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CONFIMI
Rassegna Stampa del 10/11/2014
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INDICE
CONFIMI
09/11/2014 La Repubblica - Torino
Premio Chiave a Stella domani in passerella le aziende innovative
8
10/11/2014 Il Gazzettino - Vicenza
"Teatro educativo" per oltre mille alunni delle medie del Bassanese
9
09/11/2014 Gazzetta di Mantova - Nazionale
La restituzione del dazio Summit per aziende del ferro
10
10/11/2014 Gazzetta di Mantova - Nazionale
Stasera Sodano ci riprova Ligabue dimissionaria
11
10/11/2014 Il Giornale di Vicenza
I giovani e il futuro Spettacolo teatrale sull´orientamento
13
10/11/2014 La Voce di Mantova
Il Dazio da restituire alle aziende
14
CONFIMI WEB
07/11/2014 www.comunicati-stampa.net
Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
16
07/11/2014 www.sat8.tv 10:52
Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
17
07/11/2014 ageabruzzo.it 18:48
Pescara. Semplificazione nella pubblica amministrazione, seminario di Confimi e
Unitel il 12 novembre
18
07/11/2014 www.a-zeta.it 16:09
Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
20
07/11/2014 www.comunicati-stampa.com 10:30
Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
21
07/11/2014 www.comunicati.net 11:10
Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
22
08/11/2014 www.ipsoa.it 06:23
Somministrazione irregolare e distacco illecito: non è lavoro nero
23
SCENARIO ECONOMIA
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Le pensioni e la beffa dei contributi che si svalutano
25
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Italia frenata da criminalità e corruzione Già persi investimenti per 16 miliardi»
26
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Debiti con le imprese, pagati 32,5 miliardi «Il grosso degli arretrati è degli enti locali»
28
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Abolizione dello scontrino L'ennesimo annuncio di un Fisco che complica invece di
semplificare
30
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Parmalat, in salita ricavi e margini Profitti a quota 143 milioni di euro
31
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Telecom fissa le condizioni sul Brasile
32
08/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Gavio si candida per privatizzare la Torino-Bardonecchia
33
09/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Sulle pensioni l'«effetto recessione» Il governo cerca la formula anti tagli
34
09/11/2014 Corriere della Sera - Nazionale
No al ritiro a «soli» 70 anni Gli avvocati dello Stato fanno causa al ministero
36
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
Per le nuove Province esuberi a quota 20mila
38
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
Ue in stallo sul caso Juncker
40
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
Visco: presto la legge sull'autoriciclaggio La criminalità frena gli investimenti esteri
42
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
La via stretta di Renzi tra crescita e debito
44
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
L'agenzia delle Entrate: «Già pronti alla voluntary»
46
08/11/2014 Il Sole 24 Ore
Mediobanca in un milione di carte
48
09/11/2014 Il Sole 24 Ore
La Fed colma il vuoto della politica
50
09/11/2014 Il Sole 24 Ore
Le voci di fondo confondono di più
52
09/11/2014 Il Sole 24 Ore
Sblocca-Italia, ora 35 decreti per il cantiere attuazione
54
09/11/2014 Il Sole 24 Ore
Dalla green economy una speranza per l'occupazione
58
10/11/2014 Il Sole 24 Ore
«La trasparenza dà slancio alla ripresa»
60
10/11/2014 Il Sole 24 Ore
Per il mattone ancora un calo «da imposte»
62
10/11/2014 Il Sole 24 Ore
Tasse retroattive: in tre anni conto da 10 miliardi di euro
64
10/11/2014 Il Sole 24 Ore
Private equity: raddoppiano le operazioni e l'Italia torna a far gola ai fondi esteri
66
08/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Deficit, dubbi della Ue sulle promesse italiane
68
08/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Patuano: "Telecom accelera su investimenti e occupazione con il Jobs Act 4mila
assunti"
70
09/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Statali, 100mila in piazza "Ora sciopero generale" Camusso: sì al referendum della
Lega sulla Fornero
72
09/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Enav senza vertici e assegno al Tesoro la privatizzazione finisce nel caos
74
10/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Incubo correzione sulla manovra Katainen guida i falchi della Ue "Servono 3,3
miliardi rischio procedura"
76
10/11/2014 La Repubblica - Nazionale
Il lavoro che verrà
78
08/11/2014 La Stampa - Nazionale
UN FISCO SENZA IDEOLOGIE
81
08/11/2014 La Stampa - Nazionale
Negozi connessi via web col Fisco per eliminare i pagamenti in nero
82
08/11/2014 La Stampa - Nazionale
Intesa, Micciché rivede il corporate Micilli numero uno di Banca Imi
84
09/11/2014 La Stampa - Nazionale
Il Muro caduto e l'Europa divisa
85
09/11/2014 La Stampa - Nazionale
Cofferati: "Spero di essere la cerniera che ricuce tra Pd e mondo del lavoro"
86
10/11/2014 La Stampa - Nazionale
Italiani stanchi ma c'è fiducia nel Paese
88
09/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Confindustria disdice il contratto nazionale per 73 mila manager
90
09/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Il premier: l'Italia può uscire dal tunnel ma basta con i tabù
91
09/11/2014 Il Messaggero - Nazionale
Gli italiani in fuga dal Made in Italy
92
09/11/2014 Il Giornale - Nazionale
«Sindacati ridicoli. E boccio il reddito minimo»
94
09/11/2014 Libero - Nazionale
UniCredit pronta a finanziare 150mila imprese
95
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Europa, tutto il potere a Berlino
96
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Gros: "Nella Ue la Commissione è senza armi"*
99
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Alihad, il piano vola alto*
101
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Monte dei Paschi comincia la fase 2*
103
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Cdp, così salverà l'acciaio italiano*
105
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Marie Bolloré a 26 anni nel consiglio Mediobanca*
107
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Mattone in calo, più cash e l'italiano resta formica
109
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Le micro imprese italiane inseguono le sorelle europee nella corsa dell'economia 2.0
111
10/11/2014 Corriere Economia
«Crediti, alle imprese mancano 89 miliardi»
113
10/11/2014 Corriere Economia
Cdp Dall'energia alle telecom Quella Cassa buona per tutti
115
10/11/2014 Corriere Economia
Lo Stato imprenditore affascina tanti (ma può far male)
117
SCENARIO PMI
08/11/2014 Corriere della Sera - Bergamo
Popolare Bergamo, più utile Sale la solidità patrimoniale
119
10/11/2014 Il Sole 24 Ore
La liquidità delle imprese Usa è a livelli record
120
08/11/2014 La Repubblica - Napoli
Accesso al credito per le pmi Confidi contesta la Regione
122
09/11/2014 Il Messaggero - Umbria
CARO MINISTRO, INTERVENGAIN FAVORE DELL'OLIVICOLTURALo stato del
comparto olivicolo reg...
123
08/11/2014 Avvenire - Nazionale
Stabilità, 3.700 gli emendamenti Mille del Pd, la minoranza si scatena
124
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
L'elettronica vede rosa più ordini dal mercato domestico*
125
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
La protezione è hi-tech: il made in Italy sfonda
127
10/11/2014 La Repubblica - Affari Finanza
E solo il 6,5% pensa di crescere di dimensione tramite acquisizioni
129
10/11/2014 Corriere Economia
Quando vendere serve a crescere
130
10/11/2014 Corriere Economia
Sicurezza La ripresa abita qui Fatturati in crescita del 4 per cento
131
08/11/2014 Milano Finanza
Chi ha fiducia nel made in Italy
133
08/11/2014 L Impresa
Una gestione tattica
134
CONFIMI
6 articoli
09/11/2014
La Repubblica - Torino
Pag. 7
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
IL CASO/ GARA RISERVATA A TUTTE LE PMI
Premio Chiave a Stella domani in passerella le aziende innovative
Il presidente di Iren, Profumo all'iniziativa organizzata da Api , Fondazione Magnetto, Repubblica
(ste. p.)
L'ATTESA è finita: domani si sapranno i nomi dei vincitori del premio "Chiave a Stella", la competizione tra
aziende innovative torinesi. Alle 17, nella sala Agorà di Unimanagement in via XX Settembre 29, è infatti in
programma la premiazione della sfida organizzata da Fondazione Magnetto, Api Torino e Repubblica, che
ogni anno mette a confronto le piccole e medie imprese più dinamiche della provincia. L'evento s'intitola
"L'Italia che vince" e sarà anche l'occasione per fare il punto sulle sfide dell'economia e le risposte di
imprenditori, ricercatori e istituzioni. Si comincia alle 17.30 con i saluti di Lorenzo Gianotti, presidente del
comitato scientifico di "Chiave a Stella", e si prosegue con il caporedattore di Repubblica Torino, Pier Paolo
Luciano, che intervista il presidente di Iren Francesco Profumo, già ministro dell'Istruzione e rettore del
Politecnico. Intervengono poi i rappresentanti dei principali soggetti che hanno contribuito a mettere in piedi la
competizione: il presidente di Api Torino Corrado Alberto, il docente della Scuola di management
dell'Università Paolo Pietro Biancone, il segretario generale della Camera di commercio Guido Bolatto, il
professore del "Poli" Marco Cantamessa e il regional manager Nord Ovest di Unicredit Giovanni Forestiero.
Alle 18.40 la premiazione.
Quest'anno la lotta è stata dura, perché per la prima volta la gara era aperta a tutte le Pmi e non solo a
manifatturiero e terziario. La giuria ha analizzato tutte le imprese partecipanti valutando il loro grado di
innovazione, ma anche la capacità di generare ricchezza nella loro area geografica in modo responsabile.
Durante la serata verranno consegnati due premi: uno per le aziende con fatturato sottoi3 milionie l'altro per
quelle con giri d'affari fino a 25.
Foto: Francesco Profumo
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
8
10/11/2014
Il Gazzettino - Vicenza
Pag. 2
(diffusione:86966, tiratura:114104)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
DOMANI MATTINA IN SALA DA PONTE
"Teatro educativo" per oltre mille alunni delle medie del Bassanese
BASSANO - (gfb) L'orientamento scolastico si fa anche a teatro. Domani, martedì, oltre mille ragazzi delle
scuole medie del Bassanese assisteranno ai due spettacoi programmati da Confindustria ed Apindustria alla
sala Da Ponte del Centro Giovanile. Sul palcoscenico gli attori del teatro Educativo. Più di una compagnia
teatrale: si tratta di un pool di professionisti specializzati nella comunicazione di contenuti educativi a ragazzi
e bambini e che hanno come obiettivo quello di stimolare una riflessione sui principali fattori che possono
influenzare la scelta del percorso di studi superiori, una delle prime occasioni in cui i ragazzi possono avere
ambiti di autonomia nella decisione. Due gli spettacoli programmati: il primo con inizio alle 9 ed il secondo alle
11. Attraverso video, momenti di interazione con il pubblico ed animazioni digitali la lezione-spettacolo
utilizzerà un linguaggio divertente e facilmente comprensibile. Nella parte conclusiva è previsto l'intervento di
un imprenditore il quale illustrerà le aspettative di chi assume rispetto a chi si affaccia per la prima volta al
mondo del lavoro. «Teatro educativo è un'ottima opportunità per far passare il concetto che la scelta della
scuola giusta ed i temi del mondo del lavoro non sono una questione esterna alla vita normale dei ragazzi ma
ne fanno parte pienamente» sottolinea Andrea Visentin vice presidente, con Marina Beggio, del
raggruppamento bassanese di Confindustria che annota ancora «come attraverso il teatro educativo questi
temi siano assimilati con maggiore efficacia». © riproduzione riservata
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
9
09/11/2014
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:33451, tiratura:38726)
La restituzione del dazio Summit per aziende del ferro
La restituzione del dazio
Summit per aziende del ferro
"Dazio se lo conosci...puoi chiederne il rimborso" è il titolo dell'incontro per aziende esportatrici di prodotti in
ghisa, ferro e acciaio che si svolgerà mercoledì alle 16 organizzato da Apindustria in collaborazione con Cad
Mantova. A volte capita che ci siano opportunità da cogliere ma che le aziende non ne approfittino o perché
non ne sono a conoscenza o perché ritengono le procedure troppo complicate. Uno di questi casi è quello
della restituzione del dazio per i prodotti in ghisa, ferro e acciaio. Nella sede di via Alpi, Francesca e Claudia
Composta, professioniste di Cad Mantova, forniranno alle aziende interessate chiarimenti sulla restituzione
del dazio per i prodotti in ghisa ferro e acciaio.
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
10
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La restituzione del dazio Summit per aziende del ferro
10/11/2014
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:33451, tiratura:38726)
Stasera Sodano ci riprova Ligabue dimissionaria
Stasera Sodano ci riprova
Ligabue dimissionaria
Numeri in bilico ma per ora sfavorevoli alla giunta, che ha ancora dieci giorni
La tabacciana lascia senza spostare gli equilibri. Al suo posto? Un grillino
«Il segretario voleva visitare a Bologna in un campo Rom che costa tanto in euro e in sicurezza ai cittadini
onesti. Un branco dei centri sociali ha assalito l'auto di Salvini e l'ha distrutta, mettendo a rischio la sua
incolumità e quella di alcuni militanti. Sono disgustato dal commento di Sodano, pseudo-sindaco di
centrodestra che attua le stesse politiche del Pd verso i rom e sinti e poi per salvare la sedia esprime
solidarietà al nostro Matteo». È l'affondo del capogruppo leghista Luca De Marchi, che aggiunge: «Invito
Salvini a visitare il campo di Mantova e vedere quanti soldi costa per le bollette pagate da Fi e per la
convenzione di un bus privato. Quando un leghista protesta, viene definito razzista. Quando a settembre i
sinti e rom offesero il capogruppo in Comune vennero definiti da Sodano contestatori e non delinquenti». Il
riferimento è agli scontri verbali tra De Marchi e i rappresentanti dei Rom.di Nicola Corradini Come l'ultima
mano di una partita a briscola giocata alla pari. Gli sfidanti sanno o credono di sapere le carte in mano
dell'avversario, ma sanno che può essere sufficiente un punto in più nel suo mazzetto per perdere la contesa.
Ormai sono paragoni come questi che danno un'idea del clima che regna nel consiglio comunale alle prese,
questa sera, con gli equilibri di bilancio, manovra economica che di norma passa senza troppe discussioni
ma che in questa tornata di fine mandato ha assunto il ruolo di espediente per abbattere o salvare
l'amministrazione senza più maggioranza in aula di Nicola Sodano. Che deve avere l'ok entro il 19 novembre
pensa il commissariamento: dunque un ko stasera non segnerebbe la fine del mandato, mentre il sì agli
equilibri chiuderebbe la partita. C'è una novità, le cui conseguenze concrete potranno essere misurate nelle
prossime ore. La tabacciana Chiara Ligabue lascia il consiglio comunale. È lei stessa a spiegarlo nel corso di
una breve conversazione telefonica, ieri pomeriggio, con la Gazzetta di Mantova. «Ormai sono dimissionaria spiega quando le chiediamo come si comporterà nelle decisive sedute dedicate agli equilbri a partire da
quella odierna - ho già parlato col presidente del consiglio comunale. L'ho fatto per motivi personali, non date
altre interpretazioni». Pare di capire che le dimissioni formali non siano ancora state inoltrate alla presidenza
del consiglio comunale (forse lo saranno oggi) e d'altra parte nell'ordine del giorno della seduta non è
annotata la surroga della consigliera (per la quale comunque serve il numero legale mancato la volta scorsa).
Ai fini pratici dei numeri a sostegno o contro l'amministrazione di Sodano cambia nulla, visto che la
consigliera tabacciana non era presente nemmeno nella scorsa seduta. È da rilevare che il primo dei non
eletti nella stessa lista (che univa nel 2010 la tabacciana Api alla dipietrista Italia dei Valori e che sosteneva,
con il centrosinistra, la candidatura a sindaco di Fiorenza Brioni) era con 16 preferenze (21 quelle della
Ligabue) Walter Mazzacani, all'epoca esponente dell'Idv e oggi facente parte del Movimento 5 Stelle. In
teoria, insomma, queste ultime battute del mandato potrebbero segnare l'ingresso in aula di un grillino. Negli
ambienti politici cittadini prevale l'idea che lo spettacolo di questa sera in via Roma sarà un bis di quanto visto
all'ultima seduta: venti consiglieri d'opposizione che stando fuori dall'aula determineranno la mancanza del
numero legale mandando a vuoto la convocazione. Il sindaco e il presidente del consiglio Giuliano Longfils,
con alcuni esponenti dei gruppi di centrodestra, hanno stabilito altre due sedute: il 18 e soprattutto il 19,
ultima data disponibile per approvare gli equilibri prima del commissariamento. Si cerca insomma di sfruttare
tutto il tempo disponibile per trovare anche un singolo consiglere dell'opposizione disponibile a fare il salto
della barricata. Sugli equilibri di bilancio non ci saranno accordi tra big nazionali e regionali di partito a salvare
l'amministrazione in zona Cesarini. Dalla giunta, che ha perso la maggioranza dopo la cacciata degli
assessori benediniani da parte del sindaco (la Lega se ne era andata già da un anno), partono gli ultimi
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
11
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Stasera Sodano ci riprova Ligabue dimissionaria Numeri in bilico ma per ora sfavorevoli alla giunta, che ha
ancora dieci giorni La tabacciana lascia senza spostare gli equilibri. Al suo posto? Un grillino
10/11/2014
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:33451, tiratura:38726)
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
12
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
appelli rivolti alle opposizioni sulla non opportunità di bocciare equilibri di bilancio che consentirebbero di fare
opere per milioni di euro. Ieri è intervenuto sul tema l'assessore ai lavori pubblici Cavarocchi (vedi articolo a
fianco) che ha ribadito quanto già afferma da settimane il sindaco. Ma dopo aver conquistato il voto di Forum,
sembra che non vi siano altri spostamenti.
10/11/2014
Il Giornale di Vicenza
Pag. 18
(diffusione:41821, tiratura:51628)
I giovani e il futuro Spettacolo teatrale sull´orientamento
L´orientamento scolastico si fa anche a teatro. Domani oltre mille ragazzi delle scuole medie del Bassanese
assisteranno a due spettacoli programmati da Confindustria e Apindustria in sala Da Ponte di Bassano per
creare maggiore consapevolezza sulla scelta della scuola superiore. Sul palco saliranno gli attori di Teatro
Educativo: più che una compagnia teatrale, un pool di professionisti specializzato nella comunicazione di
contenuti educativi a ragazzi e bambini. L´obiettivo è stimolare una riflessione sui principali fattori che
possono influenzare la scelta del percorso di studi superiori. Gli spettacoli saranno due. Ricca di video,
interazione col pubblico e animazioni, la lezione-spettacolo utilizzerà un linguaggio divertente e coinvolgente.
È previsto anche l´intervento di un imprenditore, il quale illustrerà le aspettative di chi assume rispetto a chi si
affaccia per la prima volta al mondo del lavoro. Porteranno le loro testimonianze Marina Beggio di T-Net e
Andrea Visentin di Mevis spa. «Teatro Educativo è un´ottima opportunità per far passare il concetto che la
scelta della scuola giusta e i temi del mondo del lavoro non sono esterni alla vita normale dei ragazzi ma ne
fanno parte pienamente - osserva Andrea Visentin, che come Marina Beggio è vice-presidente del
Raggruppamento bassanese di Confindustria Vicenza -. Non è una materia da affrontare solo in determinati
momento della vita o della carriera scolastica, ma di qualcosa che il ragazzo deve "respirare" in casa e in
esperienze come, appunto, il teatro educativo. Se ciò avviene in un contesto divertente come a teatro, questi
temi vengono assimilati con maggiore efficacia». Teatro Educativo fa da apripista a "Scuola-lavoro:
conoscere per scegliere", il convegno per i genitori che avrà luogo sabato al teatro Remondini dalle 8,30,
organizzato congiuntamente da Confindustria Vicenza e Apindustria Vicenza. © RIPRODUZIONE
RISERVATA
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
13
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L´INIZIATIVA. Con Confindustria e Apindustria
10/11/2014
La Voce di Mantova
Pag. 11
Uno dei numerosi incontri di aggiornamento che l'Api sta organizzando A volte capita che ci siano opportunità
da cogliere ma che le aziende non ne approfittino o perché non ne sono a conoscenza o perché ritengono le
procedure troppo complicate. Uno di questi casi è quello della Restituzione del Dazio per i prodotti in ghisa,
ferro e acciaio, su cui verte il seminario di mercoledì 19 novembre alle 16 organizzato da Apindustria in
collaborazione con CAD Mantova. Nella sede di via Alpi 4 Francesca e Claudia Composta , professioniste di
Cad Mantova, forniranno alle aziende interessate chiarimenti sulla restituzione del dazio per i prodotti in ghisa
ferro e acciaio, indicheranno quali prodotti possono godere di tale agevolazione e approfondiranno gli
adempimenti pratici per richiederne il rimborso. Questa opportunità deriva da una legge degli anni '60 (legge
639 del 5 luglio 1964) nota come rimborso dazio o rimborso siderurgico. Le aziende potenzialmente
interessate sono tutte le aziende esportatrici che producono beni in ghisa, ferro e acciaio o che contengano
questi materiali tra cui si riportano a titolo esemplificativo aziende produttrici di pompe, tubi, trattori, autocarri,
mobili, caldaie ect. Per richiedere informazioni dettagliate sul programma o iscriversi è possibile contattare gli
uffici dell'Associazione allo 0376-221823 oppure inviando un'e-mail a: [email protected] .
CONFIMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
14
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Il Dazio da restituire alle aziende
CONFIMI WEB
7 articoli
07/11/2014
www.comunicati-stampa.net
Sito Web
pagerank: 3
Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di Verona e Vicenza, ed
avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
Verona, 5 Novembre - Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di
Verona e Vicenza, ed avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
"La festa dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apindustria, associazione imprenditoriale che
su Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per
creare unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega la Dott.ssa Vincenza Frasca, ideatrice del
progetto e Vice Presidente Nazionale Multiservizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria partecipano non solo
Apindustria Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e
dell'Impresa Privata alla quale aderiscono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di
circa 70 miliardi di euro."
Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a diventare un incontro
continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le associazioni, per avere più
voce a livello nazionale ed istituzionale.
Apindustria Verona
Via Albere 21, Verona
[email protected]
T. 045 8102001
Press office Terzomillennium:
Elisa Andreatta
[email protected]
T. 045 6050601
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/11/2014
16
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Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
07/11/2014
10:52
www.sat8.tv
Sito Web
pagerank: 3
Verona, 5 Novembre - Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di
Verona e Vicenza, ed avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
"La festa dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apindustria, associazione imprenditoriale che
su Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per
creare unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega la Dott.ssa Vincenza Frasca, ideatrice del
progetto e Vice Presidente Nazionale Multiservizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria partecipano non solo
Apindustria Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e
dell'Impresa Privata alla quale aderiscono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di
circa 70 miliardi di euro."
Novembre 07, 2014 [email protected]
Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a diventare un incontro
continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le associazioni, per avere più
voce a livello nazionale ed istituzionale.
Apindustria Verona
Via Albere 21, Verona
[email protected]
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/11/2014
17
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Apindustria Verona e Vicenza insieme per la Festa dell'imprenditoria
07/11/2014
18:48
ageabruzzo.it
Sito Web
Le novità del D.L 90/2014, convertito nella L.114/2014; le ultime novità in materia di affidamento di servizi,
forniture e lavori. L'«irregolarità essenziale». Il DL 133/2014 c.d."Sblocca Italia. Semplificazione
amministrativa e sburocratizzazione della P.A. Il seminario, organizzato da Unitem Abruzzo, Unione
Nazionale Italiana dei Tecnici degli Enti Locali e Confimi con ingresso gratuito, intende affrontare alcune delle
ultime novità in materia di affidamento di contratti pubblici, in particolare quelle recate dal D.L. 24 giugno
2014, n. 90, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114; dal D.L. 12 settembre 2014 n. 113 c.d "Sblocca Italia;
le regole per gli incentivi ai Tecnici Comunali, gli incentivi per gli atti di pianificazione e dei lavori di
manutenzione; come va reinterpretato il principio di tassatività delle cause di esclusione con la nuova norma
che prevede una sanzione pecuniaria per chi incorre in «irregolarità essenziale degli elementi e delle
dichiarazioni; le centrali di committenza per i comuni non capoluogo; le nuove norme in materia contenzioso
amministrativo; la sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione; le nuove norme per prevenire le
infiltrazioni mafiose per la iscrizione negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori dei lavori.
La particolarità del seminario sarà quella della interazione tra i relatori e la platea al fine di trattare la
variegata casistica delle nuove norme alla luce anche delle accresciute difficoltà per gli Uffici Tecnici dei
piccoli e medi comuni di poter essere efficienti e formati in un quadro legislativo schizofrenico e confuso.
Programma:
SALUTI
Arch. Luigi Maraldi - Presidente Sezione UNITEL Abruzzo
Ing. Bruno Facciolini - ANIEM Abruzzo
Apertura lavori
Arch. Bernardino Primiani - Presidente Nazionale UNITEL
La nuova disciplina in materia di incentivi per la progettazione
Cons. Marco Catalano - Sost. Procuratore Corte dei Conti Campania
Le procedure di affidamento dei lavori nello "sblocca Italia"
Centrali di committenza per i comuni non capoluogo
Dott. Lino Bellagamba - Consulente e formatore, autore di studi e monografie, specializzato nelle procedure
di selezione del contraente e in materia di finanza di progetto
Irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni
Le misure per l'ulteriore accelerazione dei giudizi in materia di
appalti pubblici
Avv. Dover Scalera - Avvocato amm. esperta in contratti pubblici
Ma non si era parlato di semplificazione? Questa incontrollabile produzione legislativa.
Geom. Battista Bosetti - Bosetti Gatti & Partners S.r.l.
Le nuove norme in materia di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non
soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa; il nuovo sistema di verifica dei requisiti attraverso l'avcpass
Cons. Marco Catalano - Sost. Procuratore Corte dei Conti Campania.
Sede del convegno
Auditorium "Leonardo Petruzzi"
(di fronte al Caffè Letterario, presso il Museo delle Genti d'Abruzzo)
Via Delle Caserme 24 - PESCARA
Mercoledì 12 Novembre 2014
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/11/2014
18
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Pescara. Semplificazione nella pubblica amministrazione, seminario di
Confimi e Unitel il 12 novembre
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CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/11/2014
Sito Web
ageabruzzo.it
07/11/2014
18:48
ore 9,30 - 14,00
07/11/2014
16:09
www.a-zeta.it
Sito Web
Comunicato del: 07-11-2014 di Terzo Millennium
Verona, 5 Novembre - Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di
Verona e Vicenza, ed avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
"La festa dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apindustria, associazione imprenditoriale che
su Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per
creare unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega la Dott.ssa Vincenza Frasca, ideatrice del
progetto e Vice Presidente Nazionale Multiservizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria partecipano non solo
Apindustria Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e
dell'Impresa Privata alla quale aderiscono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di
circa 70 miliardi di euro."
Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a diventare un incontro
continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le associazioni, per avere più
voce a livello nazionale ed istituzionale.
Apindustria Verona
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07/11/2014
10:30
www.comunicati-stampa.com
Sito Web
by [email protected] • 7 November 2014
Verona, 5 Novembre - Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di
Verona e Vicenza, ed avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
"La festa dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apindustria, associazione imprenditoriale che
su Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per
creare unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega la Dott.ssa Vincenza Frasca, ideatrice del
progetto e Vice Presidente Nazionale Multiservizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria partecipano non solo
Apindustria Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e
dell'Impresa Privata alla quale aderiscono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di
circa 70 miliardi di euro."
Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a diventare un incontro
continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le associazioni, per avere più
voce a livello nazionale ed istituzionale.
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07/11/2014
11:10
www.comunicati.net
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Verona, 5 Novembre - Si chiama Festa dell'Imprenditoria, è organizzata dal Gruppo Apigiovani e Apidonne di
Verona e Vicenza, ed avrà luogo Venerdì 7 novembre alle ore 21.30 a Verona.
"La festa dell'imprenditoria nasce con la volontà di dar voce ad Apindustria, associazione imprenditoriale che
su Verona rappresenta 800 aziende del territorio, non per parlare di problemi legati all'economia, ma per
creare unione a livello territoriale, per essere più forti" spiega la Dott.ssa Vincenza Frasca, ideatrice del
progetto e Vice Presidente Nazionale Multiservizi Confimi. "Alla festa dell'imprenditoria partecipano non solo
Apindustria Verona e Vicenza, ma anche Confimi, Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e
dell'Impresa Privata alla quale aderiscono 20.000 Imprese con 330.000 addetti per un fatturato aggregato di
circa 70 miliardi di euro."
Un progetto che vedrà il suo primo appuntamento venerdì 7 novembre, ma che mira a diventare un incontro
continuativo in grado di creare unioni sempre più concrete e forti nel tempo fra le associazioni, per avere più
voce a livello nazionale ed istituzionale.
Apindustria Verona
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08/11/2014
06:23
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Sito Web
In caso di somministrazione irregolare e di distacco illecito è riscontrabile la fattispecie del Lavoro nero e
quindi non è applicabile il relativo regime sanzionatorio. E' quanto risponde il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali alla Confimi Impresa con interpello n. 27 del 7 novembre 2014.
PER APPROFONDIRE
PRODOTTI
Diritto & Pratica del Lavoro Diritto & Pratica del Lavoro
Casotti Alfredo, Gheido Maria Rosa, Massi Eufranio, Rausei Pierluigi, Rotondi Francesco, Sica Angelo,
Soprani Pieguido, Spolverato Gianluca
Lavoro 2014Lavoro 2014
AA.VV .
La Confimi Impresa ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, Direzione Generale per l'Attività Ispettiva in merito alla corretta interpretazione degli artt. 27,
comma 2, e 30, comma 4 bis, D.Lgs. n. 276/2003, concernenti le ipotesi di somministrazione irregolare e di
distacco illecito. In particolare, l'istante chiede se nei suddetti casi possa essere riscontrata anche la
fattispecie del "lavoro nero" ai fini dell'applicazione del regime sanzionatorio della maxisanzione nonché per
l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale
Il Ministero, dopo un'attenta analisi della normativa, in particolare del contratto di somministrazione, della
fattispecie della somministrazione irregolare e del lavoro nero, ritiene che, nell'ipotesi prospettata, esiste una
"tracciabilità" circa l'esistenza di un rapporto di lavoro ed i connessi adempimenti retributivi e contributivi.
Questi adempimenti pur facendo capo ad un datore di lavoro che non è l'effettivo utilizzatore delle
prestazioni, certamente inducono a ritenere tali comportamenti meno lesivi rispetto a chi ricorre al lavoro
"nero" tout court. Non sembrerebbe dunque ragionevole applicare sia delle sanzioni per somministrazione e
distacco illecito, sia delle sanzioni amministrative per lavoro "nero" o legate agli adempimenti di costituzione e
gestione del rapporto di lavoro o del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 10/11/2014
23
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Somministrazione irregolare e distacco illecito: non è lavoro nero
SCENARIO ECONOMIA
51 articoli
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Le pensioni e la beffa dei contributi che si svalutano
Enrico Marro
A causa della prolungata recessione, l'annuale tasso di rivalutazione del montante contributivo per la prima
volta è negativo. Per capire con un esempio: su ogni 100 mila euro di contributi versati se ne perdono 192. Il
tasso elaborato quest'anno, infatti, porta il segno meno: -0,1927%. Il numeretto si calcola, ogni anno, sulla
base dell'andamento del prodotto interno nominale del quinquennio precedente. Tale tasso si applica quindi
al montante contributivo che serve a calcolare la pensione. Tuttavia, nonostante la recessione, sarebbe bene
che il capitale versato fosse garantito, almeno in termini nominali. a pagina 29
Se la pensione pubblica non garantisce nemmeno i contributi versati, allora si spezza il senso stesso della
previdenza obbligatoria. Se quello che verso può essere addirittura svalutato, come se avessi investito in un
qualsiasi fondo privato, perché devo essere ancora costretto a versare i miei contributi all'Inps?
Il problema è sorto in questi giorni con la comunicazione dell'Istat all'Inps dell'annuale tasso di rivalutazione
del montante contributivo, tasso che per la prima volta è negativo, a causa della prolungata recessione. Per
capire con un esempio, basti dire che su ogni 100mila euro di contributi versati se ne perdono 192. Il tasso
elaborato quest'anno porta infatti per la prima volta il segno meno: -0,1927%. Il numeretto si calcola, ogni
anno, in base alla legge Dini del 1995, sulla base dell'andamento del prodotto interno nominale del
quinquennio precedente. Tale tasso si applica quindi al montante contributivo che serve a calcolare la
pensione quando uno smette di lavorare. Al momento della riforma Dini nessuno poteva immaginare che
l'economia avrebbe attraversato un ciclo recessivo lungo. Ma si può rimediare. L'Inps sta per chiedere ai
ministeri del Lavoro e dell'Economia come deve comportarsi. Sarebbe bene che la risposta fosse tempestiva
e netta: il montante non può essere svalutato, il capitale versato deve essere garantito, almeno in termini
nominali.
Fatto questo sarà anche necessario che la Ragioneria dello Stato elabori stime dei tassi di sostituzione delle
pensioni sulla base di tassi di crescita del Pil più bassi di quelli ipotizzati finora (1,5% in media d'anno) e che
l'Inps dia al più presto a tutti la possibilità di simulare online la futura pensione.
Enrico Marro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
25
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Il tasso negativo
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Visco: è fondamentale ricreare le condizioni per crescere. Camusso: il tappo non è l'articolo 18
Fabio Savelli
MILANO Il «deficit di reputazione» - per usare una recente espressione del Censis - vale 16 miliardi di euro, il
caso vuole lo stesso ammontare delle «coperture» della legge di Stabilità alla voce spending review. Sedici
miliardi che potevano affluire nel nostro Paese sotto forma di investimenti esteri (tra il 2006 e il 2012) se solo
avessimo avuto «istituzioni qualitativamente simili a quelle dell'area euro».
Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, suo malgrado, ieri si è trasformato in un convinto fustigatore
dei mali italiani. Anzi del cancro per eccellenza: la criminalità organizzata. In un convegno ospitato nella sede
milanese dell'authority di vigilanza Visco ha calcolato lo «spread di credibilità» del nostro Paese per effetto
del potere pervasivo della malavita, capace di far salire «il costo del credito per le imprese meridionali di 30
punti base rispetto alle concorrenti attive in zone a bassa intensità criminale». Trenta punti base significa un
costo del denaro più alto dello 0,3%, dato che si somma al differenziale tra i nostri titoli decennali e gli
omologhi tedeschi, lì a certificare il diverso rischio-Paese. Il corollario - secondo Visco - è il fenomeno della
corruzione, che si riverbera «sull'uso improprio dei fondi strutturali europei» per effetto di una scarsa qualità di
alcuni amministratori locali «costo indiretto della presenza criminale».
A ulteriore conferma della tesi - segnala Visco - le 70mila segnalazioni (erano 12.500 nel 2007) di operazioni
sospette da parte di intermediari e professionisti recapitate all'Unità di informazione finanziaria (Uif) di via
Nazionale. Una divisione in stretto raccordo con le procure che analizza i flussi di denaro in chiave di
antiriciclaggio e antiterrorismo. L'attività di pulitura di capitali illeciti suggerisce al Governatore un'esortazione
indirizzata alle forze politiche nell'approvare con urgenza la legge sull'autoriciclaggio, disegno di legge
approvato alla Camera il 17 ottobre e ora in seconda lettura al Senato: «Sarebbe un primo importante passo
dopo anni di discussione», spiega il titolare di palazzo Koch ricordando un rapporto del Fondo monetario
datato 2005 che invitava il governo a legiferare per contrastarne il fenomeno. D'altronde la determinazione
del reato di autoriciclaggio - che si applica a chi non solo ha riciclato denaro illecito ma adotta anche una
serie di azioni per ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa - è un vecchio cavallo di battaglia
della Banca d'Italia. Il provvedimento - «compromesso tra diverse visioni, anche molto distanti», sottolinea
Visco - è contenuto all'interno della «voluntary disclosure», che punta a favorire l'emersione di capitali
detenuti all'estero attraverso un'adesione volontaria.
Su questo tema si è espresso anche il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, tra i relatori del
convegno, che ha stigmatizzato la lentezza con la quale il Parlamento sta procedendo a legiferare: «Sono
soldi che perdiamo - ha detto - e poiché sono falliti tutti i sistemi di controllo e repressione c'è bisogno di un
programma straordinario per ridurre i costi della corruzione». Analisi condivisa da Giorgio Santacroce,
presidente della suprema Corte di Cassazione, che ha sottolineato la «normalità della corruzione» - iscritta a
suo dire nel nostro corredo genetico - definita «riluttanza a osservare le regole». Certo è che nell'attuale
scenario di stagnazione - rileva Visco - diventa fondamentale «ricreare le condizioni per crescere» e gran
parte della ripresa può arrivare da un contrasto più deciso ai reati di truffa, riciclaggio ed evasione fiscale.
Riformulando - se serve - anche il codice degli appalti (è la tesi di Santacroce, che in quel testo rinviene un
caos indistinto di norme) tale da aver «svuotato la legge Merloni» partorita dopo Tangentopoli.
L'atto di accusa di Visco (e la perdita di investimenti esteri) ha trovato ieri orecchie attenti in Susanna
Camusso, segretario generale Cgil: «Il tappo non è l'articolo 18, ma la corruzione da cui dipende gran parte
del sommerso».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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«Italia frenata da criminalità e corruzione Già persi investimenti per 16
miliardi»
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
27
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L'incontro
Il governatore di Bankitalia,
Ignazio Visco è intervenuto ieri a Milano: all'incontro anche il presidente della Corte d'appello Giovanni
Canzio L'intervento del numero uno di via Nazionale si è concentrato
sui rischi che
corruzione e criminalità generano anche in termini di mancata crescita
16 miliardi di euro la somma
che Visco ha calcolato come minori investimenti esteri in Italia per effetto della corruzione
0,3 per cento il maggior costo
del denaro che le imprese pagano
per la presenza della criminalità organizzata nell'economia
Foto: Banca d'Italia Il governatore Ignazio Visco ieri
nella sede milanese della Vigilanza in Piazza Cordusio
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Manovra, 4 mila emendamenti. Padoan: all'Ecofin i nostri impegni rafforzati La promessa Renzi aveva
promesso in Parlamento che i debiti sarebbero stati saldati entro il 21 settembre
Francesco Di Frischia
ROMA Per saldare i vecchi debiti della pubblica amministrazione il governo ha già erogato 40,1 miliardi tra
ministeri, organi nazionali dello Stato e enti locali. Ai creditori, però, fino al 30 ottobre scorso sono stati
effettivamente pagati 32,5 miliardi. L'aggiornamento viene dal ministero dell'Economia, dopo la promessa
fatta dal premier, Matteo Renzi: in Parlamento e in tv, a «Porta a Porta», il presidente del Consiglio aveva
detto che sarebbero stati saldati i debiti arretrati «entro il 21 settembre», giorno del suo onomastico. Pena
una passeggiata di 23 chilometri per l'ex sindaco da Firenze al santuario di Monte Senario.
A prescindere da come è finita la scommessa con Bruno Vespa (Renzi sostiene di non aver perso), il
meccanismo pianificato dall'esecutivo si basava sull'accordo tra governo, banche e Cassa depositi e prestiti
(che faceva da garante): un imprenditore doveva solo registrarsi sul sito del ministero dell'Economia e, dopo
avere ottenuto la certificazione del proprio credito, poteva andare in una banca o in una finanziaria a
riscuotere (il costo dell'operazione di cessione del credito era dell'1,6% e per gli importi inferiori ai 50 mila
euro saliva all'1,9%). Molti imprenditori, però, si sono visti voltare le spalle da finanziarie e istituti di credito
perché l'accordo non prevedeva alcun obbligo.
Comunque «il governo ha provveduto a mettere a disposizione degli enti debitori oltre 56 miliardi per smaltire
il debito patologico», precisa il Tesoro. Di questi, quelli effettivamente assegnati agli enti sono 40 miliardi, ma
quelli effettivamente erogati non superano appunto i 32,491 miliardi. Le amministrazioni centrali dello Stato
sono responsabili di una quota del «debito patologico stimata nel 5-10% - aggiungono dal ministero -. La gran
parte del debito è responsabilità di Regioni, Province, Comuni», Asl, enti e società delle autonomie locali.
Insomma, dice l'Economia, la responsabilità dei mancati pagamenti è di Regioni ed enti locali.
Ieri il ministro Pier Carlo Padoan era a Bruxelles per la riunione dell'Ecofin, dove ha parlato anche del
problema del budget Ue. La commissione ha chiesto finanziamenti aggiuntivi al Regno Unito e all'Italia. «È un
argomento difficile, ma oggi (ieri ndr ) non c'è stato alcun negoziato sulle quote che i Paesi devono pagare
all'Europa. In questa fase è troppo presto per dire che cosa faremo». Secondo le cifre della Commissione,
sono circa 340 i milioni che l'Italia deve versare per il ricalcolo di fine anno, 2,1 miliardi il Regno Unito. Per
quanto riguarda la legge di Stabilità, Padoan ribadisce che finora «nessun Paese ha ricevuto bocciature». Nel
frattempo prosegue il cammino della manovra alla Camera: sono stati presentati 3.707 emendamenti (oltre un
migliaio solo dal Pd), compreso quello con il quale l'esecutivo ha modificato il testo dopo le richieste dell'Ue.
Martedì è prevista la verifica di ammissibilità, ma un numero così alto di emendamenti è molto probabile che
spingerà il governo a chiedere la fiducia.
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I ritardi
Le imprese in Italia
non vengono pagate a 30-60 giorni come previsto dalle regole Ue ma con ritardi fino a 210 giorni. Per questo
a giugno la Commissione Ue aveva aperto una procedura
di infrazione 32,5 miliardi
di euro
è la cifra
che è arrivata effettivamente ai creditori
alla data
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
28
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Debiti con le imprese, pagati 32,5 miliardi «Il grosso degli arretrati è degli
enti locali»
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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del 30 ottobre secondo l'aggiornamento pubblicato
dal sito
Internet
del ministero dell'Economia
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
29
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Abolizione dello scontrino L'ennesimo annuncio di un Fisco che complica
invece di semplificare
Sergio Rizzo
La direttrice dell'agenzia delle Entrate Rossella Orlandi ha annunciato che presto sarà abolito lo scontrino
fiscale. I commercianti esulteranno. Le imprese che producono le macchinette per emettere gli scontrini, un
po' meno. I professionisti delle note spese, sulle prime, saranno sconcertati. E molti cittadini che pagano le
tasse fino all'ultimo centesimo resteranno invece rabbiosamente interdetti, sospettando che si voglia far
sparire l'unico strumento che costringe artigiani e negozianti a compiere il proprio dovere con il Fisco. Niente
di tutto questo, ovvio: ci assicurano che è soltanto semplificazione. Dalla carta alla tracciabilità elettronica. Il
premier Matteo Renzi non aveva forse promesso di portare l'Italia fuori dal medioevo digitale?
Benissimo, allora. Se non fosse che quando il Fisco parla di cambiare le regole, o peggio ancora accenna a
qualche semplificazione, vengono i brividi. Non c'è ministro delle Finanze che da quarant'anni a questa parte
non abbia annunciato una riforma fiscale. Con il solo risultato di accrescere gli adempimenti, aumentare la
burocrazia e far salire dunque i costi per le imprese e i cittadini e per lo Stato. Quante volte sono cambiate le
regole fiscali non lo sa nemmeno chi si accanisce a inondarci di norme e circolari. Corre quindi l'obbligo di
ricordare i numeri contenuti in uno studio della Confartigianato, secondo cui nei 2292 giorni intercorsi fra il 29
aprile 2008 e l'8 agosto 2014, periodo durante il quale anche il nome dell'attuale direttrice delle Entrate
compariva negli organigrammi dei vertici degli apparati fiscali, sono stati emanati 46 provvedimenti contenenti
691 norme di natura tributaria. Della quali ben 418 hanno complicato la vita a cittadini e aziende, contro le 96
che l'hanno semplificata e le 177 che non hanno avuto particolari effetti burocratici. Negli ultimi sei anni e
mezzo il Fisco ha sfornato una complicazione alla settimana: lo sa Rossella Orlandi?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
30
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Il corsivo del giorno
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 47
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il fatturato di Collecchio a 3,9 miliardi, la frenata degli Usa 85% la quota delle vendite italiane sul totale
europeo
Massimo Sideri
MILANO Il gruppo Parmalat ha chiuso i primi nove mesi dell'anno con un giro d'affari di 3,969 miliardi in
crescita del 2,5% e un utile di gruppo sceso del 10,3% a 143,1 milioni.
I profitti a cambi e perimetro costante sono scesi del 2,5%, segno che un contributo negativo importante è
stato dato dalla forte fluttuazioni delle monete, soprattutto in America. Positivo il margine operativo lordo, su
del 2,4% a 299,1 milioni.
Per il gruppo Parmalat il 2014 è un anno importante, sia perché bisognerà valutare l'effetto delle acquisizioni
(Lag America, in primis, la sofferta operazione con la casa madre e principale azionista Lactalis che nel 2013
era stata rivista nel prezzo, ma anche Balkis e Harvey Fresh) sia perché è in atto un profondo cambio
industriale proprio in Italia e negli stabilimenti storici, con meno latte fresco venduto direttamente e più latte
prodotto a conto terzi per la grande distribuzione.
«In Italia - il cui peso sull'area Europa è pari a circa l'85% del fatturato netto - i mercati in cui Parmalat opera
sono stati caratterizzati da una generalizzata contrazione dei consumi» ha sintetizzato la stessa società. In
particolare l'utile di Parmalat Spa del periodo è stato pari a 55,1 milioni in discesa di 5 milioni (-9%) rispetto
allo stesso periodo del 2013. «La variazione - scrive l'azienda - è principalmente determinata dai minori
dividendi da partecipate e da maggiori imposte».
Nel 2014 per i principali prodotti è stato inoltre introdotto un aumento dei prezzi al dettaglio. Sotto la lente il
Nord America e il Canada, area che pesa per 1,66 miliardi sul fatturato complessivo. Qui, nonostante una
tenuta (-0,6%) del giro d'affari, il Mol è sceso del 13,2%.
In calo l'Australia (-43,7% il Mol) che dopo Europa e Nord America è il terzo mercato del gruppo.
Da segnalare che la Parmalat targata Lactalis ha intaccato ancora il tesoretto dell'era Bondi. Dopo aver
speso centinaia di milioni per il contestato acquisto infragruppo di Lactalis Usa (Lag), la cassa del gruppo di
Collecchio si è ridotta di altre decine di milioni a quota 838.
È quanto emerge dalla trimestrale, in cui viene spiegato che rispetto a fine 2013 sono stati utilizzati 17,6
milioni di euro per pagare dividendi e per erogare finanziamenti in favore di un'altra controllata, stavolta quella
australiana .
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Foto: Yvon Guérin,consigliere delegato e direttore generale Parmalat dal settembre 2013. È entrato nel 1990
nel gruppo Lactalis
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Parmalat, in salita ricavi e margini Profitti a quota 143 milioni di euro
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 47
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Patuano: nessun paracadute a chi vuole Tim Brasil. Il gruppo torna in utile per 985 milioni
Federico De Rosa
Il ritorno all'utile per 985 milioni di euro è senza dubbio una buona notizia per Telecom Italia, che ieri mattina
ha diffuso il resoconto della gestione dei primi nove mesi dell'anno da cui emergono alcuni segnali positivi, in
particolare nell'ultimo trimestre, in un mercato che prosegue sulla strada della contrazione. «Ci aspettiamo un
quarto trimestre migliore» ha detto l'amministratore delegato Marco Patuano, illustrando i conti agli analisti. Il
manager ha colto l'occasione per chiarire la posizione sul Brasile, dove da settimane si rincorrono voci che
vorrebbero Tim Brasil nel mirino di una cordata pronta a scalarla, ma anche interessata alla compagnia di
telefonia fissa Oi. «La nostra strategia è restare in Brasile, con le nostre attività così come le abbiamo oggi ha premesso Patuano - ma c'è sempre un prezzo. Per sederci al tavolo il prerequisito è che l'offerta soddisfi
la domanda».
Dunque nessun tabù sulla cessione della controllata brasiliana. Ma solo in apparenza, perché il manager ha
poi fissato dei paletti che di fatto rendono molto rischiosa un'offerta su Tim Brasil. «Ci sono oggi numerosi
deal che possono fungere da benchmark» per fissare un prezzo, ha spiegato Patuano, riferendosi alla
vendita di Gvt pagata da Telefonica 11 volte il margine operativo. Un multiplo che proietta il valore della
controllata a quasi 20 miliardi. Ma soprattutto Patuano ha chiarito che un eventuale compratore «deve essere
consapevole che il rischio di esecuzione non potrà mai essere sostenuto da noi». In pratica solo un'offerta «al
buio», ossia senza condizioni sospensive, che valorizzi Tim Brasil almeno 20 miliardi, potrà essere presa in
esame. Una «poison pill» non da poco. Quanto invece a Oi, per Patuano «esplorare questa importante
opzione strategica è obbligatorio». Telecom vuole la maggioranza, ma al momento non ci sono le condizioni.
Il gruppo tiene comunque la situazione sotto stretta osservazione. Nessun accenno da parte del manager
invece ai colloqui con Mediaset, che stanno procedendo per capire come costruire l'accordo.
Tornando ai risultati dei primi nove mesi, a livello domestico i ricavi sono scesi del 7,2% a 11,3 miliardi, e in
Brasile del 2,8%. Le manovre di efficienza e riduzione dei costi hanno avuto un buon effetto portando 2,27
miliardi di generazione di cassa, con 12,3 miliardi di margine di liquidità, e un taglio del debito sceso a livello
rettificato a 26,5 miliardi. In prospettiva il miglioramento registrato nell'ultimo trimestre, in cui la discesa dei
ricavi si è fermata al 5%, arriverà anche dagli investimenti. «Stiamo investendo fortemente sia in Italia sia in
Brasile per sviluppare l'ultrabroadband fisso e mobile - ha detto il presidente di Telecom, Giuseppe Recchi - e
lo stiamo facendo in un'ottica di compatibilità finanziaria». Nei primi nove mesi dell'anno il gruppo telefonico
ha destinato 2,64 miliardi agli investimenti su fibra ottica e rete mobile Lte.
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I conti
Nei primi 9 mesi del 2014 Telecom Italia ha registrato ricavi per 15,9 miliardi
(-9,1%),
un margine operativo lordo di 6,58 miliardi (-7,7%), risultato operativo di 3,3 miliardi e un utile netto
di 985 milioni
di euro. L'indebitamen-to netto è sceso a 26,5 miliardi di euro
2,6 miliardi gli investimenti nella banda larga fissa
e mobile nei nove mesi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Telecom fissa le condizioni sul Brasile
08/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Gavio si candida per privatizzare la Torino-Bardonecchia
( f.d.r. ) Potrebbe essere la prima privatizzazione «spinta» dalla necessità di far dimagrire gli enti locali. Ieri il
consiglio della Sias, la concessionaria autostradale del gruppo Gavio, ha deciso di presentare un'offerta al
Comune e alla Provincia di Torino per rilevare il loro 18% della Sitaf, la società che gestisce l'autostrada
Torino-Bardonecchia e il Traforo del Frejus. Offerta condizionata al cambio di statuto di Sitaf, secondo il quale
la maggioranza deve essere pubblica. Oggi gli enti locali hanno il 51,2%, ma Torino ha già deliberato di
vendere mentre la riforma porterebbe alla cessione da parte della Provincia. Visto il vincolo statutario le quote
sarebbero destinate all'Anas, che ha già il 31%. Ma la mossa di Gavio, che possiede già il 36% di Sitaf, apre
un nuovo scenario opponendo una privatizzazione a una probabile publicizzazione. Sias, attraverso la
controllata Ativa, offrirà 70 milioni per il 18% valorizzando tutta Sitaf circa 350 milioni, su 250 milioni di
patrimonio netto. Se venisse accettata sarebbe la prima privatizzazione da quando il governo Renzi ha
deciso di spingere per il taglio del numero di partecipazioni detenute da enti pubblici.
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Eni chiama Lazard per i debiti Saipem
( d. pol. ) Eni ( nella foto il Ceo Claudio Descalzi) comincia a mettere qualche punto fermo sul futuro di
Saipem, che dovrà lasciare la casa madre. In arrivo un mandato a Lazard per individuare la soluzione per
rifinanziare Saipem. Le passività a fine 2013 hanno raggiunto i 4,2 miliardi, oltre il 90% con la controllante.
L'autonomia finanziaria è un passaggio propedeutico alla cessione del 43% in pancia all'Eni. Lazard
replicherà quanto già fatto con Snam: allestire un pool di banche che si sostituiscano all'Eni per coprire tra 3
e 4 miliardi, che saranno rimpiazzati da bond. Poi il capitolo dei soci. Qui è in gestazione un mandato a Credit
Suisse, con altri advisor. L'idea è di affidare Saipem in mani amiche. Per esempio Cdp, magari con l'omologa
francese Caisse des Dépots. Oppure in tandem con i fondi sovrani del Middle East, alcuni dei quali sono già
soci del Fondo strategico.
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Nicoletti Altimari sale in Bce
( s.ta .) L'incarico era rimasto scoperto con il passaggio di Ignazio Angeloni alla vigilanza dell'Eurotower. A
ricoprirlo da gennaio sarà un altro italiano: Sergio Nicoletti Altimari, nominato dal comitato esecutivo della Bce
alla direzione generale della politica macro-prudenziale e della stabilità. Nicoletti Altimari, romano 51 anni, è
vicedirettore per le operazioni di mercato della Banca d'Italia, assiste il governatore agli Ecofin informali, e si
è occupato del dossier finanziario per la presidenza italiana del Consiglio europeo. Ha già lavorato a
Francoforte ed è stato consigliere del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Sarà l'unico
italiano, assieme alla direttrice degli Affari legali, Chiara Zilioli ad occupare una delle 20 direzioni generali
della Bce, comprese le quattro per la nuova vigilanza. Sostituzione per nazionalità anche per l'incarico di
Direttore generale della ricerca lasciato libero dal belga Frank Smets, ora consigliere di Mario Draghi. Da
marzo toccherà a un altro belga, Luc Laeven ora capo della ricerca Fmi.
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Sussurri & Grida
09/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Sterilizzazione e periodi più lunghi tra le ipotesi per evitare la svalutazione degli assegni
A. Bac.
ROMA Difficilmente passerà attraverso la legge di Stabilità la soluzione del problema della svalutazione delle
pensioni che potrebbe determinarsi applicando gli attuali metodi di capitalizzazione dei montanti contributivi,
legati all'andamento del Pil (prodotto interno lordo). L'emendamento presentato dal senatore Lello di Gioia
(Pd), presidente della commissione bicamerale di vigilanza sugli enti previdenziali, che punta a sterilizzare il
tasso di rivalutazione, si infrangerà con ogni probabilità sul muro che martedì verrà elevato dalla
commissione Bilancio, presieduta da Francesco Boccia (Pd), per arginare gli interventi non strettamente
attinenti alla manovra. «Ci concentreremo sulle misure di politica economica con impatto macro» ha detto
ancora ieri Boccia, non lasciando molto margine a speranze.
L'emendamento Di Gioia si propone di sterilizzare il tasso di rivalutazione che l'Istat calcola ogni anno sulla
variazione media del Pil nel quinquennio precedente. Tasso che, a causa della recessione, ora risulterebbe
negativo (-0,1917%) e che quindi andrebbe a incidere negativamente sul monte dei contributi accumulato
negli anni. «Calcoliamo un tasso almeno pari allo zero» propone invece Di Gioia. Ma così facendo, se il
meccanismo attuale restasse lo stesso, si verrebbe a creare un buco che lo Stato dovrebbe coprire,
osservazione che la Ragioneria avrebbe già avanzato. Di che ordine? «Più o meno di 100 milioni» ipotizza Di
Gioia.
Il governo non è insensibile alla questione: «Abbiamo tutte le intenzioni di riflettere sul tema - assicura il
sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta - ma è ancora presto per dire come.È necessario fare dei
calcoli molto complessi. Lasciamo lavorare l'Inps».
Ed è proprio con l'Inps che il governo dovrà confrontarsi per fare delle ipotesi sull'applicazione del tasso di
rivalutazione ai montanti contributivi, che per il momento resterà sospesa. «L'ideale sarebbe poter operare
una correzione minima dell'attuale sistema senza modificarlo nella sostanza» suggerisce Giorgio Santini (Pd),
membro della commissione bicamerale di vigilanza sugli enti previdenziali.
Le ipotesi in campo, oltre alla sterilizzazione tout court dell'effetto negativo della rivalutazione, senza toccare
l'attuale sistema di calcolo, proposta da Di Gioia, prevedono invece una modifica del meccanismo. C'è chi
come Cesare Damiano, in un disegno di legge già presentato per aiutare i più giovani a accumulare una
pensione che sia almeno pari al 60% dell'ultima retribuzione percepita, ipotizza di calcolare il tasso di
rivalutazione sui cinque anni precedenti a quelli di crescita negativa del Pil. Un'altra ipotesi è quella di
ricomprendere invece nel sistema di calcolo anche gli anni di crescita negativa, ma di diluirne l'effetto
aumentando il numero di anni presi in considerazione, portandoli da cinque a sette o a dieci.
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I tassi di sostituzione attesi Le stime della Ragioneria Generale dello Stato Pensionamento alla prima età
utile, con contrubuzione variabile Corriere della Sera 1968 75,0 80,0 70,0 65,0 60,0 55,0 1970 1972 1974
Anno di nascita (inizio lavoro a 24 anni) 1976 1978 1980 Lavoro dipendente dinamica 3% Autonomi Lavoro
dipendente 72,9 73,6 74,3 75,8 76,7 77,9 79,1 64,0 65,1 66,1 67,9 69,1 70,2 71,2 59,9 60,5 60,5 62,1 63,0
64,0 65,0 68,6/37,6 68,7/37,7 68,9/37,9 69,2/38,2 69,4/38,4 69,6/38,6 69,7/38,7 Tasso di sostituzione al netto
di IRPEF (in percentuale) Tassi di sostituzione netti attesi per lavoratori dipendenti privati e pubblici e
lavoratori autonomi. Stima in linea con l'ultimo rapporto del Nucleo Valutazione e della RGS, con crescita
delle retribuzioni individuali attese all'1,51% reale, ipotesi di crescita media quinquennale del PIL pari a
1,57% reale e inflazione al 2% (con relativo incremento della produttività pari all'1,53% annuo).
La vicenda
Il governo studia come evitare il rischio che la flessione del Pil possa determinare il taglio delle pensioni
future. Ad aprire il confronto è stata la richiesta che l'Inps di prepara a inviare ai ministeri del Lavoro e
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Sulle pensioni l'«effetto recessione» Il governo cerca la formula anti tagli
09/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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dell'Economia per sapere come applicare il nuovo tasso annuo di capitalizzazione dei contributi Il nodo è
quello del tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi, calcolato ogni anno dall'Istat sulla variazione
media del Pil nel quinquennio precedente Per la prima volta, a causa della recessione economica, questa
percentuale è risultata negativa (-0,1927%), e senza interventi ridurrà l'assegno previdenziale dei futuri
pensionati La richiesta di chiarimenti da parte dell'Inps comporterà una sospensione dell'applicazione del
tasso negativo. Nella riforma delle pensioni del 1995 (la cosiddetta Riforma Dini) infatti non era stato previsto
un Pil negativo. Il governo cerca una soluzione
09/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:619980, tiratura:779916)
No al ritiro a «soli» 70 anni Gli avvocati dello Stato fanno causa al
ministero
Raffica di ricorsi Dalla Lombardia alla Sicilia sono ben 5 i tribunali amministrativi coinvolti nei ricorsi Alla
Consulta Per decisione del tribunale di Bologna la questione è finita alla Corte Costituzionale
Sergio Rizzo
Che il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia se lo dovesse aspettare, non c'era proprio
alcun dubbio. Dopo il fuoco di sbarramento scatenato dagli avvocati dello Stato contro le misure che li
riguardavano contenute nella riforma della pubblica amministrazione, un ricorso al Tribunale amministrativo
era il minimo. Invece ne sono arrivati addirittura cinque, in cinque Tar diversi. E il bello è che ognuno di quei
tribunali, per la serie «certezza del diritto», ha preso una decisione diversa. Con il risultato finale che la norma
per mandare in pensione gli avvocati dello Stato al compimento dei settant'anni di età già a partire dal 31
ottobre scorso è ora bloccata.
I primi a fare ricorso, per giunta, non sono stati due esponenti qualsiasi dell'Avvocatura, bensì due vice
Avvocati generali: Giuseppe Nucaro, 73 anni di età, e Raffaele Tamiozzo, anch'egli settantatreenne. Ovvero i
più alti in grado dopo l'Avvocato generale, incarico ricoperto fino al 31 ottobre, data del pensionamento, da
Michele Dipace (74 anni). Subito seguiti, Nucaro e Tamiozzo, dagli avvocati dello Stato distrettuali di
Bologna, Caltanissetta, Milano e Napoli.
Le motivazioni? Si va dalla presunta violazione di una direttiva comunitaria che ha bocciato la legge
ungherese sul pensionamento dei giudici, alla contestazione del fatto che una cosa del genere possa essere
decisa per decreto, per arrivare a mettere in discussione la legittimità costituzionale di un intervento su quelli
che sono considerati «diritti soggettivi». Su tutte, l'irritazione perché mentre i magistrati hanno ottenuto una
deroga di un anno al pensionamento dei settantenni, gli avvocati dello Stato, che sarebbero a loro equiparati
pur avendo una funzione del tutto diversa, non sono riusciti a spuntarla.
E come sono articolate le motivazioni, così sono curiosamente variegate le decisioni dei giudici
amministrativi. I Tar del Lazio e della Lombardia, chiamati a esprimersi sulle lamentele dei due vice avvocati
generali e del loro collega di Milano, hanno rigettato la domanda di sospensiva dell'entrata in vigore della
tagliola. Ma il presidente del consiglio di Stato Giorgio Giovannini, al quale è stato prontamente proposto
appello contro la decisione dei Tar, ha invece accolto la richiesta con un decreto monocratico: senza cioè una
decisione collegiale, per la quale è stata convocata la camera di consiglio il 19 novembre.
Dal canto suo il Tar siciliano deciderà sulla sospensiva il prossimo 11 novembre. Mentre il Tar della
Campania, diversamente da Giovannini, ha respinto il ricorso dell'avvocato distrettuale di Napoli, giudicandolo
del tutto infondato. Al contrario il Tar dell'Emilia Romagna ha accolto l'istanza di sospensione avanzata
dall'avvocato di Bologna. Ma non si è limitato a questo: ha infatti sollevato la questione di legittimità
costituzionale e disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Scontato, a questo punto, che il
prossimo 19 novembre il Consiglio di Stato confermi la sospensiva in attesa della decisione della Consulta. E
ora quel pezzo della riforma della pubblica amministrazione, dopo che negli ingranaggi è stata buttata tutta
quella sabbia, resta con il motore fermo.
La vicenda ha aspetti inevitabilmente paradossali. A cominciare da quello di avvocati dello Stato, il cui
compito è appunto difendere le ragioni dello Stato, che fanno causa allo Stato medesimo per difendere le
proprie ragioni innanzitutto anagrafiche. Arrivando ad argomentare, in qualche ricorso, che il pensionamento
dei settantenni non potrebbe produrre l'atteso ricambio generazionale perché c'è il blocco del turnover.
Tesi che il sottosegretario alla Pubblica amministrazione Angelo Rughetti non condivide affatto: «Questa
storia è la dimostrazione di quanto sia faticoso cambiare il Paese. Le resistenze sono fortissime e
dappertutto. Ma noi andiamo avanti. Siamo determinati a dare spazio, in nome del merito e della
contendibilità dei luoghi di responsabilità, a chi in questi anni ha avuto la strada sbarrata dalle logiche ferree
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il caso
09/11/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 11
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
dell'anzianità e della cooptazione. Vogliamo passare dalla legge del 'no amici, no carriera', alla regola del 'no
merito, no carriera'». Auguri.
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La vicenda
La norma, per mandare in pensione gli avvocati dello Stato al compimento dei 70 anni, che sarebbe dovuta
entrare in vigore il 31 ottobre, è stata bloccata da 5 ricorsi al Tar. (Nella foto Marianna Madia, ministro della
PA)
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Per le nuove Province esuberi a quota 20mila
Gianni Trovati
Superano quota 20mila, in base alle stime aggiornate, gli esuberi delle nuove Province. Il sottosegretario
Graziano Delrio lavorerà con i ministri Madia e Lanzetta a un piano nazionale di redistribuzione del personale.
Gli esuberi vanno trasferiti entro l'anno a Comuni e Regioni. Per le funzioni da gestire restano 18mila
dipendenti.
u pagina 2 Gianni Trovati
MILANO
Le Regioni devono accelerare e redistribuire le funzioni ex provinciali entro la fine dell'anno, perché sui tagli
ai fondi degli enti di area vasta previsti dalla legge di stabilità il Governo non ha intenzione di fare marcia
indietro: da gestire c'è una trasformazione che secondo le stime governative più aggiornate può spostare
anche oltre 20mila dipendenti, lasciandone 18mila per le funzioni fondamentali che rimangono alle Province
«di secondo livello», cioè non più elette direttamente dai cittadini, e altri 10mila per le attività in collaborazione
con Regioni e Comuni.
Per portare al traguardo questo percorso, ha spiegato ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio
Graziano Delrio intervenendo a Milano all'assemblea nazionale dell'Anci, «serve un piano nazionale di
redistribuzione del personale, che stiamo studiando con i ministri degli Affari regionali Lanzetta e della
Pubblica amministrazione Madia». Per la titolare della Pa, il piano della mobilità è «l'occasione per incentivare
finalmente professionalità che nella situazione attuale sono sottoutilizzate, perché accanto ad amministrazioni
con troppo personale abbiamo settori pubblici che non riescono a funzionare per mancanza di persone».
Sui tagli, comunque, l'allarme-default lanciato nei giorni scorsi dalle Province non sembra produrre
ripensamenti nel Governo. «I tagli sono sostenibili - ha sottolineato ancora Delrio - a patto che tutti i livelli di
Governo interpretino nel modo corretto i poteri definiti dalla riforma». Tradotto, significa che la redistribuzione
dei compiti a Regioni e Comuni deve avvenire subito perché, spiega il sottosegretario, «le entrate previste nel
2015 per le Province sono sufficienti, e i tagli potenzialmente sostenibili per sostenere le funzioni
fondamentali rimaste».
Questo significa che, oltre che rapido, il trasferimento delle attività ex provinciali deve essere effettivo,
lasciando agli enti di area vasta quasi esclusivamente scuola (edilizia scolastica, soprattutto) e trasporti. La
terza "funzione fondamentale" assegnata alle Province riformate è la pianificazione territoriale, che però ha
un organico più leggero all'attivo, mentre sugli altri versanti il grosso delle attività deve andare a Comuni e
Regioni, a seconda delle diverse scelte territoriali, mantenendo alla Provincia solo ruoli di raccordo: è quello
che deve accadere, per esempio, per aggregare i Comuni nelle stazioni uniche appaltanti o nelle centrali
uniche di committenza, l'altra gamba della riorganizzazione territoriale chiamata a tagliare i costi degli enti
locali. In tutti questi campi, secondo il disegno governativo, le Province dovrebbero diventare una sorta di
"agenzia" per i Comuni, con il compito di accompagnare e facilitare le aggregazioni e le sinergie tra le
amministrazioni locali.
Nella strategia del Governo, insomma, la sforbiciata ai fondi provinciali (un miliardo l'anno prossimo, due nel
2016 e tre nel 2017) serve a blindare l'attuazione di una riforma, che senza la sferzata economica rischia di
rimanere impantanata nei tavoli locali di concertazione. In questo quadro, i tempi rappresentano un fattore
chiave, anche perché dopo l'antipasto di fine anno, con il voto in Emilia Romagna e in Calabria, il 2015 è un
anno ricco di appuntamenti elettorali regionali che rischiano di rallentare il cammino delle riforme.
Accanto a funzioni e personale, l'altra voce da gestire è quella del debito (10,3 miliardi di euro nei bilanci
2012), che rischia di rappresentare un capitolo più spinoso anche perché se risorse e funzioni possono far
gola a Regioni e Comuni lo stesso non accade certo per il passivo. Anche per questa ragione, mentre la
responsabilità lasciata ai territori sul ridisegno delle competenze è ampia (ed è assoluta sul rispetto dei
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le stime aggiornate sui dipendenti da spostare
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
tempi), il Governo sta studiando anche eventuali strumenti per verificare ed eventualmente rinegoziare parte
dell'indebitamento, anche con l'obiettivo di liberare risorse per questa via.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 2.209 Spese personale comandato TOTALE COSTO DEI DIPENDENTI
DELLE PROVINCE Altri costi 1.629 472 96 12 Retribuzioni lorde Oneri sociali a carico del lavoratore Fonte:
Ragioneria generale dello StatoEnti locali sotto la lente IL COSTO DEI DIPENDENTI DELLE PROVINCE
Anno 2012. In milioni di euro LE MISURE DEL GOVERNO Taglio di personale e costi 1 miliardo
Meno risorse nel 2015
Il governo ha previsto una riduzione dei fondi per le province di un miliardo per il 2015, che sale a 2 nel 2016
e 3 nel 2017. L'esecutivo vuole procedere per evitare che la riforma delle province, senza la riduzione di
stanziamenti, resti sulla carta
20mila
Dipendenti da ricollocare
Secondo il governo, l'attuazione della riforma delle province può spostare anche oltre 20mila dipendenti,
lasciandone 18mila per le funzioni fondamentali che rimangono alle Province non più elette direttamente dai
cittadini, e altri 10mila per le attività in collaborazione con Regioni e Comuni
Foto: - Fonte: Ragioneria generale dello Stato
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Ue in stallo sul caso Juncker
Il neo-presidente resta sotto tiro per gli sconti fiscali del Lussemburgo
Beda Romano
Ue in stallo per il caso «Lux-leaks» che ha portato alla luce accordi per sconti fiscali in Lussemburgo a più di
300 società, concessi mentre era premier il neo-presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.
L'Ecofin rinvia la decisione sulla tassazione di casa madre e filiale. Romano u pag. 5
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
È ancora presto per capire se lo scandalo fiscale di cui è protagonista il Lussemburgo, e che sta minando la
credibilità del suo ex premier Jean-Claude Juncker, modificherà le politiche dell'Unione. Ieri, però, i Ventotto
hanno mostrato sul tema nuova sensibilità. La presidenza italiana dell'Unione e la Commissione europea
hanno sottolineato l'urgenza di una maggiore armonizzazione fiscale e si sono dette fiduciose su una
prossima intesa per meglio regolare il rapporto tra casa madre e filiale.
Il portavoce della Commissione Margaritis Schinas ha dovuto rispondere nuovamente a non poche domande
sulle responsabilità di Juncker, l'attuale presidente dell'esecutivo comunitario ed ex premier lussemburghese
tra il 1995 e il 2013, dopo che questa settimana una inchiesta giornalistica ha rivelato che negli ultimi dieci
anni le autorità del Granducato hanno concesso accordi fiscali tanto generosi quanto controversi a oltre 300
imprese multinazionali (si veda Il Sole/24 Ore di ieri).
Schinas ha respinto l'ipotesi che il nuovo presidente della Commissione, in carica da appena una settimana,
sia già "una anatra zoppa". Ha poi confermato che Bruxelles ha tra le sue priorità la lotta contro l'evasione
fiscale e l'elusione fiscale, citando il discorso di investitura dello stesso Juncker in luglio. La Commissione ha
aperto indagini contro tre paesi - Irlanda, Lussemburgo e Olanda - per aiuti di stato illegittimi a una serie di
imprese a cui sono stati concessi generosi accordi fiscali.
Proprio a Bruxelles ieri il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan ha affermato: «I miei consiglieri
legali mi dicono che le autorità irlandesi vinceranno la partita piuttosto facilmente e che la posizione della
Commissione non è forte». A Dublino si rimprovera di avere concesso surrettizi aiuti di Stato ad Apple. La
campagna stampa di questi giorni sta colpendo la credibilità di Juncker, ma potrebbe anche avere un impatto
positivo sulle politiche comunitarie in campo fiscale e tributario.
Sempre ieri durante una riunione dei ministri delle Finanze, il tedesco Wolfgang Schäuble ha avuto posizioni
particolarmente argomentate. Se nell'Unione europea «non acceleriamo» su regole che evitino elusione e
evasione fiscale, ha spiegato, «distruggeremo il consenso pubblico attorno all'integrazione europea». Ha poi
aggiunto: «La gente pensa che non sia giusto e sostenibile un sistema in cui alcuni si sottraggono alle tasse,
usando o abusando delle regole».
Schäuble ha anche messo l'accento sugli «effetti nefasti dell'arbitraggio regolamentare, sui mercati finanziari
o in campo fiscale». I ministri delle Finanze hanno discusso ieri qui a Bruxelles di varie questioni fiscali, senza
trovare accordi definitivi, ma facendo passi avanti sulla proposta per meglio regolamentare i rapporti tra casa
madre e filiale, in modo da evitare che aziende possano trasferire denaro tra entità diverse da un Paese
all'altro pur di pagare meno imposte.
«Siamo vicini a un accordo che potremmo trovare in dicembre - ha detto il ministro dell'Economia italiano
Pier Carlo Padoan, presidente di turno dell'Ecofin -. Tutti i Paesi sono d'accordo. Alcuni stati membri devono
chiedere formale benestare al loro Parlamento nazionale». Ha aggiunto il commissario agli affari monetari
Pierre Moscovici: «Non c'è tempo da perdere nella lotta contro l'evasione fiscale, l'elusione fiscale e la
pianificazione aggressiva nel settore della tassazione».
Nei mesi scorsi, il Lussemburgo, l'Olanda e altri Paesi hanno frenato l'adozione di questa proposta in un
campo che richiede l'unanimità. Moscovici ha detto ieri di avere notato cambiamenti di tono. Gli 11 Paesi (tra
cui l'Italia) che hanno deciso di adottare una tassa sulle transazioni finanziarie sono tornati sul tema
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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L'Ecofin rinvia a dicembre la decisione sulla strategia anti-elusione in Europa
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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controverso. In discussione sono sempre le attività da tassare e l'aliquota da applicare. C'è la promessa di
trovare un'intesa entro fine anno; quanto realistica è incerto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Profit shifting Con questa espressione (letteralmente
«spostamento degli utili» ) si definisce una strategia fiscale attuata da alcune imprese che hanno sedi in più
Paesi: consiste in pianificazioni fiscali particolarmente aggressive, che «muovono» gli utili imponibili verso gli
Stati con regime più favorevole. Le operazioni possono essere formalmente lecite ma finiscono per venir
meno allo scopo di norme e trattati: anziché evitare la duplicazione dell'imposizione, si raggiunge infatti una
«doppia non imposizione»
L'AZIONE DELL'ANTITRUST EUROPEO Decisioni formali della CommissioneUetra il2000e il2013 Tra
elusione fiscale e aiuti di Stato 436 478 404 274* 295 237 183 798 ITALIA SPAGNA FRANCIA POLONIA
REGNO UNITO OLANDA AUSTRIA GERMANIA Scalasx Scaladx Fonte:PwC;Ocse 20 4,0 19 3,5 18 3,0 17
2,5 16 2,0 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012I NUMERI Mancato gettito in Europa e giro
d'affari all'estero delle società italiane
1.000 miliardi
Le mancate entrate in Europa
Ogni anno, secondo le stime più recenti dell'Europarlamento, in Europa sfuggono agli occhi del Fisco un
migliaio di miliardi di euro: a tanto ammonta il combinato di evasione (850 miliardi circa) ed elusione fiscale
(altri 150 miliardi). Prime indiziate le multinazionali.
8mila
Le imprese italiane con partecipazioni all'estero
Secondo un rapporto pubblicato dall'Istituto per il commercio estero nel 2012 il fatturato generato dalle
27.500 filiali estere delle multinazionali italiane era stimato per un valore complessivo di circa 600 miliardi di
euro.
Foto: - * Dati 2004 anno del suo ingresso nell'Unione EuropeaFonte: Commissione Ue
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Rossella Bocciarelli
Rossella Bocciarelli u pagina 4
ROMA.
La criminalità ha un impatto fortemente negativo sull'immagine di un paese e sugli investimenti stranieri che
questo riesce ad attrarre. Lo ha sottolineato ieri, a Milano, il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco
nel suo intervento al convegno «Contrasto all'economia criminale, precondizione per la crescita economica»
organizzato dalla stessa banca centrale, in collaborazione con la Fondazione Cirgis. Visco ha anche fornito
una misura precisa di quanto negli ultimi anni sia costata al Paese questa perdita di appeal: si tratta di circa
16 miliardi, più di un punto di Pil. «La criminalità ha un effetto negativo sugli investimenti in generale e quelli
diretti dall'estero in particolare» ha infatti detto Visco. E ha spiegato: «Utilizzando l'indicatore Doing Business,
che fornisce una sintesi della qualità dell'ambiente istituzionale, e considerando il grado di penetrazione
criminale nel territorio, è stato stimato che, a parità di altre condizioni, se le istituzioni italiane fossero state
qualitativamente simili a quelle dell'area dell'euro, tra il 2006 e il 2012 i flussi di investimento esteri in Italia
sarebbero risultati superiori del 15 per cento - quasi 16 miliardi di euro - agli investimenti diretti effettivamente
attratti nel periodo». Più in generale, il governatore ha ricordato quale sia la priorità per l'Italia: «Creare le
condizioni per tornare a crescere è oggi fondamentale e urgente». E ancora: «L'azione di riforma in questa
direzione deve rispondere a un disegno ampio e organico, volto a ridurre l'incertezza e ispirato a principi di
efficienza, equità e legalità». La lotta all'illegalità va quindi vista come uno degli strumenti essenziali per
creare un contesto favorevole allo sviluppo: «Legalità, buona legislazione, regolazione efficace delle attività
economiche e pubblica amministrazione efficiente - ha detto Visco - sono le principali componenti di un
sistema istituzionale in grado di favorire innovazione e imprenditorialità e rimuovere rendite di posizione e
restrizioni alla concorrenza».
Invece «la criminalità organizzata, la corruzione e l'evasione fiscale - ha aggiunto - non solo indeboliscono la
coesione sociale, ma hanno anche effetti deleteri sull'allocazione delle risorse finanziarie e umane e
sull'efficacia delle riforme in atto. Rendono impossibile la costituzione di un ambiente favorevole all'attività
d'impresa, e quindi all'occupazione, e riducono le possibilità di crescita dell'economia». Il governatore ha poi
citato uno studio recente secondo il quale l'insediamento della criminalità organizzata in Puglia e Basilicata
negli anni '70 ha generato nelle due regioni, nell'arco di un trentennio, una perdita di Pil pari circa al 16 per
cento, rispetto a uno scenario controfattuale appositamente costruito in modo da ricalcare le condizioni socioeconomiche iniziali delle due regioni.
Quanto alle aziende di credito, Visco ha ricordato che banche sane sono una barriera contro la criminalità:
«Il rispetto della legalità nell'attività finanziaria è un presupposto della sana e prudente gestione delle
istituzioni finanziarie. A loro volta, intermediari sani e prudenti costituiscono una barriera contro la
penetrazione criminale nell'economia legale». Infine, il governatore ha spezzato una lancia a favore di «una
rapida approvazione della legge sull'autoriclaggio»: questo «sarebbe un primo, importante, passo verso una
lotta più efficace alla criminalità organizzata, dopo anni di discussione». In particolare «la definizione di
un'adeguata fattispecie penale consentirebbe di punire efficacemente gli autori dei reati di evasione fiscale,
truffa e corruzione, i cui comportamenti in vario modo ostacolano l'individuazione della provenienza delittuosa
del denaro». Il disegno di legge approvato dalla Camera e ora in seconda lettura al Senato «rappresenta - ha
detto il governatore - un compromesso tra diverse posizioni, anche molto distanti. Non esclude che ulteriori
misure, volte a colpire comportamenti in ambiti specifici, siano introdotte in futuro».
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Visco: presto la legge sull'autoriciclaggio La criminalità frena gli
investimenti esteri
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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© RIPRODUZIONE RISERVATALe criticità SOMMERSO CRIMINALE Il peso di racket e estorsioni
Secondo l'Istat, il peso sul Pil di droga, prostituzione e contrabbando di tabacchi sarebbe dell'1%.
Aggiungendo anche le attività della criminalità organizzata (come racket e estorsioni), le stime riportate dalla
Banca d'Italia superano il 10% INCIDENZA SUL PIL 10% IMPRESE A RISCHIO Sud sopra la media
Secondo il centro di ricerche Transcrime, il 30% delle imprese italiane dichiara di percepire un rischio
criminalità molto o abbastanza elevato nella propria zona. Nel Mezzogiorno questa percezione arriva al 40%
AZIENDE COLPITE 30%
INVESTIMENTI PERSI Il confronto con l'area euro Utilizzando l'indicatore Doing Business, se le istituzioni
italiane fossero state con un livello di criminalità uguale a quello dell'area euro, tra il 2006 e il 2012 il flusso di
investimenti esteri sarebbe stato maggiore del 15% (quasi 16 miliardi di euro) IL FLUSSO 16 miliardi
Foto: Legalità e crescita. Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha evidenziato l'impatto negativo
della criminalità sull'economia
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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La via stretta di Renzi tra crescita e debito
Guido Gentili
Non varcare la soglia del 3% di deficit in rapporto al Pil, ma sottolineando che quel limite è anacronistico e
andrebbe rivisto. Convincere l'Europa (a partire inevitabilmente dai «tecnocrati») che il rinvio al 2017 del
pareggio di bilancio «strutturale» (cioè corretto per il ciclo) è fisiologico, guadagnandosi - nell'ambito delle
regole date, ma contestando i metodi di calcolo del prodotto «potenziale»- la maggiore flessibilità possibile.
Evitare l'apertura di una procedura d'infrazione e scommettere che la tregua fin qui accordata dai mercati
tenga e che i piani espansivi di Mario Draghi alla BCE non vengano stoppati.
Tutto si può dire, meno che la sfida del Governo Renzi, un mix di temerarietà innovativa e di sottile prudenza
negoziale impersonate, rispettivamente, dal premier stesso e dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan,
non sia difficile e impegnativa. Una sorta di «terza via» tra strappi e continuità per forza di cose sotto continuo
esame, come si conviene del resto per un grande Paese, terza economia e seconda potenza manifatturiera
alla spalle della Germania nell'Eurozona, ma anche terzo Paese - questa volta nel mondo dietro Stati Uniti e
Giappone- per volume di debito pubblico accumulato.
L'Italia ha un disperato bisogno di crescere. Non lo fa praticamente da vent'anni e porta sulla sua devastata
economia reale, dopo la crisi scoppiata nel 2008, i segni di una stagione di guerra. Senza crescita non può
ridurre nemmeno il suo debito, che infatti ha continuato a lievitare nonostante gli straordinari risultati (ma
anche a prezzo di una caduta verticale della spesa per gli investimenti) ottenuti negli anni sul fronte del
disavanzo primario, al netto cioè degli interessi pagati (95 miliardi nel solo 2013) dallo Stato per finanziare il
debito.
D'altra parte, se non corregge la traiettoria del debito, l'Italia non rischia solo a Bruxelles (che al momento
plaude all'Irlanda e alla Grecia e bolla come «creativa» e inaccettabile anche l'ipotesi avanzata da Renzi di
scorporare dal Patto di stabilità le spese per l'innovazione) ma sui mercati.
Sulla sostenibilità del debito non c'è un numero-soglia esatto (140% in rapporto al Pil? 150%?) ma una
valutazione di credibilità del sistema-paese che si misura, appunto, sui mercati. E l'Italia resta sotto questo
profilo vulnerabile e molto sensibile all'evoluzione, incerta, dei tassi d'interesse.
Quando l'Ocse prevede che la crescita sarà dello 0,2% nel 2015 e segnala il nostro Paese - con un debito al
133,8% secondo la Commissione europea in ascesa anche l'anno prossimo, in recessione e insieme, di fatto,
in deflazione - alla penultima posizione nella classifica del G20, accende un faro su una prospettiva non
tranquillizzante.
La stessa lettura si ricava dall'ultimo sondaggio-Eurobarometro della Ue tra i 18 paesi della moneta unica:
l'Italia, per la prima volta nella sua storia, con il 47% degli italiani che ritengono l'euro una "cosa cattiva" è
oggi il paese più euroscettico. A ben vedere, anche questo un risultato della persistente mancata crescita che
peggiora il rapporto debito/Pil e, riattivandosi pressoché in automatico la richiesta europea di un più vigoroso
consolidamento fiscale, stronca ogni possibilità di ripresa e la fiducia in un futuro prossimo migliore. Facendo
ripartire la spirale infernale: non è possibile per il governo alzare l'orizzonte della politica economica
espansiva ma quanto fatto e messo in cantiere può non bastare, la ripresa continuerebbe a latitare e il debito
a salire.
Naturalmente sarebbe facile addossare ogni responsabilità all'Europa e all'euro, tralasciando il particolare
che l'Italia non cresce da vent'anni e che il terzo debito pubblico del mondo non l'ha creato la moneta unica
ma ce lo siamo costruiti (e accumulato) in casa nel corso di decenni.
La "terza via" in Europa del Governo Renzi, tra strappi e continuità, è molto stretta e vedremo quali risultati
porterà, fermo restando che quest'Europa incompiuta e prigioniera di regole auto-soffocanti necessiterebbe di
una revisione radicale. Invece, è più larga in Italia l'unica strada percorribile, quella dell'attuazione delle
riforme: qui, dietro e davanti la Legge di stabilità su cui a fine mese si pronuncerà Bruxelles, ci sono per il
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EUROPA E MERCATI
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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governo grandi spazi da riempire, a cominciare dal Jobs Act, dal cantiere fiscale, dalla riduzione della spesa e
dalla creazione di un ambiente favorevole all'attività d'impresa e all'attrazione di investimenti esteri.
Il tempo è poco, sui mercati la sostenibilità dell'Italia e del suo debito si gioca su questi terreni e misurando i
fatti.
twitter@guidogentili1
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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L'agenzia delle Entrate: «Già pronti alla voluntary»
Giorgio Costa
Giorgio Costa u pagina 15
PISA
Agenzia delle Entrate praticamente pronta con i modelli per la voluntary disclosure. In modo che, una volta
superato l'ultimo passaggio parlamentare, entro un mese dall'approvazione della legge, le Entrate saranno
pronte a dare attuazione a una normativa dal rilevante impatto finanziario. La tempistica è stata confermata
da Aldo Polito, direttore centrale Accertamento dell'Agenzia, che è intervenuto ieri a Pisa all'undicesimo
convegno nazionale dell'Anc (Associazione nazionale commercialisti) sulle semplificazioni fiscali.
Polito ha ribadito come il contrasto all'evasione farà rotta soprattutto su Iva e grandi frodi piuttosto che sulle
violazioni di minor rilievo. «Punteremo sull'adeguamento volontario. La nostra strategia - ha spiegato il
direttore Accertamento - è far sapere al contribuente le nostre informazioni su di lui in modo da rendergli
possibile la scelta se collaborare e adeguarsi alla richiesta del fisco».
Sul banco degli "imputati" a Pisa è finito sia il Ddl di Stabilità sia il decreto legislativo semplificazioni. Sul
primo fronte le critiche del presidente dell'Anc, Marco Cuchel, sono legate al trattamento dei costi (forfetizzati)
per i professionisti e dei contributi «al punto che il nuovo regime finisce per essere totalmente peggiore
rispetto al precedente». Forti le obiezioni anche al 730 precompilato e, soprattutto, alla responsabilità del
professionista per le imposte non pagate, le sanzioni e gli interessi. «Che siano addossate al professionista le
imposte non versate dal contribuente è palesemente incostituzionale e ci batteremo in ogni modo perché la
norma venga cambiata». Peraltro, si sta creando un fardello di responsabilità sui professionisti che, almeno
per le imposte altrui, non sarà coperta dalle polizze assicurative.
Da parte sua Polito, pur osservando che l'Agenzia è chiamata a dare attuazione alle norme emanate dal
Parlamento, ha ribadito che applicherà l'apparato sanzionatorio con la massima cautela anche se, nel caso,
spetterà al legislatore cambiare la norma e ai giudici dichiararne eventuali profili di illegittimità.
Questioni che hanno portato nuovamente all'attenzione dei commercialisti la parola «sciopero». «Ne
abbiamo parlato - ammette Cuchel - e se le cose non cambiano saremo costretti a proclamarlo. Certo
bisogna farlo a ragion veduta e certi che la categoria sarà compatta sulla misura che si deciderà di attuare».
Tornando, però, all'attività delle Entrate, gli uffici stanno lavorando ai nuovi modelli organizzativi per garantire
al contribuente la possibilità di esercitare il ravvedimento durante tutta la fase della verifica fiscale. Senza
dimenticare che il fisco concentrerà l'attenzione sulle frodi e in particolare su quelle all'Iva che, come ricordato
da Polito, valgono il 40% dell'evasione complessiva. «Il nostro impegno su questo tipo di frode è totale e
investe anche altri Stati europei con i quali abbiamo in campo accordi multilaterali di collaborazione. Si tratta
di organizzazioni molto complesse e raffinate per smantellare le quali è assolutamente necessaria la
collaborazione di stati esteri».
Inoltre Polito ha confermato che si sta lavorando a una circolare che recepirà il contenuto della sentenza
della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la presunzione di maggiori ricavi per i prelievi non
giustificati dagli autonomi.
© RIPRODUZIONE RISERVATAPer un maggiore appeal 1 RADDOPPIO DEI TERMINI Potrebbe essere
utile uniformare la disapplicazione del raddoppio dei termini prevedendo questa possibilità anche per la
contestazione della violazione sul monitoraggio (e non solo ai termini di accertamento ai fini dei redditi) 2
COPERTURA DAI REATI Una seconda auspicabile modifica è quella di prevedere la copertura dalle sanzioni
penali previste dall'articolo 8 del decreto legislativo 74 del 2000 per i soggetti che emettono fatture per
operazioni inesistenti per consentire a terzi l'evasione 3 REATI RIFERIBILI AD ALTRI Si potrebbe introdurre
un'imposta aggiuntiva, per chi aderisce alla disclosure, che eviti al contribuente di dichiarare il soggetto
connesso alla disponibilità delle somme, per garantire alle parti coinvolte l'anonimato e gli effetti fiscali e
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RIENTRO DEI CAPITALI
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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penali della disclosure 4 DETERMINAZIONE DEI REDDITI Sarebbe opportuno prevedere l'estensione della
possibilità di fruire di un regime forfettario di determinazione degli imponibili riferiti al possesso di investimenti
esteri anche a patrimoni superiori a 2 milioni di euro, a prescindere dalla dimensione delle attività detenute
all'estero
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 21
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Mediobanca in un milione di carte
Luca Davi
L'attività di Mediobanca «nel tempo è molto cambiata e continua a cambiare». E se ciò è avvenuto è perchè
la natura dell'istituto di Piazzetta Cuccia è sempre stata quella di adeguarsi alle «opportunità del momento»,
adattando il suo business al contesto operativo e storico in cui la banca si è trovata di volta in volta. Così
Mediobanca ha fatto «sempre», così «continuerà a fare».
L'ad Alberto Nagel coglie l'occasione della presentazione dell'Archivio Storico di Mediobanca, intitolato a
Vincenzo Maranghi, per ribadire un tema a lui «caro», su cui in fondo è già tornato più volte in passato, ma
che mai come oggi «riflette esattamente l'esperienza di Mediobanca», ovvero la natura di una banca
corporate che è riuscita a farsi "concava e convessa" ma sempre mantenendo la sua natura e cogliendo le
opportunità offerte dal momento.
Lo fa prendendo spunto dall'analisi degli scritti e dei documenti interni alla banca su cui gli studiosi stanno
facendo ordine. Un milione di documenti che, nel giro di un paio d'anni, verranno anche digitalizzati e
catalogati, dando così agli esperti la possibilità pressochè unica di consultare in maniera approfondita le carte
interne di un istituto che da oltre 60 anni è il crocevia degli interessi economici del Paese. Proprio queste
carte, dice il manager, consentiranno «agli interessati, ai lettori e anche alla pubblica opinione di farsi un'idea
più compiuta, approfondita e più supportata da elementi di fatto di quella che è stata l'esperienza di
Mediobanca». Non tutto sarà aperto al pubblico. «Ci sono carte riservate che diventano pubbliche e altre che
restano riservate», ha sottolineato il direttore dell'archivio Fulvio Coltorti.
u continua a pagina 24
u Continua da pagina 21
Luca Davi
Ma nel loro complesso quelle carte faranno emergere un verità sola: l'approccio «unico» di una banca che è
«un misto di serietà professionale, moralità e understatement» e che «oggi ancora più di prima va difeso»,
dice Nagel. Del resto proprio questa impostazione culturale ha «reso sempre Mediobanca rara avis». Tanto
che Vincenzo Maranghi (il «vero artefice» dello sviluppo dell'investment banking in Mediobanca e non
semplicemente il delfino di Enrico Cuccia, come sottolineato dal presidente della banca Renato Pagliaro) con
un'espressione «un po' forte come il suo carattere» la definiva «il "corpo mistico"» di Mediobanca, dice Nagel.
Una definizione che «rende bene l'unicità» del gruppo che oggi «noi siamo impegnati a difendere e a
preservare» perchè «abbiamo «potuto partecipare a una scuola che persone della qualità di Cuccia, di
Maranghi e di Salteri hanno reso possibile». Proprio a Maranghi va il merito di «operazioni di salvataggio, di
m&a, di capital market e investimenti diretti» che «molto spesso è stato lui a concepire, a preparare ed
eseguire come frutto della sua fantasia e del grande senso degli affari che aveva, del suo coraggio e della
sua perizia professionale», ricorda Pagliaro.
Davanti a una platea dove spiccavano i figli di Enrico Cuccia e il figlio di Maranghi, l'ex a.d. di Mediobanca
Silvio Salteri e uomini di finanza e impresa (tra questi Fabrizio Palenzona e l'imprenditore Giancarlo Cerutti), i
vertici della banca hanno ribadito quale è la mission del gruppo. Il cui focus è «sempre stato rivolto
all'impresa», sottolinea Pagliaro. Ed è «un luogo comune» credere che la banca si sia posta «a difesa delle
dinastie familiari». Mediobanca anzi «è stata un potentissimo motore di cambiamento degli assetti
proprietari», evidenzia ancora il presidente. A partire dalla sue origini, nel 1946, Mediobanca ha avuto
l'obiettivo di «occuparsi delle esigenze finanziarie non ricorrenti delle imprese», aggiunge Nagel. Una banca
che è stata «corporate fin dall'inizio, con un dna corporate e con competenze corporate». Il concetto è ancor
più «importante» oggi, visto che «stanno riprendendo alcune considerazioni critiche sulla despecializzazione
che è stata introdotta già negli anni 90 e poi dagli anni 2000» che è stata alla base della crisi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Credito. La presentazione dell'archivio storico
08/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Dalle carte dell'archivio - che ha recentemente ottenuto la dichiarazione di «interesse storico particolarmente
importante» dal Ministero dei Beni Culturali - emerge infine come Mediobanca nel corso della sua storia abbia
«sviluppato moltissime attività che avevano lo scopo di completare l'attività, rendere più stabili i ricavi,
aumentare la redditività del gruppo». Dal lancio del credito al consumo all'attività di revisione con Reconta,
«l'attività è molto cambiata negli anni». Il tutto adeguandosi alle opportunità del momento, in «funzione di
della legislazione, del sistema valutario», del fatto che l'economia «fosse aperta o chiusa».
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09/11/2014
Il Sole 24 Ore
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La Fed colma il vuoto della politica
di Paul Krugman
Ricevo mail arrabbiate su un editoriale di William Cohan sul NYTimes contro la Fed.
Cohan e quelli che mi hanno scritto danno per scontato che ci sia un collegamento tra politica del denaro
facile e disuguaglianza. In verità questa tesi è alquanto traballante.
Partiamo dalla lamentela sul danno arrecato a chi cerca di mantenersi col reddito prodotto dagli interessi sui
risparmi. È indubbio che i tassi bassi sui depositi danneggiano chi non possiede altri tipi di attività. Ma qual è
l'entità del problema? Guardiamo la Survey of Consumer Finances, che fornisce dati sul reddito da dividendi
e interessi suddivisi per livello di ricchezza: i tre quarti più poveri della distribuzione della ricchezza non hanno
alcun reddito da investimenti. Tra il 75° e il 90° percentile, una certa quota di reddito da investimenti c'è, ma
anche nel 2007, quando i tassi erano relativamente alti, questa quota rappresentava solo l'1 per cento del
loro reddito complessivo. Nel 2010, quando i tassi erano molto più bassi, era all'1,6. Magari sarà scesa un po'
dopo l'inizio delle politiche di allentamento quantitativo. Il punto, però, è che l'impatto complessivo sugli
americani a medio reddito è stato limitato: non si può perdere molto reddito da investimenti se se ne aveva
poco già in partenza. C'è un aspetto leggermente diverso che riguarda le pensioni. Come ha sottolineato la
Banca d'Inghilterra, il denaro facile ha effetti compensativi sui fondi pensione: fa crescere il valore delle
attività, ma riduce il tasso di rendimento in prospettiva futura. Ha scarsi effetti se il fondo è pienamente
finanziato, ma può fare danni se è sottofinanziato, com'è il caso di molti fondi pensione. La Banca
d'Inghilterra giunge alla conclusione che la politica del denaro facile ha arrecato un danno al risparmio
previdenziale, però lascia intendere che l'effetto è modesto.
Da dove viene, allora, l'impressione che le politiche di allentamento quantitativo abbiano comportato una
massiccia ridistribuzione del reddito in favore dei ricchi? Soprattutto dal fatto che i prezzi delle azioni sono
saliti fortemente dal 2010, mentre i prezzi delle case no, e dato che gran parte del patrimonio delle famiglie di
classe media ha investito nella casa di residenza, l'impressione che si ha è di un forte aumento della
disuguaglianza. Non è chiaro perché dovrebbe essere colpa del denaro facile se i prezzi delle case
arrancano. Anzi, uno dei piccoli segreti inconfessabili della politica monetaria è che di solito agisce attraverso
il mercato immobiliare, mentre ha un impatto diretto limitato sugli investimenti d'affari. Perché stavolta è stato
diverso? Perché il mercato immobiliare a metà degli anni 2000 è stato interessato da una bolla di enormi
proporzioni, e dunque è difficile che possa ripartire di slancio. I titoli azionari subirono contraccolpi
pesantissimi nel 2008-2009, ma era l'effetto del dissesto finanziario e del panico, e probabilmente sarebbero
tornati a correre anche senza allentamento quantitativo.
L'elemento cardine della salute finanziaria della maggior parte di noi non è rappresentato né dal tasso di
interesse né dal prezzi delle attività, ma esclusivamente dai salari. E una nuova ricerca del Center for
Economic Policy Research ha riscontrato che «l'evidenza empirica segnala che le misure di politica
monetaria influenzano la disuguaglianza in senso opposto a quello indicato dall'ex deputato Ron Paul e dagli
economisti della scuola austriaca». Il che mi riporta alla ragione per cui quasi tutti siamo a favore del QE. No,
la signora Yellen e io non siamo al soldo della Goldman Sachs, e nemmeno crediamo (io per certo) che la
politica monetaria non convenzionale possa produrre miracoli. Doveva essere la politica di bilancio a dare lo
scossone più grosso a un'economia depressa. Ma guardando la situazione politica, la Fed è l'unica ancora di
salvezza.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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GLI ECONOMISTI: Paul Krugman
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IN DIFESA DI YELLEN
09/11/2014
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09/11/2014
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Le voci di fondo confondono di più
di Donato Masciandaro
L'economia ed i mercati hanno bisogno di una politica monetaria fatta di annunzi rilevanti e credibili. u
N on hanno invece bisogno di spifferi, illazioni e sparate ad effetto, che, aumentando confusione ed
incertezza, danneggiano tutti, tranne coloro che operano con orizzonti ed obiettivi meramente speculativi.
Purtroppo negli ultimi giorni abbiamo avuto cattivi esempi da parte di taluni banchieri centrali, sia in Europa il presidente della Bundesbank Jens Weidmann - che negli Stati Uniti - il presidente della FED di S. Francisco
John Williams. Per non parlare di quello che è avvenuto sempre in Europa con alcuni commenti offerti
all'indomani della comunicazione della prima valutazione dei bilanci bancari fatta dalla banca centrale
europea (BCE).
Le cronache economiche e finanziarie di ieri sono state vivacizzate dalle dichiarazioni del Presidente della
Bundesbank Weidmann, che non ha perso l'ennesima occasione per chiosare e precisare le ultime decisioni
della BCE. E per l'ennesima volta le sue dichiarazioni sono diventate attraverso i media un volano per
trasmettere un messaggio di incertezza sul grado di coesione che si registrerebbe all'interno della nostra
banca centrale sulla futura strategia di politica monetaria.
L'incertezza fa molto male ai mercati. Occorre fare completa chiarezza sul delicato rapporto che lega
l'andamento dei prezzi alle dichiarazioni dei responsabili della politica monetaria. Il che significa parlare del
rapporto che esiste tra la volatilità dei mercati ed ogni tipo di dichiarazione rilevante. Esiste una buona
volatilità ed una cattiva volatilità.
Vi è buona volatilità quando una dichiarazione offre informazione al mercato, rilevante e credibile. Se la
banca centrale annunzia un cambiamento della politica dei tassi, magari inatteso, i mercati reagiscono più o
meno vigorosamente, ed è efficiente che sia così.
Invece vi è cattiva volatilità, o se si vuole andamenti anomali, quando i mercati reagiscono a dichiarazione
che sono falsamente rilevanti e/o falsamente credibili. Poiché l'inconsistenza della dichiarazione si scopre
sono con il tempo, l'andamento anomalo rappresenta una vera e propria manipolazione del mercato.
Ma perché i mercati reagiscono a notizie inconsistenti? Perché danno credibilità alla fonte della dichiarazione
stessa. Una dichiarazione di un banchiere centrale è fatta di tre elementi: l'informazione che è contenuta, la
forma di comunicazione che è scelta per dare quella informazione, l'autorevolezza di chi la offre, cioè il
banchiere centrale.
Se si vuole creare incertezza, quindi cattiva volatilità, la formula è presto trovata. L'informazione deve essere
ambigua: quindi un oculato uso di detto e non detto, in modo che il confine tra precisare un concetto e
smentirlo diventi assai sottile. Deve cioè esserci una notizia opaca ma rilevante, tipo che la BCE è spaccata
in due, oppure che la FED sta considerando l'eventualità di far partire la quarta operazione di quantitative
easing.
Poi la comunicazione deve essere informale; va molto bene la chiacchierata con uno o più giornalisti, magari
a microfoni apparentemente spenti, in modo che successive smentite e chiarimenti siano sempre possibili,
aumentandone così anche il clamore. Inoltre, se la giornata non è festiva, quindi i mercati finanziari sono
aperti, è meglio. Ultimo ingrediente: l'autorevolezza del banchiere centrale, quindi più è apicale la sua
posizione meglio è. Inoltre, aiuta molto il fatto se il banchiere centrale in questione abbia una consolidata
fama di contrarian.
Il contrarian è una tipica figura da consiglio di amministrazione, che, soprattutto quando è certo che le
decisioni saranno comunque prese a larga maggioranza, esprime il suo parere negativo, e fa di tutto perché
si sappia soprattutto al di fuori del consiglio - anche prima che una eventuale pubblicizzazione dei verbali la
renda nota - in modo da consolidare una fama di indipendenza, in questo caso sull'orientamento della politica
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BANCHE CENTRALI E MERCATI
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monetaria, o sulle scelte di vigilanza.
La formula della cattiva volatilità da dichiarazioni sulla politica monetaria oramai è ben nota, soprattutto a chi
ne fa un uso strumentale e sistematico. Va ricordato che gli andamenti ingiustificati dei prezzi nascono da
dichiarazioni di operatori privati, vi sono conseguenze amministrative, civili e penali. Il fatto di essere un
cosiddetto civil servant non dovrebbe essere una esenzione, ma una aggravante.
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Il Sole 24 Ore
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Sblocca-Italia, ora 35 decreti per il cantiere attuazione
Il premier promette rapidità, Lupi ha già distribuito 1,7 miliardi NECESSARIE MODIFICHE La norma che
esclude il patto di stabilità per le bonifiche ha bisogno di una copertura: correzione in un nuovo Dl o nella
legge di stabilità
Mauro Salerno
ROMA
Chiuso un travagliatissimo iter parlamentare per il decreto Sblocca-Italia si apre ora l'altrettanto complicato
cantiere dell'attuazione. Il premier Matteo Renzi promette la massima celerità e il ministro delle infrastrutture,
Maurizio Lupi, dal canto suo, ha già varato il primo decreto di ripartizione di 1,7 miliardi per le infrastrutture
prioritarie (si veda Il Sole 24 Ore del 19 ottobre).
La strada per trasferire l'impatto del provvedimento dalle colonne della Gazzetta Ufficiale (dove dovrebbe
essere pubblicato martedì) alla realtà economica del Paese è ancora lunga. E si annuncia in salita. Nascosti
nelle pieghe dei 346 commi, raggruppati in 44 articoli, è possibile contare 35 tra decreti e atti di altra natura
necessari ad attuare le misure con riverbero più diretto per il settore delle costruzioni. Molti, peraltro, si sono
aggiunti proprio durante il passaggio parlamentare che ha comportato oltre 200 correzioni al testo del decreto
andato in Gazzetta lo scorso 12 settembre. Non bastasse la faticosa attuazione il decreto legge convertito
con due fiducie ha già bisogno di correttivi che potrebbero finire in un decreto legge ad hoc questa settimana
oppure in un emendamento alla legge di stabilità. La norma di legge è necessaria per trovare le coperture per
la misura (prevista dall'articolo 34, comma 7) che esclude dal patto di stabilità interno i costi delle opere di
bonifica degli enti territoriali.
Poi bisognerà mettere mano ai provvedimenti attuativi. Tra i 35 titoli compaiono misure di grande impatto per
il settore. E per molte non è facile scommettere che si arriverà davvero fino in fondo. A partire dal
regolamento edilizio unico, reintrodotto in fase di conversione, che dovrà essere messo a punto tramite
accordi in Conferenza unificata non semplicissimi da trovare. Per non parlare del regolamento dei Beni
culturali sui piccoli interventi da escludere dall'obbligo di autorizzazione paesaggistica di cui si discute da
anni. O dell'individuazione degli immobili demaniali inutilizzati (e da valorizzare), fino all'ennesimo riordino
della disciplina delle terre e rocce da scavo.
Il ministero delle Infrastrutture si è già portato avanti sulla lista delle grandi opere da sbloccare, con un primo
elenco di infrastrutture "cantierabili" per un valore di circa 1,7 miliardi, contenuto in un decreto pronto per
l'emanazione. Manca ancora la firma del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e il visto della Corte dei
conti, ma non ci sono problemi di merito.
C'è poi il corposo capitolo delle revoche cui è affidato il compito di alimentare buona parte dei fondi destinati
agli investimenti nel settore idrico e per la lotta al dissesto idrogeologico. Anche in questo caso non sarà così
semplice individuare le opere da definanziare per liberare risorse utili a nuovi investimenti.
Servono nuovi interventi normativi anche per accelerare il completamento delle opere incompiute,
individuando i cantieri che potranno beneficiare di pagamenti esclusi dal patto. E ancora altri decreti per dare
nuova linfa al pagamento dei debiti della Pa. In diversi casi, peraltro, le scadenze fissate dal Dl 133 per la loro
emanazione sono già state superate.
Sul fronte delle infrastrutture torna d'attualità il piano strategico dei porti e della logistica da varare con un
decreto del presidente del Consiglio dei ministri entro 90 giorni dalla conversione. Mentre la selezione degli
interventi più urgenti è affidata a un ulteriore provvedimento da mettere a punto nei successivi 60 giorni, sulla
base delle proposte delle Autorità portuali. Insomma anche qui una bella gimkana.
Anche il decreto Sblocca-Italia non si è fatto mancare una robusta dose di correzioni al codice degli appalti.
Alle circa 200 modifiche varate nel corso degli ultimi anni, si aggiungono le 17 previste da quest'ultimo
decreto, concentrate sulla semplificazione delle procedure per le opere da affidare in concessione, la
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La lunga crisi LE INFRASTRUTTURE
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modifica alla disciplina dei project bond e le norme per snellire gli iter per le bonifiche. Tutto al netto del ricco
capitolo delle deroghe, messe nero su bianco con l'obiettivo di accelerare l'avvio dei cantieri. A partire dalle
opere sottosoglia per difesa del suolo, messa in sicurezza delle scuole, antisismica e beni culturali, per finire
all'ampio ventaglio di scorciatoie concesse sul fronte della difesa del suolo.
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PRINCIPALI MODIFICHE
p Rafforzata la trasparenza sulle grandi opere ferroviarie (Napoli-Bari, Palermo-Messina) da realizzare con i
poteri da supercommissario affidati all'Ad di Fs Michele Elia
p Concessioni autostradali: resta la possibilità di revisione dei piani con proroga ma inseriti paletti formali
p Dal 1° luglio obbligo per i nuovi edifici di impianti a banda larga e ultralarga
p Qualche paletto in più anche sulle semplificazioni per i piccoli interventi edilizi
p Torna l'obiettivo di un regolamento edilizio unico in tutti i Comuni. Va trovato l'accordo in Conferenza
unificata
p Deduzioni Irpef del 20% per chi acquista case da affittare. Valgono solo per gli acquisti di case invendute
alla data di entrata in vigore della legge. O per le case soggette a ristrutturazione
p Nei Piani regolatori portuali le strutture inutilizzate devono essere destinate alla realizzazione di approdi
turistici
p Investimenti Inail in opere di pubblica utilità devono essere destinati a bonifiche di amianto, messa in
sicurezza di scuole e patrimonio residenziale pubblico
p I territori con attività di ricerca di idrocarburi incassano il 30% delle maggiori entrate derivanti
dall'attivazione degli impianti per 10 anni
p Casale Monferrato: nel 2015 le spese per la bonifica dall'amianto escluse dal patto di stabilità del Piemonte
Le grandi opere: accelerate, ancora nel guado, ferme
BRESCIA-PADOVA (ALTA VELOCITÀ)
768 milioni
Dalle Ferrovie 768 milioni ma servono oltre 10 miliardi. Il contratto di programma Fs 2012-2016 stanzia 768
milioni cui vanno aggiunti 200 milioni sblocca-Italia, su un costo di 10,2 miliardi. La stabilità prevede 3 miliardi
di lungo periodo, ma per il triennio 2014-2016 ci sono 200 milioni. Accelerazione insufficiente.
ACCELERAZIONE
ALTA
L'INVESTIMENTO
CONCESSIONE AUTOSTRADALI
10 miliardi
Entro agosto 2015 l'ok al piano «Lupi» da 10 miliardi
Lo sblocca Italia proroga le concessioni autostradali per facilitare 10 miliardi di investimenti. Il piano è già a
Bruxelles, ma l'iter richiede molti passaggi: Cipe, Autorità Trasporti, Parlamento, ma soprattutto il preventivo
ok della commissione Ue.
ACCELERAZIONE
BASSA
IL PIANO «LUPI»
TUNNEL BRENNERO (ALTA VELOCITÀ)
270 milioni
Arrivano altri 270 milioni
per appalti entro aprile 2015
Per proseguire il tunnel del Brennero arrivano altri 270 milioni dallo sblocca Italia, col vincolo di appaltare
entro aprile 2015 e aprire il cantiere entro il successivo mese di agosto. L'opera vale 4,9 miliardi (parte
italiana) ed è finanziata per 837 milioni
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ACCELERAZIONE
ALTA
I FONDI SBLOCCATI
TERZO VALICO DI GENOVA
200 milioni
Altri 200 milioni di fondi
da appaltare entro l'anno Dallo Sblocca-Italia arrivano altri 200 milioni, vincolati al rispetto delle seguenti
scadenze: appalto entro fine 2014, cantiere entro giugno 2015. Opera inclusa nel contratto di programma
Stato-Ferrovie 2012-2016. Costo totale 6,2 miliardi
ACCELERAZIONE
MEDIA
LA DOTE
TERZA CORSIA VENEZIA-TRIESTE
30 milioni
Un aiuto ad Autovie Venete
per investire 1,7 miliardi
Uno stanziamento di 30 milioni concessi ad Autovie Venete per far quadrare i conti del progetto di
ampliamento e ammodernamento dell'autostrada. L'obiettivo è arrivare al closing finanziario per 1,7 miliardi di
euro. Potrebbe essere risolutivo.
ACCELERAZIONE
ALTA
LO STANZIAMENTO
NUOVA LINEA C DEL METRÒ DI ROMA
155 milioni
Altri 155 milioni alla Capitale
per la tratta in centro storico
Lo sblocca Italia concede altri 155 milioni a Roma, ma vincolati al completamento di parte della procedura
entro agosto 2015. L'opera è in parte realizzata - tutta la tratta in superficie, più esterna rispetto alla città - ed
è in cantiere nel tratto fino a San Giovanni
ACCELERAZIONE
ALTA
LA QUOTA SBLOCCATA
QUADRILATERO UMBRIA-MARCHE
650 milioni
Fallita la «cattura di valore»
Servono risorse pubbliche
L'opera è aggiudicata e in
corso di realizzazione, servono
fondi pubblici per 650
milioni per coprire i mancati introiti dalla «cattura di valore» stimata in fase di progetto. Dallo sblocca Italia
120 milioni da appaltare entro la fine di quest'anno
ACCELERAZIONE
MEDIA
LE RISORSE MANCANTI
NAPOLI-BARI (ALTA VELOCITÀ)
2,9 miliardi
09/11/2014
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Arriva il commissario per anticipare l'avvio dei lavori
L'opera ha fondi per 2,9 miliardi ma ne costa 6,2. Lo sblocca Italia nomina l'ad delle Fs Elia commissario
straordinario per avviare i cantieri nell'ottobre 2015, ma l'accelerazione viene frenata dal Parlamento sui
pareri ambientali: da verificare che funzioni
ACCELERAZIONE
MEDIA
LA DOTAZIONE ATTUALE
09/11/2014
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Dalla green economy una speranza per l'occupazione
PROFESSIONI VERDI Il settore impiega tre milioni di addetti (il 13,3% del totale dei lavoratori italiani); il
23,5% è under 35 LA CRESCITA CHE VERRÀ Per il 74% dei cittadini sviluppo sostenibile e difesa
dell'ambiente non sono una moda, ma una necessità
Aldo Bonomi
Nel dibattito al calor bianco sul Jobs Act, nelle sue piazze di riferimento Leopolda e Piazza San Giovanni, ci si
scontra sul tema delle riforme delle regole del mercato del lavoro. Nel passaggio epocale dallo Statuto dei
lavoratori a uno statuto dei lavori serpeggia un amaro interrogativo che ci riporta alla realtà: il lavoro, i lavori,
si creano con le regole o con le imprese? Con politiche che cambiano regole o con politiche industriali? Con il
ministro del Lavoro o con un protagonismo del ministro dell'Industria? Il pensiero corto si ferma sul portare a
casa lo scalpo di una o dell'altra parte in singolar tenzone. Il pensiero lungo dovrebbe, come ai tempi dello
Statuto dei lavoratori, divenuto riforma e regola nel ciclo maturo del fordismo, delineare e sostenere la
metamorfosi del fare impresa e qui collocare conflitto e mediazione per uno Statuto dei lavori che viene
avanti.
Metto pacatamente in mezzo al calor bianco i numeri del rapporto Greenitaly realizzato da Unioncamere e
Symbola, presentato a Roma da Claudio Gagliardi ed Ermete Realacci. Nel 2013 sono 3 milioni gli occupati
nel settore green delle imprese, il 13,3% del totale degli occupati. Di questi, a proposito di disoccupazione
giovanile, il 23,5% è under 35 anni. Nel 2014 le professioni verdi richieste nell'industria e nei servizi sono
234mila, con assunzioni non stagionali, il 60,7% del totale. Il rapporto ci consegna un dato di realtà e di
analisi basato su 341.400 imprese green che hanno assunto, aumentato il fatturato, con l'innovazione di
prodotti e di servizi, e la quota nell'export. So bene che, a fronte di questi numeri "inauditi", abbiamo quelli
quotidianamente uditi della cassa integrazione, di grandi imprese in crisi e dell'aumento della povertà relativa.
È la questione sociale aperta. Ma per tentare di chiuderla, di uscirne in avanti, queste imprese che ce la
fanno rimandano a un made in Italy in trasformazione. In agricoltura, tema da Expo, nel 2015-2017 il 17,3%
delle imprese investirà in sostenibilità ambientale e negli ultimi 3 anni il 57,3% ha diminuito il consumo di
acqua ed energia per unità di prodotto. Anche nelle costruzioni, quelli che anni capito che è finita l'epoca dei
mutui subprime e sono green building nella riconversione e manutenzione hanno creato 236mila posti di
lavoro. Nel legno-arredo prende corpo la certificazione ambientale delle materie prime per tenere mercati
europei e americani. Ovviamente la discontinuità tocca l'industria cartaria, terminale ultimo del riciclo. La
metamorfosi riguarda anche settori come il meccano-tessile, con produzioni di macchine tailor-made a
risparmio energetico, che ha nella Cina il principale mercato. Esemplificazione leggera di un'economia
leggera si dirà, e mi chiedo provocatoriamente, perché la stessa discontinuità operosa non potrebbe toccare il
ciclo dell'acciaio, dell'automotive, il territorio e l'ambiente da riqualificare...
Applicando lo schema maieutico, per un capitalismo in grado di confrontarsi con il concetto di limite, di eco
impatto e di eco tendenza, descritto nel rapporto che, partendo dalle materie prime e dai consumi energetici,
valuta per le imprese green le variazioni di emissioni per prodotto, il recupero di energia e la diminuzione per
unità di prodotto di rifiuti. Per i miei microcosmi è importante ricostruire la geografica territoriale delle imprese
green: 94.020 sono nel Nord Ovest, un tempo triangolo fordista, 93.510 sono nel Sud e nelle Isole, nel
desertificato sud del rapporto Svimez sono le uniche imprese che tengono e creano lavoro con 683mila
addetti. Poi segue il Nord Est del capitalismo molecolare in evoluzione con 75.580 imprese e il Centro con
64.770. Se dalle macroaree scendiamo ai numeri delle province e delle città nelle prime 10 troviamo aree
metropolitane e città-regione, Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Firenze e Bologna e città snodo delle
piattaforme produttive come Brescia, Bergamo e Padova. Con i loro numeri confermano che oggi la
questione dello sviluppo che verrà sta nei servizi innovativi delle città che contaminano la metamorfosi del
nostro sistema di imprese diffuse. Molto dipenderà da quanto il divenire di queste dieci città smart cities sarà
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MICROCOSMI LE TRACCE E I SOGGETTI
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intrecciato con le smart land dell'agricoltura, della manifattura, del paesaggio e del territorio. Mettendo al
lavoro nell'intreccio antico città-territorio professioni come l'agronomo, il chimico ambientale, l'ingegnere
ambientale, il progettista di impianti solari, il carpentiere dei tetti solari, il tecnico del risparmio energetico, bioarchitetti, risk manager ambientali e green copy writer... Sono tracce di futuro che da sole non bastano né al
calore bianco delle regole della Leopolda né alla resilienza di Piazza San Giovanni.
Ma siccome entrambi i poli si basano sul consenso, tengano conto di un sondaggio pubblicato nel rapporto.
Per il 74% degli italiani nel 2014 lo sviluppo sostenibile e la difesa dell'ambiente non sono una moda. Sono
37,5 milioni di italiani, 10 anni fa erano 18,6 milioni. È in atto una mutazione antropologica che parte dai
soggetti per poi chiedere a Governo e imprese di assumere responsabilità e visione adeguate ai tempi.
Questo conferma che nella dialettica tra green economy e green society i tempi sono maturi e lo sono anche
per una dialettica tra politica e sindacato verso lo statuto dei lavori adeguato ai tempi della metamorfosi del
produrre.
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«La trasparenza dà slancio alla ripresa»
Mauro Meazza
È fondamentale la coerenza
a livello globale,
dei sistemi
di regolamentazione
Fresca di nomina alla presidenza Ifac (l'International Federation of Accountants ovvero l'organizzazione
mondiale dei commercialisti, che rappresenta 179 istituti della professione economico-contabile di 130 Paesi
e più di 2 milioni e mezzo di professionisti) la statunitense Olivia Kirtley è in questi giorni a Roma per i lavori
del XIX congresso mondiale della categoria.
Ms Kirtley, sia gli organismi sovranazionali come l'Ocse sia i singoli Stati hanno avviato una decisa azione di
contrasto ai paradisi fiscali e alle azioni di erosione fiscale (Beps, base erosion and profit shifting). Si tratta, a
suo giudizio, di misure realmente efficaci? E davvero sta per finire l'epoca dei paradisi fiscali?
C'è chiaramente ancora molto da fare per una maggiore cooperazione internazionale tra i Paesi sulla
tassazione. Ad esempio attraverso il ricorso alle convenzioni sulle doppie imposizioni e ad accordi per la
condivisione delle informazioni - che sono importanti per promuovere un approccio responsabile, e la
sostenibilità e crescita dei sistemi per il medio e lungo periodo. Crediamo che le nazioni debbano sostenere
cooperativamente il lavoro dell'Ocse e affrontare i temi dell'erosione della base imponibile e del trasferimento
di profitti rafforzando la trasparenza e coerenza dei sistemi di tassazione, così come l'efficacia degli stessi.
Come mezzo per incoraggiare la crescita economica, i sistemi di tassazione devono essere bilanciati, ben
ponderati, praticabili, applicati in maniera coerente, tenendo in considerazione anche le necessità di Paesi
emergenti.
Gli Stati Uniti sembrano aver lasciato alle spalle la crisi globale. Non così accade in Europa, dove la crescita
resta debole e alcuni Paesi, tra cui l'Italia, si trovano in recessione mentre altri, come la Spagna, devono
fronteggiare tassi di disoccupazione abnormi. Dal suo punto di osservazione, si sente ottimista sulle capacità
di ripresa dell'Europa?
Uno dei temi più chiari in Europa è quello del debito dei singoli Stati e quindi l'esigenza di sostenere con
opportune misure gli Stati stessi. Come già constatato da Ifac in altre situazioni, questo mette in evidenza
l'esigenza di maggiore trasparenza e responsabilità dei governi e l'implementazione di una riforma nei sistemi
di rendicontazione finanziaria nel settore pubblico. Ciò è cruciale per fornire sicurezza e affidabilità sulla base
delle quali radicare la crescita e la sostenibilità di lungo periodo.
Inoltre, per realizzare una forte ripresa, la coerenza a livello globale dei sistemi di regolamentazione, di
standard e di tassazione, è fondamentale. La coerenza a livello globale presuppone dunque l'adozione di
standard qualitativi, che faciliterebbero attività internazionale, e promuoverebbero la stabilità e la trasparenza.
Tuttavia, nonostante i molti progressi compiuti nel XXI secolo, le regole contabili mantengono tuttora
significative differenze non solo tra gli Stati Uniti e l'Europa, ma anche all'interno dell'Europa stessa. A che
punto è il percorso di avvicinamento tra Us Gaap e i principi Ias/Ifrs in uso nell'Unione europea?
Ifac ritiene che vi sia l'esigenza di adottare standard internazionali, globalmente accettati. Raccomandiamo
l'adozione e l'implementazione degli Isa (standard revisione contabile), Ipsas (standard contabilità settore
pubblico) e in materia di indipendenza, statuiti nel codice etico, emanati dai diversi board indipendenti
dell'Ifac. Nonostante alcune voci che sostengono il superamento della convergenza tra Ifrs e i Gaap
statunitensi, noi sosteniamo la necessità di adottare e di implementare i principi Ifrs. A nostro avviso la
convergenza è la strada per promuovere opportunità di dare concrete ed efficaci risposte per il commercio e
gli scambi internazionali. Questa posizione è stata reiterata anche davanti al G-20 nelle più recenti proposte
presentate al forum.
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INTERVISTA Olivia Kirtley Presidente Ifac
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Alla guida. Olivia Kirtley, presidente Ifac
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Per il mattone ancora un calo «da imposte»
Fossati e Trovati
Le tasse non danneggiano solo il mercato, ma anche i valori immobiliari. Il confronto dei valori Omi,
l'Osservatorio immobiliare dell'agenzia delle Entrate, evidenzia un'ulteriore caduta rispetto al 2012, quando
già il mercato era ai minimi.
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Le tasse non danneggiano solo il mercato ma anche i valori immobiliari. E quanto meno rappresentano un
pesante ostacolo alla ripresa. Dopo il Rapporto residenziale 2014 (si veda Il Sole 24 Ore del 24 ottobre
scorso) l'Omi, Osservatorio immobiliare dell'agenzia delle Entrate, ha presentato i dati aggiornati al primo
semestre 2014 dei valori di mercato.
Da un confronto sui dati di due anni fa (secondo semestre 2012) quando già i valori immobiliari avevano
toccato il fondo, emerge però un'ulteriore caduta, anche se un poco diversificata.
La banca dati delle quotazioni immobiliari, che parte soprattutto dai rogiti, cioè da dati incontestabili visto
l'obbligo di indicare nell'atto di compravendita il valore reale (a fino statistici, appunto) e quello fiscale (sul
quale si pagano le imposte). E il calo dei prezzi, da quando la mazzata dell'Imu è stata assestata (fine 2011)
si è sentito decisamente più di quanto ci si sarebbe dovuto aspettare dopo cinque anni di vacche magre.
Così, se a Milano e a Bologna centro i valori hanno tenuto un po' di più, nelle altre metropoli italiane si tratta
di differenze a due cifre. Un'accelerazione al ribasso, rispetto ai trend precedenti o comunque attesi per lo
scorso biennio, che mette paura. Soprattutto perché dopo l'Imu è arrivata la Tasi, passando da Tares e Tari,
e ora è in vista la tassa Unica o local tax, a seguire due anni di brutte sorprese che, in un settore dalla lenta
digestione come quello immobiliare, hanno provocato una turbolenza continua. Ed è facile capire come questi
aspetti generino un'incertezza dagli effetti mortali per il settore.
Anche rispetto agli scambi, cioè alle unità immobiliari abitative compravendute nei Comuni capoluogo (dati
sempre provenienti dall'Omi) siamo ancora in calo: dalle 38.649 unità del I trimestre 2012 allo stesso periodo
del 2014 (36.885): 4,7% in meno.
Proviamo poi ad aggiungere a queste conclusioni i dati sugli accatastamenti complessivamente effettuati nel
2013 (Rapporto residenziale 2014), cioè di fatto le nuove unità immobiliari ultimate: sono 680mila, la metà di
quelli dell'anno precedente, che già toccavano il minimo storico del 2 per cento in più. Quindi, si tratta di una
crescita complessiva dell'1 per cento. E per le abitazioni, che rappresentano la metà dello stock immobiliare
italiano (66 milioni di unità immobiliari) va ancora peggio: 0,5% di crescita, solo 174mila unità immobiliari
(appartamenti o villette) in più rispetto al 2012.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Saverio Fossati
Gianni Trovati
c La Parola Chiave
Valori Omi
L'Omi, sigla che sta per «Osservatorio del mercato immobiliare», istituito presso l'agenzia del Territorio,
raccoglie e pubblica i dati sui valori immobiliari, il mercato degli affitti e i tassi di rendita. I valori Omi sono
riferiti all'ordinarietà degli immobili e allo stato conservativo prevalente nella zona omogenea. CENTRO
PERIFERIA 0,0 MILANO 22,9 2,3 1,7 Var. prezzo minimo Var. prezzo massimo -6,4 -8,8 ROMA -15,6 -12,6 12,5 -14,3 NAPOLI -9,5 -10,9 LE VARIAZIONI 2012-2014 Oscillazioni dei valori Omi negli ultimi tre anni per
gli immoblili in alcuni grandi centri (valori %) Verifica in cinque città *L'appartamento in centro è di tipo «civile»
(categoria catastale tra A/2 e A3 di classe "alta"), quello in periferia è di tipo «economico» (in questa tipologia
si pùò riconoscere la gran parte della categoria catastale A/3) Fonte: Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su
dati Omi-agenzia delle Entrate MILANO 2012 4.400 6.000 2014 4.300 5.900 -2,3% -1,7% Centro Minimo
Variazione % Massimo 2013 1.750 2.400 2014 2.150 2.400 +22,9% 0 Periferia BOLOGNA 2012 3.000 3.600
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Immobili
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
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2014 2.700 3.600 -10,0% 0 2012 1.900 2.600 2014 1.800 2.250 -5,3% -13,5% ROMA 2012 6.400 8.700 2014
5.400 7.600 -15,6% -12,6% 2012 2.350 3.400 2014 2.200 3.100 -6,4% -8,8% NAPOLI 2012 4.200 6.400
2014 3.800 5.700 -12,5% -14,3% 2012 1.600 2.450 2014 1.400 2.100 -12,5% -14,3% PALERMO 2012 1.450
2.050 2014 1.300 1.800 -10,3% -12,2% 2012 1.000 1.300 2014 900 1.150 -10,0% -11,5% I valori medi di
mercato registrati dall'Omi per due tipologie di appartamenti* in stato di conservazione medio nelle principali
città italiane, e la differenza registrata tra il 2012 e il 2014 - Valori in euro al metro quadrato
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
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Tasse retroattive: in tre anni conto da 10 miliardi di euro
Dal 2011 al Ddl di stabilità boom di imposte per il passato e maxi-acconti
Dell'Oste e Parente
Arriva a 10 miliardi di euro il conto del "Fisco retroattivo", contando le imposte con effetto per il passato e i
maxi-acconti dal 2011 a oggi. Complessivamente, le violazioni del principio di non retroattività dello Statuto
del contribuente sono 86 dal 2000, limitando il conteggio a quelle espresse.
Il record in termini di maggiori imposte retroattive spetta alla manovra salva-Italia del 2011, mentre negli ultimi
due anni si è affermata la tendenza a chiedere ai contribuenti super-acconti o ad anticipare i versamenti
previsti su più anni. Ma non mancano le norme retroattive pro contribuente, come la deducibilità dell'Imu sui
fabbricati strumentali.
pagina 5
Valgono più di 10 miliardi le imposte retroattive e i maxi-acconti chiesti agli italiani negli ultimi tre anni, dal
decreto salva-Italia del 2011 al Ddl di stabilità per l'anno prossimo. Tasse decise oggi, ma pagate "da ieri". E
sì che lo Statuto del contribuente vieta (o, meglio, vieterebbe) l'introduzione di imposte con effetto retroattivo.
Ma lo Statuto è, per l'appunto, una legge ordinaria, e come tale può essere superato senza conseguenze da
altre leggi o decreti legge: cosa che negli ultimi quattordici anni è successa 86 volte, solo contando le
deroghe esplicite, cioè quelle che mettono nero su bianco l'eccezione.
Ad esempio, nel Ddl di stabilità che il Parlamento dovrà approvare entro fine anno c'è l'aumento dall'11,5% al
20% della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione, con effetti fiscali in parte già dal 1° gennaio 2014, e
un vantaggio per l'Erario di 450 milioni di euro annui. Nello stesso Ddl, però, ci sono anche l'incremento del
prelievo sui dividendi incassati da fondazioni e trust, e - soprattutto - il ritocco dell'aliquota base Irap. Un
intervento, quest'ultimo, che di fatto cancella lo sconto deciso con il decreto sugli 80 euro, ma che va letto
insieme all'abolizione del prelievo sulla componente lavoro a partire dall'anno d'imposta 2015.
Gli «anticipi»
Se si allarga un po' la prospettiva, si vede che nei primi anni dopo l'emanazione dello Statuto, erano più
frequenti le deroghe "procedurali" o comunque legate ai termini di accertamento e riscossione, o ai criteri di
calcolo dell'imponibile. Negli ultimi anni, invece, l'urgenza di far quadrare i conti pubblici ha aumentato le
imposte retroattive vere e proprie. Non a caso, il record spetta al salva-Italia del premier Mario Monti, che
prevedeva tra l'altro 2,2 miliardi in più di addizionale regionale Irpef per l'anno d'imposta 2011.
Ma c'è un altro trend recente: non solo nuove imposte decise per il passato, ma anche acconti maggiorati,
per così dire a titolo di "anticipo". Nel 2013, mettendo insieme i maxi-versamenti per le banche e le imprese,
lo Stato ha incassato quasi 3,7 miliardi di competenza degli anni d'imposta successivi. Creando un flusso di
minori introiti che è già visibile dalle ultime statistiche sulle entrate tributarie e con cui bisognerà fare i conti.
Ed è appena il caso di notare quanto i maggiori incassi del 2013 si avvicinino ai 4 miliardi mancanti per
l'abolizione dell'Imu sull'abitazione principale.
Quest'anno la tendenza si è attenuata, ma non è sparita, come dimostra la decisione di riscuotere nel 2014
tutti i 600 milioni di euro dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d'impresa. Tributo che invece la
legge di stabilità votata un anno fa dal Parlamento spalmava su tre esercizi.
I (pochi) sconti
Tra le norme retroattive non mancano quelle favorevoli ai contribuenti, anche se sono in minoranza: 16 su 86.
Di queste, però, 13 sono state approvate o proposte quest'anno. Merito di alcune agevolazioni, come
l'abbassamento al 10% dell'aliquota della cedolare secca sui contratti a canone concordato, la deducibilità
parziale dell'Imu sui fabbricati strumentali o il bonus per la ristrutturazione degli alberghi (peraltro ancora in
attesa dei provvedimenti attuativi). Nella lista, invece, non è compreso il bonus Irpef da 80 euro, che è
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Dall'entrata in vigore dello Statuto del contribuente sono 86 le deroghe esplicite, 16 a favore di cittadini e
imprese
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
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scattato sì nel 2014, ma dopo il varo del decreto legge.
Altre norme pro-contribuente sono quelle taglia-adempimenti contenute nel decret0 semplificazioni:
dall'innalzamento a 10mila euro della soglia per le comunicazioni black-list fino al prolungamento da tre a
cinque anni del periodo da monitorare per stabilire se una società in perdita è "di comodo". Il decreto, però,
non è ancora in vigore. E il rischio è che cancellare o modificare un adempimento a novembre, ma con
efficacia dal 1° gennaio, possa creare più problemi di quanti ne risolva.
.@c_delloste
.@par_gio
© RIPRODUZIONE RISERVATA Cristiano Dell'Oste
Giovanni Parente L'impatto -1.000 -500 0 500 1.000 1.500 2.000 2.500 3.000 3.500 4.000 4.500 5.000 5.500
6.000 6.500 1.235,7 2014 610,8 2013 83,9 2012 4.154,5 2011 3.698,1 2013 607,6 2014 -12,3 2013 -794,6
2014 Agevolazioni -806,9 Anticipi di imposta 4.305,7 Maggiori imposte 6.084,9 Il gettito annuo delle imposte,
degli anticipi d'acconto e delle agevolazioni introdotte a partire dalla manovra salva-Italia, secondo le relazioni
tecniche. Dati in milioni di euro Il trend Le deroghe esplicite al divieto di norme retroattive e i contenuti A
favore del contribuente Anticipo di versamento Accertamento e riscossione Nuove o maggiori imposte
Calcolo della base imponibile 2014 23 4 4 13 2 2013 11 2 6 2 1 2012 4 2 1 1 2011 10 4 1 5 2010 2 1 1 2009 0
2008 5 1 4 2007 8 1 1 4 2 2006 5 4 1 2005 2 2 2004 3 2 1 2003 4 1 3 2002 7 4 3 2001 1 1 2000 1 1
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Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Private equity: raddoppiano le operazioni e l'Italia torna a far gola ai fondi
esteri
Chiara Bussi
Chiara Bussi pagina 17
«L'Italia è un Paese interessante con un tessuto imprenditoriale diversificato e un mercato con forti
potenzialità». A parlare è Thomas Kermorgant, managing director per il Sud Europa del fondo americano
Cobe Capital, che a gennaio ha acquistato da Marazzi lo storico marchio di sanitari abruzzese Hatria, allora
in difficoltà. «I punti di forza di questa azienda - spiega Kermorgant, che ricopre anche il ruolo di presidente di
Hatria - erano uno stabilimento all'avanguardia e la qualità del prodotto. La produzione è ripartita a febbraio e
lavoriamo a pieno ritmo». Ora, aggiunge Kermorgant, «puntiamo a rilanciare la rete di distribuzione per
raddoppiare la quota di mercato, in Italia e all'estero. Il nostro non è un investimento puramente finanziario,
ma di tipo industriale di lungo periodo» .
Lo shopping di Cobe Capital non è un caso isolato. Le imprese italiane tornano a far gola ai fondi di private
equity internazionali: nel primo semestre di quest'anno sono stati realizzate 19 operazioni rispetto ai 9 dello
stesso periodo del 2013. Un esborso totale di 1,037 miliardi, circa il 60% in più se confrontato con i primi sei
mesi del 2013. Tanto che oltre la metà degli investimenti (il 55%) porta una bandiera internazionale. Lo
dimostra la fotografia scattata dall'Aifi (l'Associazione italiana del private equity e del venture capital).
«I dati - spiega il direttore generale Anna Gervasoni - sono il riflesso di una ritrovata stabilità del nostro
Paese. I timori di un rischio Europa e di un'emergenza Italia all'interno dell'area euro sono stati fugati, anche
grazie agli sforzi del governo e delle associazioni di categoria che hanno saputo creato un habitat più
favorevole per gli investimenti». I livelli attuali non sono ancora quelli di prima della crisi, ma l'inversione di
tendenza è iniziata. «Gli advisor hanno numerosi progetti sul tavolo e questo ci fa ben sperare in una
riconferma del trend anche nella seconda parte dell'anno».
A sorpresa la maggioranza dei fondi internazionali che hanno scommesso sul nostro Paese (il 63%) non ha
sede in Italia. La classifica della provenienza vede in testa la Francia (7), seguita dagli Usa (5) e dalla Gran
Bretagna (3). Le prede più appetibili sono i "gioiellini" del Made in Italy, con prodotti e competenze da
proiettare sul mercato globale o con una presenza già consolidata all'estero. In prevalenza aziende del Nord,
con Emilia-Romagna e Lombardia in testa, nei settori del lusso, dell'alimentare o della meccanica. Come
Versace, dove il fondo Blackstone ha fatto il suo ingresso con una quota del 20 per cento. O la griffe veneta
Forall-Pal Zileri che ha aperto le porte a Mayhoola, veicolo di investimento dei reali del Qatar, oggi
proprietario del 65 per cento. Ma anche gli ingredienti per il gelato di Optima Mec3 finiti nel radar di Riverside
Company. O Fabbri Vignola, specializzata nella produzione di macchine e film per il packaging alimentare,
che ha allargato il suo azionariato al fondo americano Lincolnshire.
Pezzi di Italia che se ne vanno o opportunità di crescita? «Se il quartier generale resta nel nostro Paese spiega Gervasoni - le imprese italiane non perdono competenze. Anzi, l'ingresso di un fondo nel capitale
rappresenta un'occasione per crescere e valorizzare il marchio».
Se il nostro Paese riconquista appeal, più in salita appare invece oggi lo shopping dei fondi di private equity
con bandiera tricolore a livello europeo. Al contrario degli altri big, l'Italia non ha infatti ancora recepito la
direttiva Aifm (Alternative investment fund managers) che punta ad armonizzare le regole dei gestori di fondi
alternativi, tra i quali rientrano anche quelli di private equity e di venture capital. Il termine fissato da Bruxelles
per adeguarsi era il 22 luglio. Oggi i fondi italiani che vogliono operare all'estero non hanno perciò il
necessario passaporto europeo. Una situazione che secondo l'Aifi pone gli operatori italiani in condizioni di
«svantaggio competitivo».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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INVESTIMENTI
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte: Aifi-Pwc e Pem IL TREND SEMESTRALE DEGLI INVESTIMENTI DI
FONDI ESTERI IN ITALIA Ammontare investito (in milioni) e peso percentuale sul mercato Numero di
investimenti e percentuale sul totale I semestre 2012 164 19% 9 (6%) I semestre 2013 661 47% 9 (6%) I
semestre 2014 1.037 55% 19 (14%) L'IDENTIKIT DEGLI OPERATORI Distribuzione del numero di
investimenti realizzati dagli operatori internazionali % SUL TOTALE DEGLI OPERATORI INTERNAZIONALI
15 63 63 2012 2013 I sem 2014 % SUL TOTALE DEGLI OPERATORI INTERNAZIONALI 85 38 37 2012
2013 I sem 2014 FONDI CON SEDE IN ITALIA 17 9 7 2012 2013 I sem 2014 FONDI SENZA SEDE IN
ITALIA 3 15 12 2012 2013 I sem 2014 LA PROVENIENZA L'IDENTIKIT DELLE PREDE I settori di
appartenenza Beni di consumo 44% Prodotti industriali 30% Cibi e bevande 9% Ict 9% Salute 4% Trasporti
4% Francia 7 Usa 5 Gran Bretagna 3 Germania 2 Altri Paesi Ue 1 Asia 1 La fotografia Il trend degli
investimenti, l'identikit degli investitori e delle "prede"
08/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Deficit, dubbi della Ue sulle promesse italiane
Nelle previsioni d'autunno la Commissione europea ritiene che nel 2015 il nostro Paese non riuscirà a ridurre
il disavanzo strutturale di 4,5 miliardi, come si è impegnato a fare Padoan nella lettera a Katainen, ma che si
limiterà ad abbassarlo soltanto di 1,5 miliardi Il verdetto sui conti di Italia e Francia slitta a fine mese. Scontro
sulla crescita potenziale
ROBERTO PETRINI
ROMA. «Tutto normale, contatti di routine», dice Pier Carlo Padoan in occasione dell'Eurogruppo. Mentre
Renzi continua ad incrociare le spade con Juncker. Ma in realtà la questione che è emersa negli ultimi giorni
sui conti pubblici italiani rischia di trasformarsi in una ennesima grana e acuire la tensioni tra Roma e
Bruxelles. Le ultime valutazioni di autunno della Commissione, pubblicate martedì scorso, se guardate con
attenzione, fanno emergere che il rafforzamento dell'ultima ora di 4,5 miliardi varato da Padoan il 27 ottobre
in risposta ai rilievi dell'allora commissario agli Affari monetari Katainen, non è servito a molto. Il megaassegno, pari allo 0,3 per cento del Pil, firmato dal nostro ministro dell'Economia, è stato considerato
praticamente «a vuoto».
Come si ricorderà infatti il contrasto tra Roma e Bruxelles verteva sull'intervento sul deficit strutturale: l'Italia
si era presentata con una correzione dello 0,1 per cento (1,5 miliardi) ma la Commissione voleva almeno lo
0,5 (circa 7,5 miliardi). Alla fine Renzi e Padoan dovettero cedere a Bruxelles chiudendo con un intervento
dello 0,3 del Pil, i famosi 4,5 miliardi fatti con stretta all'evasione, fondi europei e rinuncia alla riduzione delle
tasse. L'emendamento alla "Stabilità" è stato formalizzato ieri.
La «correzione», secondo le previsioni italiane, avrebbe dovuto ridurre il deficit-Pil strutturale, quello che
conta ai fini del raggiungimento del pareggio di bilancio dopo la firma del Fiscal Compact: dallo 0,9 per cento
contestato da Bruxelles si sarebbe scesi allo 0,6 per cento come cifrato dalla «Relazione di variazione alla
nota di aggiornamento al Def» del 28 ottobre. L'intervento avrebbe avuto effetto anche sulla variabile
tradizionale di Maastricht: dal 2,9 previsto in settembre al 2,6 post-rafforzamento stimato dal governo.
Invece, con un certo stupore emerso tra i palazzi del governo, le previsioni della Commissione hanno
ritenuto che l'intervento da 4,5 miliardi abbia avuto effetto sulla riduzione del deficit-Maastricht anche se la
discesa viene cifrata al 2,7 (non al 2,6 come sperava il governo). Ma non ha avuto effetto sul deficit strutturale
che dallo 0,9 proposto a settembre dall'Italia scenderà per Bruxelles solo dello 0,1 per cento del Pil
attestandosi nel 2015 allo 0,8 (e non allo 0,6 come contava Roma). Questa valutazione si abbatte sulla
variabile cruciale che dobbiamo portare a zero nel 2017, dopo aver chiesto il rinvio di due anni del pareggio di
bilancio, e anche il giudizio sulla legge di Stabilità potrebbe risentirne: segnali di strada in salita per Italia e
Francia sono giunti ieri dal presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem che ha annunciato lo slittamento del
verdettoa fine mese.
Perché lo sforzo sul «3 per cento di Maastricht» non transita sul deficit «al netto della congiuntura del Fiscal
compact»? Il tema è stato posto dal Tesoro italiano da settimane: è stato sollevato dal Cer, oggetto di
osservazioni dell'Upb e di un articolo della voce.infoa firma Cottarelli (Fmi) e Giammusso (Tesoro). Il
problema è di modelli economici: la Commissione pensa che l'Italia non abbia le potenzialità per crescere più
di tanto e dunque, visto che il deficit viene depurato dalla mancata crescita rispetto a quella possibile, lo
«sconto» si riduce.
L'Italia invece la vede in modo diametralmente opposto. Italia-Europa, scontro sulle stime del deÞcit 2,9%
0,9% 0,1 Documento Obiettivo iniziale governo DeÞcit-Pil Nota di aggiornamento al Def del 30 set 2014
DeÞcit-Pil strutturale (al netto della congiuntura) Entità correzione in % 1,5 2,6% 0,6% 0,3 Nuovo obiettivo del
governo dopo rilievi Ue Relazione di variazione alla Nota di aggiornamento del 28 ott 2014 4,5 2,7% 0,8% 0,1
Valutazione della Commissione Europea Previsioni di autunno della Commissione 4 nov 2014 1,5 miliardi
miliardi miliardi Entità della correzione in miliardi PER SAPERNE DI PIÙ www.tesoro.it ec.europa.eu
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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I conti pubblici
08/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 13
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Foto: IL CARTEGGIO Pier Carlo Padoan e Jyrki Katainen. Ai rilievi Ue aveva risposto il ministro con
l'impegno a tagliare il deficit strutturale di 4,5 miliardi
08/11/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Patuano: "Telecom accelera su investimenti e occupazione con il Jobs Act
4mila assunti"
L'ad del gruppo delle tlc: la rete ultraveloce crescerà così Siamo interessati a Metroweb e ad accordi con
Mediaset Premium
GIOVANNI PONS
MILANO. Telecom Italia cerca di cambiare marcia dopo sei anni passati a ridurre il debito e con turbolenze
nell'azionariato che porteranno, a breve, il gruppo francese Vivendi a sostituire gli spagnoli di Telefònica.
Dottor Patuano, la rete di nuova generazione rappresenta un importante fattore di sviluppo dell'economia e la
principale rete del paese è di proprietà di Telecom. Siete in grado di dirottare sufficienti risorse su questo
asset? «In un mercato che premia il "value for money" e la variabile prezzo non conta più come prima, gli
operatori leader come noi devono accelerare gli investimenti in tecnologie per migliorare la qualità delle reti
mobile e fissa e dare agli utenti servizi veloci e affidabili. Siamo a buon punto, possiamo vincere la sfida».
Qualche anno fa dicevate che era inutile creare una rete superveloce se non esiste una domanda adeguata.
Oggi la situazione è cambiata? «In effetti la domanda di fibra sta superando le nostre aspettative.
Oggi abbiamo coperto il 27% della popolazione e molti clienti iniziano dal mobile e poi chiedono anche il
fisso per usufruire degli stessi servizi in casa e fuori. In questa ottica i pacchetti di offerte convergenti stanno
funzionando molto bene, ma non ho timoria dire che bisogna fare di più».
Vuol dire che il piano di investimenti di Telecom oggi è inadeguato? «Con il piano industriale 20142016 si
prevede di coprire più del 50% della popolazione con l'ultrabroadband a fine periodo. Ma bisogna spingere
sull'acceleratore, a gennaio 2015 daremo i nuovi numeri per i due anni successivi che prevedono maggiori
sforzi sulla rete fissa in modo che gli obbiettivi fissati dall'Agenda digitale per il 2020 diventino molto più
credibili».
Intanto, dai dati sui nove mesi, risulta che gli investimenti nel 2014 nell'area Domestic sono scesi di 233
milioni rispetto al 2013. Come si spiega? «C'è un fattore tecnico alla base della diminuzione,e riguarda il
modo di contabilizzare l'acquisto a rate dei terminali, che da quest'anno non sono più investimenti ma costi da
spesare nell'anno. Comunque i risparmi ottenuti sugli investimenti tradizionali sono stati dirottati sullo sviluppo
delle reti LTE e in fibra, che hanno registrato 102 milioni di investimenti in più rispetto al 2013». Il vostro
interessamento per una quota azionaria di Metroweb rientra in questa strategia di accelerazione?
«L'accelerazione degli investimenti riguarda due livelli, uno di copertura del territorio e un secondo, verticale,
di miglioramento ulteriore della rete con nuove tecnologie. In questo secondo campo le soluzioni di Metroweb
a Milano sono interessanti, con la fibra che arriva alla base delle abitazioni e poi sale sfruttando il cavo di
rame esistente. Con le nuove tecnologie in questo modo si può arrivare a portare 500 Mega a casa dei clienti
più esigenti». Ma il fondo F2I non ha ancora deciso se vendere il suo 53,8% di Metroweb Italia e anche
Vodafone si è dichiarata interessata. Pensate di farcela? «Non siamo ancora nella fase operativa, diamo
tempo al nuovo capo azienda di insediarsi e poi ci parleremo. Il nostro interesse è concreto nella
consapevolezza di dover garantire equality di accesso a tutti gli operatori».
Lei ritiene finiti i tempi della "guerra dei prezzi". Ma i ricavi di Telecom nel mobile e nel fisso continuano a
diminuire.
«Nel mobile veniamo da un meno 13-14% dei ricavi nei primi due trimestri mentre nel terzo siamo a meno
7%, con un ulteriore miglioramento previsto nel quarto. Nel broadband i ricavi sono tornati a crescere del 3%,
mentre sono ancora in sofferenza quelli da clienti che usano il fisso solo per telefonare.
Dovremo convincerli a utilizzare anche qualche servizio in più».
Tuttavia i concorrenti Wind e 3 non pare abbiano alcuna intenzione di ammorbidire la guerra dei prezzi.
Come risponderà Telecom? «Il mercato si sta bipolarizzando: Telecom e Vodafone hanno scelto di investire
pesantemente in nuove tecnologie e oggi sono ricompensati dalla clientela che è disposta a pagare di più per
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Intervista
08/11/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
avere un servizio migliore. Il reale stato di salute degli operatori si misura dal livello degli investimenti e non
dall'aggressività sui prezzi».
Ma se il mercato si consolidasse, con tre operatori nel mobile invece che quattro, voi ne beneficereste?
«Siamo contenti così, non abbiamo intenzione di cambiare il nostro perimetro di business».
Il Jobs Act di Renzi ha un impatto su Telecom? «Se questi provvedimenti verranno approvati definitivamente
Telecom potrebbe assumere fino a 4 mila persone in più. Le nuove regole ci permetterebbero di procedere
con il ricambio generazionale in azienda senza un sistema rigido di ammortizzatori pensato in ottica difensiva.
Siamo molto favorevoli alla flessibilità in entrata».
Dopo l'accordo con Sky sulla distribuzione della pay tv ne farete uno anche con Mediaset Premium? «La
nostra strategia è quella di fare accordi ad ampio spettro, senza esclusiva, per poter utilizzare le competenze
di altri sui palinsesti da poter veicolare sulle nostre infrastrutture. Mediaset Premium rappresenta
un'alternativa in termini di contenuti di qualità e siamo interessati a parlare con loro».
Lo stesso discorso lo potrete intavolare con Vivendi quando diventerà socio di Telecom? «L'uscita di
Telefonica pone fine a una stagione di sovrapposizione di interessi in Brasile che rappresentava un elemento
di speculazione sui mercati. Con Vivendi ne parleremo quando entreranno, posso solo dire che la strategia di
convergenza tra rete e contenuti presuppone che questi ultimi siano in lingua italiana».
In Brasile state accelerando in direzione di Oi. Qual è la vostra strategia dopo la mancata acquisizione di
Gvt? «Non abbiamo paura di restare single. Stiamo costruendo reti mobili con un aumento degli investimenti,
abbiamo comprato nuove frequenze e tra poco venderemo le torri di trasmissione. Le possibilità di
aggregazione le guardiamo ma senza fretta, quella con Oi penso sia obbligatorio esplorarla nel rispetto della
creazione di valore per gli azionisti. Mentre per sederci al tavolo ed analizzare eventuali proposte per Tim
Brasil il prerequisito è che l'offerta soddisfi la domanda».
"LA DOMANDA
Gli italiani ci chiedono l'Internet rapido in casa e fuori. È l'ora di di rispondere alle aspettative
"IL BRASILE
L'intesa con Oi è una possibilità da esplorare. Per vendere la nostra società l'offerta dev'essere
congrua
Foto: "AL COMANDO Marco Patuano, classe 1964, nato ad Alessandria, è l'ad di Telecom
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Statali, 100mila in piazza "Ora sciopero generale" Camusso: sì al
referendum della Lega sulla Fornero
LUISA GRION
ALLE PAGINE 10 E 11 Statali, 100mila in piazza "Ora sciopero generale" Camusso: sì al referendum della
Lega sulla Fornero LUISA GRION ROMA. C'erano quelli del 118 che sfilavano dietro a cartelli «ventisei anni
di servizio e 1.230 euro al mese», e gli infermieri degli ospedali pubblici da «1.350 euro, ma i ferri in sala
operatoria li preparo io». C'erano le maestre che portavano a spalla una bara di cartone - «la scuola è morta»
- e un centinaio di vincitori di concorso pubblico ancora senza posto che marciavano compatti. Reggevano
lenzuola con sopra scritto «questo striscione è più lungo del mio contratto».
Quella che ieri ha riempito piazza del Popolo, a Roma, per protestare contro il governo Renzi era una
variegata platea di statali. «Sono arrivati in centomila, ne aspettavamo la metà» dicono gli organizzatori che
questa volta hanno voluto a tutti cosi smantellare il clichè del «fannullone» o dell'impiegato di fantozziana
memoria, portando sul palco tutte le categorie del pubblico impiego. Dalla scuola alla ricerca, dai vigili del
fuco alla sanità, al terzo settore. Tutti uniti nello slogan il «pubblico6tu».
Molti posti fissi e altrettanti precari: una piazza ad un passo dallo sciopero generale.
Evocato, pur se con toni diversi, da tuttie tre i leader sindacali: la Camusso per la Cgil, la Furlan per la Cisl,
Barbagallo per la Uil. Tre sigle questa volta unite per protestare contro il mancato rinnovo dei contratti (da sei
anni le buste paga sono ferme e la legge di stabilità le ha bloccate anche per il 2015) il taglio alla spesa in
servizi, l'assenza di concertazione sulle riforme del settore. La Camusso, per essere chiara, indossava una
maglietta rossa con sopra scritto: «Arrogance, profumo di premier».
Mentre parlando all'inaugurazione della variante di valico sull'Appennino toscano Renzi invitava «a non
cedere alla cultura del piagnisteo perché l'Italia può uscire dal tunnel», da Roma arrivava il messaggio: «la
palla è al governo che deve dare le risposte» e «senza risposte sarà sciopero». Più morbida Anna Maria
Furlan che pur avvertendo che «per fare le riforme non bastano due slide», spera che il successo della
manifestazione «serva a sturare le orecchie al governo». Più decisi Carmelo Barbagallo, segretario generale
aggiunto della Uil («siamo stanchi di aspettare, sarà sciopero generale e lo faremo assieme ai privati») e
Susanna Camusso. «Smettetela di fare i dilettanti allo sbaraglio» ha detto all'esecutivo la leader della Cgil
«non si può trattare la pubblica amministrazione come se non fosse il perno dei servizi e delle risposte».
«Renzi inviti la sua ministra a smetterla di dire che i lavoratori pubblici sono dei privilegiati» ha continuato.E
riferendosi al Jobs act, il premier «la smetta di dividere i lavoratori e di dividerli verso il basso: il lavoro è la
libertà delle persone e i diritti non si tolgono, si estendono».
Dal palco si è parlato ad una piazza piena di precari «che sono figli di nessuno» e di lavoratori del terzo
settore che coprono le esternalizzazioni di servizio «pagando il prezzo degli appalti al massimo ribasso»:
nuove versioni di un lavoro pubblico che i tagli alla spesa hanno cambiato. Si è preso distacco dalla politica
(«la prima riforma da fare è eliminarla dalle nomine della pubblica amministrazione» ha detto Camusso). In
corteo questa volta c'era solo Stefano Fassina, Pd di minoranza e la stessa Cgil ha messo in chiaro che per
raggiungere gli obiettivi, il sindacato si può andare oltre agli steccati. «Se la Corte Costituzionale lo approverà
saremo pronti a votare il referendum della Lega per l'abolizione della legge Fornero» ha detto la Camusso.
Per sciogliere ogni dubbio il leader della Fiom, Maurizio Landini, anche lui in corteo con gli statali ha
precisato: «Io non mi faccio rappresentare dalla direzione del Pd. Il governo deve discutere con chi
rappresentai lavoratorie deve togliere dal tavolo l'articolo 18».
BARBAGALLO Carmelo Barbagallo segretario generale aggiunto della Uil che nell'imminente congresso
prenderà il posto di Luigi Angeletti FURLAN Annamaria Furlan ha partecipato alla sua prima manifestazione
da segretario della Cisl a un mese dalla nomina CAMUSSO Susanna Camusso, segretario generale della
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LA MANIFESTAZIONE
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Cgil dal 2010, ieri ha chiuso la manifestazione degli statali svoltasi a Roma I SEGRETARI
PER SAPERNE DI PIÙ www.cgil.it www.funzionepubblica.gov.it
Foto: Camusso in t-shirt
Foto: MAGLIETTA E SPILLA ANTI-RENZI Susanna Camusso ieri ha indossato la maglietta con la scritta
"Arrogance, profumo di Premier" e la spilla con un gettone telefonico che Renzi aveva paragonato all'articolo
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L'Ente di assistenza al volo dovrà versare 300 milioni nonostante il no del Parlamento I pretendenti si sono
già fatti avanti ma la vendita è destinata a slittare al prossimo anno
ETTORE LIVINI MILANO.
Azzoppata, spremuta e poi (forse) privatizzata. La telenovela dell'Enav è già entrata di diritto nella ricca storia
dei "pasticciacci" delle dismissioni di stato tricolori. Alla voce harakiri, visto che alla fine - more solito - l'Italia
rischia di fare del male a se stessa. I fatti: il 16 maggio scorso il Tesoro annuncia la decisione di vendere il
49% della società che gestisce il controllo del traffico aereo del nostro paese. Collocandola in Borsa o
girando la quota direttamente ai privati. La cessione non dovrebbe essere un problema. La società,
dimenticati un po' di scandali del passato, è diventata un piccolo gioiello ad alto contenuto tecnologico.
Fattura 800 milioni circa, ha chiuso il 2013 con 50 milioni di utile (un record, di cui 31 girati come dividendo al
Tesoro). Sotto la guida dell'ad Massimo Garbini ha iniziato a diversificare e ad espandersi all'estero vincendo
le gare per gestire l'aviazione civile nel nuovo aeroporto di Kuala Lumpur, per ridisegnare lo spazio aereo del
Dubai e per mettere a punto con Telespazio il Gps made in Europe.
I pretendenti, come ovvio quando la merce sugli scaffali è buona, non mancano. F2i fa sapere di aver già
acceso un faro sul dossier, in via XX settembre bussano un po' di fondi Usa.E gli analisti calcolano in 2
miliardi circa il valore dell'Enav. Come dire che con un'operazione gestita bene lo Stato potrebbe portarsi a
casa un miliardo di cui le casse pubbliche hanno bisogno come il pane.
Tutto bene? Mica tanto. L'ufficio complicazioni affari semplici - che in Italia non chiude mai - ha deciso di
metterci lo zampino. Iniziando dalla nomina del nuovo cda che spetta di diritto al Tesoro che ha il 100% delle
azioni. La prima assemblea per dare il nuovo consiglio al gruppo, un passo necessario per stabilizzarne il
controllo in vista della vendita, è stata convocata il 26 di maggio. Ma è stata subito fumata nera. E da lì, per
motivi inspiegabili, è partito il cinema: la seconda convocazione dei soci (uno solo) del 12 giugno è andata
deserta, come quella del 26 dello stesso mese, dell'8 e del 22 luglio. Il 5 agosto per obbligo di legge è stato
approvato il bilancio senza nominare il nuovo consiglio. Il 18 settembre l'ennesima assemblea si chiude con
un rinvio finchè qualcuno, stando alle indiscrezioni, fa presente che senza un abbozzo di nuovo consiglio causa le norme del codice civile - si rischia di spedire il gioiello di stato in mano a un Commissario. Detto
fatto. Il giorno dopo per miracolo il Tesoro nomina un consiglio dimezzato (tre membri, due tecnici dei
ministeri e un legale) mentre Garbini, senza la conferma, fa le valigie e lascia l'azienda acefala.
I potenziali acquirenti assistono esterefatti a questo balletto, mentre la vendita, intanto, inizia a slittare verso
il 2015.
C'è però un ulteriore problema: i conti della legge di Stabilità faticano a tornare. Il governo ha bisogno di
soldi. E dal cilindro esce il coniglio del dividendo straordinario dell'Enav. Il Tesoro vuole abbattere il capitale
della società di 300 milioni (il gruppo, sano, ha debiti per solo 80 milioni e un patrimonio di 1,2 miliardi) per poi
farsi girare il cedolone. L'emendamento appiccicato in fretta e furia allo Sblocca-Italia viene bocciato.
Ma pochi giorni fa ai vertici del gruppo è arrivata una letterina del socio che chiede di dare il via libera lo
stesso all'operazione. Niente di male, per carità. In fondo in passato diverse aziende pubbliche (Adr e
Autostrade, per fare un esempio) sono state spremute delle riserve nel capitale dai soci privati dopo la
privatizzazione. Resta il fatto che la vendita dell'Enav è ancora al palo, la società - che opera in un settore
delicato e strategico - è senza guida da mesi («Auspico che il governo le dia una guida stabile», ha ribadito
Garbini) e l'idea dell'abbattimento di capitale sa tanto di espediente per recuperare un po' di spiccioli per lo
Stato. Non proprio il viatico ideale per facilitare la privatizzazione della società e per far rialzare le quotazioni
dell'Italia sul fronte della dismissione dei beni di Stato.
Foto: IL MINISTRO Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia
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Enav senza vertici e assegno al Tesoro la privatizzazione finisce nel caos
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Foto: IL VALORE L'Enav è tra gli enti da privatizzare. L'incasso previsto potrebbe arrivare a un miliardo
secondo quanto stimato al momento della decisione di vendita della società di assistenza al volo
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Incubo correzione sulla manovra Katainen guida i falchi della Ue "Servono
3,3 miliardi rischio procedura"
ALBERTO D'ARGENIO
Incubo correzione sulla manovra Katainen guida i falchi della Ue "Servono 3,3 miliardi rischio procedura" A
PAGINA 9 ROMA. Sarà di nuovo scontro tra governoe Commissione europea.
E questa volta gli esiti del confronto potranno cambiare gli equilibri politici in Italia e tra Bruxelles e le capitali
della zona euro. Perché su Roma pende la minaccia di una nuova manovra correttiva e della pubblicazione di
un early warning sui conti pubblici, primo passo di una procedura per deficit eccessivo in base alla regola del
debito. Un durissimo uno due che la Commissione sta preparando per il 24 novembre.
Ma si negozia,e l'esito del dialogo interno alla squadra di Juncker e tra Bruxelles e Roma non è scontato. La
partita è aperta.
Lo scorso 29 ottobre la Commissione uscente, guidata da Barroso, aveva evitato di respingere la Legge di
Stabilità italiana perché non aveva ravvisato palesi violazioni delle regole Ue. Ma per scampare la bocciatura
Renzi aveva negoziato una correzione di 3,3 miliardi del deficit strutturale - un successo visto che sulla carta
avrebbe dovuto fare più del doppio - con la quale credeva di essersi messo al riparo da sorprese future. Ma
non è così.
Ora la palla è passata al nuovo esecutivo comunitario, quello di Juncker. Che il 24 novembre si esprimerà
sulle manovre di tutti i paesi dell'eurozona. E in queste ore per l'Italia si parla di imporre una ulteriore
correzione, altri 3,3 miliardi, in modo da portare nel 2015 l'abbattimento del deficit strutturale (calcolato al
netto del ciclo economico) dallo 0,3% allo 0,5%. Richiesta che sarebbe motivata da un nuovo calcolo fatto dai
tecnici di Bruxelles alla luce delle previsioni economiche Ue della scorsa settimana. In sostanza, la correzione
messa fin qui in cantiere del deficit strutturale (diverso quello nominale, con l'Italia proprio sul filo del fatidico
3% di Maastricht) non impatterebbe sufficientemente sul debito, che continuerebbe a salire violando il Fiscal
Compact.
Uno schiaffo per l'Italia, al quale si potrebbe aggiungere un altro, durissimo, colpo: la pubblicazione
contestuale di un rapporto scritto in base all'articolo 126.3 del Trattato di Lisbona. Tradotto, un early warning
sui conti, il primo step di una procedura per deficit eccessivo per la regola del debito che non sarebbe ancora
operativa, ma che potrebbe partire in ogni istante con pesanti richieste di correzioni dei conti che per l'Italia
potrebbero non essere sostenibili dal punto di vista economico e politico. Non solo, la Commissione
accompagnerebbe il cartellino giallo con un programma sui tempi di approvazione delle riforme e sulla tenuta
del debito, che di fatto metterebbe le briglie al governo Renzi.
Questo scenario, confermato a Repubblica da fonti concordanti, preoccupa il governo. Ma anche in
Commissione non tutti sono d'accordo con un approccio così rigorista dettato dalla sfiducia che diversi
dirigenti europei hanno sulla capacità italiana di completare le riforme. A favore della linea dura, raccontano a
Bruxelles, ci sarebbero i due vicepresidenti con competenze economiche, il finlandese Katainen e il lettone
Dombrovskis, entrambi ex premier. Al momento resta sfumata la posizione del commissario agli Affari
economici Moscovici, sulla carta amico della flessibilità, mentre le speranze sono riposte in Juncker, che
sembra avere la volontà di non andare allo scontro con l'Italia ma che deve trovare una difficile quadra
politica all'interno della Commissione e con le capitali, Berlino in testa. In caso prevalesse la scelta di non
picchiare, il 24 novembre l'Italia riceverà solo una serie di osservazioni sulla manovra, ma Bruxelles
continuerà a tenere il fiato sul collo di Roma con un pressing più soft, magari con una serie di lettere informali
per pungolare il governo ad andare avanti sulle riforme. Ma poi a marzo e aprile ci sarebbe comunque la resa
dei conti, che Renzi e Padoan potrebbero però affrontare magari con diverse riforme approvare e dunque con
più argomenti per difendersi. Resterebbe comunque possibile, a gennaio, l'apertura di una procedura per
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L'ECONOMIA
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squilibri macroeconoimci, meno pesante di quella sul debito, ma comunque in grado di garantirea Bruxelles
un controllo sull'operato del governo e sulle riforme.
Dall'esito del confronto delle prossime due settimane si capiranno gli equilibri interni alla Commissione, con
Juncker che si è sempre detto a favore di un nuovo corso politico sull'economia, ma che poi ha piazzato
sopra alla "colomba" Moscovici due vicepresidenti come Katainene Dombrovskis. Sarà anche un nuovo test
europeo per Renzi, che nona caso nei prossimi giorni cercherà di rafforzare l'asse anti-austerity interno al
Partito socialista europeo con una tappa a Bucarest per sostenere il collega Victor Ponta al ballottaggio e
andando al congresso del Ps portoghese.
I PUNTI
LA PRIMA CORREZIONE La Commissione uscente di Barroso il governo ha concordato un taglio del deficit
strutturale di 3,3 miliardi
LA NUOVA CORREZIONE Il nuovo esecutivo Juncker potrebbe imporre un ulteriore sforzo da 3,3 miliardi per
rispettare il fiscal compact
IL DEBITO NON CALA La recessione e le mancate privatizzazioni terranno il rapporto debito/Pil sopra il
130% mancando il calo voluto dall'Ue
PER SAPERNE DI PIÙ www.mef.gov.it www.spi.cgil.it
Foto: Jyrki Katainen
Foto: LA TRATTATIVA Jean-Claude Juncker e Pier Carlo Padoan trattano sulla legge di Stabilità
10/11/2014
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Il lavoro che verrà
Addio postini, centralinisti e agricoltori: il futuro è di nanomedici, banchieri del tempo e informatici superspecializzati. La rivoluzione digitale sta cancellando negli Usa metà dei mestieri tradizionali. Ecco come
quest'onda lunga arriverà presto anche in Italia
ETTORE LIVINI
BANCHIERE del tempo. No, meglio nanomedico. Oppure, per amor di natura, agricoltore verticale. C'era una
volta l'Italia dove i bambini sognavano di fare i calciatori, le ballerine o i pompieri. C'era una volta perché oggi
quell'Italia e quel mondo non ci sono più.
La rivoluzione digitale sta cambiando i lavori del futuro a ritmi più rapidi di un corso di laurea. Azzeccare
quello giusto (nanomedici & C. sono scommesse del think-tank Fastfuture) è impresa da Mago Otelma. «Oggi
si studia in vista di professioni non ancora create, fatte con tecnologie da inventare per problemi che adesso
non conosciamo», riassume Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, la più importante banca dati dei
laureati in Italia, consultata da enti ed imprese. A guidare il cambiamento - più che medici o avvocati - sono
algoritmi, formule fisiche e nuvole informatiche. E l'America, locomotiva globale dell'hi-tech, ha deciso di
giocare tutte le sue carte sui campioni dello Stem - l'acronimo sta per science, technology, engineering e
math - le facoltà tecnico-scientifiche su cui la Casa Bianca ha concentrato i piani di incentivazione allo studio
(con 2,6 miliardi di investimenti solo nel 2014) e dove le iscrizioni negli ultimi anni sono cresciute del 48%.
Fabbriche di lavoro certo e ben remunerato, promette l'amministrazione Usa. Ma soprattutto il volano
educativo grazie a cui gli States contano di mantenere la loro leadership tecnologica nei prossimi decenni.
L'ERA DEGLI STEM Le classifiche, in questo caso, rischiano di sviare. Buona parte delle professioni che
creeranno più posti da oggi al 2022 - per l'invecchiamento e per la legge dei grandi numeri - sono legate alla
salute.
In testa alle graduatorie ufficiali del ministero del lavoro Usa ci sono gli infermieri per l'assistenza sanitaria a
domicilio. Brillano pure fisioterapisti e consulenti genetici, esplode (+53%) la domanda per psicologi aziendali.
E persino per i muratori (+43%), un omaggio alla concretezza della old economy , è previsto un inatteso
revival.
L'apparenza però inganna.
E la scommessa della Casa Bianca guarda a un dato d'insieme ben più significativo: «Il 27% del totale
dell'occupazione generata nei prossimi tre anni in America arriverà da discipline legate a scienza, tecnologia,
ingegneria o matematica», come calcola una ricerca della Economic Modelling society. Competenze
destinate a condizionare in modo pervasivo il lavoro di tutti, dagli infermieri in corsia fino ai carpentieri in
cantiere. Il 47% dei posti di lavoro negli States - calcola una ricerca dell'Università di Oxford - è a rischio
sostituzione con i computer. Cifra che in Europa (Fondazione Bruegel) sale al 50%. E la Stem-generation
sarà il carburante che darà un colpo d'acceleratore decisivo per colmare questo gap.
La rivoluzione è già iniziata e il boom delle iscrizioni è solo la punta dell'iceberg: i laureati tecnico-scientifici
trovano lavoro in metà tempo rispetto agli studenti di altre discipline e guadagnano da subito in media 65mila
dollari l'anno contro i 49mila degli altri corsi per il National Center for education statistics. Il tasso di crescita
dell'occupazione nei loro settori è al 17% contro la media nazionale del 9,8%.
L'80% dei laureati (dati Pew Research) dice di trovare lavori legati a filo doppio al corso di studi. E uno
studente straniero su tre che sceglie di iscriversi a un corso di laurea Usa - grazie ai piani di attrazione di
cervelli del governo - finisce inevitabilmente per occuparsi di scienza, tecnologia, ingegneria o matematica.
L'ESPERIENZA ITALIANA L'Italia, su questo fronte, viaggia con il freno a mano tirato ma non fa eccezione. I
dati dicono che dalle nostre parti, quanto a professioni con un futuro, vale ancora la regola dell'"usato sicuro":
nel 2013, a cinque anni dalla laurea il 96,7% dei medici (dati Almalaurea) aveva un posto, come il 91,9%
degli ingegneri e il 91% dei diplomati in economia.
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Classici del genere. Scontati come l'elenco delle Cenerentole: nella zona bassa della classifica arrancano
geo-biologi e reduci da facoltà letterarie. Soldi e occupazione, visto che piove sempre sul bagnato, vanno a
braccetto: un lustro dopo la tesi, un ingegnere guadagna 1.708 euro netti al mese in media, un medico 1.646
mentre chi ha in curriculum un cursus honorum umanista si deve accontentare di mille euro.
I piccoli germogli Stem nel nostro Paese - dove resistono le molte baronie a prova di tecnologie e dove la
disoccupazione giovanile è al 44% - si stanno però già confermando come promettenti fabbriche di lavoro.
«Noi siamo in piena occupazione a un anno dalla laurea - assicura Marco Taisch, delegato del Rettore al
Politecnico di Milano per il placement - Succede anche in settori come la computer science che sembravano
passati di moda». Lo stesso vale per il Politecnico di Torino e per i corsi ad alto contenuto innovativo che
stanno iniziando a spuntare lungo tutta la penisola.
TRA CONOSCENZE E COMPETENZE Il boom degli Stem e l'addio a postini, centralinisti, agricoltori e
stenografi - le professioni a rischio estinzione per l'Us Labour of statistics - non significa in assoluto il trionfo
dell'hi-tech e dei guru di Silicon Valley. Qualche Cassandra fuori dal coro sostiene che la spinta
dell'amministrazione Obama sugli Stem rischia di inondare il mercato del lavoro di troppa offerta da qua a
pochi anni. Molti economisti e accademici puntano invece il dito contro l'eccesso di specializzazione cui si sta
arrivando. «Il problema - dice persino un neo-keynesiano come il Nobel Ned Phelps - è non aumentare
indefinitivamente i laureati in discipline scientifiche». Padroneggiare algoritmi e data-flow non è tutto. Anzi. In
un mondo dove le tecnologie nascono e muoiono alla velocità della luce «la tecnica va puntellata con le soft
skills umanistiche e figlie di storia, filosofia e letteratura necessarie a sviluppare lo spirito critico e di iniziativa
necessari per gestire il cambiamento», aggiunge l'economista. «Oltre alle conoscenze, oggi servono le
competenze», ammette anche Cammelli. Capacità di far gruppo, di avere la mente aperta alla formazione
continua e al cambiamento.
Più che una virtù, una necessità. La generazione Erasmus sa benissimo che il lavoro del futuro, per sfuggire
all'etichetta facile di "bamboccioni" un po' "choosy" (copyright Elsa Fornero), devi inseguirlo all'estero o nelle
aree dove si fa davvero innovazione. Londra ha importato un milione di abitanti in dieci anni. Il 50% del
business alla Silicon Valley è generato da gente che non è nata e cresciuta lì. Ben 94mila giovani italiani - il
doppio dell'anno precedente - ha lasciato nel 2013 il Belpaese per cercare un posto oltrefrontiera.
Le università hi-tech si sono già adeguate. Inserendo accanto alle lezioni 100% Stem più tesine e lavori di
gruppo per sviluppare i soft skills degli studenti. E potenziando i master dove ormai il 50% dei partecipanti
sono persone che già lavorano e devono aggiornare conoscenze scientifiche invecchiate nel giro di una
breve stagione. La realtà, oggi, obbliga a un sano esercizio di pragmatismo. Altro che fantasticare di fare i
calciatori o i pompieri. L'unico sogno consentito ancora oggi, a non voler davvero tenere i piedi per terra, è
quello di fare gli astronauti. Il decollo dei voli orbitali privati - altra disciplina molto Stem - è già una realtà,
assicura il dipartimento al lavoro Usa. Il lavoro c'è. Basta cercarlo nello spazio.
I numeri
2,6
+48%
47%
80%
17%
40
65.000
3,8% milioni di dollari La cifra investita dall'amministrazione Obama per incentivare le iscrizioni a università
Stem L'aumento delle iscrizioni negli ultimi anni nelle università scientiÞche-informatiche L'aumento del tasso
di occupazione delle discipline Stem per il Dipartimento al commercio Usa, contro il 9,8 medio degli altri
mestieri giorni Il numero di posti di lavoro Usa a rischio sostituzione dai computer I laureati in area Stem che
trovano un lavoro legato al proprio corso di studi Il tempo medio impiegato da un'impresa negli States per
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trovare un dipendente con competenze Stem, il doppio della maggior parte delle altre aree dollari Il guadagno
annuo di un laureato Stem contro i 49.000 di uno in un'altra materia Tasso di disoccupazione tra i diplomati in
lauree del settore Stem
08/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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STEFANO LEPRI
Lo scontrino fiscale è destinato a scomparire così come la lettera è stata sostituita dall'e-mail. CONTINUA A
PAGINA 23 SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Solo l'emotività con cui in Italia si parla di tasse può far apparire
questa come una svolta epocale, o come una mossa politica con chissà quali sottintesi. Sarebbe più utile
ragionare su dove passi il confine tra inutili vessazioni burocratiche e ineliminabili doveri civili. La mentalità
nazionale è purtroppo incline a confondere. Abituati a subire vari comportamenti illegali altrui, ci inalberiamo
quando veniamo richiamati noi a rispettare le norme. A una diffusa inosservanza i poteri pubblici talvolta
reagiscono imponendo obblighi severissimi con il retropensiero che almeno forse ne sarà rispettata la metà.
Ma non aver chiaro quando occorra davvero rispettare le leggi e quando no è un tremendo fattore di
inefficienza. Come ha detto ieri il governatore della Banca d'Italia, le varie forme di illegalità, ovvero
criminalità organizzata, corruzione e evasione fiscale, portano ad usare male le risorse di cui disponiamo,
rendono difficile la collaborazione tra i cittadini; insomma frenano la crescita. Le tasse sono al centro del
dibattito politico, ed è giusto, dato che ne paghiamo tante (30%del prodotto lordo è la cifra esatta, più 13-14%
di contributi sociali che finanziano le pensioni). Ma occorre anche constatare che nei vent'anni da cui «meno
tasse» è diventato slogan elettorale vincente, il carico tributario è aumentato. In passato lo scontro è
avvenuto per linee di categoria (partite Iva contro lavoratori dipendenti) o tra schemi ideologici. L'attuale
governo sta ben attento a non ripetere questo copione. Prende anche atto dell'esperienza: passati tentativi di
incidere sull'evasione fiscale con strumenti repressivi hanno ottenuto successi di gettito ma sembrano esser
costati molti voti. Alcune promesse, come la semplificazione, e la stessa abolizione dello scontrino, non sono
però affatto nuove. Occorre guardare se novità vere appaiono nei provvedimenti. Nella manovra di bilancio
figurano ora ben 4,26miliardi di euro da recupero dell'evasione fiscale. E' una cifra enorme, che sulle prime è
stata giudicata donchisciottesca. In realtà il governo si affida per la gran parte a una norma concreta e
sensata, far versare l'Iva da chi compra e non da chi vende, se a comprare sono lo Stato oppure la grande
distribuzione commerciale. Un recupero di gettito evaso (dai fornitori dello Stato oppure dai grossisti) è certo
pur se nulla garantisce che arriverà a quella somma. Molto popolare dovrebbe risultare il nuovo regime
agevolato per i contribuenti minimi Iva. Forse un milione di persone potranno scegliere di pagare una imposta
forfettaria del 15%con adempimenti assai ridotti. Si tratta di una scommessa sul civismo, dall'esito difficile da
prevedere, poiché alcuni che piccoli non sono potrebbero tentare di fingersi tali. In prospettiva, una più ampia
registrazione elettronica di dati potrebbe sollevare da incombenze scomode. Ma non illudiamoci che il
progresso sia ben accetto a tutti. Lo scontrino appunto scomparirà quando i registratori di cassa
trasmetteranno immediatamente i ricavi al fisco: siamo sicuri che per ostacolare questa innovazione non si
troveranno mille scuse? Matteo Renzi sembra ambire a una riforma fiscale non intimidatoria, che non
colpevolizzi nessuno come evasore potenziale. Però su alcuni punti sarà inevitabile incontrare resistenze, e
vincerle, se si vuole fare sul serio. Una prova importante sarà l'obbligo a un maggior uso di carte di credito e
bancomat, che dà trasparenza e allinea agli altri Paesi avanzati.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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UN FISCO SENZA IDEOLOGIE
08/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
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Negozi connessi via web col Fisco per eliminare i pagamenti in nero
Ecco il piano per abolire gli scontrini. Ma la moneta digitale stenta a decollare
GIUSEPPE BOTTERO TORINO
Incrociare il finanziere all'uscita della pizzeria sarà sempre più complicato. Pensare di nascondere qualche
informazione all'Agenzia delle Entrate pure. Meno muscoli e più byte: si muove su queste due strade il «Fisco
che cambia verso», quello che si prepara a mandare in pensione gli scontrini. Attenzione, non è un percorso
facile: nel 1996, l'allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco firmava un protocollo con artigiani e
commercianti che prometteva di archiviare per sempre le certificazioni cartacee. Diciotto anni dopo, i foglietti
che spuntano dal portafoglio sono ancora qui. Nel frattempo, l'evasione non è diminuita. Ecco perché la
direttrice dell'Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi spinge forte sull'acceleratore. La parola d'ordine è
«tracciabilità totale», concetto affascinante ma anche complicatissimo da raggiungere in un Paese in cui la
moneta elettronica (eufemismo) fatica a decollare: con una media di 31 operazioni all'anno per abitante l'Italia
guarda da lontano la Spagna (52), la Francia (130) e soprattutto i Paesi del Nord, che superano quota 220.
Gli ostacoli Per chi tenta di vivere una «giornata a contante zero» il primo ostacolo si presenta un'ora dopo il
risveglio. Archiviata la lettura dei quotidiani due ditate sul tablet, e il giornale è scaricato, pagato e fatturato al caffè sotto casa le cose si ingarbugliano parecchio. Perché pure incrociando un barista «digitale» dotato di
Pos, in questo momento, le commissioni da pagare per il commerciante restano piuttosto alte, e il contante
continua ad essere il sistema di pagamento preferito degli esercenti. Il 92% delle transazioni, calcola l'Abi,
avviene in «forma cartacea». Per informazioni rivolgersi ai benzinai, che per mercoledì 12 novembre hanno
indetto un «no card day» per protestare contro l'introduzione dell'obbligo di accettare pagamenti con moneta
elettronica, introdotto da un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico a partire dal 30 giugno scorso.
«È uno dei temi su cui bisogna intervenire», ammettono dal Fisco, dove i tecnici confidano nello sviluppo dei
pagamenti via smartphone, pronti a decollare dopo l'ingresso nel settore dei colossi del web, da Apple in giù.
I vantaggi per gli esercenti Il sistema su cui si sta lavorando alle Entrate punta a trasferire negli esercizi
l'infrastruttura già sperimentata nella Pubblica Amministrazione. Dunque trasmissione costante dei dati dal
negozio all'Erario, sfruttando il web e dribblando i sostituti d'imposta. I costi della riforma, va da sè,
dovrebbero essere coperti dallo Stato, che in quest'operazione ha tutto da guadagnarci. In realtà - è il
ragionamento della Orlandi - potrebbero esserci meno spese anche per i commercianti, che ormai hanno
«metabolizzato» la filosofia dello scontrino: un registratore di cassa si paga almeno quattro-cinquecento euro,
lo studio del commercialista, tappa obbligatoria a fine anno, non fa di certo volontariato. Gli incentivi al cliente
Il punto è che per dare una scossa andrebbe incentivato anche il cliente. Se la commessa della boutique
propone uno sconto robusto in cambio del pagamento in contanti, quali vantaggi - archiviato il senso civico ci sono per chi rifiuta? A dare il buon esempio dovrebbe essere lo Stato, spiega Geronimo Emili, presidente
dell'associazione «Cashless Way». «Siamo davanti a un paradosso: in negozio puoi scegliere di pagare con
la carta, o almeno litigare per farlo. Versare le tasse universitarie in questo modo, invece, è ancora
impossibile». Gli esempi virtuosi, tra le grandi aziende, non mancano. Enel, per le bollette, accetta pagamenti
via Paypal, i sistemi di Trenitalia sono digitalizzati. «L'Italia è il Paese con la più alta penetrazione di tessere
pre-pagate - dice Emili -. È il segno che le banche sono state brave a commercializzarle. Adesso qualcuno
può insegnarci ad usarle?». Il nodo privacy Il paradosso della vita senza scontrini, temono gli ultrà della
riservatezza, è una rinuncia quasi totale alla privacy: se i dati corrono sul web, come evitare che non vengano
usati a scopi commerciali? In realtà il rischio già esiste, quando si parla di e-commerce. Il Garante della
Privacy, dunque, ha «blindato» il settore: dallo scorso giugno le informazioni non possono essere utilizzate
per altre finalità, come l'invio di pubblicità o analisi delle abitudini, senza lo specifico consenso degli utenti, e
devono essere adeguatamente protetti dai rischi di uso fraudolento. La mappa dell'evasione % Evasori totali
% 8.617 8.315 % 2012 2013 % % Incassi da attività di accertamento e controllo % Riscossioni complessive
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Economia / Il nodo evasione
08/11/2014
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(miliardi di euro) % 4,3 2013 2014 9,1 11 4,3 4,2 6,1 8,5 32 32 33 2012 2013 2013 2014 13,1 20,5 33,9 22,5
32,5 Fonte: Elaborazione 3.506 3.070 Fonte: Elaborazione (anno 2013) % Costruzioni % Altro % Commercio
Centimetri - LA STAMPA su dati Guardia di Finanza 6,4 6,9 12,7 12,5 Servizi di alloggio e di ristorazione
Trasporto e magazzinaggio PRIMI QUATTRO MESI 3,4 3,5 % Manifatturiero 447.737 Percentuale scontrini
irregolari o mancanti 405.360 166.737 163.280 PRIMI CINQUE MESI Attività professionali, scientifiche e
tecniche su dati Agenzia delle Entrate PRIMI CINQUE MESI Scontrini controllati Per settore economico 2006
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
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Pag. 20
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Intesa, Micciché rivede il corporate Micilli numero uno di Banca Imi
La vecchia divisione per aree geografiche integrata da quella per filiere industriali
[R. E.]
TORINO Intesa Sanpaolo rivoluziona la divisione Corporate & investment banking (Cib), cambiando la
struttura organizzativa. Gaetano Micciché non sarà più l'ad di Banca Imi, e al suo posto sale l'attuale numero
due Mauro Micillo. Micciché resta direttore generale e responsabile della divisione Cib e sarà designato
vicepresidente di Banca Imi. La banca spiega in una nota che si tratta di «una nuova organizzazione
disegnata da Gaetano Micciché per contribuire in maniera ancora più efficace al raggiungimento degli
obiettivi del piano d'impresa 2014-2017». La nuova configurazione della divisione pone le basi ideali per poter
raggiungere nell'arco di piano un obiettivo di ricavi pari a 3,4 miliardi con un significativo aumento della
componente relativa alle commissioni prevista in crescita al 26%. La nuova struttura disegnata per Banca Imi
prevede una rete di oltre mille professionisti organizzati in base all'appartenenza delle imprese clienti a
specifici settori e filiere industriali, che si va ad affiancare alla più tradizionale articolazione su base
geografica e dimensionale. Il nuovo modello organizzativo si articola in una direzione International network
global industries la cui responsabilità è affidata a Teresio Testa. La direzione Corporate e public finance è
affidata a Marco Rottigni, quella Global banking&transaction a Stefano Stangoni, mentre Merchant Banking a
Marco Cerrina- Feroni. La promozione di Micillo ad amministratore delegato, ridurrà la catena di comando e
razionalizzerà l'assetto manageriale. Micillo, 44 anni, «rappresenta uno dei principali esponenti della nuova
leva generazionale del gruppo ad elevato potenziale», spiega la banca. È stato amministratore delegato di
Eurizon, in precedenza ha ricoperto ruoli di rilievo nella Banca Popolare di Vicenza e nel gruppo Capitalia.
Analogamente, «la nomina di Gaetano Micciché a vicepresidente, sarà la conferma del costante
perseguimento delle sinergie commerciali e operative con la banca d'investimento di Intesa Sanpaolo per le
attività della divisione Corporate e Investment Banking e del gruppo nel suo complesso», prosegue il
comunicato. «Intesa Sanpaolo - ha commentato il ceo Carlo Messina - è da sempre impegnata
nell'accompagnare le aziende italiane nel loro percorso di crescita dimensionale e di apertura verso il mercato
globale. In particolare grazie al nostro network internazionale, siamo in grado di assistere l'espansione oltre
confine delle aziende italiane in tutti i principali hub geografici che mostrano i più elevati tassi di sviluppo.
Dalla consapevolezza del nostro ruolo di partner ideale delle imprese nasce l'innovativo modello di servizio
della divisione Corporate & investment banking». Per Micciché «Grazie al nuovo modello di servizio settoriale
saremo in grado di supportare maggiormente le aziende italiane più meritevoli e sviluppare rapporti duraturi
con i grandi gruppi».
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: Gaetano Micciché
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NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO
09/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Il Muro caduto e l'Europa divisa
ENZO BETTIZA
Aun quarto di secolo da quel crollo repentino, Berlino riunificata è un museo a cielo aperto sotto gli occhi di
una generazione che, in molti casi, nell'epico novembre 1989 non era neppure nata. PAGINA Venticinque
anni sono sufficienti per volgere lo sguardo indietro e per misurare e soppesare l'impatto di un evento che
sembrò restituire all'Europa la sua unità storica. Una unità che, riferita al cuore del continente - la Germania ancora oggi suscita le stesse scettiche perplessità espresse, a suo tempo, da Giulio Andreotti: «Amo
talmente la Germania che ne preferisco due», sentenziò. E non fu certo l'unico leader europeo a pensarla in
quella maniera. Anziché dileguarsi, quei dubbi sembrano essersi rafforzati con il tempo e con i malumori, con
le ansie e con le invidie suscitati, in epoca di durissima crisi, dall'ottima salute di cui sembra godere, a
paragone con gli altri Stati dell'Ue, la riunificata Germania. Oggi locomotiva economica d'Europa. In questi
giorni di festeggiamenti e di dibattiti, vediamo così ancora una volta la questione tedesca porsi con
prepotenza al centro dei problemi di relazione fra i Paesi membri. Al tempo dell'abbattimento del Muro si
pensava che il passo risolutivo verso l'unificazione politica e federalistica del continente fosse compiuto. Ma
non fu così. Il ritorno d'attualità della centralità tedesca, a un quarto di secolo da quell'emozionante notte del
9 novembre 1989, allarmando la Francia e preoccupando l'Inghilterra, dimostra che la storia non procede
necessariamente per passi lineari. Anche l'Italia non ha perso occasione di esprimere perplessità verso la
massiccia esondazione tedesca nei confronti dei paesi più deboli. C'è da chiedersi che cosa, in questa
solenne ricorrenza, esattamente si torni a festeggiare. La fratellanza fra i popoli? Il trionfo della democrazia?
La fine di un incubo? Due sono le visioni politiche contrapposte. Una secondo cui la Germania dovrebbe
continuare ad europeizzarsi e ad essere, insieme con la Francia, la guida economica e culturale dell'Unione.
E l'altra che accusa Berlino di mirare a un controllo egemonico del continente che non tiene conto degli
interessi, delle caratteristiche e delle esigenze cui hanno diritto le singole sovranità nazionali. Quale che sia la
visione prevalente, l'ultima parola sul riordinamento politico continentale spetterà, è inevitabile, alla Germania
e alla Francia. Una Germania ovviamente rafforzata dalla sua consolidata riunificazione. L'Italia, Paese
fondatore dell'Unione, non perda l'occasione per far sentire la sua voce e non resti indietro. Quanto a
considerare i ruderi del Muro di Berlino reperti di turismo archeologico buoni per continuare a dipingerci sopra
graffiti metropolitani, facciamo attenzione a non dimenticare. Quello di Berlino non è stato l'ultimo muro: basti
pensare a Cipro, a Homs in Siria, alle due Coree, alla frontiera Messico-Usa. Se è vero che i muri servono
solo a prendere tempo, non lasciamo che i ventotto anni in cui Berlino è stata divisa in due siano trascorsi
invano.
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BERLINO 1989 2014
09/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
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Cofferati: "Spero di essere la cerniera che ricuce tra Pd e mondo del
lavoro"
L'ex segretario Cgil ed ex sindaco: "La Liguria ha bisogno di cambiare"
TEODORO CHIARELLI INVIATO A GENOVA
Appena ha annunciato la sua candidatura alle primarie per le regionali in Liguria, puntuale è arrivata la
"carineria" della sua principale concorrente, la renziana Raffaella Paita, quarantenne assessore regionale alle
infrastrutture e alla "efficiente" protezione civile, delfina del governatore Claudio Burlando. «Sergio Cofferati?
Mio padre ha 63 anni, due meno di lui». Lui, l'ex segretario generale della Cgil, oggi parlamentare europeo,
non si scompone. «Non mi trascineranno mai a sputare sui tratti delle persone, né sulla loro età. Sono
sempre stato contro la volgarità. E poi anche l'esperienza conta». Cofferati che si candida nel momento di
massima tensione fra il premier-segretario del Pd e la Cgil: il sindacato si fa politica? «No, questa lettura è
fuorviante. Ho passato decenni a difendere l'autonomia del sindacato dalla politica e viceversa. Non si
devono mai confondere i due ambiti. Nel rispetto dei ruoli». Il difficile rapporto fra governo e sindacato è però
un fatto. «È evidente che c'è una tensione che tende ad aumentare fra il governo, espressione del Pd, e il
sindacato. Credo che Matteo Renzi dovrebbe rendersi disponibile a un confronto. Non può dire: le leggi le
faccio io e basta. In alcune materie un confronto e un accordo col sindacato è utilissimo. Poi, certo, le cose si
devono tradurre in leggi e il Parlamento è sovrano. Ma perché negare l'apporto e il ruolo del sindacato? Sul
Jobs Act le tensioni potrebbero essere ridotte di molto se si ristabilisse un confronto. Anche perché il
sindacato è oggettivamente titolato a discutere di lavoro. Se non discuti con lui, con chi lo fai?». A proposito
di Jobs Act, lei resta sempre critico? «Non lo condivido nel merito e penso che sia sbagliato. L'occupazione
tornerà a crescere solo con grandi investimenti pubblici accanto a quelli privati. Serve una tradizionale politica
keynesiana. La flessibilità esasperata non crea posti di lavoro». Parafrasando Nanni Moretti: fate qualcosa di
sinistra? «Non so se è di sinistra. Gli Stati Uniti del 1920 non mi sembra che fossero un Paese dove la
sinistra avesse un grande peso». La Fiom di Landini come catalizzatore del dissenso sindacale occupa spazi
lasciati scoperti dalle titubanze della Cgil? «No. Il sindacato confederale in questi anni ha svolto una funzione
di interesse nazionale, assumendosi responsabilità grandi. Compito che è in grado di svolgere anche adesso.
Landini è un ottimo sindacalista. Non deve essere vissuto come un soggetto politico». Pensa che la sua
candidatura possa contribuire a ricucire le lacerazioni fra Pd e mondo del lavoro? «Me lo auguro e ne sarei
molto felice. E spero di far tornare la nostra gente a votare». Lei viene "bollato" come l'epigono di una sinistra
radicale contro il nuovo che avanza. «Invece sono sempre stato riformatore e moderato, un Amendoliano. C'è
chi ci prova, magari per esorcizzare le questioni che pongo. Io non chiamo a raccolta gli anti renziani. Vedo
piuttosto che sulla mia proposta c'è un interesse da tutte le aree del partito. Ci sono tanti giovani che mi
chiedono di impegnarmi: e questa è una bella novità, che conforta. Poi sì, parlo pure con Sel». Perché, allora,
si candida alle primarie contro una renziana? «Ho deciso di candidarmi per rispondere alle sollecitazioni,
alcune commoventi, che mi arrivano. Lo faccio perché il momento è difficile, la Liguria vive una crisi
drammatica. Serve il coraggio del cambiamento e con tutto il rispetto per chi si è impegnato in passato, è un
errore pensare che chi ha avuto responsabilità in questi anni possa favorire ora il cambiamento». Si riferisce
anche al dissesto idrogeologico della Liguria? «Non è una fatalità, è frutto dei cambiamenti climatici che sono
stati sottovalutati e dei clamorosi ritardi della politica». La sua candidatura ha una valenza politica nazionale?
«Il mio è un impegno sul territorio e come tale acquista perciò un valore nazionale, ma non viceversa.
Dopodiché, sulla politica nazionale ho le mie idee e farò le battaglie che si devono fare nel partito, come ho
sempre fatto, in piena lealtà. Insisto: qui ci sono persone in carne e ossa cui dobbiamo rispetto e alle quali
vanno prospettate soluzioni per risolvere le loro sofferenze».
Politica e sindacato
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Intervista
09/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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Sbagliato confonderli Bisogna tenere separati gli ambiti
Il vecchio e il nuovo
Sono sempre stato un riformatore moderato
Foto: MASSIMO PERCOSSI/ANSA
Foto: Sergio Cofferati, candidato in Liguria alle primarie del Pd
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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10/11/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
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Italiani stanchi ma c'è fiducia nel Paese
DANIELE MARINI
Stanchi e p rovat i co m e dopo un lungo e tortuoso viaggio del quale ancora non si vede chiaramente il
traguardo. Durante il tragitto, le condizioni di vita per molti sono peggiorate e l'orizzonte è sempre molto
incerto, quasi imperscrutabile. Tuttavia, nello stesso tempo, si guarda al futuro con una qualche speranza,
soprattutto con un atteggiamento di attesa disincantata, dopo tante disillusioni e mancate promesse. Èil
sentimento generale degli italiani che emerge dall'ultima rilevazione dell'indagine LaST (Community Media
Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa). Potrebbe essere diversamente, dopo che
sono trascorsi oltre sei anni dall'avvio conclamato della crisi economica? Dopo che, nel frattempo, abbiamo
sperimentato in rapida successione quattro esecutivi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi)? Dopo che la
disoccupazione è cresciuta a ritmi elevati e investito una parte consistente delle giovani generazioni, facendo
diventare il lavoro (e con esso il senso del futuro) la preoccupazione maggiore degli italiani? Evidentemente
no, non potrebbe essere altrimenti. E questo anche a dispetto dei piccoli segnali recenti che hanno messo in
luce qualche positività. Il numero degli occupati che - per il momento - ha conosciuto un lieve miglioramento.
Il novero delle persone che hanno ricominciato a cercare attivamente un'occupazione. Le banche che
segnalano una ripresa dei risparmi delle famiglie, ma che rimangono giacenti. Indicatori oggettivamente
positivi, ma soggettivamente ancora non in grado di influenzare gli orientamenti. Perché la percezione
determina la realtà. E ciò spiega - com'era plausibile ipotizzare - come mai gli 80 euro non sono finiti nei
consumi, ma nei risparmi, in attesa di tempi più certi e migliori. Lo si può comprendere meglio se
consideriamo come gli italiani percepiscono le loro condizioni economiche. Rispetto a tre anni fa, in generale,
una leggera maggioranza (53,4%) ritiene che il proprio bilancio economico familiare sia rimasto
sostanzialmente stabile. Fra questi, soltanto meno di un decimo (8,7%) l'ha visto aumentare. Per il 46,6%,
invece, il reddito mensile disponibile in famiglia è diminuito. Dunque, le risorse economiche disponibili per gli
italiani quando è andata bene sono rimaste invariate e per una parte assai consistente sono andate
peggiorando. Di sicuro, non abbiamo conosciuto alcuna mobilità econ o m i c a , e q u i n d i s o c i a l e,
ascendente. I più penalizzati da questa situazione sono le donne, i 5060enni, chi possiede un basso livello di
studio e le persone ai margini del mercato del lavoro (disoccupati, pensionati e casalinghe). Se queste sono
le condizioni economiche oggi, rispetto a tre anni fa, quali sono le prospettive? Quando si prevede di uscire
da questa crisi? L'incertezza è l'elemento dominante. Complessivamente, tre interpellati su quattro (75,1%)
ritengono si dovrà aspettare almeno un anno e mezzo prima di uscire dalle difficoltà e fra questi ben il 68,2%
vede la fine del tunnel oltre l'anno e mezzo. Pochi (10,2%) immaginano si debba aspettare al più solo un
anno prima di conoscere prospettive migliori e una quota marginale (2,2%) intravede già segni di ripresa. Se
a chi rinvia ad almeno un anno e mezzo l'attesa di un miglioramento aggiungiamo quanti non se la sentono di
fare previsioni (12,5%), otteniamo che quasi i nove decimi della popolazione vivono nel day by day, privi di un
orizzonte temporale definito: si naviga a vista, in assenza di una direzione precisa. L'aspetto preoccupante è
che questa indeterminatezza sul futuro sembra innervare in misura maggiore le prospettive economiche
personali e familiari, più ancora di quelle del territorio in cui si vive, dell'Italia o dell'Europa. A immaginare che
nel futuro prossimo la situazione economica conoscerà un miglioramento per il proprio nucleo familiare è in
media il 42,1% degli italiani. Analogamente, il 61,1% fra gli intervistati ritiene che ciò accadrà per l'area di
residenza, il 62,5% per l'Italia e il 46,3% per l'intera Europa. Dunque, si pensa (o si auspica) che l'economia
del Paese possa riprendersi, ma si medita che le proprie condizioni faranno più fatica a risollevarsi. Una
conferma indiretta a questa difficoltà a sognare un futuro positivo viene dal recente Prosperity Index 2014
(Legatum Institute) che mette a confronto 142 Paesi sull'idea di sviluppo futuro: l'Italia si colloca al 37° posto,
perdendo cinque posizioni rispetto al 2013. Per provare a offrire una misura di sintesi, abbiamo creato un
indicatore di fiducia sul futuro, sommando le prospettive di crescita economica per i diversi ambiti. Ne
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L'INDAGINE
10/11/2014
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scaturiscono quattro profili prevalenti. Gli Ottimisti sono un terzo degli interpellati (34,3%) e annoverano chi,
per tutte le dimensioni, ipotizza percorsi di miglioramento economico e, in proporzione, comprendono quanti
sono oggi più in difficoltà (operai), i sessantenni o hanno avuto una diminuzione di reddito rispetto agli anni
precedenti. Quindi, un ottimismo dettato dalla speranza. Il gruppo più cospicuo, però, è quello degli Attendisti
(39,2%), quanti oscillano attorno a una condizione di stabilità o di leggero miglioramento. Il terzo gruppo è
quello dei Preoccupati (21,7%): comprende ha una visione tendenzialmente pessimista per le condizioni
economiche future, idea particolarmente diffusa fra le giovani generazioni e chi ha un titolo di studio elevato.
Infine, troviamo i Pessimisti (4,8%), nucleo marginale che prevede un sostanziale declino generalizzato.
Fiducia e senso di un futuro possibile sono il motore dello sviluppo. Ma questi lunghi anni di difficoltà hanno
intaccato l'aspettativa di realizzare un miglioramento per sé e per i propri familiari. Come se negli italiani si
stesse incrinando la proverbiale capacità di adattamento alle difficoltà. E, in questa lunga traversata,
avessero tirato un po' i remi in barca.
NOTA METODOLOGICA n L'indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio), realizzata da
Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, si è svolta a livello
nazionale dal 16 ottobre al 3 novembre 2014 su un campione rappresentativo della popolazione residente in
Italia con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici, la rilevazione e l'elaborazione sono state curate
dalla società specializzata Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.554 e sono stati invitati a rispondere a un
questionario via web attraverso un loro coinvolgimento sui principali canali social network e grazie
all'attivazione di un campione casuale di nominativi raggiungibili via e-mail e via telefono. Daniele Marini ha
progettato e diretto la ricerca. I risultati sono visitabili presso www.indaginelast.it. % 2,2 1,9 8,3 6,9 12,5 Forte
sviluppo Rimarrà come ora Declino Non saprei 68,2 % 6 mesi % 1 anno % 1 anno e mezzo In Europa
Centimetri LA STAMPA % Non saprei % La crisi sta finendo, ci sono già segnali di ripresa Crescita contenuta
Maggiore difficoltà Per me/ la mia famiglia Nel territorio dove vivo In Italia Oltre 1 anno e mezzo
Fonte: Community Media Research-Intesa Sanpaolo per La Stampa, novembre 2014 (n. casi: 1.554) 5,1 19,8
28,6 11,3 36,1 41,3 33,9 35 34,7 21,1 17 21,1 18,8 14,9 16,7 25,3 2,1 2,2 1,8 3,3 3,2 0,7 2 3,9 A suo avviso,
nei prossimi anni, la situazione economica vivrà una fase di... (valori %) A Suo giudizio, quanto durerà ancora
l'attuale crisi nel nostro Paese?
39,2 attendisti La percentuale più ampia oscilla tra stabilità e leggero miglioramento
34,3 ottimisti Più di uno su tre crede nel futuro: un ottimismo dettato dalla speranza
21,7 preoccupati Più di uno su cinque (molti giovani) prevede condizioni economiche negative
4,8 pessimisti Sono quelli che prevedono un declino generalizzato: una minoranza
Foto: Aspettative Quasi i nove decimi degli italiani sono in attesa di tempi migliori: la crisi durerà ancora
almeno un anno e mezzo
09/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Confindustria disdice il contratto nazionale per 73 mila manager
Claudia Guasco
Due pagine firmate dal vicepresidente di Confinduastria chiudono la questione. Per oltre 73 mila manager
dell'industria salta la contrattazione collettiva. A pag. 19
IL CASO M I L A N O Due pagine firmate da Stefano Dolcetta, vicepresidente per le Relazioni industriali e il
Welfare, chiudono la questione. «Dobbiamo prendere atto della circostanza che, dopo oltre un anno di
trattative, a tutt'oggi non si sono ancora determinate le condizioni per definire compiutamente il rinnovo del
contratto nazionale dei dirigenti di aziende di beni e servizi», è l'incipit della missiva spedita il 29 ottobre a
Federmanager. Con la quale Confindustria comunica la disdetta formale del contratto nazionale siglato a
novembre 2009, scaduto a fine 2013 e che non avrà più efficacia dal 31 dicembre 2014. E così per oltre 73
mila manager dell'industria salta la contrattazione collettiva.
LO STRAPPO Come ammette il presidente di Federmanager Giorgio Ambrogioni nella lettera spedita a
Dolcetta, «in tutti questi mesi il confronto ha fatto certamente fatica a decollare per la distanza delle rispettive
posizioni, non tanto sugli obiettivi di fondo ritenuti prioritari, quanto piuttosto sulle soluzioni da adottare».
Perciò Confindustria ha optato per la disdetta: anziché sottoscrivere «il mero rinnovo, per un ulteriore anno,
del contratto vigente», ha deciso di ripartire da zero e con nuove condizioni. Specificando che l'annullamento
riguarda anche l'accordo sull'indennità supplementare «in caso di risoluzione del rapporto per ristrutturazione,
riconversione, crisi aziendale» a seguito dell'approvazione del Parlamento della norma comunitaria che
estende la disciplina dei licenziamenti collettivi anche ai dirigenti. Oltre agli accordi del 2006 e del 2009 «per il
riconoscimenti al dirigente delle tutele nei casi di cessazione dell'azienda di appartenenza o sua
sottoposizione a procedura concorsuale». Confindustria nel frattempo ha messo a punto «un documento che
focalizza i punti prioritari che dovrà affrontare il rinnovo del contratto» ed esorta Federmanager a un nuovo
confronto. Un'occasione, scrive Dolcetta «per concordare soluzioni» ed evitare «il rischio che il prolungarsi
della trattativa comporti una complessa situazione di anomalia contrattuale».
DECISIONE POLITICA Dura la replica di Ambrogioni. «Confindustria esprime la volontà di rinnovare il
contratto, valorizzare le relazioni industriali, cercare insieme soluzioni: dobbiamo andare a vedere se è così e
se ci sono i requisiti accettabili per un rinnovo che, comunque, non può avvenire a qualsiasi condizione». Mai
come oggi, secondo il presidente di Federmanager, «le forze politiche e sociali sono in crisi di identità», le
tensioni sociali «rischiano di sfuggire di mano e mettere in discussione la coesione sociale del Paese», si
riducono «gli spazi di democrazia economica, trovano vigore le spinte a far saltare il ruolo della contrattazione
collettiva, si accentua in tutti noi il senso di precarietà». La decisone «unilaterale» dell'organizzazione degli
industriale, è la conclusione di Ambrogioni, «ha un chiaro significato politico e non tecnico, che mai si è
verificato in passato nella storia delle nostre relazioni industriali».
Foto: Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La rottura
09/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Renzi parla alla cerimonia per la chiusura dell'ultimo cantiere della Variante di Valico: il Paese è più forte di
come viene descritto IL CAPO DELL'ESECUTIVO SCHERZA CON GLI OPERAI E ACCETTA IL
TRADIZIONALE TAGLIO DELLA CRAVATTA: «TANTO NON È MIA»
Mario Stanganelli
LA GIORNATA R O M A «Dobbiamo abbattere gli ultimi tabù, le nostre paure, perché l'Italia è più forte e più
grande di come viene descritta». Lo ha detto Matteo Renzi intervenendo alla cerimonia per l'abbattimento
dell'ultimo diaframma di galleria della Variante di Valico dell'autostrada tra Firenze e Bologna. Il lavoro,
completato a quasi vent'anni dal primo progetto e realizzato in gran parte attraverso lunghi trafori, ha ispirato
al premier una serie di metafore legate alla condizione del nostro Paese. «L'Italia, agli occhi di tanti - ha
affermato il presidente del Consiglio davanti alle maestranze e ai vertici di Autostrade - sta in galleria, in un
tunnel. Ma è un Paese capace di uscire dal tunnel della pigrizia, della stanchezza, della rassegnazione».
«Non bisogna cedere - è l'esortazione del capo del governo - alla cultura del piagnisteo, di chi dice che in
Italia non abbiamo più niente, che ci hanno portato via tutto. Abbiamo aziende, realtà, eccellenze
straordinarie come le innovazioni ingegneristiche che sono all'avanguardia nel mondo». «Il lavoro che è stato
fatto con la variante è un lavoro che ha fatto tutta l'Italia. Questo progetto è il simbolo del Paese», ha detto
ancora Renzi continuando con la metafora che gli ha fatto identificare nell'ultimo diaframma abbattuto i tabù
da superare. «Sto diventando - ha aggiunto - una sorta di motivatore perché vorrei raccontare quanto è
importante il lavoro che stiamo svolgendo». Poi, rivolto alle maestranze: «Con il cuore in mano vi chiedo di
continuare a credere che questo Paese è capace di fare cose altrove giudicate improbabili». NO AI VINCOLI
Parole e concetti, questi ultimi, trasparentemente indirizzati ben al di là delle nostre gallerie e dei nostri
confini. E infatti ha affermato il premier, quasi al termine del semestre di presidenza italiana della Ue: «Non si
esce dalla crisi semplicemente parlando di vincoli, bisogna avere il coraggio di investire sul futuro, come
abbiamo detto dopo le elezioni europee. La Commissione della Ue, sulla base della pressione italiana, ha
deciso di stanziare 300 miliardi di euro per i nuovi investimenti. Credo - ha sottolineato il presidente del
Consiglio - che vinceremo questa sfida, se questi 300 miliardi, per la parte di competenza italiana, saranno
spesi bene, con regole chiare e con la capacità di tutti di scrivere un pezzettino di storia e un pezzettino di
futuro, a cominciare dai politici. Se saremo in grado di farlo, anche le sfide che sono di fronte a noi,
complicate e impegnative, sono pronte ad essere affrontate e vinte tutte assieme». Non è stata, tuttavia, solo
festa ieri per Renzi. In un clima di forti tensioni tra governo e sindacato e di fronte a tanti lavoratori, non
potevano non emergere punte di contrasto, come quelle contenute nella lettera aperta consegnata al premier
dagli edili della Variante di Valico. Nella quale si sostiene che la riforma del lavoro voluta dal governo «non va
nella direzione da noi auspicata» e si lamenta la tendenza ad «affrontare il tema soltanto dal versante del
taglio dei diritti e dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori». Le maestranze della Variante
sottolineano inoltre che, «con la fine dell'ultimo pezzo della galleria, per noi termina un tratto della nostra vita,
in cui avevamo la certezza di avere un lavoro e quindi un salario per poter garantire una vita dignitosa a noi e
alle nostre famiglie». A queste preoccupazioni non è mancata l'immediata risposta di Renzi: «Tutti noi - ha
detto il premier - siamo impegnati perché da lunedì i lavoratori abbiano delle nuove opportunità. Lo Sblocca
Italia serve a far ripartire il Paese, evitando innanzitutto che le opere pubbliche continuino a star ferme per
colpa di sua maestà la burocrazia». Parole concilianti, che hanno rilassato il clima del rito conclusivo, caro a
maestranze e tecnici e a cui Renzi non ha potuto sottrarsi: il taglio della cravatta. Sorridente e col casco giallo
in testa, il premier ha motteggiato: «Tanto non è mia, me l'hanno prestata i dirigenti di Autostrade».
Foto: Il taglio della cravatta
Foto: Renzi alla cerimonia nella galleria Val di Sambro dove è stato aperto l'ultimo diaframma
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Il premier: l'Italia può uscire dal tunnel ma basta con i tabù
09/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 18
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Non si arresta la ritirata degli investimenti tricolore dalle eccellenze nazionali IL GOVERNO SPINGE PER
ATTRARRE SEMPRE PIÙ INVESTITORI ESTERI MA DOVREBBE ANCHE OPERARE PER FRENARE LA
SVENDITA DEI MARCHI FISCO E BUROCRAZIA TRA LE BARRIERE CHE SPINGONO I CREATORI DI
BRAND A NON VOLER PIÙ PUNTARE SUL PAESE
L'INCHIESTA R O M A Il Made in Italy è forse ancora Made, ma sicuramente è sempre meno Italy, visto che
aziende di punta di vari settori come la moda, la meccanica e l'agroalimentare continuano a passare in mani
straniere, in molti casi finendo per perdere la loro identità e talvolta anche i loro poli produttivi. Sarà anche un
effetto della globalizzazione, ma se da un lato l'arrivo di investimenti stranieri salva dalla chiusura le nostre
aziende e quindi migliaia di posti di lavoro (si veda il caso Alitalia), dall'altro il susseguirsi di cessioni a colossi
stranieri provoca ansia e preoccupazione. Secondo uno studio di Kpmg, dal 2009 sono passate sotto il
controllo straniero oltre 550 aziende italiane per un controvalore di più di 60 miliardi. Nel 2013 un'acquisizione
su tre è stata messa a segno da operatori esteri e i dati del terzo trimestre 2014 confermano la stessa
proporzione. Sempre Kpgm stima, per l'intero 2014, che le operazioni dall'estero sull'Italia possano
raggiungere un controvalore intorno a 12-13 miliardi di euro, rispetto a un mercato M&A complessivo di circa
35-38 miliardi. A ciò si aggiunga che entro l'anno si attende la cessione del 35% di Cdp Reti al gruppo cinese
State Grid International Development per circa 2 miliardi. COLPA ANCHE DELLA CRISI La crisi è
probabilmente il motore primo del fenomeno. A partire dal 2010 le operazioni dall'estero sull'Italia si sono
attestate intorno al 30% in termini di volumi e del 45% in termini di valore rispetto al decennio che va dal 2000
al 2009 dove la media era intorno al 20% sia per controvalore sia per volumi complessivi. Peraltro, le
acquisizioni di asset italiani si confermano la principale forma di investimento realizzata da stranieri nel nostro
Paese mentre rimangono ridotti - ma con una piccola ripresa negli ultimi tempi - gli investimenti cosiddetti
greenfield, cioè quelli che partono da zero. Non è dunque un caso se l'Italia sia al 42 posto nella classifica
delle nazioni in grado di attrarre investimenti in nuovi stabilimenti. Ed è per questa ragione che il premier
Matteo Renzi non perde occasione per ricordare che le riforme sono indispensabili per attrarre gli investimenti
esteri. E tuttavia, sarebbe il caso di ricordare a Renzi che ancor prima di attrarre gli investitori stranieri, si
dovrebbe pensare a trattenere quelli italiani. I gruppi esteri avranno anche messo sul tavolo 60 miliardi per
portarsi a casa i migliori brand italiani, ma fino a prova contraria di tutti quei denari incassati dai vecchi
proprietari ben pochi si sono tradotti in nuovi investimenti domestici, ovvero in iniziative a beneficio della
comunità. POSTI DI LAVORO IN BILICO C'è da dire che le acquisizioni da parte di soggetti stranieri non
sono una novità degli ultimi anni visto che furono gli Stati Uniti, negli anni Settanta, che cominciarono ad
assicurarsi le nostre eccellenze per studiarle e quindi farle proprie. Quello che in realtà sta cambiando è la
geografia del potere d'acquisto. L'Unione europea, seguita dal Nord America, si conferma il principale
compratore di aziende italiane (54 operazioni negli ultimi anni) ed è nello stesso tempo preda preferita nelle
operazioni cosiddette cross border-out (43 transazioni nello stesso periodo). Ma quello che sta notevolmente
crescendo è il peso all'interno del fenomeno dei paesi emergenti e del Far East: dalla Cina alla Russia,
dall'India al Giappone passando per la Turchia, Egitto, Emirati Arabi, Qatar e Indonesia. Qualche esempio?
La Banca centrale cinese detiene poco più del 2% di Mediobanca e il 2,1% di Eni e di Enel. Nella moda gli
emiri del Qatar si sono assicurati lo storico marchio Valentino assieme alla licenza Missoni. I cioccolatini della
Pernigotti, eccellenza mondiale nel settore dolciario, sono stati ceduti dalla Fratelli Averna alla famiglia turca
Toksoz che fattura 450 milioni ogni anno. Partendo dal presupposto che il Made in Italy è apprezzato e
desiderato in ogni latitudine, la strategia più adottata è attendere il momento di difficoltà economica - aiutati
anche dalla lunga crisi - per appropriarsi di aziende con valore aggiunto e non adeguatamente capitalizzate.
Va da sé che in questo modo le opportunità di crescita del nostro export vengono fortemente ridimensionate
dall'esternalizzazione della proprietà e, spesso, anche della produzione. Sia chiaro, non sempre con la
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Gli italiani in fuga dal Made in Italy
09/11/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 18
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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proprietà che passa di mano anche la produzione lascia il territorio nazionale; è però da considerare che, in
un momento di così profonda crisi del capitalismo domestico, di paura di investire e di semiparalisi del ciclo
economico, è naturale che il fenomeno dell'esternalizzazione sia maggiormente diffuso, con tanti saluti al
celebrato Made in Italy. D'altro canto, anche i bambini delle elementari hanno ormai capito che produrre in
Italia non conviene non solo per il costo della manodopera o la pressione fiscale sulle aziende, ma anche per
una burocrazia insopportabile e una giustizia civile impossibile. E ' giusto essere orgogliosi delle nostre
eccellenze e della nostra creatività, ma che senso ha se non si fa nulla per frenare una deriva - la fuga dei
marchi che si aggiunge a quella dei cervelli che ormai ha cominciato a mietere anche posti di lavoro. Rosario
Dimito
Olanda
Chi investe in Italia
2%
2%
2%
15%
17%
16%
11%
4%
7%
9%
2%
3%
3%
3%
4% India Cina Russia USA Spagna Turchia Giappone Canada Svizzera Francia Germania Lussemburgo
Resto del mondo Gran Bretagna Marchi in fuga Indesit Nel 2014 il colosso passa a Whirlpool per 758 milioni
Loro Piana A inizio estate 2013 Loro Piana cede l'80% a LVMH Bulgari Nel 2011 LVMH compra Bulgari per
4,3 miliardi Valentino Nell'estate 2012 il gruppo Valentino finisce in Qatar
«EROGATI 5,1 MILIARDI ALLE NOSTRE IMPRESE PER PROGETTI D'INVESTIMENTO» presidente
dell'Abi Antonio Patuelli
09/11/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 8
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«Sindacati ridicoli. E boccio il reddito minimo»
Il Pc e il convegno «Inno alla rivoluzione sovietica». Il leader: «Renzi fa il neoliberista»
Pier Francesco Borgia
Roma Un tempo era la sede romana della Federazione comunista italiana. Oggi i locali di via dei Frentani si
sono trasformati in un centro congressi. Ed è qui che ieri si è svolto il convegno Inno alla rivoluzione sovietica
, promosso dal Partito comunista di Marco Rizzo, con rappresentanti di una trentina di Paesi, compresi
nordcoreani e cubani. I maliziosi liquiderebbero la cosa come l'ennesima «operazione nostalgia». «Dobbiamo
ripartire dai fondamentali. Il messaggio che lanceremo è che non è fallito il comunismo bensì la sua revisione.
O meglio le revisioni fatte dagli anni Quaranta in poi». Difficile pensare di poter tornare indietro. La società di
mercato sembra inattaccabile . «La società di mercato è avanzata perché facevano pensare che era l'unico
modo per far crescere l'economia e il benessere. Ma non è così. Basta pensare a cosa accadrebbe se tutti
vivessero con il tenore di vita degli americani». E cosa accadrebbe? «Non basterebbero cinque pianeti per
sfamarci tutti». Quindi anche voi prospettate la decrescita felice? «Al contrario! E poi ogni decrescita è
infelice. Come è infelice anche l'idea del reddito minimo garantito». Detta da un comunista suona un po' forte.
«Vogliamo il lavoro. E il lavoro è possibile. Basta poco. Bisogna nazionalizzare tutte quelle industrie che dal
Dopoguerra a oggi hanno ricevuto soldi pubblici o che hanno delocalizzato». Per tornare ai tanto odiati
«carrozzoni di Stato»? «Mai! Piuttosto bisogna farli gestire dagli stessi lavoratori. Loro sì che hanno a cuore
le aziende». Chissà cosa direbbe la Cgil. «Meglio lasciarla perdere!» Non sta esagerando con i paradossi?
«Solo adesso che Renzi fa il neoliberista puntano i piedi. Ridicoli! Ora anche D'Alema è con loro ma solo per
riconquistare potere! Il sindacato che vogliamo noi deve essere un sindacato di classe. E guardi che la nostra
ricetta fa bene anche al ceto medio». Questa me la deve spiegare. «Dal 2000 a oggi le persone con un
patrimonio di oltre 50 milioni di euro sono triplicate, mentre la proletarizzazione del ceto medio è inarrestabile.
Ecco perché tutti dovrebbero fare attenzione al nostro modello di sviluppo». "Fronda Gli anti renziani vogliono
solo il potere
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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L'intervista Marco Rizzo
09/11/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 17
(diffusione:125215, tiratura:224026)
UniCredit pronta a finanziare 150mila imprese
Con le linee di credito della Bce l'istituto di Piazza Gae Aulenti ha varato un programma di sostegno
all'economia reale
Prosegue e si intensifica l'attività di UniCredit a sostegno dell'economia italiana. La banca, grazie
all'assegnazione di 7,75 miliardi di euro per il nostro Paese all'asta Tltro (acronimo per Targeted long term
refinancing operation) dello scorso 18 settembre, intende infatti potenziare ulteriormente l'attività creditizia
che l'ha portata, nella prima metà del 2014, a erogare 15,5 miliardi di nuovi finanziamenti alle imprese
italiane, pari al 25% delle nuove erogazioni di tutto il sistema bancario. Il programma, che si chiama "Valore
Europa", si propone di stimolare la crescita e allargare l'accesso al credito per le imprese, oltre a supportare
gli investimenti delle famiglie su progetti sostenibili. I fondi ottenuti da parte di UniCredit dalla Bce nell'ambito
del Tltro saranno integralmente destinati al credito. La banca ha richiesto l'importo massimo consentito per le
proprie attività in Italia, decidendo di accordare la priorità ai finanziamenti alle imprese che intendono fare
investimenti pluriennali per sostenere lo sviluppo e ricominciare a crescere. Gli indicatori mostrano come la
domanda di credito per investimenti sia purtroppo ancora debole: circa la metà delle imprese lavora con
mezzi propri e si assiste a una progressiva crescita dei depositi, sintomo di un clima ancora attendista. Per
questo la banca si sta impegnando per stimolare nuova domanda di credito, una condizione necessaria a
innescare un nuovo percorso di crescita nel Paese. Il programma "Valore Europa" di UniCredit si propone di
fornire un concreto supporto all'economia reale agendo su tre direttive distinte. Vediamole in breve. - Linea
Investimenti : con l'obiettivo di stimolare nuovi investimenti produttivi, verranno trasferiti alle imprese i benefici
del minor costo del denaro che deriva dal nuovo programma deciso dalla Bce, attraverso finanziamenti a
tasso agevolato, caratterizzati anche dalla massima flessibilità di rimborso, in termini di preammortamento,
rimborso del capitale a scadenza quadriennale con la possibilità di rifinanziamento per ulteriori 4 anni. - Linea
Crescita : obiettivo di "Valore Europa" è anche quello di facilitare l'accesso al credito, estendendo la platea di
soggetti che possono accedere a nuovi finanziamenti. Per questo UniCredit, in partnership con soggetti
istituzionali come il Fondo Centrale di Garanzia e i Confidi, offrirà alle imprese l'azzeramento del costo della
garanzia, un finanziamento a tasso agevolato e un processo di erogazione immediato. UniCredit ha già
identificato 150mila aziende italiane che potranno beneficiare di questa offerta. L'intervento coinvolgerà,
sempre valorizzando il supporto del Fondo Centrale di Garanzia, anche le 2.500 start up innovative presenti
in Italia che, attraverso finanziamenti fino a 100mila euro con costo della garanzia azzerato e tempi di
erogazione accelerati, potranno ottenere il supporto finanziario necessario al consolidamento della propria
attività. - Linea Sostenibilità : per stimolare anche gli investimenti delle famiglie, UniCredit ha progettato
specifici prestiti per la ristrutturazione edilizia e per la riqualificazione energetica, a un tasso annuo nominale
(Tan) del 5%, migliore offerta esistente oggi sul mercato. UniCredit conferma, con "Valore Europa", il
massimo impegno nel fornire supporto all'economia reale del Paese. I numeri confermano come qualcosa si
stia già muovendo. Nel primo semestre 2014 le erogazioni di nuova finanza al sistema produttivo italiano
sono cresciute del 62% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche su questo punto farei un focus
con le immagini della presentazione allegata Ora l'intervento della Bce imprime ulteriore forza a questo
impegno. Con "Valore Europa", infatti, verranno trasferiti ai clienti i benefici del minor costo del denaro che
deriva dal Tltro, a prezzi finali che risulteranno, sempre considerando le classi di rating di merito creditizio
delle singole aziende, più vantaggiosi per tutti.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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In collaborazione con Risorse per lo sviluppo
10/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
Andrea Bonanni
Bruxelles 0049 30 18 27 22 720: Henry Kissinger, che si chiedeva quale fosse il numero di telefono
dell'Europa, oggi avrebbe una risposta. Il numero è questo. Peccato che non abbia il prefisso di Bruxelles ma
di Berlino. E' da qui, infatti, dal palazzo di vetro e cemento bianco della Cancelleria, che di fatto si governano i
destini di cinquecento milioni di cittadini europei, anche se solo ottanta milioni di tedeschi hanno il diritto di
scegliere chi poi guiderà tutti gli altri. La prevalenza della Germania è ormai un fatto acquisito a livello
europeo. All'inizio era solo una prevalenza economica. Poi è diventata politica. Ora ha raggiunto i livelli di una
prevalenza culturale. Vista da Bruxelles, dove hanno sede le istituzioni comunitarie, si tratta anche
tangibilmente di una prevalenza burocratico-amministrativa. segue a pagina 2 La Germania ha piazzato i suoi
uomini di fiducia (quasi sempre organici al partito della Cancelliera) in tutti i gangli vitali della macchina
europea. Tedesco, ed ex consigliere di Angela Merkel per gli affari europei, è Uwe Corsepius, potente
segretario generale del Consiglio europeo. Tedesco, già responsabile del settore esteri della Cdu, è Klaus
Welle, segretario generale del Parlamento europeo. Tedeschi del resto sono il presidente del Parlamento
Martin Schulz, socialdemocratico, e Manfred Weber, capogruppo del Ppe, partito di maggioranza
nell'assemblea di Strasburgo. Di Lubecca è Klaus Regling, discreto direttore dell'Esm, il Fondo salvastati, già
consigliere della Merkel per la regolazione finanziaria. Di Bonn è Martin Selmayr, capo di gabinetto del
presidente della Commissione Juncker, di cui era stato anche il direttore della campagna elettorale come
capofila del Ppe alle elezioni europee. Molti lo considerano l'eminenza grigia del Presidente. Di certo, gode
della fiducia e dell'ascolto della Cancelleria. Alla guida della m a c c h i n a d e l l a Commissione la Germania
ha quattro direttori generali, sei vice-direttori generali e 29 direttori. Nei gabinetti dei commissari, dove si
forgiano le scelte politiche di fondo, i tedeschi hanno quattro capi di gabinetto, cinque vice e praticamente un
funzionario in ogni gabinetto. Per dare un'idea dello strapotere di Berlino, l'Italia, che pure in questa nuova
Commissione ha registrato il massimo storico, conta su un capo di gabinetto, quattro vice e 13 membri
disseminati in ventotto gabinetti. La storia delle istituzioni europee ha conosciuto diversi cicli egemonici che
corrispondono al mutare dei grandi orientamenti politici ma che hanno avuto sempre la Germania come deus
ex machina . Sino alla fine degli anni '90, la mentalità, la cultura, la lingua di lavoro e la nazionalità prevalente
nelle posizioni di vertice era francese. Era dovuto al fatto che, nell'asse franco-tedesco che governava
l'Europa, la Germania assumeva il ruolo di partner silente. Ancora inibiti dalla pesante eredità morale della
guerra, i tedeschi lasciavano il proscenio ai francesi a condizione che le scelte strategiche fossero
preventivamente condivise tra Parigi e Berlino. Il culmine di questa fase, e anche la sua fine, si è raggiunto
con il Trattato di Maastricht, in cui la Germania ha accettato l'unione monetaria rinunciando a pretendere
l'unione politica che avrebbe voluto ma che si scontrava con il veto di Parigi. Poi, lentamente, gli anglofoni
hanno preso il sopravvento. Anche quest'evoluzione è stata frutto di una alleanza strategica con la Germania
in funzione dell'allargamento ad Est. Questo obiettivo, mal visto dalla Francia fin dal momento della
riunificazione, era condiviso per motivi diversi dai britannici e dai tedeschi. Londra vedeva nell'ampliamento
Ue un modo per diluire e frenare l'approfondimento dell'integrazione. Berlino, diventata nel frattempo capitale,
vi trovava molti vantaggi concreti: allargare i propri mercati, assicurare le frontiere orientali e mettersi al
centro, geograficamente e politicamente, di una Europa più vasta, meno mediterranea e meno condizionata
dalle altre due grandi potenze. La prevalenza tedesca di questo terzo ciclo è frutto delle scelte di allora e si
accompagna al declino economico della Francia e dell'Italia e alla crescente ostilità della Gran Bretagna
verso il progetto europeo, che ha portato Londra a estraniarsi dalle istituzioni comunitarie. La nuova fase
coincide con l'aprirsi della crisi dei debiti sovrani, che mette a nudo le carenze dell'Unione monetaria e
dimostra come solo Berlino abbia i conti in ordine e la forza economica per salvare, naturalmente alle proprie
condizioni, gli altri naufraghi nella tempesta. In questo nuovo ruolo i tedeschi non hanno più bisogno né
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Europa, tutto il potere a Berlino
10/11/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
Pag. 1
(diffusione:581000)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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interesse a nascondersi dietro agli occasionali compagni di viaggio, siano essi francesi o britannici. Oggi la
Germania governa l'Europa dal centro di una triplice cinta di mura che rafforzano la sua posizione. In campo
monetario, è rimasta il leader indiscusso della vecchia area del marco - Francia, Olanda, Austria, Finlandia,
Belgio e Lussemburgo che ora si è trasferita nell'euro e ha potuto affrontare la crisi degli spread senza troppi
scossoni. Da punto di vista politico, la Merkel è regina incontrastata del Ppe, il Partito popolare europeo, che
ha la maggioranza nel Parlamento di Strasburgo, esprime la quasi totalità dei capi di governo, con
l'eccezione di Francia e Italia, e detta le linee di politica economica per il continente. Dal punto di vista
geostrategico, Berlino è il punto di riferimento di un'Europa che pende ad Est, e che la paura
dell'espansionismo russo spinge sempre più a cercare la tutela tedesca. Il differente peso che l'Ue ha dato
alla crisi Ucraina e a quella mediorientale, pur con le decine di migliaia di profughi che rischiano la vita nel
Mediterraneo, ne è la prova più evidente e più dolorosa. Qualunque grande potenza, dalla Cina agli Usa alla
Russia, che debba risolvere un problema con l'Europa telefona ad Angela Merkel. A Bruxelles, o alle altre
capitali, si rivolge, semmai, per i dettagli. La Cancelliera orienta quel poco di politica estera che l'Ue si è data.
E' lei che telefona a Putin per l'Ucraina o ad Obama per il Trattato transatlantico e per protestare contro le
intercettazioni della Nsa. E' la Germania a dirigere la politica di bilancio dell'eurozona, e a condizionare
sempre più anche la politica economica con l'imposizione di riforme strutturali. E' ancora la Germania a
ispirare gli standard europei in materia di ambiente, o di energia, o di tutela dei consumatori. Naturalmente
quest'esposizione in primo piano della potenza tedesca ha un elevato prezzo politico. Che però finora è
pagato negli altri Paesi. Dai Cinque Stelle italiani ai Podemos spagnoli, dall'Ukip britannico alla destra
nazionalista francese, i movimenti di contestazione contro l'Europa si alimentano di un risentimento antigermanico che mischia, non sempre in buona fede, irritazioni attuali e odii antichi, che ci si illudeva fossero
stati superati. Il solenne impegno di Kohl, «non voglio un'Europa tedesca, ma una Germania europea»,
sembra così destinato a finire nel limbo delle buone intenzioni. È vero solo in parte. Innanzitutto perché, sia
pure dominante, questa è, effettivamente, una Germania europea. La classe dirigente tedesca, a cominciare
da quella politica, è l'unica che abbia davvero interiorizzato una visione europea delle problematiche imposte
da un mondo globalizzato. Ed è l'unica, con poche eccezioni tra cui una parte dell'establishment italiano, che
ancora creda intimamente nella visione di una Europa più integrata. Come osserva un alto funzionario della
Commissione, la Germania è l'unico Paese che sappia trasmettere un messaggio riconoscibile sul futuro
della Ue. E non è un messaggio egemonico. Quando la Merkel parla di «fare i compiti» o di «mettere ordine
in casa propria», può suonare antipatica e saccente ma esprime una esigenza profondamente sentita da tutti
i tedeschi. La richiesta quasi ossessiva di ordine, di affidabilità, di rispetto degli impegni assunti, non esprime
una volontà di sopraffazione. Declina, in base alla cultura e alla logica tedesca, le condizioni alle quali la
Germania è disposta ad accettare una ulteriore condivisione di sovranità. Reinhard Silberberg, già incaricato
per gli affari europei della Cancelleria e ora ambasciatore tedesco presso la Ue, ama ripetere che la
Germania, in Europa, «è un leader riluttante». E non ha tutti i torti. Per restare sul treno europeo, la Merkel in
questi anni ha dovuto piegarsi ad accettare molti passi che non avrebbe mai voluto compiere: dal fondo
salvastati all'unione bancaria, dagli interventi straordinari della Bce alla supervisione unica del sistema
creditizio, al ruolo decisivo del Parlamento europeo nel nominare il presidente della Commissione. Questa
Europa a sovranità limitata e sotto tutela di Berlino non è un'Europa tedesca. E' solo un'Europa in dolorosa
transizione. Quando i governi nazionali, a cominciare da quello francese, capiranno che il solo modo per
restituire piena sovranità ai loro cittadini è quello di condividere il potere politico come hanno condiviso la
moneta, la Germania sarà probabilmente la prima a dire di sì. E ottanta milioni di tedeschi smetteranno, forse
con sollievo, di decidere per cinquecento milioni di europei. MARTIN SCHULZ, VASSILIOS SKOURIS, JEANCLAUDE JUNCKER, KLAUS REGLING, VITTOR MANUEL DA SILVA CALDERIA, DONALD TUSK,
ANDREA ENRIA , MARIO DRAGHI, MICHEL LEBURN, HENRY MALLOSSE, JYRKI KATAINEN, MAROS
SEFCOVIC, FRANS TIMMERMANS, JEAN -CLAUDE JUNCKER, FDERICA MOGHERINI, KRISTALINA
GEORGIEVA, VALDIS DOMBROVSKIS, ANDRUS ANSIP, NEVEN MIMICA , CECILIA MALMSTROM,
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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JOHANNES HAHN, DIMITRIS AVRAMPULOS, PHIL HOGAN, VIOLETA BULC, PIERRE MOSCOVICI,
VYTENIS ANDRIUKAITISFUNZIONARI Uwe Corsepius (1) segretario generale del Consiglio Europeo; Klaus
Velle (2) segretario generale del Parlamento Europeo; Martin Selmayr (3) capo di Gabinetto di JeanClaude
Juncker
Foto: Nella foto qui a fianco, Angela Merkel con il neopresidente della Commissione europea, Jean-Claude
Juncker A destra, Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Ue a Bruxelles; a sinistra la costellazione
delle principali istituzioni comunitarie permanenti
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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Gros: "Nella Ue la Commissione è senza armi"*
Eugenio Occorsio
«L' Europa dominata dai tedeschi? Può essere, purché naturalmente non si prenda come parametro la
composizione della Commissione dove di tedeschi non ce ne sono proprio. Però a questo punto è il caso di
chiedersi perché l'Ue non riesce a "governare" nel senso più proprio del termine. Eppure sarebbe decisivo
per ritrovare tutti insieme la via dello sviluppo». Daniel Gros, già consulente del Fondo Monetario e della
stessa Commissione Ue, economista tedesco fra i più imparziali, ci tiene a riportare il dibattito verso i temi più
costruttivi. Al primo posto, l'urgenza che l'Europa si doti di un esecutivo degno di tal nome. segue a pagina 3
Gros, il cui impegno quotidiano è quello di studiare con oggettività la realtà europea dall'osservatorio del
Center for European Policy Studies, il think-tank di Bruxelles che dirige, non conferma fino in fondo
l'immagine di un'Europa a trazione tedesca, ma soprattutto ritiene ozioso questo problema. Occorre, spiega,
concentrarsi sulla necessità di un governo europeo in possesso di autentici poteri, il che andrebbe a
vantaggio di tutti. «La Commissione di fatto conta pochissimo, ma ora perfino la Bce, l'unico organo
veramente esecutivo, sembra paralizzata dai veti incrociati. Guardate cos'è successo l'altro giorno: la banca
ha ritrovato l'unanimità ma solo perché si è trattato di non decidere nulla di concreto. Lo stesso Draghi non ha
potuto dire altro che lo staff "studierà" ulteriori misure monetarie, e ha fissato tutt'al più il plafond di esse, il
famoso "trilione". Come si farà per renderle operative, è un problema rinviato. Detto per inciso, in
un'economia dove la maggior parte degli investimenti è finanziata con prestiti bancari, il quantitative easing
avrebbe effetti limitati. E ho qualche dubbio, a meno che non sia di proporzioni davvero immani, anche sulla
sua utilità contro la deflazione, che resta un problema gravissimo per i debitori ma un enorme beneficio per i
creditori». Torniamo alla Commissione, che dovrebbe essere l'organo "esecutivo" dell'Europa. Un po' di arte
di governo prova a farla: guardi l'imperiosità di Katainen, che non sarà tedesco ma della Germania interpreta
la "filosofia" economica, quando ha mandato in tutta fretta due settimane fa - prima ancora di insediarsi - le
lettere di ammonimento a Italia e Francia. Non si sono, questi due Paesi, affrettati a correggere le rispettive
manovre? «Appunto, questo dimostra quanto sostengo. Roma e Parigi hanno apportato in poche ore due
ritocchi assolutamente marginali, 3,8 miliardi l'Italia e 4,5 la Francia, più o meno lo 0,2% del rispettivo Pil. Ed
è bastato perché la Commissione prendesse tutto per buono e perfino il "superfalco" Katainen smettesse di
fare la voce grossa. Nessuna procedura ulteriore è stata decisa, malgrado che i due Paesi siano in palese
infrazione, la Francia per il deficit/Pil e l'Italia per il debito/Pil. Segno che la Commissione non conta nulla.
Posso capire che il ministro teDANIEL GROS, DIRETTORE DEL THINK-TANK COMUNITARIO CEPS: "A
DECIDERE LE SCELTE STRATEGICHE NON SONO GLI ORGANI ISTITUZIONALI MA LE INTESE A
GEOMETRIA VARIABILE FRA I VARI PAESI. E QUANDO SI FORMA UN'OPPOSIZIONE DI MEMBRI
FORTI L'ESECUTIVO UE DI FATTO GETTA LE ARMI" desco Schauble si sia risentito per come sono andate
le cose. Ha ragione Renzi quando dice che per acquietare Bruxelles sono bastati "pochi spiccioli"». Se è per
questo il premier italiano è anche convinto che la Commissione non sia altro che una "banda di burocrati".
Allora ha ragione? «Di certo Bruxelles non ha un vero potere politico. Altrimenti andrebbe più a fondo nel
perseguire il rispetto delle regole, che sono frutto - va ricordato di trattati firmati volontariamente da tutti i
Paesi membri. Invece l'interpretazione e l' enforcement delle norme viene lasciato a una vaga e
imponderabile trattativa fra i vari governi. Del resto, non è un problema di oggi. Nel 2003 furono i tedeschi,
insieme ai francesi, a sfondare vistosamente il rapporto deficit/Pil, e poterono farlo senza conseguenze sulla
base di un'interpretazione "dinamica" del Patto di Stabilità, un'impostazione che si è rivelata quanto di più
indefinito, e potenzialmente pericoloso, si possa immaginare. Ora c'è il problema del Fiscal Compact: l'Italia si
sta auto-autorizzando a rinviare al 2017 o al 2018 il redde rationem sulla questione del debito, nella più totale
noncuranza da parte di tutti». Quest'incertezza del diritto comunitario taglia alla radice le speranze che dalla
Commissione possa venire un input in favore di politiche più espansionistiche, quelle che chiedono i Paesi in
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[ L'INTERVISTA ]
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difficoltà? «Non bisogna impostarla sulle ideologie, altrimenti sì che Bruxelles diventa un covo di burocrati. Di
fatto oggi tutto è affidato alla buona volontà di questo o quello Stato membro. Ma poi non è il caso di credere
alla divisione troppo schematica "falchi" contro "colombe", bisogna perlomeno osservare come ci sia una
geografia variabile a seconda dell'argomento di cui si tratta con Paesi che cambiano schieramento a seconda
delle opportunità. Per esempio, il Portogallo che ha fatto scelte coraggiose ora si schiera con i falchi. La
Germania dal canto suo ha annunciato un piano di investimenti infrastrutturali da 10 miliardi per rilanciare la
domanda aggregata. E non è semplice per Berlino varare progetti di questo tipo perché la massima parte
della spesa pubblica non è governata a livello statale bensì di laender e di comuni, e convincerli a investire
per il bene dell'Europa non è facile». Insomma ognuno è europeista a modo suo. E i famosi e strapromessi
300 miliardi di Juncker? «Macché, quelli sono solo un sogno. La Commissione di soldi ne ha pochissimi. Non
ha un budget e non ha un governo. Può solo proporsi come "motore" per cercare intese fra i Paesi membri.
Ma se si forma un'opposizione anche solo di alcuni Stati che pesano, l'unica cosa che può fare è prendere
atto della volontà contraria e adeguarsi». THOMSON REUTERS DATASTREAM, S.DI MEO
Foto: Daniel Gros , presidente del Center for european policy studies
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Alihad, il piano vola alto*
Ettore Livini
Alitalia si presenta alle nozze con Etihad con un vertice totalmente rinnovato e in una versione "light" che le
ha consentito di presentarsi all'altare - se non proprio in gran forma - almeno con ancora qualche spicciolo in
tasca. La tabella di marcia verso i fiori d'arancio è ormai chiara: il prossimo 17 novembre, salvo sorprese,
dovrebbe arrivare il verdetto dell'antitrust Ue sull'operazione che porterà l'aerolinea di Abu Dhabi a rilevare il
49% dell'ex compagnia di bandiera tricolore. segue a pagina 8 Il pressing di Lufthansa - in prima linea per un
no secco all'accordo - non sembra essere andato in porto. Stando a indiscrezioni attendibili, Bruxelles
dovrebbe dare il via libera condizionato. Subordinandolo forse solo alla cessione di qualche slot, specie sui
collegamenti con Belgrado e forse verso l'Est. Una settimana dopo, incassata la benedizione dall'Unione,
l'assemblea dei soci farà decollare in modo ufficiale la nuova Alihad. Consegnando la poltrona di
amministratore delegato a Silvano Cassano, quella di presidente (salvo rinunce dell'interessato, già
designato) a Luca Cordero di Montezemolo e facendo un mini-pieno alle casse del gruppo. I soci metteranno
mano al portafoglio per staccare una prima tranche di 80 milioni dell'aumento di capitale da 300 per
consentire alla compagnia di volare fino a gennaio nel suo assetto attuale. A inizio anno si completerà il
puzzle: Etihad verserà i suoi soldi ed entrerà nell'azionariato. E i tanti progetti industriali già allo studio dei
tavoli al lavoro da mesi si tradurranno a quel punto in realtà. Ridisegnando network e look Alitalia,
integrandolo nella ragnatela di alleanze del Golfo per trasformarla - come ripete come un mantra il numero
uno di Abi Dhabi James Hogan - nell'aerolinea «più sexy» del mondo grazie a un piano di investimento
complessivo da 1,7 miliardi. L'addio al passato I numeri sono in effetti il primo segno di discontinuità con il
passato. I cinque anni di avventura della cordata dei patrioti sono stati scanditi a intervalli regolari dagli
allarmi liquidità e da aumenti di capitale di taglia "bonsai" fatti spremendo i portafogli di azionisti riottosi in un
circolo vizioso che un po' alla volta (pur rinnovando aerei e flotta) ha ridimensionato la compagnia. Lo stesso
copione è andato in onda in questi mesi di avvicinamento all'alleanza con Etihad. In attesa del fatidico "sì", i
vertici del vettore tricolore hanno iniziato a sforbiciare il network domestico e quello a breve medio-raggio
europeo. Il segmento di mercato su cui puntava il piano Fenice messo a punto nel 2008 da Corrado Passera
che si è rivelato invece la palude dove si sono impantanati - complice la concorrenza di Ryanair e Easyjet - i
sogni dei patrioti. La dieta, più che uno sfizio, è ed è stata un obbligo. Alitalia ha perso 1,5 milioni al giorno nel
2013. Farà un altro buco importante quest'anno (tra 250 e 300 milioni) e finirà in rosso anche nel 2015 e nel
2016. Hogan quindi è stato chiaro: in questa prima fase di interregno prima del decollo di Alihad la parola
d'ordine, molto trapattonianamente, è «non prenderle». Mentre gli strateghi disegnano le future strategie,
fatte di più voli intercontinentali e a lungo raggio e di un servizio di bordo all'altezza del brand del "Made in
Italy", i ragionieri di bilancio con l'ad Gabriele del Torchio hanno continuato a tagliare. Una dieta obbligatoria
L'operazione è avvenuta in due fasi: prima con la riduzione degli organici (2.251 esuberi in base agli accordi
sindacali, di cui 994 in mobilità). E, a fianco, con la sforbiciata alla flotta operativa, la miglior misura del
ridimensionamento delle ambizioni della nostra gloriosa excompagnia di bandiera. Nel 2007, prima del crac,
nei cieli mondiali volavano 175 aerei con la livrea tricolore. A fine 2013 erano 137 ora siamo scesi a 126. Una
terapia d'urto che ha avuto però il pregio di ridurre le perdite. Il cronoprogramma di Alihad prevedeva che le
casse di Alitalia si sarebbero già svuotate verso la fine dell'estate. Invece Del Torchio, pure in uscita, ha fatto
un mezzo miracolo. E il combinato disposto di meno costi e più entrate del previsto (tra gennaio ed agosto
sugli aerei del gruppo sono saliti 2,3 milioni di passeggeri, il 2,6% in più del 2013 e con un tasso di
occupazione in netto miglioramento) ha garantito l'operatività fino a fine novembre senza salvagenti dei soci.
La nuova Alihad La nuova Alitalia nascerà proprio partendo da queste ultime iniziative. Ma sarà
completamente diversa da quella di Colaninno & C. I piani di Hogan - il vero regista dell'operazione - sono
chiari. Integrare la società italiana nel network europeo del gruppo. Utilizzando i suoi voli a breve raggio per
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[ L'INCHIESTA ]
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portare passeggeri verso i suoi hub (Roma, Abu Dhabi ma anche Dusseldorf e Berlino) in una ragnatela dove
il Golfo è lo snodo verso Oriente e Africa, la Germania per il Nord America e lo scalo romano verso l'America
del Sud. Un piccolo aperitivo c'è già stato con l'intesa in code share con Air Berlin che sfruttando alcuni slot di
Alitalia a Linate - quelli dedicati una volta alla navetta per Roma messa fuori mercato dall'alta velocità - si è
trasferita al city airport dalla Malpensa aumentando i collegamenti tra Milano e la Germania. La flotta
cambierà profilo e look. Con un investimento importante sull'immagine, un taglio del 13% degli aerei più
piccoli e un aumento del 32% dei wide-body, i jet per il lungo raggio, visto che Alitalia dovrebbe aggiungere
nei prossimi cinque anni dieci nuove rotte intercontinentali. E con un'integrazione molto maggiore con il treno.
La società ha già firmato un primo accordo preliminare con Italo e la Nuovo Trasporto Viaggiatori per
integrare il network voli-ferrovia unendo prenotazioni, biglietti e (in un futuro) check-in. Un progetto destinato
inevitabilmente da accelerare se al vertice del gruppo dovesse arrivare Luca Cordero di Montezemolo, socio
di Ntv. Obiettivo sinergie Oltre al lifting di flotta e rotte c'è però un piano altrettanto ambizioso per integrare al
meglio l'organizzazione di Alitalia con quelle di Etihad per liberare sinergie che valgono potenzialmente
diverse centinaia di milioni. L'accordo comune per gli acquisti di carburante è solo la punta dell'iceberg. La
compagnia italiana, per dire, potrà sfruttare l'ampio portafoglio di ordini dell'alleata del Golfo per ottenere
come e quando vorrà i grandi aerei per voli a lungo raggio di cui ha bisogno. Un ampio ventaglio di
opportunità di collaborazione si spalancherà anche sul fronte informatico, dei sistemi di prenotazione e di
fidelizzazione. Qui scatterà una sorta di triangolo, con le Poste italiane, fresco socio di Alitalia, pronti a fare la
loro parte grazie anche alla capillare rete di agenzie distribuite in ogni angolo d'Italia. Il matrimonio con
Etihad, a modo suo, servirà pure come ammortizzatore sociale per assorbire meglio gli esuberi previsti dal
partner del Belpaese. Il primo esempio è già arrivato in queste ore con una quarantina di piloti del vettore
romano che hanno appeso al chiodo la vecchia divisa Alitalia per trasferirsi armi e bagagli ad Abu Dhabi.
Accolti da abitazione gratis, posto di lavoro, scuola per i figli e la certezza di essere assunti da una
compagnia che - incrociando le dita - sembra avere mezzi finanziari in grado di consentirle di attraversare i
cieli tempestosi del trasporto aereo meglio del loro ex datore di lavoro. Il segreto della nuova Alihad, in fondo,
è tutto qui. Da decenni la nostra compagnia ha volato ogni giorno, anche quelli più sereni, con un orizzonte finanziariamente parlando - molto cupo. Prima il socio era uno Stato senza soldi. Poi una cordata di privati
italiani che alla prova dei fatti si è rivelata un po' squattrinata (oltre che penalizzata dagli errori strategici). Ora
tutto è cambiato. Etihad punterà 590 milioni in contanti per rafforzare l'alleata. Il nuovo management potrà
lavorare per due-tre anni senza l'assillo dell'estratto conto di fine mese. Hogan, uomo assai esigente, si
accontenta di vedere il primo utile a fine 2017. Se la scommessa strategica del manager australiano si
rivelerà azzeccata, forse Alitalia - dopo tanti sacrifici anche da parte dei dipendenti - potrà finalmente dire di
essere davvero riuscita a voltare pagina.
[ AL VERTICE ] Qui sopra, il numero uno di Etihad, il ceo James Hogan (1) e l'ad uscentedi Alitalia Gabriele
Del Torchio (2) che ha avviato il risanamento dei conti del vettore italiano 1 2
Foto: Qui accanto, Luca Cordero di Montezemolo è il candidato designato alla presidenza dell'Alitalia e verrà
nominato dopo che, la prossima settimana, l'accordo con Etihad avrà incassato l'ok dell'Ue
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Adriano Bonafede
Sarà davvero l'ultimo? Sono in molti ad augurarsi che l'aumento di capitale da 2,5 miliardi deciso dal consiglio
d'amministrazione del Monte dei Paschi la settimana scorsa non abbia in un futuro, vicino o lontano che sia,
alcun seguito. Il dubbio è legittimo, se si considerano le circostanze con cui si è arrivati alla definizione di
questa ricapitalizzazione. segue a pagina 16 con un servizio di Vittoria Puledda Dai 3 miliardi chiesti al
mercato alla fine del 2013 dal presidente Alessandro Profumo e dall'ad Fabrizio Viola (e poi bloccati dalla
Fondazione Mps allora guidata da Antonella Mansi) si era passati a giugno del 2014 a 5, dopo che erano stati
considerati i paletti posti dalla Bce all'asset quality review e agli stress test. Ora, a distanza di soli tre mesi, e
dopo che la Bce ha mostrato uno shortfall di 2,1 miliardi sugli stress test, è stato deciso un aumento di
capitale da 2,5 miliardi, superiore a quanto richiesto. Anche stavolta, quindi, non è mancata la sorpresa. Ma
non è tutto: nel capital plan che sarà presentato oggi lunedì 10 novembre alla Bce (e che quest'ultima dovrà
convalidare) ci sono anche altre correzioni. È prevista la vendita di asset non core per 220 milioni (si parla ad
esempio di Consumit, la società di credito al consumo). Ma c'è anche la richiesta di "mitigazione del deficit"
per 390 milioni, dovuta al fatto che il risultato operativo del 2014 sarà migliore rispetto alle previsioni che
hanno costituito la base per l'esercizio degli stress test. In tutto, una correzione da 3,1 miliardi. Che però,
anche questa volta, non risolverà da sola tutti i problemi. Il cammino del risanamento è ancora lungo. «Il
piano di ristrutturazione di Mps si trova - sono parole dello stesso ad Fabrizio Viola - solo nella prima fase». Il
report del 6 novembre di Banca Imi indica tra le prossime misure la vendita di parte dei crediti problematici,
mentre ricorda che il deleveraging , come da piano, dovrà proseguire nei prossimi 3-5 anni. Intanto, la
decisione presa la scorsa settimana ha almeno sgombrato il campo da un'ombra lunga: il possibile ingresso
dello Stato. Il cda ha infatti deciso che Mps rimborserà in anticipo le ultime due tranche, per complessivi
1,071 miliardi, dei Monti Bond. Una decisione che fino a pochi giorni fa non sembrava scontata ed è stata
oggetto di discussioni, tra gli analisti finanziari e sulla stampa. Dopo il l 26 ottobre - data in cui la Bce ha
comunicato l'esito dell'aqr e degli stress test - da alcuni settori sono arrivate pressioni per un intervento dello
Stato. Un intervento possibile semplicemente trasformando i Monti Bond in azioni (cosa che, secondo il
contratto a suo tempo firmato accordando l'aiuto, lo Stato avrebbe potuto in qualsiasi momento fare). D'un
colpo lo Stato (o qualche sua controllata, si parlava di Cdp o di Poste) si sarebbe ritrovato principale azionista
di Mps, con (il calcolo si trova nell'ultimo report del 31 ottobre di Deutsche Bank redatto da Paola Sabbione)
circa il 30 per cento del capitale. Le dichiarazioni dei politici rispecchiavano la discussione in atto. Dapprima il
ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, aveva categoricamente escluso l'intervento dello Stato. Poi, però,
il ministro per gli Affari Regionali, Graziano Delrio, aveva aperto a questa eventualità, poi vagamente
confermata anche dal vice ministro dell'Economia, Enrico Morando, che l'aveva comunque subordinata a una
richiesta del management. Ma la verità è che nessuno dall'interno della banca, né al piano di sopra, tra gli
azionisti, avrebbe mai voluto avere lo Stato come azionista. Per il management, il presidente Alessandro
Profumo e l'ad Fabrizio Viola, è più che comprensibile il non voler essere "comandati" dai politici. Per Axa,
Fondazione Mps, Btg Pactual e Fintech tale evento avrebbe prodotto una diluizione tale che li avrebbe
estromessi dalla conduzione della banca, rendendo inutile il "patto" tra loro sottoscritto (e gli oltre 500 milioni
già messi sul piatto). Meglio dunque, per loro (cosa che probabilmente faranno) sobbarcarsi, pro quota,
l'onere di un nuovo aumento di capitale da 2,5 miliardi, che almeno difende la loro posizione relativa nel
capitale e comunque sarà interamente garantito da un consorzio composto dalle principali banche
internazionali (Ubs, Citi, Goldman Sachs, Barclays, BofA Merril Lynch, Commerzbank, Deutsche Bank,
Société Générale). E che permette alla banca, per ora, un percorso stand alone. All'orizzonte si profila
comunque l'arrivo di un Cavaliere Bianco. Esclusi i grandi istituti italiani, Intesa e Unicredit, che avrebbero
forti sovrapposizioni di business, è circolato anche il nome di Ubi, che potrebbe essere interessata a una
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Monte dei Paschi comincia la fase 2*
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porzione degli sportelli, quelli dell'ex Antonveneta, ma che difficilmente potrebbe digerire un boccone così
grande come l'intero gruppo Mps. Del resto, Antonveneta è stata ufficialmente fusa quest'anno, quindi non
c'era alcuna vera intenzione di fare uno "spezzatino". La via estera, europea in particolare, è dunque la più
probabile. «Servono le spalle larghe per assorbire Mps», dice un analista. «La Bce ha chiesto ora alla banca
di fare nuovi accantonamenti sui crediti per ben 4,2 miliardi. Non è chiaro ancora quanta parte andrà a conto
economico, mentre l'aumento di capitale servirà in parte a coprire questi accantonamenti aggiuntivi». Non è
corretto dire che l'aumento di capitale servirà anche a liquidare i Monti bond perché in effetti degli 1,057
miliardi esistenti, ben 750 milioni (quelli della prima tranche) erano già stati considerati dalla Bce come
restituiti nell'esercizio dello stress test. S.DI MEO
Qui sopra, Alessandro Profumo (1), pres. Mps, il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco (2), il ministro Pier
Carlo Padoan (3),
Foto: Qui sopra, Rocca Salimbeni , la storica sede della Banca Monte dei Paschi a Siena A sinistra,
l'andamento dell'azione Bmps in Borsa
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Roberto Mania
Palazzo Chigi ha detto sì. Sì a risorse "pubbliche" per restare nell'industria di base della siderurgia. Ha dato
via libera alla Cassa depositi e prestiti di Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini per studiare come
intervenire per mantenere una quota di italianità nell'Ilva, oggi dei Riva, altrimenti destinata a finire in mani
francoindiane, quelle del colosso globale dell'acciaio Arcelor-Mittal. segue a pagina 4 Cdp è diventato il
nostro Minotauro delle partite industrial-finanziarie: pubblico negli assetti istituzionali e nella maggioranza del
capitale (l'80 per cento è del ministero dell'Economia, il 18,4 delle Fondazioni bancarie), privato negli
strumenti operativi. Sulla Cassa di Via Goito, e sul suo braccio operativo, il Fondo strategico italiano (80 per
cento della Cdp e 20 per cento di Banca d'Italia) si stanno caricando fin troppe aspettative. Perché si naviga a
vista e si improvvisa molto. E quando non si sa come uscire da un impasse si pensa alla Cdp, un processo
che è diventato quasi un riflesso pavloviano, che travolge tutti: la politica, i sindacati, così come i
rappresentanti delle imprese. Tutti sedotti - nel caso specifico della siderurgia - ad un ritorno all'"acciaio di
Stato", a una riedizione dell'Iri che non fu solo panettoni e inefficienze. Anche perché nessuno degli ultimi tre
governi (Monti, Letta e Renzi) ha mai avuto la possibilità di preparare un vero programma (se mai ne avesse
avuto intenzione) di politica industriale, in una versione più o meno light, più o meno legata alle dinamiche di
mercato, dopo che nella stagione del centro destra anche solo parlare di politica industriale era come
bestemmiare essendo stato assunto il libero mercato come luogo delle scelte ragionevoli. Almeno fino al
crollo di Lehman Brothhers. Certo - senza una via d'uscita concepita dalla Cdp insieme al governo - Taranto
diverrebbe una provincia di un impero multinazionale. Questo è il punto, e questo è quel che vuole evitare
Matteo Renzi. Non può essere il suo governo a rischiare di favorire un lento, inesorabile, percorso verso la
deindustrializzazione, a cominciare dal Sud dell'Italia. D'altra parte si sta vedendo a Terni cosa significa oggi
stare in periferia, subire le decisioni dettate da interessi prevalentemente geopolitici, quelli che mettono
all'angolo la competizione basata su parametri di efficienza e qualità produttiva, mentre da tempo - nel caso
specifico - il baricentro della produzione mondiale dell'acciaio si è spostato dalla vecchia Europa all'India, alla
Cina, alla Russia e al Brasile. Perché - va detto - sia dall'Ilva di Taranto sia dalla fabbrica degli Acciai Speciali
Terni escono produzioni di qualità. Non sono né l'uno né l'altro siti decotti. Dispongono di un'altissima qualità
della manodopera. Non c'è bisogno dunque di rispolverare l'antica cultura della Gepi, questa volta.
L'intervento di Cdp sarebbe di tutt'altra natura. Un po' come è stato l'ingresso del Fondo Strategico in Ansaldo
Energia. Un rilancio, non un salvataggio assistenziale. Eppure il rischio di sconfinamenti è grosso, concreto.
Gorno Tempini, davanti alla Commissione parlamentare, ha detto che la Cdp è interessata alla siderurgia che
considera un settore strategico ma non ha svelato nulla sulle mosse possibili. Con quali strumenti? La Cdp
direttamente o il Fondo Strategico che la Cassa controlla e che con i suoi 4,4 miliardi di rifornimento
finanziario? Sono strategicamente due strumenti distinti. Ed è probabilmente il Fondo quello destinato a
entrare in campo. Di certo, l'Ilva non ha più soldi: il pagamento degli stipendi di novembre è a rischio, le
banche sono disposte a erogare la seconda tranche del prestito solo di fronte a un'offerta vincolante perché
non considerano più sufficienti le manifestazioni di interesse, quelle degli indiani (alleati con il gruppo
Marcegaglia) e quella di Arvedi (alleato con i brasiliani di Companhia siderurigica nacional). Si profila un
braccio di ferro con vittime predestinate i dipendenti come già nel caso dell'Ast. Palazzo Chigi non ha alcuna
intenzione, però, di sommare crisi occupazionali a crisi occupazionali. E poi se in Francia c'è una "legge
Florange" (dal nome proprio di una regione dove venne chiuso uno stabilimento siderurgico) che impone la
restituzione degli aiuti a chi acquista un'azienda ma non ne garantisce la continuità produttiva, l'Italia può
osare di più a difesa dell'interesse nazionale. A Bruxelles non c'è solo il vincolo del 3 per cento che può
essere superato se solo politicamente lo si vuole. La partita dell'acciaio è, dunque, la più attuale. Ha
riproposto la centralità della Cassa depositi al pari delle omonime casse in Francia e in Germania, le quali,
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Cdp, così salverà l'acciaio italiano*
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però, dispongono (differenza non da poco sul piano della effettiva operatività strategica) di un numero di
dipendenti assolutamente incomparabile: 500 la Cdp contro, per esempio, i 5.300 del gigante tedesco della
Kfw. Oltreché di una forza finanziaria non paragonabile. La nostra Cdp, comunque, ha già mutato pelle da
tempo: fa politica industriale direttamente sul terreno di gioco, per quanto molto "a spot", continuando a
erogare mutui agli enti locali attraverso le risorse (242 miliardi di raccolta ben remunerati) del risparmio
postale. Irrora il sistema di liquidità indispensabile pari a circa due punti di Pil l'anno. Nell'ultimo triennio ha
finanziato 83 mila piccole e medie imprese e finanziato sei miliardi di capitale per le società. Con la
maxicedola da 1,5 miliardi arrivata dalla controllata Cdp Reti ha cominciato a diversificare le sue entrate. Per
quanto Cdp viva nella costante contraddizione dell'essere un investitore paziente di lungo corso e un
"raccoglitore" di risorse a breve, com'è la natura del risparmio postale. E viva nella costante inadeguatezza
pure del suo patrimonio netto con impegni finanziari, di contro, in operazioni assai costose. Cdp ha deciso di
autoapplicarsi i parametri di Basilea III, la Banca d'Italia, pur non essendo nel caso soggetto vigilante, ha
effettuato mesi fa - non per caso un'indagine conoscitiva data la delicatezza dei dossier aperti in Via Goito.
Pochi dubbi che Cdp abbia bisogno di rafforzare il capitale proprio, come farebbe qualsiasi altra banca.
Mentre, in attesa che decolli una nuova vera stagione di privatizzazioni, continua a "comprare" quote di
società del Tesoro in dismissione: entro l'anno dovrebbe arrivare STMicroelectronics di cui Via XX settembre
detiene una quota del 13,7 per cento pari a circa 650 milioni di euro. L'asso in mano della Cdp si chiama
allora Fondo strategico italiano, guidato da Maurizio Tamagnini. Nacque nel 2011, per volontà di Giulio
Tremonti, per ostacolare (ma arrivò fuori tempo massimo) l'acquisizione di Parmalat da parte dei francesi di
Lactalis. Il Fondo ha le risorse (l'obiettivo è di portare da 4,4 a 7 miliardi la sua disponibilità di capitale) e una
strategia che, secondo Dario Di Vico nel suo "Cacciavite, robot e tablet", scritto per il Mulino insieme a
Gianfranco Viesti, «valorizza la specializzazione italiana con il made in Italy». Dunque non una politica
industriale «pesante» sul modello francese, composta di settori strategici individuati e calati dall'alto, bensì
un'azione svolta «on the road». Ma questo è coerente con un eventuale intervento nell'Ilva? Va detto: il
Fondo, più realisticamente che la Cdp, entrerebbe nella cordata guidata da Arvedi, non direttamente in Ilva,
visto che le regole di ingaggio dell'Fsi vietano ingressi in azienda con i conti disastrati. E ancora: chi decide le
operazioni strategiche di politica industriale? Il governo con la Cdp in una discussione che non ha nulla di
pubblico, dal momento che nei programmi degli ultimi governi c'è ben poco di strategia industriale, mentre è
in gioco proprio un interesse nazionale? Le risposte, prima o poi, dovranno arrivare. Infine. Con quella che
l'economista Luigi Guiso, professore all'"Einaudi Institute for economics and finance", chiama «la foglia di
fico», cioè la partecipazione delle Fondazioni bancarie, la Cdp opera come fosse un soggetto privato. Guiso
insieme a Tito Boeri chiedono da tempo che le Fondazioni escano dalla Cdp. Innocenzo Cipolletta,
presidente dell'Associazione italiana dei fondi di private equity (Aifi), propone la quotazione in Borsa della
Cassa. Insomma è chiaro: al Minotauro non ci sono alternative, tanto più in questa fase di declino industriale
nel quale l'Italia ha perso il 25 per cento della sua capacità produttiva, ma la sua doppiezza (un po' pubblico,
un po' privato) è un'anomalia che potrebbe non reggere nel tempo lungo. S.DI MEO
[ I PROTAGONISTI ] Qui sopra, il presidente di Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini (1),
l'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini (2) e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan (3) 1 2 3
Foto: Qui sopra, la sede della Cassa Depositi e Prestiti a Roma, in via Goito, subito alle spalle del ministero
dell'Economia Qui sopra, l'ad di Poste Italiane Francesco Caio
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Marie Bolloré a 26 anni nel consiglio Mediobanca*
Anais Ginori
a pagina 6 Parigi Dalla Villa Montmorency a piazzetta Cuccia. Marie Bolloré è cresciuta nella "gated
community" più esclusiva di Parigi, dove si concentrano alcune delle grandi fortune di Francia. A ovest della
capitale, in qualche ettaro preservato dal traffico e dagli intrusi, i miliardari transalpini hanno la loro piccola e
segreta oasi. Vincent Bolloré è il vicino di Arnaud Lagardère, Xavier Niel, Tarak Ben Ammar, Nicolas Sarkozy
e Carla Bruni. Ma la nuova consigliera di Mediobanca, presentata a Milano dal padre e da Ben Ammar, è la
meno famosa rampolla di casa Bolloré. Anzi, fino all'assemblea del 28 ottobre era un'erede invisibile: mai
vista alle serate di gala dell'alta borghesia parigina, nessuna citazione su Google, impossibile rintracciare una
sua fotografia. A differenza di Yannick, Cyrille e Sébastien, l'ultimogenita è stata a lungo protetta dai riflettori,
forse anche perché refrattaria a mostrarsi. L'anno scorso, raccontando la dinastia Bolloré, Le Monde parlava
della "misteriosa" Marie che, dopo aver fatto uno stage alle Gallerie Lafayette e un altro in Australia nel
franchising del parrucchiere Prevost, sognava di prendersi un periodo sabbatico per fare un giro dell'America
Latina prima di decidere quale strada professionale intraprendere. Il padre ha deciso per lei. Milano non sarà
Rio o Buenos Aires ma è comunque a Sud di Parigi. "Sono venuto a presentare mia figlia che entra in questo
grande istituto. E' la mia unica figlia, ne sono molto fiero", ha commentato l'imprenditore francese, secondo
azionista di Mediobanca con il 7,5%, pronto a salire all'8%. Per liberare la poltrona, è stata mandata via
Anne-Marie Idrac, ex presidente delle ferrovie francesi e sottosegretario all'Industria durante la presidenza di
Nicolas Sarkozy, gran amico di Bolloré. A 26 anni, Marie è la più giovane consigliera di piazzetta Cuccia.
"Sono onorata di entrare nel cda", ha detto nella sua breve apparizione in conferenza stampa. E quasi ad
anticipare i dubbi sulle intenzioni del padre: "Sono la prova che il gruppo Bolloré è interessato a Mediobanca
sul lungo termine". Una ragazza timida e discreta, dicono gli amici di famiglia, aggiungendo: "E' quella che ha
sofferto di più la separazione dei genitori". Bolloré ha divorziato dalla prima moglie, Sophie Fossorier, negli
anni Novanta, quando Marie era ancora piccola. All'epoca ci fu un piccolo scandalo a Villa Montmorency:
fece scalpore una liaison tra Bolloré e sua cognata. Oggi tutto è rientrato nella normalità. L'imprenditore si è
risposato con l'ex attrice e romanziera Anaïs Jeanneret e conduce una vita morigerata: poche mondanità,
sveglia alle sei ogni mattina, messa in chiesa la domenica. Lavora quindici ore al giorno per guidare un
gruppo ormai presente in 152 paesi con un giro d'affari pari a 10,2 miliardi di euro e 55mila dipendenti. La
riservatezza è un dogma in casa Bolloré. E quasi nessuno nei salotti di Parigi osa dire del male di una delle
famiglie più potenti del paese, terzo patrimonio di Francia, 8 miliardi. "Parlare di Bolloré fa paura", confessa
un amico di vecchia data dell'imprenditore. Anche se "Bollo", come lo chiama il suo entourage, odia essere
definito raider , ha una reputazione da squalo. Pochi libri pubblicati su di lui, solo una biografia autorizzata,
quella di Jean Bothorel, giornalista economico e, soprattutto, bretone pure lui. Marie è cresciuta con un padre
forte e autoritario, che l'ha tenuta protetta nel recinto chiuso del XVI arrondissement, quartiere chic della
capitale. Si è laureata a 22 anni a Paris Dauphine, una delle migliori facoltà di economia del paese, non
lontano da Villa Montmorency. Tutti i figli Bolloré sono stati svezzati in questa università, avendo come
professore e mentore Michel Rousseau, amico del padre e promotore del think tank conservatore Fondation
Concorde. Nel quartier generale di Puteaux, vicino Parigi, l'ultimogenita si è vista poco. Anche se
Mediobanca rappresenta la prima ribalta per Marie, la figlia prediletta del magnate figurava già in diversi
consigli delle cassaforti di famiglia: Bolloré Sa, Financière Odet, Bolloré Participations, Financière V, Omnium
Bolloré. "Da molto tempo sento parlare di Mediobanca", ha confidato ai cronisti italiani. La giovane erede
graviterà anche su Torino, per le auto elettriche di Blue Solutions, in parte prodotte in Piemonte. "Non capirai
mai niente dell'Italia", aveva profetizzato a Bollorè il suo mentore Antoine Bernheim, che l'ha introdotto a
Mediobanca prima che il suo pupillo organizzasse una congiura per cacciarlo da Generali. Alla fine
l'imprenditore bretone ha spiccato il volo e si è allargato nel Belpaese. Mademoiselle Bolloré farà un corso di
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italiano accelerato per muoversi nell'élite milanese. Il cda di Mediobanca è stato già usato altre volte come
dépendance per parenti. Il figlio di Giampiero Pesenti, Carlo, è stato dentro nel board per quasi quindici anni.
E da piazzetta Cuccia sono passate due figlie: quella di Ligresti, Jonella, e quella di Berlusconi, Marina. I
passaggi di questi rampolli paracadutati nel salotto buono della finanza non hanno sempre lasciato ricordi
eccellenti. Ma il capitalismo famigliare, per cooptazione, non è solo una peculiarità italiana. Da Bolloré a
Arnault, da Dassault a Lagardère, sono tanti i gruppi del Cac 40 in mano a ristretti clan. Nel caso di Bolloré, il
concetto di "dinastia" è spinto all'estremo. Con la nomina di Marie, l'imprenditore bretone ha finalmente
sistemato i suoi quattro figli. Yannick, 33 anni, è diventato presidente di Havas, sesto gruppo mondiale di
pubblicità e comunicazione. Il primogenito aveva creato una società di produzione cinematografica prima di
essere nominato a 26 anni direttore dei programmi di Direct 8, la tv di casa poi rivenduta a Canal+. Yannick si
è sposato con la nipote di uno dei rivali in affari del padre, Martin Bouygues. Adesso che Bolloré sta entrando
in forza anche in Vivendi, è possibile che coinvolga suo figlio in questa nuova partita. Il "Monsieur Energie"
della nuova generazione è invece Cyrille, 29 anni, terzogenito, che il patriarca ha presentato durante una
conferenza stampa di Blue Solutions come il "successore per le attività industriali e logistiche". Appassionato
di vela, gran mondano, ha lavorato in un fondo di investimento a Londra e poi in banca negli Usa, prima di
rincasare per seguire l'avventura delle Bluecar. E' il figlio che assomiglia di più al padre, anche fisicamente.
Più defilato invece Sébastien, il secondogenito. A giugno è stato nominato amministratore di Blue Solutions
ma agli amici e giornalisti ripete che non aspira a incarichi direttivi. Bolloré ha promesso che passerà le redini
del gruppo alla settima generazione nel 2022, per il bicentenario dell'impero e per il suo settantesimo
compleanno. Sul cellulare ha messo un contatore per segnare i giorni che mancano alla pensione. Nessuno
dei figli sembra ancora pronto a curare un gruppo che va dai media ai porti in Africa (vero giacimento di cash
flow della holding). Prima di allora, il magnate vuole inaugurare un museo di famiglia a Ergué-Gabéric, nel
maniero bretone vicino Quimper dov'è stata creata la Papeterie Bolloré, la cartiera che ha fabbricato anche le
pagine della Pléiade, la più raffinata collezione dell'editoria francese. Vicino al futuro museo, oggi c'è la
seconda fabbrica di Blue Solutions, la società che commercializza la BlueCar e il brevetto delle batterie
elettriche, scommessa visionaria su cui Bolloré ha investito quasi 1,7 miliardi di euro in vent'anni. L'ennesimo
modo di smentire quelli che lo etichettano ancora come un semplice finanziere e tycoon. S.DI MEO[ LA
SCHEDA ] Dall'auto elettrica alle pay-tv le mille partecipazioni del finanziere bretone
Undicesima ricchezza di Francia, con interessi che vanno dalle piantagioni in Africa alla logistica, dalle
telecomunicazioni alle batterie per l'auto elettrica, Vincent Bollorè torna a pensare in grande sull'Italia. Il
nostro Paese rientra nei suoi disegni soprattutto per le sinergie che può realizzare nel settore dei media e
delle telecomunicazioni. E' questo un comparto in cui ha potentissimi interessi: in particolare del gigante della
comunicazione Havas, il finanziere bretone detiene già il 36% e ha appena lanciato un'Opa per raggiungere
la maggioranza assoluta. Ma poi ha il 5% del gruppo media Vivendi e in tale veste ha concluso un accordo
con Telefonica de Espana per prendere il posto che era degli spagnoli in Telecom Italia. Una quota intorno
all'8,5% che aprirebbe la strada a importanti sinergie fra Telecom e Vivendi. I piani non fiscono qui: fra i tanti
progetti di Bollorè c'è anche un'alleanza di Mediaset Premium con Canal Plus, la paytv di Vivendi. Classe
1952, nato a BoulogneBillancourt, Bollorè, il cui gruppo (escluse le partecipazioni di minoranza) fattura dieci
miliardi e ha 55mila dipendenti, appartiene a una famiglia di industriali. Laureato in diritto presso l'Université
Paris X comincia la sua carriera nel mondo degli affari nel 1970 presso la Banque de l'Union européenne
industrielle et financière, prima di entrare nel 1975 nella Compagnie financière di Edmond de Rothschild. Nel
1981 riprende il controllo della cartiera di famiglia, all'epoca in grande difficoltà, per farla uscire dal settore di
appartenenza e investire invece nel settore delle pellicole di plastica ultrafini. Di qui una tentacolare
diversificazione, che passerà tra l'altro anche attraverso una joint venture con la Pininfarina per la produzione
di un'auto elettrica che dovrebbe vedere la luce fra poco.
Foto: Marie Bollorè, la più giovane consigliera d'amministrazione di Mediobanca, vista da Darish Radpour
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Mattone in calo, più cash e l'italiano resta formica
A DISPETTO DELLA CRISI QUASI METÀ DEI CITTADINI NON VIVE TRANQUILLA SE NON METTE DA
PARTE UN PO' DI SOLDI. SECONDO L'ACRI SI REGISTRA UN RIDIMENSIONAMENTO DEI CONSUMI E
UNA SCELTA DI INVESTIMENTI SICURI
(m.man.)
Milano Siamo un popolo di formiche, a dispetto della crisi. Quasi metà degli italiani, il 46%, non vive tranquillo
se non mette da parte dei risparmi. Lo rivela l'ultima indagine dell'Acri, l'Associazione di Fondazioni e di
Casse di Risparmio, realizzata con Ipsos e basata su quasi 1.000 interviste di un campione rappresentativo
della popolazione adulta italiana di 18 anni e oltre. Accanto a questi risparmiatori convinti, c'è un 44% di
intervistati che dichiara di risparmiare, ma solo se questo non comporta troppe rinunce. Le cicale, coloro che
preferiscono godersi la vita senza pensare a risparmiare, sono solo l'8% del campione, in calo rispetto
all'11% del 2010. Ma il dato più importante e confortante della rilevazione Acri-Ipsos è quello relativo
all'effettiva capacità di risparmiare. La quota di italiani che negli ultimi dodici mesi è riuscita a risparmiare è
aumentata di quattro punti percentuali, sono ora un terzo del totale, mentre contemporaneamente si riduce,
per il secondo anno consecutivo e in misura consistente, il numero di famiglie in saldo negativo di risparmio,
pari a un quarto degli intervistati. «È la conferma che gli italiani sembrano aver trovato un assestamento nella
crisi, ridimensionando in gran parte gli acquisti», annotano gli estensori dell'indagine. Quando si passa a
esaminare come viene impiegato questo risparmio, si trova una conferma alla forte preferenza per la liquidità
che caratterizza il nostro paese: ben due italiani su tre dichiarano di lasciare i propri risparmi liquidi, sul conto
corrente. Tolto un 5% che non fornisce indicazioni sui suoi investimenti, tra coloro che invece investono, un
10% utilizza la maggior parte dei risparmi, un altro 20% investe solo una piccola parte. Cambia qualcosa,
invece, nelle forme di risparmio utilizzate. È aumentata, infatti, la quota investita in prodotti di risparmio
gestito: la percentuale di coloro che dichiarano di aver sottoscritto assicurazioni sulla vita e fondi pensione,
più le prime che le seconde, è passata dal 19% al 24% (erano previste risposte multiple) e sono aumentati,
sia pure in misura minore, dal 12% al 14%, anche i possessori di fondi comuni. Calano leggermente i
possessori di libretti di risparmio, dal 23% al 22% e resta invariata la percentuale di italiani che possiede
certificati di deposito e obbligazioni; pesano poco azioni e titoli di Stato, entrambi passati dal 7% all'8%. E
oggi, alla luce dell'attuale situazione economica, in quale modo gli italiani pensano sia meglio investire i
risparmi? Il "mattone" ha decisamente perso il suo fascino. La percentuale di coloro che considerano
l'immobiliare l'investimento ideale, nel corso degli anni, è drasticamente calata: era pari al 70% nel 2006,
nell'ultima indagine si colloca al 24%, il valore più basso dal 2001. Non attirano più gli immobili e cresce il
numero di intervistati che ritiene sia il momento di investire, ma negli strumenti ritenuti più sicuri, come titoli di
Stato, certificati di deposito, obbligazioni e risparmio postale, siamo al 36% del totale, nuovo massimo storico.
Gli strumenti finanziari più rischiosi, fondi comuni e azioni, sono indicati solo dall'8% degli intervistati, ma il
dato appare in aumento rispetto alle precedenti rilevazioni. Il problema è che resta elevato il numero di
intervistati che ritiene sia più opportuno non investire affatto, sono ormai quasi un terzo del totale, nel 2010
pesavano per il 18%. Tra le motivazioni addotte, un 19% ritiene sia meglio mantenere liquidi i risparmi, un 9%
dichiara di non sapere come investirli e un 4% pensa sia preferibile spenderli. Vista la tendenza a favorire gli
investimenti considerati più sicuri, non stupisce che il risparmiatore italiano sia sempre più attento alla
rischiosità dell'investimento, lo dichiara il 43% del totale, una percentuale in aumento rispetto al 2013. Fa
riflettere, infine, il giudizio dei risparmiatori italiani sulla tutela del risparmiatore: largamente negativo, il voto
medio è 4,6 in una scala da uno a dieci, e il giudizio meno impietoso è quello riservato ai fondi comuni. Non si
ritiene neanche che questa tutela possa aumentare nei prossimi cinque anni, a meno che non si attui l'Unione
Bancaria Europea, che dà fiducia più delle regole presenti nei singoli paesi dell'Unione. ELABORAZIONI SU
DATI CONSOB , S.DI MEO
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Foto: Gli strumenti finanziari più rischiosi, fondi comuni e azioni, sono indicati solo dall'8% degli intervistati,
ma il dato appare in aumento
Foto: Accanto ai risparmiatori convinti, c'è un 44% di intervistati che dichiara di risparmiare, ma solo se
questo non comporta troppe rinunce
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Le micro imprese italiane inseguono le sorelle europee nella corsa
dell'economia 2.0
IL TESSUTO DELLA PENISOLA È SEGNATO DA UNA GRANDE QUANTITÀ DI PICCOLE DITTE
MEDIAMENTE PIÙ RICCHE DELLE PARI GRADO DI ALTRI PAESI MA MAGGIORMENTE ARRETRATE.
NESSUN ALTRO POSTO HA UNA QUOTA DI PMI ONLINE MINORE DI QUELLA CHE POSSIEDE LO
STIVALE
Stefano Carli
È la fine dell'economia dei campanili. E non è una cattiva notizia perché l'unica possibilità per l'economia
italiana di imboccare stabilmente la via della ripresa economica è tutta nella capacità delle nostre piccole e
medie imprese di abbandonare in via definitiva mercati di riferimento che hanno finora, o fino a pochissimi
anni fa, coinciso con i loro bacini territoriali. L'economia 2.0 non lascia infatti margini: il mercato è il mondo. E
il mondo si raggiunge con Internet, con l'e-commerce, con social media. Chi non riuscirà a salire di corsa su
questo treno mette a rischio il proprio futuro. E non stiamo parlando delle microimprese, ma di imprese
comunque strutturate, con almeno una decina di dipendenti ma in media di più e con fatturati che superano la
manciata di milioni. E' un universo molto complicato da definire. Secondo Unioncamere, che ha rielaborato i
dati di Eurostat, l'universo delle Pmi italiane è un esercito di 3 milioni e 694 mila imprese. Al computo totale
mancano solo le 3.200 imprese classificabile come «grandi», ossia oltre i 250 dipendenti. Ma anche così la
realtà delle Pmi è poco comprensibile. E' opportuno distinguere dentro quella cifra tra le medie imprese, da
50 a 250 dipendenti, che sono lo 0,5%, ossia circa 20 mila realtà imprenditoriali, dalle piccole propriamente
dette, che valgono il 5% del totale, ossia poco oltre le 183 mila unità, dalle microimprese, che sono la
stragrande maggioranza: 3 milioni e mezzo circa di soggetti imprenditoriali, pari al 94.4% del totale, al 46,1%
degli addetti e al 29,8% del valore aggiunto. Sono numeri distantissimi tra di loro e quindi destinati a rendere
difficilmente leggibili le statistiche che cercano di fotografarne le caratteristiche, i fattori costitutivi, gli obiettivi,
le risorse e l'efficienza. Per esempio, quando si parla di propensione all'export, la media generale, stimata da
Unioncamere, parla di un misero 4%. Ma questo dato è a sua volta una media ponderata tra la percentuale di
export delle 20 mila «medie», che è vicina al 90% e spesso oltre, a seconda dei comparti, e il corpaccione dei
3,5 milioni di micro, che hanno probabilmente quote infinitesime. Una fotografia più precisa l'ha scattata la
compagnia assicurativa Zurich che, per ovvie ragioni di voler comprendere il tipo di mercato business a cui
deve commisurare la sua offerta di prodotti assicurativi, ha affidato ad Eurisko il compito di creare un
campione ponderato di Pmi italiane da interrogare per capirne stato di salute e obiettivi, strategie e progetti.
Presentata nelle scorse settimane, la Ricerca Pmi Zurich 2014 ha selezionato per l'Italia un campione di 200
imprese che ha poi messo a confronto con le 200 imprese selezionate in altri 19 Paesi. E la composizione del
campione è già un prima fotografia sull'Italia. Eurisko ha stimato che dal punto di vista dell'organizzazione in
Italia le domande dovessero venir poste per il 75% al proprietario o al ceo, ed è la quota più alta: segno di
una struttura mediamente poco articolata (in Spagna proprietari/ceo pesano solo il 50%, in Gran Bretagna il
44%). Dal punto di vista dimensionale la fetta più grossa del campione italiano è costituito da imprese con
meno di 10 dipendenti: 43%, solo Austria, Australia, Portogallo, Sud Africa e Marocco ne hanno di più. Ma
secondo gli analisti di Eurisko per formare un campione corretto di imprese italiane da intervistare bisogna
inserirne un 14,5 % senza dipendenti, e non c'è nessun altro paese che ne abbia altrettante. Solo il campione
spagnolo arriva al 14%. In compenso, il 42% di questo campione italiano dichiara fatturati di meno di 2 milioni
di euro, rispetto al 51,5% della Spagna, mentre il nostro valore è più prossimo al 39% di Germania e Gran
Bretagna. Insomma le nostre piccole e piccolissime imprese sono mediamente più ricche delle pari grado
degli altri paesi. Un vantaggio, ma un vantaggio che va difeso, perché la nostra arretratezza tecnologica
rischia di farci via via arretrare. E l'arretratezza tecnologica, significa che non si vuole guardare ai mezzi per
espandersi e crescere ma esclusivamente alle strategie difensive e conservative. Si cerca insomma di
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salvare il salvabile. E' per questo che solo il 22,5% del campione italiano vede tra le principali opportunità di
questa fase la ricerca e la conquista di «nuovi segmenti di clientela». E siamo ovviamente la quota più bassa
rispetto alla media europea del 28,2%. Ancora l'attenzione maggiore è nel mettere a punto strategie di tagli di
costi. Siamo sotto la media, a volte pesantemente, nella «diversificazione di prodotti e servizi (14% noi,
contro la media Ue di 18,5%), n e i « n u o v i c a n a l i commerciali»,come il Web (13% a 18%); nel
«miglioramento dei dipendenti» (8% a 16,2%); nell'adozione di «nuove tecnologie» (10% a 13%); nella
ricerca di «espansione in mercati esteri» (10,5% a 12,1%). Speriamo invece più degli altri (21% verso una
media Ue del 14%) in «variazioni di normative e leggi e in «migliori condizioni di credito» (23% noi contro il
13,8% europeo). A tirare le somme, siamo in una situazione di forte ritardo ma questo ha anche in sé delle
potenzialità. Se aggiungiamo infatti a questi dati quelli relativi alla presenza online delle Pmi italiane si può
ipotizzare che siamo ormai al grado zero e che da qui non si può far altro che salire. Siamo infatti in fondo
all'Europa per quanto riguarda il Web. Nessun paese ha una quota di Pmi online minore della nostra,
nemmeno la Grecia. Figurarsi la Spagna che ne ha praticamente il doppio: e infatti il suo Pil cresce.
Insomma, sul Web non siamo proprio nemmeno partiti. Per fortuna è il mercato stesso che ora si è accorto di
questo gap e si sta muovendo. Si moltiplicano le piattaforme e le iniziative per portare le Pmi online: da quella
di Google-Unioncamere avviata lunedì scorso a quella di Zegna per i piccoli marchi del sistema moda e
lusso, per non parlare dei sistemi di incentivi statali, come i 2 miliardi appena varati dal ministero delle
Risorse agricole per il sistema dell'agroindustria. La macchina si è messa in moto. I risultati arriveranno
presto. FONTE UNIONCAMERE
Foto: La Ricerca Pmi Zurich 2014 ha selezionato per l'Italia un campione di 200 imprese messe a confronto
con le sorelle europee
Foto: Si moltiplicano le piattaforme e le iniziative per portare le Pmi online: da quella di GoogleUnioncamere
avviata lunedì scorso a quella di Zegna per i piccoli marchi del sistema moda e lusso. A questo si aggiungono
gli incentivi statali
10/11/2014
Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
Pag. 1
«Crediti, alle imprese mancano 89 miliardi»
ISIDORO TROVATO
A pagina 24
Una bocciatura quasi mai genera una concatenazione di eventi positivi. Se poi i bocciati sono due (e
addirittura sette i rimandati) e appartengono alla categoria degli istituti di credito, le imprese hanno davvero
poche ragioni per stare allegre. E dopo i risultati emersi dallo stress test voluto dalla Bce, la situazione
potrebbe addirittura peggiorare. Infatti, delle 25 «bocciature» certificate dalla Banca centrale europea, ben
nove riguardano altrettanti istituti di credito italiani.
Il rischio usura
Nessun altro Paese dell'Unione Europea ha incassato uno score peggiore del nostro. Se sette banche si
sono già ricapitalizzate in questi ultimi mesi, altre due, Mps e la Carige, saranno costrette a farlo nei prossimi
mesi. «È evidente - afferma Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia - che a pagare il conto sono state e
saranno soprattutto le imprese. Come è già successo in questi ultimi anni, l'aumento della
patrimonializzazione degli istituti di credito ha comportato una forte riduzione degli affidamenti a danno
soprattutto delle piccole e piccolissime imprese che, da sempre, sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità.
Con il pericolo che molte attività scivolino verso la rete tesa dagli usurai».
Quest'ultimo è un tema più volte segnalato dalle associazioni di categoria: la percezione è che la gelata
creditizia abbia indotto molti piccoli imprenditori a ricorrere a forme illegali di finanziamento portando poi nelle
mani della criminalità organizzata diverse aziende. Anche se negli ultimi anni il numero delle denunce
effettuate alle Forze di polizia e all'Autorità giudiziaria rimane ancora molto contenuto e non presenta
variazioni di rilievo, le associazioni di categoria sono convinte che il fenomeno sia in espansione e che
potrebbe «esplodere» in caso di un ulteriore giro di vite del credito.
Del resto in questi anni si è assistito a un duplice peggioramento dello scenario: oltre al credit crunch si è
rilevata un'impennata delle sofferenze imputabili alle imprese. I livelli di insolvenza più elevati si sono
registrati nel Nordovest (più 89,2%), nel Centro (+88%), nel Nordest (+82,8%) e nel Mezzogiorno (+72,6%).
Dal 2011 al 2014 sono cresciute di 63,1 miliardi di euro (+83,6 per cento). E ad agosto di quest'anno le
sofferenze ammontavano alla spaventosa cifra di 138,6 miliardi di euro.
Secondo i dati della Cgia, inoltre, dall'agosto del 2011 allo stesso mese di quest'anno, i prestiti bancari alle
imprese italiane sono diminuiti di 89 miliardi di euro (- 8,9 per cento).
La trattativa
«Nella storia recente del nostro Paese - fa notare Bortolussi - non si era mai verificata una contrazione del
credito alle imprese così vigorosa. La responsabilità della stretta creditizia che stiamo vivendo in questo
momento non è ovviamente da addebitare solo alle banche. Purtroppo, molte imprese sfiancate dalla crisi, e
sempre più in difficoltà, non sono riuscite a restituire i prestiti bancari ricevuti e ciò ha bloccato il mercato del
credito. Un problema che il governo deve assolutamente affrontare, aprendo un tavolo di confronto tra
l'Associazione bancaria e i rappresentanti delle categorie produttive».
Tra l'agosto del 2011 e lo stesso mese di quest'anno, la stretta creditizia si è fatta sentire in misura maggiore
nel Nordovest (-10,6 %) e nel Centro (-10%) , meno a Nordest (-8,3%) e nel Mezzogiorno (-6,5%). È chiaro
però che questi dati vanno interpretati: nel Sud la chiusura dei rubinetti del credito si fa sentire meno perché
in quell'area le imprese arretrano, molte chiudono e altre falliscono. In un simile contesto diventa difficile
programmare, investire sullo sviluppo e quindi chiedere finanziamenti. Gli imprenditori meridionali, spesso in
banca non entrano nemmeno perché sanno che nelle loro condizioni il credito sarebbe utopia. Segnale ancor
più preoccupante di un mondo produttivo ormai spaccato in due tra chi si salva e chi affoga (con quest'ultima
schiera sempre più numerosa).
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Gli artigiani
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Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
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I prestitI alle imprese e le relative sofferenze Dati a fine agosto, valori in milioni di euro Variazione assoluta
2014/2011 1.001,60 75,52 947,31 87,92 925,75 109,57 912,58 138,64 8% 9% 12% 15% -89,01 +63,12 2011
2012 2013 2014 Prestiti Sofferenza Incidenza sofferenze 8% Pp
Foto: Credit crunch Giuseppe Bortolussi è il segretario della Cgia di Mestre Prestiti e sofferenze
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Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
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Cdp Dall'energia alle telecom Quella Cassa buona per tutti
ALESSANDRA PUATO
La Cassa depositi e prestiti vale ormai il triplo dell'Iri ed è invocata per investire in tutto, dall'acciaio alla
telefonia. Perciò la squadra intorno al tandem di vertice (Giovanni Gorno Tempini e Franco Bassanini) è stata
rafforzata con innesti dalla finanza privata. Da Simonetta Ialorni a Fabrizio Palermo, chi sono le donne e gli
uomini alle leve di Cdp. Che valuterebbe di investire in Marcegaglia o Arvedi (per l'Ilva), vuole rafforzare
Metroweb e invece di quotare Sace le farebbe emettere un bond ibrido Alle pagine 2 e 3
Se l'indice di movimento di un gruppo è la riorganizzazione del vertice, la Cassa depositi e prestiti sta
cavalcando. L'ente di via Goito, tirato per le maniche in tutte le partite difficili per rimediare all'assenza di
capitali privati (leggi: telefonia e acciaio, in questi giorni), pesa sempre di più nell'economia italiana e intorno
ai due collaudati manager che lo guidano - l'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini e il presidente
Franco Bassanini - si è costruita una nuova squadra per affrontare nuovi investimenti. Con i due capi, almeno
10 persone.
Ci sono le quattro new entry della prima linea. Da ottobre, oltre al direttore generale Andrea Novelli bocconiano di San Benedetto del Tronto, ex JP Morgan e Credit Suisse, ha sostituito Matteo Del Fante
passato a Terna - è arrivata Simonetta Ialorni, direttore operativo: funzione che prima non c'era e ne accorpa
altre due, risorse umane e organizzazione acquisti. Abruzzese di Ortona a Mare, laurea in Fisica all'Aquila,
poi Sda Bocconi, è stata in Ibm e Pirelli. Viene da Unicredit, dov'era responsabile delle tecnologie e senior
vice president . Scrive sul curriculum (in inglese): «Mio obiettivo è costruire un team eccezionale,
comprendere i bisogni del business e ottenere che si facciano le cose ». E segna fra gli hobby «cucina,
lettura, sport».
Con lei, hanno preso posto da un mese il direttore finanziario Fabrizio Palermo e il direttore degli affari legali
Luigi Chessa. Il primo è un «McKinsey boy» che viene da Fincantieri e si formato in Morgan Stanley; il
secondo era allo studio Gianni Origoni Grippo Cappelli e, prima, in Clifford Chance che sta seguendo molte
partite delle privatizzazioni.
Le controllate
Ci sono, poi, altri quattro poltrone cruciali, ai vertici delle controllate: l'ex Merrill Lynch Maurizio Tamagnini,
amministratore delegato del Fondo strategico; Alessandro Castellano, stessa carica in Sace (ex Capitalia e
Deutsche Morgan Grenfell); Maurizio Prato, riconfermato presidente di Fintecna cui fa capo Fincantieri (e con
lui, da aprile, il direttore generale Riccardo Taddei ); Vladimiro Ceci, altro acquisto da Unicredit: da settembre
è presidente di Cdp Investimenti sgr, la holding di Cassa sotto la quale stanno i fondi immobiliari Fia ( social
housing, le ex case popolari ) e Fiv (valorizzazione del patrimonio pubblico).
Più ellittici, nella galassia Cdp, i vertici dei due fondi di private equity dove Cassa ha quote di minoranza:
Innocenzo Cipolletta (Fondo italiano d'investimento) e Renato Ravanelli (F2i). E sicuramente la nostra
selezione non è esaustiva. Ma la cifra degli uomini (e donne) oggi al vertice della Cdp è comunque chiara:
perlopiù sono giovani e vengono dalla finanza privata. Il motivo del loro inserimento è altrettanto evidente. Più
ci sono cose da fare, più bisogna essere preparati, è il pensiero di Gorno Tempini e Bassanini. Serve una
squadra efficiente, perché la macchina della finanza di Stato ha ormai numeri da record.
I numeri
L'attivo consolidato del gruppo Cdp al giugno scorso era di 344 miliardi di euro, il 16% in più rispetto a due
anni fa. Per capirsi, è quasi il triplo di quanto valeva l'Iri nel 1983 (assumendo il valore annualizzato che
calcolò per il Corriere Economia l'Università Bocconi, due anni fa: allora Cdp era «solo» il doppio). Dal
dicembre scorso a giugno sono cresciuti sia la raccolta diretta (+ 11% a 295,2 miliardi) - composta per i tre
quarti dal risparmio postale, in aumento a 244,7 miliardi - sia il patrimonio netto (+1% a 20,6 miliardi). Allo
stesso modo sono aumentati i dipendenti del gruppo, ormai 572 (+8% in un anno). L'utile netto è calato di un
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Affari pubblici Gli uomini (e le donne) al vertice
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terzo rispetto al giugno 2013, ma resta elevato: 981 milioni.
Il valore di bilancio delle partecipazioni societarie della capogruppo Cdp è salito a 32 miliardi, cioè due
miliardi in più rispetto al dicembre 2012 (30,2 miliardi) e quasi il doppio rispetto a tre anni fa (19,6 a fine
2011). Quello delle partecipazioni in fondi comuni e veicoli d'investimento si è impennato a 942 milioni: il
quintuplo di tre anni fa (185).
Si stima (non c'è il dato esatto) che siano ben più di 300 le aziende che hanno fra i soci la Cdp, direttamente
o attraverso uno dei suoi fondi, imprese, veicoli. Erano 325 (valutazione per difetto) nell'analisi Bocconi del
2012, difficile che siano diminuite. Sono più di 250 le imprese al cui capitale Cassa partecipa attraverso la
Simest; inoltre ci sono le sei società del Fondo strategico (e i patti societari con i fondi sovrani di Russia,
Cina, Qatar, Kuwait); le 28 Pmi del Fondo italiano; le 12 di F2i; i 14 fondi anche stranieri, come Inframed e
Marguerite, che a loro volta investono in imprese.
L'italiana Cdp ha in portafoglio il petrolio (Eni) e l'elettricità (Enel), i gasdotti (Snam, Tag) e i tralicci della luce
(Terna), le reti in fibra ottica (Metroweb) e gli aeroporti (Milano, Napoli, Bologna), le turbine (Ansaldo Energia)
e le marmellate (Rigoni di Asiago). Ha sostituito le banche e finanziato più di 100 mila Pmi, con un'erogato
alle imprese che ormai supera gli storici prestiti agli enti pubblici (1,87 miliardi contro 1,73 nel semestre).
È in questo quadro che dovrà muoversi la «squadra Gtt», dall'acronimo con cui in via Goito c'è chi chiama
Gorno Tempini. In vista dell'Expo, che Cassa sponsorizza. E cercando di tenere a bada quei crediti
problematici che, quasi come nella finanza privata, la semestrale 2014 segnala in «lieve incremento».
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La squadra di comando... I nuovi arrivi nella prima linea Andrea Novelli Direttore generale Fabrizio Palermo
Direttore finanziario Simonetta Iarlori Direttore operativo Luigi Chessa Direttore affari legali ...e i capi delle
controllate Maurizio Tamagnini Amministratore delegato Fsi Alessandro Castellano Amministratore delegato
Sace Maurizio Prato Presidente Fintecna Vladimiro Ceci Presidente Cdp Investimenti 35 anni, ex JP Morgan
e Credit Suisse First Boston laurea in Economia aziendale (Bocconi) 49 anni, ex Merrill Lynch, laurea in
Economia monetaria internazionale (Bocconi) 56 anni, ex Capitalia e Deutsche Morgan Grenfell, laurea in
Legge (La Sapienza) 73 anni, ex Poligrafico, Alitalia, Agenzia del Demanio, Iri, laurea in Legge ed Economia
45 anni, ex Unicredit e Intesa, laurea in Economia politica (Bocconi) 42 anni, ex Fincantieri e McKinsey,
laurea in Economia (La Sapienza) 52 anni, ex Unicredit, Value Partners, Pirelli, Ibm, laurea in Fisica
(L'Aquila) 50 anni, ex Gianni Origoni Grippo Cappelli e Clifford Chance, laurea in Legge (La Sapienza) Il
sostegno all'economia Erogazioni di Cdp nel primo semestre 2014, raffronto con il primo semestre 2013
Fonte: elaborazione CorrierEconomia su semestrale Cdp I prestiti al settore privato... .... e pubblico Enti
pubblici 3,05 miliardi di euro 1,73 miliardi di euro Pmi, edilizia residenziale e altro Quanto pesa il gruppo Cdp
Dati al 30/6/2014 (1) Variazione su dicembre 2013; (2) variazione su primo semestre 2013 Miliardi di euro
Variazione Attivo consolidato Raccolta diretta Patrimonio netto Utile Risorse mobilitate e gestite Valore
partecipazioni societarie Valore fondi e veicoli d'investimento Dipendenti 344 295,2 20,6 0,98 8,63 31,84 0,96
572 +8% +11% +1% -31% -35% +0,2% +3,1% +8% +64% -47% € (1) (1) (1) (2) (2) (2) (2) (2) Le società in
portafoglio (1) 6 aziende tra cui Ansaldo Energia, Metroweb, Sia; (2) 28 aziende tra cui Rigoni di Asiago, Zeis,
Filmmaster; (3) 12 aziende tra cui Metroweb, Sea, 2i rete Gas, Aeroporto Napoli Quotate Non quotate
(maggioranze) Non quotate (minoranze) 72,5% 30% 29,85% 25,76% 76 % 80% 100% 100% 100% 100%
100% 100% 100% 11,9% 12,5% 2% 16,52% 31,8% Fincantieri Snam Terna Eni Simest Fsi Fondo strategico
italiano Sace Fintecna (Fincantieri) Cdp Reti (Snam e Terna) Cdp Gas (gasdotto Tag) Cdp Immobiliare Cdp
Investimenti (fondi Fia, Fiv) Quadrante (1) Sinloc Ics (2) (3) F2i sgr Fondo italiano infrastrutture Epf
Europrogetti e finanza
Foto: Cdp Da sinistra, il presidente Franco Bassanini e l'ad Giovanni Gorno Tempini
10/11/2014
Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
Pag. 1
Lo Stato imprenditore affascina tanti (ma può far male)
MASSIMO FRACARO E NICOLA SALDUTTI
La tentazione è forte, molto forte. Così ogni volta che il sistema industriale italiano scopre una sua fragilità,
puntualmente c'è chi chiama in causa lei, la Cassa depositi e prestiti. È capitalizzata, ha una leva finanziaria
da molte decine di miliardi, funziona come una banca d'affari, ma non è una banca d'affari. Grazie al
serbatoio del risparmio che gli italiani hanno depositato alle Poste può funzionare, con tutte le tutele previste
dalla legge naturalmente, come una sorta di Bancomat di ultima istanza. Il livello delle richieste, solo per
citarne alcune va da Alitalia, Telecom, Ilva, Acciai Terni Speciali. Qualche anno fa si ipotizzò persino la
Parmalat. A rileggere i nomi delle società coinvolte, se così fosse stato, sarebbe nata una brutta fotocopia
dell'Iri, l'istituto per la ricostruzione industriale che quelle società aveva qualche decina di anni fa, in
portafoglio. Per fortuna non è andata così. Compito dello Stato forse è più quello di mettere le imprese in
condizioni di lavorare meglio, di avere una fiscalità chiara, un quadro normativo semplice e non intermittente,
una giustizia veloce, che non comprarne le azioni. Soprattutto quando, in situazioni di emergenza e di crisi,
non sono in molti a volerle. La stagione delle privatizzazioni sembra molto lontana, risale a circa vent'anni fa.
Certo, la mitologia del mercato ha fatto commettere errori. Ma la strada non può essere quella di incaricare la
Cassa depositi di riempire gli spazi lasciati vuoti dalle imprese private. Un ragionamento su quali sono i settori
industriali nei quali l'Italia vuole conservare un ruolo spetta al governo e la Cassa può essere utile in questo
senso, semmai per affiancare dei progetti, non come tappabuchi. Altrimenti finirebbe, e non sarebbe una
vittoria, col far rimpianger l'Iri. Però anche gli imprenditori devono farsi avanti per cercare soluzioni di mercato
senza finire sempre per invocare l'intervento della Cdp. Non è un Bancomat: né dello Stato, né dei privati.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/11/2014
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IL PUNTO
SCENARIO PMI
12 articoli
08/11/2014
Corriere della Sera - Bergamo
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Popolare Bergamo, più utile Sale la solidità patrimoniale
Attività In crescita la raccolta totale, a 43,5 miliardi, spinta dai bond
Stefano Ravaschio
L'utile netto della Banca Popolare di Bergamo (gruppo Ubi) è salito nei primi nove mesi del 4,4% sullo stesso
periodo del 2013, a 128,7 milioni. La gestione operativa è migliorata dell'1,12% a 302,3 milioni, grazie al
contenimento degli oneri (meno 2,78%), dato che i proventi operativi sono invece scesi di quasi un punto.
Ancora in flessione (meno 3,6%) il margine d'interesse, a conseguenza della compressione dei tassi, mentre
hanno mostrato una buona dinamica le entrate da commissioni nette. L'indice gestionale cost-income (costientrate) è ulteriormente migliorato scendendo in un anno dal 53,24% al 52,26%. L'attività operativa mostra
rispetto a settembre 2013 una crescita della raccolta totale, da 43,5 a 45,9 miliardi, legata all'incremento della
raccolta diretta, salita da 18,9 a 20,3, includendo le obbligazioni emesse dalla capogruppo e collocate dalla
banca.
Al 30 settembre gli impieghi si sono attestati a 18,5 miliardi (dai 18,9 di un anno prima). «Non c'è ancora un
cambio di passo, ma si scorge una positiva maggiore voglia di investire - osserva il direttore generale
Osvaldo Ranica -. Lo si vede dall'andamento delle erogazioni nell'ultimo periodo da parte delle famiglie e
delle piccole imprese». I nuovi finanziamenti a medio-lungo periodo sono cresciuti infatti del 9% a favore dei
privati e del 15,5% a favore delle imprese.
Da fine 2013 c'è stata anche una riduzione di 32,4 milioni (meno 2,19%) dei crediti deteriorati, pari in tutto a
1,448 miliardi, il 7,8% dei crediti netti): rallenta la dinamica dei flussi di credito da «in bonis» a deteriorati, ma
aumentano le posizioni passate da incagli a sofferenze. Il rapporto sofferente nette-impieghi netti è salito al
4,16% dal 3,16% di un anno prima, pur restando sotto il 4,41% della media del sistema a fine agosto: scende
invece al 2,7% dal 3,64% di un anno prima il rapporto incagli netti-impieghi netti. Nel conto economico, nei
nove mesi, sono state effettuate rettifiche su crediti per 100,1 milioni (93,1 nello stesso periodo del 2013) che
attestano il costo del credito allo 0,72% annualizzato, in lieve crescita dallo 0,66% di un anno prima.
Si consolida ulteriormente intanto la solidità patrimoniale: il rapporto tra il capitale primario di classe 1 e le
attività di rischio ponderate (il «Cet1» dei recenti stress test), da marzo calcolato con la nuova normativa
Basilea 3, è salito al 19,63% dal 18,73% di giugno.
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128 Milioni L'utile netto nei nove mesi (più 3,58%)
18,5 Miliardi Gli impieghi (meno 1,97% da inizio anno)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Il bilancio
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La liquidità delle imprese Usa è a livelli record
Guido Plutino
«Dead money sleeping»: denaro sotto il materasso, improduttivo. Che sia tanto, tantissimo, si sa. Meno noto
invece è che non appartenga solo alle famiglie. Non sono solo gli investimenti della casalinga di Voghera a
essere immobilizzati dall'incertezza e dalla paura del futuro
. Analoghi comportamenti attendisti sembrano essere stati adottati da fior di multinazionali, governate da fior
di manager.
Lo chiarisce un accurato studio Deloitte ("The cash paradox", realizzato da Iain Macmillan, Sriram Prakash e
Russell Shoult), che ha preso in considerazione le società non finanziarie appartenenti all'indice S&P Global
1.200. I risultati sono inattesi: su scala mondiale, le riserve liquide delle società non finanziarie erano stimate
in 1.200 miliardi di dollari nel 2000. Nel 2008 venne superata la barriera dei 2mila miliardi di dollari, per poi
accelerare ulteriormente negli anni successivi e fino a tutto il 2013, a un ritmo annuo del 12 per cento.
Risultato finale, a dicembre 2013: oltre 3.500 miliardi di dollari di riserve liquide (circa 2.800 miliardi di euro).
La diffusione del fenomeno è tale da essere giudicata corresponsabile della scarsa efficacia delle politiche
monetarie fin qui adottate per combattere la crisi. «Inoltre - commenta Silvano Carletti, analista dell'Ufficio
studi Bnl, Gruppo Bnp Paribas - la sua dimensione globale e forse anche la dinamica sono quasi certamente
superiori. Lo prova il caso delle società canadesi, che deterrebbero riserve liquide per 630 miliardi di dollari, o
quello della Corea del Sud, Paese in cui le riserve liquide dei gruppi maggiori si aggirerebbero intorno ai 400
miliardi di dollari. In entrambi i casi si tratta di importi ben più rilevanti di quanto evidenziato dalla ricerca della
Deloitte. Nell'insieme, negli anni post-crisi ben 2 trilioni di dollari, e forse più, sarebbero affluiti alle tesorerie
delle grandi imprese piuttosto che impiegati per finanziare attività».
Appurata la diffusione mondiale del trend, è però necessario entrare, per quanto possibile, nel suo dettaglio
geografico e settoriale. Si scopre così che questo fenomeno risulta piuttosto concentrato. Alle aziende
statunitensi fa capo il 45% delle consistenze di dead money. Le imprese giapponesi pesano per il 14%,
mentre i gruppi europei di Germania, Francia e Gran Bretagna contribuiscono complessivamente (e in misura
quasi equivalente) per il 18 per cento.
L'Italia non viene presa in considerazione singolarmente dall'indagine Deloitte, segno che qui la tendenza è
decisamente meno diffusa e rilevante. È la conferma che in Italia - in tema di liquidità - il vero nodo da
sciogliere resta quello del credit crunch bancario. Non solo: proprio la scarsità di risorse, contrapposta
all'accumulo riscontrato altrove, sembra inchiodarci al ruolo di preda nel grande processo di accentramento
mondiale dei business.
La concentrazione di dead money viene confermata anche quando si considerano i comparti di attività. Il
settore di gran lunga più importante è il Tmt (technology, media & telecommunication): il suo peso (31%)
risulta addirittura superiore a quello dell'intero comparto manifatturiero (29%). Considerando il periodo 20082013, il ritmo di crescita annua delle riserve liquide delle imprese Tmt ha raggiunto il 16 per cento. Seguono
sanità, energia e prodotti di largo consumo con ritmi compresi tra il 10 e il 16 per cento.
L'accuratezza dell'indagine Deloitte è fuori discussione. Peccato che, considerato a quale velocità evolva la
situazione, la fine del 2013 sembri molto lontana. Da allora, infatti, le cose potrebbero essere molto cambiate.
Lo sottolinea Bnl, richiamando due temi segnalati dal Fondo monetario internazionale. Pur in uno scenario
economico che si mantiene fragile, esistono alcuni indicatori che mostrano un andamento positivo. Due in
particolare, che sono inoltre legati alla propensione delle imprese (specie grandi) a possedere liquidità. Sono
la ripresa degli investimenti non residenziali negli Usa e l'intensificazione delle operazioni straordinarie,
fusioni e acquisizioni in testa. Nel primo caso la dinamica è da tempo in accelerazione: il ritmo è del 6,8% in
termini reali, nella media degli ultimi quattro trimestri. Le voci "impianti" e "macchinari" sono le più dinamiche
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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«Dead money sleeping». Indagine Deloitte sui soldi accumulati nelle tesorerie delle grandi aziende,
fenomeno assente in Italia
10/11/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 17
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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dell'aggregato. Nel secondo caso, le operazioni mondiali di merger & acquisition avviate o completate nei
primi nove mesi del 2014 hanno raggiunto il valore record di 2.700 miliardi di dollari, il 60% in più rispetto al
2013 e la cifra più elevata degli ultimi sei anni. Riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa e l'Asia. Inoltre il
40% di queste operazioni è di tipo cross-border: nei primi nove mesi dell'anno le M&A transfrontaliere hanno
superato i mille miliardi di dollari, un livello mai raggiunto dal 2008.
«Al di là del loro rilievo specifico - conclude Carletti -, i due fenomeni sono importanti, perché offrono il
possibile indizio di un rallentamento della crescita, se non addirittura di un ridimensionamento della
consistenza, delle ingenti riserve di liquidità evidenziate dai bilanci delle imprese, soprattutto quelle di grande
dimensione».
Verrebbe, quindi, da concludere che nel 2014 i comportamenti di famiglie e imprese siano diventati meno
simili di quanto avvenuto nel recente passato. Ancora sfiduciate e incerte nelle scelte di asset allocation le
prime; pronte a cogliere, con il denaro in tasca, le migliori occasioni finanziarie le seconde.
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Fonte: Deloitte, The cash paradox, 2014
0 1.000 2.000 3.000 4.000 '00 '06 '13 Trend e consistenza LA CORSA DELLA TESORERIA Imprese non
finanziarie dell'indice S&P Global 1200; andamento della liquidità. Miliardi di dollari PAESE CHE VAI, CASSA
CHE TROVI Imprese non finanziarie dell'indice S&P Global 1200; suddivisione geografica della liquidità. In %
Altri 16 Hong Kong 2 2 Svizzera R. Unito 5 3 Corea Sud 6 Germania Francia 7 14 Giappone Usa 45 3.500
mld $
08/11/2014
La Repubblica - Napoli
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Accesso al credito per le pmi Confidi contesta la Regione
(a. fe.)
CONFIDI denuncia l'assenza della Regione sul tema dell'accesso al credito. Il "Consorzio di garanzia
collettiva fidi" della Campania si preoccupa di facilitare l'accesso al credito bancario attraverso la concessione
di garanzie collettivea condizioni vantaggiosee trasparenti.
Ma in Campania c'è una grande difficoltà a operare. Martedì presso la sede della Camera di Commercio il
coordinamento dei Confidi illustrerà le ragioni della «denuncia sulla totale assenza della Regione sulle
politiche d'incentivazione creditizia in materia di Confidi i quali, pur non avendo mai ricevuto il supporto
regionale, restano gli unici soggetti che continuano a svolgere il proprio ruolo di garanti nei confronti del
sistema bancario per l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese». Un vero e proprio atto di
accusa contro la giunta Caldoro che sarà illustrato dai rappresentanti dei consorzi che compongono il
coordinamento: Ga. Fi. Sud, Confidi Regione Campania, Confidi Pmi Campania, Co. Na. Ga., Confcredito,
Centrale Garanzia Fidi, Creditart Confidi, Artigiancredito, Api Campania Fidi, Confidi del Mezzogiorno,
Italconfidie Impresa Confidi. Il consorzio conta circa duemila aziende associate, 36 convenzioni bancarie
stipulate con gli istituti di credito, oltre 100 milioni di euro di garanzie e importanti accordi con i principali
distretti produttivi campani.
Foto: CAMERA COMMERCIO Martedì prossimo, alla sede della Camera di commercio, Confidi illustra le
critiche alla Regione
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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LA DENUNCIA
09/11/2014
Il Messaggero - Umbria
Pag. 53
(diffusione:210842, tiratura:295190)
CARO MINISTRO, INTERVENGA
IN FAVORE DELL'OLIVICOLTURA
Lo stato del comparto olivicolo regionale umbro, al pari di altri territori nazionali, attraversa in questa annata
agraria uno dei momenti di maggior sofferenza degli ultimi decenni, tale da lasciare ipotizzare seri rischi per
la sopravvivenza delle numerose piccole e medie imprese agricole che animano i nostri territori e l'economia
del settore.
Le condizioni climatiche avverse degli scorsi mesi e il conseguente all'attacco di parassiti, hanno
letteralmente distrutto la maggior parte delle produzioni dei nostri oliveti e le pochissime aree superstiti non
saranno di certo in grado di sostenere i fabbisogni degli imprenditori olivicoli.
L'olivicoltura per la Regione Umbria rappresenta il fiore all'occhiello della produzione delle eccellenze
agroalimentari, sia per la indiscussa qualità dell'olio extra vergine , l'unico a potersi fregiare di una
denominazione di origine che copre l'intero territorio regionale, sia per l importanza che esso assume nella
caratterizzazione del paesaggio , splendida cornice delle nostre citta e dei nostri borghi.
Inoltriamo pertanto la richiesta di poter identificare misure specifiche per il comparto olivicolo, dando risposta
alle migliaia di segnalazioni e di appelli che stiamo ricevendo dagli olivicoltori, per un fondamentale sostegno
all'olivicoltura che rischia di ricevere quest'anno un colpo forse troppo duro da sopportare. Massimo Sisani
Cia Umbria, presidente ambito intercomunale di Foligno coordinatore gruppo di interesse olivicolo regionale
MALTEMPO A TODI, GESTITA
L'ALLERTA METEO
L'Amministrazione comunale ringrazia i soggetti e le strutture per il lavoro svolto in questi ultimi giorni nella
gestione dell'allerta meteo. Un particolare ringraziamento ai volontari del Gruppo di Protezione civile 'Città di
Todi' per il coordinamento delle operazioni, alla struttura regionale ed anche al personale tecnico ed
amministrativo comunale. Nel sottolineare che la perturbazione degli ultimi giorni non ha provocato danni
particolari sul territorio comunale, si esprime soddisfazione per la gestione dell'allerta meteo decretata dalla
Protezione Civile regionale per le possibili criticità idrogeologiche dovute alle piogge. Grazie al monitoraggio
ed alle ricognizioni compiute emerge che ha funzionato il sistema operativo della Protezione civile regionale e
comunale attivato per la gestione di eventuali emergenze grazie anche alla collaborazione ed alle
segnalazioni inviateci dai cittadini. Il Gruppo volontari di protezione civile comunale ha dimostrato di essere
un punto di riferimento strategico, a testimonianza di una sempre più radicata cultura della protezione civile
nel nostro territorio.
Luca Pipistrelli
assessore Comune di Todi
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CARO MINISTRO, INTERVENGAIN FAVORE DELL'OLIVICOLTURALo stato
del comparto olivicolo reg...
08/11/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:105812, tiratura:151233)
È pioggia di modifiche. Nel mirino la tassa di successione Proposte dall'e-book al bonus bebé. Più di mille
sono targate dem. E il governo deposita la norma per ridurre il deficit di 4,5 miliardi come vuole l'Ue Il nodo
del calendario
Gianni Santamaria
Iva da portare al 4% anche per gli e-book , perché #unlibroèunlibro , come recita anche una campagna
lanciata sui social network . Rafforzamento del bonus bebè per le famiglie meno abbienti. Ecobonus al 65%
per tutto il 2015 anche per gli interventi antisismici. E poi cancellazione del taglio ai patronati, revisione delle
norme sull'Irap per non penalizzare le Pmi, più fondi per la non autosufficienza e la Sla, e per la ricerca. E
Local Tax , sempre più quotata tra le nuove misure in entrata. Arriva, come di consueto, una pioggia di
emendamenti alla legge di Stabilità, circa 4mila (3.703), che la commissione Bilancio della Camera inizierà a
vagliare dalla prossima settimana. E un po' a sorpresa, al primo posto si piazza il partito del premier, Matteo
Renzi, con le 1.034 richieste di modifica depositate targate Pd. Tra le proposte della minoranza dem, che
saranno formalizzate la prossima settimana, Stefano Fassina ne anticipa una che prevede l'innalzamento
delle aliquote sulle tasse di successione (altre riguardano le privatizzazioni). Molte proposte di correzione si
concentrano sui temi più "caldi" della manovra, dalle tasse su Tfr e fondi pensione (su cui il governo ha
aperto a correttivi, ma nel rispetto dei saldi), al pressing per aumentare i fondi per i nuovi ammortizzatori
sociali. Tema quest'ultimo legato a doppio filo, anche nelle intenzioni del governo, alla realizzazione del Jobs
act. Il provvedimento all'esame della commissione Lavoro - sempre a Montecitorio - si intreccia, infatti, anche
per motivi di calendario con la legge di Stabilità e potrebbe rallentarne i lavori, visto che in caso si proceda
come già stabilito, la commissione Bilancio dovrà dedicare tempo anche al vaglio degli emendamenti che
saranno presentati alla delega lavoro. Pende sulla tempistica dei lavori, però, la richiesta avanzata dalle
minoranze del Pd, di votare prima la legge di Stabilità, proprio per dare certezza di risorse alla riforma del
mercato del lavoro. Sul fronte lavoro delle modifiche potrebbero arrivare anche sugli incentivi alle nuove
assunzioni, visto che - dopo la richiesta arrivata dalla commissione guidata da Cesare Damiano di concedere
lo sconto solo a chi non ha licenziato in precedenza - il ministro Giuliano Poletti ha assicurato che il confronto
è aperto e che questo è uno «dei punti su cui vale la pena lavorare». Intanto arriva in commissione il primo
emendamento del governo, quello preannunciato per ridurre il deficit di 4,5 miliardi come dagli accordi con la
Ue, mentre il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, impegnato a Bruxelles con l'Ecofin, ha parlato di
contatti «normali e costruttivi» con la nuova Commissione, che dovrà esaminare le manovre di tutti i Paesi
membri. Vaglio slittato a fine mese, sottolinea il titolare di via XX Settembre, solo per «un fatto tecnico», per
dare tempo ai commissari appena insediati di studiare i dossier. Nonostante il preannunciato tetto a 500
emendamenti segnalati, su cui poi si andrà effettivamente al voto, i deputati non hanno rinunciato a chiedere
una miriade di modifiche: dopo il Pd, il Movimento 5 Stelle ne ha presentati 643, Forza Italia 569, la Lega si è
"limitata" a 373, mentre Sel arriva a 266. Tanti anche gli emendamenti di Ncd (242), mentre Scelta Civica
avanza 120 richieste, 108 Fratelli d'Italia, 81 Per l'Italia, una sessantina le minoranze linguistiche, un'altra
sessantina arriva dai socialisti, 30 dalle altre componenti del gruppo misto. Infine, 53 dalle commissioni
coinvolte.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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Stabilità, 3.700 gli emendamenti Mille del Pd, la minoranza si scatena
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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L'elettronica vede rosa più ordini dal mercato domestico*
Christian Benna
a pagina 23 Milano L'occasione "perduta" è tornata. E questa volta è il caso di non farsela sfuggire. Perché il
grande rimpianto dell'industria italiana, quella pionieristica divisione elettronica Olivetti che negli anni
Sessanta sfornava i primi calcolatori al mondo, oggi prova a risorgere nella sua versione 3.0 in una miriade di
Pmi tecnologicamente all'avanguardia. Il loro mestiere ha forse meno appeal rispetto all'epopea visionaria
olivettiana. In fabbrica producono circuiti stampati, router, sistemi integrati per il telecontrollo e
telemisuramento, dispositivi per l'identificazione, centrali che immagazzinano e smistano dati, macchine che
consentono di far dialogare altre macchine. Ma questi prodotti, spesso nel backstage dell'innovazione, sono
proprio la colonna vertebrale della civiltà digitale che si sta costruendo. Si calcola che l'Internet delle cose
creerà miliardi e miliardi di dispositivi connessi nei prossimi cinque anni. Un mercato immenso alla ricerca di
nuovi protagonisti. La sfida non è semplice. In Italia gli investimenti in nuove infrastrutture di reti sono fermi, le
impalcature dell'edilizia bloccate, e l'ammodernamento dei processi industriali rinviato dalle imprese a
stagioni migliori. Eppure le aziende nate tra gli anni 70 e 80, nei distretti del Canavese, della Brianza,
nell'Etna Valley e del nord-est sono diventate piccole multinazionali tascabili a proprio agio nella produzione
di dispositivi e soluzioni per il grande business dell'Internet delle cose. In cima ci sono i grandi player già
affermati, da StMicrolelectronics a Datalogic, o campioni della tecnologia avanzata come Eurotech, 66 milioni
di ricavi e un centinaio di addetti, che a Udine sforna supercomputer in miniatura e sistemi embedded. Ma
attorno agli esempi di punta di quell'industria che rende la meccanica "intelligente", ci sono migliaia di
imprese che producono sistemi integrati per l'automotive, per il controllo dell'energia e la gestione smart della
casa. Prendete il caso della Tecno System di Mercenasco (Ivrea), piccola multinazionale tascabile che con i
suoi 14 milioni di fatturato (40% generati all'estero) e 100 dipendenti non ha paura di lanciarsi in nuovi
mercati. «Abbiamo appena aperto due unità produttive - dice l'amministratore unico Tiziano Ianni - una in
Tunisia e l'altra in India a Bangalore. E da ultimo anche un ufficio a Los Angeles. Non si tratta di
delocalizzazioni, ma di investimenti in loco per aggredire nuovi mercati». Tecno System produce schede
elettroniche che permettono di controllare i freni dei treni e dare vita alle centraline per l'automotive. «Siamo
figli della cultura olivettiana, dove l'innovazione è un processo aziendale quotidiano. E oggi, con il digitale che
sta cambiando tutti gli ambiti della nostra vita, le nostre aziende stanno tornando protagoniste di questa
rivoluzione». L'industria dell'elettronica vanta punte di eccellenza molto avanzate nei dintorni di Ivrea, come
Tiesse, altra creatura nata da ex manager Olivetti, che solo in Italia ha installato 200mila apparati M2M e più
di 100mila router, utilizzati nel telecontrollo e telegestione delle reti, dove compete con big player
internazionali del calibro di Huawei e Cisco. «Il comparto dell'energia spiega Fabrizia Montefiori,
amministratore delegato di Tiesse - è quello che ci sta dando maggiori soddisfazioni. Basti pensare al
rinnovamento delle reti del gas o a quelle elettrica, delle quali i nostri dispositivi consentono l'uso efficiente e
controllato». Le soluzioni hitech non mancano. Tuttavia il comparto resta molto conservatore quando si parla
di alleanze e di crescita per linee esterne. Non è un caso che frammentazione e nanismo dimensionale sono i
veri mali del settore, con il 44% delle imprese che ha meno di 20 dipendenti e solo l'8% ne impiega più di
250. Dopo anni di predicazione, spesso nel deserto, da parte dell'associazione delle imprese
dell'elettrotecnica, l'Anie, è sorta anche una delle prime reti di imprese del settore della sicurezza. Si chiama
Keep Control Team2 e riunisce cinque aziende del comparto della sicurezza: la toscana A4 Sicurezza,
fornitrice di sistemi elettronici, apparati e componenti di sicurezza; la Sistemi Integrati, con sede a Bologna; la
sassarese Videotecnica Sistemi Elettronici Integrati; Deletron Srl di Arcore e la veneta Integra Sei Safety &
Security Sas. L'obiettivo è mettere insieme le competenze per presentarsi con spalle più robuste nelle grandi
gare d'appalto, in Italia e all'estero. Perché l'occasione di mercato da cogliere è davvero da non perdere. Non
solo per fare massa critica e raggiungere dimensioni competitive. Ma soprattutto per non lasciarsi indietro il
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economia italiana
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treno del "reshoring" della manifattura. Le multinazionale cominciano a traslocare attività dall'oriente verso
l'Europa. E hanno bisogno di fornitori di elettronica, che fino a ieri era affidata a imprese asiatiche. Con lo
sviluppo di business sempre più complessi, basti pensare alle soluzioni di domotica in un grande albergo, alla
videosorveglianza o ai processi di automazione industriale servono elevata qualità produttiva e di servizio.
«Le nostre Pmi si sono internazionalizzate in questi anni - dice Claudio Andrea Gemme, presidente di Anie E sono cresciute seguendo l'espansione dei grandi contractor dell'oil&gas e dell'impiantistica. Oggi hanno
standard elevatissimi. E cominciano anche a crescere dal punto di vista dimensionale». L'industria
elettrotecnica ed elettronica italiana è ormai terza in Europa per fatturato (63 miliardi di euro) con 29 miliardi
di esportazioni, 425.000 addetti e investimenti medi annui in R&S pari al 4% del fatturato totale (oltre il 30%
dell'intero investimento in R&S del settore privato in Italia). Il mercato interno fatica a decollare. Ma non per
tutti. Ci sono aziende come la Goma Elettronica di Torino che genera 22 milioni di fatturato quasi
esclusivamente in Italia. E negli ultimi mesi gli ordini, che arrivano dalle industrie dei trasporti, difesa e
biomedicale, sono aumentati a doppia cifra. Tanto che è partita una nuova campagna di reclutamento per
circa 10 addetti. Lo scenario per i prossimi mesi è positivo. Per il secondo semestre 2014, secondo un
sondaggio delle imprese Anie, si comincia a respirare un'aria di ottimismo: rispetto ai primi sei mesi dell'anno,
il 47,5% delle aziende ipotizza un aumento del fatturato totale, con note positive anche in relazione al
fatturato interno (in aumento per il 44,1% delle imprese). ANE AUTOMAZIONE S.DI MEO
Qui sopra, il presidente dell'Anie Claudio Andrea Gemme (1) L'amministratore unico di Tecno System Tiziano
Ianni (2) e Roberto Siagri (3) presidente e ceo di Eurotech 2
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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La protezione è hi-tech: il made in Italy sfonda
NONOSTANTE LA CRISI L'INDUSTRIA DI SETTORE È RIUSCITA A IMPORSI SUI MERCATI ESTERI
GRAZIE ALL'INNOVAZIONE CONTINUA DI PRODOTTI SEMPRE PIÙ SOFISTICATI. MA LE AZIENDE
LAMENTANO UNA CARENZA DI LIQUIDITÀ PER I RITARDI NEI PAGAMENTI CHE POTREBBE
FRENARE LO SVILUPPO
Walter Galbiati
Milano La sicurezza prima di tutto. Mai un luogo comune ha calzato così tanto a pennello per un settore,
quello della Sicurezza, che in questi anni di crisi è riuscito a difendersi meglio dell'intero manifatturiero
italiano. Sono le aziende che si occupano dei sistemi antincendio, della sicurezza degli edifici, dei sistemi
anti-intrusioni e della videosorveglianza. E di quel mare di certificazioni e di rapporti con gli enti che
assediano ogni giorno le imprese. La svolta per affrontare le turbolenze del mercato interno è stata
l'internazionalizzazione, grazie alla quale le aziende sono andate a cercare i mercati là dove la crescita era
pur sempre garantita. Il resto lo hanno fatto l'innovazione tecnologica e la qualità su cui le aziende devono
puntare per rimanere ad alti livelli, nonché la scelta di incrementare i servizi. A fine 2013, secondo i numeri
dell'Anie Sicurezza, il settore si è trovato un fatturato totale aggregato pari a circa 2 miliardi di euro, con un
contributo positivo sia del canale estero sia della domanda interna. La crescita è stata dello 0,9% che segue
l'un per cento dell'anno precedente e il più 4,9% del 2011. Con riferimento al mercato interno è risultata
trainante la domanda di tecnologie ad alto contenuto specialistico e non standardizzato, «in risposta secondo l'Anie - alla crescente percezione di insicurezza legata alla diffusione dei reati contro il patrimonio».
L'incertezza del contesto economico italiano ha portato poi le imprese a esplorare nuovi mercati, creati
dall'innovazione tecnologica e frutto dell'attività di internazionalizzazione. La prova è offerta dalle esportazioni
che, pur rimanendo ancora limitate in rapporto al fatturato, nel periodo 2009-2013 hanno evidenziato una
crescita annua media vicina al 10%. Nell'attuale contesto congiunturale, gli operatori della Sicurezza
lamentano comunque continue tensioni sui margini. Anche per il 2014, i punti più critici sono l'accesso al
credito e i ritardati pagamenti. Secondo una rilevazione dell'Ufficio Studi della Camera di commercio di
Mestre, dall'agosto del 2011 allo stesso mese di quest'anno, i prestiti bancari alle imprese italiane sono
diminuiti di 89 miliardi di euro (8,9%). «Nella storia recente del nostro Paese - ha commentato il segretario
Giuseppe Bortolussi - non si era mai verificata una contrazione del credito alle imprese così vigorosa. E dopo
i risultati emersi dallo stress test voluto dalla Bce, la situazione potrebbe addirittura peggiorare». La difficoltà
nel reperire la liquidità è acuita dai ritardi nei pagamenti, anche da parte dello Stato. Stando agli ultimi dati
della Commissione Ue, l'Italia paga le proprie fatture con una tempistica media di 180 giorni. La direttiva
dell'Unione europea, introdotta su spinta del governo Monti il primo gennaio 2013, prevede invece che lo
Stato onori i suoi debiti con il settore privato in un tempo massimo di 30 giorni, o 60 in casi specifici come il
settore sanitario. Per l'anno in corso lo scenario del manifatturiero italiano non è certo migliore. Il sondaggio di
ottobre sulla fiducia dei direttori di acquisto delle principali aziende manifatturiere dell'Eurozona, condotto da
Markit fotografa un'Europa a due velocità. «A causa della scarsa domanda che ha continuato a condizionare
la crescita sia della produzione che dei livelli occupazionali dei paesi membri della moneta unica, ad ottobre il
settore manifatturiero dell'Eurozona rimane in una condizione di quasi stagnazione». L'istituto spiega che la
«crescita in Germania, Spagna, Paesi Bassi e Irlanda controbilancia le contrazioni delle altre nazioni». La
grosse disparità evidenziate dagli economisti relegano purtroppo l'Italia nel gruppo dei 'cattivi', insieme alla
Francia. L'indice Pmi tricolore è risultato infatti in calo a 49 punti, ai minimi da 17 mesi (erano 50,7 punti a
settembre), mentre quello transalpino è peggiorato a 48,5 punti, minimi da due mesi. A dispetto di queste
difficoltà nel corso del 2014, il comparto Sicurezza ha mantenuto stabilità nei fondamentali e ha mostrato
addirittura una crescita del fatturato più sostenuta: il giro d'affari dovrebbe chiudere a fine anno con +4,5%.
«La dinamica complessiva di comparto è frutto di andamenti differenziati espressi dai diversi segmenti
merceologici che lo compongono», ha spiegato l'Anie. Secondo i preconsuntivi disponibili, nel corso del 2014
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rapporti sicurezza
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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il segmento Antintrusione ha evidenziato segnali di debolezza, mentre il segmento Antincendio ha registrato
una sostanziale stabilità sui livelli dell'anno precedente. Il segmento Videosorveglianza continua a mostrare
una maggiore dinamicità, anche grazie ai diffusi fenomeni di sostituzione tecnologica. «In linea con l'anno
passato però il rafforzamento del tasso di crescita mostrato deve ancora molto alla capacità delle imprese di
cogliere opportunità in mercati esteri ancora dinamici e caratterizzati da una maggiore tenuta degli
investimenti», sostiene l'Anie. Anche nel 2014 il canale estero ha continuato a fornire un contributo positivo
allo sviluppo. Hanno mostrato un andamento notevole le vendite estere rivolte al tradizionale mercato
europeo, che rappresenta circa l'80% delle esportazioni. I Paesi dell'Est europeo, il Nord Africa e il Medio
Oriente sono fra i principali mercati di sbocco. S.DI MEO,ANIE [ GLI AEROPORTI ] La sicurezza all'interno
degli scali aerei sta assumendo il carattere di priorità anche alla luce della recrudescenza di attacchi. I sistemi
di sorveglianza sono sofisticati [ IL BANCOMAT ] Un particolare tipo di protezione è previsto per gli sportelli
distributori del denaro. Anche le banche stanno affinando le tecniche di vigilanza affidandosi a società
specializzate [ LE CITTÀ ] I Comuni da qualche anno stanno ricevendo e utilizzando i finanziamenti statali e
comunitari riservati alla vigilanza delle strade: una specie di Grande Fratello urbano Nel corso del 2014 il
comparto Sicurezza ha mantenuto stabilità nei fondamentali e ha mostrato addirittura una crescita del
fatturato più sostenuta
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La Repubblica - Affari Finanza - N.37 - 10 novembre 2014
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E solo il 6,5% pensa di crescere di dimensione tramite acquisizioni
Crescere di dimensioni attraverso le acquisizioni è una strategia che non ha grande seguito in Italia tra le Pmi
: solo il 6,5% pensa di metterne qualcuna in cantiere o la considera comunque una opportunità. Ed è già un
miglioramento rispetto al 6% della passata edizione della ricerca Zurich. Anche questo dato ci pone al fondo
della classifica. Certamente tutte le piccole imprese, non solo quelle italiane, hanno difficoltà di accesso a
risorse di mercato per operazioni di questo tipo, che d'altra parte si fanno proprio per crescere di dimensioni e
aumentare anche il proprio spessore finanziario. Ma il dato italiano resta tra i più bassi, anche se in questo
caso il fanalino di coda è rappresentato, in Europa, dalla Spagna, con appena il 4%. Perfino il Portogallo ha
una quota di Pmi che guardano alle acquisizioni come un'opportunità perseguibile maggiore: il 13%. Quota
identica a quella tedesca, mentre l'Irlanda si ferma al 10%. In media il sistema europeo si attesta sul 10,8%.
Più in linea invece con il resto dell'economia continentale l'Italia lo è sull'adozione di nuove tecnologie: siamo
al 10% delle risposte (l'anno prima era il 5%). Ma si tratta di tecnologie molto basiche: soprattutto smartphone
e tavolette. E' comunque un inizio.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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[ LA RICERCA ]
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Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
Pag. 24
Quando vendere serve a crescere
Le cravatte di Luca Roda: da soli saremmo stati battuti dai big
MICHELE AVITABILE
Che la cravatta si fosse trasformata da accessorio formale in oggetto di moda, l'aveva già compreso nel
2005. E poiché le mode sono destinate a passare, e competere con le multinazionali del fashion sarebbe
stato sempre più difficile per la sua impresa, ha ceduto la proprietà dell'azienda prima dell'arrivo della crisi.
Così Luca Roda, fondatore nel 1995 dell'omonima impresa specializzata nella produzione di cravatte
multicolori d'alto target, ha venduto prima il 40% e poi l'altro 60% della sua società al gruppo Sinv. Impegnato
da 40 anni nel comparto dell'abbigliamento.
Nell'accordo, però, c'era una clausola fondamentale: Roda avrebbe continuato a occuparsi dell'impresa con
le deleghe di direttore marketing e responsabile dell'area creativa. «La mia decisione lasciò di stucco molti
operatori del settore - racconta Luca Roda, -. C'era da comprenderli. All'epoca gli ordini fioccavano e
fatturavo 5 milioni di euro. Per tanti era una follia vendere. Ma avevo intuito che in futuro sarebbe stato
sempre più complicato competere con i colossi della moda».
Inoltre, soprattutto per le piccole e medie imprese, iniziavano a profilarsi notevoli difficoltà sul fronte del
credito bancario. L'arrivo del gruppo Sinv ha quindi consentito due operazioni: rafforzare il capitale aziendale
e allargare la produzione ad altre tipologie di articoli. Insomma oggi Roda non è solo cravatte colorate in
cashmere, ma anche giacche, camicie, maglie, sciarpe e pochette legate rigorosamente al mondo
dell'abbigliamento maschile. Un impegno produttivo che ha consentito alla società di registrare nel 2013 un
fatturato pari a 3,5 milioni di euro. Mentre le previsioni sul 2014 confermano le stesse performance
economiche dell'anno precedente.
Ma chi sono i principali acquirenti dei prodotti realizzati dall'azienda vicentina, ma con sede operativa a
Milano? «La nostra clientela è composta soprattutto da imprenditori e personaggi dello spettacolo - spiega
Roda -. Persone che apprezzano lo spirito italiano di un prodotto, sono pronte a scegliere disegni particolari e
colori un po' irriverenti ma senza perdere il gusto di vestirsi da gentleman inglese. Gente aperta alle novità e
amante dell'eleganza».
Caratteristiche che contribuiscono a tenere alto il giro d'affari, ottenuto al 60% attraverso l'export. Grazie
anche a una distribuzione in selezionati department-store e negozi monomarca. «Vendiamo bene in Europa,
Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti - conclude Roda -. Pronti a soddisfare il gusto dell'uomo
contemporaneo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
3,5 Il fatturato 2013 in milioni di euro di Roda, società specializzata nella produzione di cravatte dai disegni
originali, amate dai personaggi dello spettacolo. Il 60% deriva dall'export
Foto: Moda Luca Roda; ha ceduto l'azienda a Sinv, ma è ancora sul ponte di comando
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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La storia/Abbigliamento
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Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
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Sicurezza La ripresa abita qui Fatturati in crescita del 4 per cento
Il comparto, grazie all'innovazione e agli incentivi, ha già superato la crisi Dischi: «Cresceremo anche nel
2015». Pmi italiane sostenute dall'export Punto di forza delle imprese domestiche è l'alta specializzazione in
nicchie di mercato
andrea salvadori
I l settore delle tecnologie per la sicurezza e l'automazione degli edifici ha ripreso a correre nel 2014
confermando la sua vitalità all'interno del sistema imprenditoriale italiano. Dopo due anni caratterizzati da un
contenuto incremento del giro d'affari, quest'anno il comparto, in controtendenza all'andamento economico
generale, tornerà a registrare performance vicine a quelle messe a segno nel 2011, quando la crescita del
fatturato si assestò al 4,9%.
«Il mercato della security continua a tenere e ha archiviato il 2013 con vendite pari a circa 2 miliardi di euro.
Questi risultati sono il frutto della voglia di innovare e di andare avanti delle nostre aziende, seppure in un
momento economico ancora complesso. Nel 2014 il settore ha mostrato invece una decisa tendenza alla
ripresa e dovrebbe chiudere, secondo le stime di Anie Sicurezza, con un incremento del 4,5%», commenta
Franco Dischi, presidente di Assosicurezza. Tra i settori che ottengono le performance migliori figurano la
videosorveglianza, le tecnologie antincendio, l'automazione degli edifici grazie alle nuove tecnologie e la
protezione delle cosiddette infrastrutture critiche, ovvero quei sistemi o processi che, se interrotti nel loro
funzionamento anche solo per poche ore, possono provocare danni incalcolabili.
Attese
Gli italiani spendono invece meno per proteggere le loro abitazioni e a risentirne sono gli operatori
dell'antintrusione. E il 2015? «Il settore - prosegue Franco Dischi - conta di crescere ancora con un trend
analogo a quello di quest'anno. Grande attesa vi è per le norme contenute nell'ultima manovra finanziaria,
finalizzate da un lato ad accelerare il pagamento dei debiti pregressi da parte degli enti locali, dall'altro ad
allentare i vincoli del patto di stabilità per gli investimenti dei comuni. Se il 60% del mercato è controllato da
multinazionali europee e americane, dai grandi produttori dei sistemi di sicurezza, il rimanente 40% vede
protagoniste piccole imprese italiane, realtà con fatturati che non superano i 20 milioni di euro. Aziende
concentrate in larga maggioranza nelle regioni centrali e settentrionali del Paese che, in questi anni di crisi,
nonostante un mercato vivo, hanno comunque dovuto far fronte a problemi di sottocapitalizzazione. Gli
interventi annunciati dal governo garantirebbero dunque un incremento delle commesse per le aziende del
comparto e ne rafforzerebbero la solidità finanziaria».
Punto di forza delle imprese italiane è l'alta specializzazione in nicchie di mercato ad alto valore aggiunto,
come ad esempio i sistemi di protezione dei perimetri delle infrastrutture critiche, la videosorveglianza o le
soluzioni di movimentazione e tracciabilità dei bagagli.
Propensioni
La propensione all'export rimane ancora bassa, intorno al 15% del giro d'affari, ma risulta ad ogni modo in
costante crescita, con un incremento annuo vicino al 10% nel periodo 2009-2013. Il Vecchio Continente ha
rappresentato lo scorso anno quasi l'80% delle esportazioni (a farla da padrone è la Gran Bretagna, che da
sola assorbe più del 16% dell'export tricolore, davanti a Francia, Spagna, Germania e Ungheria).
Le vendite rivolte al mercato europeo hanno mantenuto un andamento dinamico anche nel corso del 2014,
mentre aumenta l'interesse nei confronti dei paesi dell'Est Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente, verso
i quali infatti si sono orientate le azioni di internazionalizzazione delle imprese. Proprio da queste aree
dunque arriveranno molti dei buyer che nei prossimi giorni prenderanno parte ai lavori di Sicurezza 2014, la
manifestazione biennale del comparto in programma a Fiera Milano dal 12 al 14 novembre. A Sicurezza
saranno presenti più di 450 aziende espositrici su una superficie espositiva di 29.000 metri quadrati, in
crescita del 33% rispetto all'edizione del 2012. Aumenta la presenza estera, con aziende provenienti da 28
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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L'analisi Superata quota 2 miliardi. A Milano da mercoledì la grande fiera del settore
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Corriere Economia - N.37 - 10 novembre 2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 10/11/2014
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paesi. Nel corso della tre giorni milanese, visitatori e operatori avranno la possibilità di conoscere le ultime
novità in tema di videosorveglianza, controllo accessi, gestione integrata delle diverse funzioni della casa,
controllo delle strade in ambiente urbano, business continuity delle infrastrutture critiche, sicurezza del
sistema bancario, salvaguardia di musei e beni culturali. «L'edizione 2014 - conclude Enrico Pazzali,
amministratore delegato di Fiera Milano - sembra confermare Sicurezza come momento di riferimento unico
per il suo mercato. Si tratta di una delle tante eccellenze del nostro Paese che, come Fiera Milano, abbiamo il
compito di sostenere».
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L'IDENTIKIT I principali dati statistici del settore sicurezza e automazione edifici Fonte: Anie Sicurezza
VARIAZIONE 2013 SU 2012 Antincendio 0,5% Antintrusione 1,3% Controllo accessi 0,4% TV.CC 2,5%
Building Automation 0,3% Antintrusione e sistemi di monitoraggio centralizzati -1,8% COSÌ IL FATTURATO
IL TREND L'andamento del mercato interno e delle esportazioni CRESCITA SU ANNO PRECEDENTE (DATI
IN PERCENTUALE) di cui: dato stimato 1.778 1.796 1.944 1.961 263 265 97 99 166 166 MERCATO
INTERNO FATTURATO TOTALE EXPORT IMPORT BILANCIA COMMERCIALE Fonte: Anie
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Milano Finanza - N.220 - 8 novembre 2014
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(diffusione:100933, tiratura:169909)
Chi ha fiducia nel made in Italy
Guido Lorenzon
Il Prosecco porta investimenti nel manifatturiero del Nordest. Questa la possibile lettura della decisione di
Owens-Illinois, sede centrale a Perrysburg in Ohio (Usa) di investire 55 milioni di euro nel suo stabilimento di
San Polo di Piave (Treviso), dove produce 2 milioni di bottiglie al giorno. I primi 15 milioni sono arrivati nel
2011, i 40 milioni in questi mesi, nella costruzione di un nuovo forno, quattro linee di produzione ad alta
efficienza e macchine ispettive di ultima generazione. Sono stati creati 30 nuovi posti di lavoro, portando il
totale degli occupati da 210 a 240. Il sito trevigiano è uno degli 11 presenti in Italia e, di questi, è il maggiore.
Altri due sono nel Nordest, uno in provincia di Pordenone e l'altro in provincia di Trento. Si calcola che il sito
di San Polo di Piave realizzi dai 60 ai 70 milioni di euro di fatturato all'anno, su un totale di 520 milioni di euro
come fatturato di O-I Italia. Il volume d'affari complessivo del gruppo è stato nel 2013 di 7 miliardi di dollari,
impiegando 22.500 dipendenti che lavorano in 77 stabilimenti situati in 21 paesi. Lo stabilimento è stato
fondato nel 1963 come Vetropiave e, dopo un passaggio di proprietà, risale al 1977 l'acquisizione da parte di
O-I. «Gli investimenti sono stati continui», ha detto Angelo Breviari responsabile O-I Italia, «per adeguare gli
impianti alle esigenze ambientali e alla necessità di una costante maggiore efficienza». Sono circa 150 mila le
tonnellate di vetro riciclato lavorate a San Polo di Piave, l'equivalente di circa il 70% del totale lavorato. «Il
riciclo costituisce una delle motivazioni dell'investimento», ha detto Breviari. «Contiamo infatti di poter
alimentare la produzione con il 90% di vetro riciclato, oltre che di mettere a disposizione della nostra clientela
un fornitore sempre più green, di poter alleggerire con la nuova tecnologia il peso della singola bottiglia,
portando la bottiglia standard dai 410 ai 360 grammi». La riduzione di 50 grammi per ogni bottiglia genera
una gamma lunga di benefici: minor consumo di materia prima e di energia, minor costo per il packaging in
vetro per i clienti, minori costi per il trasporto sia del vuoto che del pieno. L'export da San Polo di Piave
equivale al 3 o 4% della produzione e raggiunge Croazia e Serbia. «Nel trasporto si paga anche l'aria
contenuta nelle bottiglie», ha detto Breviari, «per questo conviene coprire il mercato con impianti di
produzione. A San Polo vengono prodotte 2 milioni di bottiglie al giorno, distribuite in più di 200 forme che
vanno dai 20cl ai 200cl». I clienti sono quasi del tutto locali, ma di un territorio che produce 350 milioni di
bottiglie di Prosecco all'anno. Altri clienti operano nel mercato delle acque minerali e della birra. Marchi come
San Pellegrino, Heineken e Peroni hanno da queste parti i loro stabilimenti. «È di fatto una partnership», ha
detto Breviari, «perché il nostro sforzo ha come fondamento la fiducia nel "Made in Italy" e come scopo offrire
a vini e birre e acque minerali provenienti da questo territorio il massimo livello di qualità sia del prodotto che
del processo». Il nuovo investimento consente infatti anche un significativo risparmio di acqua e del 50%
delle emissioni di CO 2 . Il 60% delle bottiglie prodotte a San Polo di Piave sono per il comparto del vino, il
20% per l'acqua minerale, il 10% per la birra e il resto per liquori e olio. (riproduzione riservata)
Foto: Angelo Breviari
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OWENS-ILLINOIS
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Una gestione tattica
Come ottimizzare le risorse e massimizzare il profitto? Dal revenue management le risposte per gestire
domanda e offerta e applicare le corrette strategie di pricing
Danilo Zatta
L'inasprimento della concorrenza a livello globale acuisce la necessità di ottimizzare l'uso delle risorse
aziendali per massimizzare i profitti. Supponiamo che un'impresa si trovi in un mercato con domanda in calo.
Per assicurare l'occupazione ed evitare una diminuzione della produzione, potrà spingersi ad accettare ordini
con un prezzo e un margine inferiori rispetto a quelli che normalmente avrebbe accettato. Ma come evitare il
rischio di prezzi e margini ridotti quando il mercato cresce e la domanda aumenta? Oppure, prendiamo il caso
di un albergo che sta per concludere un contratto di lungo termine con una grande agenzia viaggi: più basso
sarà il prezzo e più probabile sarà la conclusione del contratto, ma inferiori saranno i profitti. Come stabilire il
prezzo ottimale per ottimizzare l'uso delle camere disponibili? Il revenue management fornisce risposte a
queste domande. Scovare e realizzare opportunità per massimizzare la redditività sono attività che richiedono
un approccio sistemico e integrato: il revenue management riguarda l'impiego di strumenti capaci di
prevedere il comportamento dei clienti con l'obiettivo di ottimizzare congiuntamente l'offerta di prodotti o
servizi, la loro disponibilità e i rispettivi prezzi, per massimizzare la redditività. In altre parole, consiste
nell'applicazione di strategie di pricing e di sistemi informativi per allocare la giusta capacità al giusto cliente,
nel posto giusto al momento giusto, con l'obiettivo di ottenere la rendita economica più elevata possibile e
facendo combaciare domanda e offerta. Dagli aerei a una diffusione a macchia d'olio Vi sono pochissime
altre tecniche di management che vengono ricondotte a una specifica industria come nel caso del revenue
management, che ha visto la propria nascita negli anni '70 nel settore del trasporto aereo, ove si è
rapidamente diffuso divenendo uno strumento quasi irrinunciabile. Dopodiché, è stato applicato in altri ambiti
del settore dei servizi come noleggio di automobili, catering & ristorazione, trasporto merci, imprese del
settore del gas ed energia, health care, alberghiero, Internet, radio/ tv, trasporto ferroviario, vendita al
dettaglio, trasporti navali e crociere, teatri, stadi e turismo. Oggi si registra un crescente numero di
applicazioni anche nel settore manifatturiero. Una serie di casi di successo sia nell'industria dei servizi sia in
quella manifatturiera dimostrano l'impatto positivo che l'impiego del revenue management può avere sulla
redditività aziendale, con incrementi dal 40 fino all'80%. Nel settore dei trasporti aerei, l'incremento di
fatturato a seguito dell'implementazione di sistemi di revenue management ha avuto luogo già nel corso di un
anno: Delta Airlines ha registrato un +300 milioni di euro, e American Airlines +500 milioni di euro circa. Nel
campo alberghiero, Marriott ha segnato un aumento medio annuo di 100 milioni di euro di fatturato, mentre in
quello delle macchine a noleggio, National Car Rental è passata da una situazione di perdita alla generazione
di profitto e quindi a una costante crescita dopo aver posto l'orientamento alla redditività e al revenue
management al centro della propria strategia; l'agenzia di autonoleggio Hertz ha registrato un incremento
medio del 5% sul fatturato. Nel campo della ristorazione, Chevys Fresh Mex ha segnato un +5,1%, mentre la
Canadian Broadcasting Corporation, una delle maggiori emittenti radiotelevisive del Canada, ha attribuito al
revenue management un aumento di 2 milioni di euro nel giro di due sole settimane. Il settore croceristico
genera una media di 300 milioni di euro di profitti grazie al revenue management. 17 principi guida Vi sono
numerose forme e applicazioni di revenue management. Si parte da quelle più intuitive, che aiutano l'impresa
a osservare il mercato e capire le preferenze della clientela, a quelle più complesse che coinvolgono le
principali funzioni dell'impresa e utilizzano sofisticati strumenti matematico-statistici per fornire le giuste
indicazioni a livello di micro segmenti su come ottenere i massimi profitti. Resta il fatto che il revenue
management può essere applicato in qualsiasi impresa e settore in cui sia importante la gestione tattica della
domanda e dove vi siano gli strumenti e la cultura aziendale giusta per implementare questo concetto. Alcuni
presupposti per l'applicazione riguardano la capacità fissa nel breve termine, la domanda variabile nel tempo
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STRATEGIE. Come e quali strumenti utilizzare. Quinta puntata: il revenue management
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ed eterogenea, gli alti costi fissi e i bassi costi marginali, la flessibilità nel pricing, la possibilità di
assegnazione della capacità e la disponibilità di dati storici. Implementare un sistema di revenue
management capillare, come quelli utilizzati dalle compagnie aeree, può risultare una sfida che spesso si
esplicita in un progetto lungo e complesso durante il quale tutte le funzioni aziendali, dalle vendite al
marketing, alla produzione, al controlling vengono coinvolte e riorientate verso la massimizzazione della
redditività. In particolare, vi sono sette principi alla base del revenue management che indirizzano ogni
azienda verso l'obiettivo dell'innalzamento della redditività. Essi rappresentano le linee guida per
l'implementazione del revenue management nel contesto aziendale. 1. Determinazione della disponibilità al
pagamento: a fronte del valore fornito da un'impresa in termini di prodotti vi è un controvalore percepito dal
cliente per il quale esso è disposto a corrispondere un prezzo che rappresenta il beneficio per l'impresa. In
questo contesto un compito importante è determinare la disponibilità al pagamento del cliente. Ricerche
empiriche dimostrano che le imprese che investono risorse importanti nella value extraction ottengono
migliori risultati di lungo periodo rispetto a quelle orientate al "prodotto" e che si concentrano essenzialmente
sulla value delivery. 2, Focalizzazione sul prezzo e non sui costi: per allineare domanda e offerta, la prima
leva da utilizzare è quella del prezzo. Differenziazioni di prezzo per segmentare la clientela e ottimizzare
l'utilizzo di capacità esistenti risultano essere la soluzione migliore. Adattamenti della capacità disponibile
sono consigliabili solo una volta esaurita la leva del prezzo. 3. Value pricing al posto di cost-plus: il cost-plus,
che definisce il prezzo partendo dal costo di produzione del prodotto e vi applica un margine espresso in
termini di un ricarico percentuale, è sconsigliabile poiché adotta un presupposto erroneo per la costruzione
del prezzo trascurando l'effetto che quest'ultimo ha sulla domanda. La strategia di prezzo alla base di ogni
sistema di revenue management si deve piuttosto basare sul value pricing, che stabilisce il livello di prezzo
partendo dal valore attribuito dal cliente al prodotto o servizio, piuttosto che dal costo, in base al grado di
soddisfazione dei suoi bisogni. 4. Segmentazione contro mass market: il mercato va suddiviso in diversi
segmenti ai quali vanno applicati prezzi differenziati. Il prezzo ottimale che massimizza il profitto per ogni
segmento deve essere determinato al fine di estrarre il massimo controvalore che quello specifico segmento
attribuisce al prodotto o servizio. 5. Riservare i prodotti per i clienti con la massima disponibilità al pagamento:
lasciare al caso l'acquisto di prodotti o servizi da parte dei clienti significa perdere redditività; ad esempio,
quando il parametro di segmentazione non è la disponibilità al pagamento quanto piuttosto il fattore
temporale. Ogni impresa deve avere una chiara visione del mercato e determinare i prodotti o servizi che
intende riservare per i clienti disposti a garantire i massimi profitti su di essi. 6. Dati e analisi al posto di solo
intuito: un'accurata osservazione del mercato, basata su regolare raccolta, analisi e valutazione dei dati,
permette di generare un quadro dettagliato delle esigenze e dei comportamenti dei clienti nei vari segmenti
del mercato. Partendo dai dati raccolti vengono sviluppate analisi che, unite all'intelletto umano, permettono
di giungere alle migliori possibili previsioni e quindi alle migliori possibili decisioni. 7. Continua analisi dei
potenziali di redditività: a fronte di un sistema di revenue management che può essere molto complesso, i
principi guida sono molto semplici. Ogni impresa che intende avere successo nel mercato deve comprenderli
e saperli applicare. Soluzioni su misura In linea di principio il revenue management può essere applicato in
qualsiasi impresa e settore nel quale la gestione tattica della domanda è importante. Le decisioni riguardanti
la gestione della domanda sono complesse e legate agli elementi che la influenzano, quali la tipologia di
clienti o segmenti di mercato che l'impresa serve con le loro specifiche preferenze ed esigenze, i prodotti o
servizi venduti, i canali di distribuzione utilizzati e la variabile temporale. Quindi, le modalità di realizzazione di
un sistema di revenue management dipendono dal contesto settoriale in cui l'impresa opera, dalle sue
dimensioni, dal tipo di prodotti o servizi venduti, dalle strategie di vendita e di prezzo perseguite, dal suo
posizionamento e dal comportamento della concorrenza. Non vi è una soluzione standardizzata che può
essere utilizzata per ogni impresa. Ciascuna dovrà adottare un sistema di revenue management che si adatti
alla propria situazione in uno specifico mercato: ogni impresa rappresenta, infatti, una particolare
combinazione di capitale (umano e finanziario), conoscenze e tecnologie e l'approccio di revenue
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management deve riflettere la singola realtà. •
I prerequisiti per l'applicazione del revenue management I benefici che ogni azienda può trarre dal revenue
management saranno tanto maggiori quanto più il contesto nel quale interviene soddisfa i prerequisiti per
l'applicazione. Vediamoli. J Eterogeneità della domanda e possibilità di segmentazione della clientela. Più
ampia è l'eterogeneità nei bisogni dei clienti, maggiori sono le opportunità offerte al revenue management di
massimizzare i ricavi all'interno di differenti segmenti di mercato. *J Domanda stocastica. Una domanda che
nasce con un breve preavviso ha un'elasticità limitata e un alto rischio. La sfida consiste nell'assegnazione
dinamica della capacità ai segmenti di clientela con diverse elasticità di prezzo e un diverso intervallo
temporale tra il momento di arrivo dell'ordine e quello di consegna. # Capacità deperibile. È il caso in cui sono
necessari fattori esterni per produrre un servizio e nessun fattore interno può essere usato per sostituirli. La
capacità non può essere quindi conservata sotto forma di servizi da utilizzare in futuro. <§t Capacità fissa nel
breve termine e domanda dinamica. Quando nel breve periodo la capacità è fissa e la domanda varia, si
devono affrontare problemi quali eccessi di domanda non soddisfatta e capacità produttiva sottoutilizzata che
causano rispettivamente una rinuncia a profitti addizionali e l'insorgere di alti costi. Nel caso in cui un'azienda
non riesca a sincronizzare la capacità produttiva con la domanda, la gestione di quest'ultima può essere
raggiunta solo con la differenziazione di prezzo. t^Alti costi fissi e bassi costi variabili. La parte del settore dei
servizi in cui è applicato il revenue management è tipicamente caratterizzato da alti costi fissi e bassi costi
variabili. J Cultura aziendale e supporto al management. Un'azienda con cultura aziendale aperta
all'innovazione e alle nuove tecnologie è un prerequisito spesso trascurato ma estremamente importante
affinchè il revenue management venga accettato e implementato dal personale. Lo stesso vale per il supporto
del management.
Fonte: D. latta, Revenue Management, Hoepli
Guida agli strumenti manageriali 1. Orientarsi tra gli strumenti manageriali - Pubblicato su "L'Impresa" del 4
giugno 2014 2. Value Measurement - Pubblicato su "L'Impresa" del 9 luglio 2014 3. Market ScoutingPubblicato su "L'Impresa" del 10 settembre 2014 4. Shareholder Value - Pubblicato su "L'Impresa" dell'8
ottobre 20U 5. Revenue Management - In questo numero 6. Pricing Audit - Su "L'Impresa" di dicembre 2014
7. Matrici di portafoglio- Su "L'Impresa" di gennaio 2015 8. Balanced score card - Su "L'Impresa" di febbraio
2015 9. Matrice dei vantaggi competitivi - Su "Llmpresa" di marzo 2015 10. Benchmarking - Su "L'Impresa" di
aprile 2015
Foto: Danilo Zatta, partner in Simon-Kucher& Partners, società leader nella consulenza su strategie,
marketing e vendite, è autore dei libri Le basi del Pricing e Revenue Management, Hoepli e / trend economici
del futuro, Gruppo 24 Ore. danilo. zatta0simon-kucher.com
Foto: Management Strategico, D. latta, HoepU, 2008