successo nel tempo.
19
Partendo dall’equazione del R.O.E.:
U
C
R.O.E. =
(1)
in cui U è l’utile di esercizio e C è il capitale netto, essa si può riscrivere come:
R.O.E. =
Rc
U
x
C
Rc
dove Rc rappresenta il risultato della gestione caratteristica. Poiché Rc si ottiene per differenza tra il risultato operativo
(Ro) e gli oneri finanziari (Of) si può riscrivere la (1) in questo modo:
U
 Ro Of 
R.O.E. = 
(2)
−
 x Rc
 C
C
che poi diventa:
U
K Of
T
 Ro
x
−
x
 x
 K
Rc
C
T
C
R.O.E. = 
(3)
dove K rappresenta il capitale complessivo investito in azienda mentre T rappresenta solo il capitale di terzi presente in
azienda. Poichè K = C + T, si avrà:
K
T
=1+
C
C
per cui la (3) diventa:
R.O.E. =
U
Ro
T Of
T
 Ro
+
x
−
x  x

 K
K
C T
C
Ri
e raggruppando si ottiene:
RO.E. =
Indicando con R.O.I. =
U
 Ro
 Ro Of  T 
 K +  K − T  x C  x R


i
Ro
Of
ei=
la (4) diventa:
K
T
U
T

R.O.E. = R.O.I. + ( R.O.I. - i) x
x


C R i
(4)
(5)
management questo indice è considerato un indicatore dell’attrattività del settore in cui opera
l’azienda20.
Per quanto concerne la gestione finanziaria un primo indicatore che si inserisce
nell’equazione della redditività e che offre interessanti informazioni è rappresentato dal costo
medio dell’indebitamento finanziario che abbiamo indicato con i e si ottiene dal rapporto tra gli
oneri finanziari e i debiti esplictamente onerosi21. Questo indice messo a confronto con il precedente
determina l’azione della leva finanziaria sulla redditività netta dell’azienda nel senso che quando la
differenza tra la redditività dei capitali investiti in azienda e dal costo medio del debito è negativa
(leva finanziaria negativa) la redditività netta viene penalizzata dalla gestione finanziaria
Il concetto di leva finanziaria (leverage), ampiamente conosciuta in letteratura, misura la
capacità dell’imprenditore di utilizzare i capitali presenti in azienda con un saggio superiore al costo
del debito. Infatti, quando il Roi è superiore ad i la leva finanziaria avrà segno positivo; il tutto
T
subirà l’effetto della magnitudine , che amplificherà o attenuerà l’effetto leverage.
C
A completare l’equazione della redditività intervengono infine tutti quei componenti
straordinari del reddito che esulano dalla gestione caratteristica quali ad esempio gli oneri e i
proventi straordinari ma soprattutto le imposte. Se non intervenissero fattori eccezionali l’indice che
misura l’impatto di queste componenti sul reddito finale dovrebbe oscillare intorno a valori costanti
che si aggirano intorno a 0,6 poiché l’imposta sul reddito delle persone giuridiche è tipicamente
un’imposta proporzionale con aliquota fissa del 36%.
Per un ulteriore analisi della redditività operativa si può andare a disaggregare il R.O.I.
nelle sue componenti classiche ovvero la redditività delle vendite o R.O.S. (return on sales) e il
tasso di rotazione del capitale investito o turnover.
Il R.O.S. esprime una quantità di cose ma essenzialmente la capacità dell’impresa di
realizzare, attraverso il controllo dei costi e le politiche di vendita, dei margini sempre più elevati.
Per come esso viene costruito, l’altezza del R.O.S. riflette una maggiore redditività delle vendite
mentre una sua diminuzione sarebbe dovuta ad un aumento dell’incidenza dei costi operativi sulle
vendite di periodo.
L’indice di rotazione del capitale investito fornisce essenzialmente informazioni di due
tipi: sull’intensità del capitale e sull’efficienza nell’utilizzo dei fattori produttivi nel senso che più
l’indice è alto tanto maggiore è il flusso di vendite generato da un certo capitale investito e quindi
più efficiente è l’utilizzo dello stesso.
20
E’ importante ai fini di un suo corretto utilizzo individuare quale sia il volume degli investimenti da considerare al
denominatore. Infatti è opportuno inserire nel capitale investito solo il capitale di rischio e quei capitali di terzi negoziati
sui mercati monetari e finanziari che prevedono un relativo onere finanziario indicato tra i costi di impresa. Vanno
pertanto esclusi i debiti verso i fornitori, caratterizzati da interessi impliciti, e i fondi spese e rischi (quali il fondo
T.F.R.).
21
Questo indice può dare solo indicazioni tendenziali della capacità dell’impresa di acquisire debito perché è pur
sempre un confronto tra valori flusso e valori fondo nel senso che non sempre i valori di indebitamento di fine periodo
sono quelli medi dell’anno con ovvi riflessi sulla significatività dell’indice.
7. VALUTAZIONE ECONOMICA DELL’INVESTIMENTO
Una qualsiasi operazione di investimento non può essere concepita come un’iniziativa autonoma ma
si inserisce in una specifica realtà aziendale. Ciò significa che possono essere individuati due livelli
di analisi degli investimenti: l’uno sul piano della coerenza rispetto alla strategia che l’impresa
intende seguire, l’altro concernente la determinazione degli effetti dell’iniziativa sulla ricchezza
degli azionisti dell’impresa.
Di seguito, si procederà analizzando gli aspetti tecnici connessi con il secondo livello di analisi
considerando, però, la valutazione dell’iniziativa di investimento priva di legami con l’unità
preposta alla sua realizzazione ossia in modalità stand alone. Le risultanze si potranno facilmente
estendere in un secondo momento all’analisi dei problemi connessi alla medesima valutazione
inserita nel contesto aziendale.
Come è noto, il valore di un’iniziativa dipende da tre fattori:
- i flussi monetari che essa è in grado di generare (risultati monetari contro risultati contabili);
- il profilo temporale associabile ai flussi stessi (principio dell’attualizzazione);
- la situazione di incertezza che caratterizza lo sviluppo dei risultati dell’iniziativa (profilo di
rischio).
L’individuazione di questi elementi richiede l’analisi delle caratteristiche dell’iniziativa, la
qualificazione dell’incertezza (attraverso la ricerca e l’analisi dei fattori di rischio), il profilo di
rischio dell’iniziativa, la riduzione dei risultati riconducibili alle ipotesi adottate a un unico risultato
atteso, la determinazione del valore creato dall’iniziativa.
Senza voler entrare nel dettaglio alle metodologie per la qualificazione del rischio si può ricordare
in sintesi che l’apprezzamento del grado di convenienza di un progetto richiede il confronto tra il
valore attuale lordo dell’investimento e l’ammontare di risorse richieste per la sua realizzazione. La
differenza tra questi due termini esprime il valore attuale netto (VAN) dell’investimento e quindi la
sua qualità economica.
Analiticamente il VAN è dato dalla somma algebrica dei flussi di cassa attesi attualizzati
all’appropriato costo opportunità del capitale, ossia corrisponde al valore attuale dei flussi monetari
in entrata al netto dell’esborso complessivamente sopportato.
N
Ft
VAN = Σ ________
t=0 (1 + K)t
dove:
F = flusso di cassa atteso
K = costo opportunità del capitale rilevante
N = durata dell’investimento
Le forze all’origine dei movimenti monetari che costituiscono il VAN si identificano nel ciclo
acquisti-trasformazione-vendite, nel profilo fiscale e nella gestione degli investimenti produttivi.
Durante il periodo di realizzazione tecnica del progetto i flussi di cassa operativi negativi
coincidono con l’esborso causato dal progetto medesimo mentre, quando l’investimento entra a
regime, il flusso di cassa operativo assume la configurazione di flusso di cassa della gestione
corrente.
Le implicazioni sono oltremodo esplicite. Un VAN positivo quantifica l’incremento di valore
prodotto dall’investimento come se fosse disponibile in un’unica soluzione all’atto della sua
valutazione; un VAN negativo misura invece la distruzione di valore provocata dall’investimento
nel caso in cui venisse accettato.
Il criterio del VAN è coerente con l’obbiettivo gestionale dei manager di massimizzare la ricchezza
degli azionisti e quantifica il maggior valore che l’impresa verrebbe ad avere con l’accettazione
dell’investimento. Parallelamente, un ulteriore elemento da considerare può essere il tasso interno di
rendimento (TIR) che costituisce il saggio di sconto al quale il VAN si annulla.
In generale, comunque, il VAN rappresenta una misurazione in termini assoluti del valore creato da
un investimento. Per ottenere una misurazione in termini relativi, cioè in rapporto alle risorse
finanziarie impegnate per la realizzazione di un’iniziativa, è sufficiente effettuare un confronto tra
valore attuale netto generato dall’iniziativa stessa ed esborso iniziale necessario per la sua
realizzazione. Si ottiene così l’indice di rendimento dato dal rapporto tra VAN ed esborso iniziale.