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CONFIMI
Rassegna Stampa del 07/11/2014
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INDICE
CONFIMI
07/11/2014 Cronaca del Veneto
VERONA E VICENZA INSIEME PER LA FESTA DELL'IMPRENDITORIA
6
07/11/2014 Cronaca di Verona
VERONA E VICENZA INSIEME PER LA FESTA DELL'IMPRENDITORIA
7
07/11/2014 La Voce di Mantova
Le filastrocche di Rodari domenica pomeriggio a Marmirolo
8
SCENARIO ECONOMIA
07/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Il presidente finlandese: «Aspettiamo dal 2007 che Roma faccia le riforme»
13
07/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
I Tango bond e lo spiraglio per 75 mila creditori italiani
15
07/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Aumento Mps sul mercato, lo Stato non diventerà socio»
16
07/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Lo stipendio in cauzione dei manager Unindustria
18
07/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Piaggio studia il trasloco del quartier generale a New York
19
07/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'arma impropria del fisco europeo
20
07/11/2014 Il Sole 24 Ore
La terapia di Francoforte non basta senza riforme
21
07/11/2014 Il Sole 24 Ore
Orlandi: con la tracciabilità via gli scontrini fiscali Studi di settore, si cambia
23
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Draghi: "L'economia peggiora Bce unita su misure eccezionali"
25
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
L'ultima beffa del Fisco vent'anni dopo cancella gli scontrini
27
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Gli acquisti di bond solo se riesplode la crisi si rischia di arrivare tardi"
29
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Mai stati amati dagli italiani bisogna colpire il lavoro nero"
30
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Pago per cenare con lui Matteo ridà entusiasmo anche a noi imprenditori"
31
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Risiko delle utility A2a snobba Iren e punta a diventare il polo aggregatore della
Lombardia
32
07/11/2014 La Repubblica - Nazionale
"Google è il motore del privilegio ora paghi tutti i diritti agli editori"
33
07/11/2014 MF - Nazionale
Dopo gli stress test le banche devono rinfrescare le filiali
35
07/11/2014 MF - Nazionale
Montezemolo designato presidente, Hogan vice
36
07/11/2014 MF - Nazionale
Avremo un patrimonio di qualità
37
07/11/2014 MF - Nazionale
PUR MESSE ALLE CORDE MPS E CARIGE HANNO DATO RISPOSTE GIUSTE
39
07/11/2014 L'Espresso
Ciò che rimane dei poteri forti
40
07/11/2014 L'Espresso
Chi ha ucciso la concertazione
41
07/11/2014 L'Espresso
Il buco nero delle tasse
42
07/11/2014 L'Espresso
Ecco gli italiani col fisco su misura
46
07/11/2014 L'Espresso
Quelle buonuscite di Luxottica
49
07/11/2014 L'Espresso
Il greggio a 50 dollari scenario possibile
50
SCENARIO PMI
07/11/2014 Corriere della Sera - Brescia
Gli imprenditori ci credono ancora: «Insieme per salvare il nostro manifatturiero»
53
07/11/2014 Il Sole 24 Ore
Solo l'export «salva» l'industria
54
07/11/2014 ItaliaOggi
CHESSIDICE IN VIALE DELL'EDITORIA
56
07/11/2014 MF - Nazionale
Industria, ripresa in vista nel 2015
58
CONFIMI
3 articoli
07/11/2014
Cronaca del Veneto
Pag. 5
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Cronaca di Verona
VERONA E VICENZA INSIEME PER LA FESTA DELL'IMPRENDITORIA
Vi nc enz a Fr as c a Si chiama Festa dell'Impre nditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani, presieduto da
Alessandro Ferrari , Api don ne di Verona, presieduto da Maria Scavini e Apidonne Vi cenza, presieduta da
Giusep pi na Grimaldi , ed avrà luogo questa sera, venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona. "La festa
dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apin du stria, associazione im pren ditoriale che su
Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per creare
unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega Vin cen za Frasca , ideatrice del progetto e Vice
Presidente Nazionale Multi servizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria par te cipano non solo Apindustria
Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'In du stria Ma ni fatturiera Italiana e dell'Im presa
Privata alla quale aderi scono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di circa 70
miliardi di euro". Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a
diventare un incontro continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le
associazioni, per avere più voce a livello nazio nale ed istituzionale. Al es s andr o Fe r r ar i
CONFIMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
6
07/11/2014
Cronaca di Verona
Pag. 5
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APINDUSTRIA
VERONA E VICENZA INSIEME PER LA FESTA DELL'IMPRENDITORIA
Vi nc enz a Fr as c a Si chiama Festa dell'Impre nditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani, presieduto da
Alessandro Ferrari , Api don ne di Verona, presieduto da Maria Scavini e Apidonne Vi cenza, presieduta da
Giusep pi na Grimaldi , ed avrà luogo questa sera, venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona. "La festa
dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apin du stria, associazione im pren ditoriale che su
Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per creare
unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega Vin cen za Frasca , ideatrice del progetto e Vice
Presidente nazionale Multi servizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria par te cipano non solo Apindustria
Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'In du stria Ma ni fatturiera Italiana e dell'Im presa
Privata alla quale aderi scono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di circa 70
miliardi di euro". Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a
diventare un incontro continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le
associazioni, per avere più voce a livello nazio nale ed istituzionale. Al es s andr o Fe r r ar i
CONFIMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
7
07/11/2014
La Voce di Mantova
Pag. 16
Gli attori sul palco Le filastrocche di Gianni Rodari in scena domenica pomeriggio al Teatro Comunale di
Marmirolo. Alle ore 16.30 Fondazione Aida presenta "Un treno carico di filastrocche" (dai 4 anni). Lo
spettacolo, che mette insieme le più belle e significative filastrocche rodariane, porta il pubblico in un viaggio
a bordo di un treno magico, capace di arrivare nei luoghi più fantasiosi, far conoscere le persone più bizzarre,
essere oggetto di strane trasformazioni: i sedili ad esempio "diventano letti e poltrone, i finestrini diventano
davanzali, vetrine e teatrini di burattini". Gli interpreti, M. Vittoria Barrella, Gioele Piccenini, Sara Tamburello ,
hanno il compito di solleticare la curiosità, di alimentare la creatività dei più piccoli. Massimo Lazzeri , regista
e autore della scrittura drammaturgica e dei testi delle canzoni, ha "incastonato" le filastrocche, quasi fossero
pietre preziose, per catturare l'at tenzione del pubblico per il loro linguaggio semplice, per l'immediatezza, la
concretezza e la facilità di comprensione. «Lo spettacolo - spiega il regista - è fatto di parole semplici e
precise, di avventure fantasticamente reali, di musica e di colori, di tristezza e, soprattutto, di speranza, per
ricordare sempre che "dopo la pioggia viene il sereno, brilla nel cielo l'arcobaleno"». La rassegna proseguirà il
23 novembre con "La bella addormentata" di Tieffeu. La stagione è organizzata da Fondazione Aida e
Assessorato alla Cultura del Comune di Marmirolo, con il supporto di Coop Consumatori Nordest, Apindustria
, Gruppo Tea, Cir Food e Euro e Promos Group. Biglietti di "Famiglie a teatro" 5 euro (intero) e 4 (ridotto).
CONFIMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
8
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Le filastrocche di Rodari domenica pomeriggio a Marmirolo
SCENARIO ECONOMIA
25 articoli
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il presidente finlandese: «Aspettiamo dal 2007 che Roma faccia le riforme»
Non possiamo far nuovo deficit, senza produrre crescita Non sono favorevole ad una politica economica
comune nell'Unione
Paolo Valentino
ROMA «Abbiamo bisogno di più crescita ma anche di più austerità. Se guardiamo indietro al 2007, poco
prima della crisi finanziaria, quando l'eurozona era in crescita sin dall'inizio del millennio, ma la maggior parte
dei Paesi cresceva facendo debiti, era una situazione dopata, creata dalle speculazioni finanziarie, non
dall'economia reale. Da allora, una volta entrati nel cono d'ombra della crisi, abbiamo sempre immaginato di
tornare a quei livelli. Ma non era una situazione normale e quel ritmo di crescita non è raggiungibile in modo
automatico: voglio dire che oggi non è semplicemente possibile dare stimoli all'economia, senza prima fare gli
aggiustamenti strutturali necessari».
Il presidente della Finlandia, Sauli Vainamo Niinistö, era ieri a Roma, per una visita di lavoro, durante la quale
ha incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quello del Senato, Pietro Grasso. Esponente
dei popolari di Coalizione nazionale, dal 1996 al 2003 è stato anche ministro delle Finanze.
Proprio pensando a quella esperienza, Niinistö dice di dover ammettere «un errore» fatto all'epoca: «Nel
2002 fui molto critico verso il governo tedesco di Gerhard Schröder, che aveva violato il patto di Stabilità. Lo
fece. Ma servì per importanti riforme di struttura di cui la Germania ha beneficiato molto».
E perché, signor Presidente, non viene oggi permesso all'Italia di fare altrettanto, a patto di varare le riforme
necessarie?
«Dal 2007 aspettiamo che l'Italia faccia le riforme».
Ma è solo da pochi anni che abbiamo governi decisi a riformare il Paese. Non bisognerebbe dare più tempo
per aggiustarsi con i criteri di Maastricht ai Paesi che riformano il mercato del lavoro, le pensioni e
quant'altro?
«Sono un po' scettico, ma non solo con l'Italia. Lo sono anche con il mio Paese, la Finlandia. Anche noi
siamo in rosso e nel mirino della Commissione europea. In sette anni non abbiamo messo in pratica le
correzioni necessarie. E ho la sensazione che l'Italia abbia lo stesso problema, cioè quello di implementare le
misure di riforma. Non possiamo far nuovo deficit, senza che le strutture siano forti abbastanza da produrre
crescita. Il consolidamento bisogna farlo ora, subito. Ripeto, non solo l'Italia, che io non vedo come caso a
parte o speciale: è un problema di mentalità diffusa in molti Paesi dell'eurozona».
Assistiamo oggi in Europa a un grande conflitto distributivo tra Nord e Sud, ricchi e poveri. Non pensa che ciò
che manca oggi sia proprio un po' più di solidarietà?
«Io credo invece che abbiamo già mostrato molta solidarietà e responsabilità comune. Se non ci fosse stato il
patto di Stabilità, forse l'euro non sarebbe neppure nato. A tal proposito voglio ricordare il ruolo positivo
esercitato dalla Banca centrale europea. Draghi ha saputo calmare i mercati con grande bravura e
accortezza. Dal punto di vista della responsabilità comune e dell'integrazione siamo oggi più avanti degli Stati
Uniti. Se poi lei intende una vera e propria politica economica e finanziaria comune, io non sono favorevole a
questo sviluppo».
Eppure era considerato un corollario, sia pure da realizzare più avanti, della creazione dell'euro.
«Fu lasciato aperto, non fu definito. Ma potrei anche parlare di altre cose lasciate aperte, come lo sviluppo di
politica comune di difesa e sicurezza. Ho l'impressione che abbiamo dato per scontate molte cose, come se il
successo dei primi anni dell'euro potesse giustificare tutto».
Ma non è il mondo globalizzato a imporci la necessità di una maggiore integrazione economica e politica, per
contare nei nuovi equilibri strategici?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'intervista
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
«Abbiamo tutta la cooperazione di cui abbiamo bisogno. Per me è più una questione di individui e società che
di istituzioni».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il presidente della Finlandia Sauli Vainamo Niinistö, 65 anni. Esponente del partito di Coalizione
nazionale
è anche presidente onorario
del Partito popolare europeo
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 42
(diffusione:619980, tiratura:779916)
I Tango bond e lo spiraglio per 75 mila creditori italiani
Massimo Sideri
Per lo più inconsapevolmente 75 mila italiani stanno diventando l'ago della bilancia nello scontro tra
l'Argentina e i fondi Usa. In realtà non sono mai stati citati, direttamente. Eppure sono così importanti che i
due fronti stanno tentando di ottenerne l'appoggio di fronte all'opinione pubblica mondiale nella gara
diplomatica da cui potrebbe dipendere l'ennesimo crac del Paese sudamericano. Veniamo ai fatti. Il giudice
Usa Thomas Griesa - lo stesso che ha bloccato i pagamenti delle cedole argentine imponendo prima che sia
trovato un accordo con i distressed fund - ha nominato un mediatore tra le parti. Due giorni fa ha però
aggiunto che questo mediatore deve trattare anche a nome di tutti gli ex creditori dell'Argentina che non
avevano aderito ai concambi, del 2005 e del 2010. Ed è qui che spuntano gli italiani. In un rapporto del
Congressional research service 2013 che faceva il punto sui creditori che ancora non avevano trovato
un'intesa venivano citati gli hedge fund Usa, il Club di Parigi e i risparmiatori italiani ancora in possesso di
Tango bond «originali» per circa un miliardo di dollari. Il consensus generale è che si tratti di circa 75 mila
persone. Non è un caso che Cristina Kirchner, presidente argentino, avesse parlato poche settimane fa della
possibile riapertura del concambio. La speranza è che da ago della bilancia non diventino merce di scambio.
@massimosideri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
15
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La Lente
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
«Aumento Mps sul mercato, lo Stato non diventerà socio»
Profumo: un'operazione per chi crede nella ripresa del Paese Una soluzione lineare. Con il pieno supporto
degli azionisti
Nicola Saldutti
Milano Due volte sul mercato a distanza di pochi mesi, sembra non esserci pace per il Monte dei Paschi. La
Borsa reagisce a suo modo, prima vendite, poi acquisti. Alla fine il titolo perde più del 3%. «Il mercato ha
sempre ragione, naturalmente. Ma una cosa sento di dirla: la situazione era complicata, con molti attori
coinvolti, e siamo stati reattivi e veloci». Alessandro Profumo ci tiene a ribadirlo: «Sono venuto qui per spirito
di servizio, per fare questo lavoro senza compenso da presidente. Ricordo che a febbraio 2013 abbiamo
avuto una crisi reputazionale incredibile. E abbiamo risalito la china. L'esame della Bce e gli stress test sono
arrivati mentre eravamo in convalescenza. Però vorrei dire questo: nonostante tutto, ci siamo ancora e i
risultati industriali si vedono, anche nei numeri del bilancio, con riduzione dei costi e più commissioni. La
banca, con i suoi 27 mila dipendenti, ha saputo reagire. Anche questa volta».
Sì, ma per tanti giorni c'è chi ha invocato l'ingresso dello Stato...
«Come vede i soci privati hanno deciso di supportare la banca che , lo ricordo, è il terzo istituto del Paese.
L'ipotesi Stato, per quanto ci riguarda, non è mai stata presa in considerazione. Dopo aver rimborsato 3
miliardi dei Monti-bond, rimborseremo l'ultimo miliardo che resta».
Quindi Stato completamente fuori...
«Sì. E bisognerebbe ricordare che molte banche, inglesi, tedesche, spagnole non possono dire lo stesso. Lo
Stato da loro è ben presente nel capitale».
Ma perché un socio, dopo l'aumento da 5 miliardi della primavera scorsa dovrebbe dire sì anche questa volta
al piano da 2,1 miliardi?
«Abbiamo adottato una soluzione lineare, con l'aumento potremo continuare il lavoro di rilancio che sta
dando i suoi frutti. Abbiamo un piano industriale credibile che ci ha già dato dei risultati. Credo che alla fine si
tratterà di un investimento apprezzabile da chi crede nella ripresa dell'economia del Paese».
Avrà pensato per un momento che la Bce è stata più severa con le banche italiane ?
«No. Gli scenari degli stress test (le previsioni sull'andamento del Pil, ndr) erano stati concordati con tutti i
Paesi. Quello italiano è particolarmente avverso perché la situazione del Paese è più complicata. Non solo
per Mps. Anche se molti dimenticano che a seguito della valutazione degli asset (asset quality review, ndr)
abbiamo un CET1 del 9,5%, una dato positivo, ben al di sopra della soglia minima dell'8%. Il Paese peraltro
si sta dando da fare, come lo abbiamo fatto noi con la decisione di mercoledì. Un passaggio importante».
A questo punto la Fondazione si diluirà ancora
«L'ente è sceso in modo impensabile rispetto solo a qualche anno fa. A circa il 2,5% del capitale. Hanno
individuato un advisor e faranno le loro valutazioni. Mi pare comunque che fin qui il loro percorso sia stato
molto importante».
Da dove vengono le fragilità maggiori?
«Siamo penalizzati soprattutto dal portafoglio crediti che riflette le difficoltà delle piccole e medie imprese»Quali saranno i tempi dell'aumento di capitale?
«Nel 2015, a valle dell'approvazione del bilancio 2014 e prima dei nove mesi -da adesso - previsti dalla Bce».
E poi la fusione...
«Il primo passo è il piano, quindi rafforzare il patrimonio e poi riflettere su tutte le soluzioni possibili per
aumentare il valore della banca e generare capitale internamente».
E le cessioni..
«Con la Ue avevamo concordato già un piano, ora prevediamo vendere altri attivi Cessioni per circa 220
milioni»
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
16
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Intervista
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
17
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I soci Btg e Fintech sono dalla vostra parte?
«I soci sono di supporto a questo piano. A noi il compito di realizzarlo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è
Alessandro Profumo, 57 anni, è presidente di Mps da aprile 2012. Esordi al Banco Lariano, poi McKinsey,
quindi al Credit, poi Unicredit, di cui è stato amministratore delegato fino al 2010
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 43
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Lo stipendio in cauzione dei manager Unindustria
Dario Di Vico
Sei alti dirigenti di Unindustria Treviso hanno preso nei giorni scorsi un'iniziativa senza precedenti che
possiamo catalogare all'insegna della responsabilità civile. I sei manager, tra cui il direttore generale
Giuseppe Milan, si sono recati dal notaio Bianconi di Treviso e hanno consegnato ciascuno un libretto di
risparmio con un deposito pari a due mensilità del loro stipendio. L'importo è stato versato a garanzia
economica personale della corretta gestione delle risorse associative affidate loro. In sostanza i dirigenti
confindustriali hanno mandato agli associati alla Confindustria locale un messaggio di questo tipo: gestiamo
denaro vostro e siamo pronti a far fronte di persona a eventuali errori e scorrettezze che gli organi statutari di
Unindustria dovessero rintracciare nella nostra azione e nelle spese che abbiamo deliberato.
Per capir meglio la portata del gesto va sottolineato come non ci sia nessun retroscena ovvero non esistono
né contestazioni del loro operato né tantomeno inchieste giudiziarie ma Milan e i suoi colleghi hanno ritenuto
comunque che un'iniziativa di trasparenza fosse utile per rinsaldare il rapporto fiduciario che lega dirigenti e
associati. In una fase, si può aggiungere, in cui la rappresentanza è chiamata a un processo di
trasformazione. «E' un gesto libero e spontaneo - commenta la neo-presidente di Unindustria Treviso, Maria
Cristina Piovesana - che mi ha profondamente colpita perché nasce dalla serenità e dalla sicurezza di una
gestione trasparente e dalla dichiarata volontà di assumere, per questo, diretta responsabilità sulla
correttezza della gestione».
L'iniziativa di Milan non guarda però solo alla rappresentanza ma chiama anche in causa la pubblica
amministrazione che spesso agisce - nei confronti delle imprese - senza preoccuparsi minimamente delle
ricadute delle proprie decisioni.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
18
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Il commento
07/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 45
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Piaggio studia il trasloco del quartier generale a New York
fabiosavelli
( c. tur. ) Una Piaggio con la testa a New York? Per ora è soltanto un progetto, a cui però il presidente
Roberto Colaninno ( nella foto ) sta pensando seriamente. Sarà l'effetto Marchionne, ormai di casa negli
States. O la voglia di dare più visibilità nella Grande Mela al gruppo della Vespa, che nel mercato Usa degli
scooter vanta una quota del 21%. L'idea comunque c'è e la volontà di concretizzarla anche, visto che
l'imprenditore mantovano ne ha già fatto cenno ai membri del consiglio e ai collaboratori più stretti. Il
ragionamento di Colaninno si può riassumere così: Piaggio è un gruppo globale, con stabilimenti in Italia,
India, Vietnam, Cina e un centro stile già a stelle e strisce (a Pasadena, in California). Anche le vendite
coprono tutte le aree: Europa, America (Nord e Sud), India, Asia Pacifico. Pontedera resterebbe il cuore
produttivo ma il quartier generale si potrebbe spostare a New York. Con gli uffici della stesso Colaninno e
della prima linea dei manager di finanza, personale, legale, coordinamento produzione. Il semaforo verde non
è ancora arrivato, ma una decisione potrebbe essere presa entro poche settimane.
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Marcegaglia o Arvedi, via Cdp per l'Ilva
( a. pu .) A forza di invocare l'intervento della Cassa depositi e prestiti, va a finire che l'ente di via Goito
nell'acciaio entra davvero, ma per separata via. La Cdp non può partecipare, come noto, al capitale di
aziende in perdita come l'Ilva, perché lo statuto del suo Fondo strategico - il braccio di Stato per le
acquisizioni in aziende medio-grandi - vieta investimenti a rischio. Nulla impedisce, però, che inietti capitale in
acciaierie sane, che a loro volta possono acquisire quote dell'Ilva. Secondo fonti industriali e finanziarie, è
perciò allo studio il possibile ingresso della Cdp in una delle due società per azioni interessate all'acciaieria di
Taranto: Marcegaglia in cordata con Arcelor Mittal (nella foto Emma Marcegaglia) e Arvedi. In via Goito sul
tema c'è riserbo, certo l'acciaio è ritenuto strategico e perciò rientra nelle linee d'intervento di Fsi. Che
potrebbe, fra l'altro, annunciare a breve altre novità.
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La prima rete d'impresa nella sicurezza
(f. sav.) Migliori economie di scala. Maggiore potere negoziale nei confronti dei fornitori. Il modello
aggregativo delle reti d'impresa (che dopo un primo slancio sembra aver perso ora un po' della sua forza
propulsiva) approda anche nel settore della sicurezza. L'associazione delle aziende aderenti a Confindustria
(Anie) ha dato vita a «Keep Control Team», un network di cinque realtà geograficamente lontane tra di loro
che si propongono come partner unico a livello nazionale.
Si tratta della toscana A4 Sicurezza (fornitrice di sistemi elettronici), la bolognese Sistemi Integrati, la
sassarese Videotecnica sistemi elettronici integrati, la Deletron di Arcore (Monza-Brianza) e la veneta Integra
Sei Safety. Si sono messe insieme come fornitori integrati di impianti di allarme e videosorveglianza,
manutenzione e pronto intervento.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
19
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Sussurri & Grida
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'arma impropria del fisco europeo
Adriana Cerretelli
Tra scontri e lanci di lacrimogeni, a Bruxelles ieri hanno manifestato in 100.000 contro il rigore, i tagli per 11
miliardi del nuovo governo di Charles Michel. "Le Soir", il principale quotidiano francofono del Paese, titolava
a 5 colonne: «Così il Lussemburgo aggira il fisco belga».
Sta quasi tutto qui, tra le tensioni sociali anti-rigore che aumentano in tutta l'eurozona, fragilizzata da
recessione, deflazione e disoccupati record, e le rivelazioni del Lux-leaks sul quasi azzeramento delle tasse a
favore, non certo dei cittadini, ma delle società con sede nel Granducato, il nuovo paradigma esplosivo che
potrebbe investire l'eurozona. E non risparmiare neppure la stabilità delle sue banche che proprio in
Lussemburgo hanno uno dei loro "santuari " preferiti: protetto, sia pure ancora per poco, da segreto bancario
e fisco compiacente oltre che consumato artefice di finanza creativa, derivati e simili sfuggiti, come dovunque
in Europa, agli esami su qualità degli attivi di bilancio e stress test che hanno nei giorni scorsi preceduto
l'avvento dell'Unione bancaria europea. Ovviamente di mezzo ci sono anche l'ex-premier Jean-Claude
Juncker, la nuova Commissione Ue che presiede e una possibile crisi inter-istituzionale qualora l'inchiesta in
corso a Bruxelles da pura verifica circa l'esistenza o meno di illeciti aiuti fiscali di Stato si trasformasse in una
valanga politica fuori controllo. Rischio remoto? Difficile dirlo. La Commissione guidata da un altro
lussemburghese, Jacques Santer, cadde per quasi niente: un favoritismo da quattro soldi al dentista del
commissario francese Edith Cresson. Oggi l'eurozona è stressata da sei anni di rigore da cavallo, che in
qualche paese sta riportando crescita, ma nel complesso l'ha ridotta all'area economica che nel mondo
cresce meno di tutte le altre. Le cure dimagranti dei bilanci e le riforme non sono finite, al contrario sono la
"condicio sine qua non" per sperare in un piano Ue di investimenti da 300 miliardi in 3 anni, in una boccata di
ossigeno per la crescita europea. Tra le misure sollecitate da Bruxelles e condivise dai Governi c'è la lotta
all'evasione e all'elusione fiscale: un tasto sensibile nell'immaginario collettivo perché una sorta di
compensazione per i sacrifici fatti e la garanzia di equità nei confronti di tutti i contribuenti. Ma qui il terreno si
fa molto scivoloso. Prima di tutto perché il Lussemburgo non è l'unico imputato di eccesso di generosità
fiscale nei confronti delle multinazionali per attirarne i capitali. Gli siedono accanto, nell'inchiesta in corso,
Irlanda e Olanda. E altri potrebbero aggiungersi in futuro: Gran Bretagna, Malta, Cipro e lo stesso Belgio. E
poi perché i regimi societari iper-agevolati in Europa non sono affatto vietati. I tentativi di armonizzare la
pressione fiscale su questo fronte sono finora miseramente falliti, nonostante i ricorrenti assalti di Germania e
Francia. Risultato: la concorrenza tra i vari sistemi fiscali è prassi lecita e consolidata, che ha tra l'altro
l'implicito vantaggio di stimolare il calo della pressione in Europa: oggi supera di circa 10 punti quella degli
Stati Uniti, per non parlare degli emergenti. Un evidente handicap competitivo. La questione che il nuovo
resposabile Ue alla Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, dovrà dirimere è stabilire se le agevolazioni
concesse in Lussemburgo, come in Irlanda e Olanda, contengano o no aiuti pubblici illeciti in quanto distorsivi
della concorrenza sul mercato interno. I bilanci nazionali affamati di risorse e il drenaggio di capitali favorito
dalla globalizzazione e sempre più incontrollabile spingono i Governi Ue e Ocse a una stretta nelle regole. Le
piazze in rivolta sono l'altra molla ad agire. Fino a far saltare la Commissione Juncker? «Ci sono troppi paesi
in ballo nella vicenda. Ormai con le "confort letters" la Gran Bretagna batte l'Olanda» dice un esperto Ue.
Molti però si chiedono come Juncker, con un passato da "vampiro" fiscale ai danni dei partner, possa oggi
avere la statura morale per distribuire pagelle e sacrifici a molte delle sue vecchie vittime. Non ci fossero molti
vampiri in Europa, e di tutti i tipi, il rilievo sarebbe ineccepibile. Purtroppo invece non è facile tranciare giudizi
nei meandri delle troppe contraddizioni europee.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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L'ANALISI
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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La terapia di Francoforte non basta senza riforme
Marco Onado
Anche se ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse, il Consiglio direttivo della Bce di ieri può
segnare una svolta importante. In primo luogo, perché fa piazza pulita delle voci secondo cui la leadership di
Mario Draghi si era indebolita, perché alcuni (di cui è facile indovinare il passaporto) non condividevano sue
recenti posizioni sui rischi di deflazione che l'Europa sta correndo. Nella conferenza stampa (e nel testo
scritto, si badi) Draghi ha detto due cose fondamentali: che la Bce riporterà la dimensione del proprio bilancio
ai livelli dell'inizio 2012 e che il Consiglio direttivo è unanimemente disposto a prendere in considerazione
ulteriori interventi «se necessario».
Sul primo versante, questo significa un'espansione rispetto alle dimensioni attuali di circa 1000 miliardi di
euro, quindi un'ulteriore iniezione di liquidità particolarmente significativa e che può sembrare inadeguata solo
a chi ritiene che lo spettro della deflazione possa essere scongiurato solo con terapie monetarie, purché non
si guardi alle dosi. Un'interpretazione che, guarda caso, fa piacere ai mercati che possono sperare in ulteriori
giri di una giostra che ha già raggiunto in molti settori livelli di guardia.
Non meno importante è il messaggio contenuto nel riferimento ad ulteriori possibili misure, da realizzare «se
necessario». È un chiaro segnale che a Francoforte si è ben lungi dal ritenere di aver già utilizzato tutte le
munizioni possibili. I problemi caso mai scaturiscono dal riferimento al mandato della Bce, che continua ad
essere la vera camicia di Nesso della nostra banca centrale e non a caso è l'ostacolo principale ad una
politica di quantitative easing pura e semplice. Tempi eccezionali richiedono invece soluzioni eccezionali,
come dimostra la recente decisione della Bank of Japan di acquistare Etf su azioni giapponesi, facendo
cadere così un ulteriore tabù dell'ortodossia della cosiddetta arte del banchiere centrale. Ma la fantasia
tecnica a Francoforte non manca, come si è abbondantemente dimostrato dal culmine della crisi europea ad
oggi.
Del resto, lo stesso Draghi in un recente discorso ha esplicitamente detto che la Bce «è pronta a modificare
la dimensione e la composizione dei nostri interventi non convenzionali».
Ciò significa che il riferimento di Draghi all'ulteriore allentamento della politica monetaria «se necessario»
può segnare una svolta non meno importante di quando, con parole assai simili, egli annunciò che la Bce era
pronta a fare «tutto il necessario» per salvare l'euro. I mercati ormai sanno che se la Bce annuncia misure
indispensabili, poi mantiene le promesse.
Il vero problema, come la Bce non si stanca di ripetere, sono le misure di riforma e di rilancio dell'economia,
che spettano ai governi e non alle banche centrali e che sono l'altro grande pilastro insieme alla politica
monetaria della lotta alla recessione. Non a caso in un recente intervento tenuto alla Brookings Institution di
Washington, Mario Draghi ha rievocato le posizioni di Roosevelt e Keynes nel pieno della Grande
Depressione e ha affermato che il problema fondamentale è far aumentare il prodotto potenziale dei Paesi
europei, caduto ai minimi storici e che nessuna politica monetaria può da sola risollevare, perché il problema
dell'Europa è strutturale, non ciclico.
Oggi il prodotto potenziale dell'Europa nel suo insieme e di ciascun paese, Italia in testa, è troppo basso per
assorbire la disoccupazione e per rendere sostenibile gli eccessi di debito accumulati in passato, nel settore
pubblico e in quello privato. Nel nostro caso, il problema non è confinato (si fa per dire) al primo. Ormai, larghi
strati di imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, fanno fatica a fronteggiare con gli attuali livelli di
redditività il debito accumulato negli anni, come continua a ripetere il Fondo monetario internazionale e come
dimostra l'emorragia di crediti bancari di dubbia esigibilità.
Sempre a Washington Mario Draghi ha ammonito contro il rischio di un allentamento della guardia sugli
impegni di bilancio dei singoli Paesi europei, che potrebbe far ripartire le tensioni del 2011. Ma ha anche
detto che esistono spazi per politiche più espansive: i Paesi in regola dovrebbero usare gli spazi disponibili
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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EUROPA E CRESCITA
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
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nel bilancio pubblico (e si spera che il messaggio non si sia perso nel tortuoso cammino fra Francoforte e
Berlino) mentre quelli sotto osservazione dovrebbero tagliare parallelamente tasse e spese non produttive.
E non basta, perché Draghi ha aggiunto che i governi europei non hanno bisogno che si ricordi loro quali
riforme si devono fare, perché lo sanno benissimo. In realtà, un brillante esempio di litote, cioè della figura
retorica con cui si afferma qualcosa negandolo. E infatti, si fa riferimento a un altro recente intervento di un
membro del Comitato direttivo della Bce, in cui si elencano puntigliosamente le riforme necessarie per
aumentare la produttività e dunque il prodotto potenziale. Che non riguardano solo il mercato del lavoro,
come forse qualcuno crede, ma spaziano in molti campi che vanno dagli strumenti per la ristrutturazione del
debito delle imprese, alla loro ricapitalizzazione, all'aumento della concorrenza nei settori protetti.
Insomma, se occorre una terapia d'urto, questa non riguarda tanto la moneta quanto le condizioni che
incidono sulla produttività delle imprese. Misure analoghe nell'intensità, certo non nel dettaglio tecnico, a
quelle prese negli anni Trenta. Ma forse il problema è che dovremmo avere, non solo in Europa, più
governanti che abbiano la statura politica di Franklin D. Roosevelt.
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07/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Orlandi: con la tracciabilità via gli scontrini fiscali Studi di settore, si
cambia
Marco Mobili Giovanni Parente
Marco Mobili e Giovanni Parente u pagina 41
Restyling degli studi di settore. Addio (in prospettiva) agli scontrini fiscali con la tracciabilità. Più impulso alle
autocorrezioni grazie al nuovo ravvedimento lungo. Disciplina dell'abuso del diritto (ormai in dirittura d'arrivo)
per dare maggiori certezze a fisco e imprese. Contrasto sempre più specializzato alle frodi interne e
internazionali. Sono le direttrici tracciate dal direttore dell'agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, in un
seminario sulla lotta all'evasione che si è svolto ieri in commissione Finanze alla Camera.
Per gli studi di settore stavolta non si tratterà solo di un aggiornamento per tener conto della (peggiorata)
situazione economica ma di un cambiamento di filosofia nell'utilizzo dello strumento. Da un lato, dovrà essere
sempre più utilizzato per "accompagnare" alla compliance i contribuenti. Dall'altro, la funzione di
accertamento in senso stretto, ormai scemata da qualche anno (nel 2013 gli accertamenti sono stati poco
meno di 11mila con una riduzione di circa due terzi rispetto al 2010) anche per effetto delle sentenze a
sezioni Unite della Cassazione del dicembre 2009, lascerà il posto a un ruolo più di aiuto a una più mirata
identificazione dei soggetti da sottoporre a controllo. «Studi di settore profondamente rinnovati - ha affermato
il numero uno delle Entrate - possono rappresentare un efficace strumento per indicare preventivamente il
potenziale risultato, anche fiscale, che deriva dall'impiego dei fattori della produzione». Inoltre, a suo avviso,
«gli studi rivisitati possono costituire un valido ausilio alle imprese per la propria crescita e la corretta
gestione». E, in questo modo, «si esalta la capacità di utilizzo dello strumento quale ausilio alla selezione dei
contribuenti da sottoporre a controllo». Ma c'è di più. Perché la rivisitazione degli studi potrebbe andare di
pari passo con una rimodulazione della platea dei soggetti (attualmente circa 3,6 milioni tra imprese e
professionisti) obbligati a compilare Gerico. In tal senso va la riforma del regime dei minimi nel Ddl di Stabilità
(ricordata dalla stessa Orlandi nel corso del suo intervento) che potrebbe "attrarre" nuove mini-partite Iva
nell'area dell'esenzione dagli studi di settore.
Il direttore dell'agenzia delle Entrate, però, crede molto anche nelle potenzialità antievasione della diffusione
di strumenti di pagamento diversi dal contante. Con vantaggi per tutti. Un rafforzamento della tracciabilità, a
suo avviso, potrebbe portare all'abbandono di strumenti che hanno dimostrato la propria inefficacia, come i
registratori di cassa per l'emissione degli scontrini e le ricevute fiscali. Il tutto, naturalmente «in prospettiva»
come sottolineato dal numero uno del fisco italiano ma che può ridurre gli oneri per le imprese e portare a un
progressivo abbandono dei «controlli massivi sul territorio». La strada per arrivarci è rappresentata
dall'estensione dell'utilizzo della fattura elettronica (ora obbligatoria solo nei rapporti con parte della Pa) e con
l'attuazione della delega fiscale.
C'è poi un altro capitolo connesso alla delega: la disciplina dell'abuso del diritto ritenuta una «via maestra per
dare all'amministrazione finanziaria e alle imprese un quadro di certezza e stabilità». Anche dopo il vertice di
mercoledì a Palazzo Chigi, con Renzi e Padoan, si sta lavorando alla stesura del decreto delegato per
sciogliere il nodo delle sanzioni applicabili.
Per il resto la lotta all'evasione punterà decisamente sul contrasto alle frodi ma potrà anche avvalersi del
nuovo ravvedimento lungo previsto dal Ddl di Stabilità.
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Gli obiettivi Le nuove strategie sulla lotta all'evasione indicate dal direttore delle Entrate, Rossella Orlandi
STUDI DI SETTORE Il contributo alla selezione
Modernizzare gli studi di settore per rafforzare la compliance. Nel seminario di ieri alla Camera, Rossella
Orlandi si è detta convinta che studi di settore profondamente rinnovati possono rappresentare un efficace
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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IL DIRETTORE DELL'AGENZIA
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
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strumento per indicare preventivamente il potenziale risultato, anche fiscale, che deriva dall'impiego dei fattori
della produzione. Un viatico per esaltare la capacità degli studi di settore di supportare la selezione dei
soggetti da controllare
TRACCIABILITÀ
L'addio agli scontrini
Non è un obiettivo dietro l'angolo ma «in prospettiva». L'attuazione della completa tracciabilità potrà
comportare - secondo il direttore delle Entrate - l'abbandono di alcuni strumenti risultati inefficaci come i
misuratori fiscali e le ricevute fiscali. Il tutto con minori oneri per le imprese e il progressivo abbandono di
controlli massivi sul territorio da parte dell'amministrazione finanziaria. L'aspettativa è che la fatturazione
elettronica ora operativa solo con la Pa possa poi essere utilizzata anche nei rapporti tra imprese
FRODI FISCALI L'asse portante
Il contrasto delle frodi fiscali costituisce l'asse portante per un'efficace lotta all'evasione, secondo Rossella
Orlandi che ha parlato della necessità di potenziare le strutture dell'Agenzia con l'individuazione di risorse di
alta professionalità per affrontare le complessità dei fenomeni fraudolenti. Nel contrasto delle frode fiscali
internazionali, il direttore delle Entrate ha affrermato che lo scambio di informazioni automatico dovrà essere
rafforzato ed esteso a un numero sempre maggiore di Stati esteri
L'anticipazione
Sul Sole 24 Ore di domenica 10 agosto le anticipazioni sulle possibili mosse dell'amministrazione finanziaria
per la revisione degli studi di settore. La strategia punta a utilizzarli sempre più come strumenti di selezione
dei contribuenti, anche alla luce dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che non li inquadra più
come strumento sufficiente da solo all'accertamento.
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Draghi: "L'economia peggiora Bce unita su misure eccezionali"
FEDERICO FUBINI
QUANDO in un'istituzione qualcuno muove dal dissenso sulle scelte alle insinuazioni sul conto di chi le
compie, di solito il momento della veritàè vicino. La partita si fa sleale perché sta entrando nei momenti
decisivi: per la Banca centrale europea quella fase è iniziata in questi giorni con le (presunte) rivelazioni
calibrate all'indirizzo del suo presidente, Mario Draghi.
ALLE PAGINE 6 E 7 CON ARTICOLI DI OCCORSIO E TARQUINI ROMA. Quando in un'istituzione
qualcuno muove dal dissenso sulle scelte alle insinuazioni sul conto di chi le compie, di solito il momento
della verità è vicino. La partita si fa sleale perché sta entrando nei momenti decisivi: per la Banca centrale
europea quella faseè iniziata in questi giorni con le (presunte) rivelazioni calibrate all'indirizzo del suo
presidente, Mario Draghi. Anonimi banchieri centrali lo hanno accusato di agire senza ascoltare quasi
nessuno, di ignorare i colleghi, muovendosi quasi in segreto.
La reazione di Draghi ieri, all'uscita di una delle riunioni più delicate nella storia della Bce, dimostra però che
attaccare la sua reputazione può ritorcersi contro chi lo fa.
Ieri Draghi non ha battuto i suoi critici provenienti dalla Bundesbank, dal Lussemburgo o dai Paesi baltici, né
peraltro è andato alla resa dei conti con loro. Ha dimostrato però che è in grado aggirarli e ha mosso un altro
piccolo passo verso l'obiettivo suo e della maggioranza dei banchieri centrali europei: la creazione di moneta
per circa mille miliardi di euro, per poi immetterla nell'economia dell'area anche comprando titoli di Stato. Da
ieri l'obiettivo di muovere verso l'alto le dimensioni del bilancio da duemila in direzione della soglia dei tremila
miliardi circa, benché ambiguamente, è diventato politica ufficiale della Bce. È attorno a quest'idea che da
due mesi i rapporti tra Draghi e Weidmann, il presidente della Bundesbank, si sono avvitati. Draghi aveva
indicato l'intenzione di far crescere il bilancio della banca "ai livelli di inizio 2012", cioè a 2.700-3.000 di euro,
quando a settembre accelerò sul piano di acquisti di pacchetti di prestiti privati (i cosiddetti Abs) e di bond
garantiti. Era la sua risposta alla frenata dell'economia in Europa e alla caduta continua negli indici dei prezzi.
Otto Paesi su 18 in zona euro, Italia inclusa, sono sulle soglie o già nella trappola della deflazione. Nell'area il
carovita si ferma allo 0,3%, molto sotto agli obiettivi e già a livelli tali da paralizzare i consumi e gonfiare il
peso dei debiti (anche quello del governo italiano) rispetto ai redditi.
La chiave dello scontro fra Draghi e Weidmann è dunque proprio in quell'obiettivo di creazione di moneta per
mille miliardi per sostenere un po' i prezzi. Lo è, perché è del tutto improbabile che la Bce riesca a fare ciò
che indica Draghi grazie alle sole misure decise fin qui: le nuove aste di liquidità a lungo termine avviate in
autunno hanno una soglia massima di 400 miliardi, ma per ora le banche stanno raccogliendo appena una
frazione di quelle somme. Quanto agli acquisti di pacchetti di prestiti, la banca di Londra Barclays stima che
nel 2015 porteranno 60 miliardi e quelli sui bond garantiti altri 50. Per allargare il bilancio della Bce di un terzo
e arrivare a mille miliardi in più, come detto da Draghi in settembre, non resterebbe dunque che acquistare
titoli di Stato di tutti i Paesi: Italia, Grecia, Germania, Francia e via elencando.
È qui che Weidmann, sostenuto da olandesi, lussemburghesi e baltici (ma non dai governatori di Finlandia e
Austria) ha accusato Draghi di giocare con colpi bassi. L'annuncio di settembre, ha detto il tedesco, non
sarebbe stato deciso in comune ma ora vincola la Bce. Non è un caso se un mese dopo quel primo impegno,
nella riunione della Bce tenuta a Napoli in ottobre, il presidente italiano ha dovuto fare una parziale marcia
indietro. Ieri è andato in scena un nuovo episodio dello stesso duello, ma di segno opposto: la dichiarazione
letta da Draghi dopo la riunione con i suoi 23 colleghi del consiglio direttivo, per la prima volta, mette nero su
bianco il progetto di alzare il bilancio della banca "verso il livello" a cui era all'inizio del 2012: intorno ai tremila
miliardi e non a duemila come oggi. In quell'indicazione di direzione, non di una soglia fissa, si nascondono
l'ambiguità e la vaghezza che hanno permesso a Draghi non passare per una vera conta dei favorevolie dei
contrari. In queste condizioni è passato in qualcosa che somiglia all'unanimità, senza che le linee di frattura
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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MAXI-EVASIONE IN LUSSEMBURGO, BUFERA SU JUNCKER
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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sotto la superficie si siano richiuse. La Bce si è poi detta prontaa fare anche di più se l'inflazione deludesse
nei prossimi mesi. Draghi segna un punto in un momento difficile. Ora la scena per la resa dei conti del 2015
con la Bundesbank è pronta, se davvero deciderà di prendere quella strada.
L'INTERVISTA
GUTGELD: TAGLI BOMBA "E' una bomba atomica": così Yoram Gutgeld, consigliere economico del premier
illustra al Financial Times la "massiccia riduzione delle tasse" fatta con la manovra del governo
I "FALCHI" TEDESCHI IL BANCHIERE Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, la banca centrale
tedesca, considerato uno degli avversari del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi IL
MINISTRO Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco, ieri ha dovuto dare il via libera a un piano di
investimenti da 10 miliardi da attuare entro il 2018
Foto: Proteste ieri a Bruxelles contro l'austerity del premier belga Michel
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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L'ultima beffa del Fisco vent'anni dopo cancella gli scontrini
FILIPPO CECCARELLI
PREPARARSI dunque a guardare con spensierata o malinconica sorpresa a quei fogliettini sgualciti che
ancora per un po' navigheranno, superstiti coriandoli del carnevale del fisco italiano, nelle tasche dei cambi di
stagione: "Toh, uno scontrino!". SEGUE A PAGINA 38 SERVIZI A PAGINA 10 < PAGINA NON si scrive qui
"addio scontrini" perché in Italia davvero non si sa mai, e un provvedimento come quello annunciato ieri dalla
nuova direttrice dell'Agenzia delle entrate Rossella Orlandi è già stato promesso due o tre volte e poi chi s'è
visto s'è visto - i ministri Del Turco e Fantozzi, il presidente Berlusconi - ed eccoci qui.
Per cui d'accordo gli sviluppi tecnologici e la formidabile rintracciabilità, ma prudenza. D'altra parte quando
vennero introdotti, ormai più di vent'anni orsono, gli scontrini non arrivarono solamente in ritardo, ma
determinando inesorabile caos. Non erano pronti i registratori di cassa, le multe incombevano, i commercianti
protestavano e fin dall'inizio la disciplina si connotò per la consueta filastrocca di norme transitorie, e
deroghe, proroghe, esenzioni, variazioni, dilazioni, sospensioni e altre arcane diavolerie tributarie che
condannavano supermercati, barbieri e copisterie nello stesso momento in cui salvavano benzinai, giornalai e
tabaccai.
Sui caldarrostai si sviluppò quindi un'intrepida controversia, risoltasi in modo creativo con l'accettazione dello
scontrino "manuale" o "a penna"; mentre, ma non subito, la fecero franca "gli spazzacamini, i gondolieri e gli
stabilimenti balneari, là dove - esistono al riguardo mirabili prose di ordine burocratico-sensoriale- i bagnanti
si ritennero impossibilitati a "conservare" quei pezzettini di carta. E lo "scontrino nel bikini", come avevano
preso a chiamarlo sui giornali, rischiò di dare il titolo a qualche canzonetta. Più misterioso, ma anche
sintomatico di un certo carattere nazionale, è stabilire come per tanti anni siano riusciti a convivere una certa
vena punitiva-vessatoria e il classico andazzo, non di rado camuffato da buonsenso. La torsione fra i due
estremi, al solito generatrice di commedia, si ritrova nelle innumerevoli contravvenzioni che le cronache
allegramente e regolarmente rubricavano nel vasto comparto dello "strano ma vero".
Multata la mamma per il cioccolatino senza scontrino, e il bimbo per le patatine, e il nonno per la brioche,e il
figlio parrucchiere ("Maison d'art" di Bibbiena) per aver fatto la permanente alla mamma. E tanti altri a vario
titolo sanzionati, per estive, gioiose e romantiche violazioni, la fetta d'anguria, il palloncino o il mazzo di fiori.
Per non ricordare vicende tra l'assurdo fiscale e il metafisico esistenziale, tipo il proprietario chietino di un bar
accusato di aver servito un bicchier d'acqua di rubinetto, ma "con scorza di limone",a un conoscente che
l'aveva cortesemente richiesto, o forse disperatamente implorato perché "sofferente di stomaco". Coriandoli,
dunque e sul serio, dalla Napoli di Eduardo alla finta e anzi sospetta Prussia bismarckiana passando per il
ministro leghista Pagliarini, che già alla metà degli anni '90 proponeva la lotteria "Ce l'hai lo scontrino?", fino
al Festival delle Trovate Strabilianti di Baselga di Pinè (Trento) dove nel 1999 furono appiccicati su nastro
adesivo migliaia e migliaia di scontrini per farne uno da Guinness dei primati, lunghezza 12 chilometri e 314
metri.
Ma quel bizzarro monumento, nel frattempo, rendeva comunque merito all'inconsapevole supporto che le
ricevute fiscali hanno finora fornito alle indagini di polizia. Vastissima la casistica. Inchiodato per un scontrino
il giovane trapanese che mise il veleno topicida nel purè di cuiè ghiotta la sua mamma. Beccati per due
scontrini (uno di pizza, l'altro "Ideal Market Nuoro") i sequestratori di Silvia Melis.
Non si ha idea dei rapinatori incastrati, dei latitanti rintracciati, dei cadaveri identificati per quei bigliettini
obbligatori che però quasi un commerciante su tre non mollava ai suoi clienti (più al Sud che al Nord, record a
Napoli e Palermo). Evasione fiscale e correzione civica, per certi versi, come dimostra la storia vera del
rapinatore di Torino, zona Porta Susa, che entra nel negozio, conquista con la forza un telefonino, pretende e
ottiene lo scontrino brontolando mentre si dà alla fuga: «Così pagate le tasse anche voi!».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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LA STORIA
07/11/2014
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Ecco, questa epopea di strette retrattili e beatissimi rilassamenti, di scomodità, paradossi, dispettuccie follie
starebbe- starebbe, attenzione! - per finire. Il congedo affidato ai blitz estivi della Guardia di Finanza a Cortina
e Portofino; e poi alla saga delle spese pazze delle Regioni: reggiseni di pizzo, collezioni di Diabolik, pasta
fresca, Barbie, campanacci per bovini, mazze da golf, Gratta&Vinci, adozioni a distanza, toelettatura del
cane, tinture per capelli, mutande verdi, ricevimenti di cresima, un corno istoriato, acquisto volume "Il segreto
delle donne, viaggio nel cuore del piacere". Tutto documentato dai coriandoli dell'umana debolezza. Gli
scontrini del più scontato scontento.
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 7
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"Gli acquisti di bond solo se riesplode la crisi si rischia di arrivare tardi"
Ci sono Paesi come l'Italia e la Francia che avrebbero un disperato bisogno di quelle risorse subito
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «La parola d'ordine, quella da tener d'occhio,è deteriorate . "Se l'economia peggiorerà", dice Draghi.
In quel caso si darà il via libera all'acquisto dei bond. Ma di quanto deve peggiorare? Quanto dobbiamo
spingerci in là verso l'abisso perché l'economia sia considerata abbastanza deteriorate ?» Paul de Grauwe,
classe 1946, economista belga attualmentea capo del dipartimento Europa della London School of
Economics, sta prendendo un treno da Londra a Bruxelles. Gli leggiamo il verbatim della conferenza di
Draghi, finché ci ferma su una parola: «Ah, ecco la chiave. Deteriorate . Capito il trucco, il piccolo capolavoro
di diplomazia?» Il trucco per camuffare la persistenza di un profondo dissidio all'interno della Banca centrale?
«L'apparenzaè sicuramente quella. C'è da dire, per essere oggettivi, che la cifra annunciata da Draghi di un
trilione di euro è molto significativa. E sembra contemplare l'acquisto dei bond pubblici. Con i covered bonds
e le asset backed securities , le altre operazioni "non convenzionali" che la Bce sta faticosamente avviano si
potrà arrivarea 100, forse 150 miliardi. Ma mille? Il problema vero però resta tale e quale».
Il momento dello start? «Già. Draghi non dice: stiamo partendo. Dice che quello potrà essere l'ipotetico
aumento del portafoglio della Bce. Ma c'è il serio pericolo che non si parta mai, o che si parta quando sarà
tardi. Tutto questo rimane irrisolto. Ci sono Paesi come la Francia o l'Italia che avrebbero un disperato
bisogno di queste risorse subito, altro che deteriorate ».
Ma la questione della "legalità" del quantitative easing periodicamente sollevata dai tedeschi? «Basta
leggere il trattato costitutivo della Bce per capire cheè un problema che non esiste, e se esisteè solo perché
la Bundesbank l'ha creato a bella posta. Si dice chiaramente che le operazioni "sul mercato aperto" possono
essere condotte, come fanno tutte le banche del mondo. Quindi, se non altro, gli acquisti di bond sul mercato
secondario, che non finanziano direttamente uno stato ma semmai il settore privato perché quei bond
appartenevano a privati, come ha fatto per la massima parte la Fed. Il problema è che i tedeschi continuano
ad opporsi perfino a quelli». PER SAPERNE DI PIÙ www.ecb.europa.eu ec.europa.eu
Foto: 'economista Paul de Grauwe
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L'INTERVISTA/ PAUL DE GRAUWE
07/11/2014
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"Mai stati amati dagli italiani bisogna colpire il lavoro nero"
GRANDE FRATELLO Anche il grande fratello fiscale verrà accettato con fatalismo per poi provare a
raggirarlo
LUISA GRION
ROMA. «E' un foglietto volantee come tale non mi ha mai appassionato: il suo arrivo non ha cambiato la
società italiana e non lo farà nemmeno la sua scomparsa». Per Giuseppe De Rita, presidente del Censis, lo
scontrino fiscale è uno strumento ininfluente. In tema di tasse, di evasioni e di controlli il fenomeno rilevante
oggi è un altro: il veloce aumento del sommerso, dei redditi in nero che produce e del «risparmio nascosto»
che genera. Lo scontrino fiscale non dovrebbe portare alla luce tutto questo? «No, perché il sommerso che
vedo in forte crescita non è legato ai consumi, ma al lavoro. E' un fenomeno molto diverso da quello che
rilevammo quarant'anni fa, quando le aziende producevano in nero, ma superata una prima fase iniziale
irregolare arrivavano poi all'emersione».
Un'emersione alla quale forse si approdava anche grazie a quel foglietto volante.
«Non direi: gli italiani sono fatti così, raramente davanti alle casse chiedono scontrino o ricevute. Emetterli o
meno sta al buon cuore dell'esercente. Quell'emersione da anni Settanta e Ottanta arrivò perché allora il nero
era legato all'esigenza di far sopravvivere l'azienda nel momento in cui arrivava sul mercato; ma una volta
avviata l'attività, la regolarizzazione, almeno parziale, era fuori discussione. Oggi crisie precariato hanno
completamente modificato il contesto: chi lavora in nero punta al sommerso totale, il denaro non viene
nemmeno depositato in banca, ma resta cash, magari nascosto sotto al materasso». Perché, secondo lei,
non chiediamo scontrini e fatture? « Per certi versi una detrazione fiscale diretta aiuterebbe, ma di certo non
basterebbe a far venire alla luce i redditi nascosti. Dovremmo vergognarci di questo atteggiamento, forse
rispetto al popolo americano o inglese manchiamo semplicemente di dimensione civica. Da noi il
meccanismo del controllo sociale non scatta e a quel punto non c'è controllo fiscale che possa sostituirlo».
L'arrivo di una tracciabilità spinta, di una sorta di "grande fratello fiscale" potrebbe incidere su questa
mentalità? « Non credo. Siamo il Paese del "ce ne faremo una ragione", le questioni non vengono mai
affrontate di petto, alla fine subentra sempre una sorta di passivo adattamento. Aumentano le tasse? Ce ne
faremo una ragione. Aumenta la benzina? Ce ne faremo una ragione. Arriva il grande fratello? Ce ne faremo
una ragione o meglio, troveremo il modo di aggirare l'ostacolo. Magari semplicemente non trascrivendo la
vendita sul registratore telematico, che comunque continuerà a controllare un commercio formale o un lavoro
formale. Tutte le altre fonti di reddito continueranno a rimanerne escluse. Eppure non è questo che mi
preoccupa».
Cosa la preoccupa? « Il fatalismo in crescita e gli effetti mortificanti che ha sulla società e sulla economia
italiana» Un fatalismo generato dalla crisi? « Io ne ho notato un'impennata dal governo Monti, da allora
riscontro una paralisi delle aspettative e questo mi preoccupa perché la diretta conseguenza di questo
atteggiamento è un Paese spento».
Foto: Giuseppe De Rita
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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L'INTERVISTA 2/ GIUSEPPE DE RITA
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 14
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Pago per cenare con lui Matteo ridà entusiasmo anche a noi imprenditori"
ANDREA MONTANARI
MILANO. Giandomenico Auricchio, impreditore, che cosa l'ha spinta a spendere 1000 euro per partecipare
alla cena per i finanziamenti organizzata da Renzi? «Devo confessare che è stata la prima volta che ho
partecipato a una cena all'americana. L'ho fatto perché mi colpisce del nostro presidente del Consiglio la
determinazione e il suo entusiasmo. In un momento difficile come quello che stiamo vivendo credo sia giusto
avere rispetto per questa grande speranza su cui può contare l'Italia».
Lo dice da imprenditore perché Renzi si è schierato per l'abolizione dell'articolo 18? «Lo dico perché in Italia
come in altre parti del mondo non c'è ripresa se non c'è impresa. Forse in questo momento anche noi
imprenditori abbiamo bisogno di un po' di entusiasmo e determinazione. E in questi sei mesi il governo ha
mostrato una particolare attenzione nei nostri confronti».
Meglio Renzi dei suoi predecessori? «Non voglio fare confronti, ma trovo che sia giusto dare credito a
chiunque cerchi di dare una sferzata di entusiasmo. Basta dire che in Europa siamo gli ultimi della classe».
I cassaintegrati dell'Alcatel, però, hanno definito Renzi «il presidente dei padroni».
«Guardi, in un momento come questo operai e imprenditori sono tutti sulla stessa barca. Il mare è già agitato
e la barca deve rimanere a galla. La mia azienda ha 600 dipendenti.
Non so se sono un pazzo, ma negli ultimi due anni abbiamo fatto due acquisizioni. Tutti dobbiamo
rimboccarci le maniche».
C'è una cosa che non ha condiviso? «La riforma del sistema camerale che ha proposto il governo. Le
camere di Commercio hanno una funzione importante che deve rimanere».
Cosa si aspetta dal governo dopo aver ascoltato il premier a cena? «Che non ci lasci soli anche quando
andiamo all'estero con la valigia in mano. La mia azienda esporta in 50 paesi, ma lo abbiamo ottenuto da soli.
Per questo dico che serve il sistema camerale. Esco da questa cena con un pizzico di speranza in più».
Foto: L'imprenditore Domenico Auricchio
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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L'INTERVISTA
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 32
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Risiko delle utility A2a snobba Iren e punta a diventare il polo aggregatore
della Lombardia
Il presidente Valotti rivela: "Incontro con i sindaci azionisti del gruppo Lgh"
LUCA PAGNI
MILANO. Come sindaco di Torino, ma soprattutto come presidente dell'Anci, l'associazione dei comuni
italiani, l'ex segretario del Pd Piero Fassino è uno dei più accesi sostenitori delle fusioni tra società locali. Non
solo per ridurre gli sprechi nel variegato mondo del capitalismo municipale, così come da indicazioni fornite
dall'ex mister Spending review, Carlo Cottarelli, che ha suggerito di ridurle da oltre 8mila a meno di mille. Ma
anche per liberare risorse finanziarie per le amministrazioni: i comuni più piccoli possono vendere alle utility
più grandi e recuperare risorse per gli investimenti.
Soprattutto ora che questi fondi come ha previsto il Governo - si potranno conteggiare fuori dal patto di
Stabilità.
Se da Palazzo Chigi è riuscito a farsi ascoltare, non così dai suoi colleghi di Milano e Brescia.
Fassino ha proposto una fusione tra Iren (l'ex municipalizzata controllata da Genova, Piacenza, Parma e
Reggio, oltre che da Torino) e il gruppo A2a, il cui pacchetto di maggioranza è in mano proprio ai due comuni
lombardi. Nonostante qualche timida apertura da parte di Pisapia, A2a sembra snobbare le avance che
arrivano da Iren. E, per il momento, preferisce non avventurarsi in una fusione tra big, ma svolgere il ruolo di
"polo aggregatore" tra le società della Lombardia. Lo hanno rivelato ieri, durante la presentazione dei conti
trimestrali (utili stabili a 159 milioni e fatturato in calo dell11% a 3,63 miliardi), l'ad Luca Camerano e il
presidente Giovanni Valotti. Quest'ultimo ha rivelato un incontro avvenuto nei giorni scorsi a Brescia tra i
sindaci azionisti di Linea Group Holding (Lgh), la società nata dalla fusione tra le ex municipalizzate di Pavia,
Lodi, Crema e Cremona, con oltre un milione di clienti, l'unica in Italia di queste dimensioni non quotata in
Borsa. Non è la prima volta che A2a e Lgh si parlano e provano a sposarsi. Ma, come ha ricordato Valotti,
quando «ci sono soggetti grandi c'è il timore che il pesce grande mangi quello piccolo».
Siccome più che un timore è una certezza, A2a ha offerto in cambio «una certa sovranità nelle decisioni sul
territorio, per esempio sugli investimenti e il livello dei servizi». Così, senza un sostegno politico-governativo,
la fusione tra Iren e A2a dovrà attendere.
Foto: IL MANAGER Luca Camerano è l'ad del gruppo A2a: è arrivato quest'anno dalla filiale italiana di Gdf
Suez
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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IL PUNTO
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 35
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"Google è il motore del privilegio ora paghi tutti i diritti agli editori"
ALDO FONTANAROSA
ROMA. «Il governo è sensibile al tema. Anche in Parlamento la discussione è aperta. E tutte le autorità di
garanzia del Paese hanno piena coscienza di quanto sia importante intervenire». Maurizio Costa, dal primo
luglio presidente degli editori di giornali della Fieg, considera ormai maturi i tempi perché l'Italia vari una
"legge Google" come la Spagna solo 7 giorni fa.
Chi naviga vede Google come un qualcosa di utile, di familiare. E Google News come una comoda vetrina
sulle notizie del giorno. Dov'è il problema, allora? «Una premessa, a scanso di equivoci. Noi siamo del tutto
favorevoli allo sviluppo della Rete e del digitale. E non ci arrocchiamo certo su posizioni conservative, a
difesa del bel tempo andato».
E allora perché penalizzare Google? «Anche qui: nessuno spirito di rivalsa. Chiediamo solo che paghi il
giusto chi utilizza contenuti editoriali di proprietà di altri. È ora che questo gigante, come qualsiasi
aggregatore di notizie di Internet, riconosca il diritto d'autore per gli articoli, le foto, i video linkabili da Google
News».
In Francia Google ha accettato di pagare una una tantum , che ha chiuso ogni contenzioso con gli editori.
«Gli editori francesi si sono poi pentiti della soluzione.A noi l'idea di questa una tantum , di un condono
tombale non piace. Chiediamo si paghi in modo trasparente e con continuità».
La pagina di Google News, in ogni caso, non ha pubblicità.
«Questa specifica pagina è senza banner.
Ma Google raccoglie in Italia, nelle stime di alcuni centri studi, oltre un miliardo di pubblicità all'anno. Che è
quanto fattura l'intero settore della carta stampata, quotidiana e periodica. Ecco: mi farebbe piacere intanto
che le ipotesi sulla raccolta di Google venissero confermate in via ufficiale».
Più trasparenza, dunque.
«E non solo. Questa società dovrebbe pagare le tasse per la quota di profitti che realizza in Italia, come fa
ogni imprenditore. Invece ha stabilito la sua sede legale in Irlanda e si permette un'elusione fiscale molto
ingente».
L'accusa che rivolgono alla Fieg è di volere per il proprio settore le tasse che Google verserà in Italia.
«E' un sospetto che respingo. Di questi soldi non chiediamo un euro. La mia proposta, semmai, è di
destinare il gettito fiscale al miglioramento delle infrastrutture tecnologiche del Paese. Penso al wi-fi, che non
è ancora diffuso come vorremmo. E alla banda larga, che pure stenta. Un'ultima sottolineatura».
Su Google? Quale? «Il motore genera una classifica dei contenuti oggetto della ricerca. L'algoritmo che
determina la classificazione è più segreto della formula della Coca-Cola. E questo posso anche capirlo. Ma
andrebbe chiarito come mai un articolo è primo nella ricerca di Google, un altro secondo, un altro ancora
ultimo. I criteri di scelta, insomma, quali sono? Ci troviamo di fronte a un paradosso: la Rete, il regno della
trasparenza dichiarata, diventa il terreno dell'opacità praticata».
I soldi non arriveranno forse dalla Google Tax ma c'è chi vede l'editoria come un settore assistito.
«Sostenere che il nostro sia un settore assistito è una pesante forzatura. Su 7000 testate giornalistiche, solo
200 ricevono finanziamenti pubblici. Questi non vanno ai giornali in quanto tali, ma premiano i valori o le
specifiche funzioni che le testate incarnano. Sono risorse destinate al pluralismo informativo: alle minoranze
linguistiche, ai partiti politici, alla editoria di scopo. Il tutto peraltro per un ammontare inferiore a 50 milioni. Un
quarto rispetto solo a pochi anni fa».
Questo governo, con il decreto Lotti, finanzia però le ristrutturazioni dei giornali. Ci saranno decine di
prepensionamenti... «... ma anche decine di assunzioni di giovani, spesso nativi digitali, nuova linfa alle
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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INTERVISTA Maurizio Costa, presidente Fieg "Noi siamo favorevoli alla Rete e al digitale. Ma il colosso Usa
rispetti i nostri contenuti E deve anche versare le tasse in Italia: il gettito fiscale finanzierà la banda larga e il
wi-fi"
07/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 35
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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redazioni. Abbiamo trovato sensibilità nell'esecutivo. Noi peraltro non abbiamo mai chiesto aiuti a pioggia,
semmai un sostegno alla trasformazione in senso evolutivo del nostro settore.
Guardiamo avanti, con coraggio».
Crede che i giornalisti pensionati debbano conservare una collaborazione con le loro testate? Il decreto Lotti
scoraggia al massimo questa possibilità.
«Sul piano formale, il problema è risolto dalla legge dell'agosto 2014. A titolo personale, penso tuttavia che
qualcuno di questi cronisti dovrebbe restare in partita, per preservare la qualità e l'identità delle testate».
Presidente, cosa risponde a chi dice che i giornali si estingueranno? «Per anni, le cassandre hanno previsto
la fine di quotidiani e periodici indicando addirittura l'anno del decesso. La cosa non è avvenuta e non
avverrà. Oltre 20 milioni di persone ogni giorno si informano sulla stampa.Ea questo riguardo lavoriamo a una
modernizzazione del sistema distributivo e delle edicole in Italia, per garantire ai lettori il miglior servizio».
Che futuro vede per la carta stampata nel 2014? «La carta stampata continuerà a svolgere una funzione
chiave. È la bussola della nostra società. L'editoria, fatta da bravi editori e giornalisti qualificati, conserva un
ruolo decisivo nell'era dell'informazione indifferenziata che viviamo. Oggi vincono i contenuti affidabili,
accurati, di qualità, a prescindere dal contenitore che poi li ospiterà: la carta, il tablet, la Rete».
I GIORNALI
Restano la bussola della società Danno news di qualità e ne certificano l'attendibilità
GLI AIUTI
Non siamo un settore assistito. I contributi diretti sono inferiori ai 50 milioni PER SAPERNE DI PIÙ
www.fieg.it elpais.com
Foto: Maurizio Costa, presidente della Fieg
Foto: IL VIDEO SUL SITO La proposta di Maurizio Costa "Google paghi le tasse sui profitti italiani e finanzi la
banda larga"
07/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Dopo gli stress test le banche devono rinfrescare le filiali
Marco Folcia
(Folcia a pag. 18) Dopo gli stress test le banche devono rinfrescare le filiali In Italia, come a livello globale, il
calo di redditività delle banche (oltre il 50% dal 2006 al 2012) accompagnato dalle trasformazioni di carattere
sociodemografico, dai cambiamenti nelle abitudini dei consumatori e dallo sviluppo della tecnologia, impone
un ripensamento del modello distributivo e in particolare della filiale. Questa va ridefinita come modello di
servizio, ma anche nelle dotazioni, nella struttura fisica e nel layout. Va cioè rivisto il ruolo della filiale,
necessariamente diverso da quello tradizionale di solo presidio del territorio, o di mero luogo dove viene dato
corso alle transazioni. La Filiale (con la effe maiuscola) dovrà andare incontro a radicali cambiamenti per
sopravvivere in un contesto in profonda trasformazione e mantenere un ruolo centrale nel modello distributivo
delle banche e nella gestione della relazione coi clienti. Secondo uno studio condotto da
PricewaterhouseCoopers (PwC) sull'evoluzione del ruolo della filiale nel contesto del sistema bancario
italiano, mentre le figure professionali legate all'esecuzione e al settlement delle transazioni andranno
progressivamente scomparendo, si affermerà sempre più la figura del bancario come consulente della propria
clientela. La Filiale del futuro assumerà le connotazioni da un insieme di diversi modelli (un mix di filiale
automatica, sportello light, filiale specializzata, full service, flagship store) che si contraddistinguono per target
di clientela servito, per prodotti e servizi offerti e per intensità della relazione con il personale di filiale. Il
ripensamento del modello operativo e di servizio si accompagnerà però inevitabilmente a una marcata
riduzione del numero di filiali sul territorio. Rispetto agli altri Paesi europei, il sistema italiano è sovraffollato di
sportelli bancari, anche se non si considerano quelli del Bancoposta: ci sono più di 50 filiali per 100 mila
abitanti, contro circa 40 della media europea. Se l'Italia dovesse riallinearsi agli standard europei in 10 anni,
si verrebbe a creare un'eccedenza di oltre 8 mila filiali, il che implicherebbe che mediamente ogni anno 800
sportelli dovrebbero chiudere. Questa riduzione quantitativa sarà guidata dalla perdita del tradizionale ruolo
della filiale come processore di transazioni finanziarie, anche a causa della progressiva e ulteriore migrazione
sui canali digitali. La filiale certamente rimarrà, secondo PwC, il canale preferito per la conclusione di
operazioni complesse e per tutte le operazioni che hanno un elevato impatto emotivo per la clientela:
complessivamente, resterà il secondo canale di contatto con la clientela dopo quelli basati sui dispositivi
mobili (smartphone e tablet). La sfida per le banche italiane sarà quindi più complessa, e andrà ben oltre una
semplice strategia difensiva legata a una riduzione e ridefinizione della rete di filiali da un punto di vista
quantitativo. Dovrà invece necessariamente riguardare l'articolazione e la composizione della rete secondo
un modello più flessibile e diversificato, che vedrà la presenza di diverse tipologie di filiale, con modelli di
servizio, processi operativi e competenze professionali diversificati e in parte diversi da quelle attuali. Il
personale dovrà essere riqualificato agendo sulle singole abilità delle risorse, identificando piani di sviluppo
ove possibile personalizzati (per colmare eventuali gap specifici) e di medio periodo. Tutto ciò ha bisogno di
un contesto normativo che accompagni e favorisca questi cambiamenti. Alla fine, ne risulterà un nuovo
radicale modo di fare banca: nuovo nel sistema di offerta, nuovo nei modelli di servizio e nei profili
professionali che, soprattutto nelle strutture periferiche, saranno necessari per generare, e mantenere, il
cambiamento. La filiale è alle soglie di un cambiamento epocale ma anche necessario. In pratica dovrà
cambiare per sopravvivere. (riproduzione riservata) *director, financial services, PricewaterhouseCoopers
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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COMMENTI & ANALISI
07/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1.9
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Montezemolo designato presidente, Hogan vice
Angela Zoppo
(Zoppo a pag. 9) Montezemolo designato presidente, Hogan vice Sarà Luca Cordero di Montezemolo il
presidente della nuova Alitalia, una volta che Etihad avrà rilevato il 49% del capitale. Lo ha deciso il cda della
compagnia aerea mercoledì sera, approvando anche la richiesta del futuro partner emiratino, che ha ottenuto
per il suo ceo, James Hogan, la poltrona di vicepresidente, confermando una pratica consolidata con le altre
partecipate europee, come Air Berlin. Per Hogan è una carica senza deleghe e anche questo va nella
direzione di rassicurare Bruxelles sull'assoluto rispetto delle regole imposte nei cieli europei al possesso
azionario da parte di compagnie extra Ue. I prossimi step verranno decisi solo dopo il via libera di Bruxelles,
che potrebbe arrivare anche prima della scadenza del 17 novembre. Sul disco verde europeo il ministro dei
Trasporti Maurizio Lupi non ha dubbi. «Certo che Bruxelles darà il via libera», ha detto, «e questo
semplicemente perché il governo, per quanto di sua competenza, ha fatto rispettare tutte le norme europee».
Secondo indiscrezioni, Alitalia avrebbe già offerto all'Antitrust Ue la disponibilità di liberare uno slot RomaBelgrado per non sovrapporsi all'offerta di Air Serbia, altra partecipata di Etihad. Lupi ha avuto parole di
apprezzamento anche per la scelta di Montezemolo. «La designazione mi sembra molto autorevole e
conferma che l'alleanza AlitaliaEtihad è forte e fa tornare Alitalia protagonista nel mondo», Per ora di già
fissato in agenda c'è solo l'assemblea dell'attuale compagine azionaria Cai-Compagnia Aerea Italiana, che il
20 di questo mese in prima convocazione (o il 26 in seconda) dovrà approvare gli ultimi dettagli formali per il
passaggio di consegne dalla vecchia alla nuova Alitalia. Nei giorni successivi inizierà il vero e proprio
trasferimento degli asset, dalle licenze per le attività di volo al personale, dalle partecipazioni nelle controllate
(tranne Air One) alla flotta. Sarà invece una successiva assemblea della newco ad approvare le nomine dei
vertici designati, compreso l'ad in pectore Silvano Cassano, che poi riceverà le deleghe di capo-azienda.
Tempi strettissimi invece per l'anticipo di liquidità sull'aumento di capitale da 300 milioni di euro approvato dai
soci. Si tratta di 80 milioni sotto forma di prestitoponte garantiti da Intesa Sanpaolo, Unicredit, Poste Italiane,
Atlantia, Immsi, Pirelli e gruppo Gavio. Intanto Etihad ha annunciato l'arrivo di 40 piloti Alitalia, con contratto
triennale e opzione per l'assunzione definitiva. Il capitano Francesco De Liddo e il primo ufficiale Paolo Sala
saranno i primi a iniziare il training per i Boeing 777. «Etihad», ha detto il ceo Hogan, «assumerà centinaia di
piloti nei prossimi cinque anni per tenere il passo con la rapida espansione della flotta e del network di rotte
globali». (riproduzione riservata)
Foto: Luca Montezemolo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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ALITALIA
07/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Avremo un patrimonio di qualità
La ricapitalizzazione è il migliore strumento per eliminare il deficit. Il lancio probabile in primavera, ma
aspettiamo l'ok Bce. Il rimborso dei Monti bond toglie a banca e soci un onere pesante. In prospettiva mi
attendo una compagine azionaria più concentrata. Le aggregazioni? Tutte le opzioni sono sul tavolo
Filippo Buraschi
«Quella presa ieri è una decisione importante per il Monte e segna l'avvio di un percorso che sarà portato
avanti a stretto contatto con la Bce. A questo punto attendiamo la decisione di Francoforte che ci dirà se il
capital plan soddisfa le richieste. Per parte mia, posso solo dire che ci siamo impegnati a soddisfare tutte le
istanze». L'ad di Mps, Fabrizio Viola, all'indomani del lancio dell'aumento di capitale da 2,5 miliardi, è
consapevole di avere adottato la scelta migliore per compensare il deficit di capitale evidenziato in sede di
stress test Domanda. In che tempi sarà lanciato l'aumento? Risposta. Il tema sarà oggetto di confronto con la
Bce, anche in relazione all'evoluzione dello scenario di mercato. In linea teorica, anche in base ai vincoli
normativi italiani, ci sono due finestre possibili: la primavera o l'estate del 2015. Tenderei a escludere l'estate
perché troppo vicina al termine fissato dalla Bce. Quindi il momento migliore sarebbe la primavera, dopo
l'approvazione del bilancio 2014. D. Nei giorni scorsi sono state ipotizzate soluzioni alternative all'aumento di
capitale. Sono state escluse perché impercorribili? R. Una volta ottenuta la disponibilità del consorzio di
garanzia che ci tutela dal rischio di execution, l'aumento di capitale ci è sembrato lo strumento migliore per
colmare lo shortfall. Si tratta di un'operazione trasparente e semplice che ci consente di raccogliere sul
mercato una dotazione di capitale di elevata qualità. L'ammontare finale dipenderà comunque dalle
valutazioni della Bce. D. Vi aspettavate un deficit di capitale così elevato? R. L'esercizio dello stress test è
una novità per tutte le banche e ci si poteva attendere un risultato diverso dalle previsioni. È stato comunque
un esercizio severo che, come abbiamo avuto occasione di dire in altre occasioni, non tiene conto del fatto
che Mps si trova soltanto nella prima fase di un piano di ristrutturazione. Altre banche europee sono in
ristrutturazione da diversi anni, mentre noi abbiamo iniziato solo da un anno. D. Vi sentite ingiustamente
penalizzati, quindi? R. La fase della dialettica è finita. Il vigilato deve accettare le disposizioni del vigilante e
muoversi rapidamente per allinearsi alle richieste. Sotto questo profilo, stante la dimensione del problema e la
qualità della soluzione messa sul tavolo, ritengo che la banca abbia reagito nel migliore dei modi e con
tempestività. D. Anche Banca d'Italia vi ha definito un istituto «convalescente». Nessuno ha mai preso in
esame l'ipotesi di escludervi dallo stress test? R. Una moratoria per la terza banca italiana non era
francamente possibile. Detto questo, condivido le parole del direttore generale di Bankitalia, Fabio Panetta,
quando ha definito Mps un convalescente che ha dovuto correre i cento metri. Ma ripeto, non voglio
polemizzare. Consideriamo piuttosto il lato positivo di questa situazione: Mps potrà rafforzare ulteriormente il
proprio patrimonio e questo è un bene per la banca che avrà così la possibilità di lavorare con una dotazione
di capitale maggiore e di migliore qualità. D. Che garanzie offrirete agli azionisti alla vigilia di questo nuovo
impegno? R. Noi andremo avanti lungo la strada tracciata. In questi due anni abbiamo fatto molto: i costi
sono stati ridotti come nessuna banca ha fatto in Europa nel periodo. Sono stati ridimensionati i rischi in
misura consistente. La produttività commerciale nel comparto dei servizi di risparmio gestito e della
bancassicurazione ha subito un deciso incremento. Certamente il contesto macroeconomico non ci aiuta.
Tassi sui minimi storici, scarsa domanda di finanziamenti e cattiva qualità del credito sono un problema per
tutte le banche. Ma per quanto ci riguarda, dove abbiamo il pieno controllo delle leve manageriali, i risultati ci
sono. D. Nei giorni scorsi sia lei che il presidente Alessandro Profumo avete ipotizzato un'aggregazione.
Questa strada resta valida anche dopo l'annuncio dell'aumento di capitale? R. Nella riunione del consiglio di
amministrazione di domenica 26 abbiamo aperto un tavolo per valutare tutte le opzioni strategiche che
garantirebbero il rafforzamento della banca. Inizieremo a valutare da subito queste opzioni, anche se per il
momento è prematuro fare previsioni. D. Dopo l'aumento di capitale si aspetta un assetto azionario molto
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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INTERVISTA VIOLA (MPS) ABBIAMO SCELTO L'AUMENTO PERCHÉ È UN'OPERAZIONE DI GRANDE
TRASPARENZA
07/11/2014
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diverso per Mps? R. Dopo l'ultimo aumento da cinque miliardi l'azionariato è diventato molto diffuso e
frazionato con un patto di sindacato che vincola solo il 9% del capitale. Se d'istinto devo esprimere un'ipotesi,
ritengo che nei prossimi anni assisteremo a una fase di maggiore concentrazione dell'azionariato. D. Avete
avuto contatti informali con i soci di riferimento (Fondazione, Fintech, Btg Pactual) per capire se e in che
misura aderiranno all'aumento? R. I rappresentanti di questi soci siedono in consiglio di amministrazione e
hanno approvato il capital plan. Questo ci conforta sulla loro disponibilità a sostenere le strategie le banca
anche se, per il momento, non ci sono state dichiarazioni d'intenti ufficiali, a parte quella di Axa. D. Avete fatto
qualche simulazione sullo sconto che potrebbe essere applicato alle nuove azioni? R. La domanda è
prematura. Per prima cosa manca ancora l'approvazione del capital plan da parte della Bce. In secondo
luogo molto dipenderà dal momento in cui sarà lanciata l'offerta. D. Perché avete scelto di usare l'aumento
per rimborsare anche i Monti bond? R. Nei giorni scorsi c'è stato un ampio dibattito pubblico sul futuro dei
Monti bond e qualcuno ha ipotizzato soluzioni come la rimodulazione o la conversione del prestito. Quando
però l'ipotesi di un aumento di capitale ci è sembrata realizzabile, abbiamo ritenuto più conveniente anticipare
il rimborso rispetto alla scadenza del 2017. Una strategia di questo genere ha benefici economici indiscutibili
vista l'onerosità dello strumento. Con il rimborso integrale cancelleremo infatti una voce di costo per la banca
e soprattutto usciremo in soli due anni da ogni forma di aiuto pubblico. D. Il capital plan include anche
cessioni per 220 milioni. Di che asset si tratta? R. Si tratta di cessioni di asset non ancora incluse nel nostro
piano e quindi nello stress test. Saranno invece dismissioni aggiuntive di asset finanziari di dimensioni
contenute. D. Ci spieghi invece la richiesta di mitigazione del deficit per 390 milioni. R. I valori per il 2014
stimati nello stress test sono previsionali. Se dal preconsuntivo di bilancio emerge un risultato operativo al
lordo degli accantonamenti su crediti migliore rispetto a quello delle previsioni, ci sembra legittimo chiedere
una mitigazione del deficit, che stimiamo in circa 390 milioni. Ovviamente la decisione finale anche su questo
punto spetta alla Bce. D. Quindi avete aspettative positive sul conto economico? R. Certamente lo scenario
macro è più complicato del previsto. Come ho già detto mi aspetto comunque risultati positivi negli ambiti in
cui abbiamo il pieno controllo gestionale. Mi riferisco da un lato al controllo dei costi e dall'altro al comparto
del risparmio gestito e assicurativo. Questo sarà l'anno migliore per la nostra partnership con Axa. D. In
primavera scade il suo mandato. Sarebbe disponibile a un bis? R. Mi faccia questa domanda tra qualche
mese. Per il momento siamo focalizzati a completare il capital plan. Tanto più che sono gli azionisti a
scegliere chi deve guidare la banca. (riproduzione riservata)
Foto: Fabrizio Viola
07/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:104189, tiratura:173386)
PUR MESSE ALLE CORDE MPS E CARIGE HANNO DATO RISPOSTE
GIUSTE
Il cda del Montepaschi ha deliberato mercoledì l'aumento di capitale per 2,5 miliardi, e complessivamente un
piano di rafforzamento che sale a 2,7 miliardi, andando oltre il ripianamento di 2,1 miliardi richiesto dalla Bce
a seguito dei risultati degli stress test. Se poi si aggiunge la richiesta alla Bce di riconsiderare il deficit
potenziale di capitale tenendo conto anche dei circa 400 milioni di utili per il 2014 non considerati
nell'esercizio, allora il rafforzamento che ne deriverebbe, se l'istanza fosse accolta, sarebbe di gran lunga
superiore allo shortfall rilevato. Mps avrebbe poi deciso di procedere alla vendita di asset e alla cessione di
crediti deteriorati. Se queste operazioni andranno in porto, si tratterà di un potenziamento rilevante. Sarà,
comunque, una risposta puntuale, nonostante l'assurda ristrettezza dei tempi stabilita dal regolamento. Con
questo capital plan il Monte sarà in grado di rimborsare anticipatamente al Tesoro tutti i Monti bond residui,
per oltre 1 miliardo. L'aumento di capitale dovrebbe decollare ad aprile. Ma a una straordinaria
ricapitalizzazione, enorme se si considera quella immediatamente precedente di 5 miliardi, si procede non
per l'attuale inadeguatezza del capitale e, più in generale, del patrimonio, bensì per quel che potrebbe
accadere se uno scenario da cataclisma si dovesse verificare, disegnato per di più avendo in mente un tipo di
istituti di credito che non coincide con quello delle banche italiane e che, nei test, avvantaggia gli istituti di altri
Paesi, a cominciare da quelli tedeschi. Certo, non sfugge la gravità della linea seguita in passato dalla
Fondazione, intestarditasi nel volere mantenere la maggioranza assoluta dell'istituto. È anche prendendo
spunto da questa vicenda che Giuseppe Guzzetti ha rilanciato il tema della riforma delle Fondazioni per via
amministrativa, secondo una proposta accolta dal ministro Padoan. L'osservatorio senese, esteso all'ultimo
quarto di secolo, fornirebbe le indicazioni sicure di come non debbano svilupparsi i rapporti tra politica, locale
e nazionale, corpi intermedi e soggetti finanziari. Un insegnamento di quel che non va fatto. Ma tornando a
oggi, con la decisione di aumentare il capitale, pur tenendo conto della non correttezza dei test che l'hanno
determinata, per una sorta di eterogenesi dei fini il Monte ha finito con il dimostrare, con l'impegno dei vertici
e la tenacia di tutto il personale, di poter salire la china e non solo per esercitare il credito alle imprese minori
ma per un'operatività propria di un istituto tuttora di rilievo nazionale. Si spera ora che l'esercizio dei controlli
centralizzati a Francoforte non rappresenti un ulteriore elemento di difficoltà, soprattutto perché si tratta della
fase di decollo della funzione, e che l'integrazione tra il nuovo centro e le autorità nazionali si traduca in
miglioramenti dello svolgimento dei compiti. Contemporaneamente si deve aprire il discorso sulle strategie e
sul rapporto con il personale. Alessandro Profumo e Fabrizio Viola hanno tenuto saldo il timone, in una
condizione difficilissima, ma le prove non sono affatto finite. Molte delle osservazioni svolte sarebbero
applicabili anche alla Carige, pure essa ingiustamente penalizzata dagli stress test e risultata assolutamente
tempestiva nella proposta delle misure per fronteggiare la soltanto potenziale carenza di capitale. Per
entrambe le banche sarà necessaria una forte solidarietà delle istituzioni e della società civile nel percorso di
risalita.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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CONTRARIAN
07/11/2014
L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
Pag. 9
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Ciò che rimane dei poteri forti
Mediobanca, Iri, Fiat, Banca d'Italia. Oggi contano molto meno che in passato. Nel deserto spiccano invece
camarille, lobby casarecce, corporazioni. Che strillano e si oppongono quando i loro veti vengono sfidati
Bruno Manfellotto
Mediaticamente effcace assai, la polemica sui "poteri forti" - indirettamente sollevata da Susanna Camusso
con l'intervista a Roberto Mania di "Repubblica" - suonerebbe vecchia e stucchevole, risaputa e fuori luogo,
se non rimandasse ad altre questioni ben più preoccupanti e complesse. Anche perché i poteri forti come li
ha raccontati per anni "l'Espresso" non ci sono più. Lo era Mediobanca, centro nevralgico del capitalismo
all'italiana, punto di intreccio delle tre banche di interesse nazionale, pubbliche, e azionista di riferimento di
Montedison, Bastogi, Generali, il "salotto buono"; lo era l'Iri, da cui dipendevano le Bin, che non a caso
scatenò una guerra contro la Mediobanca di Cuccia; lo era la Banca d'Italia, che condizionava la politica
economica dei governi; lo era la Fiat, colosso monopolista nazionale, perno di ogni sviluppo (il boom, le
autostrade) e grande elettore della Confndustria, il sindacato degli imprenditori privati. Oggi, quasi inutile dirlO
, la Fiat si chiama Fca ed è alla Borsa di Wall Street; Mediobanca è una banca d'affari come tante; la Banca
d'Italia, che pure ha fornito truppe scelte alla Repubblica (Carli, Ciampi, Draghi, Saccomanni...) ha le unghie
spuntate dalla moneta unica e dalla Bce; il salotto buono ha smobilitato e in quanto a Confndustria fa
sorridere il povero Squinzi che strilla contro i pubblici sprechi e non riesce nemmeno ad averla vinta su quelli
della sua organizzazione. Insomma, questi poteri sono talmente ex forti che Matteo Renzi si può permettere
di non flarseli nemmeno e di ignorare Cernobbio, viale dell'Astronomia, via Nazionale, i sindacati
("Disintermediando che male ti fo", "l'Espresso" n.43) contribuendo così a renderli sempre più deboli e isolati.
Ma non c'è solo questo. Qui da noi si parla molto di riforme, e non del fatto che non c'è più una classe
dirigente con un'idea nobile e solida di paese come quella che maturò nella Resistenza e prese il comando
alla fine della guerra. Mancano anche molte delle grandi scuole dove negli anni successivi la nuova classe
dirigente si è forgiata (Mediobanca, Iri, imprese pubbliche e private, appunto, che sono andate via via
ossifcandosi), mentre partiti e sindacati sembrano aver perso presa sulla società perché non riescono più a
intercettarne i mutamenti. Non è un caso che i nuovi politici si siano formati nelle amministrazioni comunali,
dal premier al ministro degli Esteri al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. C'è statO un mOmentO
negli anni Novanta in cui sembrava che una riforma portasse un soffo vitale in un Paese che stava
diventando vecchio e sempre più bloccato: le privatizzazioni. Poi però i privati hanno trovato comodo tenersi i
vizi pubblici e piuttosto che favorire la concorrenza non hanno mollato i privilegi di comode rendite di
posizione. Si riuscì in quegli anni anche a liberare la "foresta pietrifcata del credito" (Giuliano Amato), ma
sopravvissero le fondazioni bancarie di proprietà pubblica. Ed è davvero curioso che nei suoi primi atti di
governo Renzi abbia sì raddoppiato il prelievo fscale alle une, le fondazioni, ma anche frmato un decretoregalo agli altri, i concessionari autostradali, che manco la Dc dei tempi d'oro. Poteri forti? Mah. In questo
deserto di classe dirigente spiccano piuttosto le camarille, le lobby casarecce, le corporazioni (annidate
anche nella pubblica amministrazione e nella magistratura, Tar e Consiglio di Stato) che strillano,
condizionano, si oppongono ogni volta che ne viene messo in discussione il primato o sfdato il potere di veto.
La Germania - di Schroeder o di Merkel che sia - pratica da sempre la "cogestione" in economia e in politica,
cioè la corresponsabilità nella guida dell'azienda o del governo. Il Bel Paese ha inventato la "concertazione"
estendendola a ogni atto quotidiano: è fnita che ciascuno suona il suo strumento senza che a nessuno, come
nel flm di Fellini, sia riconosciuto il potere di dirigere l'orchestra. Ora, se il problema riguardasse solo Pd e
sindacato, Renzi e Camusso, potremmo leggerlo come una delle tante scaramucce a sinistra; ma visto che la
questione è nazionale e riguarda il paese e il suo futuro, sarebbe il momento di pensarci. E di cominciare a
preoccuparsi. Foto: Massimo Sestini
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Questa settimana
07/11/2014
L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
Pag. 15
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Chi ha ucciso la concertazione
Oggi l'inÁazione è sotto il controllo della Bce. Ma i sindacati vogliono ancora trattare con i governi sulla
politica economica. Invece dovrebbero occuparsi dei disoccupati, della formazione e far nascere nuove
imprese
Innocenzo Cipolletta
Confndustria e sindacati sono come quelli che, nel 2014 per telefonare, cercano di mettere un gettone
nell'iPhone? Questa la provocazione di Matteo Renzi, e forse non ha tutti i torti, a vedere certe recriminazioni.
Non parlo tanto degli scioperi, delle manifestazioni e delle assemblee confindustriali, che sono espressioni
consuete del mondo sindacale e associativo, quanto della pretesa di negoziare con il Governo l'insieme della
politica economica dello stesso. Il richiamo è alla concertazione che ha avuto la sua era gloriosa negli anni
Novanta e che effettivamente allora servì a salvare il paese che futtuava tra infazione e svalutazioni. Con la
concertazione decidemmo di eliminare ogni forma di indicizzazione dei salari, di bloccarli temporaneamente,
d'imporre una tassa anch'essa temporanea sul capitale delle imprese e, in seguito, una tassa specifca sul
reddito che sarebbe stata restituita in parte (promessa mantenuta), al fne di conseguire i parametri necessari
per entrare nell'euro. Da allora si invoca la concertazione come strumento per trovare accordi sociali, ma ci si
dimentica che fu proprio il successo di quella concertazione che ha... ucciso la concertazione! Infatti, grazie al
patto sociale frmato con il Governo Ciampi nel 1993, l'Italia poté entrare nell'euro e da allora ha perso il
controllo dell'infazione che è stato demandato alla Banca Centrale Europea. Ma proprio il controllo
dell'infazione interna era l'arma con cui le parti sociali obbligavano i governi di allora a scendere a patti.
Infatti, quando c'era la lira, la politica salariale aveva rifessi immediati sul tasso d'infazione interno a causa
dell'aumento del costo del lavoro. A sua volta l'infazione interna generava una svalutazione della moneta che
si ripercuoteva immediatamente sui tassi di interesse e, attraverso loro, sulla spesa pubblica a causa
dell'elevato debito pubblico. Ecco allora che la contrattazione salariale, compito proprio delle parti sociali,
aveva un'infuenza immediata sulle variabili macroeconomiche del paese. Da qui le lunghe trattative salariali,
l'intervento dei Governi e la ricerca di accordi complessivi: in altre parole la concertazione, che ha avuto un
ruolo rilevante nel riportare il paese sulla giusta via. Ora questa situazione è cambiata. La variazione del
costo del lavoro non incide più sul tasso di infazione interno, perché questo è determinato dalla politica
monetaria della Bce. Se il costo del lavoro cresce eccessivamente a causa di accordi salariali, l'Italia non ha
maggiore infazione, ma sono le imprese che perdono competitività e quindi rischiano di chiudere. Ne risente
direttamente l'occupazione e questo ha fatto sì che, a livello aziendale, imprese e sindacati siano diventati
molto più prudenti nella determinazione dei salari e trovino più facilmente accordi, come si può constatare,
salvo poche eccezioni. Questa nuova situazione ha privato le parti sociali di un'arma che avevano ai tempi
della lira e che li portava ad assumere il ruolo di attori primari nella politica economica. Oggi il loro ruolo è
ridimensionato, e non possono più pretendere di negoziare parti rilevanti della politica economica che resta
appannaggio e responsabilità del Governo. Certo, possono sempre criticare e proporre soluzioni diverse,
come ogni altro esponente di questo paese, ma hanno perso il potere di interdizione. In tale situazione, per
loro è meglio cercare di capire come fare per continuare a contare nel paese, piuttosto che cercare di giocare
un ruolo che non c'è più. E di cose da fare ce ne sono molte. Le parti sociali potrebbero assumere
direttamente il compito di favorire il collocamento dei disoccupati sul territorio. Potrebbero gestire in proprio la
Cassa Integrazione Guadagni come una mutua cooperativa senza pesare sulle casse dello Stato. Potrebbero
sostenere la nascita di nuove imprese creando incubatori industriali. Possono infne negoziare forme
contrattuali che favoriscano la crescita dell'occupazione e della produttività a livello aziendale. Ma diffcilmente
possono riesumare un processo come la concertazione che ha avuto il suo ruolo nell'Italia della lira del secolo
scorso. [email protected]
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Si può fare
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L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
Pag. 34
(diffusione:369755, tiratura:500452)
Il buco nero delle tasse
Per la prima volta svelati gli accordi riservati tra aziende e governo del Lussemburgo per ottenere risparmi
fiscali. Documenti su oltre 300 società, anche italiane, che trasferiscono lì risorse colossali. Un sistema che
toglie denaro alla nostra economia. Proliferato nel Granducato sotto la guida di Juncker, ora presidente della
Commissione Ue
PAOLO BIONDANI, VITTORIO MALAGUTTI E LEO sisti
C'è un buco nero nel cuore dell'Europa, un piccolo Stato grande come la provincia di Bergamo, ma con la
metà degli abitanti, appena 550 mila. È il Lussemburgo, membro fondatore dell'Unione europea, stretto tra
Francia, Germania e Belgio. È un Paese ricco, ricchissimo. La sua fortuna sono le tasse. Quelle degli altri.
Nel senso che da almeno mezzo secolo è diventato la meta preferita delle aziende alla ricerca di un
trattamento fscale di favore. Dalle multinazionali alle banche, dalle imprese famigliari ai grandi marchi della
moda, migliaia di società hanno trovato rifugio all'ombra del fsco leggero dell'unico Granducato superstite
sulla carta geografca del mondo. Un sistema cresciuto anche grazie al lungo governo di Jean-Claude
Juncker, premier per diciotto anni e ora alla guida della Commissione europea. I documenti che "l'Espresso"
pubblica in esclusiva per l'Italia raccontano nei particolari il funzionamento di una macchina che ha consentito
al più piccolo Stato dell'Ue di accumulare una ricchezza straordinaria, con reddito pro capite di oltre 100 mila
dollari, il più alto del mondo, quasi il triplo di quello italiano. Sono 28 mila pagine di dossier confdenziali che
descrivono gli accordi siglati da oltre 300 società di tutto il mondo, tra cui molte italiane, con le autorità
lussemburghesi. Grazie a queste intese, il peso delle tasse è stato ridotto in misura sostanziale, se non
azzerato. Il materiale presentato nell'inchiesta de "l'Espresso" è stato raccolto da un network giornalistico
americano, The International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), e viene pubblicato in
contemporanea da 26 testate di diversi Paesi. I contratti sono tutti siglati Pricewaterhouse (Pwc), la
multinazionale della revisione di bilancio e della consulenza che ha assistito le aziende nel negoziato con il
governo del Lussemburgo. Nei fle troviamo alcuni dei marchi più conosciuti del business mondiale: da
Amazon a Ikea , da Deutsche Bank a Procter & Gamble , da Pepsi a Gazprom , fino alle italiane
Finmeccanica e Intesa e ai fondi di Deutsche Bank e di Hines che nel nostro Paese hanno realizzato affari
miliardari transitando dal Lussemburgo per risparmiare sulle tasse. Il sistema funzionava, e ancora funziona,
secondo un tacito, reciproco accordo. Le aziende spostano nel Granducato fussi fnanziari per centinaia di
miliardi di dollari e in cambio hanno la possibilità di un trattamento tributario d'eccezione. A farne le spese
sono i Paesi d'origine delle società, costretti a rinunciare al gettito sugli affari dirottati nel paradiso fscale.
Secondo ICIJ, sui 95 miliardi di dollari di proftti che le grandi società americane hanno realizzato oltremare
nel 2012, passando per il Granducato, hanno lasciato al Fisco del Lussemburgo poco più di un miliardo di
dollari, appena l'1,1 per cento. IL JoLLy VINCENTE La carta jolly del Lussemburgo, il cuore del reticolo di
norme che giocano a suo favore, sono i "tax ruling", altrimenti defniti anche "advanced tax agreement" (ATA).
I contratti che "l'Espresso" ha potuto consultare riguardano solo una parte delle migliaia e migliaia di ruling
siglati. I testi ottenuti dal network giornalistico ICIJ sono relativi alle transazioni preliminari presentate, per
l'approvazione, dalla Pricewaterhouse, a nome dei propri clienti, al "bureau d'imposition", conosciuto in gergo
come "sociétés 6". In genere vanno da 20 a 100 pagine, a volte molte di più, specialmente quando vengono
riportate, come promemoria, precedenti richieste. I protocolli descrivono architetture finanziarie molto
complicate, con rimandi a testi di legge e intese internazionali. Molto spesso si fa ricorso a strumenti fnanziari
ibridi - è il caso dei prestiti infragruppo - che in sostanza permettono di schivare le tasse sia nel Paese di
origine di chi li utilizza, sia, in pratica, in Lussemburgo. RIFUGIo SoTTo ASSEDIo I ricchi affari della piazza
fnanziaria del Lussemburgo, cresciuta anche negli ultimi anni nonostante la crisi internazionale, hanno fnito
per provocare la reazione dei suoi grandi vicini. E sono partiti gli attacchi, soprattutto dall'interno della Ue. Il
Granducato è sotto assedio. Paesi europei come Francia, Germania, Italia e anche gli Stati Uniti, sembrano
decisi a chiudere le falle dell'evasione e dell'elusione fscale internazionale. D'altra parte le cifre parlano
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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esclusivo i segreti del paradiso fiscale / 1
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L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
Pag. 34
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chiaro. Ogni anno dai conti dell'Unione spariscono 1.400 miliardi di euro. Pochi mesi fa la Commissione di
Bruxelles si è scagliata contro il meccanismo dei "tax ruling" mettendo sotto inchiesta Amazon e Fiat Finance,
accusate di aver spuntato un aiuto di Stato illegale. Il mese scorso, poco prima di lasciare l'incarico, il
responsabile Ue della concorrenza, lo spagnolo Joaquin Almunia, ha voluto mettere in chiaro che «con bilanci
pubblici così striminziti è importante che le grandi multinazionali versino la loro giusta quota di tasse». Sotto
tiro sono entrati così anche i già citati strumenti finanziari ibridi. Entro il 2015 il trattamento fscale di questi
titoli dovrà essere uniforme in tutti i Paesi dell'Unione europea, Lussemburgo incluso. Del resto Algirdas
Semeta, commissario uscente alla tassazione, è stato chiaro: «Quando si abusa di regole per evitare di
pagare qualunque tassa, allora dobbiamo cambiarle». Fin qui le dichiarazioni d'intenti e i primi, ancora
parziali, interventi concreti. Certo è che per un paradossale scherzo della storia, alla presidenza della
Commissione europea, chiamata a serrare le fla nella lotta ai paradisi fscali, è approdato all'inizio di
novembre Jean Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo dal 1995 al 2013, dominus e in parte
artefce di un sistema fscale che ha consentito al Granducato di arricchirsi alle spalle del resto del mondo. La
Difesa DucaLe Nel marzo scorso Juncker aveva rilasciato un'intervista dai toni accesi al settimanale tedesco
"Der Spiegel", in cui respingeva sospetti e attacchi. «L'affermazione dei socialisti francesi che io favorisco
attivamente l'evasione fscale è un insulto contro il mio Paese e la mia persona», ha scandito il politico più
potente del Lussemburgo, designato al vertice della Commissione dai capi di Stato e di Governo dei Paesi
dell'Unione e poi confermato dal Parlamento con i voti dei popolari e di gran parte dei socialisti. A luglio, però,
mentre si avvicinava il voto per la nomina al vertice della Commissione, i toni di Juncker si sono addolciti e in
un discorso tenuto a Bruxelles ha promesso di «combattere evasione ed elusione fscale (...) per introdurre
principi etici nello scenario fscale europeo». Il pressing ai confni del Lussemburgo ha però già portato risultati
fino a qualche tempo fa impensabili. A metà ottobre, i ministri delle Finanze dei 28 Paesi Ue hanno trovato un
compromesso sullo scambio automatico di informazioni fscali. E per la prima volta anche il Lussemburgo si è
impegnato a collaborare con le autorità degli altri Stati membri impegnati in indagini sull'evasione tributaria.
L'accordo non entrerà in vigore prima del 2017 e alcuni esperti nutrono dubbi sulle modalità con cui l'intesa di
massima raggiunta a livello politico sarà poi tradotta in norme concrete. È la prima volta, però, che il segreto
bancario viene messo in discussione dai Paesi, come anche l'Austria, che all'interno della Ue avevano fn qui
trovato ogni scappatoia legale per non allinearsi alla posizione comune. I politici del Granducato si stanno
preparando ai tempi nuovi. Si spiega anche così l'offensiva di pubbliche relazioni lanciata dal ministro delle
Finanze lussemburghese Pierre Gramegna, che il prossimo 2 dicembre sarà in Italia, a Milano, per illustrare
alla comunità fnanziaria i numeri e le occasioni d'affari del suo Paese. Il mese scorso però lo stesso
Gramegna ha ribadito: «Il Lussemburgo non è un paradiso fscale. Lo dico forte e chiaro». ITALIAN
CONNECTION Questione di punti di vista. L'Unione europea sembra decisa a metter fne alla disparità di
trattamento che hanno fn qui consentito al Paese di Juncker di attirare enormi fussi capitali in fuga dalle
tasse. Moltissime le società italiane, anche se di recente la pressione della nostra Agenzia delle Entrate ha
convinto molti imprenditori, alcuni grandi nomi come Prada e Dolce & Gabbana, a fare marcia indietro verso
l'Italia. Nei documenti riservati della Price compare una folta rappresentanza tricolore. Oltre alle società già
indicate, l'elenco comprende altre banche, come Unicredit e Sella . Ma soprattutto la Hines , il grande gruppo
Usa che a Milano ha realizzato investimenti miliardari per ridisegnare un intero quartiere del centro città. C'è
anche la N&W Global Vending di Valbrembo, citata con il "Project Neptune". È l'operazione che ha portato nel
2008 la numero uno nelle macchine di distribuzione di cibo e bevande ad essere acquistata da Barclays e
Investcorp , una fnanziaria del Bahrein, con interessi negli Stati del Golfo. Menzionato anche il gruppo
Rinascente Upim fnanziato nel 2009 dal braccio immobiliare della Deutsche Bank, la Deutsche Bank Real
Estate Global Opportunities IB Fund . Incursioni in campo immobiliare sono state fatte in Italia anche dal
gruppo inglese European Property Investors . Un altro business del 2010 in Lussemburgo riguarda Sportfve
Group , leader mondiale delle agenzie di diritti per il calcio, legato a 250 club e a una decina di campionati
nazionali. In Italia cura i diritti di marketing e commerciali di Sampdoria, Atalanta e Juventus. Nei fle ottenuti
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da "l'Espresso" ci sono operazioni che riguardano il nostro Paese condotte da trentuno società di tutti i settori:
una parte viene descritta nell'articolo a seguire, le altre saranno pubblicate nelle prossime settimane.
muLTINAzIONALI ChE pAssIONE La crema dei più grandi gruppi mondiali è di casa in Lussemburgo, dove si
mettono a punto piani per cospicui fnanziamenti. La palma va a Procter & Gamble (Gillette, prodotti di
bellezza, igiene orale, profumi): quasi 80 miliardi di dollari a suon di certifcati che coinvolgono anche la fliale
italiana di Roma. Segue l'americana Abbott Laboratories (prodotti farmaceutici): oltre 50 miliardi di dollari. E,
ancora, tra i tanti protagonisti, Bayerische Landesbank (l'ottava banca tedesca): 500 milioni di euro; Carlyle
Group (private equity): 240 milioni di sterline e 150 milioni di dollari; Eon Group (tedesco, energia, gas): 2,55
miliardi di euro; Gazprom (la più grande compagnia russa, gas): 4 miliardi di dollari; Glaxo Smith Kline
(farmaceutica): 6,25 miliardi di sterline; Heinz (Usa, food company): 5,7 miliardi di dollari; il fondo Permira ,
che controlla Hugo Boss insieme ad alcuni membri della famiglia Marzotto: 284 milioni di sterline. Ma gli
accordi sono relativi anche ad altri colossi, come il fondo Blackstone , Accenture e Burberry . Un esempio?
Stando ai fle esaminati dal network, nel 2009 Amazon grazie alla deduzione di royalties per molte centinaia di
milioni ha dichiarato per le sue attività europee proftti per soli 14,8 milioni di euro, limitandosi a pagare 4,1
milioni di tasse nel Granducato. Pricewaterhouse Il colosso della revisione scrive nel suo sito di essere il più
grosso fornitore di servizi professionali del Lussemburgo. E giorno dopo giorno continua a crescere.
Attualmente è forte di 2.455 dipendenti, ma l'anno scorso aveva previsto di assumere ancora entro la fne del
2014. In risposta alla richiesta di commenti ricevuta da ICIJ, Pricewaterhouse ha ribattuto che la
documentazione utilizzata è «datata», composta di informazioni «rubate»: inoltre, «il furto è all'esame delle
competenti autorità». La multinazionale ha poi ribadito che le sue consulenze fiscali rispettano «le leggi
internazionali, europee e locali». E che, nella sua attività si attiene al «codice di condotta della società».
"Monsieur ruling" "Sociétés 6" è, come s'è visto, l'uffcio delle imposte familiare ai manager della
Pricewaterhouse. Che qui entrano per discutere delle loro proposte fscali. Ed è qui che per più di vent'anni ha
regnato Marius Kohl, 61 anni, arbitro e giudice unico, soprannominato "monsieur ruling", in pensione dal
2013. Di recente l'ha intervistato il "Wall Street Journal". Dipingendolo così: porta capelli raccolti con un
codino, occupava una stanza modesta, ingentilita da un calendario Pirelli, dono dell'azienda di pneumatici
che a lui si era rivolta per alcune questioni. Al giornale Usa ha dichiarato: «Il lavoro che ho fatto ha
certamente portato benefci al Paese, per quanto forse non in termini d'immagine». È stato defnito «il
guardiano dell'unica porta attraverso cui le società possono entrare nel paradiso fscale del Lussemburgo».
Aveva la mano rapida, monsieur Kohl. In un solo giorno, è riuscito a frmare ben 39 pareri positivi, lui che
sovrintendeva alla gestione di migliaia di "tax agreement". Una velocità costante, tradotta in 548 "comfort
letters", ovvero il timbro uffciale dell'approvazione fnale, in otto anni: una ogni cinque giorni. Per la gioia della
fnanza mondiale in cerca di risparmi fscali. Foto: gallerystock/Contrasto, Q.leppert/laif/Contrasto; pag 34-35
gallerystock/Contrasto, Foto: D.Schwelle/laif/Contrasto, B.Decourt/REA/Contrasto, E. Scagnettifotogloria/LUZ
Il Paese dove tutti sono ricchi
AbitAnti
fondi
oltre 11 milA Società holding
Superficie
debito pubblico
Segreto bAncArio
reddito pro cApite
Lussemburgo
149 iStituzioni bAncArie
ASSet di holding compAny Fonte Fmi più alto del mondo: 110 mila dollari 2.586 kmq dimensioni di una
provincia italiana (più piccolo della Val d'Aosta) superano i 2 mila miliardi di dollari, 1.600 miliardi di euro 23%
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L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
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circa del pil fonte Fmi hanno sede in lussemburgo 33 tedesche 15 Svizzere per un attivo di bilancio
complessivo di poco inferiore a 750 miliardi di euro finirà nel 2017 550 mila 40 per cento nati fuori dal paese
gestiscono asset per oltre 3 mila miliardi di euro hanno sede in lussemburgo
Il network del giornalismo d'inchiesta
The International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) è stato fondato a Washington nel 1997 da
Chuck Lewis. Il network conta oggi 185 giornalisti di 65 Paesi ed è specializzato soprattutto in indagini su
corruzione e crimini transnazionali, che durano molti mesi e sono finanziate da fondazioni americane ed
europee. Per questo si avvale della collaborazione di reporter che svolgono le inchieste scambiandosi le
informazioni. L'anno scorso ha lanciato la serie "offshoreleaks", pubblicata da "l'Espresso", che ha rivelato i
nomi degli italiani con società nei paradisi fiscali delle Cayman e delle British Virgin Islands. Articoli premiati
lo scorso giugno alla conferenza annuale di Investigative Reporters and Editors (IRE), organizzata
dall'Università del Missouri. Anche l'inchiesta sul Lussemburgo di queste pagine è opera di ICIJ. In passato
una minima parte dei documenti sul Granducato era stata usata dal giornalista televisivo francese di France 2
Edouard Perrin, insieme alla Bbc. Adesso i file vengono pubblicati da 26 testate, inclusi Guardian, le Monde,
Suddeutsche Zeitung e Asahi Shimbun.
Foto: la sede della deutsche bank nel granducato del lussemburgo
Foto: NEI FILE LE INTESE CoN IkEA, AmAzoN, DEUTSChE bANk, pRoCTER & GAmbLE. SoLo L'1,1 pER
CENTo DI TASSE SUI pRoFITTI un magazzino di amazon e sopra una immagine del lussemburgo
Foto: LA BAnCA DEL LUSSEmBURgo. A DEStRA: JEAn-CLAUDE JUnCkER. A SiniStRA: LA SEDE Di UnA
FinAnZiARiA l'ex PreMier e le autorità del granducato ribattono: non è vero che favoriaMo l'evasione e
l'elusione fiscale
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L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
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Ecco gli italiani col fisco su misura
Le nostre grandi banche. E poi Pirelli, Ligresti. Il colosso Hines che ha cambiato faccia a Milano. Persino
Finmeccanica. Tutti in fila per chiedere benefici
PAOLO BIONDANI, VITTORIO MALAGUTTI E LEO SISTI
Igrattacieli giganteschi che hanno cambiato il panorama di Milano. I palazzi storici della Regione Sicilia. Gli
investimenti affidati dai risparmiatori italiani alle grandi banche. Gli affari internazionali dell'industria statale
delle armi. C'è un pezzo d'Italia nelle 28 mila pagine di documenti fscali lussemburghesi scoperti
dall'International Consortium of Investigative Journalists e pubblicati da "l'Espresso" in esclusiva nazionale.
Centinaia di pagine di documenti che riguardano il nostro Paese. Sono i patti segreti con il fsco del
Granducato. Grazie a questi accordi, in gergo ruling, alcuni grandi investitori sono riusciti a ridurre al minimo
le imposte da pagare in Italia su importanti operazioni. Affari miliardari tassati pochissimo grazie alla
generosa legislazione lussemburghese. Un nome su tutti: il colosso immobiliare Hines , che con i capitali
raccolti in Lussemburgo ha ridisegnato, tra grattacieli, giardini e nuove strade, una fetta importante del centro
di Milano, tra i quartieri Isola, Garibaldi, Porta Nuova e Varesine. Hines è guidata in Italia da Manfredi Catella
, a lungo fnanziato da Salvatore Ligresti , poi uscito di scena causa dissesto. Ma nelle carte esaminate da
"l'Espresso", insieme a banche come Intesa San Paolo , Unicredit , Marche e Sella o aziende di Stato come
Finmeccanica , compaiono anche i fondi immobiliari targati Deutsche Bank , che insieme al gruppo Pirelli di
Marco Tronchetti Provera si sono messi in affari con la Regione Sicilia dell'allora governatore Salvatore
Cuffaro , poi condannato e tuttora in carcere. I documenti che "l'Espresso" ha potuto consultare riguardano
solo i ruling siglati con la consulenza di Pricewaterhouse Coopers (Pwc), la multinazionale della revisione di
bilancio e della consulenza attivissima in Lussemburgo. Spesso gli accordi fanno riferimento a precedenti
intese siglate con il fsco del Granducato. In questi casi risulta quindi più diffcile fornire dati precisi sulle
somme in gioco e i vantaggi concreti ottenuti dalle aziende. Le carte di Hines, per esempio, riguardano un
ruling dell'agosto 2010, che richiama solo stralci di quattro intese precedenti, siglate a partire dal 2006. Ma il
risultato fnale resta chiaro: le holding lussemburghesi che tirano le fla del grande intervento edilizio a Milano
hanno visto ridursi a pochi spiccioli le tasse sui loro proftti. A tutto vantaggio degli investitori, a cominciare
dalla stessa Hines e dal gruppo Ligresti. Senza contare che le società del Granducato controllano fondi
immobiliari di diritto italiano, gli stessi che hanno gestito il grande business dei nuovi quartieri nella metropoli
lombarda. E anche i fondi immobiliari, nel nostro Paese, sono soggetti a un particolare regime fscale molto
favorevole ai sottoscrittori. Al vertice della costruzione targata Hines c'è un fondo americano collegato a una
società anonima con base nel paradiso fscale del Delaware. Da qui si diramano tre strutture di holding e subholding lussemburghesi, dove compaiono i soci italiani. La maggioranza è sotto il controllo di Hines. Poi ci
sono i Ligresti, tramite la holding Premafn o le compagnie di assicurazioni Fonsai e Milano , che all'epoca del
ruling (2010) erano controllate dalla famiglia. Una quota minore (3,44 per cento) fa capo alla Coima , la
società di famiglia di Catella. Le tre strutture societarie sono state fnanziate (anche dai soci italiani, secondo il
ruling) con speciali strumenti, chiamati "bond ibridi". Sono titoli con caratteristiche molto simili alle
obbligazioni, cioè debiti da rimborsare con gli interessi. La legge lussemburghese permette però di
considerare questi stessi bond come "equity", cioè capitale di rischio investito in azioni. Proprio questo è uno
spiraglio in cui si inflano gli investitori alla ricerca di sconti sulle tasse. Nel documento protocollato il 25 agosto
2010, i consulenti di Pwc presentano al Fisco del Granducato «le conclusioni raggiunte nel nostro incontro di
oggi»: l'obiettivo è considerare quei bond come azioni, quindi quote di capitale. In questo modo gli strumenti
ibridi finiscono sotto l'ombrello della cosiddetta Pex (che sta per "participation exemption"): grazie a questo
regime fscale diventano esenti da tassazione le plusvalenze realizzate con la vendita di quote azionarie. Una
forma di Pex è stata introdotta anche in Italia, nel 2004, dall'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ma
la versione del Lussemburgo resta molto più vantaggiosa: nel Granducato è possibile sottrarre dalle tasse
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Esclusivo i segreti del paradiso fiscale / 2
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l'eventuale deprezzamento della partecipazione, oltre alle minusvalenze in caso di vendita. Due benefci che
in Italia sono esclusi. Hines Italia, interpellata da"l'Espresso", dichiara di «occuparsi solo dei fondi italiani»,
per cui «non è coinvolta nelle questioni fscali degli investitori esteri». Mentre Coima precisa di «non aver mai
preso parte» ai ruling e comunque la sua «limitata partecipazione al fondo Isola»è «soggetta esclusivamente
alla fscalità italiana». I consulenti di Pwc si sono occupati anche di un affare che ha per protagonisti la
Deutsche Bank, il più grande istituto di credito tedesco, e la Regione Sicilia dell'allora governatore Cuffaro.
L'operazione, che ha preso le mosse nel 2007, ruota attorno al fondo Global Opportunities, gestito da
Deutsche Bank attraverso una piramide societaria che parte dallo Stato americano del Delaware, transita da
Malta e infne approda in Lussemburgo. E qui, all'ombra della favorevole legislazione fiscale del Granducato,
prosperano le holding che tirano le fla di alcuni fondi immobiliari italiani. Col nome in codice di un vino,
"Malvasia", il ruling datato 2010 identifca l'operazione che ha portato sotto l'ombrello di Global Opportunities
un gran numero di palazzi ceduti dalla Regione Sicilia. E confuiti in un apposito fondo immobiliare.
Un'operazione discussa, perché l'ente pubblico si riprendeva in afftto quegli stessi palazzi pagando canoni
milionari. Polemiche anche sulla selezione dei soci privati: accanto a big del livello di Prelios (all'epoca
controllata da Pirelli), compare anche un immobiliarista di Pinerolo, Ezio Bigotti. Il ruling sottoposto alle
autorità fscali del Lussemburgo riguarda anche in questo caso il trattamento fscale da riservare ai bond ibridi.
Questa volta però i consulenti giungono alla conclusione, approvata dalla controparte, che quei titoli vadano
trattati come debito. Il risultato fnale è comunque favorevole agli investitori. La legge del Granducato, infatti, è
molto più generosa di quella italiana anche sugli interessi: quelli passivi si possono detrarre senza limiti dai
redditi, mentre per quelli attivi la tassazione è bassa o nulla. Irrisorie anche le imposte sui proftti, regolate
proprio dai ruling: le holding pagano l'1 per cento; le sub-holding lo 0,25; le sub-subholding lo 0,125 per
cento. Signifca che per ogni milione di proftti incamerati in Lussemburgo, la tassazione massima è di
diecimila euro. Il gruppo Pirelli, contattato da "l'Espresso", ha precisato che «nessun ruling è mai stato
chiesto» da alcuna sua società e neppure dalla partecipata lussemburghese «Bicocca sarl», per cui gli
«eventuali benefci fscali» potrebbero riguardare altri. Per molti anni chi ha investito tramite il Lussemburgo ha
fatto affari d'oro anche grazie a una distorsione di una direttiva europea (chiamata "madre-fglia"),
originariamente varata per evitare casi di "doppia tassazione". Come dire che una societàfglia può distribuire
proftti esentasse a una società-madre con sede in uno Stato diverso. Il presupposto logico è che le tasse le
paghi quest'ultima nel suo Paese. Ma il sistema dei bond ibridi ha spesso consentito di realizzare una "doppia
non tassazione": sui redditi legati a questi particolari titoli non viene pagata nessuna imposta, né in Italia né in
Lussemburgo. Una prassi consacrata proprio dai ruling. L'Ue, nei mesi scorsi, ha varato una modifca di quella
direttiva: in futuro i prestiti ibridi non potranno più azzerare le tasse in entrambi i Paesi. Ma i proftti già
incamerati restano intoccabili. I ruling lussemburghesi sono stati utilizzati anche da banche italiane per
"ottimizzare" i carichi fscali. Ad esempio la Banca delle Marche, che oggi è in gravi diffcoltà, nel 2005 aveva
creato in Lussemburgo una società di gestione di un fondo. Nel 2010 l'allora vertice dell'istituto ha trasferito
alla società lussemburghese altre attività, di cui il ruling non precisa il valore. A quel punto la banca si rivolge
alle autorità per stabilire un valore di "avviamento" e quindi la misura dell'ammortamento da dedurre
fscalmente. Ruling analoghi sono stati frmati nel 2009 da Unicredit International e nel 2008 dalla San Paolo
Bank, una controllata lussemburghese dell'istituto di Torino, che a fne 2007 si è fuso con Intesa. Dal punto di
vista italiano, il problema è la provenienza dei beni da ammortizzare. Arrivano dall'Italia? E come sono stati
trasferiti alla controllata in Lussemburgo? Sono possibili due ipotesi. In caso di cessione, si porrebbe una
questione di correttezza del prezzo dichiarato: una direttiva europea, infatti, impone di rispettare parametri
oggettivi, proprio per evitare manovre fscali tra società dello stesso gruppo. Nel caso opposto di scissione,
invece, il riconoscimento di un avviamento in Lussemburgo, con relativo ammortamento, costituisce un
vantaggio fscale non riconosciuto in Italia. Banca delle Marche, interpellata da "l'Espresso", precisa che la
sua società lussemburghese «promuoveva fondi la cui gestione era delegata a Eurizon del gruppo Intesa» e
comunque «è stata liquidata nel dicembre 2011», per cui oggi «il ruling non ha più nessun effetto». Da
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Unicredit e Intesa San Paolo, per ora, nessun commento. Anche Banca Sella nel 2009 ha siglato un ruling,
con l'obiettivo di trasferire le perdite della sua controllata lussemburghese a una nuova società, nata da una
scissione. Questo tipo di benefcio è ammissibile anche in Italia, ma a condizioni molto restrittive, di cui non
c'è traccia nel ruling. Confermando il contenuto dell'accordo, Banca Sella ha chiarito a "l'Espresso" di aver
«cessato ogni operatività in Lussemburgo nel 2011», quando ha ceduto la sua controllata «al gruppo Credit
Andorra». Quindi «il ruling ha permesso di trasferire all'acquirente i benefici fiscali delle perdite». Mentre la
scissione «non ha trasferito alcuna attività dall'Italia al Lussemburgo». Nei documenti di Pwc spunta anche un
gruppo pubblico come Finmeccanica, che nel 2010 si è rivolto alle autorità lussemburghesi per ristrutturare le
proprie società nel Granducato evitando tasse aggiuntive. Un riassetto in due mosse: liquidazione di Mecfnt,
con distribuzione dell'attivo alla società-madre; e fusione di Finance dentro Aeromeccanica, controllata dalla
capogruppo italiana. Finmeccanica per ora non ha risposto alle richieste di chiarimenti. Mentre il testo del
ruling non specifica quali volumi di denaro siano entrati e usciti dalle società lussemburghesi di
Finmeccanica, attive fn dagli anni Novanta. Di certo in quel periodo migliaia di aziende hanno trasferito la
tesoreria in Lussemburgo, per gestire i prestiti tra società interne al gruppo approfttando dei vantaggi fscali
previsti anche per gli interessi (sia passivi che attivi). È dunque verosimile che Finmeccanica abbia creato le
sue fnanziarie lussemburghesi per raccogliere prestiti all'estero e abbattere le imposte in Italia. Se fosse così,
il risultato sarebbe memorabile: perfno un'azienda di Stato avrebbe utilizzato il Lussemburgo per pagare
meno tasse. Allo stesso Stato italiano che la controlla. ha collaborato Alfredo Faieta Foto: M.Garofalo/LUZ,
Ansa; pag 40-41: A.Digaetano/LUZ,Olycom, Imagoeconomica (3)
Chi torna in patria PRADA. "Crediamo nel made in Italy" ha detto Patrizio Bertelli per spiegare il rimpatrio
delle società lussemburghesi (e olandesi) tramite le quali controllava l'impero della moda quotato alla borsa di
Hong Kong. Il rientro però, non è stato indolore: l'adesione alla cosiddetta voluntary disclosure è costata una
cifra pari a 470 milioni. Che non ha evitato l'apertura di un'indagine penale. DOLCE & GABBANA. Nel 2004 i
due stilisti avevano ceduto i loro marchi a una società lussemburghese creata ad hoc all'interno del gruppo, la
Gado, che avrebbe dovuto gestire il loro sfruttamento incassando le royalty. Nel 2007 hanno invece deciso di
rimpatriarla a seguito di un'indagine fscale. Recentemente sono stati assolti in Cassazione dall'accusa,
penale, di evasione fscale. Pendono, sempre in Cassazione, due giudizi tributari.
Chi resta nel Granducato FERRERO. Oggetto ad inizio degli anni 80 di una delle primissime indagini per
elusione fscale, chiusa con l'assoluzione piena, il gruppo controllato da Michele Ferrero ha posizionato da
molti anni il centro dei propri interessi fnanziari in Lussemburgo. Lì ha sede la Ferrero International, holding
cui fanno capo sia le società commerciali sia quelle industriali sparse nel mondo. Il fondatore vive da decenni
a Montecarlo. TECHINT. San Faustin è la holding industriale della famiglia Rocca, industriali italo argentini
con interessi che vanno dalle forniture al settore petrolifero (Tenaris) alle cliniche private (Humanitas). Dalle
Antille olandesi è stata spostata in Lussemburgo dove resta tuttora nonostante una transazione da 30 milioni
con il fsco per dividendi prodotti dalle controllate italiane. Gianfelice Rocca è presidente degli industriali
lombardi.
Foto: Le nuOvI TORRI cHe HAnnO cAMbIATO IL pAnORAMA DI MILAnO ReALIzzATe DAL GRuppO HIneS
Foto: SoTTo: LEoNArDo DEL VECChIo. A DESTrA: PIAZZA GAE AULENTI, CUorE DELLA NUoVA CITy
MILANESE
Foto: gli interessati, interpellati da "l'espresso", minimizzano o negano. ma le carte parlano chiaro
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L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
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Quelle buonuscite di Luxottica
vittorio malagutti
Ai primi di ottobre, pochi giorni prima di rassegnare le dimissioni, l'amministratore delegato Enrico Cavatorta
ha liquidato le sue azioni Luxottica, incassando la bellezza di 22 milioni di euro.Una montagna di soldi targata
Lussemburgo. Già, perché è stata Delfn, la holding di Leonardo Del Vecchio con base nel Granducato, a farsi
carico dell'impegno preso tempo addietro con una pattuglia di top manager del gruppo. A maggio, ne aveva
approfttato anche Andrea Guerra. Il predecessore di Cavatorta ha liquidato titoli per 51 milioni giusto poche
settimane prima di fare le valigie a fne agosto. In entrambi i casi a pagare il conto è stata Delfn. Un conto
pesante, perché in base ai piani di incentivo siglati a partire da settembre 2004, Del Vecchio si è impegnato a
vendere ai manager un totale di 9,6 milioni di azioni Luxottica (il 2,01 per cento del capitale) a un prezzo di
13,67 euro per poi ricomprarle al valore di mercato corrente su richiesta degli stessi benefciari. Con la
quotazione di Luxottica che viaggia in Borsa intorno ai 40 euro, Guerra e Cavatorta hanno realizzato
plusvalenze per decine di milioni ciascuno. D'altra parte il patron di Luxottica, attraverso Delfn, nel 2014 ha
subìto perdite per una cinquantina di milioni. Gli oneri dei premi ai manager sono transitati nel bilancio della
holding con base nel Granducato, ben lontani dai rifettori della Borsa. Questa società, che vanta un attivo di
oltre 8 miliardi di euro, è al centro dello scontro in famiglia fnito sui giornali nelle settimane scorse. Con
Nicoletta Zampillo, la moglie del fondatore della multinazionale degli occhiali, che reclama una quota
importante, si dice il 25 per cento, del capitale della cassaforte a cui fa capo il controllo di Luxottica. Al
momento invece le azioni sono divise in parti uguali tra i sei fgli (da tre unioni diverse) del patron del gruppo,
che si è riservato l'usufrutto sui titoli. Del Vecchio non ha fn qui seguito l'esempio di altri imprenditori, come
Dolce e GabbanaDella Valle o Miuccia Prada con il marito Carlo Bertelli, che di recente, anche per effetto
delle pressioni del Fisco nostrano, hanno riportato in Italia dal Lussemburgo la loro holding di famiglia. D'altra
parte, la generosa legislazione del Granducato ha consentito al fondatore di Luxottica di azzerare, o quasi, il
conto da pagare all'Erario per alcune importanti operazioni fnanziarie. Nel 2012, per esempio, Delfn ha
collocato in Borsa una quota del 7 per cento di Luxottica, realizzando una plusvalenza di oltre 300 milioni
praticamente esentasse. Un trattamento ancora più favorevole, rispetto a quello, già molto vantaggioso,
previsto in Italia dalla cosiddetta Pex, participation exemption. Non basta. Nel bilancio di Delfn compaiono
strumenti fnanziari particolari, e sconosciuti alla legislazione del nostro Paese, come i Pesc (preferred equity
stock certifcates). Di fatto si tratta di capitale sociale, ma in Lussemburgo vengono trattati come obbligazioni.
Sul rendimento di questi titoli è nata una controversia con l'Agenzia delle entrate che di recente Del Vecchio
ha chiuso pagando una sanatoria di 146 milioni. Poco male. Nel bilancio 2012 della holding si legge che nel
2011 sono stati assegnati 150 milioni di euro al "sole shareholder", cioè lo stesso Del Vecchio. Tutto denaro a
suo tempo accantonato in un fondo speciale come provento dei Pesc, i titoli su cui è nata la vertenza con il
Fisco italiano.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Il greggio a 50 dollari scenario possibile
Scendesse così in basso, metterebbe a rischio la stabilità di nazioni cruciali. E scatenerebbe la reazione dei
Paesi produttori
Leonardo Maugeri
Mentre i consumatori festeggiano la caduta dei prezzi del petrolio, la sua eventuale progressione e la sua
durata agitano una serie di spettri sullo scenario internazionale. Prima di affrontarli, è necessario cercare di
capire se la crisi è destinata a durare oppure no. Per quanto avessi anticiPato nel 2012 quanto sta
accadendo, non ho una sfera di cristallo: posso solo osservare che i motivi per cui indicai la possibilità di una
caduta che nessuno pensava possibile sono ancora lì. La capacità produttiva mondiale di petrolio è cresciuta
troppo, mentre la domanda ha continuato a crescere poco. Si è così creato un forte sbilanciamento che, a
breve, è diffcile da compensare. Sarebbe necessario un forte rimbalzo dei consumi mondiali o un'azione
decisa da parte dei grandi produttori, a partire da quelli riuniti nell'OPEC, ma entrambe le opzioni sono poco
probabili per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare in un breve commento. Altrettanto improbabile è una
brusca interruzione del super-ciclo di investimenti che ha fatto lievitare la capacità produttiva, sia perché chi
ha già speso buona parte del proprio budget continuerà a spendere per arrivare rapidamente a recuperare
quanto ha già investito, sia perché una compagnia petrolifera - nella maggior parte dei casi - non può tagliare
nottetempo i suoi investimenti senza il consenso del governo del Paese in cui opera, che non è così facile da
ottenere. Diffcile, inoltre, è che gli Stati Uniti riducano la loro produzione di petrolio, la cui impennata è stato il
fattore più importante nell'aumento della capacità produttiva mondiale. La rivoluzione dello shale oil - seguita
a quella dello shale gas - procede a passo impetuoso e, soprattutto, a costi che si riducono di anno in anno.
Così, gran parte del nuovo greggio americano è capace di resistere a prezzi inferiori ai 65 dollari a barile. In
queste condizioni, è possibile che il prezzo del petrolio scenda ancora, e potrebbe perfno precipitare se il
panico si impossessasse del mercato. Solo in questo caso, cioè dopo una caduta verticale sui livelli inferiori a
60 o 50 dollari, sarebbe probabile una reazione forte sia della domanda mondiale, sia dei Paesi produttori e
delle compagnie petrolifere. In altri termini, un vero collasso dei prezzi è possibile, ma avrebbe una durata
limitata. Che il collasso si verifchi o no, una caduta prolungata dei prezzi dell'oro nero getta ombre lunghe
sulla stabilità di alcuni Paesi critici per l'ordine mondiale. Partiamo dalla russia, richiamando un elemento
storico di solito trascu rato. Negli ultimi 40 anni, la fortuna (o il declino) dei leader russi è andata di pari passo
con i prezzi del petrolio. È stato così per l'ultimo Breznev, per Gorbaciov, per Eltsin e infne per Vladimir Putin
che, grazie al volo dei prezzi del greggio (e del gas, legati al petrolio nei contratti di esportazione), ha potuto
contare su stabilità e grande consenso interno. Ma ora che la maledizione dei prezzi calanti si ripresenta, lo
stesso Putin avrà maggiori motivi di preoccupazione interna. Nel 2013, petrolio e gas hanno garantito oltre il
50 percento delle entrate statali russe, per le quali ogni calo di un dollaro del prezzo del greggio implica una
perdita di 1.7 miliardi di dollari su base annuale. In linea teorica ciò signifca che, se i prezzi rimanessero quelli
di adesso, Mosca disporrebbe di quasi 50 miliardi di dollari in meno nel 2015, a cui si aggiungono altri 10-15
miliardi dovuti alle rinegoziazioni dei contratti del gas, su un budget di entrate (base 2014) di 400 miliardi di
dollari. Un salasso micidiale, che unito alle sanzioni determinate dalla crisi Ucraina potrebbe aumentare
esponenzialmente il malcontento verso Putin e spingere quest'ultimo a atteggiamenti più aggressivi sul piano
interno e internazionale per sedare e mascherare i problemi interni. i Prezzi del Petrolio in caduta, inoltre,
potrebbero infammare più di quanto non lo sia già la situazione dell'intero Medio Oriente e del Golfo Persico,
partendo da due Paesi chiave di quello scacchiere: Arabia Saudita e Iran. Entrambi hanno abusato
dell'abbondanza portata dal caro-petrolio per sussidiarie qualsiasi iniziativa sociale o consumo interno, in
modo da contenere e confnare il malessere di popolazioni sempre più giovani (circa il 70 per cento delle
popolazioni dei due Paesi è costi tuita da giovani sotto i 24 anni). Con l'avanzata del terrore islamico alle
porte, il venire meno di introiti miliardari per Paesi in cui il petrolio genera tra il 60 per cento (Iran) e l'80
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Mondo Senza frontiere
07/11/2014
L'Espresso - N.45 - 13 novembre 2014
Pag. 87
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 07/11/2014
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(Arabia Saudi ta) delle entrate statali potrebbe fare da detonatore per tensioni fno a oggi represse o sopite. E
questo vale anche per altri Paesi del Golfo. Mi fermo qui per non agitare altri spettri, che non mancano.
Tuttavia, per quanti vedono con favore la caduta dei prezzi del greggio e si augurano che diventi ancora più
impetuosa, mi vien d'obbligo di citare la fne del "Sabato del Villaggio": Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave. [email protected]
SCENARIO PMI
4 articoli
07/11/2014
Corriere della Sera - Brescia
Pag. 3
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Gli imprenditori ci credono ancora: «Insieme per salvare il nostro
manifatturiero»
Paola Artioli Con la firma ci sarebbero trattative più rapide Aldo Bonomi Il Patto ci farebbe remare tutti nella
stessa direzione
R. Giu.
Sul versante imprenditoriale le attese e le speranze prima dell'incontro tra sindacati e vertici Aib programmato
per ieri sera nella sede di via Cefalonia, erano tante. La posta in gioco era alta e non solo per il significato
«politico» che il Patto per Brescia si porta dietro.
La firma di un accordo tra imprese e sindacati a Brescia, culla di un confronto spesso aspro e ruvido, avrebbe
un rilievo nazionale. Il modello di nuove relazioni sindacali che si sta cercando di creare e targato made in
Brescia, tradotto nella quotidianità della vita di fabbrica, vorrebbe dire fissare dei paletti entri i quali imprese e
sindacati potrebbero muoversi con principi e presupposti che diventano comuni e condivisi. Come iniziare a
leggere un libro saltando, perché già conosciuta, la prefazione. E la contrattazione di secondo livello, quella
aziendale, diventerebbe più semplice. Con vantaggi per tutti.
Avere regole chiare, per molti imprenditori, vorrebbe dire avere maggiori certezze per iniziare o continuare ad
investire ma anche cancellare con un colpo di spugna tanti alibi.
«Firmare il Patto per Brescia, vorrebbe dire fare un grande passo in avanti - ha precisato il vice presidente di
Aib Paola Artioli -. Consentirebbe trattative più rapide andando direttamente al nocciolo delle questioni».
Se fosse firmato dall'Aib impegnerebbe tutti gli associati lasciando alla negoziazione tra singole aziende e
rappresentanti sindacali il quantificare, ad esempio, il premio di produzione. Ma non solo. Nel Patto ci
sarebbe anche quell'impegno comune, passando attraverso il coinvolgimento dei lavoratori, a creare
condizioni di competitività e produttività tali da rilanciare e rafforzare l'occupazione. Una contrattazione
aziendale finalizzata quindi a migliorare l'impegno dei fattori produttivi, l'organizzazione del lavoro,
l'andamento economico delle aziende e la crescita delle retribuzioni dei lavoratori. Un'evoluzione della
contrattazione che terrebbe conto delle profonde trasformazioni economiche che non hanno certo risparmiato
una struttura industriale manifatturiera che ha fatto la storia dell'economia bresciana.
«Il vantaggio di firmare il Patto per Brescia - ha sottolineato Aldo Bonomi, past president dell'organizzazione
di via Cefalonia - è che tutti andrebbero nella stessa direzione con un obiettivo condiviso: salvare il
manifatturiero bresciano». L'alternativa, scongiurata dall'esito dell'incontro di ieri sera, sarebbe stato lo status
quo. Con pochi vantaggi per tutti.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
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Le reazioni
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Luca Orlando
Secondo il rapporto Prometeia e Intesa Sanpaolo soltanto le esportazioni "salvano" l'industria che registra nel
2014 un ulteriore calo di fatturato dello 0,2%. Tutti i settori mettono a segno performance positive verso
l'estero.
Luca Orlando u pagina 11
MILANO
Ancora giù, per il terzo anno consecutivo. L'emorragia di ricavi per l'industria italiana procede anche nel
2014, anche se la riduzione dei fatturati è limitata allo 0,2%. Magra consolazione, considerando che nelle
stime di Prometeia e Intesa San Paolo il 2014 si chiuderà su livelli distanti oltre 70 miliardi di euro rispetto al
2011, ultimo anno di crescita per la manifattura nazionale.
In termini reali si tratta di un arretramento nell'ordine del 9%, un gap che quasi raddoppia per alcuni settori
come prodotti da costruzione, elettronica, largo consumo e mobili, e la cui chiusura totale è rinviata ad un
futuro non troppo vicino. Le prospettive più rosee del prossimo biennio offriranno infatti un sollievo solo
parziale alla manifattura italiana, una crescita media annua dei ricavi di poco inferiore al 2%, che lascerà però
al termine del periodo una distanza di 45 miliardi di euro rispetto ai ricavi 2011. Di fatto, è come su fossero
sparite dai radar in un solo colpo gruppi del calibro di Telecom, Finmeccanica e Pirelli.
Risultati che sarebbero potuti essere anche peggiori se le imprese italiane non fossero riuscite a realizzare
performance importanti oltreconfine.
È interessante infatti notare come l'export, per tutti i settori manifatturieri analizzati, presenti nel 2014
variazioni positive, in qualche caso particolarmente brillanti come per farmaceutica e auto.
Il rallentamento del commercio mondiale e le tante aree di crisi vicine e lontane non hanno impedito alle
aziende tricolore di realizzare il miglior risultato di export in Europa alle spalle della sola Polonia, con l'effetto
di mitigare il calo dei consumi interni. Situazione che non pare destinata a modificarsi. Per gli analisti di
Prometeia e Intesa SanPaolo, a fronte della stabilizzazione e di un lento recupero della domanda nazionale
(vista in crescita dell'1,4% nel prossimo biennio), saranno ancora le vendite oltreconfine a rappresentare il
principale motore di crescita per il nostro sistema economico nei prossimi anni, con tassi di crescita medi del
3,6% a prezzi costanti e un rafforzamento dell'avanzo commerciale manifatturiero oltre quota 100 miliardi di
euro, anche grazie all'evoluzione favorevole del cambio. Auto e moto, farmaceutica, elettrotecnica, chimica,
alimentari e meccanica riusciranno a spuntare performance superiori alla media, con tassi di crescita annua
dell'export superiori al 3%, mentre risultati positivi ma più limitati verranno realizzati da elettronica e sistema
moda.
A differenza però di quanto osservato nei cicli economici del passato - spiegano gli analisti - il positivo
andamento delle esportazioni degli ultimi anni non è bastato a sostenere gli acquisti di macchinari e mezzi di
trasporto, in contrazione anche nel 2014. Nonostante le misure incentivanti e un grado di utilizzo degli
impianti non distante dalle medie di lungo periodo, sembra più debole la relazione export-investimenti. Una
spiegazione possibile è legata a fattori contingenti, tra cui le incertezze che coinvolgono sia la domanda che
l'accesso al credito. Ma su un orizzonte più ampio pesa anche il progressivo maggior peso di altre tipologie di
investimenti, da quelli intangibili a quelli effettuati direttamente sui mercati esteri di produzione o vendita.
Fattori che per gli analisti dovrebbero continuare ad agire da vincolo, portando a una evoluzione lenta degli
investimenti anche nei prossimi anni. La crescita delle vendite all'estero, se non sufficiente per spingere una
nuova robusta fase di investimenti, sarà tuttavia in grado nel 2015 di riportare finalmente il segno più sui
ricavi manifatturieri. A prezzi costanti il recupero è quantificabile in 13 miliardi di euro, con le performance
migliori in termini percentuali per metallurgia, meccanica ed elettrotecnica, mentre l'elevata dipendenza dal
mercato interno continuerà a frenare i risultati di costruzioni e alimentari. Alla "ripresina" dei ricavi - si legge
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Solo l'export «salva» l'industria
07/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
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nel rapporto - seguirà anche un miglioramento nei margini aziendali, fondamentale per poter avviare un
nuovo ciclo di investimenti. Recupero della domanda interna ed estera, limitate tensioni sui costi,
indebolimento dell'euro e selezione delle imprese in difficoltà spingeranno verso l'alto la redditività di coloro
che riescono a resistere, arrivando nel 2016 a sviluppare un margine operativo lordo pari all'8,3% del valore
della produzione, oltre un punto in più rispetto a quanto accadeva nel 2012.
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LA PAROLA CHIAVE Mol Il Margine Operativo Lordo, spesso usato con l'acronimo Mol (in inglese Ebitda),
indica il risultato lordo della gestione ordinaria della società, ossia i ricavi meno i costi, senza prendere ancora
in considerazione gli oneri/interessi finanziari, gli ammortamenti e le imposte. Secondo il rapporto Prometeia,
il recupero della domanda interna, le esportazioni, le limitate tensioni sui costi, l'indebolimento dell'euro e la
ridotta concorrenza porteranno le aziende a sviluppare nel 2016 un Mol pari all'8,3% del valore della
produzione, oltre un punto in più rispetto al 2012. Con il miglioramenti dei ricavi e dei margini operativi potrà
essere avviato un nuovo ciclo di investimenti. LE ESPORTAZIONI Crescita tendenziale dei principali paesi
mondiali (var.%I semestre 2014) IL FATTURATO Evoluzione nel manifatturiero (miliardi di euro a prezzi
costanti) L'analisi 820 800 780 760 740 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Italia Belgio e Luss. Germania
Messico Spagna 0,5 1,1 1,3 2,2 2,3 Polonia 8,4 I SETTORI Previsioni di crescita 2015-16 (var.%mediaannua,
prezzi costanti) Prod. costr. 0,81 Alim. - bevande 1,23 Farmaceutica 1,26 Elettrodom. 1,34 Elettronica 1,45
Int. chimici 1,48 Sist. moda 1,52 Altri intermedi 1,57 Mobili 1,58 Ind. manif. 1,86 Prod. metallo 1,91 Largo
consumo 1,94 Auto e moto 2,44 Elettrotecnica 2,59 Meccanica 2,72 Metallurgia 2,96
73 miliardi
LA PERDITA DI FATTURATO DAL 2011
Foto: - Fonte: Prometeia - Intesa Sanpaolo
07/11/2014
ItaliaOggi
Pag. 4
(diffusione:88538, tiratura:156000)
In Gazzetta Uffi ciale il fondo straordinario per l'editoria. Da ieri è operativo il Fondo straordinario per l'editoria
istituito dalla Legge di stabilità per il 2014, dopo la pubblicazione in Gazzetta Uffi ciale del decreto del
presidente del consiglio dei ministri con il quale sono state ripartite le risorse per gli interventi di sostegno al
settore. Le misure a disposizione delle imprese editoriali riguardano gli investimenti in innovazione
tecnologica e digitale, anche per imprese di nuova costituzione, gli incentivi alla nuova occupazione e il
sostegno agli ammortizzatori sociali. Tra le varie misure, circa 7 milioni e mezzo di euro sono destinati al
fondo di garanzia per le piccole e medie imprese: i fi nanziamenti bancari per investimenti in innovazione
tecnologica e digitale saranno assistiti dalla garanzia pubblica, rendendo così più facile per le imprese
l'accesso al credito e migliori le condizioni ottenibili. Ancora, 11 milioni di euro sono poi stanziati per
promuovere nuove assunzioni di giornalisti: lo stato si fa carico di tre anni di contribuzione previdenziale per i
contratti a tempo indeterminato e del 50% della contribuzione previdenziale per i nuovi assunti a tempo
determinato. Il decreto prevede ulteriori meccanismi per incentivare la trasformazione delle posizioni a tempo
determinato in contratti a tempo indeterminato. Due milioni di euro sono destinati, infi ne, al sostegno degli
ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni straordinaria e contratti di solidarietà) gestiti dall'Istituto
di previdenza dei giornalisti italiani. News Corp, sale il fatturato del primo trimestre ma cala la pubblicità. Il
colosso dei media del magnate australiano Rupert Murdoch ha riportato risultati superiori alle attese nel primo
trimestre fi scale grazie ai libri e ai siti di annunci immobiliari. In generale i profi tti sono saliti a 65 milioni di
dollari dai 27 mln dello stesso periodo dell'anno scorso e il giro d'affari è aumentato del 4% a 2,15 miliardi di
dollari, in entrambi i casi meglio di quanto avevano previsto gli analisti. A dare un impulso positivo ai conti
sono state le attività nell'editoria libraria, che genera il 19% del fatturato totale del gruppo: le entrate sono
salite del 24% a 406 milioni di dollari trainate dai marchi HarperCollins e Amplify Learning (+56% a 42
milioni). Simile incremento hanno conosciuto anche i ricavi dai servizi digitali sull'immobiliare. La stampa
quotidiana e periodica, fra la quale anche il Wall Street Journal e le attività online, ha invece visto le entrate
diminuire del 3%. Cbs in streaming con l'app dedicata. È stata lanciata ieri l'applicazione per vedere in
streaming su internet i programmi di Cbs: una piattaforma indipendente che consente di guardare i prodotti
della tv pagando un canone mensile e senza dover essere già abbonati alla tv via cavo o satellitare. Si
chiama Cbsn, si potrà vedere anche sul sito CBSNews.com, sul sito mobile, sulla Fire tv di Amazon e su
Roku. Wa r n e r M u s i c e n t ra i n SoundCloud. L'etichetta discografi ca metterà a disposizione parte del
proprio catalogo sul servizio condivisione di musica. Warner è la prima major a stringere un accordo con
SoundCloud, già utilizzato ampiamente, invece, dai musicisti e dalle etichette indipendenti per far conoscere
la loro musica. Da questa estate SoundCloud ha cominciato a visualizzare pubblicità per monetizzare la
propria attività e suddivide i ricavi con le etichette con cui ha accordi. Warner dovrebbe anche entrare nella
società con una quota del 3/5%. Benedetti italiani! di Alberto Toscano su Amazon. Il libro di Alberto Toscano,
il celebre giornalista italiano trapiantato a Parigi e collaboratore di ItaliaOggi, sbarca su Amazon, sia in
versione Kindle (a 5,99 euro) che cartacea (a 16,40 euro). Benedetti italiani! passa in rassegna le passioni, le
speranze e i cliché dello Stivale. Si tratta della versione in italiano (Della Porta Editori) di Sacrés Italiens, il
libro edito da Armand Collin del gruppo Hachette, e osannato da Le Figaro, che ha raccontato gli italiani ai
francesi. Fox News vince le elezioni in Usa. Fox News, come i repubblicani, ha vinto le elezioni americane di
medio termine. Il canale tv, parte della galassia controllata da Rupert Murdoch, ha conquistato la maggior
parte dell'audience statunitense della tv via cavo e ha avuto la meglio su tutte le trasmissioni della serata. Lo
ha fatto nonostante la poca af uenza alle urne e lo scarso interesse per le dirette tv dedicate alle elezioni. Fox
News è stata la rete televisiva più seguita negli Stati Uniti con 6,6 milioni di spettatori contro i 5,4 milioni di
Cbs, arrivata seconda. Nel 2010, ultimo anno in cui i repubblicani vinsero nettamente alle elezioni di midterm,
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 07/11/2014
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CHESSIDICE IN VIALE DELL'EDITORIA
07/11/2014
ItaliaOggi
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il canale era stato seguito da 300 mila persone in più, riuscendo comunque ad arrivare primo. Nel segno della
profonda assenza di interesse per questa tornata elettorale, anche le altre emittenti televisive hanno
registrato un sostanziale calo degli ascolti rispetto a quattro anni fa. Cnn e Msnbc hanno registrato entrambe
il 13% in meno rispetto il 2010. Eu rospo rt, più tennis con il Torneo Atp di Stoccarda. L'emittente trasmetterà
il torneo in esclusiva in Europa (con l'eccezione della Germania). L'accordo comprende i diritti televisivi e
digitali per le prossime tre edizioni del torneo conosciuto anche come MercedesCup, dall'edizione 2015 fi no
a quella del 2017 compresa. Il prossimo anno si disputerà dal 6 al 14 giugno 2015. Oltrea tre tornei del
Grande Slam, Eurosport trasmette alcuni dei tornei Atp e Wta su diverse superfi ci: fra queste, il cemento di
Doha, la terra rossa di Norimberga, l'erba di Nottingham e i tornei indoor a Linz e in Lussemburgo. L'Atp di
Stoccarda si giocherà sull'erba del nuovo Centre Court del Tennis Club Weissenhof, uffi cialmente inaugurato
ieri da Tommy Haas, vincitore di 15 tornei Atp. A Mondado ri Store il premio «Insegna dell'anno» per le
librerie. Mondadori Store è stata premiata come «Insegna dell'Anno Italia 2014-2015». Il premio è stato
istituito nei Paesi Bassi nel 2003 e successivamente introdotto con il nome di «Retailer of the Year» anche in
Belgio, Italia, Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Austria e Lussemburgo. La prima edizione di «Insegna
dell'Anno Italia 20142015» è stata promossa da Q&A Research & Consultancy e SEIC Studio Orlandini.
07/11/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Industria, ripresa in vista nel 2015
Francesco Colamartino
Il settore manifatturiero italiano continuerà a presentare sintomi di febbre nell'anno in corso, ma già a partire
dal 2015 avrà inizio il processo di guarigione. È quanto emerge dalla diagnosi dei settori industriali realizzata
da Intesa Sanpaolo e Prometeia. Secondo il rapporto, la debolezza della domanda sul mercato interno ed
estero, in particolare europeo, ha frenato i segnali di ripresa del manifatturiero italiano emersi alla fine del
2013, tanto che per la fine dell'anno in corso il fatturato del settore sarà dello 0,2% inferiore a quello dello
scorso anno. Ma già a partire dall'anno prossimo l'industria italiana tornerà a crescere, seppur con ritmi
ancora modesti (+1,8% nel 2015 e +1,9% nel 2016) e tali da non permettere al settore di recuperare i 45
miliardi persi dal 2011 (-5,5%) a causa della recessione del triennio 2012-2014. La crescita del fatturato del
manifatturiero italiano sarà però trainata soprattutto dalle esportazioni, visto che i consumi interni sono in una
fase di stabilizzazione ancora lenta. Gli esportatori italiani, nonostante una domanda mondiale in
rallentamento, hanno saputo confermare il primato di crescita tra i maggiori concorrenti mondiali, tanto che
nel primo semestre dell'anno solo la Polonia ha presentato ritmi di sviluppo dell'export maggiori di quelli
italiani. Secondo l'analisi, nei prossimi due anni l'export manifatturiero italiano crescerà del 3,6% e il surplus
commerciale raggiungerà i 100 miliardi di euro. Nonostante il dato positivo, il buon andamento delle
esportazioni non è bastato a rilanciare gli acquisti di macchinari e mezzi di trasporto da parte delle industrie
manifatturiere italiane, anzi, la relazione tra esportazioni e nuovi investimenti si è indebolita. Oltre alla solita
incertezza delle aspettative e a un mercato del credito ancora ingessato, i minori investimenti sono dovuti al
fatto che sempre maggior peso stanno acquisendo le esportazioni in settori, come la farmaceutica,
l'elettrotecnica e la meccanica, caratterizzati da produzioni con minor impiego di capitale fisso. Saranno infatti
proprio l'elettrotecnica e la meccanica a guidare la crescita dell'export italiano, insieme a metallurgia, auto e
moto. In linea con il dato medio del manifatturiero rimarranno invece i produttori di beni intermedi, mentre
quelli di beni di consumo sconteranno una domanda interna debole e non compensata dall'estero. Fanalino di
coda i produttori di materiali per le costruzioni, penalizzati da una minor apertura al commercio internazionale
e dalla perdurante debolezza del ciclo dell'edilizia in Italia. Il rapporto prevede infine cambiamenti strutturali
anche nei conti finanziari delle imprese. L'apertura al commercio estero, con soggetti pubblici e privati che
pagano prima e con maggior puntualità rispetto a quanto avviene in Italia, ridurrà infatti il capitale circolante
necessario per la ripresa produttiva. (riproduzione riservata)
MANIFATTURA ITALIA 2010 2012 2016 2014 720 840 810 780 750 Fonte: Stime Prometeia, Intesa
Sanpaolo Le stime di ripresa del settore secondo Prometeia per il 2015-2016. In mld di € a prezzi costanti
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L'EXPORT FARÀ CRESCERE IL FATTURATO MA NON GLI INVESTIMENTI